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Nome: Cognome: Sui passi di Don BoscoGiovannino radunava i ragazzi della borgata, li divertiva e li...

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1 Nome:__________________ Cognome:_______________ Sui passi di Don Bosco Ritiro Spirituale & Uscita Didattica delle classi seconde 10 12 aprile 2014 “Voi vi siete radunati per esaminare che cosa avete fatto in quest’anno e render conto di ciò a Dio, e prepararvi a far meglio un altro anno, se per il passato siete stati negligenti. Gli esercizi spirituali sono opere di somma importanza e di utilità immensa… è una gran fortuna il poterli fare, perché in essi si può guadagnare il paradiso. Pensate in questi giorni a ciò che si deve fuggire, acquistare e praticare nell’avvenire.” Don Bosco
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Nome:__________________

Cognome:_______________

Sui passi di Don Bosco

Ritiro Spirituale & Uscita Didattica delle classi seconde

10 – 12 aprile 2014

“Voi vi siete radunati per esaminare che cosa avete fatto in quest’anno e render conto di ciò a Dio, e prepararvi a far meglio un altro anno, se per il passato siete stati negligenti. Gli esercizi spirituali sono opere di somma importanza e di utilità immensa… è una gran fortuna il poterli fare, perché in essi si può guadagnare il paradiso. Pensate in questi giorni a ciò che si deve fuggire, acquistare e praticare nell’avvenire.”

Don Bosco

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Il Colle Don Bosco

CASETTA NATIA: Papà Francesco aveva acquistato ai Becchi una tettoia. Dopo la sua morte, mamma Margherita ricavò in quel portico quattro vani, due al pian terreno: stalla e cucina; e due al piano superiore: la sua camera e la camera dei tre figli. Siamo nel 1817. Don Bosco ha due anni.

La fame di quell'anno stregato Le persone che dovevano sopravvivere erano cinque, e proprio quell'anno i raccolti andarono perduti per una terribile siccità. I generi alimentari salirono a prezzi favolosi. Si dovette pagare fino a venticinque lire per un’emina (= 23 litri) di grano, e sedici lire per una di granoturco. Gente che ricorda bene quei tempi, mi ha raccontato che i poveri chiedevano in elemosina un pugno di crusca, per rendere più consistente la scarsa minestra di ceci o di fagioli. Si trovarono mendicanti morti nei prati, con la bocca piena d'erba: l'ultima risorsa con cui avevano cercato di nutrirsi. Mia madre mi raccontò molte volte che nutri la famiglia dando fondo ad ogni scorta. Poi raccolse il denaro che aveva in casa e lo diede ad un vicino, Bernardo Cavallo, perché cercasse di procurarci dei viveri. Era un nostro amico, si recò a vari mercati, ma non riuscì a combinare niente. Anche offrendo prezzi esorbitanti, non si riusciva a comprare. L'aspettavamo con ansia. Giunse alla sera del secondo giorno, ma a mani vuote. Ricordo che provammo una grande paura, perché già quel giorno non avevamo mangiato quasi niente. Mia madre provò anche a bussare alle case vicine, per avere in prestito qualcosa, ma nessuno fu in grado di aiutarci. Allora senza perdersi di coraggio ci disse: - Papà, morendo, mi disse di avere fiducia in Dio. Quindi inginocchiamoci e preghiamo. Dopo una breve preghiera si alzò e disse ancora: Nei casi estremi si devono usare estremi rimedi. Con l'aiuto di Bernardo Cavallo andò nella stalla, uccise un vitello, ne fece subito cuocere una parte e ci diede da cena. Eravamo affamati fino allo sfinimento. Nei giorni che seguirono riuscì a far arrivare del grano da paesi lontani, a carissimo prezzo. Dio ti vede Essendo essa donna di gran fede, in cima a tutti i suoi pensieri, come pure sulle sue labbra, v'era sempre Dio. D'ingegno sveglio e di facile parola, sapeva in ogni occasione servirsi del santo Nome di Dio per padroneggiare il cuore dei suoi fanciulli. Dio ti vede: era il gran motto, col quale rammentava ad essi come fossero sempre sotto gli occhi di quel gran Dio, che un giorno li avrebbe giudicati. Se a loro permetteva di andare a divertirsi nei prati vicini, li

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congedava dicendo: “Ricordatevi che Dio vi vede”. Se talora li scorgeva pensierosi e temeva covassero nell'animo qualche piccolo rancore, loro sussurrava all'improvviso all'orecchio: “Ricordatevi che Dio vi vede e vede anche i vostri più reconditi pensieri”. Se, interrogando qualcuno di essi, cadeva in sospetto che potesse scusarsi con qualche bugia, prima di averne la risposta ripeteva: “Ricordati che Dio ti vede”. Con gli spettacoli della natura Margherita ravvivava in essi continuamente la memoria del loro Creatore. In una bella notte stellata, uscendo all'aperto, mostrava loro il cielo e diceva: “È Dio che ha creato il mondo e ha messe lassù tante stelle. Se è così bello il firmamento, che cosa sarà del paradiso? Al venire della bella stagione, innanzi ad una vaga campagna, o ad un prato tutto sparso di fiori, al sorgere di un'aurora serena, ovvero allo spettacolo di un roseo tramonto di sole, esclamava: “Quante belle cose ha fatto il Signore per noi!” Se addensavasi un temporale e al rimbombo del tuono i fanciulli si aggruppavano intorno a lei, osservava: “Quanto è potente il Signore, e chi potrà resistere a lui? dunque non facciamo peccati!” Quando una grandine rovinosa portava via i raccolti, andando coi figli ad osservarne i guasti, diceva: “Il Signore ce li ha dati, il Signore ce li ha tolti. Ringraziamo il Signore, ripeteva; quanto è stato buono con noi dandoci il nostro pane quotidiano”. Nell'inverno, quando erano tutti assisi innanzi ad un bel fuoco e fuori era ghiaccio, vento e neve, essa faceva riflettere alla famiglia: “Quanta gratitudine non dobbiamo al Signore, che ci provvede di tutto il necessario. Dio è veramente padre. Padre nostro che sei ne’ cieli!”

Riflettiamo: Giovanni imparò dalla mamma a conoscere Dio, dal suo esempio ha iniziato ad affidarsi a Dio attraverso delle semplici preghiere. Parlando di sua madre, si mostrò sempre riconoscente per l'educazione cristiana da lei ricevuta e per i grandi sacrifici che aveva sostenuto per lui. Per quali doni senti di dover ringraziare il Signore? Quando ti ricordi di Dio nella tua giornata? Nella mia famiglia si prega qualche volta insieme? Quali scelte concrete si fanno per vivere da cristiani? …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….

MONUMENTO A GIOVANNINO: Rappresenta Giovannino che cammina sulla corda. Questo vuole ricordare che proprio qui Giovannino radunava i ragazzi della borgata, li divertiva e li invitava alla preghiera. La sua disponibilità per gli altri fin da piccolo non può non farci pensare…

Una sera di domenica, in piena estate, Giovanni annuncia agli amici il suo primo spettacolo. Su un tappeto di sacchi distesi sull’erba fa miracoli di equilibrio con barattoli sulla punta del naso. Fa spalancare la bocca a un piccolo spettatore e ne tira fuori decine di pallottole colorate. Lavora con la bacchettamagica. E alla fine balza sulla corda e vi cammina tra gli applausidegli amici. La voce passa di casa in casa. Il pubblico si ingrossa: piccoli egrandi, ragazze e ragazzi, persino persone anziane. Sono gli stessiche nelle stalle lo ascoltavano leggere “I Reali di

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Francia”. Ora lo vedono far scendere dal nasone di un contadino ingenuo una fontanella di monete, cambiare I'acqua in vino, moltiplicare le uova, aprire la borsa di una signora e farne volar via un colombo vivo. Ridono, gli battono le mani. Anche il fratello Antonio andava a vedere i giochi, ma non si metteva mai nelle prime file. Si nascondeva dietro un albero. A volte scherniva il piccolo saltimbanco: - Ecco il pagliaccio, il poltrone! lo mi rompo le ossa nel campo e lui fa il ciarlatano! Giovanni soffriva. Qualche volta sospendeva lo spettacolo per ricominciarlo duecento metri più in là, dove Antonio finiva per lasciarlo in pace. Era un ciarlatano “speciale” quel ragazzo. Prima del numero finale, tirava fuori di tasca il Rosario, s'inginocchiava e invitava tutti a pregare, oppure ripeteva la predica sentita al mattino in parrocchia. Era l'offerta che domandava al suo pubblico. Nella vita Giovanni Bosco sarà generosissimo nel dare la sua fatica, ma chiederà sempre un prezzo: non in denaro ma in impegno perDio e per i ragazzi poveri. Poi il brillante finale. Legava una fune a due alberi, vi saliva, camminava reggendo un rudimentale bilanciere tra improvvisi silenzi e ovazioni frenetiche. Don Bosco di suo pugno ha scritto: “Dopo alcune ore di queste ricreazioni, quando io ero ben stanco, cessava ogni trastullo, facevasi breve preghiera, eognuno se ne andava a casa”.

