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Newsletter "In other Words" n.8/giugno 2012

Date post: 13-Mar-2016
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Newsletter mensile dell'Osservatorio sulle Discriminazioni "Articolo 3" di Mantova, redatta nell'ambito del progetto europeo "In Other WORDS"
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NEWSLETTER MENSILE DI ARTICOLO3-OSSERVATORIO SULLE DISCRIMINAZIONI Giugno 2012 nº8 In Other Words NEWS Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza di- stinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizio- ni personali e sociali. Costituzione della Re- pubblica Italiana, Principi Fondamentali, Articolo 3 Indice: Editoriale 1 Lo specchio 3 Il progetto 4 Glossario 5 Approfondimento 6 “In Other Words “ è un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea—DG Justice Editoriale Migranti. Non importa che si tratti di onesti lavoratori e lavoratrici (la maggior parte), richiedenti asilo, delinquenti, persone in fuga da guerra, fame, disoccupazione... persone che cercano un futuro migliore – o forse, più semplicemente, un futuro e basta – da dare a se stessi e alla propria famiglia. Non importa chi erano prima di arrivare, chi sono ora, chi potrebbero diventare. Non importa perché sono qui. Per molti media si tratta semplicemente di un peso, un capro espiatorio. E ancor meno importa che anche noi, italianissimi, spesso scappiamo all'estero in cerca di fortuna. “Fuga dei cervelli”, la definizione un po' tragica e – se mi consentite – presuntuosa che ci siamo dati. Forse basterebbe poco per valorizzare tutti quei cervelli che, invece, sono in entrata nel nostro Paese. Di norma preferiamo invece relegarli ai lavori più umili e meno qualificati (nonostante molti di quelli che arrivano abbiano studiato e il cervello lo sappiano usare, eccome). Niente di nuovo. Dove sta la notizia? Che, da qualche tempo a questa parte, questi lavoratori e lavoratrici – cui vengono sistematicamente ricordati i loro doveri – anziché subire lo sfruttamento vogliono vedere riconosciuti e rispettati i propri diritti. Elena Cesari, partendo dai fatti di Rosarno del 2010, ci fornisce un resoconto degli ultimi due anni sui fatti avvenuti, su come i giornali abbiano trattato (male) l'argomento e ci dà un'interessante chiave di lettura (p.6 e segg.). I media italiani, poi, spesso trattano i migranti come i numeri della tombola: periodicamente (magari aiutati da un banale fatto di cronaca) 'estraggono' una comunità di persone, reale o fittizia che sia (“tunisini”, “sudamericani”, “libici”...) e iniziano il tiro a bersaglio. Per qualche settimana, a volte anche più a lungo, l'inchiostro delle pagine di cronaca è tutto per loro. L'ultimo caso, qui nel mantovano, ha riguardato la comunità sikh. Sui quotidiani locali, per tutto il mese di aprile, sono apparsi a raffica una serie di articoli trasudanti luoghi comuni, pregiudizi e falsità. A p.3 potete leggere un assaggio del cosiddetto “caso Sikh”. Per fortuna Elena Borghi, a p.5, ci aiuta a grattar via un po' di quel pregiudizio, svelandoci qualcosa in più sulla cultura e la religione di queste persone. Su questo argomento Articolo 3 ha riportato 2 interventi significativi: la lettera di Parminder Singh, un ragazzo sikh che ha frequentato il nostro Osservatorio; e la lettera del Sindaco di Pessina Cremonese (CR), nella quale si ricorda non solo il contributo della comunità sikh all’economia del suo Comune, ma anche la partecipazione dei sikh durante la guerra di Liberazione nelle file delle truppe Alleate. Nel ricordare che proprio in questi giorni sono state pubblicate le Linee guida per l'applicazione della Carta di Roma (p.2), cui Eva Rizzin di Articolo 3 ha contribuito, vi auguro buona lettura. Rocco Raspanti
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Page 1: Newsletter "In other Words" n.8/giugno 2012

N E W S L E T T E R M E N S I L E D I A R T I C O L O 3 - O S S E R V A T O R I O S U L L E D I S C R I M I N A Z I O N I

Giugno 2012 nº8

In Other Words NEWS

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza di-stinzione di sesso, di

razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizio-ni personali e sociali.

