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Innovazione, tecnologia, creatività. L'inserto de il Resto del Carlino Bologna in collaborazione con Unindustria
8
SFIDE di Sandra Samoggia* Diffusione della cultura tecnica e scuole di formazione tecnica di qualità sono stati per decenni non soltanto caratteri distintivi dell’economia bolognese, ma anche tra i principali fattori del suo sviluppo. E’ successo così che aziende ad altissima specializzazione trovassero sul territorio tecnici a loro volta altamente specializzati, insieme ai quali hanno costruito un modello industriale competitivo e vincente, che ha garantito al nostro sistema un lungo periodo di crescita e benessere. Non solo, ma proprio dalle scuole tecniche – una per tutte le Aldini Valeriani – sono usciti molti di quegli imprenditori che, grazie ad una intuizione applicata al sapere tecnico, hanno dato vita ad aziende che hanno fatto grande Bologna nel mondo. Non è un caso se all’interno di questo numero proponiamo i profili e le storie di alcuni imprenditori che all’Istituto Aldini Valeriani hanno completato il loro percorso formativo. Vogliamo presentare queste pagine come una occasione di riflessione sulle prospettive dell’economia bolognese. Nella misura in cui essa sarà legata al manifatturiero – come anche il presidente di Unindustria Bologna, Alberto Vacchi, va dicendo - non potrà prescindere dalle competenze e dalla passione che le scuole tecniche sanno trasmettere. E’ fondamentale che i giovani, ma non solo loro, capiscano che il nostro futuro passa di lì. *Consigliere delegato di Unindustria Bologna alla Formazione e Università Le idee dipendono dallatecnica www.agrimaster.it Anno 4 Numero 6 Novembre 2011
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SFIDE

di SandraSamoggia*

Diffusione della cultura tecnicae scuole di formazione tecnica diqualità sono stati per decenninon soltanto caratteri distintividell’economia bolognese, maanche tra i principali fattori delsuo sviluppo.E’ successo così che aziende adaltissima specializzazionetrovassero sul territorio tecnici aloro volta altamentespecializzati, insieme ai qualihanno costruito un modelloindustriale competitivo evincente, che ha garantito alnostro sistema un lungo periododi crescita e benessere.Non solo, ma proprio dallescuole tecniche – una per tutte leAldini Valeriani – sono uscitimolti di quegli imprenditori che,grazie ad una intuizioneapplicata al sapere tecnico,hanno dato vita ad aziende chehanno fatto grande Bologna nelmondo.Non è un caso se all’interno diquesto numero proponiamo iprofili e le storie di alcuniimprenditori che all’IstitutoAldini Valeriani hannocompletato il loro percorsoformativo.Vogliamo presentare questepagine come una occasione diriflessione sulle prospettivedell’economia bolognese. Nellamisura in cui essa sarà legata almanifatturiero – come anche ilpresidente di UnindustriaBologna, Alberto Vacchi, vadicendo - non potrà prescinderedalle competenze e dallapassione che le scuole tecnichesanno trasmettere.E’ fondamentale che i giovani,ma non solo loro, capiscano cheil nostro futuro passa di lì.

*Consigliere delegato diUnindustria Bologna

alla Formazione eUniversità

Le idee dipendonodalla tecnica

www.agrimaster.it

Anno 4Numero 6Novembre 2011

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GGIIAANNFFRRAANNCCOO DDOONNDDAARRIINNII

««FFuu iill mmiioo oosssseerrvvaattoorriiooppeerr gguuaarrddaarree iill ffuuttuurroo»»

GIANFRANCO DONDARINI

«Fu il mio osservatorioper guardare il futuro»

Aldini, fabbrica

«Oggi più di ieri», GabrieleDrusiani consiglierebbe a ungiovane di varcare la portavetrata di via Bassanelli, da quasimezzo secolo indirizzo storicodelle Aldini Valeriani.Quegli anni, ammette Drusiani,presidente-general manager diSta impianti di Crespellano,«sono stati la base che mi hapermesso prima di inserirmi nelmondo del lavoro comedipendente qualificato. Ma ancordi più di possedere quelleconoscenze che, associateall’esperienza acquisita, mihanno consentito di iniziare epoi sviluppare la mia attività diimprenditore» partita nel 1988.Non solo tecnici, quindi, maanche capitani d’industria:questo hanno formato le Aldiniche il general manager scelse susuggerimento del padre, anchelui ex aldiniano. «Ho iniziato conle scuole medie Aldini (al tempoin via F.lli Rosselli) e poi passaiall’Istituto tecnico in viaCastiglione che mi appariva ilnaturale proseguimento».Diploma di metalmeccanico intasca nel 1972, Drusiani ricordaoneri e onori di quel periodo: «Inparticolare il biennio è statoabbastanza duro. Eravamo nelpost ‘68, enormi cambiamentierano in atto. In seconda fuianche bocciato. Poi col trienniomolte cose cambiarono,inaugurammo l’attuale sede divia Bassanelli e là fu tutto piùfacile. Col senno di poi, ritengoche la preparazione sia statadi buon livello».

