+ All Categories
Home > Documents > NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente...

NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente...

Date post: 15-Feb-2019
Category:
Upload: duongtram
View: 218 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
12
Gruppo Interstizi&Intersezioni Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano N N e e w w s s M M A A G G A A Z Z I I N N E E I I n n t t e e r r s s t t i i z z i i & & I I n n t t e e r r s s e e z z i i o o n n i i n n . . 2 2 6 6 , , A A u u t t u u n n n n o o 2 2 0 0 1 1 2 2 Nel silenzio batte il seme… A tentoni avanzerà per trovare l’unica via: la luce. Crescerà forte il fuscello, alto il fusto, ricco il grano e griderà orgoglioso: voglio essere pane! Il vento nel grano, una mano che accarezza i capelli: la tenerezza. Manuel Forcano Editoriale – La democrazia e la circolazione stradale Siamo abituati a pensare che la democrazia abbia a che vedere con il sistema politico e con il voto. Ovviamente l’aspetto del suffragio popolare è fondamentale in una democrazia rappresentativa, tanto più in anni di corruzione e abuso di potere dilaganti, ma non basta. Credo che uno degli aspetti attraverso i quali si costruisce una pratica democratica sia rappresentato dall’accessibilità di beni, mezzi e servizi alla generalità dei membri di un paese, di pari passo con la pratica di regole comuni. Si potrebbero citare sinteticamente nel 900, insieme alla creazione del Welfare State, l’accesso all’orologio (strumento di controllo dei tempi sociali), poi al telefono e agli elettrodomestici, alla televisione e alll’automobile, quindi al computer e al telefono cellulare: l’uso in pubblico di parecchi di questi strumenti necessita il rispetto di regole, nel quadro di uno stato di diritto. Nelle nostre metropoli iperaffollate emerge come cruciale il tema della circolazione, sul quale mi limito a due accenni: anzitutto, se si chiede ai cittadini di rinunciare all’automobile (come a Milano, nell’area C o talvolta alla domenica), è inevitabile che si offrano servizi di trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional ma è un diritto sapere quanto deve attendere un mezzo, o essere informato tempestivamente in caso di ritardi o défaillances tecniche. Il secondo aspetto riguarda il rispetto dei pedoni, dal momento che camminare è un’esperienza complementare all’utilizzo dei mezzi pubblici o privati e sempre più necessaria in città. Ora, non sembra retorico chiedersi – alla luce delle statistiche sugli incidenti urbani – come mai nelle città italiane, uniche forse in Europa, gli automobilisti, i motociclisti e persino i ciclisti (invasori impuniti di marciapiedi) spesso non rispettano l’incolumità e i ritmi di chi va a piedi, neppure sulle strisce pedonali. Reprimere i comportamenti devianti non è sufficiente, tanto più a incidenti avvenuti; potrebbe essere opportuno, piuttosto, lanciare campagne intelligenti di socializzazione ai valori che sono sottostanti al rispetto delle regole della circolazione urbana: per quanto settoriale o apparentemente marginale, anche questo rispetto fa parte di una vita democratica ordinata ed effettiva. Giovanni Gasparini SOMMARIO Forum su “In memoria del Cardinal Carlo Maria Martini” a cura di Piermarco Aroldi (Piermarco Aroldi, Giovanni Gasparini) 1. Incontri - Emil Mazzoleni, Pensare la dignità umana 2. Libri & Scritti - Renata Lollo, Letteratura e oltre. Studi in onore di Giorgio Baroni, a cura di P. Ponti - Giovanni Gasparini, L’encre serait de l’ombre di Ph. Jaccottet - Daniele Clarizia, Narrami o libro. Quando i romanzi parlano di editoria 3. Arte & Comunicazione - Stefano Albarello, Wojciech Bobowski…Breve storia di un rinnegato alla corte ottomana 4. Vita quotidiana - Esmeralda Colombo, ‘El Sistema’ (Venezuela): una questione di giustizia Rubrica “Città (e luoghi) interstiziali” - Gabrio Forti, Bruxelles, una città-isola Pubblicazioni recenti neXus
Transcript
Page 1: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

Gruppo Interstizi&Intersezioni Dipartimento di Sociologia Università Cattolica

del Sacro Cuore – Milano

NNNeeewwwsssMMMAAAGGGAAAZZZIIINNNEEE IIInnnttteeerrrssstttiiizzziii &&& IIInnnttteeerrrssseeezzziiiooonnniii

nnn... 222666,,, AAAuuutttuuunnnnnnooo 222000111222

Nel silenzio batte il seme… A tentoni avanzerà per trovare l’unica via: la luce. Crescerà forte il fuscello, alto il fusto, ricco il grano e griderà orgoglioso:

voglio essere pane! Il vento nel grano, una mano che accarezza i capelli: la tenerezza. Manuel Forcano

Editoriale – La democrazia e la circolazione stradale Siamo abituati a pensare che la democrazia abbia a che vedere con il sistema politico e con il voto. Ovviamente l’aspetto del suffragio popolare è fondamentale in una democrazia rappresentativa, tanto più in anni di corruzione e abuso di potere dilaganti, ma non basta. Credo che uno degli aspetti attraverso i quali si costruisce una pratica democratica sia rappresentato dall’accessibilità di beni, mezzi e servizi alla generalità dei membri di un paese, di pari passo con la pratica di regole comuni. Si potrebbero citare sinteticamente nel 900, insieme alla creazione del Welfare State, l’accesso all’orologio (strumento di controllo dei tempi sociali), poi al telefono e agli elettrodomestici, alla televisione e alll’automobile, quindi al computer e al telefono cellulare: l’uso in pubblico di parecchi di questi strumenti necessita il rispetto di regole, nel quadro di uno stato di diritto. Nelle nostre metropoli iperaffollate emerge come cruciale il tema della circolazione, sul quale mi limito a due accenni: anzitutto, se si chiede ai cittadini di rinunciare all’automobile (come a Milano, nell’area C o talvolta alla domenica), è inevitabile che si offrano servizi di trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional ma è un diritto sapere quanto deve attendere un mezzo, o essere informato tempestivamente in caso di ritardi o défaillances tecniche. Il secondo aspetto riguarda il rispetto dei pedoni, dal momento che camminare è un’esperienza complementare all’utilizzo dei mezzi pubblici o privati e sempre più necessaria in città. Ora, non sembra retorico chiedersi – alla luce delle statistiche sugli incidenti urbani – come mai nelle città italiane, uniche forse in Europa, gli automobilisti, i motociclisti e persino i ciclisti (invasori impuniti di marciapiedi) spesso non rispettano l’incolumità e i ritmi di chi va a piedi, neppure sulle strisce pedonali. Reprimere i comportamenti devianti non è sufficiente, tanto più a incidenti avvenuti; potrebbe essere opportuno, piuttosto, lanciare campagne intelligenti di socializzazione ai valori che sono sottostanti al rispetto delle regole della circolazione urbana: per quanto settoriale o apparentemente marginale, anche questo rispetto fa parte di una vita democratica ordinata ed effettiva. Giovanni Gasparini

