UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PERUGIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
Corso di Laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali
TESI DI LAUREA
“Una strage archiviata in un documento dell’esercito inglese”
Laureando Marco Sollevanti
Relatore
Prof. Loreto Di Nucci
Correlatrice
Dott.ssa Claudia Mantovani
Anno Accademico 2016/2017
Indice
Introduzione p. 1
I. La sparatoria al Caffè Nafissi e i rastrellamenti
1. Il contesto storico eugubino 5
2. La sparatoria presso il Caffè Nafissi 7
3. I primi rastrellamenti del 20 giugno 10
4. Il cambio di Comandante e i nuovi rastrellamenti 13
II. Gli interrogatori e la fucilazione
1. Gli interrogatori degli ostaggi nel pomeriggio del 21 giugno 21
2. Il controverso arresto di Zelinda e Miranda Ghigi 23
3. La selezione degli ostaggi: verso la fucilazione 25
4. L’alba del 22 giugno 1944 29
5. Dopo l’eccidio 32
III. La memoria divisa
1. Genesi di una memoria divisa 37
2. La memoria divisa nell’indagine della Pubblica Sicurezza 38
3. Le manifestazioni della memoria divisa 40
Conclusioni 45
Bibliografia e sitografia 47
1
Introduzione
Roma, primi mesi del 1994. Mentre il Procuratore Militare della Capitale Antonino
Intelisano sta preparando la richiesta di estradizione di Erich Priebke, ex capitano
delle SS accusato di aver preso parte alla strage delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944,
trecentotrentacinque morti tra civili e militari), viene ritrovato presso Palazzo Cesi in
via degli Acquasparta un vecchio armadio. Il mobile, con le due ante rivolte verso il
muro, è situato «in un andito seminascosto e poco frequentato1» del palazzo sede della
Procura Militare. Quello che presto viene denominato “Armadio della vergogna”
contiene «2274 procedimenti iscritti nel Ruolo generale dei procedimenti contro
criminali di guerra tedeschi, un campionario impressionante della violenza dispiegata
dall’autunno 1943 alla primavera 1945 contro partigiani e civili dalle forze
d’occupazione e dai collaborazionisti2». Si tratta di atti frutto di indagini portate avanti
dalle forze alleate americane ed inglesi o dalle forze di polizia locali su eccidi e
violenze nazifasciste nei confronti di civili, militari, partigiani, sacerdoti avvenuti nel
periodo 1943-1945.
Ciascuno dei 2274 procedimenti è preceduto da un documento risalente al 14
gennaio 1960 firmato da Enrico Santacroce, Procuratore Generale Militare di Roma
dal 1958 al 1974, sul quale si legge: “Il Procuratore Generale Militare, visti gli atti
relativi ai fatti di cui tratta il fascicolo N…dell’Ufficio sopra indicato [Ufficio
Procedimenti contro criminali di guerra tedeschi]; poiché, nonostante il lungo tempo
trascorso dalla data del fatto anzidetto, non si sono avute notizie utili per
l’identificazione dei loro autori e per l’accertamento delle responsabilità, ordina la
provvisoria archiviazione dei fatti3”.
La formula dell’archiviazione provvisoria viene definita «un atto radicalmente
illegale» che «non ha neanche il pregio di avere la veste di provvedimento
1 F. Giustolisi, L’Armadio della vergogna, Roma, Nutrimenti edizioni, 2004, p.44. 2 M. Franzinelli, Le stragi nascoste, Milano, Mondadori, 2002, p.137. 3 Ibidem, p.129.
2
giudiziario», secondo quanto riportato dagli atti della Commissione Giustizia della
Camera avviata il 18 gennaio 2001 con l’intento di fare chiarezza sulla vicenda
dell’Armadio della vergogna. Le motivazioni dell’accaduto sono ancora oggi
ampiamente dibattute. La posizione dell’armadio e l’archiviazione illegale fanno
comunque pensare ad un’azione volontaria di occultamento delle indagini. Il
documento conclusivo approvato all’unanimità dalla Commissione Giustizia della
Camera il 6 marzo 2001 parla di “Ragion di Stato” relativamente alle «linee politiche
internazionali che hanno guidato i paesi del blocco occidentale durante la guerra
fredda». In altre parole, l’avvio di procedimenti giudiziari riguardanti stragi così gravi
avrebbe comportato una tensione pericolosa tra gli stati appartenenti al blocco
occidentale, in particolare tra Italia e Germania.
La maggior parte dei fascicoli contiene notizie dettagliate sulle modalità di
svolgimento delle stragi, sul reparto militare che le aveva compiute, sugli ufficiali che
avevano impartito l’ordine di uccidere, sul luogo della strage, sul numero delle
persone uccise e sulle modalità di uccisione. Inoltre, in alcuni casi, i fascicoli
contengono anche fotografie, dichiarazioni rese da testimoni oculari e resoconti delle
indagini svolte dagli angloamericani. Il fascicolo 2027 riguarda l’eccidio dei Quaranta
Martiri, avvenuto a Gubbio il 22 giugno 1944, in cui trovarono la morte trentotto
uomini e due donne. La prima pagina contiene la certificazione dell’archiviazione
provvisoria firmata da Santacroce. A seguire, un indice generale: la lista delle
deposizioni di familiari, autorità civili e religiose, la lista delle autorità tedesche
ritenute responsabili dell’eccidio, la lista dei nomi e delle rispettive età delle vittime,
un rapporto della vicenda che copre un arco temporale di diversi giorni avente come
oggetto “War Crimes – Atrocities Committed by German troops at Gubbio, Perugia,
between the 20th and 23rd June 1944”, alcune foto d’epoca allegate.
L’indagine con codice identificativo SIB 78/WC/45/17, iniziata il 4 giugno 1945,
risulta essere stata svolta dal Sergente Bainbridge in collaborazione con i Sergenti
Wren e Cartwright appartenenti alla sezione 78 del SIB (Special Investigation Branch,
polizia militare inglese)4. Tale Divisione Investigativa Speciale aveva il compito di
4 Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troop sat Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17.
3
raccogliere informazioni e avviare indagini relative alle atrocità commesse dai
nazifascisti su tutto il territorio della penisola italiana. Il SIB era coordinato dalla
United Nations War Crimes Commission, che avrebbe dovuto ricevere i rapporti di
tutte le indagini svolte e incriminare i colpevoli. Il modus operandi era stato deciso da
Roosevelt, Churchill e Stalin in un incontro a Mosca (30 ottobre 1943) e regolava
l’invio delle liste alla UNWCC da paesi quali Italia, Francia, Polonia e Grecia.
Le deposizioni raccolte da Bainbridge a Gubbio permettono di ricostruire il
drammatico evento dall’inizio alla fine. Tutte le deposizioni sono state tradotte in
inglese dall’interprete del SIB Dotto Floris5, firmate da ciascun testimone con valore
di autenticazione6, controfirmate dallo stesso Floris con ulteriore valore di
autenticazione7.
L’inchiesta SIB non analizza un elemento fondamentale che rappresenta una diretta
conseguenza della fucilazione del 22 giugno: la memoria divisa che ha caratterizzato
il dibattito nella comunità eugubina dal dopoguerra fino ad oggi. Una memoria
lacerata da strumentalizzazioni politiche, da deposizioni contrastanti fornite dai
testimoni stessi, da un senso di frustrazione provocato da una giustizia che, pur
invocata da familiari e cittadini, a Gubbio non è mai arrivata.
5 In conclusione di ciascuna deposizione, si legge: ”Statement written down in Italian and signature witnessed by Dotto Floris, Interpreter, in the presence of Sgt Bainbridge, both of 78 section, SIB”. 6 In conclusione di ciascuna deposizione, si legge: ”I have read over this statement. It Is true and correct. I herewith append my signature”. 7 In conclusione di ciascuna deposizione, si legge: ”I certify that the above translation from Italian is true and correct and to the best of my ability”.
4
5
Capitolo primo
La sparatoria al Caffè Nafissi e i primi rastrellamenti
1. Il contesto storico eugubino
«Gubbio è una piccola cittadina situata ai piedi del Monte S. Ubaldo, a circa
quaranta kilometri a nord-est di Perugia. […] Ha una popolazione di circa novemila
persone. La gente sembra appartenere a due classi separate e distinte, c’è una parte
economicamente indipendente, autonoma mentre il restante della popolazione è
impegnato in piccoli commerci artigianali legati alle necessità di una piccola città
come Gubbio. Sono anche di indole molto religiosa e solo alcuni sembrano
interessarsi di problemi politici o lontani dal loro mondo». Inizia con una descrizione
geografica e quasi sociologica il rapporto dell’indagine avviata il 4 giugno 1945 e
firmata Sergenti Bainbridge, Wren e Cartwright, sezione 78 della Special
Investigation Branch inglese. L’attenzione dei sergenti si concentra poi sul contesto
storico della cittadina: «Durante il 1944 si sapeva che esistevano piccole bande di
Partigiani sistemate sulle pendici più alte e fittemente imboscate della catena
montuosa di cui il Monte Ubaldo fa parte integrante ma la loro effettiva attività non
sembra essere di dominio pubblico tra la popolazione».
In realtà, già a partire dall’autunno 1943 e nei primi mesi del 1944 si andavano
formando in città diversi gruppi antifascisti in contatto con le organizzazioni
provinciali del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana1. Un’intensa attività
partigiana ferveva invece nelle zone rurali e periferiche: a Morena operava la Brigata
1L. Brunelli, G. Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, Bologna, Il Mulino, 2005. A p.48 si legge: “Gli avvocati Aldo Maria Rossi e Gustavo Terradura Vagnarelli tenevano i collegamenti con il partito comunista […]. L’avvocato Gaetano Salciarini teneva invece i rapporti con il partito della Democrazia cristiana, del quale era un esponente importante”. L’avvocato Salciarini sarà uno dei primi sindaci post liberazione di Gubbio.
6
San Faustino2, diversi eugubini erano impegnati a Burano3, altre formazioni erano poi
attive a Scheggia, Cantiano, Pietralunga, Villamagna, Costacciaro, Sigillo. Questi
gruppi erano impegnati prevalentemente in piccole azioni di guerriglia, sabotaggio dei
mezzi di comunicazione, furti nelle residenze dei collaborazionisti ed erano ospitati e
sostenuti segretamente da gran parte della popolazione locale4.
