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Non c'è crescita senza occupazione - 1-15/16-31 Febbraio-Marzo-Aprile 2012 - Anno XLVI - NN....

Date post: 01-Nov-2014
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Non c’è crescita senza occupazione - L’uscita dalla recessione - I tartassati - L’antipolitica di Monti - Storie di dimissioni dal mondo – Siria - La dissoluzione dei risparmi - C’era una volta la riforma del lavoro... - L’euro comprime la ricchezza degli italiani - Prova di maturità dell’UE a 25 con il fiscal compact - Democrazia e sistema internazionale - Responsabilità dei giudici - Roero, tracce di nobiltà - Quando il cibo è fashion
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— Fondato da Turchi — COPIA OMAGGIO Abb. sostenitore da 1000 - Abb. annuale 500 - Abb. semestrale 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy Per la vostra pubblicità telefonate allo 800.574.727 www.lapiazzaditalia.it Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-31 Febbraio-Marzo-Aprile 2012 - Anno XLVI - NN. 127/128-129/130-131/132 0,25 (Quindicinale) Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti a cura di Franz Turchi D elle teorie sull’uscita dalla re- cessione ne ho sentite tante e molte meritevoli di considera- zione; espongo una tesi che do- vrebbe essere supportata dai go- verni, anche se può sembrare forse rivoluzionaria. Credo, infatti, che si uscirà dalla crisi mondiale se: 1) La Cina che quest’anno sta per la prima volta perdendo punti percentuali di PIL (o meglio non cresce più dai 10 punti del PIL an- nuali a 4 punti del PIL annuali, dal 2007 ad oggi) dovrà aprirsi a un modello USA in termini nanzia- ri, bancari, assicurativi, ammini- strativi e industriali, per far ripren- dere la crescita che in questi anni ha avuto. 2) L’Europa invece dovrà a mio avviso non adottare una politica uguale per tutti, ma un model- lo essibile a seconda degli stati che sono in crisi (in parte lo sta già facendo); rispettando consue- tudini, storia e religioni, diver- se per singolo stato e singola re- gione nello stato. Solo in questo caso, come fece il piano Marshall, sostenendo le economie ma non imponendo politiche economi- che standard per tutti, si riuscirà ad intervenire efcacemente in un mix di politica scale e mone- taria (vedi la BCE con le relative iniezioni di liquidità) e quindi nel giro di una cura triennale, uscire dalla crisi; fondamentalmente ta- gliando debito pubblico e distri- buendo risorse nel privato e nei bilanci delle famiglie. 3) Per quello che riguarda gli USA dovranno avere il vero e proprio miracolo economico con la nuova amministrazione; infatti, a mio avviso dovranno cambiare modello o meglio ac- cettare almeno in parte quello Europeo. Mi spiego meglio, dare più soldi nel sociale, togliere il debito pubblico (soprattutto nel- la difesa), e investire sul privato e nelle infrastrutture come nell’in- dustria. Soprattutto con la quota delle risorse che potrebbe esse- re spostata dalla difesa al setto- re privato. Infatti, al contempo di dovrà adottare non più una po- litica unilaterale ma multilaterale a livello internazionale (ristrut- turando o rifondando l’ONU), come già è stato fatto in passa- to, si potranno liberare risorse enormi per far ripartire quell’in- dustria americana che oggi inve- ce sta sparendo. Cosa voglio dire con questi temi nei tre contenuti? Solo che biso- gna tornare all’origine delle eco- nomie tradizionali (chiaramente con le evoluzioni sia del merca- to che tecnologiche) che queste economie avevano sia per l’Eu- ropa, che per l’Asia come per gli USA. Penso che tutto quanto creerà scontento e stupore, ma penso che alla ne sarà la cura (doloro- sa) ma vincente. L’uscita dalla recessione È vero che la speranza è l’ul- tima a morire ma quando si vuole gettare fumo sulle co- scienze degli aspiranti lavora- tori italiani un minimo di rea- lismo e di dignità istituzionale dovrebbe venire in soccorso alla speranza stessa anche per evitare di alimentarla inutil- mente ed insensatamente. Questa potrebbe essere la sin- tesi spietata e cinica insita nella sostanza e nello spirito della ri- forma Fornero. Va detto innanzitutto che con- tinuare a sperare in una ripre- sa dell’economia nazionale in situazioni di elevata disoccu- pazione e precarizzazione non è più possibile. L’intervento strutturale che avrebbe, inve- ce, fornito questa possibilità e questa speranza sarebbe dovu- ta provenire dalla riforma del mercato del lavoro adottata dal Governo Monti, ma anche sta- volta è stata sprecata l’occasio- ne. Ciò che non fa ben sperare è appunto la crescita impetuo- sa del tasso di disoccupazione, che negli ultimi anni hai visto polverizzare sul mercato qua- si un milione di posti di lavo- ro con una crescita media del Pil dello 0,5%. Questa crescita, appunto, del prodotto inter- no lordo è la più precisa rispo- sta che poteva dare l’economia alle problematiche struttura- li del mondo del lavoro e so- prattutto alla sua incapacità di assorbire forza lavoro. A fron- te di una tasso di disoccupazio- ne crescente, infatti, l’econo- mia