SOMMARIO

Forum su “In memoria del Cardinal Carlo Maria Martini” a cura di Piermarco Aroldi (Piermarco Aroldi, Giovanni Gasparini)

1. Incontri - Emil Mazzoleni, Pensare la dignità umana

2. Libri & Scritti - Renata Lollo, Letteratura e oltre. Studi in onore di Giorgio Baroni, a cura di P. Ponti - Giovanni Gasparini, L’encre serait de l’ombre di Ph. Jaccottet - Daniele Clarizia, Narrami o libro. Quando i romanzi parlano di editoria

3. Arte & Comunicazione - Stefano Albarello, Wojciech Bobowski…Breve storia di un rinnegato alla corte ottomana 4. Vita quotidiana - Esmeralda Colombo, ‘El Sistema’ (Venezuela): una questione di giustizia Rubrica “Città (e luoghi) interstiziali”

- Gabrio Forti, Bruxelles, una città-isola

Pubblicazioni recenti

neXus

Page 2: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

2

Forum su “In memoria del Cardinal Carlo Maria Martini” a cura di Piermarco Aroldi

Comunicazione Il Cardinal Martini volle dedicare un biennio pastorale al tema della comunicazione; su questo tema dettò due lettere pastorali, la prima intitolata Effatà, apriti, la seconda Il lembo del mantello. Non si trattò, nelle sue parole, di un tema accessorio o eccentrico, una sorta di “lusso”, ma di toccare una “condizione dell'essere uomo e donna e dell'essere Chiesa” avvertita con particolare urgenza nel contesto storico e sociale di quegli anni. Quella scelta ci consente, oggi, di cogliere, una volta di più, il segno di una intuizione profetica: non solo la progressiva centralità della comunicazione nelle dinamiche culturali e politiche che hanno accompagnato gli ultimi venti anni, ma la natura strutturalmente comunicativa della società e, in essa, della Chiesa. Nella prima lettera, infatti, il Cardinale prendeva le mosse dalla condizione patologica del sordomuto guarito da Gesù per riflettere sui blocchi personali e sugli ostacoli strutturali che impediscono la comunicazione piena: la comunicazione di Dio all’uomo (Dio che è in sé comunicazione tra le Persone, si comunica attraverso Cristo), la comunicazione tra uomini (sempre in bilico tra Babele e Pentecoste), la comunicazione della Chiesa, tanto al suo interno quanto verso l’esterno. Nella seconda lettera, poi, l’episodio della emorroissa guarita dal tocco del mantello di Cristo diviene immagine delle potenzialità dei mezzi di comunicazione (allora ancora di massa, ma in rapida trasformazione grazie all’incipiente processo di digitalizzazione). La lettera assumeva, così, il sorprendente e un po’ paradossale andamento di un dialogo tra il Cardinale e il televisore. Di quella lettera resta, tra gli altri, un passo decisivo, che mi piace ricordare in questa sede, e che costituisce una delle più lucide rappresentazioni di ciò che i media stavano diventando: non più solo canali di comunicazione; non più solo linguaggi; ma più radicalmente ambienti: “I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un'atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un

pesce nell'acqua. E' il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi”. L’approccio ecologico ai media come ambienti sociali, che trovano oggi nelle forme del Web 2.0 gli esempi più recenti ed efficaci, poneva di fatto un tema fondamentale: come abitare questo nuovo ambiente in modo pienamente umano? E quali responsabilità derivano a ciascuno di noi da questa coabitazione, sempre più stretta e interconnessa? A fronte di queste domande, sempre più stringenti, si avverte con maggiore nostalgia la perdita di chi ne colse, così precocemente, la maturazione e l’avvento. Piermarco Aroldi, Università Cattolica – Milano – [email protected] Contemplazione e bellezza Il cardinale Martini, che è bello chiamare padre Carlo Maria Martini, non aveva una vocazione personale per l’espressione poetica. Un grande e prolifico scrittore come lui, autore di decine e decine di libri e testi, non ha mai scritto una poesia: ricordo che anni fa durante un incontro all’Ambrosianeum di Milano disse che pur apprezzando il linguaggio poetico non ne aveva una esperienza personale; Martini è stato uno scrittore in prosa. Eppure il suo modo di accostarsi alla Parola di Dio, specialmente nel commento alla liturgia e negli scritti pastorali, dimostrava una creatività e una originalità che riusciva a mettere a tema anche argomenti sensibili alla dimensione poetica. Il primo di questi che vorrei citare è la contemplazione: ricordo lo stupore e lo sconcerto suscitato dalla prima lettera pastorale del neo-insediato arcivescovo, quella che Martini dedicò nel 1981 alla dimensione contemplativa della vita; fu uno stupore benefico, per l’invito rivolto a ciascuno a prendersi del tempo, a dare spazio a ciò che è profondo e gratuito, non funzionale o utilitaristico. E ricordo il tema della bellezza, al quale venne dedicata la lettera pastorale del 1999-2000, riprendendo la celebre citazione dall’Idiota di Dostoevskij, quella che riguarda la questione di “Quale la bellezza salverà il mondo”. Sul tema della bellezza Martini era tornato recentemente in occasione dell’Esposizione del novembre-dicembre 2011 sul nuovo Evangeliario ambrosiano a Palazzo Reale, in occasione della quale aveva scritto queste parole significative: “La bellezza più bella non si dice, si percepisce a partire dalla pace dell’anima sotto lo splendore

Page 3: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

3

della luce divina. Per questo Gesù era straordinariamente bello e la sua bellezza si rifletteva sul volto di coloro che erano pronti a seguirlo.”Questa sensibilità a temi insoliti nella trattazione pastorale e spirituale rendeva il comunicare di Martini aperto a molte corde, accogliente e accessibile anche nei confronti di chi si ritiene un non credente: lo dimostra tra l’altro l’esito straordinario che ebbe la sua idea di istituire una “Cattedra dei non credenti” per dialogare sui grandi problemi del mondo di oggi tra intellettuali credenti e non credenti. Vorrei concludere con un ricordo personale che risale ai primissimi tempi della presenza del card.Martini nella diocesi ambrosiana: era Avvento – se non sbaglio - e l’arcivescovo venne apposta in Università Cattolica, accolto dal Rettore prof.Lazzati, per commentare a tutti i docenti riuniti un brano del vangelo. La cosa era molto insolita, ci sentivamo un po’ intimoriti, al punto tale che nessuno intervenne alla fine a commentare o a chiedere qualcosa, nonostante l’invito di Lazzati: io ero uno dei docenti più giovani e non ebbi il coraggio di prendere la parola, ma mi è rimasto a lungo il rincrescimento di non averlo fatto. Certo non sarebbe cambiato nulla: ma credo che questo piccolo episodio possa indicare il senso di sorpresa creato da un magistero e un servizio episcopale di cui oggi si comprende ancora di più il carattere davvero eccezionale. Giovanni Gasparini, Università Cattolica – Milano, [email protected]