L’antagonismo con le forze di occupazione si radicalizzò soprattutto dopo la
liberazione di Roma (4 giugno 1944): i tedeschi erano costretti ad una continua ritirata
verso nord, mentre la notizia dell’avanzamento alleato aveva rinvigorito la lotta
partigiana. Nei primi giorni di giugno Gubbio veniva bombardata dall’aviazione
alleata, che cercava di colpire le retrovie dell’esercito tedesco, con conseguenti danni
ingenti soprattutto nel quartiere di San Martino. Di fronte ad una situazione sempre
più precaria, il 10 giugno le autorità fasciste fuggono, del commissario Alfredo
Ottorino Cecchini si perdono le tracce. L’unica autorità a rimanere in carica è il
Vescovo Beniamino Ubaldi. Il 14 giugno si costituisce il Gruppo di Azione Patriottica
(Gap), affidato al comando di Amelio Gambini, con lo scopo di assicurare le funzioni
vitali legate alle necessità cittadine, impadronirsi delle armi e munizioni abbandonate
dai collaborazionisti in fuga e mantenere i contatti con le truppe alleate in modo da
garantire un cambio di governo pacifico5.
Nel frattempo la Brigata San Faustino, fiduciosa nell’imminente arrivo degli alleati,
da Morena si muove in direzione Gubbio giungendo presso la Basilica di S. Ubaldo,
in cima al monte Ingino, il 18 giugno. A questo punto la situazione diventa ancora più
caotica: in città non è rimasta nessuna autorità civile, le informazioni sugli alleati sono
spesso imprecise e non è possibile stabilire la data del loro arrivo, le retrovie tedesche
impegnate nella ritirata sono ancora presenti sul territorio ed esercitano ancora il loro
potere sulla popolazione effettuando furti indiscriminati di generi alimentari e
minacciando violenza contro chiunque venisse scoperto a supportare i partigiani. E’
in tale contesto che la Brigata San Faustino si dichiara pronta a scendere in città per
combattere i tedeschi e liberare definitivamente Gubbio, ma deve fronteggiare il Gap
2 Ibidem, p.51. La Brigata San Faustino era capitanata dall’avvocato Stelio Pierangeli e dal professor Bruno Enei. 3 Ibidem, p.52. Tra gli eugubini anche Amelio Gambini, futuro coordinatore del Gruppo di Azione Patriottica (Gap) locale. 4Ibidem, p.73. L’esercito di occupazione aveva risposto duramente: il 27 marzo 1944 un rastrellamento aveva comportato l’uccisione di 72 civili, molti anche solo per il mero sospetto di aver collaborato con i partigiani. 5 Ibidem, p.127.
7
locale che mantiene invece una linea più morbida e ha intenzione di impedire qualsiasi
atto ostile nei confronti degli occupanti temendo eventuali rappresaglie.
2. La sparatoria presso il Caffè Nafissi
Firminio Berettoni, trentuno anni, Vigile del Fuoco, racconta: «La sera del 20
giugno, verso le ore 17, mi trovavo al lavoro presso la stazione dei Vigili del Fuoco
di Gubbio quando venni a sapere che gruppi di soldati tedeschi armati si stavano
aggirando per le vie della città. Vidi poi gruppi di civili eugubini, tutti uomini, in
marcia da differenti direzioni scortati dai soldati tedeschi verso la Scuola
Elementare6». Eugenio Vispi, quarantacinque anni, Brigadiere dei Vigili del Fuoco,
anch’egli al lavoro osserva «due mitragliatrici posizionate nella piazza principale
[oggi Piazza Quaranta Martiri] sparare in direzione del Municipio diversi colpi di
arma da fuoco». Continua Vispi: «Terminate le scariche, diverse pattuglie tedesche
formate da sette o otto soldati iniziarono a rastrellare tutti gli uomini italiani e
contemporaneamente sparavano raffiche di colpi contro le finestre delle abitazioni7».
Wladimiro Ghigi, venticinque anni, impiegato presso il Comune, ricorda: «Verso le
ore 16 del 20 giugno stavo guardando fuori dalla finestra della mia abitazione quando
vidi Belardi Oberdan e Paoletti Marino, entrambi armati con pistole automatiche,
correre lungo la via. Venivano dalla direzione del Caffè Nafissi. Mentre stavano
correndo davanti casa mia, uno dei due mi urlò di nascondermi poiché essi avevano
appena ucciso un tedesco nel Caffè Nafissi8».
La deposizione del Ghigi permette di capire cosa stava succedendo in quel
concitato pomeriggio del 20 giugno: in seguito ad una sparatoria presso il bar centrale
di Gubbio, i tedeschi avevano risposto mitragliando ripetutamente la residenza
comunale in Piazza della Signoria e avviato un vero e proprio rastrellamento per le
strade della città. La testimonianza di Edoardo Nafissi, cinquantadue anni,
proprietario del Caffè, è incentrata sull’accaduto: «Verso le ore 16 del 20 giugno stavo
lavorando quando due soldati tedeschi, mi sembra fossero ufficiali, entrarono nel mio
6 Dalla testimonianza resa a Special Investigation Branch da Firminio Berettoni, 5 giugno 1945. 7 Dalla testimonianza resa al SIB da Eugenio Vispi, 5 giugno 1945. 8 Dalla testimonianza resa al SIB da Wladimiro Ghigi, 20 giugno 1945.
8
bar. Vennero verso il bancone e indicarono della cioccolata esposta facendomi capire
che avrebbero voluto consumarne una stecca ciascuno. Rimasero appoggiati al
bancone mentre la stavano consumando. Quando ebbero finito, ne vollero più. Mi resi
conto intanto che due giovani civili italiani si trovavano in piedi dietro ai due ufficiali.
Pensavo che stessero aspettando di essere serviti. Non feci molto caso a loro. Non
saprei riconoscerli ora. Mentre mi stavo chinando a prendere le cioccolate richieste,
sentii sei colpi simili a colpi di arma da fuoco e, guardando su, vidi gli ufficiali distesi
a terra e gli altri clienti, circa sei, inclusi i due giovani, correre fuori per la strada.
Pochi secondi dopo uno degli ufficiali, gravemente ferito, si alzò trascinandosi verso
la strada con una pistola nella mano destra, facendo pressione con la mano sinistra sul
petto, vicino al cuore9».
Stando a quanto riportato da Nafissi, i due ufficiali sarebbero stati dunque colpiti
da dietro, non essendosi accorti dei loro aguzzini e non avendo la possibilità di
difendersi. Il Nafissi inoltre sembra non aver assistito alla scena completa, essendo
egli chino dietro al bancone per poter servire la cioccolata e dice chiaramente di non
essere in grado di poter identificare i due autori della sparatoria. Questa è una delle
deposizioni cruciali dell’intero fascicolo, anche perché l’autore, come si vedrà in
seguito, modificherà più volte e radicalmente la sua versione. Nafissi non è l’unico
testimone diretto della vicenda. Il Sergente Bainbridge interrogò anche Giovanni
Caparrucci, ventisei anni, muratore, uno dei clienti del bar al momento
dell’aggressione. Caparrucci conferma che si trattava di due ufficiali tedeschi, ma
ritiene che all’interno del bar siano state presenti nove o dieci persone10. «Vidi mio
cognato stare all’ingresso del bar con altri due italiani chiamati Belardi e Paoletti –
continua Caparrucci – e con un’altra persona del cui nome non sono sicuro. Vedendo
Belardi entrare con in mano una pistola, tutti, me incluso, corremmo fuori per la
strada. Una volta sulla strada sentii diversi colpi e vidi mio cognato rimanere sulla
porta del negozio e sparare. Non potevo vedere a chi stava sparando».
Sono evidenti alcune discrepanze rispetto alla versione del Nafissi: i clienti sono in
maggior numero, gli aguzzini sembrano essere almeno quattro, in questa versione i
9 Dalla testimonianza resa al SIB da Edoardo Nafissi, 6 giugno 1945. 10“I did not pay any attention to them but I believe they were officers. After a few moments I noticed the remainder of the Italian people in the cafè, which numbered about nine or ten […]”. Dalla testimonianza resa al SIB da Giovanni Caparrucci, 20 giugno 1945.
9
clienti escono prima della sparatoria e quindi non assistono a quello che accade.
Oberdan Belardi e Marino Paoletti furono sicuramente tra gli attentatori, anche
secondo quanto aveva dichiarato Wladimiro Ghigi, mentre Caparrucci è sicuro di aver
visto sparare il cognato Gino Ferretti di trentadue anni11. Scorrendo la deposizione si
legge poi che Caparrucci incontrò nuovamente Ferretti nell’agosto 1944: «Avendo
ascoltato ciò che mi disse, mi resi conto che egli sparò a uno dei due ufficiali
ferendolo».
Relativamente a Marino Paoletti, il SIB chiamò a testimoniare la madre Concetta,
la quale afferma che il 20 giugno alle ore 10 il figlio lasciò la sua casa presso
Monteleto in direzione Gubbio per andare a comprare del mais: «Quella fu l’ultima
volta in cui vidi mio figlio vivo. […] Mio figlio non era un Partigiano12». Concetta
Paoletti sembra quindi essere stata all’oscuro dei progetti del figlio e nega la sua
appartenenza al movimento partigiano. Eppure, secondo le ricerche di Giancarlo
Pellegrini, quel giorno il Paoletti avrebbe avuto notizia che a Mocaiana due o tre
soldati tedeschi stavano saccheggiando le abitazioni della popolazione e si presentò
da Amelio Gambini del Gap eugubino con l’intento di richiedere «la formazione di
una squadra con la propria partecipazione per cercare di fronteggiare la situazione,
procedendo, se possibile, al disarmo dei militari germanici13».
Per la famiglia Belardi venne audito Cesare, diciannove anni, falegname, fratello
di Oberdan. Ecco la sua versione: «Alle ore 14 del 20 giugno mio fratello Oberdan
uscì di casa senza dire dove stesse andando. Non so nemmeno se fosse armato o meno
e da quel momento non l’ho più visto. La ragione per cui affermo che mio fratello fu
coinvolto nella sparatoria contro i due ufficiali tedeschi sta nel fatto che molti cittadini
lo videro fuggire via dal Caffè Nafissi dopo la sparatoria. Io non so perché lo abbia
fatto e non so nemmeno se fosse o no un partigiano14». Tuttavia, Oberdan Belardi era
conosciuto in città a causa del suo carattere piuttosto irruento. Giancarlo Pellegrini
scrive che la mattina dello stesso 20 giugno aveva disarmato e derubato senza alcun
apparente motivo due militari tedeschi in prossimità del Teatro Romano. Inoltre,
11 Gino Ferretti risulta iscritto alla Brigata San Faustino, un gruppo partigiano operante a Morena e avvicinatosi a Gubbio nel mese di giugno 1944. Il suo nome risulta nella lista stilata degli aderenti al movimento stilata da Giancarlo Pellegrini in Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, cit.p.86. 12 Dalla testimonianza resa al SIB da Concetta Paoletti, 27 giugno 1945. 13 Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, pp. 144 e 145. 14 Dalla testimonianza resa al SIB da Cesare Belardi, 27 giugno 1945.