Riflettiamo Giovannino si fa in quattro per radunare i ragazzi, per stare con loro ed accompagnarli sulla via del bene. Ha il coraggio di parlare loro di Gesù e di testimoniarlo nelle sue azioni concrete. A confronto con Giovannino che tipo di ragazzo sono? Come vivo le ricreazioni? Sono onesto nel gioco? Sono attento ai miei compagni? Li rispetto, gioco con tutti o escludo qualcuno? ………………………………………………………………………………………………………………………………………………….………………………………………………………………………………………………………………………………………………….……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

IL PILONE DEL SOGNO: Qui Giovannino fece “Il sogno dei nove anni”, un sogno che lo guidò per tutta la vita!

"All’età di nove anni ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa, in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. All'udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo a loro, adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un uomo venerando, in virile età, nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non potevo rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di quei fanciulli aggiungendo queste parole: - Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù. Confuso e spaventato soggiunsi che io ero un povero ed ignorante fanciullo, incapace di parlare di religione a quei giovanetti. In quel momento quei ragazzi, cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui che parlava.

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Quasi senza sapere che mi dicesse, soggiunsi: - Chi siete voi che mi comandate cose impossibili? - Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili con l’ubbidienza e con l’acquisto della scienza. - Con quali mezzi potrò acquistare la scienza? - Io ti darò la maestra, sotto la cui disciplina potrai diventare sapiente e senza la quale ogni sapienza diviene stoltezza. - Ma chi siete voi che parlate in questo modo? - Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno. - Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome. - Il mio nome domandalo a mia madre. In quel momento vidi accanto a lui una donna di maestoso aspetto, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi sempre più confuso nelle mie domande e risposte, mi accennò di avvicinarmi a lei, mi prese con bontà per mano e mi disse: - Guarda. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti e al loro posto vidi una moltitudine di capretti, cani, orsi e di parecchi altri animali. - Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte e robusto: e ciò che in questo momento vedi succedere a questi animali, tu dovrai farlo per i miei figli. Volsi allora lo sguardo ed ecco, invece di animali feroci, apparvero altrettanti mansueti agnelli, che, saltellando, correvano attorno belando, come per fare festa a quell’uomo e a quella signora. A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e la pregai di parlare in modo da poterla capire, poiché io non sapevo quale cosa volesse significare. Allora ella mi pose la mano sul capo dicendomi: - A suo tempo tutto comprenderai. Ciò detto, un rumore mi svegliò; ed ogni cosa disparve. lo rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che mi facessero male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi dolesse per gli schiaffi ricevuti. Quel personaggio, quella donna, le cose dette e quelle udite, mi occuparono talmente la mente che, per quella notte, non mi fu più possibile prendere sonno."

Riflettiamo: Qui vediamo l’importanza di avere un sogno nella vita, un sogno che si costruisce sin da piccoli anche attraverso tante fatiche e sofferenze. La vita quotidiana ha un grande valore, è attraverso di esso che decido il mio futuro

Il mio sogno per la mia vita futura, cosa fare oggi per poterlo realizzare: ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..

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CAPPELLA DEL ROSARIO: Giuseppe, fratello di don Bosco, si trasferì nel Sussambrino per lavoro, ma tornò ai Becchi per sposarsi e qui costruì la sua casa. Don Bosco con i suoi ragazzi trovò sempre ospitalità presso il fratello, che gli riservò una stanza al piano superiore e un’altra al pian terreno che Don Bosco trasformò in cappella dedicata alla Madonna del rosario. Qui Don Bosco incontrò per la prima volta Domenico Savio.

Era il primo lunedì di ottobre (2 ottobre l854), di buon mattino. Ed ecco che un fanciullo, accompagnato da suo padre, mi si avvicina per parlarmi. La faccia serena, il sorriso aperto ma rispettoso, attirarono il mio sguardo su di lui. Gli domandai: - Chi sei? Da dove vieni? - Sono Savio Domenico - rispose. Le ha parlato di me don Cugliero, mio maestro. Veniamo da Mondonio. Allora lo chiamai da parte e ci mettemmo a ragionare sullo studio che aveva fatto, sulla vita che trascorreva in famiglia e siamo entrati in piena confidenza: egli con me, io con lui. In quel ragazzo scoprii una persona che viveva completamente secondo lo Spirito del Signore. Rimasi sbalordito del lavoro che la grazia di Dio aveva compiuto in lui in così pochi anni. Dopo aver parlato per un bel po' di tempo, prima che potessi chiamare suo padre, Domenico mi disse: - Allora, cosa pensa di me? Mi condurrà a Torino per studiare? - Mi pare che in te ci sia una buona stoffa. - E a che cosa può servire questa stoffa? - A fare un bell'abito da regalare al Signore. - Dunque io sono la stoffa e lei sia il sarto, mi prenda con lei e farà un bell'abito per il Signore. - Io ho una paura: che la gracilità della tua salute non regga alle fatiche dello studio. - Non abbia timore. Quel Signore che mi ha dato la sua amicizia e la salute fino ad ora, mi aiuterà anche in avvenire. - Quando avrai finito gli studi di latino, che cosa desideri fare? - Se il Signore mi concederà una grazia così grande, desidero vivamente diventare sacerdote. - Bene. Ora voglio provare se hai le qualità sufficienti per lo studio. Prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche). Oggi studia questa pagina, domani vieni e me la esponi. A questo punto lo lasciai libero di andare a divertirsi con gli altri giovani, e cominciai a parlare con suo papà. Passarono non più di otto minuti ed ecco Domenico tornare sorridendo. Mi disse: «Se vuole, espongo adesso la mia pagina». Presi il libro e con sorpresa constatai che non soltanto aveva studiato a memoria la pagina, ma che capiva benissimo il senso delle cose che vi erano esposte. Gli dissi: - Bravo. Tu hai anticipato lo studio della lezione e io anticipo la risposta. Sì, ti condurrò a Torino. Fin da questo momento tu fai parte dei miei cari figlioli. Comincia quindi a pregare il Signore perché aiuti me e te a fare la sua santa volontà. Non sapendo come esprimere la sua gioia e la sua riconoscenza, mi prese la mano, la strinse, la baciò. Alla fine disse: «Spero di comportarmi in modo che non abbia mai a lamentarsi di me».

Riflettiamo Chi è il sarto della tua vita? Chi sono le guide da cui ti lasci lavorare per fare di te un bell’abito? Sei loro obbediente? Hai fiducia di loro? In cosa potresti migliorare la tua stoffa, perché possa essere lavorata meglio? ………………………………………………………………………………………………………………………………………………….………………………………………………………………………………………………………………………………………………….…………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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TEMPIO DI DON BOSCO: È stato costruito per onorare Don Bosco e come simbolo visibile del suo sogno di portare i giovani a Dio. È formato da due chiese sovrapposte la posa della prima pietra è nel 1961 e fu inaugurato nel 1984. Da pochi anni è stato elevato a Basilica Minore. Esternamente misura 110 m di lunghezza e la cupola è alta 80 m.