La storia delle nostre industrie passa per viaBassanelli. Lì a Bologna abitano le celebri AldiniValeriani, istituto tecnico e professionalemeccanico, elettrotecnico, elettronico, chimico,grafico che, da un secolo e oltre, forgia tecnici,operai e imprenditori.Trascorsi importanti custoditi nei preziosi archividella scuola. Archivi che adesso, grazie ad unaccordo siglato con Unindustria Bologna, il

preside Salvatore Grillo ha aperto. Permettendoai tanti bolognesi che sono passati per viaCastiglione prima, via Bassanelli poi, direcuperare i loro diplomi.Prime, seconde e terze generazioni che hannocostruito e stanno costruendo il nostro tessutoeconomico-produttivo. Quando il domani affondale sue radici nel passato.

Giacomo Ruggero

CCAASSTTIIGGLLIIOONNEE EE VVIIAA BBAASSSSAANNEELLLLII PPRRIIMMAA DDII AAVVVVIIAARREE LLEE AAZZIIEENNDDEE

GABRIELE DRUSIANI

«Lì ho trovatole competenze giuste»

STEFANO SARTI

Una vocazionedi padre in figlio

Il primo, nel 1914, fu il nonnoPietro. L’ultimo Massimo, ilfiglio, nel 1993. Nel mezzo cisono stati Carlo, nel 1939, eStefano, nel 1968. Tutti iscritti efrequentanti la sezione diMeccanica delle gloriose AldiniValeriani. E, una volta diplomati,arruolati alla Meccanica Sarti,l’impresa di casa. Per tradizionee per far crescere l’azienda, lafamiglia Sarti ha bussato aiportoni di Santa Lucia prima(«quando c’erano i laboratori»,racconta Stefano Sarti) e di viaBassanelli poi. «La nostraimpresa, il prossimo anno,compie 80 anni. All’epoca, pergarantirsi un successore, miononno, di cui esiste un attestatodi professionalità del 1914,iscrisse mio padre, suo unicofiglio, alle Aldini». E da allora ilpassaggio di testimone non si èmai interrotto.«Alle Aldini — rileva StefanoSarti — si entrava poco più chefanciulli e si usciva ragazziformati con una doppiaistruzione tecnica-teorica epratica». Una scuola tosta daquaranta ore la settimana conprofessori di altissimo livello,che è stata fucina di tecnici eoperai «da cui le nostre impresehanno attinto. Oltre ad averforgiato una grossa parte delnostro tessutoeconomico-produttivo».

ENZO DAL POZZO

«Imparai che capireè meglio che sapere»

«Alle Aldini Valeriani va tutta lamia riconoscenza, perchè lì mihanno insegnato che impararenon è sapere, bensì capire. E secomprendi bene questo, allorapotrai continuare a imparare».Lezione che Enzo Dal Pozzo hamesso a tal punto in pratica dacostruire la sua CommercialeElsa srl — oggi con l’inserimentodi figli evoluta in Elsa Solutions— che si occupa di automazioneindustriale ed elettronica dipotenza. Un monito che fa il paiocon una declinazione piùmoderna del celebre carpe diem.«Quando è necessario — spiegaDal Pozzo —, in quel precisomomento, devi dare tutto quelloche puoi». Un livello massimoraggiungibile anche «grazie ainsegnanti che stimolano lacuriosità alla conoscenza e allacompetenza».Ed è stata proprio la capacità,questa volta di babbo Francesco,di saper annusare il nuovo, chefece sbarcare il figlio in viaCastiglione e conquistare, nel1964, il diploma di peritoelettronico. «L’intenzioneoriginale era la chimica, ma adImola quel corso non c’era —spiega Dal Pozzo —. Mio padrescoprì le Aldini tanto qualificate,quanto severe. E mi iscrisse lì.Dopo il biennio ebbil’opportunità dell’allora poconota specializzazione inelettronica. E senza sapere cosaeffettivamente fosse, con unagrande spinta di mio babbo, hointrapreso quel percorso».A tratti anche molto in salita.«Studiare alle Aldini eradurissimo: 40 ore tra aula elaboratori. Ma, con moltafortuna, ero entrato in un corsodi allievi super e profextra-super. Senza fare nomi, mail 45% dei miei compagni si èlaureato e alcuni di loro sonodocenti ordinari. Per cui orimanevi nel gruppo o ti perdeviin mezzo alla nebbia».E oggi? «Gli istituti tecnicidevono riprendere il ruolofondamentale che hannorivestito nel passato».

Lavoro o laurea: scelte a breve olungo termine. Aldinipassepartout per la vita, al di làdell’inclinazione da cui non siprescinde. «Mi sentivo piùportato per le materie tecnicherispetto a quelle umanistiche»,spiega Gianfranco Dondarini,diploma di perito elettronicoindustriale nel 1976 e oradirettore generale di Viro. Mavia Bassanelli, a tredici anni, puòessere anche un buon punto diosservazione per guardare alfuturo. «A quei tempi —prosegue Dondarini —, nonavendo la certezza di poter ovoler prendere una laurea, avereun diploma di specializzazionespendibile nel mondo del lavoroe che comunque non precludessel’eventuale accesso all’università,mi sembrò la scelta più giusta».E, per Dondarini, Aldini fu. Cosìl’indipendenza anche economicala si poteva afferrare con mano.«Studiare in quell’istituto erasicuramente impegnativo, masopportabile». Certo è che,cinque anni dopo, uno studenteacquisiva «una preparazionetecnica di buon livello, sia perquanto concerne la teoria sia perquanto riguarda la pratica suidiversi tipi di macchine di cui ilaboratori erano ben forniti».Conoscenze, ma anche altro. Adesempio, «un buon metodo dilavoro e anche la consapevolezzache occorrono volontà edeterminazione per affrontare erisolvere le problematiche che sipresentano quotidianamente nelmondo del lavoro». Insomma,una formazione professionale epersonale che il direttoregenerale suggerirebbe «oggi piùdi allora proprio perché adessoc’è carenza di personale tecnicospecializzato. Mentre, invece, perla creazione, lo sviluppo e lagestione di aziende produttive,occorre che ai vertici ci sia, dibase, una buona preparazione ditipo tecnico».