non può che decrescere, e mediamente si aggirerà intor- no allo zero che in termini re- ali signica stagnazione ed ini- zio di recessione. Quella recessione in cui ci tro- viamo esattamente oggi, e que- sto è il percorso che la nostra economica purtroppo ha segui- to negli ultimi 15 anni. Il proble- ma oltre ad essere strutturale è anche temporale, in quanto 15 anni di crescita prossima allo zero, le cui uttuazioni sono state più negative che positi- ve, come si fa a sperare nel bre- ve periodo in una ripresa eco- nomica? Quando si rimette in moto un’economia dopo 15 anni di stagnazione/recessione? E quando può riportare un’eco- nomia che ogni giorno registra livelli record di debito pubblico, elevati tassi di mortalità delle piccole e medie imprese, ridu- zioni considerevoli di risparmi e un enorme disagio familiare? La natura strutturale delle riforme non può prescindere da questa contestualizzazione e non può arenarsi nella disputa del dibat- tito politico-istituzionale e delle parti sociali. Si deve intervenire cercando di sistemare il disagio suindicato, migliorando le con- dizioni economico-sociali delle famiglie, cercando di agevola- re il credito al consumo, dando respiro alle piccole e medie im- prese in termini di scalità. L’esempio più importate come il buon padre di famiglia deve comunque arrivare dalle istitu- zioni, ma l’ultimo scandalo - nanziario che ha colpito la fa- migli Bossi intacca ancor di più l’immagine dei partiti e delle istituzioni. Un Paese che anco- ra non è in grado di eliminare il nanziamento pubblico ai par- titi, di ridurre i vitalizi, di elimi- nare i senatori a vita, di rende- re la giustizia più equa basata sul principio delle certezza del- la pena, di eliminare i privile- gi dei parlamentari si sotto for- ma retributiva che diplomatica, non può considerarsi un Paese moderno, all’avanguardia della giustizia sociale e civile. In Ita- lia persiste il solito problema di controllare i controllori, nché questo meccanismo di vigilan- za non riuscirà a garantire cor- rettezza e trasparenza in tutti i rapporti, dalle più alte cari- che dello Stato no alle ultime, l’input istituzionale impronta- to sul buon esempio non potrà mai essere lanciato. Ovviamente, ciò non giusti- ca il malcostume imperante in Italia, secondo il quale il com- portamento di alcuni individui sarebbe giusticato proprio dall’assenza del buon esempio proveniente dall’alto, e quin- di, se i politici si comportano in un certo modo gurati se io non posso fare anche peg- gio. Le regole del buon costu- me debbono imperare sempre nelle coscienze degli individui per garantire il rispetto di una convivenza civile e sociale. Il nostro Paese, dunque, o me- glio le nostre istituzioni e i no- stri parlamentari negli ultimi anni oltre al segnale di un ti- mida eventuale politica volta al riequilibrio dei conti pubblici, non ha saputo stimolare la cre- scita in alcun modo. Ma è mai possibile che nessuno degli ac- cademici del Governo Monti si renda conto come la disoc- cupazione in generale ma so- prattutto quella giovanile stia lievitando a dismisura, si vuo- le cioè sfuggire da ogni forma di controllo come è accaduto per il debito pubblico? Se ciò si vericasse, ci sarebbe una sot- tile ma devastante differenza, che l’economia collasserebbe, in quando raggiungendo una posizione di squilibrio totale nel mercato del lavoro le fami- glie con i loro risparmi crolle- rebbero facendo cadere ogni singolo pezzo dei principi del- la carta costituzionale e smon- tando una coscienza collettiva che no ad ora sta ancora so- stenendo il Paese. Accanto alla debacle economica e nanzia- ria l’Italia si potrebbe trovare in una situazione sociale e civi- le peggio di quella greca. Senza alcun ideologismo stori- co, ma con un forte spirito na- zionalista, è inutile ancora cre- dere nella partitocrazia delle chiacchiere, e quindi, non c’è alcuna ragionevole teoria eco- nomica che possa sostenere e giusticare scienticamen- te una crescita del PIL in pre- senza di una crescita disoccu- pazionale. Si fa fatica a credere che un tecnico come il Profes- sor Mario Monti possa non ave- re questa consapevolezza, ma si fa ancor più fatica a credere come se questa l’avesse secon- do quali principi e criteri pos- sa supportare la riforma del Mi- nistro del Welfare Fornero che non spende una parola ed una misura per i disoccupati e per creare le condizioni di nuove opportunità di lavoro. È inu- tile anche seguire il dibattito politico-parlamentare perché questa riforma del mercato del lavoro manca di sostanza e di obiettivi coerenti con le vere problematiche del mondo del lavoro. La riforma del mercato del lavoro non spende un intervento per abbattere le barriere in entrata e quindi il tasso di disoccupazione Non c’è crescita senza occupazione ESTERI Storie di dimissioni dal mondo — a pagina 3 ECONOMIA C’era una volta la riforma del lavoro — a pagina 4
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Page 1: Non c'è crescita senza occupazione - 1-15/16-31 Febbraio-Marzo-Aprile 2012 - Anno XLVI - NN. 127/128-129/130-131/132