LA CHIESA INFERIORE

La grande pala d’altare raffigura le passeggiate autunnali da Torino al Colle di Don Bosco con i

ragazzi, mamma Margherita, San Domenico Savio, Don Rua (primo suo successore) e Don Cagliero (primo missionario salesiano). Dietro l’altare una preziosa reliquia di Don Bosco indica il luogo in cui è nato. A fianco della reliquia i dipinti rappresentano, a sinistra, il matrimonio di Margherita e Francesco e il battesimo di Giovannino; a destra, la morte di Francesco e il trasferimento alla “Casetta”.

Negli altari laterali e nelle vetrate ci sono i santi della tradizione salesiana e italiana. A partire dal fondo della chiesa muovendo verso il presbiterio troviamo a destra: Santa Cecilia (patrona della musica), Santa Maria Domenica Mazzarello (cofondatrice FMA), San Giovanni Battista (onomastico di don Bosco), San Giuseppe Cottolengo, San Giuseppe Cafasso (guida spirituale di don Bosco), San Francesco di Sales e San Luigi Gonzaga (modello di santità per i giovani di don Bosco) .

Sul lato sinistro, partendo dal presbiterio, troviamo: San Domenico Savio, San Giuseppe, la Beata Laura Vicuňa, San Giovanni Evangelista (caro a DB perché giovane e prediletto dal Signore), don Bosco con i giovani e Gesù Crocifisso con i patroni d’Italia Francesco d’Assisi e Caterina da Siena. Nel fondo c’è la riproduzione a grandezza naturale de “L’Ultima Cena” di Leonardo da Vinci.

LA CHIESA SUPERIORE

È stata consacrata nel 1984. Alla Alla sommità della scalinata, la statua bronzea di Don Bosco, dono degli insegnanti d’Italia (beatificazione 1929). Sopra i portali d’ingresso un affresco di Mario Bogani rappresenta il lavoro missionario salesiano presso le varie civiltà del mondo. L’interno è stato rivestito di pannelli di legno e chiuso da una controcupola sospesa. Sulla parete di fondo la grande statua del Cristo Risorto, legno di tiglio. L’altezza è di 8 mt, l’apertura delle braccia 6 mt, il peso 30 quintali. Essa richiama la missione indicata a Don Bosco nel sogno dei 9 anni e la pedagogia_dell’ottimismo. I dipinti di Mario Bogani richiamano la missione di Don Bosco e il racconto evangelico dei discepoli di Emmaus. Le vetrate ricordano, la missione e la spiritualità di Don Bosco. Il rosone raffigura lo stemma della Congregazione Salesiana.

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COLLE DELLE BEATITUDINI UNA PASSEGGIATA DEI GIOVANI AL PARADISO Questo sogno Don Bosco lo ebbe nelle notti del 3, 4, 5 aprile 1861. È un sogno originale sotto tanti aspetti ed è testimoniato dai due primi e più autorevoli cronisti dell’Oratorio di Don Bosco: Don Domenico Ruf fino e Don Giovanni Bonetti, che lo definirono «uno di quei sogni che il Signore si compiace a quando a quando di man dare ai suoi servi fedeli ».

Don Bosco sogna di fare con i suoi giovani una eccezionale passeggiata, che ha per meta il paradiso, nientemeno! Si mettono in cammino pieni di gioia, ed eccoli ai piedi di una collina incantevole. Spira un’aria primaverile, nell’atmosfera regna una calma, un tepore, una soavità di profumi, una luminosità che mettono l’argento vivo addosso a quelle centinaia di giovani, i quali passano di sorpresa in sorpresa, di gioia in gioia, trovando, a mano a mano che salgono, ogni sorta di frutta le più squisite, dalle ciliegie all’uva matura. L’impressione di tutti è di essere giunti in paradiso ma, arrivati alla sommità della deliziosa collina, vedono un vasto altipiano, oltre il quale si eleva un’altissima montagna che tocca le nubi. Su per quella si vedeva una grande moltitudine che saliva con stento. Quando poi giungevano alla meta, erano ricevuti con gran festa e giubilo. Tutti capirono che quello era il paradiso e si lanciarono di corsa a percorrere l’altipiano che li separava dalla montagna. Ma ecco che a un tratto si trovarono davanti a un lago di sangue, largo, dice Don Bosco, come dall’Oratorio a Piazza Castello (un buon chilometro). I giovani che erano giunti per primi si fermarono inorriditi. Tutti diventarono silenziosi e malinconici. Sulla riva si leggeva scritto a grandi caratteri: PER SANGUINEM (attraverso il sangue). Ai giovani che domandavano curiosi che cosa significasse quello spettacolo, un personaggio misterioso (pensiamo sia la solita Guida), rispose: — Qui c’è il Sangue di Gesù Cristo e di tutti quelli che andarono in paradiso versando il loro sangue: qui sono i Martiri. Né i giovani né Don Bosco si sentirono di passare attraverso quel lago di sangue. Perciò lo costeggiarono andando in cerca di un altro passaggio. Ed eccoli entrare in un terreno sparso di querce, allori, palme e altre piante. Camminavano felici all’ombra di quelle piante, quando si presenta loro un altro spettacolo: un secondo grande lago pieno d’acqua. Sulla riva si leggeva a grandi caratteri: PER AQUAM (attraverso l’acqua). Anche qui i ragazzi si domandavano che cosa significasse quel secondo lago, tanto più che vedevano alcuni camminare su quell’acqua appena sfiorandola con i piedi. — In quel lago — rispose la Guida — c’è l’acqua del santo Battesimo, nella quale devono essere bagnati tutti quelli che vogliono andare in paradiso. Vedete quei giovani che camminano veloci su quell’acqua? Sono gli innocenti. Alcuni si misero a correre su quell’acqua, ma la maggior parte guardava Don Bosco come per dirgli: — Andiamo anche noi? Ma Don Bosco rispose: — Per conto mio non mi credo così santo da passare su quel l’acqua senza caderci dentro. Allora tutti esclamarono: — Se non osa lei, tanto meno noi! Continuarono quindi a girare in cerca di un passaggio alla montagna del paradiso; ed eccoli di fronte a un terzo lago, vasto come il primo, pieno di fuoco e di fiamme. Sulla sponda stava scritto:

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PER IGNEM (attraverso il fuoco). La guida misteriosa disse: — Qui c’è il fuoco dell’amor di Dio, per cui devono passare quelli che non sono passati per il sangue del martirio o per l’acqua del Battesimo. «Ci affrettammo a passare oltre — dice Don Bosco —, ma ben presto ci vedemmo sbarrata la via da un altro lago: era pieno di bestie feroci che stavano con le fauci spalancate pronte a divorare chiunque passasse. La solita Guida disse: — Queste bestie sono i demoni, i pericoli e le trame del mondo. Costoro che passano impunemente sono le anime giuste, sono coloro di cui Gesù ha profetato: Io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni e di annientare ogni resistenza del nemico. Niente vi potrà fare del male» (Lc 10,19). — Andiamo anche noi! — gridarono alcuni. — Io non ne ho il coraggio — disse Don Bosco —; è da presuntuosi pretendere di passare illesi sulle teste di quei mostri feroci. — Oh — gridarono i giovani in coro — se non si sente lei, tanto meno noi! Si allontanarono quindi dal lago delle bestie, cominciando a perdere la speranza di trovare un passaggio comodo alla montagna del paradiso, quando s’incontrarono in molta gente che camminava allegramente verso il paradiso, pur essendo ridotti in condizioni pietose: chi mancava di un occhio, chi di un piede, chi di una mano, chi della lingua. I giovani guardavano meravigliati, quando la Guida disse — Sono gli amici di Dio, sono coloro che per salvarsi si mortificarono nei vari sensi del corpo e riuscirono a passare illesi tra i pericoli del mondo. Se volete anche voi arrivare al paradiso, potete unirvi a loro e camminare allegramente per la via della mortificazione.

