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“Non al denaro, non all’amore né al cielo” SPOON RIVER SECONDA PARTE... · \6 Dov’è Jones...

Date post: 22-Feb-2019
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\1 UNIVERSITA' DELLE TRE ETA' COLLEFERR0/SEGNI/ARTENA/PALIANO “Non al denaro, non all’amore né al cielo” Di Fabrizio De André tratto dall’opera di Edgar Lee Masters.
Transcript

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UNIVERSITA' DELLE TRE ETA' COLLEFERR0/SEGNI/ARTENA/PALIANO

“Non al denaro, non all’amore né al cielo”

Di Fabrizio De André

tratto dall’opera di Edgar Lee Masters.

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Il disco, in vinile, uscì nel 1971 e fu un successo immediato; per

la sua realizzazione DE ANDRE’ si avvalse di collaboratori eccellenti:

FERNANDA PIVANO

Traduttrice

ROBERTO DANE’

Produttore GIUSEPPE BENTIVOGLIO

Scrittore NICOLA PIOVANI

Musicista

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La lettura di questa Antologia colpì anche un giovane Fabrizio De André, che si lasciò affascinare dall’estrema attualità dei testi, dagli argomenti trattati, dal fatto che Masters metteva in evidenza le debolezze umane senza mezze misure, e denunciava, anche lui senza peli sulla lingua, i difetti e gli arrivismi di una società attaccata ai beni materiali e incapace di vedere al di là del proprio naso.

Questo tipo di argomenti erano assolutamente consoni al percorso

culturale/musicale del cantautore genovese, che da sempre, si era schierato dalla parte degli emarginati e dei più deboli. De André, decide così di mettere in musica alcune poesie e di rielaborarne i testi, pur mantenendo intatto tutto l’assetto dell’opera.

Per far questo però doveva trovare dei collaboratori validi e di spessore, per questo come prima cosa contattò lo scrittore Giuseppe Bentivoglio, che già in precedenza aveva lavorato con lui, poi il maestro Nicola Piovani, allora giovanissimo e infine, l’unica in Italia a conoscere l’opera di Masters come le proprie tasche: Fernanda Pivano.

Ma sentiamo proprio da una celebre intervista, quello che disse la Pivano a

proposito del CD: - “Fabrizio ha fatto un lavoro straordinario: lui ha praticamente riscritto queste poesie rendendole attuali, così facendo ha cambiato in qualche modo quello che era il testo originale; ma io sono contenta e mi pare che lui abbia molto migliorato le poesie. Sono molto più belle… ci tengo a sottolinearlo”.

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Il CD di De André comprende 8 personaggi più “LA COLLINA” (The Hill) che è un “incipit” strepitoso anche dal punto di vista degli arrangiamenti. Ha infatti una apertura monumentale e molto cinematografica alla Sergio Leone, per intenderci; fra clavicembali, archi e campane De André enumera i personaggi più in vista di Spoon River e ci descrive la vita misera di tutta quella gente morta accidentalmente, per disgrazia o in guerra: c’è chi è caduto da un ponte, chi bruciato in miniera, chi per aborto, chi per amore… la frase famosa “morta in un bordello per le carezze di un animale…”. Per finire col suonatore Jones e cioè la figura più positiva di tutta la galleria di personaggi; è lui che “offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero, non al denaro, non all’amore né al cielo”