LUCIANO CHECCHI

«Uno studio durissimoche facilitò il lavoro»

Le Aldini Valeriani comepalestra del fare impresa. Earrivare così ad Ica, gioiello dellanostra Packaging Valley e di cuiGino Rapparini è il fondatore e ilcuore pulsante.«Quella scuola – ricordaRapparini, diploma in meccanicanel 1953 – mi ha abituato allamanualità, a mettere in pratica imiei studi: non solo teoria, maanche sudore. Nell’attuale AulaMagna di Santa Lucia (exlaboratorio dell’istituto che avevasede in via Castiglione, ndr)facevo aggiustaggio: ero talmentepiccolo che, per arrivare allamorsa, mi davano uno sgabello».Ma «mi hanno insegnato anchela disciplina: 8 ore al giornotranne il mercoledì, 4, e 2 ore alsabato. Mi hanno dato le primebasi, permettendomi diconseguire un’ottimapreparazione tecnica. E il ritmodi lavoro a scuola è lo stesso dellavoro di oggi».Insomma, libri, tornio e rigore.«L’attitudine di passare dallateoria alla pratica e negli annidalla pratica alla teoria – spiega ilpatron dell’impresa bolognese -,mi è stata di grande aiuto nelsettore delle macchineautomatiche: quando la teorianon è ben definita la praticaspesso viene in aiuto».E questa costante osmosi tra ilsaper fare e il saper pensare haprodotto 200 brevettiinternazionali: invenzioni omeglio soluzioni a problemi.Tutti a firma di mister Ica. Unamole tale che è finita nel mirinodell’Organizzazione mondialeper la proprietà intellettuale(Wipo). Al punto che l’agenziadell’Onu ha assegnato a GinoRapparini il premio WipoInventor Award «per la suaattività e innovazioneimprenditoriale nel settore delpackaging industriale».«Mi ha sempre spinto la voglia dinon fermarmi mai, di provarepiacere e gioia nel fare, nelraggiungere lo scopo, andareoltre e non mollare».Ica nasce qui, da questo impastotra spirito d’avventura eingegnosità. «D’estate lavoravo:nel ‘52 ho fatto la campagna dellacanapa come conduttore dimacchine a vapore. Mi sonodiplomato nel ‘53 comemeccanico e in quell’estate sonoentrato in fabbrica: lavoro da 58anni nel settore meccanico e da52 anni in quello delle macchineautomatiche».

GINO RAPPARINI

Mister brevetti: «La miapalestra tra i banchi»

STEFANO DOMENICHINI

L’alunno perfettova a scuola due volte

Aldini Valeriani due volte: perpassione, fame di sapere e vogliadi fare. La prima, nel 1970, qualedisegnatore meccanicoparticolarista, entrando in classedi giorno. La seconda, dieci annidopo, come peritometalmeccanico, studiando alserale. Stefano Domenichini èun aldiniano puro, che ha messotalmente a frutto la suapreparazione da aver fondato nel1986, insieme ad altri ex di viaBassanelli, la Tramec, aziendache produce riduttori di velocità.E che, quest’anno, festeggia ilquarto di secolo.«La prima scelta – ricordaDomenichini, il cui fratello,Sergio, è pure lui un ex — è statadettata dalla passione per imotori, nata perché sonocresciuto vicino a due aziende:una di moto, la Malanca e l’altradi auto, la Ats Serenissima. Dabambino ho avuto la possibilitàdi visitarle molte volte».Tre anni sui libri, poil’assunzione «nel 1971 comeimpiegato tecnico alla AmsAutoracing. All’inizio —racconta il socio fondatore dellaTramec — ho fatto di tutto: dallavaggio auto alle lavorazioni ditornitura e fresatura». La gavettafino a tagliare il traguardo del«disegno meccanico dicomponenti delle auto prodotte:ciò per cui avevo studiato».Ma il tarlo della preparazioneincompleta scava. «Dopo alcunianni, mi sono reso conto cheavevo una buona conoscenza deiprocessi di produzione, ma erocarente nella progettazione e neicalcoli strutturali».Si torna alle Aldini, ma al serale.Di giorno in azienda, la sera suibanchi. Anni duri questi ultimi,ma «di grande soddisfazioneperché – osserva Domenichini -,oltre al programma, discutevamocon i professori dei problemi inazienda. E questo ci ha datoqualcosa in più».Senza dubbio, le Aldini danno«la possibilità di acquisire unapreparazione tecnica sufficienteper affacciarsi al lavoro, ma siotterrebbero però risultatimaggiori se vi fosse piùintegrazione fra scuola eindustria. Prevedendo, adesempio, periodi dell’annoscolastico da trascorrere nelleaziende».