Riflettiamo Per conquistare le cose belle e grandi della vita bisogna imparare a vivere il sacrifico e la fatica. Solo le cose che ci sono costate un po’ rimangono per sempre nel nostro cuore. Quali sono quei sacrifici che ti senti pronto a vivere per raggiungere le belle mete che hai davanti (fine anno scolastico, amicizie, estate, gruppo Leader)? ………………………………………………………………………………………………………………………………………………….………………………………………………………………………………………………………………………………………………….……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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IL MUSEO ETNOLOGICO MISSIONARIO Il materiale fu raccolto dai missionari salesiani ed esposto a Roma dal 1925, poi si trasferisce qui dal 1988 (centenario della morte di DB). I pezzi conservati nel museo sono circa 7000, quelli esposti circa 2500 e sono testimonianza di un’avventura educativa ed evangelica che coinvolge tutti i continenti e ben 130 paesi del mondo.

Tra il 1871 e il 1872, don Bosco fece un sogno drammatico. «Mi parve trovarmi in una regione selvaggia e totalmente sconosciuta. Era un’immensa pianura incolta. Nelle estremità lontanissime, però, si stagliavano aspre montagne. Vidi numerosi uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di statura straordinaria. Avevano capelli ispidi e lunghi, colore abbronzato e nerognolo. Erano vestiti soltanto di larghi mantelli di pelli di animali, che scendevano loro dalle spalle. Per armi usavano una lunga lancia e la fionda. Alcuni uomini erano occupati nella caccia, altri combattevano fra loro o con soldati vestiti all’europea. Io fremevo a quello spettacolo. Ed ecco spuntare all’estremità della pianura molte persone: dal vestito e dal modo di agire capii che erano missionari di vari Ordini. Li fissai ben bene, ma non conobbi nessuno. Andarono in mezzo a quei popoli per far conoscere Gesù, ma questi, appena li videro, si avventarono contro e li uccidevano. Intanto vidi in lontananza un drappello di altri missionari. Erano chierici e preti. Li fissai con attenzione, e li riconobbi per nostri salesiani. Mi aspettavo che da un momento all’altro toccasse loro la stessa sorte dei primi missionari, quando vidi che il loro comparire metteva allegria in tutte quelle tribù. Abbassarono le armi e accolsero i nostri con ogni segno di cortesia. Stetti ad osservare: i missionari recitavano il Rosario, e quegli uomini rispondevano a quella preghiera. Dopo un po’ i salesiani andarono a porsi nel centro di quella folla che li circondò, s’inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei salesiani intonare: “Lodate Maria, o lingue fedeli”, e tutti a una voce, continuarono il canto, con tanta forza di voce che io, quasi spaventato, mi svegliai».

RICORDI AI MISSIONARI (1875) Testo consegnato da don Bosco ai primi missionari salesiani, l'11 novembre 1875, al momento della partenza per l’Argentina. 1. Cercate anime, ma non danari, né onori, né dignità.

2. Usate carità e cortesia con tutti.

3. Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini.

4. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.

5. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno, sia il bene di tutti.

7. Ai giovanetti raccomandate la frequente confessione e comunione

8. Nelle fatiche non si dimentichi che abbiamo un grande premio preparato in Cielo.

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MOMENTO DI RIFLESSIONE PERSONALE

Ascoltiamo don Bosco e lasciamoci provocare

1. Scegli un posto tranquillo e stai in silenzio per un minuto, cercando di cacciare da te ogni distrazione che hai attorno

2. Inizia questo momento con il segno della croce

3. Invoca con fede lo Spirito Santo perchè ti aiuti a vivere bene questo tempo e ti suggerisca le cose giuste per la tua vita

Vieni, o Spirito Santo, e da' a noi un cuore nuovo, che ravvivi in noi tutti i doni da Te ricevuti, un cuore nuovo sempre giovane e lieto. Vieni, o Spirito Santo, e da' a noi un cuore puro, allenato ad amare Dio, un cuore puro, che non conosca il male se non per definirlo, per combatterlo e per fuggirlo; un cuore puro, come quello di un fanciullo, Vieni, o Spirito Santo, e da' a noi un cuore grande, aperto alla Tua Parola e chiuso ad ogni meschina ambizione, un cuore grande e forte

4. Ripensa a tutto ciò che hai VISTO e SENTITO oggi. Quali sono le cose che ti hanno colpito di più? Perché?

……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… 5. Quale brano della vita di Giovannino Bosco ti ha segnato maggiormente? Come mai? Che insegnamento hai ricevuto? ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… 6. Se penso alla vita di Giovannino Bosco negli anni passati qui al Colle e la paragono al mio modo di vivere al Sardagna, a casa, con gli amici, quali somiglianze trovo e quali differenze? ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… Dopo aver visitato i luoghi e ascoltato alcuni brani della sua vita, per essere più simile a Giovannino, di me devo cambiare queste cose: …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… 6. Parto dal Colle don Bosco con questo desiderio ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… 7. Con questo impegno concreto per realizzarlo …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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La Sacra di San Michele

La Sacra di San Michele è un complesso architettonico collocato sul monte Pirchiriano, all'imbocco della Val di Susa; è situato nel territorio del comune di Sant'Ambrogio di Torino ed appartiene alla diocesi di Susa. È il monumento simbolo della regione Piemonte. Ristrutturato, è affidato alla cura dei padri Rosminiani.

L’angelo Michele ricorre cinque volte nella Sacra Scrittura: in particolare, nel libro di Daniele, di lui si dice essere il capo supremo dell’esercito celeste in difesa dei perseguitati, mentre nell' Apocalisse, Michele è il principe degli angeli fedeli a Dio, combatte e scaccia Satana e gli angeli ribelli.

San Michele è quindi venerato dalla tradizione cristiana come difensore del popolo cristiano, ed è chiamato in difesa contro i nemici della Chiesa.

Nel V secolo sul promontorio del Gargano sorse il più antico e più famoso luogo di culto micaelico dell’occidente, il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. In Francia nel 708 o 709, su un altro promontorio, sulla costa della Normandia, fu consacrato all’Angelo un santuario detto di Mont-Saint-Michel.

La Sacra è di San Michele perché nasce e cresce con la sua storia e le sue strutture attorno al culto di San Michele che approdò in Val di Susa nei secoli V o VI. La sua ubicazione in altura e in uno scenario altamente suggestivo, richiama immediatamente i due insediamenti del Gargano e della Normandia. Fondata tra il 983 e il 987 sullo sperone roccioso del monte Pirchiriano si trova al centro di una via di pellegrinaggio di oltre duemila chilometri che unisce quasi tutta l’Europa occidentale da Mont-Saint-Michel a Monte Sant’Angelo

Sul finire del X secolo San Giovanni Vincenzo, un discepolo di San Romualdo, inizia quassù la vita eremitica. Alle soglie dell'anno mille irrompe, in quest'eremo il conte Ugo di Montboissier, recatosi a Roma per chiedere indulgenza a Papa Silvestro II. Questi, a titolo di penitenza, gli concede di scegliere fra un esilio di 7 anni e costruire

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un'abbazia. Siamo negli anni 983-987 quando inizia l'edificazione del monastero, affidato poi a cinque monaci benedettini. Dagli inizi fin verso la prima metà del 1300 il monastero vive la sua stagione più favorevole sotto la guida degli abati benedettini. Nel 1622 si convinse Papa Gregorio XV a sopprimere il monastero, abitato ormai soltanto da tre monaci, dopo più di seicento anni. Dopo questi seicento anni di vita benedettina, la Sacra resta quasi abbandonata per oltre due secoli! Nel 1836 Re Carlo Alberto di Savoia, pensò di collocare, stabile, una congregazione religiosa. Offre l’opera ad Antonio Rosmini, giovane fondatore dell’Istituto della Carità, che l’accetta, trovandola conforme allo spirito della sua congregazione. La scelta di questa antica abbazia evidenzia la spiritualità di Antonio Rosmini che richiama costantemente ai suoi religiosi la priorità della vita contemplativa, quale fonte ed alimento che dà senso e sapore ad ogni attività.

La visita del Santo Padre Giovanni Paolo II (14.07.1991) ha promosso molte iniziative mentre la Regione, nel 1991, ha riconosciuto "La Sacra monumento simbolo del Piemonte".

Dal 2005 è collocata la statua di San Michele Arcangelo, un'opera di grandi proporzioni (alta m. 5,20 + m. 1,80 di ali, peso 3.400 Kg).