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LA COLLINA Dove se n’è andato Elmer

che di febbre si lasciò morire

dov’è Herman bruciato in miniera. Dove sono Bert e Tom

il primo ucciso in una rissa

e l’altro che uscì già morto di galera. E cosa ne sarà di Charley

che cadde mentre lavorava

e dal ponte volò volò sulla strada. Dormono dormono sulla collina…. Dove sono Ella e Kate

morte entrambe per errore

una di aborto l’altra d’amore. E Maggie uccisa in un bordello

dalle carezze di un animale

e Edith consumata da uno strano male. E Lizzie che inseguì la vita

lontano, e dall’Inghilterra

fu riportata in questo palmo di terra. Dormono dormono sulla collina…

Dove sono i generali che si fregiarono nelle battaglie

con cimiteri di croci sul petto, dove i figli della guerra

partiti per un ideale

per una truffa, per un amore finito male. Hanno rimandato a casa

le loro spoglie nelle bandiere

legate strette perché sembrassero intere. Dormono dormono sulla collina…

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Dov’è Jones il suonatore

che fu sorpreso dai suoi novant’anni e con la vita avrebbe ancora giocato. Lui che offrì la faccia al vento

la gola al vino e mai un pensiero

non al denaro, non all’amore né al cielo. Lui si sembra di sentirlo

cianciare ancora delle porcate

mangiate in strada nelle ore sbagliate

sembra di sentirlo ancora

dire al mercante di liquore

“tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?”

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Se La Collina rappresenta il prologo di tutta l’opera, vediamo adesso gli otto

personaggi che compongono l’album e che, secondo De André, andrebbero divisi in due gruppi in quanto toccano fondamentalmente due grandi temi: l’invidia (Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore) e la scienza (Un medico, Un chimico, Un ottico).

Il primo personaggio è Il matto al secolo Frank Drummer, considerato da tutti folle perché non riusciva a comunicare ed esternare i suoi pensieri attraverso il linguaggio. E questo personaggio è presente, se ci pensiamo bene, un po’ in tutte le realtà sociali. Il sottotitolo, molto esplicativo “dietro uno scemo c’è un villaggio”, la dice lunga sulla figura dello scemo che poi scemo non è se decide di studiare a memoria la Treccani per dimostrare a tutto il villaggio che qualcosa sa fare anche lui. Ahimè, viene rinchiuso in manicomio…

UN MATTO (dietro uno scemo c’è un villaggio)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore

e non riesci ad esprimerlo con le parole, e la luce del giorno si divide la piazza

tra un villaggio che ride e te, lo scemo che passa, e neppure la notte ti lascia da solo: gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.

E sì, anche tu andresti a cercare

le parole sicure per farti ascoltare: per stupire mezz’ora basta un libro di storia, io cercai di imparare la Treccani a memoria, e dopo maiale, Majakowsky, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto.

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E senza saper a chi dovessi la vita

in un manicomio io l’ho restituita; qui sulla collina dormo malvolentieri, eppure c’è luce ormai nei miei pensieri, qui nella penombra ora invento parole

ma rimpiango una luce, la luce del sole. Le mie ossa regalano ancora la vita: le regalano ancora erba fiorita. Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina

di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina, di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia: una morte pietosa lo strappò alla pazzia.

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Un giudice, seconda splendida figura dell’Antologia, è Selah Lively, un nano, che

studia con accanimento fino a diventare Giudice “giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male”. Vuole emergere, e soprattutto vuole incutere timore e rispetto ai suoi concittadini che, per altro non sono mai stati teneri con lui. Il tema, come per il matto è l’invidia che diventa il motore principale e fa muovere il personaggio nel peggiore dei modi.

Il giudice diventa una “carogna”, per il semplice fatto che anche gli altri lo sono stati con lui; la sua sete di potere altro non è che un’invidia lungamente repressa… Nota e contestata la frase: “… fino a dire che un nano è una carogna di sicuro, perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo.”

UN GIUDICE

Cosa vuol dire avere

un metro e mezzo di statura, ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente, o la curiosità

di una ragazza irriverente

che ti avvicina solo

per un suo dubbio impertinente: vuole scoprir se è vero

quanto si dice attorno ai nani, che siano i più forniti della virtù meno apparente, fra tutte le virtù

la più indecente.

Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti, è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti; la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo

fino a dire che un nano

è una carogna di sicuro

perché ha il cuore troppo

troppo vicino al buco del culo.

