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Newl'ink NN. 15-16

Date post: 08-Apr-2016
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NEWL’INK si rivolge a tutti coloro che hanno voglia di approfondire -attraverso la lettura e la visione di ottime immagini - l’Arte, la Letteratura, l'Architettura, il Design, la Musica, il Cinema, il Teatro e lo Sport. L’impostazione fortemente autonoma e coerente con un proprio punto di vista, una veste grafica essenziale e comunicativa, un formato agevole, una distribuzione gratuita e puntuale, un team giornalistico serio e professionale fanno di Newl’ink un piacevole strumento giornalistico.
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NEWL’iNKwww.new-link.it [email protected] - dicembre 2014 free press15 16 DOPPIO

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settembre | dicembre 2014 | DOPPIO

27 | COVER 13

28 | L’ARTISTA E LA SOCIETà.INTERVISTA A GEORGII BILOSHYTSkYIdi Ornella Fazzina

30 | VISIONI NOTTURNE SOSTENIBILI 2014di Michele Romano

31 | ARCHITETTURA IN AUSTRIA.DIALOGO TRA STORIA E CONTEMPORANEITàdi Michele Marchese

33 | L’ARTISTA

16 | BOTTICELLI E LA “fOLLIA” DI DIO:LA NATIVITà MISTICA COMEMORTE DI DIO di Rocco Giudice

20 | L’INSAzIABILE SAORY YOSHIDA di Davide Scandura

22 | IL RICONGIUNTO(CAPITOLO III; FIne)di Giuseppe Bella

24 | “IL SALE DELLA TERRA” fILM SU SEBASTIãO SALGADOdi Antonio Casciaro

25 | IL IBRO

26 | I 3 CD

l’INDICE

02 | CHAGALL A MILANOdi Rossella Digiacomo

05 | GIOVANNI SEGANTINI.RITORNO A MILANOdi Silvio Lacasella

06 | MEMLINGdi Silvio Lacasella

07 | GRIzzANA INCONTRAMORANDIdi Alessandro Finocchiaro

08 | SCATTI DI ARCHITETTURA.A. HüTTE E Y. JUI-CHUNG A VENEzIAdi Domenico Iaracà

11 | LA GIOSTRA SOSPESA NEL “GIOCODELL’INCONTRO” DI CALUSCAdi Andrea Viscuso

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di Rossella Digiacomo

l’ARTE

Milano rende omaggio a Marc Cha-gall con una delle più grandi ret-rospettive degli ultimi cinquan-t’anni. La mostra, fino al 1° febbraioa Palazzo Reale, curata da Claudiazevi con la collaborazione di Me-ret Meyer, è un viaggio completonella lunga produzione del maestroche ha saputo rappresentare in ma-niera sublime la complessità e laprofondità dello spirito russo.Con oltre duecentoventi opere, tracui molti capolavori e altrettantiinediti, la retrospettiva ripercorreuna mappa geografica, artistica e

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IN ALTO < Marc ChagallIl compleanno1915 | olio su cartone The Museum of Modern Art, new YorkAquired through the Lilliee P. Bliss Bequest, 1949© 2014. Digital image, The Museum of Modern Art,New York/Scala, Firenze© Chagall ®, by SIAE 2014

A PAGINA 3 k Marc ChagallL’ebreo in rosso1915 | olio su cartoneState Russian Museum, San Pietroburgo © Chagall ®, by SIAE 2014

spirituale dell’artista, in cui risul-tano evidenti le sue passioni e le sueemozioni, così come le sue amarez-ze. Attraverso le opere di Chagallleggiamo nell’anima di un artistache ha mantenuto costantementeun legame strettissimo con la storiae soprattutto con quel periodo delnovecento così tragico per l’euro-pa, e in particolare per la comunitàebraica. e che, tuttavia, è sempreriuscito a mantenere la capacità ra-ra di credere e sperare nei valoridell’amore e della poesia.Fedele a una tradizione romanticaa cui appartiene d’istinto, Chagallha dipinto un universo popolato da

coppie di innamorati in levitazio-ne, violinisti sui tetti, rabbini daicolori violenti, animali dalle formebizzarre, a volte da ibridi umani.Una modernità assoluta, sospesatra poesia e favola, tra un passatoda comprendere e rielaborare al-l’infinito e l’ambizione smodata acostruire un futuro “magico” capa-ce di incanalare il presente. MarcChagall ha compiuto una ricerca,pittorica e di senso, per quanto sur-reale, ben radicata nel suolo dellatradizione e sempre a partire dallasua terra: da quella Russia del pri-mo novecento che più che essereluogo geografico e storico, era luo-

lEOPERE

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go dello spirito. La mostra è un tra-gitto esistenziale e artistico, un la-birinto di colori e forme: culturaebraica, tradizione russa, lo spiritodelle avanguardie. Sono queste, avoler semplificare, le coordinate ar-tistiche e culturali attraverso cui simuove l’intera opera del pittore rus-

so. Un mago della sintesi, un genioche affida ai colori e alle figure ilcompito di chiarificare il propriomondo.Il percorso espositivo a Palazzo Rea-le segue la vita del pittore in modocronologico. Dalle opere realizzatein Russia prima del 1910 fino ai la-

vori del primo periodo parigino incui si confronta con Henri Laurens,Amedeo Modigliani, Chaim So-utine. Dal ritorno in Russia, fase ri-voluzionaria della sua pittura vis-suta come una dimensione comu-nitaria, all’esilio a Parigi nel 1921quando l’europa viene a poco a po-

co coperta dalle ombre del nazismoe del fascismo. Dal viaggio in Ame-rica al rientro in Francia nel 1944.e dalla fine della guerra, fino allasua morte, nel 1985, periodo in cuiChagall lavora sulle origini ebrai-che.Tutte le sue opere sono l’espressio-

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l’ARTE DOPPIO | settembre | dicembre 2014

MARC CHAGALLUNA RETROSPETTIVA1908 - 1985

PALAzzO REALE17 settembre 2014 | 1 febbraio 2015Piazza Duomo, 12Milano

Mostra a cura diClaudia ZeviMeret Meyer

Catalogo Giunti Editore

Orario lun, mar, merc,ven, dom: 9.30 - 19.30giovedì e sabato: 9.30 - 22.30dom: 9.30 - 21.00

INFO

ne di una vita che ha conosciutol’effervescenza e la depressione, lamiseria e l’amore, l’esilio e il rico-noscimento. Ogni immagine è altempo stesso ritorno al passato eun passo compiuto verso un futuroutopico. Dualità che si unisce nel-l’esaltazione dell’istante costituito

dal quadro nella sua singolare ma-terialità. Ogni tela conserva, trasfi-gurati, un tono di sentimento natodall’istante e un’aspirazione a unaltrove, di volta in volta, malinco-nico, poetico o onirico.“Dipingo come addormentato in so-gno. / Quando la foresta si copre di

neve. / Il mio quadro sembra un al-tro mondo. / Io soltanto, da tanti an-ni! Resto qui.” (Marc Chagall).Sono queste le parole di un artistache ha attraversato quasi un secolodi storia mescolando in uno stessosguardo ironia e malinconia, sognoe irrealtà. Critico ma mai dogma-

DA SINISTRA IN ALTO E IN SENSO ORARIO

j Marc ChagallIl violinista verde, studio per “Il teatro ebraico” | 1917 | matita e acquerello su cartaCollezione Privata© Chagall ®, by SIAE 2014

h Marc ChagallResurrezione in riva al fiume1947 | olio su tela originaleCollezione Privata© Chagall ®, by SIAE 2014

f Marc ChagallLa mucca con l’ombrello1946 | olio su cartone The Metropolitan Museum of Art, new YorkBequest of Richard S. Zeisler, 2007 (2007.247.3)© Chagall ®, by SIAE 2014

tico, Marc Chagall è stato il pittoredell’anima.

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di Silvio LacasellaLa diffusa convinzione che le mostremigliori siano quelle che mirano a ce-lebrare un grande artista nella suacompletezza contiene una parte dinon verità. Capita spesso, infatti, chealcune tra le opere più significative-siano inamovibili, ma anche se cosìnon fosse, è impossibile ritracciarecon fedeltà combaciante un itinera-rio visivo fatto anche di atmosfere, diluoghi e di incontri. Fatta questa considerazione, la mo-stra Ritorno a Milano, dedicata a Gio-vanni Segantini (Palazzo Reale, aper-ta sino al 18 gennaio 2015) va visitatatenendo conto di ciò che essa, a co-minciare dal titolo, indica. Un attodovuto, giunto anzi con sorprenden-te ritardo, per dar modo di focalizza-re del pittore gli esordi. In parte sca-pigliato, in parte realista, in parte simbolista, in parte più consistente divi-sionista e naturalista, Segantini tro-verà, proprio nel capoluogo lombar-do, una serie di suggestioni determi-nanti. Vi rimarrà diciassette anni, dal-l’aprile del 1865 all’autunno del 1881. Un periodo iniziale durissimo, su-perato con la convinzione di poterpassare indenne per ogni altra disav-ventura, con la sola forza di volontà.nel 1858, a pochi mesi dalla nascita,ad Arco, in provincia di Trento, muo-re l’unico suo fratello. nel 1865 muo-re la madre, l’anno successivo il pa-dre. Quest’ultimo, figura poco pre-sente all’interno della famiglia, rie-sce comunque ad affidarlo alla so-rellastra Irene, operaia, residente aMilano. Passano cinque anni e nel1870, il dodicenne Giovanni Segatini(la enne la aggiungerà nel 1879) è ar-restato per vagabondaggio e inter-nato nel riformatorio Marchiondi, dalquale fuggirà l’anno successivo. nuo-vamente rinchiuso, potrà godere del-

la libertà solo nel gennaio 1873, grazieall’intervento dell’altro fratellastro,napoleone, che lo ospiterà a BorgoValsugana. nel ricordare che questofratello gestiva un negozio di mate-riale fotografico, si porta un contri-buto rilevante alla comprensione del-l’artista: la fotografia, infatti, pur sen-za mai suggerire modelli precisi nel-la costruzione del dipinto, influen-zerà in maniera decisiva l’impiantovisivo del pittore. Una realtà spessoosservata in controluce, così da crea-re contrasti e sbalzi luminosi. nel ruo-tare con naturalezza il diaframmadella propria sensibilità, egli avvicinai primi piani, collocando in lontanan-za una serie di riflessi che paiono su-perare la linea dell’orizzonte.Lo si è definito artista apolide, nonsenza ragione. Arco, al momento del-la sua nascita era austriaca. Ma saràil trasferimento a Milano a segnarnela formazione, non solo come allievoa Brera, ma anche per il crocevia di sti-molanti incontri che la città offriva,tra cui quello con i fratelli Grubicy,mercanti d’arte. Furono, infatti, pro-prio loro, dopo averne individuato iltalento, a sostenere economicamen-te l’attività del giovane artista, espo-nendone i quadri e aprendo una seriedi varchi espositivi internazionali,che contribuiranno ad accrescerne lafama: Bruxelles, Amsterdam, Mona-co, Vienna, Dresda. Inoltre, propriograzie a Vittore Grubicy (a sua voltapittore) Segantini entrerà in con-tatto con le opere di artisti che ne in-flenzeranno la ricerca espressiva (pri-mo tra tutti forse Millet). Autenticofaro culturale all’interno della sua ir-regolare e tempestosa formazione,sarà ancora Vittore a spingerlo condecisione sulla via del Divisionismo,intuendo come egli potesse elaborar-ne una caratterizzazione diversa, sol-lecitata dal rapporto diretto con la

natura. Un divisionismo allungato infilamenti cromatici, così da solidifi-care la luce in ruvidi strati. ecco l’ori-gine delle profonde scanalaturepresenti nei quadri della sua stagionematura. nel tentativo di conferire al-l’emozione un’epidermide o, meglio,una resistente corteccia, Segantiniritrae se stesso. Tra Millet e VanGogh, senza l’immersione spiritualedell’uno, né i drammi dell’altro. Invetta, con animo solitario, ma inca-pace di esserlo completamente: unesploratore che racconta dei suoi vi-aggi ad un pubblico stupito. In luinon vi sono le malinconie di Fried-rich, ma lo spirito di un guerriero.Apolide, dunque, senza passaporto(dichiarato renitente alla leva dal go-verno austriaco). Di sicuro italiano,per gli anni milanesi e per il succes-sivo periodo in Brianza; non meno,però, anche Svizzero, dopo aver im-boccato a piedi, nel 1886, la via “versol’alto”: Pontresina, St. Moritz, Silva-plana e, infine, Savognino nei Grigio-ni, a milleduecento metri di altitu-dine. Qui rimarrà sino al 1894, poi, infuga dai debitori, andrà a Maloja, inengandina, a quota milleottocento.Morirà più in alto ancora, a quaran-tun anni, di peritonite, all’interno diuna baita, sul ghiacciaio dello Schaf-berg, dove si era recato per dipingerela parte centrale del celebre “Tritticodella natura”. In modo sornione, ama-va definirsi una sorta di orso, anchese la lingua tagliente di Ardengo Sof-fici, lo etichetterà come “l’orso delPalace”, con riferimento ai grandi al-berghi di villeggiatura presenti nellazona, nei quali Segantini incontravafacoltosi collezionisti. Ricorda la fa-mosa stilettata di Balzac, il quale neldefinire Gustave Moreau lo indicòcome “l’eremita che conosce a memo-ria l’orario ferroviario”.La mostra di Milano, suddivisa in ot-

to sezioni, ne documenta i passaggiprincipali, con qualche rilevante as-senza, ma con opere fondamentali,quali: Ave Maria a trasbordo (1886), Mez-zogiorno sulle alpi (1891), La raffigurazio-ne della primavera (1897), Le due madri(1889), L’angelo della vita (1894). Sen-za, ovviamente, scordare di puntarelo sguardo sugli anni giovanili, espo-nendo anche i pochi soggetti nei qua-li compare qualche scorcio del capo-luogo lombardo. Segantini è qui os-servato da una prospettiva inconsue-ta da Annie-Paule Quinsac, che, neltesto del catalogo fornisce una seriedi stimolanti osservazioni: dal bassoverso l’alto, stabilendo una continuitàtra le varie fasi del suo percorso.