L'artista descrive così la sua opera :

"San Michele Arcangelo fu l'Arcangelo del Bene, che sconfisse il Male: la mia statua vuole rappresentare soprattutto questo, nel nostro mondo infedele alla Pace. L'opera si compone di due parti: in una, San Michele Arcangelo sta sulla roccia viva, la stessa su cui è eretta l'Abbazia, vincitore del Bene per la Pace e Portatore della Parola di Dio; nell'altra, le ali dell'Angelo del Male, sconfitto, sprofondano nelle tenebre ai piedi della roccia sporgente. L'Arcangelo è anche Custode del Regno di Dio, che simbolicamente si apre nella parete alle spalle della scultura".

Altre parti significative: o Scalone dei Morti con il il Portale dello Zodiaco o Il Santuario romanico-gotico o Il primitivo santuario di San Michele o L’affresco della Leggenda

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Valdocco: la Terra Santa dei salesiani

1 – Cappella Pinardi 2 – Chiesa di S. Francesco di Sales 3 – Camerette di don Bosco 4 – Basilica di Maria Ausiliatrice 5 – Cortile delle scuole 6 – Oratorio attuale 7 – Ingresso al museo mariano 8 – Statua di don Bosco - Ingresso 1 - Ingresso 2 L’ambiente di Valdocco è molto ricco di storia, di vita e di santità. Qui don Bosco ha vissuto nella maturità della sua vita e delle sue attività per 42 anni!

GLI AMBIENTI PIÙ SIGNIFICATIVI: La cappella Pinardi è la prima chiesa dell’oratorio (1846) con un bellissimo affresco del Cristo Risorto, segno di luce, gioia e vita nuova per i poveri ragazzi di don Bosco. La cappella poi sarà sostituita dalla chiesa di S. Francesco di Sales (1852), dove nacque la Compagnia dell’Immacolata di Domenico Savio e dove pregarono i primi salesiani. Infine verrà costruita la bellissima Basilica di Maria ausiliatrice (1868), con il meraviglioso dipinto di Maria in Paradiso con gli apostoli, che contiene i resti di San Giovanni Bosco, San Domenico Savio e Santa Maria Mazzarello (fondatrice delle FMA, le suore salesiane); è la chiesa che Maria mostrò in sogno a don Bosco. È possibile inoltre visitare le camerette dove viveva don Bosco, in cui sono nati i salesiani 150 anni fa, e il museo mariano, una ricchissima raccolta di opere salesiane e mariane da tutto il mondo.

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LA CAPPELLA PINARDI L’oratorio a casa Pinardi: (dal 12 aprile 1846)

In quei giorni, sul prato, arrivarono i padroni (i signori Filippi) che gli avevano affittato il campo. Si curvarono sulle zolle calpestate senza pietà da ottocento zoccoli e scarponi. Chiamarono don Bosco: - Ma qui si fa un deserto! - Di questo passo il nostro prato diventerà una strada in terra battuta. - Abbia pazienza, caro abate, ma cosi non si può continuare. La dispensiamo dal pagare il fitto, ma dobbiamo licenziarla. Gli diedero quindici giorni di tempo per sgombrare. Il 5 aprile 1846, ultima domenica nel prato Filippi, fu per don Bosco uno dei giorni più amari della vita. A mezzogiorno fece un estremo tentativo dai Filippi. Non ottenne niente. Doveva proprio dare addio ai suoi ragazzi? “In sulla sera di quel giorno - scrisse - rimirai la moltitudine dei ragazzi che giocavano. Ero solo, sfinito di forze, la salute malandata. Ritiratomi in disparte, mi posi a passeggiare da solo e non riuscii a trattenere le lacrime: “Mio Dio, esclamai, ditemi quello che devo fare’”. Fu in quel momento che arrivò un uomo balbuziente, Pancrazio Soave, fabbricante di soda e di detersivi. - E’ vero che cerca un luogo per fare un laboratorio? - Non un laboratorio ma un oratorio. - Non so che differenza ci sia, ma insomma il posto c’è. Venga pure a vederlo. E’ di proprietà del signor Francesco Pinardi, persona onesta. Don Bosco andò, era soltanto una povera tettoia, bassa, appoggiata sul lato nord della casa Pinardi. Un muretto tutt’intorno la trasformava in una specie di baracca. Era stata costruita da poco e serviva come laboratorio di un cappellaio e magazzino delle lavandaie. Don Bosco fu sul punto di rifiutarla. - Troppo bassa, non mi serve. - La farò aggiustare come vuole – disse Pinardi -. Scaverò, farò gradini, cambierò il pavimento. Ma ci tengo che faccia qui il suo laboratorio. - Non un laboratorio, ma un oratorio – ripeté don Bosco - Una piccola chiesa per radunarvi i ragazzi. - Meglio ancora. Io sono un cantore, verrò a darle una mano. Porterò due sedie, una per me e una per mia moglie. Don Bosco era ancora incerto. Poi disse: - Se mi garantite di abbassare il terreno di 50 cm. io l’accetto. Poteva disporre della tettoia e della striscia di terra intorno, dove far giocare i suoi ragazzi. Tornò di corsa tra i suoi giovani e gridò: - Allegri figlioli! Abbiamo trovato l’oratorio! Avremo chiesa, scuola e cortile per saltare e giocare. Domenica ci andremo. Era domenica delle Palme. La domenica seguente era Pasqua di risurrezione.

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Entrando nella cappella, vediamo dietro una tela che rappresenta la Risurrezione di Cristo giorno in cui Don Bosco inaugura l’antica Cappella. La Risurrezione è una delle immagini più efficaci della santità giovanile proposta a Valdocco: “una vita liberata dal peccato e rigenerata nella grazia del Risorto, piena di gioia e di luce. L’altare rappresenta l’Agnello immolato che redime l’umanità con il suo sangue. Nel tabernacolo il simbolo del pesce e la scritta “Dio con noi” ricorda come fosse forte il legame con Dio. Sulla destra la statua di Maria Consolatrice. Riproduce la prima statua che Don Bosco comprò per la sua prima chiesa. Non era di legno né di metallo, troppo cara. Era di carta pesta. Gli costò 27 lire (la paga di un operaio meccanico in quel tempo era di 2 lire al giorno). Nelle feste, i ragazzi portavano quella statua in processione “nei dintorni”. I dintorni erano vastissimi prati e campi, pochissime casupole e due osterie. Uscendo dalla Cappella Pinardi, si sfiora con il braccio destro la minuscola sacrestia. È il locale strettissimo in cui nel 1853, Don Bosco collocò il primo laboratorio di calzolai.

Riflettiamo: Questo luogo fu segno della Provvidenza di Dio … come se gli fosse detto: continua con la tua opera per i ragazzi! In questo luogo Don Bosco pregò, ottenne miracoli e grazie…. Qui i suoi ragazzi pregarono per salvare Don Bosco da una grave malattia…. Qui io prego per:

…………………………………………………………………………………………………………………………………………….. Preghiera da rivolgere a Maria: O Maria, donna del sì, tu hai saputo mettere con fede la tua esistenza nelle mani di Dio e proprio per questo l’Onnipotente ha fatto in te cose grandi; sostieni il mo cuore nel dire i miei piccoli e grandi sì di ogni giorno donami la generosità nel dono di me a Dio e ai fratelli illumina la mia mente per comprendere e vivere il sogno di Dio sulla mia esistenza e rendimi docile strumento nelle mani del Padre per la gioia di tanti. Amen

LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI SALES La Cappella Pinardi, in sei anni di onorato servizio, era diventata sempre più piccola per i tanti ragazzi che venivano all’Oratorio. La posa della prima pietra di una nuova chiesa dedicata a S. Francesco di Sales fu fatta il 20 luglio 1851. Fu consacrata il 20 giugno 1852, e per 16 anni (fino al 1868) rimase il cuore della Congregazione che nasceva. Dal 1852 al 1856 venne negli ultimi banchi, a pregare sgranando il suo Rosario, la vecchia e stanca mamma Margherita.