E VIA BASSANELLI PRIMA DI AVVIARE LE AZIENDE

«Le Aldini? Erano una scuoladurissima che selezionava inmodo feroce». In via Castiglione,«lo studio era lungo e moltodifficile perchè, accanto allateoria, si faceva anche moltapratica nelle officine»; primaversione degli odierni laboratori.Una strada in salita, al terminedella quale, però, «potevamoesprimere subito le nostrecompetenze in ambitolavorativo. Le Aldini tiformavano completamente».Cinque anni e nel 1947 LucianoChecchi, patron dellaMetaltranciati, taglia il traguardodel diploma di perito edile. Unasterzata rispetto al percorsointrapreso nei primi tre anni,quello di metalmeccanica. «Fuuna scelta consapevole — ricorda— perché allora, subito dopo laguerra, si pensava che il settoreedile fosse quello in maggioreespansione. E quindi con piùpossibilità di assunzioni. Mentre,invece, quello metalmeccanicoera pressoché fermo».Un colpo di coda che gli valse datrampolino di lancio percominciare a rimboccarsi lemaniche. Un paio d’anni comedirettore dei lavori in giro per icantieri a tirar su case e palazzi,poi il salto. «Ebbi l’occasione dirilevare un’aziendina che facevaopere metalmeccaniche»,racconta. Una sorta di ritornoalle origini degli studi che haportato Checchi a costruire laMetaltranciati di oggi, adOzzano, uno «stabilimentoall’avanguardia dove produciamolaminati in acciaio per industriemeccaniche».

di capitaniTANTI IMPRENDITORI SONO CRESCIUTI TRA VIA CASTIGLIONE

LORIS MANTOVANI

«Ho imparatoa migliorare sempre»

«La fama di alta professionalità»è stata la molla che ha spintoLoris Mantovani a sedersi tra ibanchi delle Aldini. Perito inElettronica Industriale nel 1970,su quelle fondamenta Mantovaniha costruito Studioemme, societàche opera nell’ambito dellaprogettazione e produzione diapparecchiature elettroniche.Basi solide, perché «il corpoinsegnante era molto esigente, egarantiva una preparazione diottimo livello. C’era unacomponente fondamentale dellaformazione: l’abitudine allosforzo finalizzata a migliorare».Al punto che gli strumentiacquisiti allora sono entrati didiritto a far parte di quel«bagaglio tecnico che mi hapermesso di affrontare lesuccessive fasi del mio percorsoprofessionale, con una buonadotazione di conoscenzetecnologiche». E infatti, «dal1972 ad oggi – osservaMantovani — ho condottol’azienda di famiglia su percorsidi eccellenza. E ora, all’inizio delpassaggio generazionale, cerco ditrasferire a mio figlio i valoriricevuti sui banchi delle Aldini».

MERCOLEDÌ 9 NOVEMBRE 2011

2 PAGINA

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GGIIAANNFFRRAANNCCOO DDOONNDDAARRIINNII

««FFuu iill mmiioo oosssseerrvvaattoorriiooppeerr gguuaarrddaarree iill ffuuttuurroo»»

GIANFRANCO DONDARINI

«Fu il mio osservatorioper guardare il futuro»

Aldini, fabbrica

«Oggi più di ieri», GabrieleDrusiani consiglierebbe a ungiovane di varcare la portavetrata di via Bassanelli, da quasimezzo secolo indirizzo storicodelle Aldini Valeriani.Quegli anni, ammette Drusiani,presidente-general manager diSta impianti di Crespellano,«sono stati la base che mi hapermesso prima di inserirmi nelmondo del lavoro comedipendente qualificato. Ma ancordi più di possedere quelleconoscenze che, associateall’esperienza acquisita, mihanno consentito di iniziare epoi sviluppare la mia attività diimprenditore» partita nel 1988.Non solo tecnici, quindi, maanche capitani d’industria:questo hanno formato le Aldiniche il general manager scelse susuggerimento del padre, anchelui ex aldiniano. «Ho iniziato conle scuole medie Aldini (al tempoin via F.lli Rosselli) e poi passaiall’Istituto tecnico in viaCastiglione che mi appariva ilnaturale proseguimento».Diploma di metalmeccanico intasca nel 1972, Drusiani ricordaoneri e onori di quel periodo: «Inparticolare il biennio è statoabbastanza duro. Eravamo nelpost ‘68, enormi cambiamentierano in atto. In seconda fuianche bocciato. Poi col trienniomolte cose cambiarono,inaugurammo l’attuale sede divia Bassanelli e là fu tutto piùfacile. Col senno di poi, ritengoche la preparazione sia statadi buon livello».

La storia delle nostre industrie passa per viaBassanelli. Lì a Bologna abitano le celebri AldiniValeriani, istituto tecnico e professionalemeccanico, elettrotecnico, elettronico, chimico,grafico che, da un secolo e oltre, forgia tecnici,operai e imprenditori.Trascorsi importanti custoditi nei preziosi archividella scuola. Archivi che adesso, grazie ad unaccordo siglato con Unindustria Bologna, il

preside Salvatore Grillo ha aperto. Permettendoai tanti bolognesi che sono passati per viaCastiglione prima, via Bassanelli poi, direcuperare i loro diplomi.Prime, seconde e terze generazioni che hannocostruito e stanno costruendo il nostro tessutoeconomico-produttivo. Quando il domani affondale sue radici nel passato.