Costituzione della Re-pubblica Italiana,

Principi Fondamentali, Articolo 3

Indice:

Editoriale 1

Lo specchio 3

Il progetto 4

Glossario 5

Approfondimento 6

“In Other Words “ è un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea—DG Justice

Editoriale Migranti. Non importa che si tratti di onesti lavoratori e lavoratrici (la maggior parte), richiedenti asilo, delinquenti, persone in fuga da guerra, fame, disoccupazione... persone che cercano un futuro migliore – o forse, più semplicemente, un futuro e basta – da dare a se stessi e alla propria famiglia. Non importa chi erano prima di arrivare, chi sono ora, chi potrebbero diventare. Non importa perché sono qui. Per molti media si tratta semplicemente di un peso, un capro espiatorio. E ancor meno importa che anche noi, italianissimi, spesso scappiamo all'estero in cerca di fortuna. “Fuga dei cervelli”, la definizione un po' tragica e – se mi consentite – presuntuosa che ci siamo dati. Forse basterebbe poco per valorizzare tutti quei cervelli che, invece, sono in entrata nel nostro Paese. Di norma preferiamo invece relegarli ai lavori più umili e meno qualificati (nonostante molti di quelli che arrivano abbiano studiato e il cervello lo sappiano usare, eccome). Niente di nuovo. Dove sta la notizia? Che, da qualche tempo a questa parte, questi lavoratori e lavoratrici – cui vengono sistematicamente ricordati i loro doveri – anziché subire lo sfruttamento vogliono vedere riconosciuti e rispettati i propri diritti. Elena Cesari, partendo dai fatti di Rosarno del 2010, ci fornisce un resoconto degli ultimi due anni sui fatti avvenuti, su come i giornali abbiano trattato (male) l'argomento e ci dà un'interessante chiave di lettura (p.6 e segg.).

I media italiani, poi, spesso trattano i migranti come i numeri della tombola: periodicamente (magari aiutati da un banale fatto di cronaca) 'estraggono' una comunità di persone, reale o fittizia che sia (“tunisini”, “sudamericani”, “libici”...) e iniziano il tiro a bersaglio. Per qualche settimana, a volte anche più a lungo, l'inchiostro delle pagine di cronaca è tutto per loro. L'ultimo caso, qui nel mantovano, ha riguardato la comunità sikh. Sui quotidiani locali, per tutto il mese di aprile, sono apparsi a raffica una serie di articoli trasudanti luoghi comuni, pregiudizi e falsità. A p.3 potete leggere un assaggio del cosiddetto “caso Sikh”. Per fortuna Elena Borghi, a p.5, ci aiuta a grattar via un po' di quel pregiudizio, svelandoci qualcosa in più sulla cultura e la religione di queste persone. Su questo argomento Articolo 3 ha riportato 2 interventi significativi: la lettera di Parminder Singh, un ragazzo sikh che ha frequentato il nostro Osservatorio; e la lettera del Sindaco di Pessina Cremonese (CR), nella quale si ricorda non solo il contributo della comunità sikh all’economia del suo Comune, ma anche la partecipazione dei sikh durante la guerra di Liberazione nelle file delle truppe Alleate.

Nel ricordare che proprio in questi giorni sono state pubblicate le Linee guida per l'applicazione della Carta di Roma (p.2), cui Eva Rizzin di Articolo 3 ha contribuito, vi auguro buona lettura.

Rocco Raspanti

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I l progetto mira a formulare una risposta nei confronti della situazione attuale, in cui i media sono spesso veicoli per la diffusione degli stereotipi, e a contribuire al migliora-

mento del messaggio mediatico, in particolare rispetto alla rappresentazione che esso for-nisce delle minoranze etniche e religiose, delle persone con disabilità e degli appartenenti alla comunità Lesbica-Gay-Bisex-Trans.