— Fondato da Turchi —

COPIA OMAGGIOAbb. sostenitore da € 1000 - Abb. annuale € 500 - Abb. semestrale € 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

Per la vostra pubblicitàtelefonate allo 800.574.727

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Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - dcb-Roma 1-15/16-31 Febbraio-Marzo-Aprile 2012 - Anno XLVI - NN. 127/128-129/130-131/132 € 0,25 (Quindicinale)

E E E

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per unnuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta aldibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuoveidee e nuovi contenuti

a cura di Franz Turchi

Delle teorie sull’uscita dalla re-cessione ne ho sentite tante

e molte meritevoli di considera-zione; espongo una tesi che do-vrebbe essere supportata dai go-verni, anche se può sembrare forse rivoluzionaria.Credo, infatti, che si uscirà dalla crisi mondiale se:1) La Cina che quest’anno sta per la prima volta perdendo punti percentuali di PIL (o meglio non cresce più dai 10 punti del PIL an-nuali a 4 punti del PIL annuali, dal 2007 ad oggi) dovrà aprirsi a un modello USA in termini fi nanzia-ri, bancari, assicurativi, ammini-strativi e industriali, per far ripren-dere la crescita che in questi anni ha avuto.2) L’Europa invece dovrà a mio avviso non adottare una politica uguale per tutti, ma un model-lo fl essibile a seconda degli stati che sono in crisi (in parte lo sta già facendo); rispettando consue-tudini, storia e religioni, diver-se per singolo stato e singola re-gione nello stato. Solo in questo caso, come fece il piano Marshall, sostenendo le economie ma non imponendo politiche economi-che standard per tutti, si riuscirà ad intervenire effi cacemente in un mix di politica fi scale e mone-taria (vedi la BCE con le relative iniezioni di liquidità) e quindi nel giro di una cura triennale, uscire dalla crisi; fondamentalmente ta-gliando debito pubblico e distri-buendo risorse nel privato e nei bilanci delle famiglie.3) Per quello che riguarda gli USA dovranno avere il vero e proprio miracolo economico con la nuova amministrazione; infatti, a mio avviso dovranno cambiare modello o meglio ac-cettare almeno in parte quello Europeo. Mi spiego meglio, dare più soldi nel sociale, togliere il debito pubblico (soprattutto nel-la difesa), e investire sul privato e nelle infrastrutture come nell’in-dustria. Soprattutto con la quota delle risorse che potrebbe esse-re spostata dalla difesa al setto-re privato. Infatti, al contempo di dovrà adottare non più una po-litica unilaterale ma multilaterale a livello internazionale (ristrut-turando o rifondando l’ONU), come già è stato fatto in passa-to, si potranno liberare risorse enormi per far ripartire quell’in-dustria americana che oggi inve-ce sta sparendo.Cosa voglio dire con questi temi nei tre contenuti? Solo che biso-gna tornare all’origine delle eco-nomie tradizionali (chiaramente con le evoluzioni sia del merca-to che tecnologiche) che queste economie avevano sia per l’Eu-ropa, che per l’Asia come per gli USA.Penso che tutto quanto creerà scontento e stupore, ma penso che alla fi ne sarà la cura (doloro-sa) ma vincente.

L’uscitadalla

recessione

È vero che la speranza è l’ul-tima a morire ma quando

si vuole gettare fumo sulle co-scienze degli aspiranti lavora-tori italiani un minimo di rea-lismo e di dignità istituzionale dovrebbe venire in soccorso alla speranza stessa anche per evitare di alimentarla inutil-mente ed insensatamente. Questa potrebbe essere la sin-tesi spietata e cinica insita nella sostanza e nello spirito della ri-forma Fornero.Va detto innanzitutto che con-tinuare a sperare in una ripre-sa dell’economia nazionale in situazioni di elevata disoccu-pazione e precarizzazione non è più possibile. L’intervento strutturale che avrebbe, inve-ce, fornito questa possibilità e questa speranza sarebbe dovu-ta provenire dalla riforma del mercato del lavoro adottata dal Governo Monti, ma anche sta-volta è stata sprecata l’occasio-ne. Ciò che non fa ben sperare è appunto la crescita impetuo-sa del tasso di disoccupazione, che negli ultimi anni hai visto polverizzare sul mercato qua-si un milione di posti di lavo-ro con una crescita media del Pil dello 0,5%. Questa crescita, appunto, del prodotto inter-no lordo è la più precisa rispo-sta che poteva dare l’economia alle problematiche struttura-li del mondo del lavoro e so-prattutto alla sua incapacità di assorbire forza lavoro. A fron-te di una tasso di disoccupazio-ne crescente, infatti, l’econo-mia non può che decrescere, e mediamente si aggirerà intor-no allo zero che in termini re-ali signifi ca stagnazione ed ini-zio di recessione.Quella recessione in cui ci tro-viamo esattamente oggi, e que-

sto è il percorso che la nostra economica purtroppo ha segui-to negli ultimi 15 anni. Il proble-ma oltre ad essere strutturale è anche temporale, in quanto 15 anni di crescita prossima allo zero, le cui fl uttuazioni sono state più negative che positi-ve, come si fa a sperare nel bre-ve periodo in una ripresa eco-nomica? Quando si rimette in moto un’economia dopo 15 anni di stagnazione/recessione? E quando può riportare un’eco-nomia che ogni giorno registra livelli record di debito pubblico, elevati tassi di mortalità delle piccole e medie imprese, ridu-zioni considerevoli di risparmi e un enorme disagio familiare? La natura strutturale delle riforme non può prescindere da questa contestualizzazione e non può arenarsi nella disputa del dibat-tito politico-istituzionale e delle parti sociali. Si deve intervenire cercando di sistemare il disagio suindicato, migliorando le con-dizioni economico-sociali delle famiglie, cercando di agevola-re il credito al consumo, dando respiro alle piccole e medie im-prese in termini di fi scalità.L’esempio più importate come il buon padre di famiglia deve comunque arrivare dalle istitu-zioni, ma l’ultimo scandalo fi -nanziario che ha colpito la fa-migli Bossi intacca ancor di più l’immagine dei partiti e delle istituzioni. Un Paese che anco-ra non è in grado di eliminare il fi nanziamento pubblico ai par-titi, di ridurre i vitalizi, di elimi-nare i senatori a vita, di rende-re la giustizia più equa basata sul principio delle certezza del-la pena, di eliminare i privile-gi dei parlamentari si sotto for-ma retributiva che diplomatica, non può considerarsi un Paese