Giacomo Ruggero

CCAASSTTIIGGLLIIOONNEE EE VVIIAA BBAASSSSAANNEELLLLII PPRRIIMMAA DDII AAVVVVIIAARREE LLEE AAZZIIEENNDDEE

GABRIELE DRUSIANI

«Lì ho trovatole competenze giuste»

STEFANO SARTI

Una vocazionedi padre in figlio

Il primo, nel 1914, fu il nonnoPietro. L’ultimo Massimo, ilfiglio, nel 1993. Nel mezzo cisono stati Carlo, nel 1939, eStefano, nel 1968. Tutti iscritti efrequentanti la sezione diMeccanica delle gloriose AldiniValeriani. E, una volta diplomati,arruolati alla Meccanica Sarti,l’impresa di casa. Per tradizionee per far crescere l’azienda, lafamiglia Sarti ha bussato aiportoni di Santa Lucia prima(«quando c’erano i laboratori»,racconta Stefano Sarti) e di viaBassanelli poi. «La nostraimpresa, il prossimo anno,compie 80 anni. All’epoca, pergarantirsi un successore, miononno, di cui esiste un attestatodi professionalità del 1914,iscrisse mio padre, suo unicofiglio, alle Aldini». E da allora ilpassaggio di testimone non si èmai interrotto.«Alle Aldini — rileva StefanoSarti — si entrava poco più chefanciulli e si usciva ragazziformati con una doppiaistruzione tecnica-teorica epratica». Una scuola tosta daquaranta ore la settimana conprofessori di altissimo livello,che è stata fucina di tecnici eoperai «da cui le nostre impresehanno attinto. Oltre ad averforgiato una grossa parte delnostro tessutoeconomico-produttivo».

ENZO DAL POZZO

«Imparai che capireè meglio che sapere»

«Alle Aldini Valeriani va tutta lamia riconoscenza, perchè lì mihanno insegnato che impararenon è sapere, bensì capire. E secomprendi bene questo, allorapotrai continuare a imparare».Lezione che Enzo Dal Pozzo hamesso a tal punto in pratica dacostruire la sua CommercialeElsa srl — oggi con l’inserimentodi figli evoluta in Elsa Solutions— che si occupa di automazioneindustriale ed elettronica dipotenza. Un monito che fa il paiocon una declinazione piùmoderna del celebre carpe diem.«Quando è necessario — spiegaDal Pozzo —, in quel precisomomento, devi dare tutto quelloche puoi». Un livello massimoraggiungibile anche «grazie ainsegnanti che stimolano lacuriosità alla conoscenza e allacompetenza».Ed è stata proprio la capacità,questa volta di babbo Francesco,di saper annusare il nuovo, chefece sbarcare il figlio in viaCastiglione e conquistare, nel1964, il diploma di peritoelettronico. «L’intenzioneoriginale era la chimica, ma adImola quel corso non c’era —spiega Dal Pozzo —. Mio padrescoprì le Aldini tanto qualificate,quanto severe. E mi iscrisse lì.Dopo il biennio ebbil’opportunità dell’allora poconota specializzazione inelettronica. E senza sapere cosaeffettivamente fosse, con unagrande spinta di mio babbo, hointrapreso quel percorso».A tratti anche molto in salita.«Studiare alle Aldini eradurissimo: 40 ore tra aula elaboratori. Ma, con moltafortuna, ero entrato in un corsodi allievi super e profextra-super. Senza fare nomi, mail 45% dei miei compagni si èlaureato e alcuni di loro sonodocenti ordinari. Per cui orimanevi nel gruppo o ti perdeviin mezzo alla nebbia».E oggi? «Gli istituti tecnicidevono riprendere il ruolofondamentale che hannorivestito nel passato».

Lavoro o laurea: scelte a breve olungo termine. Aldinipassepartout per la vita, al di làdell’inclinazione da cui non siprescinde. «Mi sentivo piùportato per le materie tecnicherispetto a quelle umanistiche»,spiega Gianfranco Dondarini,diploma di perito elettronicoindustriale nel 1976 e oradirettore generale di Viro. Mavia Bassanelli, a tredici anni, puòessere anche un buon punto diosservazione per guardare alfuturo. «A quei tempi —prosegue Dondarini —, nonavendo la certezza di poter ovoler prendere una laurea, avereun diploma di specializzazionespendibile nel mondo del lavoroe che comunque non precludessel’eventuale accesso all’università,mi sembrò la scelta più giusta».E, per Dondarini, Aldini fu. Cosìl’indipendenza anche economicala si poteva afferrare con mano.«Studiare in quell’istituto erasicuramente impegnativo, masopportabile». Certo è che,cinque anni dopo, uno studenteacquisiva «una preparazionetecnica di buon livello, sia perquanto concerne la teoria sia perquanto riguarda la pratica suidiversi tipi di macchine di cui ilaboratori erano ben forniti».Conoscenze, ma anche altro. Adesempio, «un buon metodo dilavoro e anche la consapevolezzache occorrono volontà edeterminazione per affrontare erisolvere le problematiche che sipresentano quotidianamente nelmondo del lavoro». Insomma,una formazione professionale epersonale che il direttoregenerale suggerirebbe «oggi piùdi allora proprio perché adessoc’è carenza di personale tecnicospecializzato. Mentre, invece, perla creazione, lo sviluppo e lagestione di aziende produttive,occorre che ai vertici ci sia, dibase, una buona preparazione ditipo tecnico».