Capofila del progetto: Provincia di Mantova Partner: Articolo 3, Intercultural Institute of Timisoara (Romania), Eurocircle (Francia), Diputaciòn Provincial de Jaen (Spagna), IEBA (Portogallo), Fundaciòn Almeria Social y Laboral (Spagna), Tallin University (Estonia). Il progetto prevede la creazione di una redazione locale in ogni Paese, dedita al monitorag-gio dei media, ad attività di ricerca e decostruzione degli stereotipi e ad un lavoro di rete con giornalisti e professionisti dei media, scuole e università, organizzazioni della società civile.

Per saperne di più: www.inotherwords-project.eu

“In Other Words”: un progetto europeo contro la discriminazione nei media

La Carta di Roma, uno strumento essenziale

S ono state pubblicate in questi giorni le Linee guida per l'applicazione della Carta di Roma, il codice deontologico

in vigore dal 2008, cui i giornalisti dovrebbero attenersi quan-do trattano di migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta. A cura di Anna Meli (Federazione Nazionale Stampa) e realizza-te nell'ambito del progetto UNAR "Realizzazione di iniziative di sensibilizzazione per operatori dell'informazione". Articolo 3 ha curato la sezione riguardante rom e sinti, in cui si traccia una breve storia della presenza di queste minoranze in Italia, si analizzano i termini scorretti di cui l'industria mediati-ca fa ancora largo uso e si propongono alternative corrette e rispettose della dignità di rom e sinti.

“All’opinione diffusa […] che

ritiene l’immigrazione

necessaria a fronteggiare il

calo demografico e soprattutto

a riempire i posti di lavoro più

umili e squalificanti, i

lavoratori di Rosarno,

Pioltello, Basiano oppongono

l’assunzione di responsabilità

piena, la mobilitazione in

prima persona per contribuire

a rendere ogni posto di lavoro

un posto degno e qualificante

per tutti, italiani e stranieri”.

Elena Cesari parla di

lavoro e immigrazione

a p.6

Pagina 2

In Other Words NEWS

In Other Words NEWS

La newsletter si pubblica ogni mese a Mantova (Italia), Jaen (Spagna),

Almeria (Spagna), Mortagua (Portogallo),

Marsiglia (Francia), Timisoara (Romania) e Tallín (Estonia) con il

sostegno della Direzione Generale Giustizia della Commissione Europea.

L’edizione di Mantova è coordinata da Articolo 3,

Osservatorio sulle discriminazioni

VO

CA

BO

LA

RIO

Il progetto

Le parole sono importanti!

A partire da una serie di articoli che nei mesi scorsi

hanno narrato in modo poco rispettoso e per lo meno

approssimativo la comunità sikh del territorio

mantovano,

in questo numero parliamo di Sikhismo, fornendo

qualche spunto per approfondire la tradizione religiosa,

sociale e culturale di una delle comunità migranti più

numerose d’Italia.

A p. 5

Page 3: Newsletter "In other Words" n.8/giugno 2012

Il “caso Sikh”

Pagina 3

Giugno 2012 nº8

Il meglio e/o il peggio della stampa lombarda, in materia di minoranze

Lo specchio

cile da ambientare nel Mantovano” (Gazzetta di Mantova). La Voce di Mantova mette in atto una pericolosa generaliz-zazione, quando nomina “la dura legge sikh”, accostando

questo presunto codice ad “armi bianche” e “rapimenti”; questi diventano così, agli occhi del lettore, gli unici elementi di una tradizione cultu-rale e religiosa che, invece, poggia su ben altri pila-stri. Gli errori di sempre: il reato viene etnicizzato e la responsabilità da individuale diventa colletti-va. Quando poi, due settimane dopo, scoppia una nuova rissa in provincia, i due giornali si rimetto-no all’opera: la Gazzetta apre il 25 aprile con tanto

di foto in prima pagina e titolo traboccante di “colpi di sciabola”, “alcol”, “matrimoni forzati”, “violenza”: ancora un bel quadretto della co-munità sikh. Invece che fornire elementi di conoscenza su una popo-lazione presente ormai da molto tempo nel nostro Paese, articoli come questi p a i o n o r i n c o r r e r e l’obiettivo opposto, mi-schiando voci di popolo, folklore approssimativo e pregiudizi, che non possono che aggravare il clima di diffi-denza e l’ostilità degli “autoctoni”. EB ed EC