1. Incontri Pensare la dignità umana Nella primavera 2012 l’Almo Collegio Borromeo di Pavia ha ospitato un ciclo di conferenze, organizzato da Giampaolo Azzoni (Università di Pavia), sul tema “Pensare la dignità umana”. Cinque studiosi sono stati chiamati a confrontarsi su questa spinosa problematica sotto diversi punti di vista, qui di seguito richiamati. Dignità umana e ordinamento giuridico (Paolo Becchi, Università di Genova). La Costituzione italiana contiene tre espliciti riferimenti alla dignità: l’art. 3, 1˚comma, si riferisce alla “pari dignità sociale”; l’art. 36, 1˚comma, parla di una retribuzione lavorativa tale da assicurare “un’esistenza libera e dignitosa”; l’art. 41, 2˚comma, afferma che l’attività economica

privata non può svolgersi “in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. A differenza dell’art. 1 del Grundgesetz, la dignità si configura perciò come un parametro non assoluto, ma relazionale: la qualificazione sociale la riconnette, infatti, alla nozione di lavoro, valore fondante della Repubblica. Non è quindi un caso che a livello legislativo la tutela della dignità compaia per la prima volta proprio nello Statuto dei lavoratori (l. 300/1970), per poi estendersi nel corso degli anni a diversi altri soggetti: il detenuto, la donna, il malato, la persona disabile, lo straniero, il consumatore, il defunto. La legislazione ordinaria lascia dunque emergere una tutela frammentata della dignità, che dalla dimensione sociale costituzionale è passata a coprire nuovi scenari. Tutto ciò si riflette a livello giurisprudenziale: l’interpretazione della dignità umana oscilla fra una concezione oggettiva (la dignità come valore-limite all’autodeterminazione) ed una soggettiva (la dignità come autodeterminazione dei propri valori). La dignità umana è entrata a far parte del nostro ordinamento giuridico anche come principio incondizionato con la ratifica del Trattato di Lisbona, avvenuta con legge n. 130 del 2.8.2008, il quale all’art. 1bis colloca la dignità al primo posto tra i valori fondanti gli Stati membri dell’Unione. Dignità umana e bellezza (Giovanni Gasparini, Università Cattolica, Milano). Il tema della dignità umana è stato affrontato mettendo a fuoco il processo di costruzione sociale della bellezza. Secondo Gasparini la chiave interpretativa è rappresentata dai valori, intesi come giudizi morali collettivi sulle azioni sociali. Un’opera di costruzione sociale della bellezza che prescindesse dai valori generali condivisi, specialmente se riferiti ad un orientamento alla giustizia, sarebbe monca e rischierebbe di diventare un fatto o un processo puramente estetico. L’orientamento alla giustizia diviene così la cornice e il suggello dei valori condivisi, il momento della composizione dei tre grandi valori che dalla Rivoluzione francese in poi stanno alla base degli stati moderni: libertà, eguaglianza e solidarietà. Ora, la prefigurazione di una società orientata a tali grandi valori non è estranea al tema né della bellezza né della dignità. Si può pensare, infatti, ad una società giusta e dignitosa che sia anche una “società bella”, nella quale siano, per esempio, adeguatamente tutelati la natura e il paesaggio, o dove le condizioni della

Page 4: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

4

realtà urbana siano improntate a criteri che coniughino armoniosamente la dimensione estetica con la vivibilità e con il rispetto delle regole. Cade opportuno il richiamo ad un nuovo valore generale, che è venuto acquistando progressivamente un elevato consenso sociale: la qualità della vita, che coniuga la bellezza con la dignità umana, in quanto permette un rinnovato apprezzamento della gratuità, rivisitando con spirito moderno la tradizione della realtà preindustriale. Dignità umana e bene comune (Markus Krinke, Facoltà di Teologia, Lugano). Il significato di ciò che intendiamo oggi con “dignità umana è stato spesso storicamente esplicitato con il concetto del “bene comune”. Dignità umana e bene comune sono generalmente collocati su due fronti opposti: raramente sono trattati in un ragionamento sistematico. Tradizionalmente si ritiene, infatti, che il primo concetto si rivolga all’individuo ed appartenga al discorso della modernità, mentre il secondo si riferisca al livello politico della comunità e derivi dal contesto premoderno del pensiero sociale. Ciò che in realtà rende complicato il rapporto tra i due non è la presunta opposizione tra i due termini, bensì la loro vicinanza: entrambi concretizzano concetti morali atti a spiegare la “ragione dell’obbligazione” nella sfera pubblica. La realizzazione della dignità umana come bene comune è quindi un evento di libertà, non esente da conflitti. La ragione del conflitto riposa, difatti, sulla natura della dignità umana, valore non individualistico ma relazionale. Ecco perché il bene comune può essere descritto anche come realizzazione della relazionalità della dignità umana. Per questo, è indirizzato alla società: né all’individuo, né allo Stato. Viceversa, il bene comune deve essere normativamente già compreso a partire dalla dignità umana. Ciò non costituisce un circolo, perché ci troviamo su due livelli sistematicamente diversi: “regola” e “principio”. Il “bene comune”, come “principio” della regola “dignità umana”, non si realizza dunque solo attraverso il sempre concreto sistema giuridico ma soprattutto tramite la dimensione relazionale della società. Dignità umana e disabilità (Maria Zanichelli, Università di Parma). La dignità umana presenta una nozione religiosa e metafisica prima che etica e giuridica: è ciò che connota essenzialmente l’essere umano (concetto descrittivo) in quanto persona (concetto normativo o nomen dignitatis).