10
Amelio Gambini avrebbe tentato, senza successo, di estrometterlo dalla spedizione
contro i militari tedeschi a Mocaiana voluta da Marino Paoletti.
Il rapporto del SIB riguardante l’intera vicenda identifica come tenente Kurt
Staudacher l’ufficiale ucciso e come tenente Pfiel l’ufficiale medico ferito
gravemente. Le cure e l’autopsia vennero effettuate dal Dott. Raoul Fabrini, sessanta
anni, medico dell’ospedale civile, il quale afferma che Pfiel affrontò un periodo di
cura di quindici giorni, mentre Staudacher venne ucciso da un proiettile penetrato
«nella parte posteriore della testa» e poi fuoriuscito «frontalmente sotto l’occhio
sinistro15». La spiegazione di Fabrini è compatibile con la testimonianza di Nafissi,
secondo cui i due ufficiali sarebbero stati colpiti alle spalle.
3. I primi rastrellamenti del 20 giugno
Lo spargimento di sangue avvenuto all’interno del bar comportò pesanti
conseguenze per la cittadina. Oltre ai colpi di arma da fuoco esplosi in direzione del
Municipio e delle abitazioni private, ebbe luogo una repentina quanto violenta
perquisizione delle case e la cattura di alcuni abitanti. Prosegue il rapporto di
Bainbridge: «La sparatoria contro questi due ufficiali sembra aver segnato l’inizio di
un rastrellamento di tutti i civili di sesso maschile avvenuto nella sera del 20 giugno
e nella seguente mattina del 21 giugno; anche il furto di oggetti da varie abitazioni
avvenne con il pretesto della ricerca di armi e munizioni [...]». Ivo Ubaldini,
quarantasei anni, professore milanese di chimica rifugiatosi a Gubbio per cercare di
salvarsi, è tra i primi ad essere catturato mentre stava tentando la fuga dalla sua
abitazione: «Fui fermato da un militare tedesco che fece fuoco con la pistola nella mia
direzione. Poi un sottufficiale venne verso di me e mi colpì con una frusta […]. Fui
portato nei pressi del Bar del Marmorio [oggi Bar San Marco, in Piazza Quaranta
Martiri], vicino l’Hotel S. Marco [il quartier generale delle truppe germaniche], dove
vidi un gruppo di altri civili […]. C’erano circa trenta soldati comandati da un
Tenente16». Stessa sorte per Clodomiro Minelli, trenta anni, catturato assieme ai
fratelli Guerrino e Giuseppe verso le ore 16.30. Alle ore 17 Fedora Mariotti, ventisette
15 Dalla testimonianza resa al SIB dal Dott. Raoul Fabrini, 7 giugno 1945. 16 Dalla testimonianza resa al SIB da Ivo Ubaldini, 12 giugno 1945.
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anni, si trova in visita presso i genitori quando alcuni soldati tedeschi si fermano
davanti alla porta d’ingresso: «Fecero fuoco contro la porta con le loro pistole,
distruggendola. Poi entrarono, presero mio fratello Ubaldo [diciotto anni] e lo
portarono via. Fu l’ultima volta in cui vidi mio fratello vivo17».
I militari tedeschi passano anche per casa Mancinelli Scotti. Di origini nobili, la
famiglia si era trasferita a Gubbio nel luglio 1943 e aveva ospitato Vincenzo Gotti,
cinquantatre anni, avvocato, rifugiato da Bologna con la moglie e quattro figli. In casa
alle ore 17.30 c’è Paola, venti anni, figlia maggiore del Conte Rinaldo: «Udii qualcuno
bussare alla porta d’ingresso e, guardando fuori dalla finestra, vidi diversi soldati
tedeschi in sosta. Uno dei soldati mi urlò che aveva intenzione di perquisire
l’abitazione in cerca di armi. Essendo io in grado di parlare il tedesco, gli risposi che
non vi erano armi in casa. Scesi le scale, egli mi riferì dell’ufficiale ucciso e mi disse
che credeva alla mia risposta18».
La prima fase di rastrellamenti avviata subito dopo i fatti del Caffè Nafissi si
caratterizza per un uso indiscriminato della violenza nei confronti dei cittadini e delle
loro residenze. I tedeschi si mostrano diffidenti, poiché sospettano un supporto segreto
a quelle che definiscono “bande di partigiani”. Così si spiega la continua perquisizione
delle abitazioni in cerca di armi e l’atteggiamento sprezzante nei confronti delle
famiglie. Il comportamento nei confronti di civili e partigiani si era andato inasprendo
nei mesi di maggio – giugno 1944, quando le truppe, in continua ansia a causa
dell’avanzare inarrestabile degli alleati, erano costrette a fronteggiare anche le
guerriglie, i saccheggi e le imboscate di gruppi di partigiani esaltati dall’ormai
prossimo arrivo degli angloamericani.
Lutz Klinkhammer ha studiato a lungo il comportamento delle truppe di
occupazione. Secondo lo studioso, «nella strategia del comando tedesco le azioni
dovevano avere un doppio obiettivo: colpire i partigiani e allo stesso tempo far
comprendere alla popolazione quali conseguenze avrebbe avuto anche per i civili la
presenza dei ribelli. La popolazione doveva considerare causa delle rappresaglie non
gli occupanti, che volevano costringere gli italiani a collaborare, bensì i partigiani, e
17 Dalla testimonianza resa al SIB da Fedora Mariotti, 25 giugno 1945. 18 Dalla testimonianza resa al SIB da Paola Mancinelli Scotti, 8 giugno 1945.
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di conseguenza negare ai ribelli simpatia e aiuto19». La lettura proposta da
Klinkhammer è coerente anche con i fatti di Gubbio: i tedeschi considerano quanto
accaduto un’azione partigiana e ritengono moralmente responsabile la popolazione
civile. Per questo, come si vedrà in seguito, cercano incessantemente informazioni sui
nominativi dei partigiani. Stabilito ciò, bisogna ricordare che anche la semplice
copertura dell’attività partigiana era considerata un reato gravissimo. Tra i Quaranta
Martiri morirono civili, ma anche persone che avevano collaborato o comunque
supportato il mondo antifascista eugubino.
Ma torniamo al racconto. Il rastrellamento prosegue fino al tardo pomeriggio, i
civili catturati vengono portati presso la piazza centrale, la odierna Piazza Quaranta
Martiri, e sorvegliati da alcuni soldati. Là si trova anche Paola Mancinelli Scotti,
avendo accompagnato in piazza i militari che avevano voluto perquisire la sua
residenza. La Mancinelli parla di «un Capitano tedesco e diversi altri soldati
sorveglianti ventidue civili20». Poco dopo giungono il padre della ragazza, Conte
Rinaldo, con il Vescovo Beniamino Ubaldi. All’incontro partecipa anche padre
Gabriele Ardusso, ventotto anni, cappellano militare a Gubbio a partire dal maggio
1944. Al Capitano è richiesto il rilascio dei civili. «Il Capitano rispose che non li
avrebbe giustiziati, ma li avrebbe tenuti come ostaggi e li avrebbe uccisi solo nel caso
di ulteriori attentati nei confronti dei soldati tedeschi21» ricorda padre Ardusso.
I ventidue civili sono menzionati anche nella deposizione del Vescovo. Egli cerca
di placare il Capitano, affermando che coloro i quali avevano sparato nel bar venivano
dalle montagne nei pressi di Gubbio, facendo intendere che la popolazione civile
eugubina non aveva commesso alcun crimine22. In un primo momento comunque la
“pietosa bugia” del Vescovo sembra aver raggiunto il suo scopo: i tedeschi assicurano
di non voler uccidere i civili e i rastrellamenti si fermano. Dopo il colloquio in piazza,
il Vescovo e padre Ardusso decidono di girare per le vie della città raccontando ai
residenti cosa era successo e raccomandando loro di agire con la massima cautela nei
confronti delle forze militari occupanti in modo da evitare qualsiasi altra forma di
violenza. Il pensiero del Vescovo si era rivolto anche agli uomini della Brigata San
19 L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1944), Roma, Donzelli, 1997, p.91. 20 Dalla testimonianza resa al SIB da Paola Mancinelli Scotti, 8 giugno 1945. 21 Dalla testimonianza resa al SIB da padre Gabriele Ardusso, 14 giugno 1945. 22 Dalla testimonianza resa al SIB dal Vescovo Beniamino Ubaldi, 9 giugno 1945.
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Faustino, che stavano scendendo dal Monte Ingino per fare il loro ingresso in città.
Così, nel tardo pomeriggio Ubaldi si reca presso la porta di S. Ubaldo, ai piedi del
Monte Ingino, e incontra alcuni partigiani aggiornandoli sulla situazione e chiedendo
fortemente di non entrare a Gubbio. La sera del 20 giugno la cittadina sembra aver
ritrovato una relativa calma: la discesa completa dei partigiani è stata scongiurata e
non si registrano altri episodi violenti. Tuttavia la situazione è destinata a precipitare
nuovamente.
4. Il cambio di Comandante e i nuovi rastrellamenti
La mattina del 21 giugno alle ore 7 un soldato tedesco irrompe in casa Mancinelli
Scotti parlando con la giovane Paola: «Mi disse che era venuto per requisire una stanza
e sei letti. Gli risposi che non era possibile perché già altre tre famiglie stavano
soggiornando qui. Allora si arrabbiò molto e mi ordinò di preparare la stanza e i letti
entro la sera stessa». Una volta andatosene il soldato, il padre informa Paola che nel
frattempo alcuni tedeschi erano entrati in un negozio rubando orologi e tutto ciò che
vi era custodito. Durante la notte, l’atteggiamento dei tedeschi era nuovamente
cambiato e i rastrellamenti erano ripresi. Per capire la ragione di questo inaspettato
mutamento, è necessario leggere la deposizione di padre Ardusso: «Verso le ore 9 del
21 giugno venni a sapere che i tedeschi stavano facendo più ostaggi e tornai all’Hotel
S. Marco dove trovai un interprete. Gli chiesi come mai stavano prendendo più ostaggi
e lui mi rispose che durante la notte era giunto un nuovo Comandante che aveva
ordinato un nuovo rastrellamento».
Il cambio di Comandante avvenuto nella notte tra il 20 ed il 21 giugno aveva
dunque inasprito l’atteggiamento dei soldati nei confronti della popolazione. Alle ore
8.30 Vincenzo Gotti, il rifugiato bolognese ospitato dai Mancinelli Scotti, viene
catturato mentre stava passeggiando per la città e condotto presso la Scuola
Elementare nelle vicinanze dell’Hotel S. Marco, dove conta altri «venti o trenta
civili23». Stesso destino tocca anche al Vigile del Fuoco Eugenio Vispi: «Alle ore 9
del 21 giugno ero per strada quando venni fermato da una pattuglia tedesca e condotto
23 Dalla testimonianza resa al SIB da Vincenzo Gotti, 24 giugno 1945.
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presso la scuola. Durante il percorso in direzione della scuola, la pattuglia entrava in
ciascuna abitazione e catturava tutti i civili presenti e arrivati alla scuola c’erano trenta
civili prigionieri24».