moderno, all’avanguardia della giustizia sociale e civile. In Ita-lia persiste il solito problema di controllare i controllori, fi nché questo meccanismo di vigilan-za non riuscirà a garantire cor-rettezza e trasparenza in tutti i rapporti, dalle più alte cari-che dello Stato fi no alle ultime, l’input istituzionale impronta-to sul buon esempio non potrà mai essere lanciato.Ovviamente, ciò non giustifi -ca il malcostume imperante in Italia, secondo il quale il com-portamento di alcuni individui sarebbe giustifi cato proprio dall’assenza del buon esempio proveniente dall’alto, e quin-di, se i politici si comportano in un certo modo fi gurati se io non posso fare anche peg-gio. Le regole del buon costu-me debbono imperare sempre nelle coscienze degli individui per garantire il rispetto di una convivenza civile e sociale.Il nostro Paese, dunque, o me-glio le nostre istituzioni e i no-stri parlamentari negli ultimi anni oltre al segnale di un ti-mida eventuale politica volta al riequilibrio dei conti pubblici, non ha saputo stimolare la cre-scita in alcun modo. Ma è mai possibile che nessuno degli ac-cademici del Governo Monti si renda conto come la disoc-cupazione in generale ma so-prattutto quella giovanile stia lievitando a dismisura, si vuo-le cioè sfuggire da ogni forma di controllo come è accaduto per il debito pubblico? Se ciò si verifi casse, ci sarebbe una sot-tile ma devastante differenza, che l’economia collasserebbe, in quando raggiungendo una posizione di squilibrio totale nel mercato del lavoro le fami-glie con i loro risparmi crolle-

rebbero facendo cadere ogni singolo pezzo dei principi del-la carta costituzionale e smon-tando una coscienza collettiva che fi no ad ora sta ancora so-stenendo il Paese. Accanto alla debacle economica e fi nanzia-ria l’Italia si potrebbe trovare in una situazione sociale e civi-le peggio di quella greca.Senza alcun ideologismo stori-co, ma con un forte spirito na-zionalista, è inutile ancora cre-dere nella partitocrazia delle chiacchiere, e quindi, non c’è alcuna ragionevole teoria eco-nomica che possa sostenere e giustifi care scientifi camen-te una crescita del PIL in pre-senza di una crescita disoccu-

pazionale. Si fa fatica a credere che un tecnico come il Profes-sor Mario Monti possa non ave-re questa consapevolezza, ma si fa ancor più fatica a credere come se questa l’avesse secon-do quali principi e criteri pos-sa supportare la riforma del Mi-nistro del Welfare Fornero che non spende una parola ed una misura per i disoccupati e per creare le condizioni di nuove opportunità di lavoro. È inu-tile anche seguire il dibattito politico-parlamentare perché questa riforma del mercato del lavoro manca di sostanza e di obiettivi coerenti con le vere problematiche del mondo del lavoro.

La riforma del mercato del lavoro non spende un intervento per abbattere le barriere in entrata e quindi il tasso di disoccupazione

Non c’è crescita senza occupazione

ESTERI

Storie di dimissionidal mondo

— a pagina 3 —

ECONOMIA

C’era una volta la riformadel lavoro

— a pagina 4 —

Page 2: Non c'è crescita senza occupazione - 1-15/16-31 Febbraio-Marzo-Aprile 2012 - Anno XLVI - NN. 127/128-129/130-131/132

1-15/16-31 Febbraio-Marzo-Aprile 2012Pag. 2

LA PIAZZA D’ITALIAfondato da TURCHI

Via E. Q. Visconti, 2000193 - Roma

Luigi TurchiDirettore

Franz TurchiCo-Direttore

Lucio VetrellaDirettore Responsabile

Proprietaria:Società Cooperativa Editrice Europea Srl

Registrato al Tribunale di Roman. 9111 - 12 marzo 1963

Concessionaria esclusiva per la vendita: S.E.E. s.r.l.Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma

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Manoscritti e foto anche non pubblicati, e libri anchenon recensiti, non si restituiscono. Cod. ISSN 1722-120X

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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2011

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LA PIAZZA D’ITALIA - POLITICA

Vista l’ancor grave situazio-ne economico-fi nanziaria

del nostro Paese: differenziale tra titoli di Stato italiani e quel-li tedeschi solidamente al di sopra dei 350 punti, disoccu-pazione in aumento, tasse al-le stelle, stretta pensionistica e PIL in picchiata, ci saremmo aspettatati, anzi augurati, che la politica italiana ponesse in essere tutte quelle azioni ne-cessarie a superare di slancio lo stato di crisi.Ma al tirar delle somme al-meno fi no ad oggi - speriamo sinceramente che in un futu-ro prossimo tali nostre affer-mazioni possano essere scon-fessate dai fatti - a parte i voti parlamentari inerenti l’appro-vazione dell’ultima manovra fi -nanziaria di aggiustamento dei conti o qualche altro decreto legge urgente poco ha fatto la classe dirigente di tutti i parti-ti italiani, tecnici compresi, per dimostrare ai cittadini di meri-tare il posto di spicco che at-tualmente tutti essi - a livello internazionale,nazionale o lo-cale- occupano.Il Governo tecnico sembra na-vigare a vista e dai risultati fi n qui ottenuti a livello economi-co e politico possiamo tranquil-lamente affermare che poteva-mo pure tenerci un esecutivo eletto democraticamente dagli Italiani. Mentre Tremonti cerca-va inutilmente di risanare l’eco-nomia italiana attraverso conti-nui e deleteri condoni tombali, Monti, forte solo dell’aritmeti-ca e della debolezza dei parti-