LUCIANO CHECCHI

«Uno studio durissimoche facilitò il lavoro»

Le Aldini Valeriani comepalestra del fare impresa. Earrivare così ad Ica, gioiello dellanostra Packaging Valley e di cuiGino Rapparini è il fondatore e ilcuore pulsante.«Quella scuola – ricordaRapparini, diploma in meccanicanel 1953 – mi ha abituato allamanualità, a mettere in pratica imiei studi: non solo teoria, maanche sudore. Nell’attuale AulaMagna di Santa Lucia (exlaboratorio dell’istituto che avevasede in via Castiglione, ndr)facevo aggiustaggio: ero talmentepiccolo che, per arrivare allamorsa, mi davano uno sgabello».Ma «mi hanno insegnato anchela disciplina: 8 ore al giornotranne il mercoledì, 4, e 2 ore alsabato. Mi hanno dato le primebasi, permettendomi diconseguire un’ottimapreparazione tecnica. E il ritmodi lavoro a scuola è lo stesso dellavoro di oggi».Insomma, libri, tornio e rigore.«L’attitudine di passare dallateoria alla pratica e negli annidalla pratica alla teoria – spiega ilpatron dell’impresa bolognese -,mi è stata di grande aiuto nelsettore delle macchineautomatiche: quando la teorianon è ben definita la praticaspesso viene in aiuto».E questa costante osmosi tra ilsaper fare e il saper pensare haprodotto 200 brevettiinternazionali: invenzioni omeglio soluzioni a problemi.Tutti a firma di mister Ica. Unamole tale che è finita nel mirinodell’Organizzazione mondialeper la proprietà intellettuale(Wipo). Al punto che l’agenziadell’Onu ha assegnato a GinoRapparini il premio WipoInventor Award «per la suaattività e innovazioneimprenditoriale nel settore delpackaging industriale».«Mi ha sempre spinto la voglia dinon fermarmi mai, di provarepiacere e gioia nel fare, nelraggiungere lo scopo, andareoltre e non mollare».Ica nasce qui, da questo impastotra spirito d’avventura eingegnosità. «D’estate lavoravo:nel ‘52 ho fatto la campagna dellacanapa come conduttore dimacchine a vapore. Mi sonodiplomato nel ‘53 comemeccanico e in quell’estate sonoentrato in fabbrica: lavoro da 58anni nel settore meccanico e da52 anni in quello delle macchineautomatiche».

GINO RAPPARINI

Mister brevetti: «La miapalestra tra i banchi»

STEFANO DOMENICHINI

L’alunno perfettova a scuola due volte

Aldini Valeriani due volte: perpassione, fame di sapere e vogliadi fare. La prima, nel 1970, qualedisegnatore meccanicoparticolarista, entrando in classedi giorno. La seconda, dieci annidopo, come peritometalmeccanico, studiando alserale. Stefano Domenichini èun aldiniano puro, che ha messotalmente a frutto la suapreparazione da aver fondato nel1986, insieme ad altri ex di viaBassanelli, la Tramec, aziendache produce riduttori di velocità.E che, quest’anno, festeggia ilquarto di secolo.«La prima scelta – ricordaDomenichini, il cui fratello,Sergio, è pure lui un ex — è statadettata dalla passione per imotori, nata perché sonocresciuto vicino a due aziende:una di moto, la Malanca e l’altradi auto, la Ats Serenissima. Dabambino ho avuto la possibilitàdi visitarle molte volte».Tre anni sui libri, poil’assunzione «nel 1971 comeimpiegato tecnico alla AmsAutoracing. All’inizio —racconta il socio fondatore dellaTramec — ho fatto di tutto: dallavaggio auto alle lavorazioni ditornitura e fresatura». La gavettafino a tagliare il traguardo del«disegno meccanico dicomponenti delle auto prodotte:ciò per cui avevo studiato».Ma il tarlo della preparazioneincompleta scava. «Dopo alcunianni, mi sono reso conto cheavevo una buona conoscenza deiprocessi di produzione, ma erocarente nella progettazione e neicalcoli strutturali».Si torna alle Aldini, ma al serale.Di giorno in azienda, la sera suibanchi. Anni duri questi ultimi,ma «di grande soddisfazioneperché – osserva Domenichini -,oltre al programma, discutevamocon i professori dei problemi inazienda. E questo ci ha datoqualcosa in più».Senza dubbio, le Aldini danno«la possibilità di acquisire unapreparazione tecnica sufficienteper affacciarsi al lavoro, ma siotterrebbero però risultatimaggiori se vi fosse piùintegrazione fra scuola eindustria. Prevedendo, adesempio, periodi dell’annoscolastico da trascorrere nelleaziende».