Racconta Assunta Rogari: «Verso le ore 9 vidi arrivare tre tedeschi. Mio marito
[Nazzareno Rogari, cinquanta anni, contadino] stava parlando davanti casa con alcuni
altri soldati grazie ad un interprete. Stavano parlando della guerra. Dalla finestra della
cucina vidi mio marito venir portato via da questi tre soldati in direzione della
stazione. Quando mi accorsi che i suoi documenti si trovavano nella giacca che aveva
lasciato in casa, li presi e li portai da uno dei soldati e gli chiesi dove andassero. Ma
lui mi mandò via25». La mattina del 21 giugno Fosco Romanelli, ventitre anni, docente
di educazione fisica, si trova in casa con la sua famiglia: «Verso le ore 9 […] tre
tedeschi armati arrivarono. Perquisirono ciascuna stanza e quando entrarono nella mia
mi trovarono a letto. Mi chiesero come mai fossi ancora a letto. Gli spiegai che non
mi sentivo bene. Allora uscirono dalla mia stanza. Quando videro mio fratello
[Gastone, diciassette anni, studente] gli ordinarono di andare con loro. Mentre stavano
passando davanti alla finestra, mio fratello mi chiese una sigaretta. Quella fu l’ultima
volta in cui lo vidi vivo26».
Quella mattina Attilio Piccotti, quarantuno anni, maniscalco, era uscito per
comprare della farina. La moglie Maria, trentatre anni, stava guardando fuori dalla
finestra di casa: «Vidi molti civili in fondo alla strada. Uscii per capire cosa stessero
guardando e vidi mio marito essere preso in custodia da tre o quattro soldati tedeschi
armati. […] Più tardi venni a sapere che era stato condotto presso la Scuola
Elementare. A mezzogiorno mi recai alla scuola per portargli qualcosa da mangiare.
Mi fu negato. Così tornai a casa senza vederlo27». Anche Giacomo Sollevanti,
diciassette anni, studente, viene catturato mentre era in cerca del padre che non era
più stato visto dalla sera precedente. Viene prima portato all’Hotel S. Marco, poi viene
fatto salire su un piccolo camion in direzione del cimitero. La sorella Carmela,
diciassette anni, lo vede: «Mentre stava passando davanti casa gli chiesi dove stesse
andando. Mi rispose che erano diretti al cimitero. Circa due ore dopo fu condotto alla
24 Dalla testimonianza resa al SIB da Eugenio Vispi, 5 giugno 1945. 25 Dalla testimonianza resa al SIB da Assunta Rogari, 13 giugno 1945. 26 Dalla testimonianza resa al SIB da Fosco Romanelli, 26 giugno 1945. 27 Dalla testimonianza resa al SIB da Maria Piccotti, 25 giugno 1945.
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scuola elementare. Quella fu l’ultima volta in cui vidi mio fratello vivo28». Emma
Bartolini, cinquanta anni, descrive la cattura del marito Sante, cinquantacinque anni,
operaio: «Ero in casa con mio marito quando tre soldati tedeschi armati giunsero. Uno
irruppe in casa. Ordinò a mio marito di scendere in strada, dove io vidi molti altri
soldati. Rimase per strada per circa un’ora e mezzo, mentre altri dieci uomini venivano
portati da lui. Da lì tutti furono scortati in direzione della scuola di Gubbio. Fu l’ultima
volta in cui vidi mio marito vivo29».
Dalle precedenti deposizioni si evince dunque che a partire dall’alba del 21 giugno
i rastrellamenti erano ripresi secondo lo stesso modus operandi del giorno precedente:
furti negli esercizi commerciali, irruzioni, perquisizioni in cerca di armi o documenti
compromettenti. Venivano presi gli individui di sesso maschile, senza distinzione
d’età, purchè in buono stato di salute. Infatti, risultano tra gli ostaggi due studenti non
ancora maggiorenni, mentre Fosco Romanelli, malato, è risparmiato. La cattura di
civili prosegue per tutta la giornata. La testimonianza più drammatica in proposito è
senza dubbio quella di Abbeda Roselli, ventidue anni, moglie di Luciano Roselli,
ventitre anni, falegname: «Verso le ore 18 mio marito partì per andarsi a nascondere
nelle montagne nei pressi di Gubbio. Circa un’ora e mezza più tardi tornò scortato da
tre militari tedeschi armati. Due di loro salirono in casa in cerca di armi mentre l’altro
rimase fuori con lui. Una volta perquisite tutte le stanze, i due scesero e mio marito
chiese loro il permesso di darmi un bacio d’addio. Il permesso gli fu dato. Mi disse
che stava per accadere qualcosa e mi disse di rimanere forte e di non piangere. Poi
uscì di casa con i soldati. Fu l’ultima volta in cui lo vidi vivo30».
La notizia del nuovo rastrellamento si sparge velocemente in città. Padre Ardusso,
accompagnato dal Vescovo, si reca all’Hotel S. Marco: «Vidi un Capitano. Non era
lo stesso uomo che avevo incontrato la sera precedente. Il Vescovo gli parlò degli
ostaggi e gli chiese di poter andare a visitarli per portare loro conforto, ma l’ufficiale
non gli concedette il permesso». In seguito al rifiuto, segno di un comportamento ben
diverso del nuovo Capitano, padre Ardusso si dirige all’Ospedale di Gubbio. Qui si
accorge della presenza di Pfiel, l’ufficiale ferito gravemente al bar Nafissi: «Vidi
28 Dalla testimonianza resa al SIB da Carmela Sollevanti, 26 giugno 1945. 29 Dalla testimonianza resa al SIB da Emma Bartolini, 25 giugno 1945. 30 Dalla testimonianza resa al SIB da Abbeda Roselli, 23 giugno 1945.
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l’ufficiale tedesco che era stato ferito parlare con un altro ufficiale. Mentre parlavano,
lo sentii dire Vendicami!». Un triste presagio per la città.
Nel frattempo, il Conte Rinaldo Mancinelli Scotti viene a sapere della cattura di
Vincenzo Gotti. La figlia Paola, chiedendo informazioni ad un militare, si sente
rispondere: «La conduco dal Capitano Boukmakowsky qua in città, nella scuola». Poco
più avanti nella deposizione della Mancinelli si legge: «Quando giungemmo alla
scuola, mi accorsi di un grande cartello con la scritta Boukmakowsky e di un secondo
cartello con la scritta Bourquin». Per la prima volta vengono fatti i nomi di alcuni
tedeschi. Le testimonianze precedenti non avevano fino ad allora offerto elementi
sufficienti ad un’identificazione.
Il rapporto SIB, ad opera del Sergente Bainbridge, tentò di ricostruire anche gli
identikit degli ufficiali coinvolti nella vicenda per poterli identificare e farli processare
dalla United Nation War Crimes Commission. Così si spiegano, al termine del
fascicolo 2027, i modelli “War Criminals”: un’attenta lettura di tutte le deposizioni
permise alla polizia militare inglese di creare delle schede con, ove possibile, il nome
dei sospettati, età, divisione militare di appartenenza, e il ruolo avuto nella vicenda.
Relativamente alla scritta Bourquin il rapporto SIB afferma: «Nonostante ogni sforzo
da parte mia, del Serg. Wren e del Serg. Cartwright non è stata trovata alcuna traccia
né del luogo di servizio di quest’ufficiale né è possibile sapere con certezza se fu mai
visto nella cittadina. Paola Mancinelli Scotti è l’unica persona che può riferire la
descrizione di quel tabellone e il nome ivi riportato31». Nessun’altra testimonianza
cita mai un tedesco di nome Bourquin: il modello “War Criminals” del rapporto SIB
lo definisce vagamente come “suspected of being concerned in the Death of Forty
Persons at 0600 hours on Thursday, 22nd June 1944, at Gubbio”.
La deposizione della Mancinelli fornisce anche altri particolari: «Quando arrivai
alla scuola vidi un gran numero di italiani controllati dai soldati tedeschi, dentro
l’edificio. Fummo introdotti in una stanza in cui vidi il Capitano Boukmakoski32 e in
31 Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troops at Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17. 32 All’interno della stessa testimonianza, quella di Paola Mancinelli Scotti, il nome del Capitano viene ripetutamente dattiloscritto in modi diversi. Tale evidenza, presente anche in molte altre deposizioni, è segno della difficile identificazione dei tedeschi coinvolti nella vicenda dovuta alla difficoltà nell’intendere la lingua ma anche alla scarsità di indizi forniti dagli stessi testimoni.
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seguito io gli parlai di Vincenzo Gotti. Mi assicurò che lo avrebbe rilasciato. Gotti fu
portato nella stanza e Boukmakoski disse che avrebbe nominato mio padre Sindaco e
Gotti Vicesindaco di Gubbio». E dunque, grazie all’interessamento dei Mancinelli, il
Gotti viene rilasciato e nominato Vicesindaco.
La decisione del Capitano è probabilmente dovuta alla necessità di avere
un’autorità civile cittadina con cui confrontarsi. Quando il 10 giugno le autorità
fasciste avevano abbandonato il potere, temendo un imminente arrivo
angloamericano, il commissario Alfredo Ottorino Cecchini era fuggito lasciando
come unica autorità in città il Vescovo Ubaldi. Così Gotti in prima persona racconta
l’accaduto: «Verso le ore 9.30, eravamo circa in cinquanta, fummo portati in un garage
nelle vicinanze della scuola. Qui fummo contati da un ufficiale e poi fummo portati
alla scuola. Il nome dell’ufficiale è Bukmakowsky, ma non sono sicuro di come si
scriva33. Giunti a scuola, fummo messi in una stanza vuota nel piano seminterrato e
per tutto il periodo in cui io rimasi lì, circa due ore, altri uomini italiani furono portati
giù finchè non fummo circa in centocinquanta. Verso le 11.30 un soldato chiamò il
mio nome e fui condotto al piano superiore. Vidi il Conte Mancinelli e la figlia Paola
con il Capitano Bukmakowsky. Il Capitano mi chiese quale fosse la mia professione,
dicendomi che sapeva che fossi un rifugiato. […] Mi nominò Vicesindaco. […] I miei
compiti erano assistere il Sindaco nella distribuzione del cibo e garantire il generale
benessere delle persone».