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Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore

che preparai gli esami, diventai procuratore

per imboccar la strada

che dalle panche d’una Cattedrale

porta alla Sacrestia, quindi alla cattedra d’un Tribunale, Giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male.

E allora la mia statura

non dispensò più buonumore

a chi alla sbarra in piedi mi diceva Vostro Onore, e di affidarli al boia

fu un piacere del tutto mio, prima di genuflettermi

nell’ora dell’addio

non conoscendo affatto

la statura di Dio.

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Questo personaggio è tratto dalla storia di Wendell P. Bloyd, il blasfemo appunto, che accusa Dio di aver negato all’uomo la libertà di pensiero e il conseguente raggiungimento della verità.

UN BLASFEMO (dietro ogni blasfemo c’è un giardino incantato)

Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore, più non arrossii nel rubare l'amore

dal momento che Inverno mi convinse che Dio

non sarebbe arrossito rubandomi il mio. Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino, non avevano leggi per punire un blasfemo, non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l'anima a forza di botte. Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo, lo costrinse a viaggiare una vita da scemo, nel giardino incantato lo costrinse a sognare, a ignorare che al mondo c'è il bene e c'è il male. Quando vide che l'uomo allungava le dita

a rubargli il mistero di una mela proibita

per paura che ormai non avesse padroni lo fermò con la morte, inventò le stagioni. ... mi cercarono l'anima a forza di botte... E se furon due guardie a fermarmi la vita, è proprio qui sulla terra la mela proibita, e non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato, ci costringe a sognare in un giardino incantato…

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Questo incantevole e delicato ritratto del giovane Francis Turner ( la poesia di Masters è bella, ma il rifacimento di De André è nettamente superiore) è il malato di cuore, che muore nel momento stesso che inizia a baciare una donna, per la troppa emozione. Anche per Turner il tema centrale è l’invidia, tipica di un bambino problematico che ha da sempre sofferto di solitudine e di grandi privazioni quali: non poter correre, non poter bere la coppa ad un fiato ma a piccoli sorsi interrotti, privazioni che lo porteranno solo a sfiorare la vita senza poterla mai vivere fino in fondo. Alla fine riesce tuttavia a non farsi dominare dall’invidia, ma quasi si riscatta attraverso l’amore che gli regala un momento completo e di estrema felicita, prima di morire.

UN MALATO di CUORE

\"Cominciai a sognare anch'io insieme a loro

poi l'anima d'improvviso prese il volo."

Da ragazzo spiare i ragazzi giocare

al ritmo balordo del tuo cuore malato

e ti viene la voglia di uscire e provare

che cosa ti manca per correre al prato, e ti tieni la voglia, e rimani a pensare

come diavolo fanno a riprendere fiato. Da uomo avvertire il tempo sprecato

a farti narrare la vita dagli occhi e mai poter bere alla coppa d'un fiato

ma a piccoli sorsi interrotti…

Eppure un sorriso io l'ho regalato

e ancora ritorna in ogni sua estate

quando io la guidai o fui forse guidato

a contarle i capelli con le mani sudate. Non credo che chiesi promesse al suo sguardo, non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce, quando il cuore stordì e ora no, non ricordo

se fu troppo sgomento o troppo felice. E il cuore impazzì e ora no, non ricordo, da quale orizzonte sfumasse la luce.

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E fra lo spettacolo dolce dell'erba

fra lunghe carezze finite sul volto, quelle sue cosce color madreperla

rimasero forse un fiore non colto. Ma che la baciai questo sì lo ricordo

col cuore ormai sulle labbra, ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo, e il mio cuore le restò sulle labbra. "E l'anima d'improvviso prese il volo

ma non mi sento di sognare con loro

no non si riesce di sognare con loro."