E VIA BASSANELLI PRIMA DI AVVIARE LE AZIENDE

«Le Aldini? Erano una scuoladurissima che selezionava inmodo feroce». In via Castiglione,«lo studio era lungo e moltodifficile perchè, accanto allateoria, si faceva anche moltapratica nelle officine»; primaversione degli odierni laboratori.Una strada in salita, al terminedella quale, però, «potevamoesprimere subito le nostrecompetenze in ambitolavorativo. Le Aldini tiformavano completamente».Cinque anni e nel 1947 LucianoChecchi, patron dellaMetaltranciati, taglia il traguardodel diploma di perito edile. Unasterzata rispetto al percorsointrapreso nei primi tre anni,quello di metalmeccanica. «Fuuna scelta consapevole — ricorda— perché allora, subito dopo laguerra, si pensava che il settoreedile fosse quello in maggioreespansione. E quindi con piùpossibilità di assunzioni. Mentre,invece, quello metalmeccanicoera pressoché fermo».Un colpo di coda che gli valse datrampolino di lancio percominciare a rimboccarsi lemaniche. Un paio d’anni comedirettore dei lavori in giro per icantieri a tirar su case e palazzi,poi il salto. «Ebbi l’occasione dirilevare un’aziendina che facevaopere metalmeccaniche»,racconta. Una sorta di ritornoalle origini degli studi che haportato Checchi a costruire laMetaltranciati di oggi, adOzzano, uno «stabilimentoall’avanguardia dove produciamolaminati in acciaio per industriemeccaniche».

di capitaniTANTI IMPRENDITORI SONO CRESCIUTI TRA VIA CASTIGLIONE

LORIS MANTOVANI

«Ho imparatoa migliorare sempre»

«La fama di alta professionalità»è stata la molla che ha spintoLoris Mantovani a sedersi tra ibanchi delle Aldini. Perito inElettronica Industriale nel 1970,su quelle fondamenta Mantovaniha costruito Studioemme, societàche opera nell’ambito dellaprogettazione e produzione diapparecchiature elettroniche.Basi solide, perché «il corpoinsegnante era molto esigente, egarantiva una preparazione diottimo livello. C’era unacomponente fondamentale dellaformazione: l’abitudine allosforzo finalizzata a migliorare».Al punto che gli strumentiacquisiti allora sono entrati didiritto a far parte di quel«bagaglio tecnico che mi hapermesso di affrontare lesuccessive fasi del mio percorsoprofessionale, con una buonadotazione di conoscenzetecnologiche». E infatti, «dal1972 ad oggi – osservaMantovani — ho condottol’azienda di famiglia su percorsidi eccellenza. E ora, all’inizio delpassaggio generazionale, cerco ditrasferire a mio figlio i valoriricevuti sui banchi delle Aldini».

MERCOLEDÌ 9 NOVEMBRE 2011

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GABRIELE DEGLI ESPOSTI

L’amore per la velocitàfu la spinta iniziale

Pane e ferro. E’ «l’odoreinconfondibile» di quel metallo,annusato fin da piccolo tra lemura domestiche, ad aversollecitato Massimo Ganzerla amuovere i suoi passi scolastici indirezione via Bassanelli. «In casamia, si respirava un certo climametalmeccanico». Merito delpadre Italo che, nel 1960, silanciò in quella che sarebbedivenuta (e cresciuta) l’impresadi famiglia, la Gait (appuntoGAnzerla ITalo) operante nelsettore delle attrezzature e deiricambi per macchine utensili.Aldini Valeriani, dunque. Anzi,per la precisione indirizzomeccanico ovvero il must di unascuola che ha sfornato un’elite dioperai, tecnici e imprenditori.Il diploma nel 1983. Dopo,ricorda Ganzerla, che ora guidala Gait, «scoprii di essere iscrittod’ufficio nella lista della secondagenerazione di piccoliimprenditori. E così mi sonoritrovato ad apparecchiare unamicro scrivania sistemata sul latoopposto di quello riservato a miopadre, lì il capo».Stare sui libri alle Aldini non eratutta discesa, ma «ti offrivanotantissimo e spesso anche ilmeglio». E comunque inquell’istituto si imparava che «seci vuoi stare nel mondo dellavoro, non devi smettere mai distudiare».Ecco perché quei cinque anni,chiarisce Ganzerla, «per tutti noiche li abbiamo vissuti (chi più echi meno), ci hanno modificatogeneticamente. Una volta uscito,ho capito immediatamente chedovevo impegnarmi a testa bassa.Ci è voluta un po’ di pazienza.Gli insegnamenti dei prof eranofotografie sfuocate, ma inun’occasione dopo l’altra,sbattendo contro la realtà deiproblemi, quasi senza che me nerendessi conto, le vecchieimmagini hanno cominciato adefinirsi e allora grazie scuola».E, alla fine, si scopre che«l’azienda non è solo meccanica etecnologia, ma anchecomunicazione con gli altriperché è l’insieme delle personeche ci lavorano all’interno».Insomma, con le dovuteproporzioni, un concetto che«potrebbe valere anche per lascuola»: aule e docenti.