GIOVANNI SEGANTINIRITORNO A MILANO

PALAzzO REALE18 settembre 2014 | 18 gennaio 2015Piazza Duomo, 12Milano

Mostra a cura diAnnie-Paule Quinsac

Catalogo Skira

INfO tel. +39 02 92800375

A SINISTRAj Giovanni SegantiniLe due madri1889 | olio su tela, cm 157 x 280

IN ALTOh Giovanni SegantiniAMezzogiorno sulle Alpi1891 | olio su tela, cm 77,5 x 71,5

SOTTO i Giovanni SegantiniAutotitratto1895 | carboncino su tela, cm 59 x 50

INFO

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l’ARTE DOPPIO | settembre | dicembre 2014

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mento per tutta la pittura fiamminga dell’epoca. Qui, più di trent’anni prima,ad esempio, a partire dal 1432, Jan van Eyck realizzò alcuni tra i suoi quadripiù celebri. Hans Memling (peraltro nato a Selingestadt, in Germania) viprese cittadinanza nel 1465, alla fine di un prolungato periodo di apprendi-stato - non documentato, ma ritenuto oramai certo - trascorso nella bottegadi Rogier van der Weyden, i cui raggiungimenti stilistici e compositivi in-fluiranno in misura determinante nella sua pittura, quasi fossero “tatuati”all’interno della tavolozza. Occorre però sempre pensare al passo diverso elento che caratterizzava la pittura fiamminga, un passo per certi versi orien-tale, rispettoso nei confronti della tradizione, intesa come valore assoluto. Ogni minimo passaggio, persino il più graduale, come nel caso di Memling,era osservato con la trepidazione che solitamente accompagna un cambia-mento rivoluzionario. egli, nell’addolcire del maestro le punte emotive piùdrammatiche e sporgenti, diffonderà all’interno della composizione un sensodi pacata e indefinibile malinconia. Ma avrà l’ulteriore e grande merito di svi-luppare una forma di mediazione tra il patetismo di Van der Weyden e il per-fezionismo analitico di Jan van eyck. Una luce nuova bagnerà l’epidermidedella composizione, penetrando nei pori come mai prima era accaduto. Raggiunta presto una convincente maturità, l’artista sarà accolto con favoredalla ricca borghesia, felice di farsi ritrarre per ritrovare nei lineamenti delproprio volto, il palpito dell’esistenza. non meno accadde nelle opere a sog-getto religioso, entro le quali persino il senso del tragico è mitigato dall’at-mosfera circostante. L’osservatore trova una luce ch’egli subito riconosce, ingrado di placare anche la più tormentata delle visioni. Il divino, sembra dirciMemling, si nutre dell’umano, senza il quale non avrebbe modo di giustificarela propria presenza. Vi è in lui l’incapacità di trascinare l’animo nelle pro-fondità degli abissi. nel 1814, osservando il Giudizio Universale, Stendhal, in-fastidito dalla folla che si recava ad ammirare il dipinto, non ancora attribuitoa Memling, nelle sale del Louvre dove in quel periodo era esposto, lasciò pa-role velenose: E’ una crosta della scuola tedesca…. Il popolo ama guardare le smorfiedei dannati. Quella di Stendhal non fu una voce solitaria. Sono pochi gli artistidi così alto valore che hanno avuto un saliscendi critico capace di oscurarneo di rivalutarne improvvisamente l’opera. La sua azione di rinnovamentosenza “strappi” fu presto interpretata, più che come una perdita di identità,come una stucchevole concessione al sentimentalismo. Ci penseranno i pit-tori romantici dell’Ottocento a rivalorizzarne l’opera.Per un trittico partito e non arrivato, un altro, in circostanze mai del tuttochiarite, è giunto in Italia, La Crocefissione. Quello che si sa è che era stato com-missionato a Memling da Jann Crabbe, figura di rilievo, nonché priore delmonastero certosino delle Dune di Koksijde, nei cui spazi l’opera pare siastata originariamente collocata. A Venezia, il dipinto arrivò integro e, solo inun secondo momento, mercanti senza scrupoli ne staccarono gli sportelli la-terali, imbarcandoli in un mare libero da pirati alla volta di new York (orasono alla Pierpont Morgan Library). Il corpo centrale dell’opera è custoditodal 1865 a Palazzo Chiericati, sede del Museo Civico di Vicenza ed ora in mo-stra a Roma. La sorpresa è ritrovare l’opera ricomposta in forma di trittico,con accanto i due donatori, con i loro santi patroni: a sinistra un’anziana conSant’Anna, a destra un giovane con San Guglielmo di Maleval. Quando Mem-ling lo dipinge, inserisce con rigore compositivo tutti gli elementi caratteri-

MEMLINGRINASCIMENTO fIAMMINGO

SCUDERIE DEL QUIRINALE

fino al 18 gennaio 2015Roma

Mostra a cura diTill-Holger Borchert IN

FO

stici della sua pittura: neppure di fron-te all’immagine del Cristo morto incroce egli perde il controllo. In luiprevale la volontà di trattenere concompostezza il dolore, nell’esilità deicorpi, nell’eleganza delle vesti, nel-l’armonia delle pieghe del tessuto edei monti retrostanti. L’incedere cau-to favorisce la possibilità di immer-gere ogni presenza nel paesaggio, lacui luce trasmette una musicalità cro-matica pacificante, aggiungendo, così,“umanità” al racconto. Ragguardevole, alle Scuderie del Qui-rinale, il numero dei capolavori. Unoaccanto all’altro, oltre alla Crocefissio-ne vicentina, il Cristo benedicente (Ge-nova, Palazzo Bianco), il Ritratto diGiovane (Venezia, Gallerie dell’Acca-demia), ma anche capolavori giuntida lontano, quali Madonna con Bam-bino proveniente da Lisbona o il Ri-tratto di uomo con moneta romana, giun-to da Anversa. L’occasione, inoltre,ci permette di verificare quanto lafiorente committenza italiana, pre-sente a Bruges in quegli anni, ebbe acuore l’arte di Memling. Una mostrache aggiungerà luce ad un artista pen-soso e mai invadente, nel cui mondoideale, dominato dalla grazia, sareb-be opportuno sostare più a lungo diquanto si è soliti fare. ecco perché leparole che Panofsky scrisse per cri-ticarlo: a volte incanta, non urta mai enon travolge mai divengono, senza vo-lerlo, un elogio che l’artista per pri-mo, avrebbe gradito.

IN ALTO, DA SINISTRA j H. MemlingMadonna col bambino 1485 | Lisbona, Museu nacionalde Arte Antiga

Ritratto d’uomo con una moneta romana (Bernerdo Bembo?)1473 - 1474 | Anversa, Koninklijk Museumvoor Schone Kunsten

Cristo benedicente (Salvator Mundi)1480 - 1485 | olio su tavolaCollezione di L e S. Resnick

Aperta l’11 ottobre scorso, alle Scu-derie del Quirinale, la prima mostramonografica in Italia di Hans Mem-ling (1440 ca. -1494), curata da Till-Holger Borchert, direttore del Mem-ling Museum di Bruges (visitabile si-no al 18 gennaio 2015): probabilmen-te la più ampia e articolata tra le ras-segne organizzate fuori dal Belgio,con opere provenienti da musei di tut-to il mondo. Tra queste non vi è l’im-ponente trittico del Giudizio Univer-sale, che sarebbe giunto nel nostroPaese con appena cinque secoli e mez-zo di ritardo, essendo stato realizza-to, tra il 1468 e il 1472, per la cappelladedicata a San Michele, nella BadiaFiesolana a Firenze, commissionatoda Angelo Tani, proprio in quegli an-ni a capo della filiale del Banco Me-diceo a Bruges. La galea sulla qualenel 1473 era imbarcato il dipinto (cm203 x 305), di proprietà di Tomma-so Portinari (subentrato a Tani nelladirezione della banca e a sua voltagrande ammiratore di Memling), in-fatti, fu assalita in mare da una navepirata, capeggiata da Paul Benecke,dotato di occhio sensibile, a quantopare, essendo la tavola uno dei gran-di capolavori dell’età giovanile del-l’artista. Una volta trafugata, la por-tarono a Danzica, dove ancor oggiabitualmente si trova, nelle sale delMuzeum narodowe. Bruges - attivissimo scalo commercia-le, grazie a Filippo il Buono che vi inse-diò una corte - accolse numerosi ar-tisti, divenendo un punto di riferi-

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settembre | dicembre 2014 | DOPPIO l’ARTE

7 novembre 2014 | 3 maggio 2015 | MUSEO MORANDI

Morandi e l'antico: Vitale da Bologna, Barocci, Rembrandt e Crespi Il Museo Morandi di Bologna, nell'anno in cui ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Giorgio Morandi, presenta un nuovo allestimento tem-poraneo incentrato sul rapporto del maestro bolognese con l'arte antica. Si potranno fruire alcuni capolavori di autori del passato, studiati e amati da Morandi,accostati alle sue opere, a testimonianza di quanto la modernità della pittura di Morandi abbia tratto origine dall'antico.

INfO: MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna | Istituzione Bologna Musei | tel. +39 051 6496653 - fax +39 051 6496600 | www.mambo-bologna.org

vaporosa. Forse nessun altro pittore nel‘secolo breve’ ci ha lasciato dei paesag-gi così originali, intensi e spiazzanti,come se la pittura fosse stata reinven-tata di colpo.Grizzana Morandi ha ricordato il Mae-stro con varie iniziative tra cui una mo-stra fotografica di Luciano Leonotti cheinterpreta luoghi e oggetti morandiani,e la mostra Omar Galliani incontraGiorgio Morandi, ove Galliani, artistaper molti versi distantissimo dal mon-do del bolognese, vi ha esposto la seriedi disegni Sui tuoi passi.

di Alessandro Finocchiaro

DALL’ALTO E IN SENSO ORARIO

IN ALTOJ Omar GallianiSui miei passi2014 | matita su tavola, cm 200 x 150

SOPRAh Omar GallianiPaesaggio dei miei veleni2014 | matita su tavola, cm 400 x 400

A SINISTRA f Giorgio MoarandiNatura morta1929 | olio su tela

AL CENTROj Giorgio MoarandiPaesaggio 1928 | olio su tela

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Per Morandi la campagna di Grizza-na era “Il paesaggio più bello del mondo”.Il respiro dei suoi paesaggi nasce qua-si tutto da lì, e il paese ha voluto ricor-dare il nome del grande pittore ag-giungendolo al suo nel binomio Griz-zana-Morandi. C’è malinconia nellesolitarie casette riprese in tantiquadri, un atteggiamento forse paral-lelo a quello che aveva Pierpaolo Pa-solini, anch’egli bolognese di nascita,nei confronti di questo meravigliosopaesaggio rurale destinato gradual-mente a scomparire. Certo Morandiamava moltissimo queste terre, se pertutta la vita, nonostante l’affermazio-ne come artista di fama internazio-nale, mai lasciò il territorio bologne-se. Tra le pagine più struggenti sonoquelle dei cosiddetti Paesaggi di guer-ra, ove il nostro nulla concede alla cro-naca ma le tensioni vibrano nella ma-teria pittorica, flebile, tenera, a tratti

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l’OCCHIO

In una città dalla ricchis-sima offerta culturale co-me è Venezia, gli stimoliofferti sono difficilmentequantificabili e spesso unamanifestazione finisce perdare spazio a più espres-sioni artistiche allo stessotempo, in una interdiscipli-narietà in cui ciascuna artefa da eco alle altre. Provatangibile di quanto appe-na detto è la 14. Mostra In-ternazionale di Architet-tura: [n.d.r., edizione 2014]oltre alla disciplina cui èdedicata, ampio spazio èstato quasi inevitabilmen-te occupato dalla fotogra-fia. non mancavano ovvia-mente modelli tridimensio-nali degli edifici progettati - uno per tutti, il plasti-co dell’edificio spagnolo Planta presentato nelle saledel Conservatorio di Musica Benedetto Marcello,plastico di ben quindici metri - e molti erano pure irendering ottenuti digitalmente. Ma ampio spazioè stato dato pure alla fotografia e non solo con unmero fine documentario.Tra le diverse possibili mostre in cui questo aspettopuò essere stato colto ne abbiamo selezionate dueche presentiamo qui di seguito: quella dedicata adAxel Hütte, realizzata presso la sede di Piazza SanMarco della Fondazione Bevilacqua La Masa, equella di Yao Jui-Chung, evento collaterale dellastessa Mostra Internazionale curata dalla nationalTaiwan University of Art di Taipei.

tare di come le figure della natura non siano pa-esaggi da Gran Tour, immagini da cartolina antelitteram, ma anzi esempi di quanto la natura possaessere inospitale e brulla e, possiamo aggiungerenoi, pure lontana dall’immagine del sublime tantocara alla mentalità romantica, dell’enormementegrande ed enormemente potente. Apparentementepiù aderenti al tema della rassegna internazionale,gli scatti della serie esposti in mostra a Veneziahanno la città come tema: coerentemente con glistilemi della scuola di Düsseldorf a cui lo stesso

Parte di un progetto espositivo più ampio, la cuiprima sezione è stata ospitata a Modena a curadella Fondazione Fotografia Modena, la mostra diHütte era articolata in due momenti: il primo de-dicato ad immagini della natura di Alpi e Appen-nini ed uno invece rivolto al costruito in una cittàche sembra la negazione stessa della natura, in cuigli spazi verdi sono pressochè interamente oblite-rati dall’intervento umano. Due parti apparente-mente inconciliabili e che invece proprio su questadialettica fondano la loro ragione di essere. Lo stes-so spazio naturale è poi scelto in un’ottica non ca-suale. nelle pagine introduttive del catalogo cheriunisce le due serie complete di scatti commissio-nati al fotografo, Angela Vattese fa giustamente no-

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di Domenico Iaracà

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settembre | dicembre 2014 | DOPPIO l’OCCHIO

Hütte appartiene richiamano a primavista il canone in vigore nella scuola,a partire dalla monumentalità e, ov-viamente, quello della simmetria. Co-me già visto nella mostra di CandidaHöfer tenutasi a Vicenza e recensitasulle pagine di questa stessa rivista,la simmetria è però più un aspetto deltema rappresentato - più evidente nel-le architetture del passato che non inquelle contemporanee - che non un

vincolo estetico subito. e l’esame at-tento degli scatti conferma poi comela simmetria stessa, quando presen-te, non è pedissequamente persegui-ta ma sapientemente intaccata. Se in Hütte lo scarto dalla simmetriava quasi ricercato, impressione esat-tamente opposta si ha già ad unaprimo esame degli scatti di Yao Jui-Chung. Questo non dipende tantodal tema scelto, quello di edifici in ro-vina in cui i crolli e le piante infe-stanti intaccano gli edifici in manierairregolare, quanto da una voluta an-golazione delle foto che, in una solaimmagine, cercano di dare il maggiornumero di visuali possibili dell’edifi-cio. evidente pure l’attenzione allospazio, naturale e antropizzato, in cuigli edifici sono inseriti. A dimostrarepoi il mancato intento didascalicodella fotografia è pure il rapporto trai soggetti dei vari piani. Basti vederel’immagine scelta per la copertina delcatalogo della mostra: non è l’edificioad occupare il primo piano ma le scul-ture dei geni e divinità tradizionali ci-nesi collocati nello spazio circostan-te dall’architetto nell’intento di ri-produrre i parchi di epoca barocca(immagine qui accanto). A comple-

tare la mostra e a interrompere l’uni-formità di un espressivo bianco e ne-ro compaiono le immagini del carcereper crimini politici sede degli scon-tri indicati dalla stampa dell’epocacon il termine eufemistico di TaiyuanIncident, in realtà non una semplicesommossa carceraria ma una rivoltacontro il regime di Kuomingtang. Aquesto tema sono dedicati una foto-grafia di grande formato ed un videoma, se la fotografia apre soltanto alle