Padre Ardusso afferma con sicurezza che la mattina del 21 giugno parlò con un
Capitano diverso da quello del giorno precedente: questa versione concorda con il
cartello osservato da Paola Mancinelli Scotti, mentre il Gotti cita espressamente il
nome del nuovo tedesco. Pertanto è possibile affermare che il cambio di comandante
avvenuto tra il 20 e il 21 giugno riguarda proprio il Capitano Bukmakowsky, sicchè
deve essere imputata a lui la ripresa dei rastrellamenti ed il divieto di visita agli ostaggi
imposto al Vescovo Ubaldi, nonché le nomine delle cariche di Sindaco e Vicesindaco.
Ciò trova conferma in un passo del rapporto SIB: «E’accertato che un ufficiale
33 Ancora, il nominativo del Capitano viene dattiloscritto diversamente. Questa volta è lo stesso Gotti ad ammettere la difficoltà nell’identificazione.
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tedesco, si pensa un capitano, fu incaricato del rastrellamento del 20 giugno, ma si
ritiene che abbia lasciato Gubbio quella sera stessa in quanto non fu più visto34.
Anche gli ostaggi presi durante la mattina del 21 giugno furono portati nel garage
e messi insieme agli altri. Quella stessa mattina, più tardi, il cap. Brukmakosky35 entrò
nel garage e dopo aver contato gli ostaggi, che al momento ammontavano a circa
centosessanta uomini, li fece tutti trasferire nelle scuole elementari di Gubbio, site
circa cento metri dal garage». In tarda mattinata il Vescovo Ubaldi e il Sindaco
Rinaldo Mancinelli Scotti decidono di recarsi al quartier generale delle truppe
tedesche per cercare di fermare il rastrellamento. Con loro Giuseppe de Langer,
interprete, che al Sergente Bainbridge racconta: «Vidi un ufficiale tedesco. Lo
descrivo con il nome Bukmakosky36, ma non sono sicuro di come si scriva […]. Il
Conte Mancinelli gli parlò, io facevo da interprete. Ci chiese i nomi degli uomini che
avevano sparato ai due ufficiali tedeschi. Poi ci chiese dove si nascondessero gli
antifascisti eugubini. Risposi che non lo sapevo. Poi ci chiese dove si trovassero i
fascisti e io affermai che essi avevano lasciato Gubbio per timore dei Partigiani.
Bukmakosky sembrò decisamente deluso37».
De Langer conferma la presenza di un certo Capitano Bukmakosky nella giornata
del 21 giugno, proprio come si legge nelle deposizioni precedenti. Il Capitano è
impegnato a cercare le autorità civili cittadine. Poco prima aveva nominato un nuovo
Sindaco e un nuovo Vicesindaco, ma la sua attenzione è rivolta a quelle che considera
le autorità legittime, le autorità collaborazioniste. Non a caso, egli mostra tutto il suo
disappunto non appena apprende della fuga del commissario Alfredo Ottorino
Cecchini. Bukmakosky si informa anche sugli antifascisti eugubini, segno che la
tensione con i partigiani era alta. Ma il punto che suscita più perplessità è la richiesta
dei nomi di coloro che avevano partecipato alla sparatoria presso il Caffè Nafissi. Tale
richiesta potrebbe intendere la volontà del comando tedesco di punire solamente i
responsabili dell’accaduto? Non ci sono prove per sostenere questa tesi, anche perché
solo Giuseppe de Langer testimonia di aver ricevuto dal Capitano la domanda.
34 Non è possibile conoscere il nome del Capitano che risiedeva a Gubbio il 20 giugno: le deposizioni sono molto vaghe in proposito e non citano alcun nome. 35 Il nome del Capitano viene dattiloscritto in una ulteriore nuova forma. 36 De Langer riporta una notazione ancora differente del nome del Capitano. 37 Dalla testimonianza resa al SIB da Giuseppe de Langer, 5 luglio 1945.
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Anche la deposizione di Paola Mancinelli Scotti contiene alcuni particolari
importanti: «Mi ricordo che durante la mattina del 21 giugno un soldato delle truppe
tedesche che mi rivelò essere cecoslovacco mi confidò che gli ostaggi sarebbero stati
fucilati. Diceva che conosceva molto bene i tedeschi. Raccontò anche che veniva da
Praga e che si chiamava Oskar Kohler. Era un Caporale […]. So che era un soldato
appartenente alla stessa unità di Brukmakosky […]». Il rapporto SIB identifica il
personaggio descritto dalla Mancinelli come il Caporale Oscar Kohler38 del 721°
Reggimento Granatieri, ma non fornisce nessun’altra informazione. Nei modelli “War
Criminals” il suo nominativo non figura probabilmente perché non ebbe un ruolo
decisivo nell’intera vicenda. L’unica prova della sua presenza a Gubbio è fornita
proprio da tale deposizione. Il rastrellamento si protrasse per tutta la giornata. Nel
pomeriggio gli ostaggi trattenuti presso il piano seminterrato della scuola elementare
vennero interrogati. Di lì a poco, il desiderio di vendetta dell’ufficiale Pfiel udito da
padre Gabriele Ardusso e il pensiero di Kohler riferito a Paola Mancinelli Scotti
sarebbero diventati una triste realtà.
38 Il nome di Kohler viene dattiloscritto diversamente nella testimonianza di Paola Mancinelli Scotti e nel rapporto SIB.
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Capitolo secondo
Gli interrogatori e la fucilazione
1. Gli interrogatori degli ostaggi nel pomeriggio del 21 giugno
Per tutto il pomeriggio del 21 giugno i civili tenuti in ostaggio presso la Scuola
Elementare vengono sottoposti ad un interrogatorio con l’ausilio di un interprete1. In
seguito alcuni sono rilasciati. Il Vigile del Fuoco Eugenio Vispi, catturato durante la
mattinata, ricorda bene la scena: «Mi trovavo in una stanza assieme ad altri
centocinquanta uomini radunati tra il 20 e il 21 giugno. Ogni uomo, a turno, doveva
dirigersi in una seconda stanza per essere interrogato e quando fu il mio turno venni
interrogato da un ufficiale e un sergente maggiore con due soldati tedeschi come
interpreti […]. L’ufficiale mi chiese dove si trovassero i partigiani, dove vivessi io,
come fosse avvenuta la mia cattura. Gli risposi che non conoscevo alcun partigiano,
gli descrissi la mia occupazione e affermai che ero al lavoro mentre fui catturato per
strada. Dissi anche che ero in carica presso i Vigili del Fuoco e per questo chiesi di
essere rilasciato […]. Alle 17 fui rilasciato, ma solo per ventiquattro ore. Alla
scadenza del tempo concesso avrei dovuto lavorare sotto gli ordini dei tedeschi2».
Gli interrogatori si svolgevano secondo un ordine preciso. Ai civili venivano
chieste informazioni circa il lavoro, la famiglia, la fede politica, il luogo di residenza,
la modalità di cattura durante il rastrellamento. Venivano poi interrogati sul loro
rapporto con i partigiani e si chiedeva loro di indicare il luogo in cui si nascondevano.
Veniva rilasciato colui che si riteneva avrebbe potuto svolgere un lavoro utile per le
truppe e veniva subito arruolato. A Eugenio Vispi fu chiesto di trovare un marmista
1 Il rapporto SIB firmato dal Sergente Bainbridge sostiene: «Alle 16,00 vennero tutti interrogati separatamente da un ufficiale tedesco che si servì di due soldati come interpreti. L’interrogatorio fu condotto in una stanza isolata della scuola e al termine di questo gli uomini vennero rinchiusi in una terza stanza diversa da quelle dove erano stati rinchiusi in precedenza». 2 Dalla testimonianza resa al SIB da Eugenio Vispi, 5 giugno 1945.
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per realizzare la lapide dell’ufficiale assassinato il pomeriggio precedente al Caffè
Nafissi. Tra i centocinquanta ostaggi c’è anche Clodomiro Minelli assieme ai fratelli
Guerrino e Giuseppe: «Verso le ore 16 fui interrogato da due ufficiali tedeschi e un
soldato interprete, il quale mi chiese cosa sapessi dell’uccisione di un ufficiale
avvenuta il giorno precedente. Conclusosi l’interrogatorio mi condussero in una
stanza adiacente dove trovai altri trenta prigionieri circa3». Tra le domande rivolte agli
uomini, gli ufficiali richiedono informazioni circa la sparatoria del Caffè Nafissi.
L’obiettivo è quello di capire il rapporto tra ciascun interrogato e gli aguzzini. Ivo
Ubaldini era stato catturato il pomeriggio precedente: «Iniziarono ad interrogarci. Io
ero il primo […]. Mi furono rivolte diverse domande riguardanti età, occupazione, la
mia appartenenza o meno al partito fascista. Mi venne chiesto anche se sapessi chi
aveva sparato ai due ufficiali tedeschi […]. Alla fine mi portarono in un’altra stanza.
Chi terminava veniva condotto lì […]. Verso le ore 16 fui chiamato da un soldato […].
Quando lasciai la stanza c’erano circa trenta persone dentro, tra i quali ricordo
Sollevanti Giacomo e Profili Guido4 che conoscevo di vista. Quando entrai
nell’ufficio riconobbi l’ufficiale che mi aveva interrogato. Mi comunicò che sarei
stato rilasciato qualche ora prima di altri a causa dell’interessamento di una donna
[…]. Mi diede un foglio di carta che serviva come pass per poter tornare a casa […].
Il pass fu firmato dall’ufficiale in mia presenza, la firma era Brunakosky o
Brunakoscky […]. Lasciai la scuola e tornai a casa5».
Ivo Ubaldini conferma le precedenti deposizioni che, seppur con notazioni diverse,
indicavano la presenza a Gubbio del Capitano tedesco. Secondo quanto dichiarato,
egli condusse anche gli interrogatori all’interno della Scuola Elementare. La donna
che si adoperò per far rilasciare Ubaldini fu la moglie Luisa. Ci riuscì in maniera
piuttosto inusuale. Nella mattinata un militare si era recato presso la sua abitazione
per cercare il commissario Alfredo Ottorino Cecchini, che risiedeva non lontano. I
tedeschi, dunque, stavano cercando in ogni modo di trovare il commissario. La signora
Ubaldini accettò di accompagnare il soldato presso casa Cecchini. La ricerca si rivelò
3 Dalla testimonianza resa al SIB da Clodomiro Minelli, 14 giugno 1945. 4 I due uomini menzionati nella deposizione trovarono la morte l’alba del 22 giugno. Si tratta di Giacomo Sollevanti, diciassette anni, studente, nucleo familiare composto da otto persone e di Guido Profili, cinquantaquattro anni, celibe, invalido. Per i dati anagrafici si veda Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.460. 5 Dalla testimonianza resa al SIB da Ivo Ubaldini, 12 giugno 1945.