ti che impauriti lo sostengono, sta mettendo defi nitivamente una pietra- questa si veramen-te tombale - sullo sviluppo del Paese attraverso l’ulteriore tas-sazione dei cittadini stremati da gabelle e tributi.A chi e a che cosa serve dis-sanguare gli italiani per salvare questa Unione Economica Eu-ropea, sbagliata non in quanto tale ma per la direzione che gli euro burocrati di ogni stato e l’insipienza di gran parte del-la classe politica continentale hanno voluto dare ad essa al momento della suo sviluppo?Ad oggi tali sacrifi ci, che qua-si tutti stiamo indistintamente sostenendo, sembrano solo in piccola parte essere utili alla te-nuta dei nostri conti e della no-stra economia, visto oltretutto che i crolli verticali della Bor-sa milanese non si sono affat-to arrestati e che il disastroso stato degli indici macroecono-mici del Paese continua ad ag-gravarsi ulteriormente: ai più pare che essi siano vantaggiosi solo al mantenimento del pre-dominio economico tedesco sul continente al fi ne di evita-re gravi crisi come quella greca che potrebbero essere delete-rie per l’intero assetto fi nanzia-rio europeo.

Ma al netto delle dinamiche fi -nanziarie ed economiche che investono l’area euro una sola osservazione di carattere poli-tico-scaramantico, ci si faccia passare il brutto neologismo, ci sentiamo di poter fare.Tutti i nostri pseudo-tecnici che si sono succeduti al timo-ne del Paese negli ultimi 20 an-ni - da Amato e Prodi passan-do per Ciampi - con la scusa di tirarci fuori dalle secche fi -nanziarie a causa dell’incapaci-tà della classe politica a trova-re soluzioni o dell’ inidoneità a resistere ai diktat di governi ed economie estere più solide, sono stati solo dei notai, dei sacerdoti seguaci dell’attua-le fallimentare assetto econo-mico e politico del continen-te. Monti non fa eccezione ai suoi illustri(Sic!) predecesso-ri essendo Lui stesso cresciu-to professionalmente ed acca-demicamente tra quel ristretto ambito di euro burocrati ed al-ta fi nanza internazionale che in grossa parte è causa della piega negativa che sta assumendo la situazione.Se anche il presidente Napo-litano si prende la briga di bacchettare l’esecutivo per l’eccessivo aumento della tas-sazione sui cittadini e per le

inesistenti azioni di crescita dell’economia reale evidente-mente c’è poco da stare allegri per il futuro.A rendere ancora di più criti-ca la congiuntura italiana, ed è questo che dispera ancora di più i cittadini, c’è il fatto che quasi tutta la classe politica no-strana pare abbia abdicato al proprio compito di guidare e gestire le fasi calde della storia della Nazione.A destra come a sinistra la si-tuazione è drammatica anche perché da mesi ormai gli scan-dali si rincorrono dall’una e dall’altra parte senza soluzione di discontinuità lasciando basi-ti spettatori gli italiani alle pre-se da soli con la crisi e le tasse.Popolo delle Libertà incapa-ce di crescere ed uscire dal proprio bozzolo larvale in cui da troppo tempo è rinchiuso sembra non trovare la “retta via” senza le felici illuminazio-ni del suo creatore ed ideatore Berlusconi. I pochi che nel PdL potevano distinguersi per ca-pacità e proposte politiche- Al-fano, Frattini, Alemanno ecc. - sono stati oscurati-almeno per il momento- dalle tattiche dila-torie dei signori delle tessere o dall’ostracismo di cacicchi lo-cali oppure dagli scandali del-

le case di Scajola, della Sanità lombarda, dagli infi niti proces-si farsa al Cavaliere, dalle collu-sioni di Cosentino e dalla “cat-tiva stampa” goduta in questi anni per essere stati all’ombra di Berlusconi.La Lega ex partito di Governo e di lotta è alle prese con un ter-remoto interno che ne incrine-rà per sempre la credibilità se non dell’intero movimento al-meno di tutta la propria classe dirigente: adesso è facile per i Maroni di turno affi bbiare ai nemici interni la responsabilità di tutte le malefatte che magi-strati ed inquirenti imputano a Bossi e al “cerchio magico”. Il “Senatur” doveva sapere men-tre l’ex Ministro degli Interni poteva non sapere: una formu-la spesso usata durante tan-gentopoli per fare fuori politi-camente avversari interni o di opposti schieramenti.Stessa atmosfera che del re-sto si respira nel centro sinistra con gli ex Margherita travol-ti dallo scandalo Lusi - anche qui, qualcuno poteva sapere e a qualcun altro era permesso di fare il pesce in barile - e con i Democratici alle prese con le indagini giudiziarie inerenti i fondi regionali incassati dal-la cooperativa del fratello del

presidente della Regione Emi-lia e con le mazzette ricevu-te a quanto pare dall’ex asses-sore regionale alla sanità della Puglia nonché senatore del PD Tedesco, caso che si è allargato inaspettatamente pure al Go-vernatore Vendola accusato a vario titolo di assunzioni facili in un ospedale e di illecito fa-voritismo per la costruzione di un ospedale di proprietà della Curia pugliese.Ed in tutto questo trambusto nessuno all’interno del sistema dei partiti politici o delle isti-tuzioni - escluso il Presidente Napolitano per quel che gli è possibile fare e dire - è stato ca-pace al momento di dare una svolta netta seppur di facciata.Riforma del lavoro e del siste-ma fi scale al palo per i soli ve-ti incrociati di parti sociali ed imprenditori, le seppur micro-scopiche liberalizzazioni fer-mate dai piccoli interessi di bottega, poteri forti intoccabi-li, commissioni tecniche - an-cora loro - incapaci di stabilire una seppur minima diminuzio-ne degli stipendi dei parlamen-tari e delle spese generali della politica nazionale e locale, par-titi rapaci e dirigenti voraci che sembrano pensare solo ad ar-raffare tutto il possibile fi nché si è ancora in tempo prima del crollo fi nale.Bisogna fare in fretta poiché globalizzazione e crisi econo-mica non aspettano coloro che sono incapaci a prendere le decisioni giuste al momen-to giusto.