Nel mese di aprile la stampa mantovana ha concentrato le proprie attenzioni sulla comunità sikh. Ha fornito il pretesto una rissa, scoppiata il giorno di Pa-squa in una piccola località della provincia. Pranzavano in un ri-storante alcune persone, vittime di aggressori armati di bastoni ed armi da taglio. I quotidiani locali non si sono lasciati scappare l’occasione, affrettandosi a specificare la nazionalità indiana e la fede sikh di tutte le persone coin-volte, ristoratore compreso. Articoli a tutta pagina ed e-spressioni come “guerriglia”, “raid punitivo” (Voce di Mantova), “scene di guerra”, “commando di turbanti” o, parlando di episodi precedenti, “violenza inaudita e diffi-

E’ accaduto, ormai qualche mese fa, che il Capo dello Stato venisse in visita a Mantova. E che ad accoglierlo fosse un coro di bambini, che hanno intonato l’inno nazionale. Un’idea come tante, che però un

quotidiano locale, la Voce di Mantova, è riuscito a rendere per lo meno sgradevole, cedendo alla tentazione di opporre al ‘bianco’ delle voci infantili il “black” dei volti di due delle coriste. “Graziosissime”, s’intende, almeno quanto la loro collega di coro “orientale”. Un commento che

Inno nazionale in bianco e nero

non solo è inutile, ma che pure lascia in bocca l’amaro di quella sorta di esotismo, di quella magnanimità un po’ coloniale da uomo bianco, che ricordano tanto da vicino il razzismo: come conferma il titolo di eco fascista, “faccetta nera”. Quanti orrori in poche righe.

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La Provincia di Mantova, capofila del progetto In Other WORDS ha pre-

sentato il 24 maggio il bando Con quali parole?, da realizzarsi nell’ambito

del progetto stesso e pensato per le Scuole Secondarie di Secondo grado

e per i Centri di Formazione Professionale del territorio. Costruito in

partnership con la Consulta studentesca della provincia di Mantova, il

bando mette in palio cinquemila euro, da suddividere tra i progetti vin-

citori.

Obiettivi dell’iniziativa sono: la sensibilizzazione dei ragazzi nei

confronti dei messaggi fuorvianti diffusi dai mass media; l’aumento

della consapevolezza in questi ultimi, specie quelli locali, in merito alle potenzialità negative dei linguaggi scorretti;

il coinvolgimento diretto di giovani appartenenti alle minoranze e di gruppi spesso vittime di discriminazione

nella realizzazione del progetto; la sinergia con il territorio, la valorizzazione delle reti già in essere con le

associazioni rappresentative di minoranze o vicine al

tema.

La Provincia ha indicato alcuni esempi, da cui gli

Istituti interessati a concorrere potranno trarre spunto. Focalizzando la propria analisi

sulla comunicazione nel quotidiano gli studenti potrebbero produrre un “elaborato”

collettivo che definisca la “discriminazione più comune” dal punto di vista dei ragazzi —

dalla discriminazione conclamata (come l’impossibilità di accesso a locali per le persone

con disabilità), alla discriminazione percepita, a quella non percepita (come quella che

passa attraverso il linguaggio comune).

Oppure i ragazzi potrebbero svolgere un’indagine sul territorio, una mappatura delle

discriminazioni o delle buone pratiche esistenti nel territorio mantovano, guardando

ad esempio alle pratiche di diversity management nelle aziende, o a progetti correlati che

trattino di parità dei diritti, contrasto all’omofobia, antiziganismo.

Ancora, i concorrenti potrebbero simulare un’unità locale di monitoraggio, una press

unit simile a quelle che lavorano al progetto IOW e che ne utilizzi la stessa metodologia

per monitorare la stampa e/o il web.