La dignità umana è una dotazione più che una prestazione: nessuno la attribuisce o la toglie, si può solo riconoscerla o violarla; è una realtà oggettiva più che soggettiva, intersoggettiva più che individualistica. E’ la concezione kantiana della dignità: una ragione dunque “moralmente pratica”, che ci comanda di trattare l’umanità, sia nella propria persona sia in quella di ogni altro “sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”. Limiti al modello kantiano di dignità emergono tuttavia nel pensiero filosofico contemporaneo, in particolare in Rawls e in Engelhardt. Sono entrambi modelli in cui l’autonomia è in primo piano, ma la conseguenza quasi necessaria è l’esclusione della condizione disabile dai parametri di definizione della società giusta (Rawls) e della comunità morale (Engelhardt). Invece, la rilevanza giuridica della dignità umana del disabile è da ricondurre alla debolezza e alla vulnerabilità molto più che alla forza e all’autonomia. Ciò trova riscontro nei tre testi normativi italiani in tema di disabilità: l. 104/1992 sull’assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, la l. 68/1999 sul collocamento al lavoro della persona disabile e la l. 67/2006 per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. In conclusione un disabile, prima che un disabile, è una persona (non riducibile alle sue capacità né ai suoi deficit), un individuo (non l’esemplare rappresentativo di una categoria), e soprattutto un essere umano (e ogni essere umano è sempre, in qualche misura, dipendente da altri). Dignità umana e silenzio (Jean-Luc Egger, giuslinguista, Confederazione Svizzera, Berna). Il relatore ha analizzato il rapporto tra la dignità umana ed il silenzio, sulla scia delle considerazioni del filosofo svizzero Max Picard. Escludendo in partenza contrasti con i concetti di parola, rumore e ragione, ci si chiede se il silenzio, in quanto categoria dogmatica estranea all’utile, possa aiutarci a pensare la dignità umana in una diversa prospettiva. L’opera di Picard mira a riscoprire una metafisica del silenzio quale dimensione essenziale della realtà. Descrivendo la silente coefficienza nella fenomenicità del mondo, Picard tenta, infatti, di ripristinare le cose nella loro autonomia entitativa, nella loro integrità e nella loro dignità. Il silenzio, come fenomeno originario non scomponibile, permette di conferire alle cose che lo abitano parte della sua sostanzialità, evidenziando l’irriducibilità ontica di ogni singolo ente. Ogni cosa merita

Page 5: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

5

rispetto e ha una propria dignità, perché ogni ente, prima ancora di essere il risultato di un processo o di una somma di parti, è un’unità totale, dotata di una propria intelligibilità e di un propria originalità ontologica. Questa impostazione non ha mire speculative, ma è animata da un intento etico: ripristinare gli enti nel loro statuto originale di unità totali, affinché possa avvenire un incontro al giusto livello ontologico fra l’uomo e l’essere. Emil Mazzoleni, tutor, Università di Pavia, [email protected]

2. Libri & Scritti Letteratura e oltre. Studi in onore di Giorgio Baroni, a cura di Paola Ponti, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2012, pp. 654. Il lungo impegno di italianista allargatosi nel tempo a discipline affini come la sociologia della letteratura del prof. Giorgio Baroni presso l’Università Cattolica di Milano ottiene con la pubblicazione degli Studi in suo onore un significativo riconoscimento. Oltre centotrenta studiosi hanno proposto una saggistica che, nella libertà delle scelte individuali, non ha mancato di lasciar emergere varie consonanze con le tematiche più sentite dal docente, delineando un sottile contrappunto ai suoi libri e ai suoi convegni, così che la sua figura, ben delineata dalla presentazione e dal curato analitico curriculum a firma di Paola Ponti, si illumina di dettagli culturali indiretti ma autentici attraverso le parole di studiosi di varia provenienza. E’ nota la tenace fedeltà alle origini triestine di Giorgio Baroni, la sua conoscenza storica e culturale di una sofferta italianità di confine della quale si è sempre sentito partecipe e della quale avvertiva talvolta una insufficiente comprensione in diversi ambiti di studio del suo Paese. Va riconosciuto che si pensava poco allora alla “contemporanea lirica istro-quarneriana” ora trattata da Elis Deghenghi Olujid. E’ in questo spirito che si dà ora un rilievo particolare all’articolo di Anna Pastore concernente uno scambio di lettere inedite fra Bruno Maier e Giovanni Cristini tra il 1990 e il 1994, poco dopo la morte della “nostra indimenticabile Ines”. Chi è ricordata in questo modo? Ines Scaramucci che, docente di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università Cattolica fino al 1979, lo aveva formato e aveva pubblicato suoi volumi

importanti come Trieste e “La Voce”, scritti su Bruno Sanzin e più largamente sulla cultura triestina in anni certamente non troppo sensibili a certe acquisizioni e a interpretazioni critiche sentite non esenti da venature di parte. Questo non fa dimenticare altri interessi baroniani, come i già intuibili apporti concernenti il futurismo, qui fatti liberamente emergere dalle riflessioni di Edoardo Esposito, di Francesca Strazzi e anche di Luigi Fontanella, attento al futurismo fiorentino di Palazzeschi. Né mancano richiami pariniani, calviniani e ungarettiani fra le varie proposte critiche, che ci invitano indirettamente a non dimenticare l’importanza della poesia nella cultura di Giorgio Baroni, uscito con l’opera prima, Contributo allo studio di Umberto Saba, nel 1969. Diventa in modo diverso interessante vedere come nel variegato volume si possa cogliere anche un altro filone di indagine: quello degli allievi, nei quali si mostra un altro aspetto della sua figura di docente, connotata da un forte desiderio di accogliere e formare potenzialità senza mai volere forme di subordinazione culturale o acquiescenza metodologica. Così Andrea Rondini esamina Calvino, Maria Cristina Albonico si occupa di Angelo Maria Ricci e la Georgica dei Fiori, Federica Millefiorini del Bel Paese di Antonio Stoppani, senza pregiudizio di indagine su un testo che fu pubblicato in alcune puntate nel 1873 su Le prime letture di Luigi Sailer, rivista espressamente scritta per ragazzi; Paola Ponti del resto indaga Amori e lettori. Un nome prosaico di Carlo Collodi. Né si creda che questo interesse per aspetti di letteratura fino a tempi recenti diversamente frequentati sia specifico di questi allievi. Fra gli autori di saggi è presente Michele Rak studioso di Basile e di fiaba ed anche l’italianista Piero Gibellini presenta qui l’anima del burattino. Una rilettura di Pinocchio, libro per adulti, ma certamente “salvato dai bambini”. Molto altro si potrebbe dire, ma la consistenza del volume non permette di lumeggiare ulteriori contributi di illustri studiosi, di amici di lunga data, di collaboratori esperti. Ci si augura che l’accento posto su alcune particolari tracce inviti e stimoli all’auspicabile lettura integrale dell’opera. Un testo, fra i molti di pregio e di rigore, offre nella sua evidente inusuale antiaccademicità, una parola di congedo e di saluto che può essere rispettosamente condivisa. E’ di Giorgio Cavallini e costituisce il titolo del suo riflessivo intervento: “Caro Giorgio, grazie!”. Renata Lollo, [email protected]