A PAG. 8, DALL’ALTO, A SINISTRA

IN SENSO ORARIO j Axel Hütte

Dogana, Venezia, Italia2013 | cm 205 x 155, ditone print

Basilica di Santa Maria formosa dei frari,Venezia, Italia2012 | cm 155 x 185, print on glass + mirror

Ca’ Corner della Regina -1, Venezia, Italia2012 | cm 215 x 155, print on glass + mirrorCourtesy Fondazione Prada

Palazzo Loredan-2, Venezia, Italia2012 | cm 58 x 69, print on glass + mirror

DALLALTO, A SINISTRA IN SENSO ORARIO

P Yao Jui-Chung

Long Long Live 4 / 5 / 7 / 8 /3fotografia, 2011 ©Yao Jui-chung

The Sanzhi UfO House The Monkeysfotografia, 2011 ©Yao Jui-chung

gradazioni del verde in una panora-mica che copre la totalità degli edifici,il video a colori riporta, in succes siveinquadrature fisse e in particolari agliinterni, le uniche scene in cui com-paia la figura umana.L’impegno civile dell’artista apparequindi evidente, una chiara presa diposizione da artista engagé, non solonella scelta di un tema piuttosto cheun altro, ma anche nella denuncia del-l’aberrante disumanizzazione dellefigure delle guardie carcerarie: questesono presentate mentre ripetono gri-da per noi purtroppo incomprensi-bili, e, forse proprio per questo, an-cora più efficaci nel loro senso di stra-niamento. Un video era presente pure nell’espo-sizione di Hütte alla fine di un per-corso in cui, oltre alle serie dedicateagli scatti italiani, compaiono scorcidi metropoli presentate in visioni per-lopiù notturne. Ma non è questo il le-game che ci permette di creare un col-legamento tra le due esposizioni quan-to quello di elevata padronanza delmezzo e, come detto, l’uso non didas-calico del mezzo che assurge consa-pevolmente al ruolo di analisi dellarealtà. Se l’attenzione data da Yao Jui-Chung alla fine dello spazio costrui-to, antropizzato è evidente, in Hüttelo stesso tema compare quasi sottotraccia. In scatti studiatissimi e neiquali le inquadrature non sono con-seguentemente casuali quasi stupi-sce trovare la Chiesa dell’Angelo Raffa-ele, scatto in cui la facciata dell’edifi-cio è trascurata per rivolgere invecel’attenzione ad un tratto di calle fi-ancheggiata da muri scrostati dalleinfiltrazioni, in parte coperti da graf-fiti. Anche nella stessa attenzione ri-volta alla Venezia monumentale delsuo grand siecle non mancano indizi diuna caducità: emblematico è lo scattopreso nel Palazzo Barbarigo Minottoin cui la sedia in primo piano ha la pas-samaneria che cade a coprire par-tedella tappezzeria antica. Pochi parti-colari, indubbiamente, ma che fannoimmediatamente tornare alla mentequelle foglie leggermente appassite oquei frutti intaccati che trasforma-vano la perizia delle nature morte fiam-minghe in tele rivolte a trattare lacaducità delle cose e a denunciarne lavanitas.

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Il modo in cui conosciamo noi stessipassa attraverso l’ambiente e attra-verso la collettività, siamo protagoni-sti, volenti o nolenti, attraverso ruoliche ci identificano e che ci vincolanoper mezzo di uno spazio comune; sa-liamo e scendiamo costantemente dal-la giostra sociale che è la vita: “gio-chiamo” un po’ prendendo il nostro po-sto a sedere nel mondo; la ruota iniziaa girare, la velocità diventa ascesa, lasua salita diventa effige della nostracrescita finendo per staccarci da quel‘parco’ dal quale tutto era iniziato,come per gioco.Questo è l’incipit di quanto Calusca cidice ne Il gioco dell’incontro (Galle-ria Art’è, Acireale) ed in particolarecon l’opera Giostra “sospesa” (2014, le-gno, ferro, smalto, cm 320x760x250):un viaggio sospeso, aereo (per la leg-gerezza con cui ci si volteggia attra-verso, come richiede lo stesso artista,“… leggiadro come farfalla in cerca del suofiore”), ogni sosta è una finestra su unmondo, una aneddoto casuale della vi-ta relazionale di un uomo (Calusca?)che ci viene raccontata in pillole “vi-sive”, in frammenti! Dal primo vero distacco dal genitore,dal ‘familiare’: l’incontro con la gio-stra. Il parco giochi è il primo vero mo-mento in cui senti l’esigenza di stac-

di Andrea Viscuso

carti dalle certezze per andare a gio-care; quando acquisti il coraggio, tro-vi il compagno già lì ad aspettarti eche ti dà l’equilibrio necessario per af-frontare le nuove paure: il primo pas-so è l’ingresso nel sociale. Sedersi sul-la giostra è ciò che ti identifica, indicail tuo ruolo, sedersi su questa “ruota”giocosa è come sedersi sulla vita: lascelta è tua, scegli tu qual è il tuo po-sto. Un meccanico gioco di fiducia, dispinta, di velocità; la giostra sale, ilbambino cresce, prende coscienza esi libera da uno schema tanto sem-plice ed infantile quanto meccanico esociale, ci si alza e si cambia posto per

Fino al 26.02.2015Galleria Art’è, Acireale, Ctpiazza Porta Gusmana, 10(www.arteingalleria.com)

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l’APPUNTO

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settembre | dicembre 2014 | DOPPIO l’APPUNTO

SOPRA, IN ALTO J CaluscaV99 - muro torto2007 - 2009 | tecnica mista su tavola, cm 160 x 105

A PAG. 11, QUI SOPRA h E A DESTRA k CaluscaAlcuni scorci dell’installazione Il gioco dell’incontroPhoto: F. Impallomeni, D. Scandura

IMMAGINE A SINISTRA f CaluscaV122 - spiritoso con bolla2014 | tecnica mista su tavola, cm 65 x 49

A PAG. 11, IN BASSO AL CENTRO DELL’IMMAGINE

Calusca | Summer-time o l’anonimo infedele2009 - 2014| tecnica mista su tavola, cm 252x 185

appartenere ad un altro sistema, ad unanuova, propria e definitiva collocazione.Chi resta a ‘giocare’ è Calusca, ironico com-pagno di “giochi” che svolge qui il compitodi guida che ci porta ed invita a riscoprirel’affascinante valenza formativa della sco-perta di sè stesso nell’altro; varchi su unmondo da scoprire, contaminato certa-mente dalla struttura sociale ma non perquesto da essa controllato; l’artista è qui ilpuro catalizzatore dell’arte che ritorna gio-co. Un memento da parte di Calusca che ciconduce attraverso le pieghe dell’animoumano, attraverso gli incontri come unitàelementari dell’interazione; appuntamenticon quegli ostacoli emotivi che rischianodi risucchiarci in un turismo identitario eche un sarcastico conduttore ci aiuta a ri-conoscere come per gioco. In fondo tuttoparte da qui, proprio come teorizzava il fi-losofo George H. Mead: è il gioco che ci permet-te di riconoscere il nostro ruolo.

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www.new-link.it

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La pubblicazione raccoglie la documentazio-ne dell’omonimo evento espositivo site speci-fic dell’artista siciliano Calusca. Il volume, acura Rocco Giudice, presenta ventidue opereinedite di Calusca attraverso le quali è possi-bile approfondire e percorrere i nuovi itine-rari della sua ricerca, imperniati, per gli spaziospitanti (Galleria Art’è, Acireale, Ct), sul-l'esperienza dell'incontro. Le opere sono par-te di un'unica, ampia ed inedita installazioneappositamente progettata e realizzata da Ca-lusca (comprendente un’opera di 35 mq) at-traverso la quale il fruitore è invitato a confron-tarsi attivamente, interagendo, con il concet-to collettivo di “relazione”. Come dice lo stes-so curatore: siamo di fronte a un’opera in cui con-fluiscono architettura, design, scenografia. [...] “Il gio-co dell’incontro” nasce proprio dalla sensibilità innan-zi tutto e eminentemente pittorica di Calusca; cometutto il complesso del suo lavoro, un’opera pensata, sivorrebbe dire, all’interno della pittura. [...] La carat-teristica del suo lavoro è di trattare lo spazio come uncorpo dotato di energia, di forza, cui figure, cose, am-bienti sono soggetti.

LA COLLANA “D’ART’è”: è una collanadedicata alle monografie di artisti contem-poranei in dialogo sinergico con una realtàgalleristica siciliana.

CALUSCA. IL GIOCO DELL’INCONTROa cura di Rocco GiudiceEditore: LSC edition/Newl’inkCollana: D’art’è | n. 01/15Formato: cm 16,5 x 23,5Genere: monografia d’artistaTesto: italiano / inglesePagine: 64Prezzo: € 12,00

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l’ATTENZIONE DOPPIO | settembre | dicembre 2014

A SINISTRAj Sandro BotticelliNatività mistica1501, olio su tela, cm 108,5 x 75Londra, national Gallery | Ph. dal web

A DESTRA, DAL BASSO IN SENSO ORARIO P

S. Botticelli | Natività mistica, particolariBeato Angelico | Trasfigurazione1438/40, affresco, cm 189 x 159

[…] Si riconosce al dipinto un carattere “apocalittico”: ma, poi, non ne vieneindicata la specificità in tal senso, non è chiarito in che ravvisarla, non si com-prende in che consista, non è detto in che modo essa ci sia palesata, a meno diintenderla metaforicamente come “apocalittica abiura” della precedente fedepittorica di Botticelli, la sconfessione di una pluridecennale, onorata carrie-ra votata al servizio della causa dei Medici e della prospettiva: sottolineando, an-zi, come l’opera celebri la ritrovata (però, assai poco apocalittica, come la sivorrebbe) armonia fra umano e divino, la ristabilita concordia fra Cielo e Terra. […] Certo, il dipinto doveva consolare e rassicurare: l’iscrizione, sovrappostaalla scena come un’insegna, quasi una titolazione - il sovrasenso (non, però,dell’evento in quanto tale: di fronte alla Verità, ogni funzione simbolico-alle-

gorica è dismessa) da cui la storiaumana dipende -, è sospesa anch’es-sa, diremmo, se guardiamo il modo incui, nel dipinto, tutto orbita attornoalla Sacra Famiglia; ma della cronacadi quegli anni, conclusa con la mortedi Papa Borgia. O piuttosto, vi af-fiora il sottotesto con cui l’autore ri-marca ciò che lo riguarda in primapersona e richiama gli avvenimentiche non mancarono di interessare isuoi contemporanei. Con ciò, essanon può sviare da considerazioni me-no legate al ‘contesto’, a quella che perl’autore e i suoi contemporanei erastretta attualità. Che Alessandro VI,nemico della “Città Santa”, fosse mor-to all’epoca della realizzazione del di-pinto, era una notizia risaputa e con-fortante2 quanto bastava, per sen-tire il bisogno di essere ulteriormen-te rassicurati con profezie ex postpittoriche.[…] Botticelli sapeva bene cosa signi-ficava una cosa vista senza credere aipropri occhi: aveva visto andare alrogo fra’ Girolamo Savonarola, concui3 erano arsi i sogni di una riformacristiana dello Stato fiorentino comepremessa a un rinnovamento gene-rale della Chiesa universale (e cioè,appunto, cattolica): ma questa Nati-vità Mistica sotto il segno dell’Apoca-lisse non è solo il corollario meta-storico della fine dell’utopia “fonda-mentalista”, dell’avventura teologico-politica di Savonarola: che, offrendoalla fede del pittore la drammaticitàdi una parabola profetica inverata conla sua vicenda, forse, più ancora checon la sua predicazione, ha indottoBotticelli a un ripensamento dell’u-mano così drasticamente distante dal-l’utopia umanistica. Quello che la Na-tività mostra è un delirio sacrificaleattorno a cui tutto si fa vuoto, un Trion-fo della Morte di Dio, una danza tan-to più macabra perché di angeli im-mortali e incorrotti e con/contro diloro, di corruttibili umani intorno al-l’Asse della Storia, al Cosmico Pernodella nascita al divino dell’umano,all’umano del divino - solo ora il Padresi fa Figlio: “generato, non creato”: eper il tramite della Sua creatura. Maisi era vista né si vedrà una natività apo-calittica, più tragica e pietosa di unaCrocefissione e inquietante quanto laTrasfigurazione del Beato Angelico.4

[…] Tutta la scena della Natività sem-bra sbandata, deragliata, deflagrata:Gesù Bambino, la Madre e San Giu-seppe - centro attorno a cui tutte le al-tre figure ruotano, gravitando in unasorta di precipizio orizzontale, di im-manente strapiombo longitudinale -sono di traverso, di sbieco, all’apicedella traiettoria zigzagante del sen-tiero che, issandosi lungo quel Gol-gota d’appena sorta altura (bambinoanch’esso), conduce a Loro, punta del-la freccia di una via dolorosa che fendelo spazio in cui le figure di angeli euomini che gli fanno ala sono postecome devoti accostati a una nicchiasporgente. L’angelo che “sfora” la tecaideale in cui si trova la Sacra Famigliatendendo un braccio librato in volocon la stessa leggerezza del cartiglioe del ramoscello d’olivo offerti per bi-lanciare nel gesto invito e monito esanare così l’effrazione, non profittadell’eccezione concessa a un privile-giato, ma esercita la sua funzione diguida facendo strada e tenendo aper-to un varco fra San Giuseppe e la roc-cia in quello spazio saturo di quasiinaccessibile grandezza, indicandoche il divino è qui, a portata di mano:sconfinato nel campo ottico dello zoomcon al centro la Sacra Famiglia, il brac-cio rimane proporzionato al rangodel messo celeste, non accresciuto dalrientrare nel raggio dell’azione di sal-vezza. Così, il gesto dell’angelo nonevoca (ciò che potrebbe avere un sig-nificato allegorico), coglie in manie-ra diretta (essendone ricompreso: sim-bolicamente - stavolta -, afferma chela partecipazione al divino è della crea-tura e dell’umano come tale, ma periniziativa divina: perciò, rapporto didistanza e dimensioni non ne deter-minano le misure) un evento che vi èesperito e attuale, di Persone vicine anoi, se non come noi, nella sequela dalvecchio uomo all’umanità rinnovatanel e per il Bambino. L’angelo potreb-be perfino scuotere dal torpore o ri-conoscere al tatto come consentaneo

di Rocco Giudice

E noi che la felicità la pensiamo / in ascesa sentiremmo la commozione, / che quasi ci at-terra sgomenti, / per una cosa felice che cade.1