La politica italiana alle prese con i soliti vizi e le sue poche virtù

I tartassati

nieri sembrano accogliere sin dal primo momento al suono di fanfare e con squilli di trom-ba, a ben vedere probabilmen-te non porteranno ai cambia-menti positivi tanto auspicati.Intendiamoci non che noi ci si debba per forza comporta-re come dei “bastian contrari” o che saremmo stati contenti della perenne atmosfera confl it-tuale insita nel dialogo politico italiano oppure dell’eventuale caduta dell’economia italiana a causa del fallimento del gover-no Monti, ma per forza di cose si devono evidenziare tutti que-gli aspetti dell’attuale situazione che appaiono deleteri.Punto primo. Il tanto sbandiera-to risanamento economico dei conti pubblici è solo di carattere emergenziale e meramente arit-metico. La diminuzione del de-bito italiano ha il solo merito - importantissimo per carità - di aver evitato momentaneamen-te che l’Euro fosse investito da una tempesta speculativa di più ampie proporzioni rispetto a quella scaturita dalla crisi eco-nomica irlandese prima, greca poi. In effetti l’economia italia-na resta sempre nell’occhio del ciclone e le decisioni prese ne-gli ultimi mesi sembrano so-stanzialmente soltanto dei pal-liativi non assolutamente in grado di innescare il circolo vir-tuoso della crescita dei consumi e della produttività nel nostro Paese. L’esempio più lampante è il permanere costante dello spread tra i Bund tedeschi e i ti-toli di Stato italiani ad un livello costantemente superiore ai 300 punti, cosa questa che avveniva anche quando Berlusconi era ancora al Governo a dimostra-zione che la sfi ducia dei merca-ti era nei confronti soprattutto del sistema Italia - economico, politico, e sociale- non “ad per-sonam” verso il Cavaliere, con-vinzione che per lunghi mesi quasi tutti i mass media italiani e parecchi di quelli occidentali-

non certamente disinteressata-mente- hanno colpevolmente e scientemente fatto passare nel-la pubblica opinione italiana.I sacrifi ci a cui saremo sottopo-sti in termini di aumento del-la stretta fi scale oberante sul risparmio degli italiani, o nel ri-dimensionamento di tutto il si-stema pensionistico ed assisten-ziale in effetti vanno incontro solamente al bisogno dei nostri partners europei di evitare le già citate e temibilissime tempeste monetarie. Sacrifi ci che, pur vo-lendo dare torto ai toni da guer-ra civile usati dai legisti e da Di Pietro, vanno nell’unica direzio-ne di impoverire il ceto medio attaccando soprattutto il bene rifugio per antonomasia la pro-prietà abitativa. La contempora-nea stretta pensionistica ha poi ulteriormente aggravato il qua-dro micro economico che di per sé era già da anni non propria-mente esaltante.Occupazione giovanile in calo di oltre un milione di unità ne-gli ultimi tre anni, mercato del lavoro asfi ttico, aumento a mar-zo dell’utilizzo della cassa inte-grazione di oltre il 21%, con-sumi in calo dell’1% nei primi mesi del 2012 rispetto all’inizio dello scorso anno, potere di ac-quisto delle famiglie diminui-to nel 2011 dello 0,5% rispetto all’anno precedente, propen-sione al risparmio attestatosi al 12% il più basso dal ‘95 ad oggi, il tutto in attesa che il caro car-buranti fi nalmente cessi e del-la stangata estiva dovuta all’en-

Diciamolo pure, nessuno avrebbe mai scommes-

so un euro sulla la capacità dell’ineffabile professor Mon-ti di riuscire nel triplice risulta-to, all’indomani dell’incarico di guidare il Paese ricevuto dalle mani di Napolitano, di far qua-drare i conti dello Stato, di ras-serenare gli animi dell’agone politico e contemporaneamen-te distruggere giorno dopo giorno la credibilità del siste-ma politico italiano destrut-turandolo senza che i partiti abbozzassero alcuna contro-mossa. Ad essere sinceri tut-ti e tre i risultati di cui sopra, che la stragrande maggioranza dei mass-media italiani e stra-

trata in vigore della famigerata IMU che colpirà come già det-to la casa attraverso un aumen-to degli estimi catastali anche del 60% rispetto ai valori attua-li e della preannunciata crescita dal 21% al 23% dell’IVA. Infi ne da rilevare che le tanto attese riforme del mondo del lavoro sembrano anche esse di faccia-ta dal momento che si è prefe-rito fare della presunta riforma all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori la panacea - presunta anche essa - di tutti i problemi del sistema. Essa però oltre che a una mera azione di marketing politico tesa ad evidenziare da un lato l’ennesima necessaria azione del Governo Monti nei riguardi di un annoso problema assurto nell’immaginario collet-tivo alla funzione di un totem intoccabile ma che in termini numerici ha sempre interessa-to un’infi ma quantità di lavora-tori ed imprese ha costituito di fatto solo l’ennesima beatifi ca-zione della provvidenziale ope-ra pacifi catrice di Monti tra i ris-sosi partiti e parti sociali.Qui arriviamo al punto secon-do che è strettamente legato al terzo problema: il preteso ri-stabilimento di un atmosfera dialogante e meno belligeran-te tra i partiti e la distruzione “programmatica” degli stessi.La verità che sempre più va ad appalesarsi è che attualmente tutti i partiti sono nella loro fase di debolezza più acuta dall’epoca di tangentopoli per questo appa-iono tra di loro meno agguerriti.