Page 6: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

6

Ph. Jaccottet, L’encre serait de l’ombre, Paris, Gallimard 2011. Philippe Jaccottet è considerato insieme a Yves Bonnefoy il più grande poeta francofono vivente: svizzero di nascita, risiede da moltissimi anni a Grignan, un piccolo centro della Drôme (Alta Provenza) in vista del Mont Ventoux che è diventato lo sfondo ma anche un tema centrale della sua lirica e della sua scrittura. In questo volume antologico di quasi 550 pagine, pubblicato come quasi tutti i precedenti da Gallimard, vengono presentate, come si indica nel sottotitolo, “Note, prose e poesie scelte dall’autore” in un arco di tempo di oltre sessant’anni, dal 1946 al 2008. Per chi non conosce il poeta di Grignan, si tratta di un’ottima introduzione al suo stile, ai suoi interessi e alla sua forma che passa con estrema scioltezza dai versi alla prosa; per chi ha familiarità con Jaccottet, il volume è un’occasione ulteriore per osservare quasi con un senso di meraviglia la perseveranza straordinaria di un modo di scrivere davvero atipico e fuori del coro che egli porta avanti con umile tenacia dall’immediato dopoguerra. La poesia-prosa di Jaccottet è pervasa da un senso immanente di sospensione tra ombra e spiragli di luce, tra constatazione pessimistica del dolore della vita e interstizi di speranza: la sua è una scrittura disarmata, esposta al rischio che il lettore scambi le piccole cose significative con elementi banali della vita quotidiana. Lo stesso titolo dato al volume riprende una poesia iniziale che parla di ombra, di luce e di scrittura: Mi rialzo a fatica e guardo: / ci sono tre luci, sembrerebbe. / Quella del cielo, quella che dall’alto/ trascorre e si cancella in me, / e quella di cui la mia mano traccia l’ombra sulla pagina./ L’inchiostro sarebbe come ombra (…) (p.7). Colpisce la coerenza e l’impegno che il poeta pone costantemente nel rapporto tra scrittura e vita; come egli afferma in uno dei suoi carnets, “La difficoltà non è quella di scrivere, ma di vivere in modo tale che lo scritto nasca naturalmente. E’ questo che si rivela quasi impossibile oggi; ma io non riesco a immaginare altra via. Poesia come épanouissement, fioritura, oppure nulla.” (p.346). Non posso non ricordare qui che Jaccottet fa l’onore a questo Newsmagazine ‘Interstizi & Interesezioni’ di esserne un Corrispondente; e che in particolare, nonostante l’età avanzata e i problemi di salute, egli intrattiene da parecchi anni con il sottoscritto

una corrispondenza che si alimenta di densi, essenziali accenni alla poesia e alla vita. Giovanni Gasparini, Università Cattolica – Milano.

Narrami o libro. Quando i romanzi parlano di editoria (Educatt, Milano 2012) Di fronte al boom dei libri di narrativa che hanno come oggetto il mondo stesso dei libri, il Laboratorio di editoria dell'Università Cattolica di Milano ha schedato una sessantina di romanzi creando un'originale antologia commentata sui libri narrativi che si occupano di temi editoriali: dalla scrittura alla biblioteca, dalla casa editrice alla lettura. La ricerca, a cura di Velania La Mendola e Maria Villano, n. 12 della serie “Quaderni del Laboratorio di editoria”, reca un’introduzione di Roberto Cicala e illustrazioni di Tullio Pericoli. La selezione comprende opere di Flaubert, Pennac, Sciascia, Saramago e altri ancora. “Narrami o libro” è un invito alla lettura e un’antologia letteraria a tema. Come scrivono gli studenti che hanno allestito il volume, «da opere celeberrime come “Madame Bovary” a best seller campioni di vendite come “Il codice da Vinci”, passando per la brillante leggerezza della “Matilde” di Roald Dahl e l’immensa e misteriosa biblioteca del “Nome della rosa”, troverete un personalissimo quadro della narrativa dedicata all’editoria in forma di invito alla lettura». Si tratta di un progetto del Laboratorio a compimento del corso di editoria libraria e multimediale sotto la guida del professor Cicala, «che ci ha insegnato - dicono ancora gli studenti - oltre alla storia, la teoria e la pratica dell’attività editoriale. “Narrami o libro” è un viaggio tra racconti e romanzi, escludendo saggistica e memorialistica, in cui diventa protagonista la lettura. Essa fa da sfondo alle più disparate vicende, storie avventurose e storie tragiche, storie romantiche e storie biografiche. Pensiamo che tutte siano appassionanti perché svelano una parte di noi». Nella presentazione Cicala afferma che «in un Paese dove più della metà della popolazione alfabetizzata è inappetente in fatto di lettura, dichiarando all’Istat di non finire neppure un libro l’anno, è però curioso che nella ridotta comunità dei più golosi booklovers si sia verificato negli ultimi anni il successo di “libri che parlano di libri”; è un fenomeno che registra l’impennata non tanto di storie o manuali di editoria quanto di novità di narrativa sull’argomento, spesso in grado di scalare le

Page 7: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

7

classifiche: “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón, con il suo segreto sepolto nel Cimitero dei libri dimenticati in una Barcellona misteriosa, è uno dei casi più felici. Molti poi ricorderanno “Firmino” di Sam Savage, il topo divoratore di libri, eletto a simbolo di quella figura emarginata ma ostinata che è il lettore nella nostra società. Raccogliere e rileggere romanzi che parlano di libri è dare un segnale di fiducia, senza sacralizzare la carta di un vecchio volume né demonizzare lo schermo digitale di un nuovo ebook. L’importante è non essere come il protagonista di Mendel dei libri di Zweig che “al di là dei libri non sapeva nulla del mondo”». Daniele Clarizia, Educatt – Unversità Cattolica - Milano, [email protected]

3. Arte & Comunicazione Wojciech Bobowski o Albertus Bobovius o Alî Ufkî - (1610-c1675). Breve storia di un rinnegato alla corte ottomana Inquadrare in breve la figura di Wojciech Bobowski a tutt’oggi non è cosa semplice ed espone, chi ne ricorda e studia la vita e le opere, al rischio di contestazioni. Tuttavia credo si possa tranquillamente affermare che Bobowski fu un personaggio che, in qualche modo, rappresentò due facce della geopolitica e cultura del XVII secolo, nel difficile equilibrio tra mondo cristiano e mondo musulmano, creando apparentemente un ponte, o meglio, un passaggio interstiziale tra le potenze dell’epoca. Alcuni dati storici che lo riguardano: […] di nazionalità polacca, è stato preso (in una incursione dei Tartari in Polonia circa 35 anni fa), quando aveva circa 10 anni di età, come è riferito, e portato poi a Costantinopoli: dove è stato circonciso, e cresciuto […] nella disciplina del Signore del Gran Serraglio, ed istruito nella religione, e nella politica dei Turchi. (Oxford, Bodleian Library, MS Smith 98). Questo evento terribile, che lo accomuna a migliaia di fanciulli di tutta Europa che hanno popolato la vita politica, militare e culturale dell’impero ottomano per secoli, segnerà la futura esistenza di questo giovane ma forse anche la sua fortuna. Nell’organizzazione dell’Impero Ottomano infatti, i servitori più stretti, i paggi, così come i dirigenti, dell’impero provenivano da differenti aree geografiche e religiose. Più avanti nel carteggio del ms Smith 98 si legge: Egli è persona istruita e di ingegno,