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ciampo della refrattarietà umana al messaggio della salvezza. Al culmine idealedel mondo cui si giunge per quello stretto cammino - una processione al cuitraguardo non si arriva da soli; semmai, come vedremo, tradotti quasi manumilitari -, Gesù Bambino, la Madre e San Giuseppe sono disposti in fila - la Viaalla Verità che dà la Vita passa attraverso loro, cioè, dall’unione con la divinae vivente ipostasi, Gesù il Cristo. Sono come a sbalzo, di scorcio, proiettativerso di noi, non Si rimpiccioliscono allo spazio d’attesa ovvero nei terminidel discorso umano; ma intersecano e così, tagliano, scompaginano lo spaziodella storia umana, della natura ordinata alla presenza dell’uomo. Il percorsoangoloso, col suo andamento sghembo, accresce lo stacco rispetto all’allinea-mento orizzontale delle figure in primo piano e alla circolarità della parte su-periore del dipinto come del bosco dietro la grotta. Apice visivo della ”rap-presentazione”5, oltre che nodo drammatico di essa, il Bambino che si tendeverso la Madre: entrambi sembrano piegati dalla pressione, dalla tensione cheli spinge a convergere e comporsi indissolubilmente. Le linee che solcano lepareti rocciose della grotta, che simulano il drappeggio di una tenda o di unaveste, con quelle del manto, ricalcano lo stesso movimento, in cui ricomporreuna frattura; con le linee del tetto e le scanalature della mangiatoia su cui èbalzato l’asino, dicono che l’universo sente come l’orlo di un abisso le linee ditensione che segnano ogni base d’appoggio. Se le linee di contorno ritagliano

l’atteggiamento di San Giuseppe e cumularvelo. La solidarietà delle reazionitrova un’eco, anzi, coincide con la reciprocità degli spazi e con la sintonia - diconformità o contrappeso - topologica, logistica, diremmo e di condotta. nelcaso, in una simmetria di atto liturgico, all’angolo opposto, il gesto “invadente”dell’angelo è ripetuto da una figura che, coperta e quasi assimilata al pilastro,come innestata o rampollando dal legno dell’Albero proibito da cui sarà trattoil Patibolo della Crocifissione, ancora esita e cerca protezione ovvero è “oscu-rato” dall’“Albero genealogico della colpa” da cui l’umana stirpe discende.Botticelli sembra giungere qui, in questo punto, ciò che è proprio di questaNatività, incastrando l’uno all’altro lo spazio “antropologico” conquistato conla rivoluzione della prospettiva e quello “teocentrico” da essa ribaltato, perfissarne l’irradiazione nella scena centrale col Bambino dalle braccia aperteverso l’alto: ben al di là dell’audacia di quella sovversione prospettica, il lin-guaggio ‘smisurato’ della salvezza e dell’Incarnazione supera i limiti di un dis-corso univocamente ordinato, di uno spazio coestensivo al nostro e alla storia,che dev’essere riscattata: e il linguaggio artistico è attraversato dal messaggioche vi è articolato, appunto, per esprimere l’Inesprimibile. Ma, in effetti, ècome se i vari comparti della scena slittassero sull’orlo dell’uno e dell’altroorizzonte, fra lo spazio “antropologico” aperto dalla rivoluzione della pro-spettiva e quello “teocentrico” pre-giottesco, incagliandosi nella pietra d’in-

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l’ATTENZIONE DOPPIO | settembre | dicembre 2014

i volumi nello spazio, è per svuotarlidella massa; se fissano il gesto, è co-me per svincolarlo, per svellerlo dalmovimento: l’antinomia non è fra sta-si e azione, ma (in termini di Fisica,se ci si consente l’analogia) fra massae volume: ecco perché gli angeli flut-tuano liberamente, il movimento chegli è impresso farà tutto da sé, sospesiper aria come le figure in basso, divolta in volta, sembrano galleggiaresulla terra per sondarne la saldezza,per ripetere in punta di piedi il bal-letto della schiera in alto come unapantomima incerta quanto a chi è gui,dato o guida i passi - gli uomini, sol-levati ma ancora combattuti tra fa-tica e abbandono; o gli angeli che liraccolgono da terra o ne vincono laresistenza che li umilia -; o trovarvilo slancio a un’ascesa; o il punto d’ap-poggio per sostenere/sostenersi nel-l’abbraccio puntando i piedi a terra,come si usa dire, fermi per non cedereun millimetro al rivale, all’antagoni-sta; mentre, più su, accanto alla grot-ta, gli uomini genuflessi sono comeimmersi, fusi alla terra da cui sonostati tratti.D’altra parte, i diversi livelli di prof-ondità in cui sono collocate le figure,simmetricamente disposte e la diso-mogeneità nelle proporzioni fra di es-se scandiscono l’unità di un ritmo chenon isola, ma riconduce i singoli mo-menti della via crucis già intrapresaentro la stessa planimetria verticale.Lo si nota particolarmente nella Ma-dre: il segno sembra appiattire allasua gotica verticalità la figura, che viperde, non acquista rilievo. È il gestodi preghiera a permettere alla figura,oblunga nel protendersi fino ad as-sottigliarsi in una stilizzazione tre-centesca - come suggerisce l’inclina-zione del capo e del volto -, di assu-mere rilievo dalla cavità del manto,da cui sporge un profilo che è lo stes-so delle Veneri di lievito dolce, in Bot-ticelli, del resto, anche nella nuditàsempre così caste come sante. e ba-

sta a persuadere della plasticità tat-tile di quel vuoto, a dargli flagranzadi elemento fisico, di reattiva strut-tura materiale, la banda di capelli chedefluisce, ricadendo con morbidezzadi panneggio d’una stoffa preziosa,fra il lato nascosto del viso e l’internodel manto, che spiove con una rigi-dezza senza peso; mentre, dal latoopposto, un velo di pizzo - la cui le-vità l’occhio sgrana e pondera altret-tanto bene che il tatto - gronda, sgoc-cia come un velo di lacrime ordite perappuntarsi sul petto. Il vuoto trac-ciato tenendo i gomiti discosti dalbusto s’è annesso l’ombra che la fi-gura della Madonna non può getta-re a terra (certamente, non solo per-ché Botticelli non consente, se nonraramente, ombre nel suo mondo, maperché i personaggi che vi sono am-messi emanano o assorbono la lucesenza porle ostacolo): e esso trova, co-sì, volume, da cui la figura della Ver-gine trae lo spessore di una Presenzaviva in uno spazio reale. Lo spazio,infatti, si dipana in lungo e in largo apartire dalla Regina del Cielo, che se-gna il vertice di tutta l’azione di sal-vezza, “eletta” dallo svolgersi del cam-mino che, ai Suoi piedi, si contrae inuna deriva discendente verso il grup-po a destra. A rivelarcelo è un dettag-lio, l’orlo del manto che ricade ri-spetto al panno in cui è disteso il Bam-bino; così come un altro particolarerealistico, l’interno rovesciato del man-to, suggerisce che lo spazio trattatocome volume e non come superficieè, come in questo caso, oltre che rap-porto fra i corpi, l’effetto di un movi-mento, anche minimo; tanto che, sesi prescindesse da questo dettaglio,la figura risulterebbe compressa inuno stacciato che la farebbe appariredi profilo.La scena centrale occupa lo spazioimmediatamente antistante la grotta(prefigurazione, certo, del Santo Se-polcro), sotto l’esiguo riparo della tet-toia che la ricopre e fa di essa - con le

lastre di pietra anch’esse assopite, magià pronte a ergersi in colonne rastre-mate e pilastri - la prefigurazione del-la Chiesa. Sotto questo baldacchino,la scena avviene fuori della grotta,all’aperto, perché tutti possano assi-stervi e perché essa “riguarda” l’in-tero creato; in un luogo determinato,ma non circoscritto o perlomeno, nonisolato, dato che la grotta è aperta sulretro come una galleria, in fondo a cuil’orizzonte trova argine in un esilebosco al di sopra del quale il cielo siallontana, prendendo il largo e il volo,subito ripido e infinito (come vistodalla cima di una montagna: perchél’infinito è dappertutto e in ogni sua“parte”: e infatti, piuttosto che tron-carlo sul più bello, quell’orizzonte tro-va a sigillarlo la nube ardente del-l’empireo, fiammeggiante corona deicieli, che pesa come una pietra tom-bale su un mondo in cui la deposta di-vinità di Cristo giace sepolta nellacarne perché la carne risorga nelloSpirito di Dio.)Tuttavia, questo aprirsi e simbolicoestendersi al di là dei limiti del luogonon deve illudere: e in effetti, tuttosembra svolgersi all’interno, in un’au-la (o appunto, una grotta: tutto il mon-do è il luogo della natività) dove il pun-to nodale, nucleare della storia è rac-colto fra la volta celeste, cui fa da sog-lia l’empireo e le adiacenze della grot-ta: i gesti fissano angeli e uomini alruolo che gli spetta; gli angeli in alto,nonché muoversi, sembrano mossi,trascinati dal moto di rotazione del-l’empireo, suoi satelliti. Il movimento,laddove le linee segnano la presa cheesso ha sulle forme che lo subiscono,non è mai contrastato: più che deicorpi, esso è della “qualità dello spa-zio”, sfalsato o orientato secondo checontraddica le leggi della prospet- tivao vi corrisponda: e questa (dis)artico-lazione dei piani basta a dare all’in-sieme il dinamismo di cui il segnonon è il tramite, ma la cesura, che mar-ca il limite entro cui quel dinamismo

agisce. Lo spazio, acquisendo la “dig-nità” di volume, diventa forma - cioè,non mero contenitore che circonda icorpi o ne è occupato, ma elementodello stesso continuum fisico, coinvol-to nel rapporto fra grandezza, posi-zione, movimento dei corpi: in unaparola, nella loro vita. non più sostra-to ideale che accoglie passivamentele forme razionali che vi traccia la vi-sione prospettica, lo spazio stesso ètrasfigurato in funzione e in fattoredella visione: ciò che avviene in e peresso, non su di esso, sembra sfaccet-tato come visto attraverso un prisma.Il libro della pittura non è più scrittoin caratteri geometrici: la forma chiu-sa, la visione lineare, lo spazio conti-nuo e l’unicità del punto di vista per-dono l’esclusività o il primato qualiprincipi regolativi sulla scorta dellaritrovata arte classica; la molteplicitàdei punti di vista, la diversità dei con-testi, la determinazione ‘fisica’ del da-to visivo e quindi, con essi, il movi-mento, diventano consustanziali allavisione e alle cose ivi accolte.Come sempre, un nuovo modo di ve-dere le cose muta la sostanza dellecose e del modo in cui esse sono per-cepite - compreso il loro riflesso pit-torico; o a partire da esso. Le ultimeopere di Botticelli sono pervase daquesto “ardore sperimentale” scatu-rito dall’urgenza di una conversioneche postula un linguaggio in cui ri-dire tutte le cose, in cui rifare l’imma-gine del mondo in questi “nuovi spa-zi” che sono nuova maniera e nuovamateria di pittura, versione “nuovi cie-li e nuove terre” promesse dell’arte: equesto nuovo linguaggio - bensì, se-colarizzato: dal Logos alla fenomeno-logia della percezione del mondo e disé - la pittura saprà ritrovarlo solo adistanza di secoli, per portare alleestreme conseguenze questa “nuovateoria dello spazio”, da Cézanne aPicasso. emarginato dal mainstreamd’inizio secolo, scalzato dalle vette delgusto che si evolveva parallelamen-

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l’ATTENZIONE

soluti e le posture, ugualmente tese,sia nel movimento (convulso anchese libero) sia nell’immobilità (inflittaanche se docilmente subita) - i trattisono più fluidi e ricorrenti, così chelinee morbidamente inflesse conducaquanto ne condiscende lo stessoschema, una stessa serrata partitura,che ne riassetta a indice ciclico lascioltezza: come ritroveremo in Ja-copo Bassano e El Greco e ancoraoltre, in Marc Chagall: e forse, per ladistribuzione che instaura una com-plessa simmetria dove non può esser-vene, insospettabile preludio a Mon-drian e a klee6. I colori si fermanoalla superficie delle figure, ma, piùche per aderirvi, per assorbirne il vo-lume e denudarle di spessore. Li con-nota un antagonismo che, per esseredi tutta la composizione, genera unaimpressione di omogeneità, di unani-mità complessiva, di coesione ritmicanella disomogeneità degli spazi, nellasproporzione delle figure, nella dina-mica di un’azione che sembra immo-bile o sospesa senza interrompersiper la Grazia che vi irrompe ed è tut-ta nei gesti, fissata in essi, così schiet-ti e severi, fattivi e ultimativi.

te alla (illusoriamente) ritrovata li-bertà civile in cui, semmai, si manife-stavano i prodromi della crisi, a ri-dosso della fine della “libertà ita-liana”; guardato con sufficienza dallenuove leve, dopo quanto intervenutofra la morte del Magnifico e il rogo diSavonarola, correndo una distanzamaggiore di quanto dicessero gli an-ni; e passata rapidamente agli attil’opera cui doveva fama e fortuna perriconoscere alla sua arte, in ogni sen-so estrema, un qualche valore diconfronto, Botticelli (disarmato pro-feta anche lui) doveva essere accan-tonato senza indugi e rapidamentedimenticato.[...] Sono colori acidi e uniformi, gla-ciali e glutinosi, rassodati in una glas-sa cheratinosa o purea disseccata inuna membrana coriacea: non sempli-cemente i colori metafisici, mitologicicui Botticelli ci ha abituato, a presi-dio di un mondo di irraggiungibileperfezione: stavolta, ristagna in essiun’opacità di smalto sclerotizzato, diplastificato tegumento, per effetto pra-tico della ridotta capacità del mondodi ricevere la Luce che vi è giunta.Mentre - se i gesti sono imperativi, ri-

1 Rainer Maria Rilke, a chiusuradella Decima, l’ultima delle Ele-gie duinesi, cfr. in Poesie, einau,di, 1994, pag. 206, trad. di An-na Lucia Giavotto Künkler. Icorsivi sono nell’originale te-desco.

2 Pure, sembra che Papa Borgia -lucidissimo uomo di potere,pessimo cristiano, ma (o pro-prio perciò a dispetto, ancorpiù) grande Papa - avesse ac-colto la notizia dell’esecuzio-ne di Savonarola con paroleturbate, di pena sincera, noncerto di compiacimento o dieuforia.

3 In compagnia di altri due con-fratelli: fra’ Silvestro, incredu-lo, come Girolamo, di quel fi-nale di partita e visibilmenteangosciato nel momento dellaprova suprema; e fra’ Dome-nico da Pescia, che affrontò ilboia e gli insulti e gli sputi diArrabbiati (nemici acerrimi diSavonarola e dei Piagnoni, i se-guaci del frate) e Palleschi (ipartigiani dei Medici) intonan-do gioiosamente il Te Deum,esultante all’idea del martirio.

4 Opera, questa, di sconvolgentepotenza visionaria, che si puòaccostare alla Natività Misticain simmetria teologica: dal di-vino/umano della Nativitàall’umano/divino della Tras-figu- razione.