Oppure, gli Istituti potrebbero ideare un modulo scolastico ad hoc sui temi del

progetto: ad esempio di diritto, con un approfondimento della legislazione

antidiscriminazione italiana ed europea; o di lingua, poiché il progetto prevede la

produzione di una newsletter mensile nelle varie lingue nazionali dei partner, a cui se ne

aggiunge una trimestrale in inglese, materiale da cui potrebbe svilupparsi un’anilisi

dell’uso di una lingua straniera e del linguaggio mass mediatico. Anche la storia si

presterebbe ad approfondimenti sul tema delle discriminazioni — salta immediatamente

alla mente, ad esempio, il legame con il discorso razzista del primo Novecento, con la

creazione dei campi di sterminio e con il Porrajmos. Ugualmente, un modulo specifico

potrebbe essere dedicato ai linguaggi non verbali multimediali: il mezzo informatico, il

linguaggio filmico e teatrale, la comunicazione pubblicitaria.

Pagina 4

Giugno 2012 nº8

Il progetto Con quali parole? Un bando per le scuole

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Il progetto In Other Words NEWS

Il sito OxfordSikhs riporta che la

popolazione sikh conta a livello

mondiale circa 27 milioni di persone,

il 76% delle quali vivve in India, specie

nello stato del Punjab. Con una fama

di persone intraprendenti e dedite al

lavoro duro, i Sikh sono presenti da

molto tempo in quasi ogni Paese del

mondo, soprattutto nelle aree

anglofone. La popolazione sikh in

Italia è composta da circa 60-70 mila

persona (la maggioranza degli altri 100

mila migranti di origini indiane) e vive

perlopiù nelle zone rurali del Nord,

dove lavora nel settore agricolo e

lattiero-caseario. I Sikh pregano nei

Gurdwara, ormai una dozzina nel

nostro Paese, il più famoso dei quali è

stato inaugurato a Novellara nel 2000.

I Gurdwara sono luoghi aperti a tutti,

le cui grandi cucine annesse servono a

preparare il cibo per ospitare

gratuitamente ogni avventore.

Chiunque può andare, chiedere

informazioni, soddisfare la propria

curiosità e assaggiare un piatto

punjabi.

S ikh.

Un termine che recenti fatti

di cronaca, uniti alla

descrizione fuorviante e di parte

che spesso ne viene offerta, di cui

abbiamo fornito un esempio a

pagina 3, rischiano di far suonare

minaccioso alle orecchie dei più.

Chi sono, dunque, questi Sikh?

C o m e s a r e b b e g i u s t o e

interessante che i giornali li

“raccontassero” ai loro lettori?

La religione sikh (letteralmente

“discepolo”) deve le proprie orgini

al Guru Nanak, nato nel 1469 in

un villaggio nei pressi di Lahore,

in Pakistan. Si tratta di una fede

m o n o t e i s t a , c h e c r e d e

nell’esistenza di un dio assoluto e

onnipresente, eterno, creatore,

origine di ogni origine, incapace

di odio. I fedeli sikh si

riconoscono nei tre principi

enunciati dal primo profeta, Guru

Nanak Dev ji: “Vivete solo

lavorando onestamente; fate

simran, meditando in ogni istante

del giorno; mangiate dividendo

con altri”. Dieci sono stati i Guru

(Maestri, profeti) del Sikhismo,

negli anni tra il 1469 e il 1708,

quando il decimo Guru nominò

come suo successore l’Adi Granth,

il testo sacro della fede Sikh, che

contiene gli insegnamenti dei

dieci Maestri.

Glossario delle “parole sporche”: raccontare il sikhismo

Pagina 5

Cinque sono i segni distintivi del

fedele sikh, detti “le Cinque K”:

Kesh (i capelli lunghi raccolti sotto

il turbante, come segno del

rispetto dell’opera di dio); Kangha

(un pettine di legno infilato tra i

capelli, simbolo di pulizia); Kara

(un bracciale di ferro, simbolo

della forza di dio); Kachera (un

paio di mutande lunghe, simbolo

di autocontrollo e castità); Kirpan

(un piccolo pugnale che uomini e

donne portano su di sé, non come

un’arma, ma come simbolo di

lotta all’ingiustizia. Non una

“scimitarra”, non uno “spadone”!)