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Un medico, racconta la storia del dott. Siegfried Iseman, grande altruista che vuole curare tutta la povera gente e guarire i loro mali (ciliegi malati in ogni stagione). Purtroppo questo altruismo non viene capito né dalla famiglia né dalla società che lo deride e lo critica per questo suo comportamento anomalo, (non si faceva pagare…). Alla fine si vede costretto, per mantenere la famiglia, a vendere pozioni miracolose del tipo “Elisir di giovinezza”. Finirà in prigione, additato da tutta la comunità come “dottor, professor, truffatore, imbroglione…”

UN MEDICO

Da bambino volevo guarire i ciliegi quando rossi di frutti li credevo feriti la salute per me li aveva lasciati coi fiori di neve che avevan perduti. Un sogno, fu un sogno ma non durò poco

per questo giurai che avrei fatto il dottore

e non per un dio ma nemmeno per gioco: perché i ciliegi tornassero in fiore. E quando dottore lo fui finalmente

non volli tradire il bambino per l'uomo

e vennero in tanti e si chiamavano "gente"

ciliegi malati in ogni stagione. E i colleghi d'accordo i colleghi contenti nel leggermi in cuore tanta voglia d'amare

mi spedirono il meglio dei loro clienti con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale: ammalato di fame incapace a pagare. E allora capii fui costretto a capire

che fare il dottore è soltanto un mestiere

che la scienza non puoi regalarla alla gente

se non vuoi ammalarti dell'identico male, se non vuoi che il sistema ti pigli per fame.

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E il sistema sicuro è pigliarti per fame

nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza, perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve, l'etichetta diceva: elisir di giovinezza. E un giudice, un giudice con la faccia da uomo

mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione

inutile al mondo ed alle mie dita

bollato per sempre truffatore imbroglione

dottor professor truffatore imbroglione.

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Il chimico narra la storia di Trainor il farmacista, che non riesce a capire per quale ragione tutti gli uomini e le donne cercano di incontrarsi, si innamorano, si uniscono e mettono al mondo dei figli. Comprende benissimo invece le unioni dei vari elementi chimici che compongono il nostro pianeta; lui per tutta la vita faceva “sposare questi elementi tra loro senza farli scoppiare”.

“Son morto in un esperimento sbagliato,- dirà di se stesso, - proprio come gli idioti che muoion d’amore…”

UN CHIMICO

Solo la morte m'ha portato in collina

un corpo fra i tanti a dar fosforo all'aria

per bivacchi di fuochi che dicono fatui che non lasciano cenere, non sciolgon la brina. Solo la morte m'ha portato in collina. Da chimico un giorno avevo il potere

di sposare gli elementi e di farli reagire, ma gli uomini mai mi riuscì di capire

perché si combinassero attraverso l'amore. Affidando ad un gioco la gioia e il dolore. Guardate il sorriso guardate il colore

come giocan sul viso di chi cerca l'amore: ma lo stesso sorriso lo stesso colore

dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore. Dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore. È strano andarsene senza soffrire, senza un voto di donna da dover ricordare. Ma è fosse diverso il vostro morire

vuoi che uscite all'amore che cedete all'aprile. Cosa c'è di diverso nel vostro morire. Primavera non bussa lei entra sicura

come il fumo lei penetra in ogni fessura

ha le labbra di carne i capelli di grano

che paura, che voglia che ti prenda per mano.

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Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare

guardate l'ossigeno al suo fianco dormire: soltanto una legge che io riesco a capire

ha potuto sposarli senza farli scoppiare. Soltanto la legge che io riesco a capire. Fui chimico e, no, non mi volli sposare. Non sapevo con chi e chi avrei generato: son morto in un esperimento sbagliato

proprio come gli idioti che muoion d'amore. E qualcuno dirà che c'è un modo migliore.