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vana, ma in cambio il tedesco comunicò a chi dovesse rivolgersi la Ubaldini per
liberare il marito: Oberst Berger. «Mi disse di non confidare a nessuno chi mi avesse
dato questo nome6» rammenta Luisa Ubaldini. L’esame della testimonianza ha
permesso agli uomini della Special Investigation Branch di identificare il Colonnello
Berger come comandante del 721 Jager Regiment. Il modello “War Criminals”
stilato dal Sergente Bainbridge lo descrive come “being concerned in the murder of
40 persons at 0600 hours on Thursday, 22nd June 19447”. Non è reperibile
nessun’altra informazione.
2. Il controverso arresto di Zelinda e Miranda Ghigi
Mentre si procede con gli interrogatori, un evento inaspettato stupisce gli ostaggi.
Clodomiro Minelli vede due donne di nome Ghigi essere condotte nella stanza al
seminterrato della scuola assieme agli altri uomini8. Si tratta di Zelinda, sessantuno
anni, massaia, vedova, cinque figli di ventitre, venticinque, trenta, trentatre e
trentaquattro anni. L’altra giovane è Miranda, una delle figlie di Zelinda, di trenta
anni9. Il motivo della loro cattura e, più tardi, della loro fucilazione è ancora oggi
ampiamente dibattuto. Il rapport SIB afferma: «Nonostante le esaustive indagini non
è stato possibile accertare la ragione per la quale le due donne Ghigi furono prese
come ostaggi il 21 giugno e più tardi uccise10». Eppure sembra esserci una
motivazione di natura politica. Tra i fratelli di Melinda vi sono Wladimiro di
venticinque anni, Giordano di trentatre anni ed Enrico di trentaquattro anni. I tre
fratelli risultano attivi nel mondo antifascista dell’eugubino e delle zone rurali
circostanti. Essi tentano la costituzione di un primo Gap già nell’autunno 1943,
intrattenendo rapporti con gli altri gruppi di resistenza rifugiatisi tra le montagne11. La
6 Dalla testimonianza resa al SIB da Luisa Ubaldini, 7 giugno 1945. 7Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troops at Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17. 8 Dalla testimonianza resa al SIB da Clodomiro Minelli, 14 giugno 1945: «About 1700 hrs., two women named Ghigi were brought into the room». 9 Entrambe le donne perderanno la vita nella fucilazione del 22 giugno. Per i dati anagrafici si veda Brunelli, Pellegrini, “Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944”, p.459. 10 Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troops at Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17. 11 «Con Wladimiro e l’altro fratello Giordano iniziammo subito dopo l’8 settembre ’43 il primo Gap in Gubbio, composto da ex ufficiali del disciolto esercito e da un capitano organizzatore. Cercammo di avere collegamenti
24
loro attività prosegue anche nel successivo Gap eugubino al comando di Amelio
Gambini, mentre le due donne «portavano i viveri ai partigiani, facevano
sottoscrizioni per il movimento, davano ospitalità ai rifugiati politici, tenevano i
collegamenti, passavano le informazioni12». L’intera famiglia Ghigi, comprese
Zelinda e Miranda, cooperava con i partigiani della zona. Nella dichiarazione resa al
SIB Giordano Ghigi ammette la propria partecipazione alla resistenza13, ma la
deposizione non corrisponde a verità nel punto in cui egli afferma: «Mia madre e mia
sorella non collaborarono in alcun modo con i partigiani14».
Al momento del rastrellamento, durante il pomeriggio del 21 giugno, solo le due
donne erano in casa. Wladimiro Ghigi, infatti, era fuggito in direzione delle
montagne15, così come i fratelli Enrico e Giordano16. Madre e figlia, dunque, vennero
prima catturate e poi fucilate l’alba del giorno seguente con altri trentotto uomini,
pagando con la vita l’attività partigiana svolta dalla loro famiglia. L’accanimento dei
soldati nei confronti di due donne può essere spiegato con la volontà di inferire un
duro colpo e al contempo inviare un messaggio minatorio agli altri partigiani eugubini.
Alla base dell’arresto vi fu probabilmente una delazione. Poco tempo prima
dell’arresto delle due donne, Wladimiro Ghigi afferma: «Alle ore 15 [del 21 giugno]
mi trovavo davanti alla finestra quando vidi due soldati tedeschi sostare all’angolo
della strada. Pochi minuti più tardi Rossi Ladislao, residente in Gubbio, li raggiunse
sulla strada camminando con la testa china e quando passarono davanti alla porta
d’ingresso della mia abitazione egli fece un cenno che mi diede l’impressione che
stesse annotando mentalmente il mio numero civico17». Il fratello Giordano sembra
con le bande patriottiche di Monte Cucco e Catria attraverso i comandi partigiani di Sassoferrato […]. Sciolto il Gap locale perché scoperto […], parecchi giovani si organizzarono sui monti specialmente nella zona del Burano». E. Ghigi, A mia madre e a mia sorella fucilate dai tedeschi. 22 giugno 1944, Gubbio, Soc. Tipografica Oderisi, 1945. Citato in Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.49. 12 Da una testimonianza di Enrico Ghigi riportata in Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.52. 13 «Il motivo per cui ero così spaventato dai tedeschi è il fatto che io supportai i partigiani in numerose occasioni […]». Dalla testimonianza resa al SIB da Giordano Ghigi, 20 giugno 1945. 14 Lo smentisce lo stesso fratello Enrico nella testimonianza resa a Giancarlo Pellegrini e citata nel libro Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.52. 15 «[Verso le 16.30 del 21 giugno] vidi due soldati tedeschi avvicinarsi a casa mia. Quando bussarono alla porta mi spaventai. Lasciai immediatamente la casa tramite l’uscita posteriore e mi nascosi in una vecchia chiesa sconsacrata nelle vicinanze. Ci rimasi fino alle 20.30, poi mi rifugiai presso un vicino di casa. A mezzanotte fuggii verso le montagne». Dalla testimonianza resa al SIB da Wladimiro Ghigi, 20 giugno 1945. 16 «Durante il mese di giugno 1944 non ho mai dormito a casa poiché temevo i tedeschi […]. Verso le ore 17 del 21 giugno venni a sapere che mia madre e mia sorella erano state prese come ostaggi. Allora andai a nascondermi nelle campagne perché sapevo che i tedeschi mi avrebbero preso se mi avessero visto». Dalla testimonianza resa al SIB da Giordano Ghigi, 20 giugno 1945. 17 Dalla testimonianza resa al SIB da Wladimiro Ghigi, 20 giugno 1945.
25
confermare questa versione quando dichiara agli agenti del SIB di aver aiutato più
volte i partigiani e di ritenere che i tedeschi fossero informati di ciò18. Ladislao Rossi,
detto Lallo, era conosciuto a Gubbio per le sue simpatie fasciste e per aver supportato
le autorità collaborazioniste del posto. Molti cittadini lo accusavano di diverse
delazioni. Il 17 novembre 1945 il Rossi venne arrestato dai carabinieri di Gualdo
Tadino con l’accusa di aver commesso un omicidio e quando fu trasferito
momentaneamente a Gubbio, in attesa di essere condotto al carcere di Perugia, rischiò
di essere linciato da circa cento cittadini che lo accusavano di essere corresponsabile
dell’eccidio dei Quaranta Martiri19. L’episodio dimostra che anche a Gubbio, come in
molte altre stragi avvenute sul territorio italiano, le truppe tedesche agivano con il
supporto delle autorità fasciste o di chi vi era rimasto fedele nonostante la loro fuga
dovuta all’arrivo imminente delle forze angloamericane.
3. La selezione degli ostaggi: verso la fucilazione
Gli interrogatori degli ostaggi proseguono fino al tardo pomeriggio. In seguito, alle
ore 18 Vincenzo Gotti e il Conte Rinaldo Mancinelli Scotti tornano all’Hotel S.
Marco, quartier generale delle truppe tedesche a Gubbio. Questo era stato richiesto
loro dal Capitano Bukmakowsky quando poco prima, durante la mattinata, li aveva
nominati rispettivamente Vicesindaco e Sindaco20. Gotti rammenta: «Alle ore 18 il
Conte ed io ci recammo all’Hotel S. Marco, dove lo stesso Capitano ci chiese i nomi
dei fascisti e dei comunisti di Gubbio, ma io non fui in grado di dirgli alcun nome21».
Bukmakowsky chiede nuovamente informazioni utili all’identificazione dei
personaggi appartenenti alle due frazioni cittadine contrapposte. Segno di una ricerca
incessante di possibili alleati o nemici e probabilmente dei nominativi di coloro che
avevano sparato a Pfiel e Staudacher. Il tentativo però non ha successo, così come era
18 «[…] I had helped the partisans on many occasions and I believe that they had been informed on this fact». Dalla testimonianza resa al SIB da Giordano Ghigi. 19 Per la vicenda del tentato linciaggio del Rossi si veda Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.254. 20 «Before leaving we were told to go back there at 1800 hours that evening». Dalla testimonianza resa al SIB da Vincenzo Gotti, 24 giugno 1945. 21 Ibidem.
26
fallita nella mattinata la ricerca del commissario Cecchini presso la sua residenza. Gli
ostaggi, nel frattempo, non vengono rilasciati.
La sera stessa si consuma un drammatico rituale. Ne è testimone Clodomiro
Minelli: «Verso le ore 20, un Tenente che non avevo mai visto sino ad ora entrò nella
stanza […]. Con lui, un Maresciallo […]. Ci misero in fila e chiesero se tra noi ci
fossero dei rifugiati. Presero cinque o sei uomini e li rilasciarono, rilasciarono pure
tutti gli uomini che avevano più di sessanta anni. Il Maresciallo, passando lungo la
fila, dava l’impressione di contare con la mano e, arrivato ad un certo punto, si fermò.
Le persone che si trovavano fino a quel punto rimasero nella stanza, incluse le due
donne. Noi altri, me compreso, fummo portati in un’altra stanza. Lì vidi un’altra fila
di uomini allineati tre per volta, tra questi c’era mio fratello Guerrino22. Furono portati
nella stanza precedente dal Maresciallo. Fu l’ultima volta in cui vidi mio fratello
vivo23».
Quella che vede il Minelli è la scena della selezione degli ostaggi, destinati qualche
ora più tardi a incontrare la morte. Terminati gli interrogatori, i centosessanta ostaggi
erano stati disposti in due stanze diverse della Scuola Elementare. Gli anziani e i
rifugiati erano stati rilasciati. Poi, con un semplice conteggio, erano state individuate
le vittime e riunite in una stessa stanza, separate da coloro i quali non erano rientrati
nel conteggio. Tale suddivisione non è casuale: gli uomini non selezionati rimarranno
tutta la notte all’interno della scuola, poi la gran parte verrà impiegata per scavare la
fossa in cui giaceranno i cadaveri straziati dei quaranta fucilati. Tra coloro che
rimangono nella stanza precedente, oltre a Zelinda e Miranda Ghigi, ci sono padri di
famiglia con numerosi figli come Giuseppe Allegrucci (trentaquattro anni, cinque figli
tra i due e gli undici anni), Sante Bartolini (cinquantacinque anni, coniugato, nove
figli), Gustavo Pannacci (trentasei anni, tre figli dai sette ai tredici anni), Antilio
Piccotti (quarantuno anni, quattro figli dagli otto ai quindici anni), Nazzareno Rogari
(cinquanta anni, cinque figli dai tre ai ventidue anni), Francesco Rossi (quarantanove
anni, tre figli dai dodici ai diciassette anni), Enrico Scarabotta (trentasei anni, quattro
22 Guerrino, ventisette anni, imbianchino, coniugato, due figlie di cinque mesi e di due anni, verrà fucilato l’alba del 22 giugno. Per i dati anagrafici: Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.460. 23Dalla testimonianza resa al SIB da Clodomiro Minelli, 14 giugno 1945.