I maschi sikh utilizzano Singh

come cognome, un termine

derivante dal sanscrito sinha,

“leone”; le donne, invece,

aggiungono al nome proprio

Kaur, “principessa”. Uomini e

donne praticanti, inoltre, sono

tenuti alla pratica del sewa, il

“servizio” al prossimo, che si

esplica ad esempio nel coprire

turni volontari presso i Gurdwara

e le loro cucine.

Nel narrare fatti di cronaca o

costume riguardanti questa

comunità, i giornalisti farebbero

meglio a fornire qualche elemento

sulla sua complessità culturale,

filosofica e religiosa. Magari dopo

essere andati di persona a

conoscerla più da vicino.

Elena Borghi

Fedeli sikh davanti al Tempio d’Oro di Amritsar, India (Le Photo A Go-Go/flickr)

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Giugno 2012 nº8

Approfondimento Migranti, diritti e identità

Un rapido sguardo sulle rivolte nel mondo del lavoro da Sud a Nord

L ’immagine dei migranti che i media co-

struiscono, giorno dopo giorno, ha due

facce complementari. La faccia xenofoba

dell’invasione e della pericolosità sociale, e la faccia

paternalistica o pietistica dell’indigenza, della mancan-

za di strumenti culturali per essere protagonisti delle

proprie vite. Questi due aspetti si sostengono a vicen-

da nel negare ai migranti una progettualità politica e

un potenziale di trasformazione della realtà che invece

hanno avuto in passato e continuano ad avere oggi.

Nel 2010 a Rosarno i lavoratori della raccolta delle

arance si ribellarono alla condizione di schiavitù nella

quale erano costretti dai mafiosi locali. Allora si scate-

nò una violenza xenofoba senza precedenti da parte

della popolazione locale (giustificata e minimizzata

dalle istituzioni). In quell’occasione l’ex Ministro

dell’Interno Maroni dichiarò che le cause di quello

che stava accadendo erano da ricercarsi nell’eccessiva

tolleranza delle istituzioni verso l’immigrazione clande-

stina. La vicenda si concluse con l’espulsione di massa

di oltre 1.500 persone dalla Piana di Gioia Tauro. So-

lamente un centinaio di persone furono trovate prive

di permesso di soggiorno e rimpatriate. Ad oggi le

condizioni lavorative dei raccoglitori di arance a Rosar-

no non sembrano essere migliorate. Nonostante i ten-

tativi di mistificazione dei fatti da parte del governo e

dei media (che la definirono una rivolta di

“extracomunitari” violenti e clandestini ), la ribellione di

Rosarno aprì uno squarcio di luce sull’intreccio fra mafia,

lavoro nero e sfruttamento del lavoro migrante in Italia.

Oggi sappiamo che questo intreccio è pervasivo al Nord

come al Sud.

In Lombardia un sistema di esternalizzazioni alle

cooperative ha provocato una progressiva perdita dei dirit-

ti dei lavoratori, soprattutto immigrati, per i quali la per-

dita del permesso di soggiorno è un potente ricatto. Due

settimane fa a Basiano (MI) novanta lavoratori della coo-

perativa Alma sono stati licenziati senza alcun preavviso

per far posto ai lavoratori di un’altra cooperativa: la Berga-

masca. I lavoratori di quest’ultima cooperativa sono tutti

soci e avranno la paga ridotta della metà (da 7 a 3 euro

l’ora), poiché pagano in forma di trattenuta le perdite

della cooperativa. La maggioranza degli operai nella gran-

de distribuzione del Nord Italia è immigrata e fino a que-

sto momento si è vista costretta ad accettare condizioni

lavorative degradanti. I media anche in questo caso han-

no preferito limitarsi alla cronaca di una giornata di scon-

tri, sottolineando le “violenze” compiute dei manifestanti.