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L’8 dicembre 1854, Domenico Savio entrò in questa chiesa, si inginocchiò davanti all’altare dell’Immacolata e si consacrò a lei con questa brevissima preghiera: “Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà, fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere anche un solo peccato”. Due anni dopo, Domenico Savio tornò a inginocchiarsi a questo altare, non più solo, ma in compagnia dei migliori ragazzi dell’Oratorio. Aveva fondato la “Compagnia dell’Immacolata”. Si era chiesto: “Perché dobbiamo cercare da fare del bene agli altri da soli? Perché non unirsi, tutti i giovani più volonterosi, in una società segreta, per diventare un gruppo di piccoli apostoli tra gli altri?”. Don Bosco approvò il progetto.

Entrando in chiesa si resta colpiti dai numerosi dipinti sulle pareti: San Francesco di Sales : vescovo impegnato nella difesa della dottrina

cattolica contro l’eresia Calvinista. Don Bosco fu affascinato dal vescovo per la sua bontà, egli soleva dire:”la carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa”.

I tre ragazzi modello: Michele Magone, Domenico

Savio, Francesco Besucco: la loro regola di vita era: “Stare allegri e fare bene i propri doveri di studio e di pietà”. Questo era un insegnamento di Don Bosco che era convinto che è nel quotidiano che possiamo incontrare e lodare il Signore.

Domenico Savio a destra dell’altare: in questo coretto, Domenico Savio, fu trovato da Don Bosco come rapito in estasi alle due del

pomeriggio, si era raccolto in preghiera dopo la Comunione della S.Messa delle 8 della mattina e da lì non si è più mosso.

Don Cafasso: la persona a cui Don Bosco affidò le “cose dell’anima”.

Riflettiamo: Questa chiesa ci fa toccare con mano che essere cristiani non è difficile e soprattutto rende felici. Caratteristiche di un cristiano possono essere: la bontà e l’amorevolezza, il quotidiano come palestra di vita, un piccolo impegno che regoli la nostra vita. Io mi impegno a:

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LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE

È il cuore di Valdocco e della Famiglia Salesiana: è la chiesa madre da cui sono partiti, nel 1875, i primi missionari salesiani e da cui ancora, ogni anno, partono per tutto il mondo. Don Bosco la volle come centro irradiante dell’amore alla Madonna. Dove oggi sorge la Basilica, sarebbe avvenuto il martirio dei Santi Avventore ed Ottavio. L’apparizione della Madonna a San Giovanni Bosco nel 1845, gli indicò un preciso luogo in località Valdocco (nome che forse significherebbe etimologicamente “valle degli uccisi”), sul quale venne poi eretta la Basilica di Maria Ausiliatrice. Nella cripta un quadro raffigura la decapitazione dei due santi e la fuga di Solutore. Il titolo Ausiliatrice fu proprio voluto da Don Bosco perché sottolineava la presenza di Maria come aiuto nel cammino della vita contro gli assalti del peccato, per essere liberati dal male, ma soprattutto per attuare il bene. Davanti alla facciata In un sogno mandatogli dal Signore nel 1844, Don Bosco vide questo Santuario. Racconta: “Una pastorella mi invitò a guardare. Vidi un campo seminata a meliga e patate. ‘Guarda un’altra volta’, mi disse. Guardai e vidi una stupenda e alta chiesa. Nell’interno c’era una grande fascia bianca, su cui era scritto: «Qui è la mia casa, di qui uscirà la mia gloria»”.Don Bosco tenne d’occhio il campo seminato a granoturco e patate. Lo aveva riconosciuto proprio al di là del muro che circondava il suo Oratorio. Lo ribattezzò “il campo dei sogni”. Corrispondeva al terreno che ora è occupato dalla basilica che sta davanti ai nostri occhi. Nel 1862, Don Bosco disse al suo giovane prete Giovanni Cagliero: “La Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Maria Aiuto dei Cristiani. I tempi corrono tristi, e abbiamo proprio bisogno che la Vergine Santa ci aiuti a difendere la fede cristiana. Costruiremo quindi una chiesa grandiosa e degna della Vergine”.

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All’interno Entando in Basilica il nostro sguardo è subito attirato dal grande quadro centrale. Fu ideato da Don Bosco ed eseguito dal pittore Tommaso Lorenzoni che vi lavorò attorno per tre anni (1865-1868).

Don Bosco lo descrisse così: “La Vergine campeggia in un mare di luce e di maestà. È circondata da una schiera di Angeli, i quali le porgono ossequio come a loro Regina. Con la destra tiene lo scettro che è simbolo della sua potenza, con la sinistra tiene il Bambino che ha le braccia aperte, offrendo così le sue grazie e la sua misericordia a chi fa ricordo all’augusta sua Madre. Attorno e in basso sono i santi Apostoli e gli Evangelisti che guardano la santa Vergine. In fondo al dipinto c’è la città di Torino, con il santuario di Valdocco in primo piano e con lo sfondo di Superga”.

La Madonna campeggia in alto, sulle nubi, in atteggiamento regale, con lo scettro nella destra e il Bambino assiso sulla sinistra. Sul suo capo, circondato da una luminosa corona di dodici stelle, aleggia la colomba, simbolo dello Spirito, sovrastata dall’occhio del Padre da cui deriva tutta la luce che illumina la scena. Accanto alla Vergine, un poco più in basso, sotto le nubi e gli angioletti, stanno alcuni apostoli con gli strumenti del loro martirio. Ai piedi della Madonna gli apostoli Pietro e Paolo e i quattro evangelisti con i loro simboli tradizionali. Sulla sinistra, presso S. Pietro che regge le chiavi, si trova l’evangelista Giovanni con il calice dell’ultima cena e l’aquila simboleggiante la sublimità del suo Vangelo; accanto è Marco, seduto sul leone. A destra, dietro S. Paolo, si scorgono la bianca figura di S. Matteo con l’angioletto e S. Luca con il bue. In basso, tra Pietro e Paolo compaiono la Chiesa dell’Ausiliatrice e gli edifici dell’Oratorio; all’orizzonte il colle di Superga, col tempio della Vergine. L’altare di Don Bosco Il primo altare sulla destra fu dedicato a san Pietro. Don Bosco vi diceva Messa tutte le mattine. Dopo la sua beatificazione, i Salesiani trasformarono l’altare in suo onore, e vi collocarono in una preziosa urna di cristallo i suoi resti mortali. Le vesti che coprono il corpo del Santo sono state donate da papa Benedetto XV. La faccia e le mani sono state modellate in cera dallo scultore Cellini (lo stesso che ha eseguito il monumento di bronzo sulla piazza). Dietro l’altare c’è un continuo flusso di persone che sostano in silenzio e raccoglimento a pregare accanto all’urna del Santo.

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I Santi salesiani Nel Santuario, a destra, sono custoditi i resti mortali di Santa Maria Domenica Mazzarello, con fondatrice e prima superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Morì a 44 anni il 14 maggio 1881. Fu proclamata Santa nel 1951. In un altare a sinistra, dentro un’urna sono conservati i resti mortali di san Domenico Savio, il quindicenne allievo di Don Bosco, proclamato santo nel 1954. Tra le cose più preziose che ci rimangono di lui sono gli impegni che prese alla Prima Comunione: “La morte ma non peccati. I miei amici saranno Gesù e Maria”. Il santuario venne ampliato negli anni 1935-1938. Le principali novità furono: il nuovo altare a Don Bosco, l’ampliamento del presbiterio, la seconda cupola di m 12 di diametro, le due grandi cappelle laterali con relative tribune superiori, la galleria con sei altari fra cui quelli al Crocifisso e al Cottolengo. Cripta Per chi entra dall’ingresso principale, una scala sul lato destro conduce alla cripta o “Cappella delle Reliquie”. Qui, in due altari laterali, sono custodite le spoglie mortali del Beato Michele Rua, il ragazzo che “fece a metà con Don Bosco” e suo primo successore, e del Beato Filippo Rinaldi terzo successore di Don Bosco. Attorno si conservano numerosissime altre reliquie di martiri e di santi. La reliquia più insigne è collocata nell’altare in fondo: un frammento della Santa Croce. In un angolo illuminato da una lampada c’è una mattonella dorata che merita un attimo di attenzione. Don Bosco ricordava che proprio lì, nel sogno del 1844, la Madonna aveva posto il piede dicendogli: “In questo luogo tu mi costruirai una grande chiesa”.