5 In senso proprio: tutti i dipintidi Botticelli sono rappresen-tazioni, non solo in relazionea un testo scritto con cui “dia-logano”, ma anche perché, ingenere, la scenografia natura-le, ricalcando o prolungandoidealmente i giardini di Bobolio della villa di Careggi dei fastimedicei, offre lo sfondo a rap-presentazioni sacre o profanemutuate dai classici o dal ca-none cristiano. È nota, poi, lascarsa considerazione che Bot-ticelli annetteva alla pittura dipaesaggio. Ma, in questo caso,tutta la scena, con i suoi “sipa-rietti”, acquisisce un ruolo daco-protagonista o perlomeno,diventa parte attiva del dram-ma.

6 Ciò che non vale, evidentemen-te, per il famoso ‘angelo’ di Klee,il cui appeal di metafisico ba-cherozzo ante-kafkiano, il cuicharme fatal da organismo mo-nocellulare over size, il cui so-prannaturale fascino clinicodi crostaceo in stato di sospen-sione narcotica - ma avendo labuona sorte di scampare al ba-gnomaria di formaldeide incui lo immergerebbe DamienHirst -, di strabica larva pres-soché attera colpì al cuoreWalter Benjamin, tanto che ilfilosofo ne fece l’Angelo dellaStoria, nientemeno!, capace distaccare di molte lunghezze,troneggiando nell’olimpo di sca-rabocchi infantili da cui era ve-nuto fuori, le ben più glamour esublimi angeliche falangi pre-raffaellite e coorti e sciami diamorini pompier.

NOTE[…] ecco, allora, che le tonalità freddenon fanno che contrarre lo spazio nelsenso di quella vertigine in cui tuttosembra doversi inabissare o fluttuare.Un verde che non ha nulla della ri-nascita primaverile, neppure dellapromessa che verrà una stagione dirinnovamento per il mondo; fosca-mente sbiadito, quasi incupito decan-tandone l’intensità, l’azzurro, che nul-la ha del cielo, tranne che nel mantoche ricopre la Madonna, ma quasi pergravarLa di quella luce; un rosso-fuo-co spento, di sangue già rappreso ocorrusco finché non sia versato: e unbianco estenuato, senza respiro, mal-grado ne siano sature le vesti, a suomodo tenebroso; un giallo vizzo, an-dato a male; un viola tabaccoso, di vi-naccia, quaresimale, si depositano co-me paramenti non della festa, della ce-rimonia d’apertura del lieto fine del-la storia, ma dell’irredimibile e inces-sante dramma cosmico della salvezza.[n.d.r. Tratto da uno dei saggi inediti di Rocco Giudiceper il volume"I quattro punti cardinali della storiasacra nell'arte", che sarà edito da Newl'ink nel 2015.]

SOTTO E A SINISTRA ij

Sandro Botticelli Natività mistica | particolari

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La lotta libera, una delle più anticheforme di combattimento, quasi un’ar-te che trae origine, prima dai lotta-tori egizi e poi da quelli dell’anticaGrecia, nella quale occupava un po-sto rilevante perfino in letteratura.Di anni ne sono passati, ed oggi, ognivolta che si svolge una competizioneinternazionale di lotta, a riscriverela storia ci pensa lei: Saori Yoshida;così ha fatto la giapponesina tuttagrinta anche agli ultimi Campionatimondiali in Uzbekistan nei quali latrentaduenne, nativa di Tsu, ha ot-tenuto il suo dodicesimo titolo mon-diale consecutivo. Prima del suo av-vento, il record apparteneva ad Alek-sandr karelin, grande atleta dellagreco-romana, capace di ottenerenove ori iridati rappresentando pri-ma l’Unione Sovietica e poi la Rus-sia: un record che la Yoshida ha egua-gliato nel 2011 ad Istanbul ed ha poisuperato nel 2012 in Canada. Graziea quest’ultima vittoria, inoltre, lanipponica ha rafforzato un altro re-cord, quello delle medaglie vinte aiMondiali di lotta, conquistando lasua dodicesima medaglia e staccan-

SOPRA h

Saori Yoshida durante un combattimento

(immagine dal web)

fA PAGINA 18 | Diego Cerero MolinaSaori Yoshida

2014, olio su lino, cm 92 x 73

do definitivamente il bulgaro Va-lentin Yordanov, vincitore di diecimedaglie (7 ori, 2 argenti, 1 bronzo),e la sua connazionale kyoko Hama-guchi (5 ori, 2 argenti, 3 bronzi).Come se non bastasse, il palmarèsdella Yoshida comprende inoltre an-che tre titoli olimpici, ottenuti nel2004, nel 2008 e nel 2012. Proprio al-le ultime Olimpiadi di Londra Saoriè diventata la prima donna ad otte-nere tre ori consecutivi nella lotta, alpari della connazionale kaori Icho,battendo così l’ennesimo record,quello di ori ottenuti consecutiva-mente, tra Mondiali ed Olimpiadi,detenuto dal solito Aleksandr ka-relin (12: 9 Mondiali e 3 Olimpiadi),e portandolo a 15 (12 Mondiali e 3Olimpiadi).Una carriera ricca di vittorie dun-que, quella della Yoshida, iniziatacon il titolo Mondiale, da totale sco-nosciuta, vinto nel 2002. Dall’annoseguente non è più una sorpresa e daallora colleziona solamente vittoriefino al 2008, quando, anche la giap-ponese conosce il sapore della scon-fitta: il 20 gennaio 2008 (0-2) nellaprova di Coppa del Mondo di Pechi-no contro la statunitense Marcie Van

di Davide Scandura

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settembre | dicembre 2014 | DOPPIO l’AZIONE

Dusen, dopo un’incredibile serie di119 vittorie consecutive. In seguitovince altri 58 incontri di fila, primadi incappare nella sconfitta numerodue della sua carriera (1-2) il 27 mag-gio 2012, sempre in Coppa del Mon-do, ma questa volta davanti al pub-blico amico di Tokyo, al cospettodella russa Valeria Žobolova. Que-sto resta tutt’ora il suo ultimo in-contro perso. La Yoshida, che è stata anche il por-tabandiera del team giapponese alleOlimpiadi del 2012, ha trionfatoquindi nell’ultimo Mondiale batten-do in finale la svedese Sofia Matts-son. Una finale complicata ma gesti-ta nel migliore dei modi dalla giap-ponese che passa in vantaggio dopoun minuto fatto di finte e contro fin-te e poi, nel secondo round, consoli-da il risultato agganciando la gambadestra della Mattsson e trascinan-dola fuori dal cerchio: altri 4 punti evittoria. Un successo fatto di proie-zioni, atterramenti, sbilanciamentie controlli, dedicato interamente alpadre, Eikatsu Yoshida, campioneolimpico 1964 nella lotta libera scom-parso appena sei mesi prima, non-ché ex allenatore della nazionale che

ha “iniziato” la formazione alla lottadi Saori già a tre anni.Insaziabile, dopo appena un mese, laYoshida trionfa anche agli Asian Ga-mes 2014 di Incheon ribadendo la pro-pria supremazia e tornando a domi-nare la categoria 55 kg per la quartavolta consecutiva nella rassegna qua-driennale del continente asiatico.netta (12-1) la vittoria in finale con-tro la mongola Sundev.Ma la storia, per Saori, non finiscequi, ad attenderla ci sono infatti leprossime Olimpiadi di Rio, che leistessa ha promesso di vincere. Lalotta è la sua vita; e solo chi ha vintotanto può sapere cosa significhi af-frontare ogni volta il prossimo av-versario come fosse il migliore. Già,perché, quando una rivale si trovadavanti Saori una cosa è certa, quelladarà sempre il massimo per provarea batterla; chi ha da perdere è sola-mente lei.

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l’IDEA DOPPIO | settembre | dicembre 2014

a sagoma dell’aggredito era asser-pata a lato della strada; non si muo veva.Temetti per lui, che fosse ormai spaccia-to. Lo girai sul dorso e riconobbi il visodel vecchio negro che stava spesso sedu-to accanto al mio locale. nel fianco, al disotto della maglietta, gli notai una mac -chia, un po’ arre trata, già quasi sulla schie-na: sangue, forse, per una coltellata; e al-tro sangue gli sporcava il viso, insiemecon lividi e gon fiori. Ma per fortuna res-pirava, sebbene avesse le palpe bre soc-chiuse nell’agghiacciante espressionedei morti, e i globi degli occhi rovesciatiall’indietro. C’era una fontana lì vicino ein trisi di acqua un fazzoletto con cui de -tersi il viso al fe rito: si rianimò, aprendogli occhi. Restava immobile e silenzioso.Me lo cari cai di peso sulle spalle, per por-tarlo a casa mia. La ferita al fianco era un altro occhio aper-to, ma di colore carminio. Avevo ripulitocon l’alcol i mar gini del taglio e potei con-statare come esso si schiudesse so pra ilresiduo di uno squar cio più an tico, ossiasi no tava come la lama, pe ne trando, aves-se lacerato in diagonale un anello di tes -suto fi broso e duro, che era un’evidentecicatrice. Questo è quanto ero riuscito a capire;immediatamente sentii come un rag-gio che mi colpisse al cuore e nel cer vel-lo, portandovi la chiarezza di cui avevobisogno. Scrutai l’uomo ab ban donato sul mioletto. Que sto era mio padre. In anni lon-tani, un taglio impietoso aveva provvi-sto a separarci.Il ferito aprì gli occhi e li girò verso di me;gli andai vicino e mi misi in ginoc chio. Vo levo recitare una pre ghiera, non neconoscevo nessuna, lasciai sempli ce men-te che mi uscisse dalle labbra un la men-to, come un pianto di speranza e an cheun canto. Continuai per tutto il tempoche lui mi guardava smarrito. Penso cheanche lui mi avesse ri cono sciuto perchéno tai qualcosa attraversargli lo sguardo,come un tremore del pensiero, uno scat-to della mente. Forse mi avrebbe abbrac -ciato, se le forze lo avessero sostenuto,ma la ferita aveva preso di nuovo a san-guinare. Cominciò un’emorragia. Le suelabbra, piegate in un ghigno, che in con-dizioni normali sarebbe stato un sorri-so, erano adesso del colore del fango: sul-la fronte grosse gocce di su dore disegna-vano come una ghirlanda. Tracciò un se -gno in aria con le mani annaspanti, forsevoleva che mi facessi più vicino. La miate sta adesso quasi sfiorava la sua. Far-fugliò qualcosa di incomprensibile. Poiuscirono i rantoli. Lo abbracciai con forza illudendomi checosì avrei potuto ricacciare indietro lamorte.nello sforzo avevo tenuto gli oc chi chiu-

si; quando li ebbi riaperti vidi che ormaiera morto.Mi staccai da lui; nel suo sguar do si eradiffuso il gelo. non so quanto tempo rimasi in piedi alcen tro della stanza fissando il corpo dimio padre in ghiottito dall’abisso. Ri-cordo soltanto che mi ri portò in me unimprovviso dolore, lì nel mio fianco, aiconfini con la schiena. era successo che, mec canicamente, ave-vo scavato con un’unghia la mia cica -trice tanto che ne era sal tato via il primostrato; adesso ne usciva come un liquidorossastro. Andai di là in uno stambugio e ne tor-nai con una corda di rafia bianca: un ca-po me lo cinsi in torno alla vita, strinsil’altro capo at torno alla sua. Così legatipoi mi distesi nel letto accanto a lui, e,evitando di ca dere addormentato, miobbligai a fare il vuoto nei miei pen sieri,per l’intera durata della notte. Come il primo rag gio mi colpì gli occhipenetrando dalla serranda, sciolsi il mionodo poiché dovevo andare fuori. Fioriva ora in agosto una siepe di gel -somini in una lin gua di ter riccio giù nelcortile, ne raccolsi te neri sarmenti; nelmagazzino an nesso alla bir reria ricupe -rai una carriola. Mi costò lavoro accomodare il corpo dimio padre: gli arti rifiutavano di pie gar-si, e comunque alla fine mi fu possibileridurre la salma nell’incavo della car rio-la profonda come una culla, sebbenebraccia e gambe conservassero una ri -gida scompo stezza da manichino; ma lebraccia poi riuscii a incrociar gliele sulpetto. Ornai il suo corpo o meglio quasi lo som-mersi con i gelsomini uguali a minuscolemorbide stelle, mentre intrecciai alcunitralci in una corona che gli posi sulla te -sta come un serto. Ristabilii a questo pun-to il contatto tra di noi allacciandomi dinuovo sulla vita la rafia bianca. Mi mossi allora spin gendo davanti a mela carriola. Ormai il sole batteva sulle strade. Per es -sere di dome nica, si nota vano rari pas-santi. Tutto il quartiere viveva il suo ri-poso con un’aria di distratta indo len-za tanto che solo alcuni mi lancia ronosguardi cu riosi e po chissimi di sgo men-to. La carriola con la sua ruota di gommarim balzava alle fre quenti com messuretra le basole e a ogni sus sulto mi annuivail capo di mio padre, co ro nato. Levai un canto privo di parole, il piùstruggente che mi ve nisse.

FIne

L

A PAGINA 21 g Cristiano CeroniSenza titolo2014, olio su tela, cm 31,5 x 22

ACCANTO I Cristiano Ceroniillustrazioni dei capitoli precedenti

di Giuseppe Bella

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l’IDEA

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di Antonio Casciaro

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l’INCIPIT MOVIE DOPPIO | settembre | dicembre 2014

Deus sive natura, così parlo Spinoza.Ma non solo immanenza; anche tras-cendenza nell’opera di SebastiãoSalgado. Il grande fotografo lavora perricostruire; è qui il vero senso dellasua fotografia; è qui la forza trascen-dente dell’immagine. Una ricerca con-tinua. Un viaggio continuo. Alla ricer-ca dell’inizio, prima della messa in at-to di una distruzione crescente, tipi-camente moderna. Tornare all’origi-ne, questo è il senso della fotografiadi Salgado.