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figli dai sei ai quattordici anni), Luigi Tomarelli (sessantuno anni, quattro figli dai
sedici ai ventidue anni).
Ci sono ragazzi giovanissimi come Francesco Gaggioli di diciassette anni, Ubaldo
Mariotti di diciotto anni, Giacomo Sollevanti di diciassette anni, Giuseppe Testadura
Cacciamani di diciannove anni. Gino Farabi di trentanove anni è un contabile di
Gualdo Tadino inviato a Gubbio qualche giorno prima per lavoro straordinario in una
banca locale. Giovanni Zizolfi di ventitre anni è un vicebrigadiere dei carabinieri nato
a Mirto, in Sicilia24. Gastone Romanelli di diciassette anni è il fratello di Fosco, che
era stato uno dei primi a sollecitare la creazione di un Gap a Gubbio e si occupava
della distribuzione delle armi tra i componenti del Gap eugubino al comando di
Amelio Gambini25. Anche la cattura di Gastone Romanelli sembra dunque tingersi di
motivazioni politiche.
Nel complesso, tra le vittime non figurano né fascisti né famiglie di origine nobile.
Tutti gli ostaggi trascorrono la notte presso la Scuola Elementare. Ancora una volta,
proprio nella notte tra il 21 e il 22 giugno, avviene un ulteriore passaggio di
battaglioni, con cambio di comandante. A testimoniarlo sono i coniugi Ubaldini, i
quali erano tornati nella loro abitazione in seguito al rilascio di Ivo Ubaldini per mezzo
della moglie Luisa. Casa Ubaldini era da tempo occupata dai diversi militari germanici
in cerca di un alloggio. La requisizione delle residenze dei civili rientrava nelle logiche
di occupazione tedesche in tutta Italia, così come il furto dei generi alimentari e delle
provviste di cibo. Ciò era avvenuto anche in casa Mancinelli Scotti, dove alla giovane
Paola era stato ordinato di preparare una stanza con sei letti. Caterina Massarelli
Benveduti, sessantacinque anni, proprietaria terriera, disponeva di un palazzo
signorile. Alla polizia militare inglese la donna raccontò di essere stata costretta ad
ospitare diversi soldati a partire dal 21 giugno: «Verso le ore 15 mi trovavo nella
24 Completano la lista dei fucilati: Carlo Baldelli di trentaquattro anni, Virginio Baldoni di trentotto anni, Enea Battaglini di venti anni, Ferdinando Bedini di ventinove anni, Francesco Bedini (cinquanta anni, coniugato, nucleo familiare di dodici persone), Ubaldo Bellucci di trentaquattro anni, Cesare Cacciamani di cinquantadue anni, Enrico Cacciamani di cinquanta anni, Alberto Felizianetti di ventitre anni, Alessandro Lisarelli di ventitre anni, Raffaele Marcheggiani di cinquantasette anni, Innocenzo Migliarini di quaranta anni, Guerrino Minelli di ventisette anni, Luigi Minelli di quarantadue anni, Franco Moretti di ventuno anni, Luigi Moretti di ventidue anni, Marino Paoletti di trenta anni, Francesco Pierotti di quaranta anni, Guido Profili di cinquantaquattro anni, Raffaele Rampini di quarantatre anni, Roncigli Vittorio di trentotto anni, Luciano Roselli di ventitre anni, Domenico Rossi di quarantuno anni. 25 Brunelli, Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, p.130.
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cantina, cercando di rifugiarmi dai bombardamenti26, quando sentii bussare alla porta.
Non andai subito a vedere chi fosse, avevo paura. Pochi minuti dopo ci fu un terribile
scoppio ed ebbi l’impressione che la porta d’ingresso fosse stata fatta saltare in aria.
Decisi di andare a vedere cosa fosse successo. Mi accorsi che un ufficiale, assieme ad
altri due o tre soldati, erano entrati in casa avendo distrutto l’ingresso. Uno dei due
soldati parlava perfettamente l’italiano e mi disse che erano venuti per requisire
l’abitazione per alcuni ufficiali che sarebbero arrivati presto27».
Alle ore 23 un tedesco si presenta in casa Ubaldini per requisire una stanza,
parlando con Ivo: «Durante la conversazione mi rivelò di chiamarsi Joopt. Penso che
fosse un Capitano (Hauptmann28)». La circostanza è confermata dalla deposizione
della moglie Luisa: «Si presentò come Capitano Joop. Non so come si scriva, non
l’ho mai visto scritto […]. Si recò verso la sua camera ed esclamò che non avrebbe
voluto essere disturbato fino a mezzogiorno del giorno successivo. Verso le ore 3 di
notte ci furono molti rumori nelle vicinanze. Sentii molti soldati correre e conversare.
Udii il Capitano alzarsi. Allora andai alla finestra e lo vidi di fuori mentre stava
parlando con tre o quattro soldati. Diede loro alcuni ordini ed essi corsero via, non
vidi in quale direzione. Poi il Capitano Joop tornò a letto29».
Il Sergente Bainbridge non riuscì a indentificare Joop o Joopt. Il rapporto SIB lo
ritiene “Sconosciuto”30, pur ammettendo la sua presenza a Gubbio tra il 21 e il 22
giugno. I rumori nottetempo uditi dai coniugi e la testimonianza di Luisa Ubaldini
fanno pensare ad un coinvolgimento del Capitano nei tragici eventi che sarebbero
accaduti solo qualche ora più tardi. Egli potrebbe aver impartito ordini a proposito,
potrebbe averne ricevuti dal Capitano precedente, o potrebbe essere semplicemente
stato informato sulla sorte degli ostaggi. Non è dunque chiaro il ruolo di Joop o Joopt
nella vicenda. Risulta invece accertato che il Capitano Boukmakowsky31 lasciò Gubbio
26 Caterina Massarelli Benveduti si riferisce ai bombardamenti alleati che, a partire dai primi di giugno 1944, colpirono la città di Gubbio, causando ingenti danni e disagi soprattutto nel quartiere di San Martino. I bombardamenti avevano lo scopo di raggiungere le truppe germaniche in ritirata. 27 Dalla testimonianza resa al SIB da Caterina Massarelli Benveduti, 20 giugno 1945. 28 “Capitano” in lingua tedesca. Ivo Ubaldini sentì probabilmente pronunciare questa parola durante la conversazione. 29 Dalla testimonianza resa al SIB da Luisa Ubaldini, 7 giugno 1945. 30Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troop sat Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17. Scorrendo il modello “War Criminals” si legge: «Suspected of being concerned in the Death of Forty people at 0600 Hours, on Thursday 22nd June 1944, at Gubbio. Known to have been in Gubbio during the evening of the 21st June 1944, and the morning of 22nd June 1944». 31 Viene riportata la notazione suggerita da Paola Mancinelli Scotti.
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proprio quella sera. Paola Mancinelli Scotti dichiara al SIB: «Boukmakowsky venne
la mattina del 21 giugno e partì la sera stessa. Mi fu poi detto che egli aveva lasciato
ordini riguardanti le quaranta persone fucilate, avendo ricevuto lui stesso ordini da un
grado maggiore e avendoli poi passati ad un nuovo ufficiale […]. Del nuovo ufficiale
non ricordo nulla».
Secondo la Mancinelli Scotti, il Capitano restò a Gubbio solo il 21 giugno. L’ordine
della fucilazione non fu dato né da lui né dal successore: egli si sarebbe limitato a
passare ordini ricevuti dall’alto. La Special Investigation Branch identifica il Capitano
come Captain Boukmakosky, Comandante del 10° Battaglione del 721° Reggimento
di Fanteria Leggera. Nel rapporto SIB si legge: «Sebbene Boukmakosky non fosse a
Gubbio quando fu sparato ai due ufficiali, egli è responsabile per aver ordinato la
cattura di altri ostaggi il 21 giugno […]. Prima che Boukmakosky lasciasse Gubbio si
è pensato che questi ricevesse l’ordine dell’uccisione degli ostaggi e lo trasmettesse
per l’esecuzione al suo successore32».
4. L’alba del 22 giugno 1944
«Alle ore 4 della mattina del 22 giugno fummo prelevati dalla scuola e fatti
marciare fino ad un campo dietro alla stazione ferroviaria, dove ci ordinarono di
scavare una fossa larga e profonda di fronte ad un muro33». A parlare è Clodomiro
Minelli. Lui e il gruppo degli uomini che non erano rientrati nel conteggio della
selezione vengono portati in un campo distante circa cinquecento metri dalla scuola,
nei pressi di quella che una volta era la stazione ferroviaria di Gubbio e che nel periodo
della guerra era impiegata come alloggio dai soldati tedeschi. Il muro menzionato
serviva a separare il campo dalla casa colonica di proprietà della famiglia Vispi. Il
campo si trovava in una posizione isolata: all’epoca la zona non era abitata. Unica
eccezione era di fatto la casa dei Vispi. Mentre il gruppo del Minelli è impegnato nello
scavo, i quaranta ostaggi rimangono nell’edificio scolastico, nella stanza in cui
avevano passato la notte. Terminato il lavoro, verso le ore 5.30 il gruppo viene
32 Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troop sat Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17. 33 Dalla testimonianza resa al SIB da Clodomiro Minelli, 14 giugno 1945.
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scortato nuovamente alla scuola. Proprio a quell’ora Assunta Rogari si trova nel
cortile di casa e vede «circa ventidue italiani in marcia dal campo di fronte la mia
abitazione34 verso la scuola, sotto il controllo di sei o sette soldati tedeschi. Non so di
quali soldati si trattasse né riconobbi alcuno dei civili poiché ero molto spaventata e
non feci molta attenzione alla scena35».