perfettamente abile nella maggior parte delle lingue orientali, arabo, persiano, turco e, se ben ricordo, nel greco armeno e volgare …. oltre al latino, e italiano, di cui egli è un maestro colà. Uscito dal Gran Serraglio e passato a servizio di un alto dirigente dell’Impero trasferitosi con questi in Egitto riceverà (o forse riscatterà) la libertà dalla schiavitù. Essendo come tutti i paggi del Serraglio un convertito aveva preso il nome di Ali Ufki Bey (o Begh) nome che egli stesso utilizzerà per alcuni suoi scritti conservando nei testi che produrrà per l’occidente il nome latinizzato di Albertus Bobovius anche italianizzato in Alberto Bobovio o Boovio. Da uomo libero ritorna a Costantinopoli, viene in contatto con la diplomazia di tutta Europa lavorando principalmente per gli inglesi, ma intrattenendo relazioni con italiani, francesi e olandesi. Il frutto di queste relazioni saranno una serie di scritti che lo renderanno conosciuto in tutta l’Europa di fine XVII secolo: il trattato sulla religione dei turchi (opera già citata) e soprattutto una traduzione dell’antico testamento in lingua turca, oltre ad una perduta traduzione del catechismo protestante sempre in lingua turca. Vi è poi una grammatica della lingua turca che pare essere stato un testo di riferimento fino alla rivoluzione culturale di Mustafà Keman (XX secolo). Mi preme ricordare che Bobowski risulta essere anche la più antica fonte di musica ottomana tramandata per iscritto in notazione occidentale che oggi si conosca. Il suo apporto nel trasmetterci una mole così considerevole di brani scritti in notazione occidentale ci permette di conoscere la vita musicale sia del Palazzo che della città di Costantinopoli. Tornando alla sua vita, uno degli aspetti più discussi riguarda il suo presunto progetto di lasciare Costantinopoli per trasferirsi in occidente, cosa più che possibile dato che era uomo libero. In una lettera (di raccomandazione) indirizzata a Isaac Basire cappellano inglese presso l'ambasciata Britannica e datata 27 agosto 1666, si fa appunto riferimento al suo desiderio di svolgere servizio presso la casa Reale d’Inghilterra. Bobowski, non ha visto la sua ambizione soddisfatta, fu nominato interprete per la cancelleria ottomana nel 1669 e alcuni anni dopo fu promosso alla carica di Tergjuman Bashi cioè capo degli interpreti della Sublime Porta. E’ facile supporre che le autorità ottomane non volevano che partisse per l'Inghilterra, e quindi gli fecero un'offerta che non poteva rifiutare. Muore

Page 8: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

8

nel 1675 ma la sua tomba non è stata mai ritrovata (o forse cercata); nella prefazione del Trattato sulla liturgia turca Thomas Hyde scrive: è molto da dolersi, che è stato prematuramente rapito dalla morte prima che potesse ritornare alla fede cristiana, che aveva intenzione di fare con tutto il cuore, desideroso di essere in grado di guadagnarsi il pane in qualche modo onesto in Inghilterra tra i cristiani e di essere rimosso dalla presenza degli infedeli. Quanto fin qui raccontato dipinge la figura di un uomo di alto profilo, ma non tutti ebbero questa impressione; Cornelio Magni (un viaggiatore parmense che incontrò Bobowski) tiene a sottolineare che a suo avviso Bobowski era una figura non del tutto encomiabile, un alcolizzato al soldo degli europei. Eppure per molto tempo dopo la sua morte Bobowski verrà ricordato dai cronisti occidentali e inserito nei dizionari per il suo apporto alla conoscenza del mondo ottomano; ma alla luce dei documenti oggi in nostro possesso, questo sembra essere non il frutto di un suo progetto di comunicazione tra mondo islamico e cristiano, bensì la dimostrazione del suo lavoro (su commissione) al soldo dei cristiani con cui certamente ebbe relazioni strettissime. Possiamo pensare che forse inconsapevolmente Bobowski divenne un prezioso canale di comunicazione attraverso cui far confluire ed estrapolare informazioni utili per il tempo e ancor oggi fondamentali per capire le vicende e la vita di Costantinopoli, che solo secoli dopo chiameremo Istanbul. Stefano Albarello©2012 - [email protected]

4. Vita quotidiana

‘El Sistema’ (Venezuela): una questione di

giustizia

Era il 1975 quando un musicista ed economista

venezuelano, José Antonio Abreu Anselmi, decise

di lanciare la musica in azione, sprigionandola

dalle sale da concerto ai barrios di Caracas. Il

sogno, ora dilagante, è El Sistema. El Sistema è

dedicato al riscatto etico e sociale di infanzia e

gioventù attraverso l’apprendimento collettivo

della musica in cori e orchestre. L’accesso è

gratuito, con un numero di beneficiari che

ammonta sinora a circa 2 milioni di ragazzi. Ogni

núcleo, sede delle formazioni orchestrali e corali,

viene ‘impiantato’ all’interno dei quartieri dove

vivono i gruppi più vulnerabili dello spettro

sociale. Il progetto si caratterizza non solo per la

gratuità, ma anche per l’eccellenza. Al di là di ogni

intento filantropico, esiste un modo in cui i

giovani possono contribuire: impegnarsi con ogni

fibra di se stessi, sia nello strumento loro donato,

sia nel mutuo rispetto all’interno dell’orchestra o

del coro. E’ proprio l’apprendimento collettivo il

metodo grazie al quale le realtà musicali

diventano fonte di divertimento e, insieme,

apprendimento di valori, mentre le lezioni

individuali sono relegate a occasioni eccezionali.