Il Popolo delle Libertà è alle pre-se con una devastante forma di amnesia collettiva dei suoi prin-cipali esponenti i quali orfani per il momento del parafulmi-ne Silvio Berlusconi non sem-brano avere le capacità né di produrre proposte risolutive al Governo né tantomeno di farle approvare e digerire a Monti. A questo punto solo l’eventuale e sempre più probabile sconfi tta alle prossime elezioni ammini-strative di maggio in numerosi comuni italiani - sempre se non intervengano al momento im-ponderabili nuovi fattori - potrà costituire una scossa defi niti-va ad un partito tenuto insieme solo dal “collante Cavaliere”e mai del tutto decollato al centro e soprattutto in periferia. A que-sto punto Berlusconi è l’unico che nel centrodestra ha la capa-cità e ancora la forza per cerca-re di ricucire vecchie alleanze - con la Lega e soprattutto l’UDC - da troppo tempo strappate per colpa di interessi particola-ri o localistici non troppo atten-ti al quadro politico generale.Casini sembra avere fi ato cor-to in quanto si sta accorgendo che i transfughi fi niani di Futu-ro e Libertà in termini numeri-ci di voti poco gli porteranno in dote e che un eventuale ri-compattamento delle sinistre estreme con il Partito Demo-cratico dovuto alla forza co-strittiva della Cgil lo costringe-rebbe ad un angolo in quanto la costituzione di un cartello elettorale dei centristi con PD e la sinistra radicale non è ben visto dagli elettori di Pierfer-dinando per questo Egli spe-ra che nel 2013 anche grazie al cambiamento della legge elet-torale si sia costretti per con-giunture politiche ed econo-miche ad una riedizione della triplice - spuria - alleanza PdL-UdC-Partito Democratico che sostiene attualmente Monti.Il centro sinistra è quello che appare in una posizione miglio-

re in quanto tutti i sondaggi de-moscopici di questi mesi dan-no una potenziale alleanza con Di Pietro e la sinistra estrema - sponsorizzata questa soprattut-to dalla CGIL - vincente alle ele-zioni politiche del 2013. Ciò che appare certo è che tale ammuc-chiata sarebbe solo numerica-mente preponderante poiché in termini di proposta politica la leggerezza del PD subalterno ai suoi eventuali alleati è palese soprattutto per la debolezza in-terna dei Democratici alle pre-se con le eterne lotte tra bande.Detto che pure la Lega è mal-messa a causa dei guai giudizia-ri di Bossi e di parte della clas-se dirigente del partito padano, si capisce come Monti abbia vita facile nel costringere i sog-getti politici che “obtorto col-lo” sostengono il suo Governo ad allinearsi alle proprie diret-tive anche alzando la voce nei loro confronti e bacchettando-li come scolaretti ai primi giorni di scuola come è accaduto du-rante il recente viaggio in estre-mo oriente allorquando le risse politiche inerenti le modifi che all’articolo 18 sembravano vo-ler riattizzare il fuoco sopito tra i parlamentari italiani.Se la balsamica atmosfera elet-torale - amministrative loca-li a maggio, politiche nella tarda primavera del 2013 - riu-scirà a scuotere i partiti italia-ni dall’inedia e dalla paura in cui sono piombati allo scopo di riformulare alleanze e pro-grammi politici forse potremo evitare la riedizione del con-sociativismo a cui stiamo assi-stendo in questi mesi e si po-trebbe avere la speranza di portare in discussione e a com-pimento le vere riforme che urgono al paese quello dello Statuto dei lavoratori, del siste-ma Giudiziario e di quello fi -scale oltre che della struttura istituzionale del Paese magari passando per una nuova costi-tuente ed il presidenzialismo.

Dall’estremo oriente continua l’incessante opera di martellamento e distruzione dei partiti politici italiani