È con questa passione che Wim Wen-ders e Juliano Ribeiro Salgado realiz-zano un film magicamente espressivosu questo straordinario fotografo.“Una cosa l’avevo già capita di que-sto Sebastião Salgado, gli importavadavvero della gente, dopotutto la gen-te è il sale della terra”; così si esprimeWim Wenders; e così, valutando lacapacità del film di essere “una testi-monianza interessante del nostro tem-po e una riflessione sulla condizioneumana a livello mondiale che mostrala possibilità di sperare per l’umani-tà”, la giuria del Festival di Cannes 2014

riconosce al film una Menzione Spe-ciale nella sezione Un Certain Regard.L’opera di Salgado dimostra che la tec-nica non è tutto in fotografia; anzi, nonè neanche molto. Per dirla con euge-ne Smith “A cosa serve una grande pro-fondità di campo se non c’è un’ade-guata profondità di sentimento?” L’i-dea, lo sguardo, l’emozione e la capa-cità di avere un progetto è determi-nante. Lo stesso dicasi per la cinema-tografia. La capacità di Wenders diapprezzare l’opera di questo stra-ordinario fotografo, e di saperne in-terpretare gli umori, l’anima e lavoca- zione spirituale non è neanchequesto un fatto tecnico. È cultura esimbolo. In altri termini: arte comefatto sociale. Relazionale. Ma anchepsichico, fatto empatico. Inconscio ecoscienza. Archetipi che si srotolanonel tempo. È così, quindi, che questo documen-tario ci porta ai poli dell’evoluzioneumana: all’inizio e alla contempora-neità. Salgado, documentando cata-strofi sociali ed ambientali, ci rivela

il suo stato interiore; quello di un es-ploratore di anime: umane, animali,vegetali. L’economista che diventa fo-tografo, il fotografo che diventa esplo-ratore, l’esploratore che diventa poe-ta e, con passione, parla per immagi-ni. e le immagini che ci propone Wen-ders, anch’egli fotografo, sembranosublimare tale passione in impres-sione. Sì, perché di questo trattasi; ilfilm lascia in noi spettatori una trac-cia, un’impronta indelebile nei nostriabiti mentali. Un messaggio che at-traversa il tempo e lo spazio e ci con-duce verso qualcosa di profondo, incui tutti noi siamo immersi; volenti onolenti. Abituati alla finzione, andia-mo verso la realtà più cruda. Fauna, flo-ra, bellezza, morte. Tutto questo - pa-radossalmente - ci riporta alla vita: alsale della terra. Voi siete il sale della terra -dice il Signore - ma se il sale perde il sa-pore, con che cosa lo si renderà salato? A nul-l’altro serve che ad essere gettato via e cal-pestato dalla gente” (Matteo 5, 11). Tutti siamo chiamati a dare saporealla vita. Alla ricerca dell’inizio.

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Le FASTOSe CeNeDI PAOLO VeRONeSe

di Gianni MorianiTerra Ferma | 2014 | pp. 144

Di tanto in tanto si annida con sot-tile perfidia all’interno dei buoni pro-positi un secondo e inatteso risulta-to. e’ questo il caso del libro Le fastoseCene di Paolo Veronese (edito da TerraFerma), scritto da Gianni Moriani(vice direttore del Master in Culturadel Cibo e del Vino all’Università Ca’Foscari Venezia) e distribuito [...] incoincidenza con l’importante ras-segna dedicata al grande pittore delCinquecento a Verona (nelle ampiesale del Palazzo della Gran Guardia;chiusa lo scorso 5 ottobre). A partiredal titolo, esso ci ricorda come nonsarà mai possibile restituire in ununico itinerario espositivo la partepiù grandiosa e stordente di questoformidabile ideatore di immagini, de-finito da Berenson “il più grandemaestro di visione pittorica, comeMichelangelo è il più grande mae-stro di visione plastica”.Impensabile, infatti, presentare in se-quenza le sue spettacolari e gigan-tesche Cene, “maestose invenzioni”(Ridolfi 1648). Anche se il pensieronon può fare a meno di ricordare chel’unica ad aver mantenuto l’origina-ria collocazione - dopo essere stata ri-composta come un puzzle di 32 tes-sere, a causa delle sciabolate dei sol-dati austriaci nel 1848 - è la Cena diSan Gregorio Magno, ancor oggi ap-pesa nell’antico refettorio dei frati,nella Basilica di Monte Berico a Vi-cenza. non che nelle misure più con-tenute Veronese perda i toni intensidi una luce chiamata ad esaltare unospazio mentale “primaverile” e percerti versi astratto, fulgido nel suobattito interiore, solare, la cui aria pu-lita e festosa percorre e bagna ognitono, ogni cadenza cromatica, ognistato d’animo. Ma è nelle vaste di-mensioni che l’incedere felice e mira-

coloso del suo dipingere si trasforma in impareggiabileracconto. Un veneziano arrivato da fuori, quando giàaveva superato i ventitré anni, dopo essersi formato a Ve-rona - dove era nato nel 1528 (morirà nel 1588) - nellabottega di Antonio Badile, le cui finestre erano aperte indirezione del manierismo, di Correggio, di Parmigianino,della pittura fiorentina e romana, filtrata attraverso Giu-lio Romano, presente nella vicina Mantova. Un vene-ziano dal “crepitante” cromatismo, che riflette sull’arteclassica, sulle bianche architetture di Sanmicheli primae di Palladio poi. Scrive Guido Piovene: “Veronese, in-teriorizzato il Palladio e giovandosi del suo mezzo spic-cio sembra realizzarne i sogni” per poi aggiungere, congrande sensibilità di sguardo: “la luce gioca non come innatura, ma come negli spazi dell’architettura in cui sor-genti luminose ed effetti vengono predisposti dall’archi-tetto”. Così è Veronese, “il suo tono non cade mai in fallo,ogni suo colpo dice e conclude” (Aleardi), progetta e con-torna la luce, così da creare placche luminose in grado di

scandire una musicalità al cui suono è impossibile sot-trarsi. Infatti, chi si pone di fronte ai suoi quadri, comescriverà nel 1762 Algarotti “non è contento solo di veder-li, vi vorrebbe, per dir così, esser dentro, camminargli asuo talento, cercarne ogni angolo più riposto”, poichétutto, come ancora osserva Piovene “sembra verosimile,e possiamo andarvi anche noi”.Quali sono queste Cene? Una, la prima, la Cena in casadi Simone, l’unica ad essere dipinta a Verona, per il con-vento benedettino dei Santi nazaro e Celso (1556): è allepareti della mostra e questo è un evento nell’evento. Poil’imponente tela delle Nozze di Cana (1563) eseguita perSan Giorgio Maggiore a Venezia e ora al Louvre; quindi,due rappresentazioni della Cena in casa di Simone , ent-rambe dipinte agli inizi degli anni ’70, una alla Pinacotecadi Brera e l’altra a Versailles. Inoltre c’è la celebre Ce- nain casa Levi, ora alle gallerie dell’Accademia a Venezia,la cui vicenda è stata ricostruita in forma di raccontoanche in “Processo per eresia“ da Neri Pozza. episodio(1573) citato non solo quando si parla di Veronese, maanche quando capita di affrontare uno degli argomenticentrali della storia dell’arte: il rapporto tra artista e com-mittenza.nel 1887, tra i documenti, si scoprì il verbale di un pro-cesso che vedeva il pittore accusato dall’inquisizione peraver trattato con inaccettabile leggerezza uno dei temimaggiormente rappresentativi della cristianità: L’ultimacena, dipinta per il refettorio del convento dei frati do-

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l’APOSTROFOsettembre | dicembre 2014 | DOPPIO

di Silvio Lacasellamenicani dei Santi Giovanni e Paolo. Tra le altre cose glivenne contestato di aver inserito nella rappresentazione,a poca distanza da Gesù, un cane, un nano buffone indaf-farato col proprio pappagallo, alcuni soldati tedeschi conl’alabarda, persino una figura intenta a tamponarsi il san-gue dal naso. Se non fosse per il Cristo seduto al centro, sulquale l’artista fa confluire una luce diversa, in effetti Ve-ronese sembra raffigurare un comune banchetto, di quelliche stancamente si trascinano verso la fine in un’atmosfe-ra annoiata.A sua difesa l’artista disse cose semplici, tra queste: “noipittori ci prendiamo le stesse libertà che sono consentiteai poeti e ai matti”. Tutt’altro che matto, nel cuore tenevastretta la propria arte, difendendone orgogliosamente lafonte segreta. essa contava più di tutto il resto. Infatti,anche in quella circostanza, anziché abbassare il capo difronte all’inquisizione, accettando di modificare la scena,ritenne più conveniente cambiarne il titolo e fu così chela celebre tela, lunga quindici metri e alta più di cinque,

come per magia, si trasformò nella “Cena in casa Levi”.Se Veronese, dunque, dipinge la luce, è pur vero che egliquella luce la trova nel proprio tempo, ecco perché tra-sferisce ogni dettame iconografico in una particolare e,solo sua, visione del mondo. Ovviamente, queste libertà,tanto ammirate quanto impensabili per altri pittori a luicontemporanei, venivano guardate con sospetto dai “con-trollori della morale”. nella teatralità della rappresenta-zione, egli restituisce una verità percepibile. Il libro diGianni Moriani, accompagnato da una nota introduttivadi Paola Marini, ha proprio il merito di introdurci nel-l’ambiente tradotto per immagini da Paolo Veronese: Pau-lino spezzapedra, cioè “tagliapietra”, come veniva all’iniziosoprannominato l’artista, ricordando il lavoro del padre.Quando Moriani scrive “il Cinquecento è il secolo in cuisi afferma in Italia, nel banchetto, la nuova arte culinaria.Appaiono i professionisti: addetti al servizio e alla cu-cina. Le sale da pranzo vengono allestite come veri e pro-pri teatri”, nei dipinti di Veronese entriamo senza in-ciampare. Così come quando egli si sofferma sull’impor-tanza culturale, non solo economica e sociale, delle stoffee dei tessuti nella Venezia del tempo: velluti, sete, lane,preziosi decori e merletti (ma lo stesso si può dire per igioielli). Una contestualizzazione storica che ci aiuta acomprendere meglio come gli elementi decorativi ries-cano a trasformarsi nei suoi quadri in ipnotizzanti per-corsi di luce. Fili che si attorcigliano allo sguardo con raf-finata e sensuale eleganza.

IN ALTO k Paolo VeroneseLa cena in casa di Levi1573, olio su tela, cm 555 x 1.280 Venezia, Gallerie dell’Accademia

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LONG HAIR INTHRee STAGeS

Burn\Smother

A tre anni da Like a Fire in a Cave i ca-tanesi Long Hair In Three Stages(www.lh3s.net) ritornano con unnuovo album. In mezzo un cambia-mento nella formazione originale:Roberto Risicato viene sostituito albasso da Salvo Pedalino.In Burn\Smother, noise rock e melo-die catchy che si mischiano, si se-parano, si scontrano e si riabbrac-ciano. I brani legati alla critica sociale so-no pervasi di rabbia, voci declama-

Cantautore raffinato Adolfo Decec-co, che recupera la tradizione can-tautorale del passato, senza cadereneanche un momento nel tentativodi essere l’ennesimo moderno can-tautore dai testi complicati, spessofalsamente naturali.Questa sua genuina propensione, loporta a scrivere e comporre lirichesemplici, di immediato approccio,riuscendo a catturare immediata-mente l’attenzione anche grazie aitemi attualissimi raccontati in Met-romoralità. Dececco al suo secondoalbum, appare pienamente maturonel riuscire a parlare di quello chelo circonda attraverso la sua mu-sica, fatta di folk e atmosfere deli-cate che richiamano cantautori co-me Tenco, De Gregori o Venditti.Diverse citazioni interessanti: daiBeatles ai Rolling Stones, da He-mingway a Kerouac.Dececco butta lì delle critiche versola superficialità che ha preso piedenelle generazioni di oggi, che tra fa-cebook e iphone, perdono (o nonhanno mai avuto) il contatto con unarealtà certamente precaria sottomolti punti di vista. Metromoralità èun disco che cammina sicuro su unastrada tracciata, fatta di melodie pu-lite, semplici, accattivanti in alcune

Il Primo Disco era Meglio, dicono loro.Io dico che ad essere decisamentemeglio è il secondo. Si, perché dibands rockeggianti un po’ anni ’90,un po’ Faith no More, che fanno mu-sica d’oltreoceano ce ne sono tante

te, chitarre incendiarie (Smash yourTV, Digital Artist). Feedback e caosper combattere la vacuità della so-cietà dello spettacolo e dei finti al-ternativi. Vi si può avvistare quell’ur-genza tipica delle band indie ame-ricane a cavallo tra gli anni ’80 e ’90.A brani corrosivi si alternano pezziintrospettivi, malinconici, lenti e di-spiegati su un basso riverberato (Peril Bambino che Eri, Down). Trovano spazio anche momenti gio-iosi come in Summer Breeze.I LH3S suonano quel che fanno efanno quel che suonano. Da sempreimpegnati nelle lotte civili legate alterritorio: contro l’installazione delMuos (a tal riguardo hanno scrittouna canzone), solidali con i ragazzidel centro sociale sgomberato “ex-peria” (nel precedente album tro-viamo una pezzo ad esso dedicato). Come se non bastasse, il cantantecrea una sorta di etichetta chiamata“noisewave” dalla struttura oriz-zontale e volta alla cooperazione re-ciproca nello scambio di serate, in-formazioni, contatti tra diverse bandsiciliane. nel roster anche TheCrackers, Loc17, Vodkafish, ColdCold, Basiliscus-p e Maple Syrup.“Pensare globale, agire locale”.

Gaetano Giudice

e i Majakovich con il loro primo la-voro, Man Is A Political Animal By Na-ture, erano tra queste. Ma il terzettoumbro ha saputo rinnovarsi, met-tersi in gioco, raccogliere 6 anni diricordi, esperienze, delusioni, lac-rime amare e sfornare undici trac-ce dal sapore genuino, tutte in ita-liano: un’assoluta novità!Il Primo Disco era Meglio ci presentaun rock diverso, ritmi caotici e testiben strutturati. Gli strumenti e levoci si fondono perfettamente traloro in un’armonia travolgente, pa-role forti e spesso cariche di rabbia,ma il tutto è squisitamente canta-bile. Impossibile non citare braniquali La Verità (è che non la vuoi) oDevo Fare Presto, ma la mia preferitaè di certo L’Hype del Cassaintegrato, èdifficile non cantare almeno unavolta “ed io non me lo scordoquell’inferno, faceva troppofreddo”, la frase mi rimbomba intesta ancora adesso. I Majakovichci raccontano in (circa) 40 minutila cruda realtà della vita, la sceltadell’italiano è azzeccatissima po-iché rende il concetto ancora piùchiaro, e il primo pensiero che miviene in mente è che dal vivo de-vono essere davvero pazzeschi.Il disco si sviluppa sotto la sapienteregia di Tommaso Colliva, il qualeha prodotto, registrato e mixato l’in-tero album. Colliva è stato il precur-sore, colui che ha spinto la band aritornare in studio e li ha condottiverso una nuova e coraggiosa scelta:quella di rinnovarsi. Intraprenderenuove vie e sperimentare ambientidiversi è difficile e rischioso ma larinascita dei Majakovich fa capirequanto ne possa valere la pena.

Viviana Sbriglione

situazioni, che riprendono non po-co il sound del cantautorato classi-co italiano. Tanti i nomi importanti dietro laproduzione di Metromoralità: Vin-ce Tempera, Guido Guglie lminet-ti, Elio Rivagli, Alessandro Ariantiper citare alcuni, che probabilmen-te hanno portato quella pennella-ta di eleganza avvertita per tutto ildisco. Le tracce che rimangono inmente sono più di una, soprattuttoper i testi mai banali. Oltre al singolo Metromoralità, la ro-mantica Chiara che Pensi e Il Tempodell’Amore, colpiranno gli animi piùsentimentali.