«Circa cinque o dieci minuti più tardi udii un gruppo di persone marciare fuori
dall’altra stanza» prosegue Minelli, che nel frattempo era rientrato assieme agli altri
nell’edificio scolastico. Il giovane aveva sentito gli ultimi passi delle quaranta persone
che in breve tempo avrebbero perso la vita. La signora Rogari frattanto era rimasta
davanti casa: «Più tardi udii nuovamente un gruppo di persone marciare nei pressi di
casa mia. Vidi circa quaranta italiani, incluse due donne che conoscevo di vista,
camminare in colonna sorvegliati da diversi militari. A capo della colonna c’era un
soldato, ma non so di che grado. Tra i primi della colonna riconobbi mio marito36.
Guardò in mia direzione poi distolse velocemente lo sguardo». Assunta Rogari scorge
per l’ultima volta il coniuge. Anche Maria Piccotti riesce a intravedere il marito: «Alle
ore 6.20 stavo guardando fuori dalla finestra quando scorsi un gruppo di civili, erano
circa quaranta, lasciare la scuola in direzione della stazione ferroviaria. Erano scortati
da circa venti soldati armati. Tra i civili riconobbi mio marito37».
Quella mattina la famiglia Vispi si trovava presso la casa colonica di fronte al
campo. Orlanda, venticinque anni, è svegliata dalla madre e corre alla finestra: «Vidi
una fila di uomini in marcia lungo il sentiero che conduceva dalla scuola e il campo,
dove era stata scavata una profonda fossa. Chiudevano la fila due donne. Riuscivo a
distinguere chiaramente le loro grida di disperazione da quelle degli uomini. Quando
giunsero nei pressi della fossa, i soldati tedeschi iniziarono a spingerli dentro. Mi
accorsi che un uomo tentò di fuggire, ma venne ripreso e spinto di nuovo tra gli altri.
Allora mi voltai e decisi di non guardare più cosa sarebbe successo38». La sorella Rita,
ventuno anni, trova il coraggio per continuare a guardare dalla finestra: «Mentre
34 La casa di Nazzareno e Assunta Rogari si trovava nelle vicinanze della Scuola Elementare. Dal cortile era dunque possibile scorgere il campo in cui avvenne l’eccidio. 35 Dalla testimonianza resa al SIB da Assunta Rogari, 13 giugno 1945. 36 Nazzareno Rogari, cinquanta anni, colono, cinque figli dai tre ai ventitre anni. 37Antilio Piccotti, quarantuno anni, fabbro, quattro figli dagli otto ai quindici anni. Dalla testimonianza resa al SIB da Maria Piccotti, 25 giugno 1945. 38 Dalla testimonianza resa al SIB da Orlanda Vispi, 13 giugno 1945.
31
raggiungevano il punto in cui tre soldati tedeschi sostavano in piedi e mentre
guardavano la buca scavata per terra essi urlavano e piangevano. Udii una persona
gridare Siamo tutti innocenti! Rilasciateci e noi cercheremo di trovare il
responsabile!39».
Le suppliche furono ignorate. Le vittime erano state messe in fila davanti alla fossa,
con le spalle rivolte al muro. Assunta Rogari si trovava ancora nel cortile: «Non
riuscivo a vedere chiaramente la scena. Ad un certo punto sentii un uomo gridare Non
spari, Capitano, sono io l’unico responsabile! Uccida me!». La voce potrebbe essere
stata quella di Marino Paoletti, trenta anni, infermiere: tra le quaranta vittime fu
l’unico ad aver sicuramente partecipato alla sparatoria del Caffè Nafissi. Se la
versione fosse confermata, il Paoletti avrebbe compiuto un estremo tentativo di
scongiurare la strage, ammettendo le proprie responsabilità e offrendo la sua stessa
vita. Tuttavia, la signora Rogari è l’unica testimone di questo gesto.
Le sorelle Vispi, che assistettero in prima persona alla drammatica scena,
riferiscono di numerose implorazioni, ma nulla dichiarano relativamente
all’ammissione. «Io ho quattro figli!» una nuova scongiura riportata da Assunta
Rogari. Era ormai troppo tardi. Rita Vispi prosegue: «I soldati piazzarono quattro o
cinque mitragliatrici a circa cinque metri dai civili, puntate in loro direzione. Poco
dopo due colpi vennero sparati da una pistola. Allora anch’io, come mia sorella, mi
spaventai profondamente e decisi di non guardare più oltre. Subito dopo essermi
allontanata dalla finestra, ecco quattro potenti colpi di mitragliatrice. Le persone
continuavano ad urlare». Pur essendo più lontana, la signora Rogari distingue
chiaramente i colpi: «Caddi a terra svenendo. Ricordo che un tedesco mi trascinò
dentro casa. Non ricordo altro, se non che mi stava urlando contro qualcosa».
Numerosi altri colpi vengono esplosi.
Al termine, la giovane Rita torna alla finestra: «Tre soldati stavano camminando
tra i corpi. Quando vedevano che qualcuno non era ancora morto, lo finivano con un
colpo di pistola. Accertatisi che tutti erano morti, gettarono un po' di terra sui loro
corpi con delle pale. Poi se ne andarono lasciando sul luogo sei soldati come guardie».
I militari avevano appena coperto i corpi straziati con la terra. Li avevano lasciati lì
39 Dalla testimonianza resa al SIB da Rita Vispi, 5 giugno 1945.
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senza seppellirli e per diverse ore le guardie impedirono a chiunque di avvicinarsi.
Dopo aver concluso il massacro, alcuni dei soldati si presentano in casa Vispi. Ad
aprire loro la porta è Rita: «Ci chiesero se eravamo spaventati. Risposi di no. Un
soldato esclamò Abbiamo appena ucciso quaranta civili poiché uno dei nostri ufficiali
è stato assassinato l’altro giorno dai partigiani di Gubbio. Presero del cibo e se ne
andarono».
5. Dopo l’eccidio
I ripetuti colpi di arma da fuoco provenienti dal campo adiacente alla stazione
ferroviaria vengono chiaramente percepiti in città. Uno dei primi ad essere informato
della vicenda è padre Gabriele Ardusso, l’unico a cui fu premesso di avvicinarsi al
luogo della fucilazione per dare l’Assoluzione alle vittime. Padre Ardusso fece una
precisa descrizione della scena alla polizia militare inglese40. Tra gli eugubini si
diffondono paura e angoscia. Unico conforto, la presenza del Vescovo: «Il 22 giugno,
verso le ore 6.30, alcune donne vennero alla mia residenza piangendo. Mi riferirono
dell’uccisione di quaranta persone e mi chiesero di andare dal comandante tedesco per
capire cosa fosse successo41». Mons. Ubaldi si reca immediatamente all’Hotel S.
Marco accompagnato dall’interprete Giuseppe de Langer, dove incontra un ufficiale:
«Vidi un nuovo ufficiale, mi riferì che era appena arrivato in città […]. Non ho più
informazioni a riguardo visto che mi intrattenni con lui solo per pochi minuti. Mi disse
che i soldati non avrebbero ucciso altri civili se non sarebbe accaduto nulla nei
confronti dei suoi uomini. Non sembrava saperne più di tanto42».
Il cambio di battaglioni intercorso nella notte aveva portato nuovi ufficiali e
comandanti che non avevano preso parte ai rastrellamenti dei giorni precedenti. Così
è spiegabile l’osservazione di Ubaldi. Osservazione confermata dalla deposizione di
De Langer, il quale ricorda anche la presenza del Conte Rinaldo Mancinelli Scotti:
40«Verso le ore 6.30 del 22 giugno fui informato dalla gente che alcuni ostaggi erano stati fucilati. Mi recai subito alla stazione ferroviaria. Vidi due guardie tedesche sostare in un campo dietro la stazione. Parlai con una di loro. Mi disse che trentotto uomini e due donne erano stati uccisi. La sentinella era armata […]. Mi fu concesso di dare l’Assoluzione alle vittime. Mi avvicinai alla fossa e al muro. C’era un grande mucchio di terra fresca. Tra la terra vidi molte pozze di sangue stagnanti. Erano ancora visibili le pallottole conficcate nel muro». Dalla testimonianza resa al SIB da padre Gabriele Ardusso, 14 giugno 1945. 41 Dalla testimonianza resa al SIB dal Vescovo Beniamino Ubaldi, 9 giugno 1945. 42 Ibidem.
33
«C’era un Capitano di nome Rausch […]. Affermò che aveva ricevuto ordini dall’alto
e si disse molto dispiaciuto43». Dunque sarebbe stato proprio Rausch a dare l’ordine
per la fucilazione, pur avendo a sua volta ricevuto comandi. La versione più plausibile
è che Boukmakosky abbia lasciato la città delegando al successore il compito di
eseguire la fucilazione. Questa ipotesi trova riscontro nel rapporto SIB: «Gli ufficiali
tedeschi ritenuti aver avuto la parte più importante nei fatti avvenuti tra il 20 e il 22
giugno ’44 sono il Capitano Boukmakosky e il Capitano Rausch […]. Il Capitano
Rausch, che prese il posto del Capitano Boukmakosky, informò il Conte Mancinelli
Scotti e il De Langer che aveva ricevuto ordini di eseguire le condanne ma non disse
se era presente al momento della fucilazione degli ostaggi44».
Della presenza o meno di Rausch alla fucilazione non si trovano informazioni nelle
deposizioni dei testimoni. Il Sergente Bainbridge non riuscì a identificare con certezza
il Capitano45. Alcune altre deposizioni testimoniano inoltre la presenza del Tenente
Rittar o Ritter. In particolare, Paola Mancinelli Scotti riferisce di un incontro avuto la
mattina del 22 giugno assieme al padre: «Mio padre mi presentò il Tenente Rittar
all’Hotel S. Marco e mi disse che era il Comandante di Gubbio46». Il Vicesindaco
Vincenzo Gotti pure parla di un certo Ritter come Comandante di Gubbio47 ed ebbe
l’impressione che egli fosse appena arrivato in città. La Special Investigation Branch
lo identifica come Tenente Ritter, appartenente alla Colonna Rifornimenti di
Montagna aggregata alla 114° Divisione di Fanteria Leggera: «Il Tenente Ritter arrivò
a Gubbio la mattina del 22 giugno e rivestì la carica di Comandante tedesco […].
Agiva agli ordini del Capitano Rausch, che arrivò a Gubbio il 21 giugno sostituendo
il Capitano Boukmakosky. Poiché il Tenente Ritter arrivò a Gubbio dopo la morte
degli ostaggi, egli non è ritenuto essere stato direttamente responsabile di questo
fatto48».
43 Dalla testimonianza resa al SIB da Giuseppe De Langer, 5 luglio 1945. 44Dal rapporto SIB, “War Crimes – Atrocities Committed by German troops at Gubbio, Perugia, between the 20th and 23rd June 1944”. Firmato Sergente P.J. Bainbridge e datato 20 luglio 1945. Codice identificativo SIB 78/WC/45/17. 45 Ibidem. Il rapporto afferma: «L’unica traccia di un Capitano Rausch è quella di un capitano con lo stes