Come risulta da alcuni recenti studi di

neuropsicologia, realizzare musica con i propri

pari permette di sviluppare capacità personali e

sociali. Per alcuni, salire i gradini della scala sino

all’eccellenza dell’orchestra Simón Bolívar

significa apprendere una professione

straordinariamente creativa. Invece, chi non

progredisce o preferisce altro viene aiutato a

trovare una diversa occupazione. Ma avrà

partecipato a una socializzazione potenzialmente

molto positiva, non violenta e aperta verso i pregi

e i limiti reciproci. Come afferma il Maestro

Abreu, «nella sua essenza, l’orchestra e il coro

sono (..) esempi e scuole di vita sociale, perché

cantare e suonare insieme significa coesistere in

direzione della perfezione e dell’eccellenza,

seguendo una stretta disciplina che consiste

nell’organizzarsi e nel coordinarsi; tutto ciò è

volto alla ricerca di un’armonica interdipendenza

delle voci e degli strumenti». La struttura

orchestrale o corale così intesa emerge quale

metafora di una società migliore, intessuta di

quell’eguaglianza di cui necessitiamo sul piano

sociale solo se sussistono ancor prima capacità,

individuali e sociali, di rispetto reciproco.

Nel 2007 all’interno di El Sistema in Venezuela

sono sorte le Orquestas Sinfónicas Penitenciarias.

Come per le orchestre non penitenziarie, i

musicisti-detenuti ricevono uno stipendio, a

seconda dell’impegno e del comportamento

mostrato, nonché l’assistenza dentistica. Inoltre,

possono ottenere riduzioni di pena, in ragione

delle ore di studio. La prossimità tra dentro e

Page 9: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

9

fuori il carcere permette di contare sulla forza

dell’educazione: se al giovane si offre

un’alternativa alla gang, allora non solo si eviterà

di rispondere al bisogno di rieducazione, ma

prima ancora si sarà realizzato un alto grado di

educazione. La socializzazione positiva all’interno

del contesto comunitario predisposta da El

Sistema, nonché l’immensa possibilità offerta

dall’arte, in questo caso dalla musica, di

esprimere e non reprimere i propri sentimenti,

portano a trovare qualche strada pratica per la

prevenzione del crimine attraverso

un'educazione, in particolare secondo il modello

di El Sistema. Se per Cesare Beccaria

«perfezionare l’educazione» è «il più sicuro ma

più difficil mezzo di prevenire i delitti», allora si

dovranno solcare le due vie che il grande giurista

stesso indicava da lontano per i «novelli animi dei

giovani» e che ritengo possano valere nella

rieducazione così come nell’educazione: da un

lato, «lo spingere alla virtù per la facile strada del

sentimento», dall’altro «deviarli dal male per la

infallibile via della necessità e

dell’inconvenienza» (Dei delitti e delle pene

(1764), a cura di Franco Venturi, Einaudi, Torino,

1994, § XLV).

Esmeralda Colombo, College of Europe, Vaclav

Havel Promotion 2012-13, Master in European

Law, campus di Bruges,

[email protected]

Rubrica “Città (e luoghi) interstiziali”

Bruxelles, una città-isola

Bruxelles non gode di una grande fama estetica tra i nostri connazionali. Le nuoce il confronto con Parigi e, ormai, anche l’impopolarità delle istituzioni comunitarie che vi hanno sede, acuita visivamente dagli scempi architettonici del “quartiere europeo” che le ospita. Eppure un italiano avrebbe non pochi motivi per sentirvisi a proprio agio. La nostra comunità in Belgio e nella stessa capitale è assai numerosa, in ogni quartiere è possibile gustare un pasto con le più svariate specialità regionali della penisola, bersi un ottimo espresso o scambiare due parole in italiano con l’oste o qualche avventore. Ma

esistono molti altri motivi perché, italiani o no, ci si possa sentire bene in questa città, eleggerla tra le proprie patrie, se vale il detto ubi bene ibi patria. Bruxelles ha le credenziali per offrirsi a chi vi si trattenga per qualche tempo come un rifugio da molte spiacevolezze del vasto mondo. Questa vocazione a svolgere il ruolo di protettiva “isola” della tranquilla accoglienza trova forse una sua metafora nel dato storico-geografico, ossia nel fatto che la città sia collocata, senza esservi identificabile e anzi sentendosene nettamente distaccata, nel cuore di un territorio che ha vissuto tremende vicende belliche. Oltre agli innumerevoli fatti d’arme sei e settecenteschi, basterebbe ricordare la battaglia napoleonica di Waterloo, le carneficine di Ypres, nella prima guerra mondiale (rese ancora più terrificanti dall’uso, che vi fu inaugurato nel 1917, di un gas vescicante, detto iprite, appunto) e, più a sud, nelle Ardenne e a Bastogne, i sanguinosi combattimenti della seconda guerra mondiale, quando Hitler, nel 1944, tentò l’ultimo colpo di coda sul fronte occidentale. Il senso di pacatezza che la capitale belga riesce a trasmettere deriva anche dalla percezione, qui spesso avvertita, di un tempo più lento e, a volte, perfino fermato, o comunque regolato e tranquillamente scandito. Lo scrittore austriaco Thomas Bernhard ebbe a raccontare in un’intervista di aver scritto a Bruxelles uno dei suoi romanzi più noti, Perturbamento, adeguando l’andamento ritmico della narrazione alla regolarità dei movimenti delle suore di un monastero che ogni giorno, dalla finestra della sua casa, al quarto piano di un edificio, in Rue de la Croix, poteva scorgere camminare nel giardino del chiostro. Bernhard disse di essere riuscito a ultimare il suo capolavoro in tre mesi, scrivendo giorno e notte, con una tale concentrazione da non essersi nemmeno accorto di un incendio sviluppatosi un certo giorno nel supermarket a pianterreno. La regolarità dei ritmi di vita, l’affrancamento dall’eccesso di fatti, cose e, soprattutto, comunicazioni che assediano i nostri giorni, permettono di guardare davvero al mondo e, proprio per questo, di penetrare nella nostra interiorità, riscoprendone gli sconosciuti tesori. La lentezza “temporale” ispirata da certe atmosfere bruxellesi, sembra accoppiarsi, potenziandola, a una tranquillità “spaziale” trasmessa dal paesaggio urbano, vista la minore densità abitativa della città rispetto ad altre metropoli europee (ivi compresa la stessa ingombrante