Non hanno mancato di specificare l’origine etnica dei

migranti e di tacere le cause profonde degli scontri: Gli

immigrati licenziati assaltano i colleghi (Libero Milano, 12/6)

e La rivolta dei lavoratori dopo il licenziamento. Guerriglia e

trenta feriti (Giornale Milano, 12/6). Nel silenzio dei me-

dia italiani (unica eccezione è il Fatto Quotidiano), i fatti

di Basiano sono giunti all’orecchio della Federazione dei

Sindacati Egiziani (Etuf), che si è mobilita per sostenere la

lotta dei lavoratori egiziani nella cittadina del Milanese,

attraverso il coinvolgimento della Federazione mondiale

dei sindacati e del suo presidente George Mavrikos: Se è il

sindacato egiziano a difendere i lavoratori di Basiano (Fatto

Quotidiano, 19/6).

Basiano però non è stato un caso isolato. A parti-

re da ottobre 2011, infatti, a Pioltello (MI) gli operai che

lavoravano nei magazzini dell’Esselunga (anche qui quasi

Rosarno: “Avoid shooting backs” (Vandicla/flickr)

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Approfondimento Giugno 2012 nº8

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ta in volta in mano ai gruppi al potere in quel momento.

Le lotte dei lavoratori immigrati scompaginano la lettura

xenofoba, poiché mostrano che la battaglia per i diritti

delle minoranze è anche una battaglia contro la perdita

dei diritti di tutti i lavoratori. In diverse occasioni i lavora-

tori immigrati sono stati, infatti, i primi (se non i soli) a

ribellarsi contro caporalato, lavoro nero, condizioni degra-

danti, mafia. All’opinione diffusa e accettata da ampi stra-

ti della popolazione anche afferenti ad un’area politica di

sinistra, che ritiene l’immigrazione necessaria a fronteggia-

re il calo demografico e soprattutto a riempire i posti di

lavoro più umili e squalificanti, i lavoratori di Rosarno,

Pioltello, Basiano oppongono l’assunzione di responsabili-

tà piena, la mobilitazione in prima persona per contribui-

re a rendere ogni posto di lavoro un posto degno e qualifi-

cante per tutti, italiani e stranieri. Inoltre, giova forse ri-

cordare che l’adattamento dei migranti ai lavori “che gli

italiani non vogliono più fare” corrisponde in scarsa o

scarsissima misura alla formazione, al curriculum e ai desi-

deri degli stessi. Laureati, ricercatori, artisti, ingegneri che

trovano una collocazione lavorativa che non rispetta né

valorizza le loro abilità e competenze reali.

A ben vedere, quella di cui sopra è la madre delle discri-

minazioni: l’impossibilità di una scelta lavorativa reale,

causata da un mercato del lavoro che chiede ai lavoratori

di flessibilità sui diritti per poter mantenere una rigida e

piramidale divisione fra settori e categorie di lavoratori.

Come fa notare il sociologo algerino Abdelmalek Sayad in

La doppia assenza, le categorie di lavoratori si identificano

tutti immigrati) con il consorzio Safra hanno dato vita

a scioperi che per mesi ha impedito ai camion di usci-

re dai cancelli. Ragione degli scioperi:

l’esternalizzazione alle cooperative e le condizioni inu-

mane di lavoro. Per aver protestato, venticinque dipen-

denti sono stati licenziati: Siamo schiavi di Esselunga. A

Pioltello la protesta dei lavoratori delle cooperative (Fatto

Quotidiano, 11/12).

Il caso di sfruttamento più eclatante, però, è stato

quello degli operai provenienti dalla Romania, che

hanno denunciato di essere stati assunti da un’azienda

veneta come falegnami ma essere stati impiegati per un

euro all’ora nei cantieri del Pirellone bis a Milano. Più

della metà del loro stipendio veniva trattenuta da un

intermediario: “Abbiamo lavorato in nero nei cantieri del

Pirellone bis”(Corriere Milano, 13/5/2011); Un euro

all’ora ai romeni che lavoravano al Pirellone. Aperta

un’inchiesta.

Una chiave di lettura

Purtroppo lo sfruttamento del lavoro migrante, se si

escludono i momenti di tensione con polizia e forze

dell’ordine, non fa notizia. Pochissimi quotidiani e siti

internet (per lo più legati ai movimenti dei lavoratori e

ai sindacati) si occupano approfonditamente di queste

vicende.