MASSIMO GANZERLA

Una formazionea pane e ferro

Un motore che marcia a pienoregime senza perdere colpi.Questo rappresentano le AldiniValeriani per Gabriele DegliEsposti: nel 1974 peritocapotecnico metalmeccanico; nel2011 amministratore unico emanufacturing engineer diSettebello srl, nella progettazionee nella realizzazione allestimenti,e amministratore unico dellaKisstech Srl, macchine perpackaging e nuove soluzioni percapsule di caffè.«Le Aldini mi hanno fattovivere», ammette Degli Espostiche fu spinto tra quei banchidalla «grande passione per lavelocità, per la fisica. Mio padre— ricorda — mi aveva insegnatoa costruire barche a vela, asmontare ed elaborare motori, acostruire e usare aeromodellitelecomandati. Da ex istruttorepilota, mi portava all’aeroportodove, con alcuni amici,ricondizionavano piccoli aerei.L’Aldini Valeriani era la scuolad’officina, una scelta ovvia».Una palestra che, messi in manoi ferri del mestiere, permette diimboccare subito, all’indomanidel diploma, la strada del lavoro.«Ho cominciato all’Utm-UfficioTempi e Metodi della Minganti,poi sono passato alle OfficineCevolani e via via fino al GruppoSasib, settore ingegneria diproduzione del gruppo».Una crescita costante costruita subase solide. «Le Aldini eranomolto dure — ammette DegliEsposti —. Le ore erano tante,mattina e pomeriggio e al sabatoancora lezioni. Preparazione diottimo livello, si usciva con undiploma che consentiva un facileaccesso al mondo del lavoro,prendendo ‘rapidamente i giri’.La formazione in disegnotecnico meccanico mi aiutaancora moltissimo. Tuttoraschizzo in 3D a mano durante leriunioni per fissare oggetti esoluzioni. Prima del tecnigrafo,si disegnava a mano su carta damacellaio. La prima bozza delprogetto si plottava così».Insomma, una scuola del «saperfare con un patrimonio infinitodi conoscenze. Forse per creareun nuovo livello culturale e diformazione si potrebbero oggiusare quelli che erano glistudenti di allora».

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«Le Aldini? Mi hanno permessodi avere un’azienda mia in cuisvolgere lavorazioni meccanichedi precisione». Affondano qui leradici dell’avventura (anchepersonale) di GiovanniMazzocchi, patron della Gimecdi Marzabotto. «Sono state dellebuone fondamenta su cuicostruire il percorso di 40 anni diprofessionalità in questo campo».La partenza. «Dopo il diplomaprofessionale di operatoremacchine utensili nel 1971 –ricorda Mazzocchi -, ricevettinumerose richieste di assunzioneda parte di aziende storichemolto importanti. Ne scelsi una ecominciai a lavorare pochesettimane dopo aver chiuso ilibri».Scegliere le Aldini era quasi unpassaggio obbligato per chivoleva imboccare la strada dellameccanica. «Erano tra le scuolepiù rinomate di Bologna eoffrivano un indirizzoprofessionale tra i piùimportanti».Inevitabile quindi passare per viaCastiglione. «Studiare alle Aldininon è stato particolarmente duroe nonostante il periodo (inizioanni ‘70, contestazioni di variotipo e scioperi politici) sistudiava il giusto, ma lapreparazione comunque era diottimo livello ed il risultatofinale è stato buono». Al puntoche «qualora avessi avuto figlimaschi sicuramente li avreiindirizzati verso questo istitutoche ritengo ancora essere ilmigliore istituto professionalecittadino».

GIOVANNI MAZZOCCHI

«La mia aziendaviene da quegli studi»

Propensione verso gli studiscientifici e una buona dose di«curiosità verso i meccanismi,data anche dal fatto che miopadre aveva avviato un’attivitàautonoma di costruzionimeccaniche», sono gliingredienti che hanno spintoMarco Mingardi a iscriversi alcorso di Metalmeccanica,diploma 1974.«Mio padre, mi fece quellaproposta e io accettai», confidaMingardi, che oggi dirige ilsettore Amministrazione,Finanza e Controllo dellaWay-Window automationindustry. Una scelta uguale aquella del padre, ex studentedelle Aldini. E così, insieme alui, «ebbi la possibilità dicontribuire allo sviluppo dellasua società, che crebbe annodopo anno, fino a raggiungeredimensioni apprezzabili».Una corsa partita da viaBassanelli. «Lì — ricordaMingardi – ho ricevuto le basiche erano indispensabili per untecnico, per una persona cheopera in un ufficio tecnico o inun’area di produzione, o cheall’interno di una aziendameccanica avrebbe dovutoaffrontare e risolvere temispecifici».Cinque anni a studiare alleAldini, «il biennio furelativamente duro per periodosia storico che personale. Storicoperché eravamo negli anni’68-‘70 ed erano più i giorni diindisponibilità della scuola chequelli di lezione; personaleperché in piena faseadolescenziale gli interessi eranorivolti in tutt’altra direzione».

MARCO MINGARDI

«Sulle ormedi mio padre»

«Le Aldini? Sono state lefondamenta della mia attivitàprofessionale dopo l’università».Parola di Roberto Ardizzoni, undiploma in Elettronica nel 1970in via Castiglione sfociato in unalaurea in Ingegneria elettronica.E un lavoro alla Studioemme,impresa che opera appunto nelsettore dei servizi perl’elettronica e nella produzionedi apparecchiature.Aldini, dunque, cometrampolino di lancio, perchécapaci di fornire quel know howdifficile da trovare altrove.Istituto di sostanza scelto «per lasua reputazione e l’eccellenza diun corpo docente» capace ditrasmettere «una preparazione diun ottimo livello».Il debutto alle Aldini, nel«triennio, con un primo annoparticolarmente duro» trascorsosui libri e nei laboratori sempreall’avanguardia su cui esercitarsi.Il primo step di una vitaprofessionale.

ROBERTO ARDIZZONI

Prima l’elettronica,poi l’ingegneria

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