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Questo personaggio è Dippold, l’ottico che vuole fabbricare occhiali speciali, diversi, che mostrino alla gente panorami stupendi e cose mai viste… Per molti critici l’ottico altri non è se non un venditore di sostanze allucinogene, nel caso specifico di LSD, allora una sostanza molto di moda. Questo tipo di droga ha il potere di falsare la percezione della realtà e di renderla una sorta di paradiso visionario e a colori. Canzone strana e che si diversifica da tutte le altre, la definirei delirante e caratterizzata da improvvisi salti ritmici, quasi psichedelici. Poco sentita nei vari concerti di De André, perché molto difficile da eseguire dal punto di vista dell’accompagnamento. Storica la versione della P.F.M. – Premiata Forneria Marconi.

UN OTTICO

Daltonici, presbiti, mendicanti di vista

il mercante di luce, il vostro oculista, ora vuole soltanto clienti speciali che non sanno che farne di occhi normali. Non più ottico ma spacciatore di lenti per improvvisare occhi contenti, perché le pupille abituate a copiare

inventino i mondi sui quali guardare. Seguite con me questi occhi sognare, fuggire dall'orbita e non voler ritornare. Primo cliente - Vedo che salgo a rubare il sole

per non aver più notti, perché non cada in reti di tramonto, l'ho chiuso nei miei occhi, e chi avrà freddo

lungo il mio sguardo si dovrà scaldare. Secondo cliente - Vedo i fiumi dentro le mie vene, cercano il loro mare, rompono gli argini, trovano cieli da fotografare. Sangue che scorre senza fantasia

porta tumori di malinconia.

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Terzo cliente - Vedo gendarmi pascolare

donne chine sulla rugiada, rosse le lingue al polline dei fiori ma dov'è l'ape regina?

Forse è volata ai nidi dell'aurora, forse volata, forse più non vola. Quarto cliente - Vedo gli amici ancora sulla strada, loro non hanno fretta, rubano ancora al sonno l'allegria

all'alba un po' di notte: e poi la luce, luce che trasforma

il mondo in un giocattolo. Faremo gli occhiali così!

Faremo gli occhiali così!

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E’ questa l’unica canzone che contiene, nel titolo, anche il nome proprio di persona: Jones, che sta per Fiddler Jones. Per ragioni di metrica Jones, nella versione di De André, diventa un suonatore di flauto, mentre nell’originale è un violinista.

Questo è un pezzo bellissimo, arrangiato dal maestro Piovani in modo superbo ed è anche il personaggio più positivo di tutto il lavoro, anche perché De André lo riteneva, in qualche modo, autobiografico.

Anche lui come Jones preferiva mille volte il rimorso al rimpianto, oltre la scelta di fare musica intesa come estrema libertà di esprimersi. La musica per De André non è mai diventata “un mestiere” ma è rimasta sempre nell’ambito del gioco e nel “piacere di farsi ascoltare”. Gli ultimi versi sono di chiara matrice autobiografica.

IL SUONATORE JONES

In un vortice di polvere

gli altri vedevan siccità, a me ricordava

la gonna di Jenny

in un ballo di tanti anni fa. Sentivo la mia terra

vibrare di suoni, era il mio cuore

e allora perché coltivarla ancora, come pensarla migliore. Libertà l'ho vista dormire

nei campi coltivati a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato. Libertà l'ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato

per un fruscio di ragazze

a un ballo, per un compagno ubriaco.

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E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca

per tutta la vita

e ti piace lasciarti ascoltare. Finii con i campi alle ortiche

finii con un flauto spezzato

e un ridere rauco

ricordi tanti e nemmeno un rimpianto.

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Ricerca Fotografica ed impaginazione Eledina Lorenzon

Si ringrazia la pittrice Cinzia Ghigliano per averci permesso l’uso delle sue opere tratte dalla

Mostra TRADURRE CON IL COLORE , dedicata all’ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Pubblicazione realizzata con il contributo di

Filiale di Colleferro

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

Corso SALOTTO LETTERARIO

Docente Maria Fiorella BELLI

Incontri

• Segni 14 Febbraio 2013

• Colleferro 25 Marzo 2013

• Artena 27 Marzo 2013


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