Page 10: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

10

“rivale” Parigi) e, quindi, la confortante percezione di non dover urtare troppo spesso contro i propri simili e, soprattutto, contro i rispettivi veicoli. Bruxelles è un luogo, peraltro, nel quale - quando e come si decida liberamente di coltivarle - non mancano le occasioni di uno scambio interpersonale quanto mai variegato, grazie alla molteplicità etnica e linguistica, a un tessuto culturale assai vivace, e, non da ultimo, alle istituzioni comunitarie, cui certamente si deve l’immissione nell’habitat locale di un esemplare antropologico senza eguali nel pianeta; quello, appunto, del “funzionario europeo”: figura complessa e affascinante, dotata spesso di notevole finezza intellettuale e, soprattutto, di una capacità di sopravvivenza linguistica, culturale e psicologica sul filo precario di cangianti frequentazioni con gli altri “Stati membri” dell’Unione europea, di appartenenze instabili al Paese d’origine e di ambivalenti legami con quello di adozione professionale e con i suoi abitanti “indigeni”. L’atmosfera lenta e rada, un po’ vecchiotta, della città m’è sempre parsa prevalente rispetto all’anima tecno-burocratica (simboleggiata dalla celebre sagoma dell’Atomium) i cui cantori vorrebbero spacciare Bruxelles come uno degli archetipi urbanistici della post-modernità. Si accorda con questa impressione uno degli emblemi turistici della capitale belga più visti e fotografati (incredibilmente, considerati i suoi modesti pregi artistici e la collocazione in un angolo nascosto del centro cittadino): il Manneken-Pis, la celeberrima statua che, in bruxellese, dialetto fiammingo vicino all'olandese, significa “il ragazzetto che fa pipì”. Tra le leggende più accreditate sull’origine della figura, c’è quella secondo cui nel XII secolo un bambino, figlio di un celebre duca, fu sorpreso ad urinare su di un albero durante le fasi cruciali di una battaglia. Secondo certe interpretazioni, questa immagine simboleggerebbe il coraggio militare dei belgi. A me pare invece che la lettura più appropriata di questa leggenda sia molto simile a quella che mi venne da dare a una delle prime e più intense visioni tratte dal primo soggiorno bruxellese: La caduta di Icaro, un dipinto a olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1558 circa e conservato nei Musées Royaux des Beaux-Arts. Brueghel, ispirandosi alla narrazione di Ovidio, descrive appunto la mitica vicenda della caduta di Icaro. Caratteristica saliente del quadro è che il tragico fallimento di questa umana e ardita

intrapresa vi è relegato in un angolo minuscolo, in basso a destra, tanto che l’osservatore impiega qualche tempo a individuarla e, quindi, a spiegarsi il titolo del dipinto. La maggior parte

della tela è infatti occupata da un bellissimo paesaggio luminoso, che ha in primo piano un contadino intento ad arare il suo campo con un cavallo al giogo, mentre un po' più sotto un pastore, col cane, sta facendo pascolare un gregge di pecore. Si coglie la concentrazione dei due personaggi principali nelle rispettive attività, tale da rendere loro del tutto inavvertito l'evento drammatico che si svolge poco lontano. Nel cespuglio a sinistra si scorge il teschio di un uomo morto tra le frasche, una chiara allusione al proverbio fiammingo «nessun aratro si ferma perché muore un uomo» (proprio come per il Manneken-Pis assorbito dalla sua funzione corporale mentre intorno si combatte una battaglia). A me pare che lo stupendo dipinto di Brueghel possa essere assunto a più genuino ed efficace emblema della città di Bruxelles, o almeno di un certo clima spirituale che vi ho sempre avvertito. Non devono essere troppe le cose, gli eventi che accadono attorno a noi per l’esercizio dell’attenzione, della prosoché tramandataci dagli antichi Greci e, quindi, per lo sguardo rivolto fuori e dentro di noi, così necessario a renderci umani tra gli umani. E forse non sono gli avvenimenti investiti dai riflettori della storia (o del mito) quelli che contano di più per i nostri destini personali e collettivi. Come osserva Hecht, nel quadro di Brueghel c’è anche molto della odierna civiltà mediatica, dove le notizie di eventi drammatici e catastrofici ci vengono trasmesse senza soluzione di continuità, meccanicamente giustapposte a bollettini meteorologici, annunci di matrimoni, recensioni di film, pubblicità di dentifrici. Una “civiltà” rispetto alla quale il distacco e l’algida indifferenza del contadino che sospinge pacatamente il suo aratro sono forse il più

Page 11: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

11

doveroso e salutare degli esercizi spirituali. A Bruxelles mi pare possa valere, forse più che altrove, quello che Musil identificava come abito mentale della vecchia Austria (non dimentichiamo del resto che dal 1713 al 1789 il Belgio è appartenuto alla Casa d’Austria), dove accadeva spesso che si scambiasse un genio per un babbeo, ma mai che si prendesse un babbeo per un genio. Almeno quest’ultima sarebbe una bella lezione impartita dall’ esprit bruxellois (e dal Manneken-Pis) all’umanità. Gabrio Forti, Università Cattolica – Milano, [email protected]

Pubblicazioni recenti

AA.VV., Café Philo, ebook, Affari Italiani 2012.

G. Comolli, Una luminosa quiete. La ricerca del silenzio nelle pratiche di meditazione, Mimesis 2012.

G.Clément, Breve storia del giardino, Quodlibet, Macerata 2012.

D. Demetrio, I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Mimesis Edizioni 2012.

G. Gasparini, C’è silenzio e silenzio, Mimesis 2012.

S. Hessel – E. Morin, Il cammino della speranza, Chiarelettere 2012.

F. Loi, Il silenzio, Mimesis 2012. E. Morin, Dove va il mondo?, Armando

Editore 2012. N. Polla-Mattiot, Pause. Sette oasi di

sosta, sull’orizzonte del silenzio, Mimesis 2012.

S. Raimondi, Portatori di silenzio, Mimesis 2012.

M. Vergottini, cur., Perle del Concilio, EDB, Bologna 2012.

I nostri recapiti: Giovanni Gasparini (Il coordinatore) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.2547

Cristina Pasqualini (La segreteria) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.3976

Redazione:

Piermarco Aroldi, Giampaolo Azzoni, Giovanni Gasparini, Ivana Pais, Cristina Pasqualini

Page 12: NNee IIINNNEEEI IInnntteerrrsssttt ... · trasporto efficienti, affidabili e relativamente frequenti, senza trascurare il fattore della comunicazione. Per un utente non è un optional

12

I corrispondenti:

Stefano Albarello (Musica); Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l’Homme – Parigi (Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara (Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università Cattolica – Milano (Teatro); Domenico Bodega, Università Cattolica – Milano (Organizzazione aziendale); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano (Bibbia); Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française – Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia); Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Gabrio Forti, Università Cattolica – Milano (Diritto penale e Criminologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica); Hans Hoeger, Università Libera di Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin, Università Cattolica – Milano (Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia); Frédéric Lesemann, Université du Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta, Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli, Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia); Margherita Pieracci Harwell, University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi (Pensiero complesso); Salvatore Natoli, Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano (Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano (Filosofia); Detlev Schild, University of Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan Vittorio Segre, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale – Milano (Religione); Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione); Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano (Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura russa). Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.ais-sociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano (http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524). Il contenuto degli articoli è liberamente riproducibile citando la fonte.

Il NewsMagazine è anche su Facebook. Ci trovi alla pagina "Interstizi e intersezioni"

Numero chiuso il: 12 novembre 2012


Recommended