Momento di preghiera a don Bosco

26 gennaio 1888. E’ tornato mons. Cagliero dall’America. Si reca immediatamente al letto dell'ammalato. Capisce che la cosa gravissima, ma tenta di <<sapere>> da don Bosco se vi è ancora una speranza. Gli dice: - Mi chiamano a Roma. Posso andare? - Andrai, ma dopo -. La sua bella voce ormai un'ombra. I dolori sono a volte intollerabili. Don Lemoyne gli suggerisce: - Pensi a Gesù sulla croce. Anche lui soffriva senza potersi muovere. - Si, è quello che faccio sempre. Il 27 e la mattina del 28 sono cancellati da un continuo vaneggiare. Pomeriggio del 28. La coscienza di don Bosco riemerge in uno degli ultimi momenti di lucidità piena. Gli è accanto don Bonetti. Don Bosco mormora: - Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso. Nella giornata del 29 i medici lo trovano gravissimo. Il dottor Fissore gli dice: - Coraggio, domani le cose potrebbero andare meglio -. E lui, con lo sguardo ormai errante: - Domani?... Domani?... Farò un viaggio lungo... 30 gennaio. In un momento di lucidità mormora a don Rua: - Fatti amare. Verso l'una pomeridiana, accanto al suo letto sono Giuseppe Buzzetti e don Viglietti. Don Bosco spalanca gli occhi, tenta di sorridere. Alza la mano sinistra e li saluta. Buzzetti scoppia a piangere. 31 gennaio. Verso le due dopo la mezzanotte don Rua s'accorge che le cose precipitano.

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Indossa la stola e inizia le preghiere per gliagonizzanti. Vengono chiamati in fretta gli altri superiori della Congregazione. Quando arriva mons. Cagliero, don Rua gli cede la stola, passa alla destra di don Bosco, si china al suo orecchio e gli dice: - Don Bosco, siamo qui noi, i suoi figli. Le domandiamo perdono di tutti i dispiaceri che per causa nostra ha dovuto soffrire. Come segno di perdono e di paterna bontà, ci dia ancora una voltala sua benedizione. Io le condurrò la mano e pronuncerò la formula della benedizione. Don Rua alza la mano destra ormai insensibile e dice parole di benedizione per i salesiani presenti e per quelli lontani. Nella camera risuona il rantolo del morente. Alle quattro e mezzo cessa di colpo. Il respiro si fa corto per pochi istanti poi si spegne. Don Belmonte quasi grida: - Don Bosco muore! Tre respiri faticosi, a breve intervallo. Mons. Cagliero dice a voce alta la preghiera che ha imparato da lui quando era ragazzetto: << Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia; Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima agonia; Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia>>. Poi si toglie la stola dal collo e la mette sulle spalle di don Bosco, che è entrato nella Luce.

San Giovanni Bosco, amico dei ragazzi e dei giovani, aiutami a diventare grande nel corpo e nell'anima, nell'intelligenza e nel cuore. Tu hai sofferto vedendo la miseria dei giovani. Rendimi attento a coloro che soffrono, a coloro che sono abbandonati o non sono amati. Tu hai avuto fiducia in Dio, in Gesù e Maria. Essi ti hanno dato forza e coraggio per compiere tante meraviglie. Donami la tua stessa fiducia perchè io faccia della mia vita una grande missione. Hai chiamato uomini e donne perché ti aiutassero e hai creato una grande famiglia per guidare i giovani nella vita. Voglio anch'io essere tuo amico e camminare come te sulle strade del Vangelo.

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TORINO

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TORINO Torino (Turin in piemontese) è la quarta città italiana per popolazione con 907.804 abitanti, mentre è la terza dopo Roma e Milano per movimento economico; è capoluogo della Provincia di Torino e della Regione Piemonte, nonché uno dei maggiori centri universitari, culturali e scientifici del Paese. È stata la prima capitale d'Italia. Torino sorge nella pianura approssimativamente delimitata dai fiumi Stura di Lanzo, Sangone e Po (che attraversa la città da sud verso nord). La città è anche bagnata dalla Dora Riparia, che scorre vicinissima al suo centro storico. Nelle giornate invernali particolarmente limpide suggestiva è la cinta creata dalle Alpi che, vicinissime, contornano tutta la parte Nord-Ovest della città con le loro cime innevate. Tra le Città decorate al valor militare per la guerra di liberazione essendo stata insignita della medaglia d'oro al valor militare il 29 maggio 1959 per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

Storia

L'origine della città può essere fatta risalire al castrum costruito durante le guerre galliche di Giulio Cesare. Nel 29 fu eretta a colonia con il nome di Augusta Julia Taurinorum, da cui deriverà poi il nome moderno. Dopo la caduta dell' Impero Romano Torino passò sotto il controllo degli Ostrogoti, dei Longobardi, e dei Franchi di Carlo Magno (773). Dopo alterne vicende che videro, nei secoli seguenti, anche l'elezione della città a libero comune, Torino venne inglobata definitivamente nei possedimenti dei Savoia che nel frattempo avevano ottenuto l'elevazione al rango di duchi. Nel XVI secolo, la città divenne capitale del ducato di Savoia. Nel 1713 i duchi di Savoia ottennero il titolo di re, prima di Sicilia e poi di Sardegna, e Torino divenne la capitale del regno. Il Congresso di Vienna e la Restaurazione diedero al Piemonte Genova e tutta la Liguria, Dal 1861 al 1865 Torino fu per qualche anno la capitale del nuovo Stato unitario, per passare poi questo titolo a Firenze e, dal 1870, a Roma. Dopo il secondo dopoguerra Torino fu il simbolo della crescita economica dell'Italia, tanto che riuscì ad attirare migliaia di emigranti dal Sud dell'Italia per via delle richieste di manodopera negli stabilimenti automobilistici. Nel 1974 la città raggiunse gli 1,2 milioni di abitanti.

Monumenti e luoghi d'interesse

Il Museo Egizio

Il Museo Egizio di Torino è il secondo museo egizio più importante del mondo, dopo quello del Cairo, ed è dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico. Molti studiosi di fama internazionale si dedicano da allora allo studio delle sue collezioni, confermando così quanto scrisse Champollion: «La strada per Menfi e Tebe passa da Torino». Il Museo Egizio (propriamente Museo delle Antichità Egizie) è costituito da un insieme di collezioni che si sono sovrapposte nel tempo, alle quali si devono aggiungere i ritrovamenti effettuati a seguito degli scavi condotti in Egitto dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1900 e il 1935. In quell’epoca vigeva il criterio secondo cui i reperti archeologici erano ripartiti fra l’Egitto e le missioni archeologiche. Il criterio attuale prevede che i reperti rimangano all’Egitto.

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Nelle sale del Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 6.500 oggetti. Più di 26.000 reperti sono depositati nei magazzini, in alcuni casi per necessità conservative, in altri perché rivestono un interesse unicamente scientifico e sono oggetto di studi i cui esiti sono regolarmente pubblicati.

Piazza San Carlo

Piazza San Carlo è una delle più importanti piazze di Torino; può essere definita come il cuore pulsante del capoluogo piemontese. Lunga 168 metri e larga 76, la piazza ha una superficie di 12.768 metri quadrati Nel corso della storia ha preso i nomi di Piazza Reale, Piazza d'Armi e poi, nel periodo napoleonico, Place Napoléon. Dal 1618, è dedicata a San Carlo Borromeo, come una delle due chiese gemelle, il santo Arcivescovo di Milano che ebbe per la Sindone una particolare devozione. Emanuele Filiberto infatti fece portare il Sacro Lino a Torino nel 1578 per abbreviare il pellegrinaggio che, a piedi, Carlo Borromeo avrebbe dovuto condurlo a Chambéry per venerarlo. In questa piazza, in occasione dell'Ostensione della Sindone, la mattina del 2 maggio 2010 il papa Benedetto XVI ha incontrato la cittadinanza di Torino ed ha celebrato la Santa Messa; nel pomeriggio, il pontefice ha presieduto l'incontro con i giovani piemontesi, prima di recarsi al duomo di Torino, per venerare la Santa Sindone, e successivamente alla Piccola Casa della Divina Provvidenza.