Sisco Montalto

Rubrica a cura diClap Bands Magazine

l’ASCOLTO

NEWL’iNK26

l’ASCOLTO DOPPIO | settembre | dicembre 2014

ADOLFO DeCeCCOMetromoralità

MAJAKOVICHIl primo disco era meglio

Majakovich i

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www.new-link.it [email protected] - dicembre 2014 free press15 16 DOPPIO COPERTINA 2

ANCORA?

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l’INTERVISTA

La sceneggiatura racconta la vita del protagonista del film il Sig. Leonid Golyak, capo alle-natore della squadra nazionale ucraina delle discipline acrobatiche sportive, riassunta inpoche settimane (maggio - giugno 2014). La narrazione riguarda principalmente la prepara-zione sportiva per il torneo in Polonia e il campionato ucraino nel giugno 2014 ma nel con-tempo si descrive anche la vita privata del protagonista, proposta nella forma del Decalogo,con l’intento di far nascere l’idea dei Dieci Comandamenti del Nuovo Testamento introdu-cendo quindi il tema della Fede. Una delle novelle, nelle quali è strutturato il film, sotto iltitolo “Lacrimosa” è dedicata allo stato attuale dell’Ucraina denunciandone il terrorismo.

“La capacità di scegliere è la preziosissima proprietà della ragione” (T. Wilder) “I migliori libri sono quelli che più degli altri fanno pensare” ( T. Parker)

O.f. nel tuo lavoro il tema dello sport si intreccia con la vita, con il quotidiano,con la società, mettendo in evidenza anche i fatti cruenti di oggi. La storia politi-ca, con i risvolti attuali, rientra nel tuo lavoro facendo risaltare l’importanza e il le-game tra artista e società. Qual è la tua considerazione in merito?G.B. La scelta è una condizione che riguarda ed esiste in ognuno di noi. La prendoin considerazione nei miei filmati, dalla scelta dei protagonisti di un mio lavorochiamato appunto La Scelta - che racconta di una piccola bambina adottata e ilmarito-padre che riesce a vincere e togliersi dalla mente il suo senso di “non amore”verso la moglie - così come il protagonista del corto Angeli miei è combattuto dal-l’idea di suicidarsi o no. Anche nel mio recente film Decalogo dell’allenatore Go-lyak il personaggio ha fatto la sua scelta, dedicandosi al lavoro e trasformandoloin un hobby in modo da rendere la sua vita felice. Ogni giorno, così, la routinequotidiana diventa felicità della sua esistenza: nuotare nel fiume-piscina, il la-voro, la famiglia, i suoi allievi, sono fasi che scandiscono la pesantezza dei mo-menti organizzativi per giungere alla fine all’ascesa al podio dei vincitori. Per lui tutto ciò rappresenta una “vecchia tradizione” di vincere che ha convertitoin una festa silenziosa, e per questo più intima che dimostrativa, poiché la gioiasi estende nella possibilità di seguire la sua scelta, completando la “chiamata”. Lastoria si ripete non solo negli eventi ma anche nelle vite delle persone di cui l’al-lenatore è partecipe (sensa esclusione delle regole) - lui difatti ha molto in comunecon il povero lavoratore biblico Iove e con Mosè che godevano ogni momento dellavita, pur se di stenti, per completare la loro missione terrestre: “c’è più gioia neldonare che nel ricevere”, ottima citazione per descrivere il protagonista, - essendouna persona che allena e si dedica alla gente, preserva la famiglia e manifesta laFede in ogni sua azione. La narrazione del film, a cui ho dato forma di Decalogo,ha una certa affinità con il nuovo Testamento, che mi ha permesso di descriveree presentare la vita quotidiana seguendo delle narrazioni (novelle) conosciute. Ititoli del decalogo, tra cui “La Virtù”, “Ascensione”, “Discepoli”, “Angeli del-l’Universo”, “Nido familiare” dipingono la vita attraverso gli occhi di una personasaggia, semplice, un gran lavoratore che non si lamenta di nulla e non pretende

di Ornella Fazzina

altro oltre ciò di cui è in possesso. L’obiettivo, da regista, è stato quello di volerassociare la figura dell’allenatore con quella del coltivatore della “sua terra” intesada ciascuno, da ogni persona, come la volontà di cercare in silenzio di realizzarela propria missione e il proprio compito datogli dal Signore. Il filmato è stato gi-rato in un periodo terribile e davvero difficile per l’Ucraina, un periodo di crisiche segna il passaggio da un sistema fortemente corrotto alla libera società chestava anche per perdere la sua integrazione storica. Lo scopo del film è, in qualchemodo, quello di correggere e frenare il “mondo che è fuori commessura” e di pro-porre un personaggio che riesce a portare equilibrio e creatività durante i cam-biamenti sociali drammatici (crollo del presidente corrotto, “Centinaia del Cielo” -quelli uccisi a Maydan la piazza principale di Kiev -, l’annessione della Crimea...).O.f. In generale, qual è la situazione cinematografica in Ucraina riguardo il cine-ma indipendente, quello che sta fuori dai grandi circuiti internazionali? e qual èl’orientamento attuale?G.B. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e dopo l’atto di Indipendenza del-l’Ucraina proclamato nel 1991 la cinematografia ucraina si è trovata in una situa-zione difficile e occorreva imparare tutto dall’inizio. era nata una realtà nuova incui era possibile non solo lodare il comunismo ma anche gridare contro di essosenza aver paura delle conseguenze. Artisti-professionisti hanno avuto la possi-bilità di creare con facilità opere d’arte nazionali, organizzare e dar vita a istitu-zioni creative senza la coordinazione da parte del partito comunista. Il cinemaoccidentale, costretto a certe limitazioni in questi anni, ha conquistato la co-scienza dello spettatore come prima hanno fatto le telenovela brasiliane e ancoraprima i film indiani. Lo spettatore cercava la libertà e lo spettacolo.Un nuovo livello di qualità delle riprese, le scene schiette, la diversità del genere,investimenti straordinari nei film hanno spostato praticamente nella periferia italenti nazionali, in un altro settore dell’attività - nella nicchia dei telefilm per lecasalinghe, cioè quel genere di film che fa compagnia alla donna nelle faccende do-mestiche. Attualmente la cinematografia ucraina si trova nella fase iniziale anchese esiste il programma dello sviluppo e distribuzione dei film nazionali lanciatodall’Agenzia statale per la cinematografia. Però manca il finanziamento adeguato. In breve ecco i risultati degli ultimi anni: YuriyIllenko con il suo film del 2012Quello che ha passato per il fuoco, nominato nel 2012 per l’Oscar. era il secon-

Il regista ucraino Georgii Biloshytskyi, in occasione del suoultimo lavoro “Decalogo dell’allenatore Golyak” che loha visto presente al Baku International FICT Sport Film Festi-val, Repubblica dello Azerbaijan a novembre 2014 e nel mesesuccessivo a SPORT MOVIES & TV 2014-Milano Internatio-nal FICT Fest, ci ha rilasciato una importante intervista sullostato in cui vige la sua nazione, parlando di politica e società at-traverso lo sport e il linguaggio dell’arte cinematografica, e sof-fermandosi sulla situazione attuale del cinema in Ucraina.

+ IN ALTO | Georgii Biloshytskyi hkm IN QUESTA PAGINA E A PAGINA 27

Frame dal “Decalogo dell’allenatore Golyak” | (Ph. Courtesy G. Biloshytskyi)

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l’INTERVISTA

do film nominato per il premio dell’Accademia americana dopo il film di OlesSa-nin, Mamay del 2003. Un grande successo ha avuto il cortometraggio di Mari-na Vroda, La Corsa che nel 2011 ha vinto La Palma d’oro di Cannes Festival. Siricorda che lei ha vinto il terzo posto al festival di Monaco nel 2007 per il corto-metraggio di 13 minuti La pioggia. Una delle tecnologie moderne nella cinema-tografia ucraina è l’uso della tecnologia 3D. nel 2013 è apparso il primo film hor-ror nazionale Synevir. È da segnalare inoltre anche il primo film della Crimea-Tataro di Akhtem Seytablayev, khaytarma che è stato dichiarato il miglior filmdei paesi della Comunità degli Stati indipendenti e Baltia durante il concorsorusso “nika” nel 2014. Il film racconta del periodo drammatico del 1944 riguardoalla deportazione del popolo tataro fuori dalla Crimea.O.f. Come nasce questo tuo cortometraggio e cosa ti ha spinto a realizzarlo?G.B. nel mese di maggio scorso ho saputo del festival internazionale di Milanosullo sport “SPORT MOVIES & TV previsto nel dicembre del 2014 e ho deciso dipartecipare facendo un filmato sulla storia del capo allenatore della squadra na-zionale ucraina di ginnastica acrobatica. Lui è della stessa città in cui vivo, Vin-nytsya. Interessante è il fatto che nel 1968 ho provato ad iscrivermi alla scuolaacrobatica di Vinnytsya per praticarla, non ho superato le prove e sono passatiquasi 40 anni che di nuovo mi sono trovato ad entrare in quella vecchia palestra,una ex sinagoga, per girare il film. Il cerchio si è chiuso però in una maniera ina-spettata. In due mesi ho finito di girare il filmato e ad inizio del mese di luglio ildocumentario era pronto. L’equipe era numerosa: il cameraman, mia figlia Ka-trin che ha scritto la musica e suonato alcuni pezzi al pianoforte, i responsabilidel montaggio, gli autori del testo, il direttore della fotografia, etc. Inizialmentel’intenzione era quella di realizzare un film solo sullo sport, con il tempo però hodeciso di legare lo sport alla situazione di crisi che attualmente c’è in Ucraina. Volevo far vedere come una persona agisce in situazioni che lei stessa non puòfermare oppure influenzare. Rimane solo la forza di continuare a lavorare e farvincere la squadra durante i tornei internazionali, perché solo in quel modo si puòattirare l’attenzione della comunità mondiale sulla situazione in Ucraina in unperiodo di aggressione da parte dei terroristi e della Russia. Ho cercato di dare alprotagonista un taglio che lo facesse apparire come il tipico uomo di fronte allaguerra, l’uomo in generale, da qualsiasi parte del mondo esso provenga, poiché

quello che risalta è il conflitto tra la guerra e l’uomo. Proprio per questo motivoho introdotto anche la forma del Decalogo, di cui ho parlato prima, per renderel’idea dell’universalità. e per questo motivo il risultato è un film pacifico, controla guerra. e ne sono fiero. Mi pare che il protagonista abbia preso i tratti somaticidel protagonista del mondo, lavoratore, rispettoso, pacifista, pieno di fede e par-tecipe del dolore degli altri.O.f. nel racconto dell’allenatore hai inserito vicende del suo passato giocandocon il bianco e nero o il seppiato, ricostruendo così un’atmosfera di altri tempi,un tempo nostalgico e poetico, di forte intensità emotiva, così come alcune asso-ciazioni di immagini che sono delle metafore di grande effetto. nella costruzionetecnica dei tuoi lavori equilibri sempre la dimensione reale con il simbolo, la me-tafora con una dimensione, quindi, suggerita dall’intuizione e capacità inventiva?G.B. È certo che i simboli sono molto importanti in qualsiasi opera d’arte. Il simbo-lo spinge a riflettere, a fare dei paragoni, a comunicare un messaggio importante.Ogni secondo di un filmato, possibilmente, deve essere pieno di informazioni perarrivare ad una conclusione logica proposta dal regista. Analizziamo alcuni mo-menti del film Decalogo dell’allenatore Golyak. L’inizio della prima scena è un fiumesereno e rappresenta per me il concetto dell’eternità, dell’integrità... l’uomo chenuota verso la chiesa, la fede, e che chiede sempre una rigenerazione e riflessioneper non perderla.... poi, il passaggio diretto dal fiume ad una palestra - trasferi-mento delle idee di colui che sta cercando Dio nella sua attività quotidiana, la lu-ce della palestra che si accende (dal buio alla luce) - il teatro, palcoscenico sulquale si svolgerà l’azione... e il protagonista, in una sala illuminata, è come l’attoredi un ribalta in cui siamo tutti attori... e inizia a presentare lo spettacolo... sullapiazza di Kiev la panoramica delle foto dei manifestanti uccisi dalla polizia go-vernativa che finisce in una bandiera dell’europa unitaria, nell’auspicio che le vit-time si sono sacrificate per il bene dell’europa e della sicurezza generale… è unarichiesta d’aiuto all’europa per porre fine al conflitto... le ombre dei bambini sullaparete - il segno di morte... ma alla fine del filmato si vede il simbolo della vittoriadell’Ucraina. Le stesse tre sportive continuano la loro esercitazione che era statainterrotta nella novella intitolata “La Lacrimosa”.È certamente importante, in un contesto artistico, adoperare segni e simboli, e allostesso modo è importante saperli decodificare e leggere.

Georgii Biloshytskyi (Vinnytsya, Ucraina 1961)

Regista indipendente. è laureato presso l’Università nazionale di Kyiv,Facoltà di Lettere, in Lingue e Politica Mondiale. E’ in possesso del certi-ficato B2 di conoscenza della lingua italiana, è interprete di inglese e fran-cese e traduttore di italiano. Parla russo, inglese, francese, italiano, spagno-lo, tedesco, polacco. Ha insegnato inglese presso l’Università politecnicadi Vinnytsya; ha svolto attività giornalistica alla TV di Vinnytsya; ha fattopratica come interprete negli Stati Uniti, Philadelphia. Ha frequentatol’Università nazionale cinematografica di Kyiv, Ucraina, Facoltà di regiatelevisiva e cinematografica. Ha al suo attivo una filmografia incentrataprincipalmente su tematiche sociali, storiche e politiche.