In Italia la crisi economica è stata presentata

da politici e operatori dell’informazione come un

buon motivo per distogliere l’attenzione dalle discrimi-

nazioni nei confronti delle minoranze. I diritti sareb-

bero un lusso che in tempo di crisi non ci si può per-

mettere. La crisi economica viene usata come volano

per i discorsi xenofobi che invitano “gli autoctoni” a

difendersi dall’invasione degli “stranieri”, venuti in

Italia per rubare casa, lavoro, welfare. Si tratta di una

concezione che insiste sulla proprietà privata dei dirit-

ti. Eppure i diritti sono tanto più forti quanto non

perdono le caratteristiche di universalità, inviolabilità

ed indivisibilità; altrimenti si deteriorano, diventando

di giorno in giorno sempre più simili a privilegi di vol-

“Hungry-Angry” (igor4613/flickr)

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Approfondimento Giugno 2012 nº8

Pagina 8

I media potrebbero e dovrebbero svolgere un im-

portante ruolo di contrasto a questo stato di cose. Innanzi-

tutto, evitando di parlare dei problemi sul lavoro delle

persone immigrate come di un problema solo loro. In se-

condo luogo, utilizzando un linguaggio corretto, privo di

generalizzazioni sull’immigrazione; evidenziando la parteci-

pazione attiva e propositiva degli immigrati nella vita eco-

nomica e culturale del nostro Paese. Purtroppo

quest’ultimo aspetto viene spesso volutamente stravolto

trasformando gli immigrati in soggetti ingordi e inconten-

tabili, portatori di una serie infinita di richieste indirizzate

agli Enti locali, allo Stato ed agli imprenditori. In quanto

stranieri, godono oggettivamente di meno diritti dei nazio-

nali, fatto che induce ad una percezione sociale ancora più

restia al riconoscimento di diritti minimi. Al contrario si

riconoscono loro molti più doveri nei confronti dello Sta-

to. L’immigrato per definizione (e per volontà politica)

deve sopportare di più e dimostrare di dare alla collettività

molto di più dell’italiano medio.

Da Pioltello, Basiano, Rosarno e da tutta Italia stanno arri-

vando però segnali chiari: i lavoratori immigrati non riten-

gono di dover sopportare e di pagare di più e per primi i

costi della crisi economica e sociale. Non solo questiona-

no le regole contrattuali, ma sono anche protagonisti di

una resistenza attiva e propositiva alla deriva economica,

politica e morale di questo Paese.

Elena Cesari

NOTE:

[1] Abdelmalek Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni

dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Cortina, Milano

2002, p. 221.

[2] Ibidem, p. 222.

nel tempo con categorie di persone, dimostrazione

linguistica del costante assoggettamento ad un tempo

economico e socio-culturale dei lavoratori migranti. In

altre parole, la nazionalità delle persone immigrate e il

lavoro svolto diventano spesso termini usati in modo

intercambiabile nei media e nel linguaggio colloquiale.

E’ esperienza linguistica diffusa che (con alcune varia-

bili regionali e locali) senegalese venga usato come sino-

nimo di venditore ambulante, filippina di colf, indiano

di bergamino, pakistano di commerciante di frutta e

verdura, solo per fare alcuni esempi. Per dirla con Sa-

yad “la condizione dell’immigrato si accompagna sem-

pre alla definizione sociale del lavoro svolto, o a dire il

vero del lavoro che gli è attribuito”[1]. Ancora:

“L’evoluzione attuale tra manodopera nazionale e ma-

nodopera immigrata si è unita all’evoluzione tecnica

dei posti di lavoro. Questa è in parte responsabile di

quella, nella misura in cui contribuisce a rafforzare la

concentrazione dei lavoratori immigrati in certe attivi-

tà […] e allo stesso tempo nei livelli più bassi di qualifi-

ca”[2]

Queste riflessioni paiono quanto mai attuali

anche per comprendere la realtà italiana e il complesso

sistema economico, legislativo e culturale che riduce

ed appiattisce la vita dei migranti alla sola dimensione

lavorativa alla quale sono stati destinati.

“Sciopero migranti #1 (bandini’s.on.fire/flickr)


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