I portici monumentali

Una caratteristica di Torino è costituita dai portici che si sviluppano per oltre 16 km. I primi risalgono già al medioevo ma è partire dal XVII secolo che si cominciano a costruire i portici monumentali tuttora presenti, costruiti tra il 1606 e il 1765. Nel corso del XIX secolo se ne aggiunsero altri.

Piazza Castello

È la piazza principale di Torino, cuore del centro storico della città: qui sono situati importanti palazzi cittadini, quali Palazzo Reale e Palazzo Madama. In Piazza Castello confluiscono quattro delle principali vie di Torino. Progettata nel 1584, la piazza s'estende su una superficie di circa 40.000 metri quadrati, ed è circondata per tre lati su quattro da monumentali portici, costruiti in periodi differenti. Sulla piazza, infatti, s'affacciano, oltre a Palazzo Reale e, al suo centro, Palazzo Madama, il Teatro Regio, il Palazzo della Giunta Regionale, l'Armeria Reale, il Palazzo del Governo (ora sede della Prefettura), la Biblioteca Reale, l'Archivio di Stato, la Chiesa di San Lorenzo. La piazza è stata oggetto di una riqualificazione che ne ha reso pedonale una porzione consistente nel 2000.

Palazzo Madama

Situato nella centralissima piazza Castello a Torino, Palazzo Madama è un connubio di duemila anni di storia del Piemonte: eretto dai romani in qualità di porta cittadina, per il lato esposto verso il fiume Po, dopo la caduta dell'Impero Romano, la porta venne trasformata in un fortilizio atto alla

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difesa cittadina, vista l'ovvia importanza di tale via di comunicazione. Questa primitiva fortificazione passò ai marchesi di Monferrato nel XIII secolo che lo trasformarono in un palazzo vero e proprio. Passano i secoli e la fortificazione di Porta Fibellona passò in proprietà dei Savoia-Acaja che nella prima metà del XIV secolo lo ingrandirono a castello. L'anno 1637 è una pietra miliare nella storia di Palazzo Madama: la reggente del duca Carlo Emanuele II di Savoia, Maria Cristina di Francia, volendo sottrarsi all'aria pesante della corte, lo elesse come sua residenza. Non appena insediata, commissionò importanti lavori ristrutturali, come l'ammodernamento degli appartamenti interni. Sessant'anni più tardi, un'altra donna forte di casa Savoia, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours (reggente di Vittorio Amedeo II di Savoia) abiterà questo palazzo e a lei si deve l'aspetto attuale e parte del nome del palazzo stesso, sede delle reggenze di due "Madame Reali". Il ritorno dei Savoia, a Torino e nel Piemonte, permise una nuova vita al palazzo: sede dei Comandi Militari, il luogo venne adibito ad osservatorio astronomico dal 1822. Attualmente ospita un museo con importanti opere d'arte.

Il Palazzo Reale

Il palazzo fa parte di un complesso di edifici, siti nel centro cittadino, che si possono annoverare, certamente, tra i più antichi e ricchi di fascino di Torino. In origine, l'edificio era adibito a palazzo vescovile, fino almeno al XVI secolo, quando al momento di trasferire la sede ducale da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto di Savoia lo scelse come sua personale dimora, cacciandone il legittimo proprietario. Dopo l'Unità d'Italia, il Palazzo rimase sede della monarchia fino al 1865: di questi anni, e precisamente del 1862, è il grande Scalone d'Onore, su progetto di Domenico Ferri, voluto da Vittorio Emanuele II per celebrare la nascita della nuova nazione e per rendere, così, degno di tale titolo regio anche il palazzo. Con un ingente numero di arredi e di effetti personali, i Savoia si trasferirono quindi al Palazzo del Quirinale, a Roma, lasciando la loro prima dimora a semplice alloggio per le loro visite a Torino. La caduta della monarchia nel 1946 destinò questi ambienti all'oblio. I Giardini Reali sono i giardini che si trovano dietro a Palazzo Reale a Torino. I giardini iniziano subito dietro il palazzo e terminano in corso san Maurizio. Si accede ad essi da Piazza Castello, passando per l'ingresso di Palazzo Reale. Nella parte bassa dei Giardini Reali, presso Corso Regina Margherita, sorge, dal 1933 il Monumento Nazionale al Carabiniere, dichiarato monumento nazionale italiano.

La Mole Antonelliana

La Mole Antonelliana è il monumento simbolo della città di Torino. Prende il nome dall'architetto che la costruì, Alessandro Antonelli. La mole è una struttura in muratura la cui costruzione iniziò nel 1863. È alta 167,50 metri ed è l'edificio in muratura più alto d'Europa. Originariamente doveva essere una sinagoga. La scelta di Antonelli come architetto si rivelò infelice, perché propose una serie di modifiche che avrebbero innalzato la costruzione a 113 metri, ben oltre i 47 metri originali per la cupola. Tali modifiche, l'allungamento dei tempi di costruzione e i maggiori costi, risultarono sgraditi alla comunità ebraica.

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Nel 1873 venne fatto uno scambio con la città di Torino, che diede loro un terreno per costruire l'attuale sinagoga e si prese in carico la Mole che sarebbe stata dedicata al re Vittorio Emanuele II. Antonelli vi lavorò fino alla sua morte, ma non vide il completamento della costruzione, che fu portata a termine dal figlio Costanzo. La Mole è stata usata come "balcone sulla città" grazie all'ascensore che porta agli 85 metri della cima della cupola dove c'è un piccolo belvedere, e per mostre temporanee. Dopo alcuni anni di chiusura per ristrutturazione, oggi è sede del Museo nazionale del Cinema.

Il Borgo Medievale

La singolare realizzazione del Borgo Medievale risale alla fine dell’Ottocento: il 12 dicembre 1882 si pose la prima pietra della Rocca, il 6 giugno 1883 si pose la prima pietra del villaggio, il 27 aprile 1884 il Borgo venne inaugurato alla presenza dei sovrani d'Italia, Umberto e Margherita di Savoia. In effetti, il complesso non nacque come museo, ma come padiglione dell'Esposizione Generale Italiana Artistica e Industriale, che si svolse a Torino dall'aprile al novembre del 1884. L'enorme successo ottenuto fece sì che esso fosse acquistato dalla Città di Torino a fine manifestazione. Nel Borgo Medievale tutto è studiato per apparire assolutamente "vero". L'intento di creare un luogo pittoresco non era però l'unica finalità che si ponevano gli ideatori del Borgo, anzi. I loro scopi erano innanzitutto didattici, educativi, di tutela del patrimonio storico-artistico piemontese e valdostano.

Il Parco del Valentino

Il Parco del Valentino è il più famoso e antico parco pubblico della città. È sicuramente il parco cittadino più conosciuto ed è stato assunto a simbolo della città al pari della Mole Antonelliana. Il Parco presenta un patrimonio arboreo notevole, una interessante avifauna, molteplici punti di interesse, piste ciclabili, passeggiate e occasioni di sport e di svago. Le sue origini si possono far risalire ad epoca assai remota: fin dal Medioevo, infatti, era in uso in zona il toponimo "Valentino", di incerta origine, che dal '600 venne ad indicare il castello dei Savoia (Castello del Valentino, una delle Residenze Reali dei Savoia, Patrimonio Mondiale UNESCO) e l'area limitrofa. Il parco del Valentino ebbe una prima realizzazione nel 1630, ma è nella seconda metà dell'800 che inizia per Torino una nuova fase urbanistica, caratterizzata da forte aumento della popolazione e nuovo bisogno di verde per lo svago: è in questo momento che nasce il verde pubblico in senso moderno, e la Città, per realizzare un pubblico passeggio, pensa alla zona attorno al Castello del Valentino. I lavori si avviarono nel 1863. Ancor prima di essere completato, il parco diventò la cornice di grandi esposizioni nazionali ed internazionali. Nel 1961 fu teatro di manifestazioni per il Centenario dell'Unità d'Italia e in tale occasione fu realizzata una valletta fiorita percorsa da ruscelli e aiuole, realizzando il Giardino Roccioso.


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