NOTA BIOGRAFICA

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l’APPUNTO

di Michele Romano

selezione in collabora-zione con la filmote-ca Regionale Sicilia-na e con l’Aamod (Ar-chivio Audiovisivo Mo-vimenti Operai e Demo-cratici). In programmala Parabola d’oro diVittorio De Seta(1955),scorcio straordinariodi quel mondo perdutodella vita contadina o ilfilm di Massimo MidaNuovo impegno(1968),con le immagini dei gio-vani volontari arrivatinel Belìce da tutta Ita-lia ad aiutare le popo-lazioni colpite dal sisma. nella continuità con-temporanea si è proiet-tato La crociera dellebucce di banana(2012)di Salvo Manzone, con la vicendadi una donna di Stromboli in con-flitto con l’Amministrazione comu-nale per affermare il principio di unacorretta gestione dei rifiuti sull’i-sola, e ancora Lo stato della follia(2013), il film di francesco Cordiocon il racconto in prima persona diun attore, ex internato in uno degliultimi sei Ospedali Psichiatrici Giu-diziari (i “manicomi criminali”). Ma di particolare rilievo i percorsimonografici su due grandi figuredella cultura trasversale siciliana,Rosa Balistreri, nel film di DarioRiccobono Rosa, Cantatrice delSud, e Vincent Schiavelli nel film diAurelio Gambadoro, Many beau-tiful things - Tanti beddi cosi(2014),con il racconto del rapporto affet-

Visioni notturne sostenibili è unpercorso di stratificazioni, conflitti evisioni che conducono nel cuore del-la Sicilia, ad una visione filmica delreale. Un’esperienza che nasce nel2012 nella metamorfosi contempo-ranea di Gibellina e che nell’edizio-ne (la terza) del 2014 si è svolta nel-l’area d’influenza del Belìce, tra Sa-lemi e Vita, luoghi che insieme allafucina della ricostruzione segnanouna particolare riflessione collet-tiva, grazie ad un evento che vedeospiti e residenti tre giovani registi:Aurelio Gambadoro, Salvo Man-zone e Stefano Martone.I luoghi della residenza hanno gene-rato, dal 25 al 30 agosto scorso, a Vi-ta e nel territorio del Belìce, tre cor-tometraggi che sono stati proiettatidurante la serata conclusiva del pro-getto culturale ideato da Belìce/Epi-Centro della Memoria Viva_CRESM, laAssociazione che anima il Museodella memoria e che riunisce un vi-vace team operativo con la curatelaartistica di Giuseppe Maiorana chedel Centro è anche direttore del Co-mitato scientifico. La Valle del Belìceha una storia che pochi conoscono - af-ferma Maiorana - al di là di quel cata-strofico terremoto che nel ‘68 ha schiac-ciato paesi, anime e identità. Quella sto-ria, che ha visto protagonisti movimentidi cittadini in lotta per il cambiamentosociale e culturale - con quella straordi-naria guida che fu Danilo Dolci - è ancorauna fonte d’ispirazione per noi. L’evento territoriale prevede la pre-sentazione del cinema d’impegno edi denuncia che spazia dai filmatistorici a film contemporanei di gio-vani registi emergenti, una attenta

INFOVisioni notturne sostenibili itineranti

edizione 3 - Gibellina / Vita (TP) | AGOSTO - SeTTeMBRe 2014

Un progetto: Belìce/EpiCentro della Memoria Viva_CRESM | Gibellina Direttore artistico: Giuseppe Maiorana

WWW.EPICENTRObelice.NET

Visioni notturne sostenibili è realizzato con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e delTurismo – MIBACT | Direzione Generale Cinema, del Ministero dello Sviluppo economico – MISe | Di-partimento per lo Sviluppo e la Coesione economica, della Regione Siciliana | Assessorato Turismo, Sporte Spettacolo – Dipartimento Turismo, Sport e Spettacolo, della Regione Siciliana | Sensi Contemporanei |Sicilia Film Commission. e con il sostegno del Comune di Gibellina | del Comune di Salemi | del Comunedi Vita | della Fondazione con il Sud | della Rete Museale e naturale Belicina | dell’UnPLI di Trapani |della Koinè Film.

tivo che l’attore hollywoodiano, ori-ginario di Polizzi Generosa, avevarecuperato negli ultimi anni dellasua vita con il piccolo paese delleMadonie. Visioni notturne sostenibili è un pro-getto territoriale che rivela l’esi-genza di una riflessione collettiva egenerazionale contemporanea, vo-gliamo ridare visibilità a quei luoghi,edifici o contesti naturali di interessestorico, artistico o paesaggistico dimen-ticati o poco valorizzati, questa la de-nuncia del suo ideatore Maiorana,che rinnova quel genius loci con at-timi e momenti di intima esperien-za siciliana.

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l’ARCO

Continuando sempre più a sviluppare la ri-cerca e a sentire come unica via percorribile ilconcetto di Riuso, quindi di Riqualificazioneurbana sostenibile, tema di cui già da qualcheanno si sta occupando il Consiglio Nazionaledegli Architetti P.P.C. in sinergia con l’Asso-ciazione Nazionale dei Costruttori (Ance)e gli ambientalisti di Lega Ambiente, l’Ordinedegli Architetti P.P.C. della Provincia di Ca-tania e la sua fondazione, hanno dato vita aduna mostra di Architettura Contemporanea inAustria dal tema Dialogo tra Storia e Con-temporaneità svoltasi in una cornice unica edesclusiva, grazie al contributo della Sovrin-tendenza ai Beni Culturali di Catania, pressola Chiesa di S. Francesco Borgia (via Crociferi,Catania dal 08.05.14 al 08.06.14).Lo spirito dell’iniziativa è stato quello di av-viare un processo di sensibilizzazione al temadella rigenerazione, non solo indirizzato agliarchitetti, che per formazione culturale do-vrebbero già esserne in possesso, ma princi-palmente rivolto al cittadino comune, il qualeattraverso la visione di altre esperienze in pae-si non molto lontani dal nostro, dalla nostracultura, possano cogliere l’atteggiamento cul-turale con il quale vengono affrontate le pro-blematiche di intervento nei centri storici.nello specifico si è scelta l’Austria poichè Ca-tania, seppur geograficamente lontana, condi-vide con Vienna e la sua intera nazione losplendore dell’architettura barocca, pertan-to mai confronto potrebbe essere più adegua-to per coglierne gli aspetti propositivi di taliesperienze. Proprio per rimarcare una sintoniacreativa tra le due civiltà, che non è solo testi-monianza di un sontuoso passato, ma occa-sione per un nuovo sviluppo architettonicodelle nostre città.Il centro storico di ogni città rappresenta ilcuore pulsante ed è per sua natura caratteriz-zato dalla stratificazione di diversi momenti

Rubrica a cura dellaFondazione dell’Ordine degli Architetti, Paesaggisti, Pianificatori e Conservatoridella provincia di Catania

di Michele Marchese

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l’ARCO

storici con presenza di stili e linguaggi differenziati;rappresenta in sintesi, il succedersi delle genera-zioni nel tempo trasferendo al visitatore o al frui-tore una lettura chiara del tipo di società e di cul-tura vissuta dagli abitanti del luogo. Attraverso ilcentro storico si ha una perfetta riconoscibilità delcarattere, del modo di vivere, delle caratteristichedi chi vive quel luogo, pertanto esso va rispettatonella sua espressione, ma con lo stesso coraggio eonestà intellettuale, così come è avvenuto nel passa-to, si deve sapere anche affrontare la via della de-molizione, nei casi di irrilevanza storico-architet-tonica o di “malessere strutturale”, proponendo ri-costruzioni o interventi che possano essere testimo-nianza della società contemporanea e, che possanorestituire beni alla comunità recuperandone l’uti-lizzo e dando la possibilità non solo di maggiorefruizione collettiva, ma anche di soddisfare le esi-genze di una nuova comunità. Purtroppo tale visione in Italia è sostanzialmen-te utopistica o quanto meno subisce un processoestremamente lento, in quanto l’atteggiamento po-litico è di tipo esclusivamente conservativo,a pre-scindere della qualità di ciò che si tutela, ed è evi-dente come tale atteggiamento sia stato ed è un li-mite molto forte alla rigenerazione dei nostri cen-tri storici.

La mostra “Architettura in Austria - Dialogo trastoria e contemporaneità” ha presentato una se-lezione di progetti realizzati in Austria che si inse-riscono nei contesti storici come innesti di contem-poraneità fuori dalla norma, enfatizzando l’acco-stamento audace tra antico e moderno come segnodi una nuova coscienza urbana. L’Austria è una na-zione che, come l’Italia, vive immersa nella storia enella conservazione del passato ma dove sempre piùspesso si possono trovare interventi contemporaneidi riqualificazione urbana in città che tentano didialogare con l’antico preesistente per reinventar-si con creatività. non solo ricercando il bello e lostravagante ma anche ciò che è pratico, funziona-le, sostenibile ed ecologico sempre nel pieno ri-spetto del passato. Gli esempi mostrati sono pre-senti in quasi tutte le principali città austriache daLinz (Ars Electronica Center), Graz (Janneum Quarter)e Kunsthaus), Salisburgo e Vienna dimostrando unafilosofia chiara di una visione contemporanea del vi-vere la città. Sempre nell’ambito del dialogo tra sto-ria e contemporaneità l’esposizione ha presentato,inoltre, alcuni progetti realizzati fuori dai tessutiurbani e che si confrontano con la natura e gli spaziaperti delle montagne alpine, questo per testimonia-re come il design contemporaneo possa reinventarsinel rispetto del paesaggio e delle tradizioni locali.

jh IN QUESTA PAGINA | FIGURE 3, 4, 5

Janneum Quarter, GrazProgettisti: Nieto Sobejano Arquitectos (Berlino), FuensantaNieto, Enrique Sobejano eep architekten (Graz), Gerhard Eder, Chri-stian Egger, Bernd Priesching

A PAGINA 29

FIGURA 1 | kunsthaus, GrazProgettisti: Peter Cook, Colin Fournier (Inghilterra)

FIGURA 2 | Ars Electronica Center, LinzProgettisti: Studio Treusch Architecture (Vienna)

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l’ARTISTA

anno IV

COVeRSPORT

LeTTURA Cristiano Ceroni

nato a Venezia nel 1970. Si dedica al di-segno sin dall’infanzia, solo qualche annopiù tardi la sua passione lo porta alla pit-tura quale naturale accrescimento dellapropria espressione artistica. Si diplomaall’Accademia di Belle Arti di Venezia nel1995. I suoi lavori si concentrano princi-palmente sul concetto di consunzione delmito. Recentemente il suo lavoro affrontatematiche di carattere sociale e politico.Vive e lavora a Mestre (Venezia). nel cor-so degli anni ha partecipato a diverse mo-stre tra le quali: Versi Apocrifi, a cura di new-L’ink), Spazio naselli, Comiso (RG), 2013;Cattivi Maestri, a cura di G. C. Venuto e F.Dell’Agnese, Ipogeo Perusini, Corno diRosazzo (UD), 2012; Il bosco d’amore - Omag-gio a R. Guttuso, a cura di R. Giudice, Fon-dazione Puglisi Cosentino, Catania, 2011;Taccuini del Mediterraneo, a cura di G.C. Ve-nuto e F. Agostinelli, Gall. Regionale d’Ar-te Contemporanea L. Spazzapan, Gra-disca d’Isonzo (GO); Costellazioni, Galle-ria Flaviostocco, Castelfranco Veneto (TV);Giovani artisti a confronto, Gall. Flaviostoc-co, Castelfranco Veneto (TV), 2004; Mo-stra personale De-Formazioni, scritti di L.M. Barbero e R. Scuttari, Galleria Flavio-stocco, Castelfranco Veneto; Tu Rooms, acura di R. Caldura, Area Carlo Scarpa, Fon-dazione Querini Stampalia, Venezia, 1996;79a Mostra Collettiva Bevilacqua La Masa,Galleria Bevilacqua La Masa, San Marco,Venezia, 1994; Concorso naz. RinascenteImmaginaria 92 (premiato), tra gli altri in giu-ria A. B. Oliva, P.zzo Durini, Milano, 1992.

Le COPeRTINe di questo numero DOPPIO di Newl’ink pro-seguono il ciclo di Cover realizzate dalla nostra reda-zione attraverso la diretta collaborazione e sinergiacon l’operato dell’artista invitato a realizzare l’ope-ra che interpreta il tema sportivo del bimestre. Il no-stro Direttore Creativo è intervenuto, manipolandole,sulle immagini di altre due opere fornite dallo stessoartista per dare a quest’ultime un’ulteriore significa-to, rendendole effigie di una nuova libertà che è arte econtenuto oltre che espressione della Nostra attualità.

settembre- dicembre201415

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Progetto editoriale, Concept, Direzione creativaLuca ScanduraHanno scritto e collaborato in questo numeroG. Bella, A. Casciaro, R. Digiacomo, O. Faz-zina, A. Finocchiaro, G. Giudice, R. Giudice,D. Iaracà, S. Lacasella, M. Marchese, S. Mon-talto, M. Romano, V. Sbriglione, D. Scandu-ra, A. Viscuso.

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Direttore ResponsabileMichelangelo BarbagalloEditore

di Luca Scandura via Giuseppe Vitale, 2995024 - Acireale (CT)[email protected]@new-link.itvia Giuseppe Vitale, 2995024 - Acireale (CT)Progetto graficoLucascanduraDesignerStampaModul Motta S.r.l.Zona Industriale III fase - V.le XVII, 2297100 - Ragusa

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(l’artista di Newl’ink)

Diego Cerero Molina è nato a Valverde del Camino(Huelva) in Spagna nel 1987. Diplomato nel 2010 all’Acca-demia di Belle Arti dell’Università di Sevilla nella sezionedi pittura, nel 2011 ottiene un Master in Arte produtto dal-l’Università di Sevilla. Ha realizzato diverse mostre perso-nali tra cui Recent Work, Black Cube Gallery, Barcellona;Past-Present-Future, Black Cube Gallery, Madrid; Identida-des Metafóricas, Valverde del Camino (Huelva). Ha parteci-pato inoltre a numerose mostre collettive tra cui: Galleriad’arte Russo, Roma; Art Factory, Catania; El público y lo pú-blico, espacio Sótano II, Facultad de Bellas Artes Sevilla;IKAS-ART, rappresentando l’Università di Sevilla, Vizcaya;Riveras del Guadaira Museo de Alcalá de Guadaira, Sevilla.

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DiegoCerero Molina

DALL’ALTO, A SINISTRA, IN SENSO ORARIO jhk D. Cerero MolinaMad III, 2014, olio su lino, cm 195 x 130(OPeRA SCeLTA PeR LA COVeR N.15)

figura con manos sobre la mesa, 2014, olio su lino, cm 195 x 130(OPeRA SCeLTA PeR LA COVeR N.16)

Mad II, 2013, olio su lino, cm 195 x 130Due figuras conversando, 2014, olio su lino, cm 130 x 195 (part.)Saori Yoshida, 2014 olio su lino, cm 92 x 73(OPeRA ReALIZZATA PeR LA PAGINA SPORTIVA)

NELL’ANGOLO A SINISTRA IN ALTO j Cristiano CeroniSenza titolo, 2014, olio su tela, cm 31,5 x 22 (particolare)

Page 36: Newl'ink NN. 15-16

www.tedalegno.it28.02.2015ore 18,00

Presentazione del catalogo monografico

CALUSCA.

IL GIOCO

DELL’INCONTRO (edizioni Newl’ink)

Interverranno:Calusca (artista )Rocco Giudice (curatore)Ornella Fazzina (critico d'arte) Michele Romano (critico d'arte) Giuseppe Carrubba (critico d'arte)Paola Pennisi (Pres. Fond. di Ordine Arch. di Ct) Roberto Cannavò (dir. Teda Legno)Saverio Continella (dir. gen. Credito Siciliano)

Teda Legnovia S. Girolamo, 82 | Acireale (CT)

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