L’antipolitica di Monti

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LA PIAZZA D’ITALIA - ESTERI

Anzi, il disimpegno è consi-derato la via maestra per ri-

farsi una verginità, difendendo il proprio nome e l’onore delle istituzioni a seconda della cari-ca ricoperta.Il range dei comportamenti sconvenienti che conducono alle dimissioni (più o meno vo-lontarie) dei personaggi pub-blici è piuttosto vasto, rispetto ai nostri standard.I media nei mesi scorsi ne han-no riportati parecchi, suscitan-do più o meno scalpore e diver-timento tra la gente comune.Sta di fatto che lo scalpore di-vertito con la quale siamo so-liti commentare tali notizie non proviene certo dalla no-stra superiorità, bensì dalle no-stre ormai ataviche e cristalliz-zate cattive abitudini. Abitudini talmente radicate che persino l’opinione pubblica vi si mo-stra assuefatta e rassegnata. Altrove, invece la spinta ver-so il disimpegno per chi sba-glia proviene proprio dall’opi-nione pubblica che in caso di comportamenti sconvenienti – determinati dal senso comu-ne e dal buon gusto – preten-de l’uscita di scena con tanto di scuse, innescando in tal modo un circolo virtuoso, che culmi-na nella morale pubblica.Ripercorriamo insieme qual-che caso.Circa un anno fa, il ministro della Difesa tedesco, Karl-The-odore zu Guttenberg, si dimi-se per l’accusa - notare l’accusa non la condanna - di aver co-piato la tesi per il dottorato.Dichiarazioni, quelle di Gut-tenberg assai contrite:“È il passo più doloroso della mia vita”, affermò il 39enne ex astro nascente della Csu pub-blicamente.E ancora: “Non ce la faccio più, ho raggiunto i limiti della sop-portazione”, si sfogò il baro-ne Guttenberg asottolineare la campagna che ne chiedeva in-cessantemente le dimissioni.Circa un anno dopo - sempre in Germania - è stata la volta del presidente della Repubbli-ca Wulff, che si è si è dimesso per un’accusa di interesse pri-vato in uffi cio. Un fi nanziamen-to a tasso agevolato da un im-prenditore amico e qualche notte di vacanza pagata da al-tri gli sono costati la poltrona.A parte le dichiarazioni di fac-ciata legate alla propria ono-rabilità e innocenza che ten-terà di difendere nelle sedi giudiziarie, ecco il capolavoro, la dichiarazione che ogni rap-presentante politico dovrebbe fare e che incarna più che mai il senso dello stato e della re-sponsabilità istituzionale:“Un presidente ha bisogno del-la fi ducia non solamente di una parte, ma di tutti i cittadini. Gli sviluppi delle ultime settimane hanno fatto vedere che la fi du-cia nei miei confronti è grave-mente compromessa, per que-sto ho deciso di dimettermi per risolvere quanto prima la situazione”.Che la forma sia sostanziale in democrazia lo testimonia la so-lerzia con cui si è mobilitata la macchina istituzionale tedesca capitanata da Angela Merkel che per risolvere la grana ha an-nullato la propria visita in Italia.Varchiamo l’Atlantico e trasfe-riamoci negli Usa. Due parole su Chris Lee, poco noto depu-tato repubblicano newyorche-se, cui dedichiamo qualche ri-ga di più se non altro per la peculiarità della sua vicenda. Quarantasei anni, sposato con un fi glio, aveva appena inizia-to il suo secondo mandato al

Congresso americano. Sul sito di gossip Gawker è apparsa la notizia che Lee avrebbe intrat-tenuto una corrispondenza via e-mail con una trentenne in-contrata nel forum “women seeking men” del sito Craigli-st. Dopo una manciata di ore sono arrivate puntuali le di-missioni. Avrebbe perso ogni credibilità se fosse rimasto al proprio posto e minato l’ono-rabilità dei suoi colleghi e del partito. Impossibile per lui fare altrimenti.Tra l’altro il deputato avrebbe usato il suo vero nome, soste-nendo però di essere un lobbi-sta divorziato taroccando an-che l’età.Tratte le dovute conclusioni, Lee, sua sponte, ha dichiarato: “Mi dispiace per il danno che le mie azioni hanno causato al-la mia famiglia, al mio staff e ai miei elettori. Mi scuso profon-damente e sinceramente con tutti loro. Ho fatto gravi erro-ri e prometto di impegnarmi il più possibile per ottenere il lo-

ro perdono”. Ma torniamo nel Vecchio Continente dove co-munque il decoro non manca.

Affair Toblerone.

Le popolazioni scandinave brillano per infl essibilità e ri-gore nei confronti delle pic-cole sbandate dei propri poli-tici. Una delle personalità più colpite è stata la leader dei so-cialdemocratici svedesi, Mo-na Sahlin. Nel 1995 scoppiò il meglio noto come “Toblerone affair”, chiamato così dalla oc-chiuta e implacabile stampa svedese perché due confezio-ni del celebre cioccolato sviz-zero apparivano nella lista di acquisti fatti impropriamente dall’allora vicepremier svedese con la carta di credito riserva-ta alle spese di servizio. Oltre ai dolciumi, la Sahlin aveva com-prato pannolini, sigarette e al-tri prodotti. Il totale delle spe-se irregolari ammontava a più di 50mila corone (circa 6mila euro).

La Sahlin protestò la sua inno-cenza, assicurando che spes-so era stata indotta in errore perché la tessera di servizio e la sua personale erano esteti-camente quasi identiche. Ma quando si seppe che la Sahlin nel 1992 aveva assunto una ta-ta in nero e nel 1993 non ave-va pagato il canone tv, la Sahlin fu costretta a dimettersi sia da vicepremier e che da deputata. Si difese e pur avendo avuto la meglio facendo cadere le im-putazioni su di lei a livello poli-tico non si riprese più.

La reputazione, ormai, se l’era giocata.

Senz’altro più celebre il ca-so della Home secretary (mi-nistro dell’Interno) inglese, la laburista Jaqui Smith, accusa-ta nel 2009 di aver fatto alcu-ne irregolarità. Ma la cosa che più stuzzicò i giornali inglesi e di cui si parlò inisistentemen-te come solo in Inghilterra san-no fare, fu l’acquisto con dena-

ro pubblico di quattro fi lm su un canale pay-per-view, due dei quali porno.Inutile dire che la laburista si sia dimessa e alla tornata elet-torale successiva, ricandidan-dosi non venne rieletta. Nel 2004 il laburista David Blun-kett, che è non vedente dal-la nascita e ha un’effervescen-te vita sentimentale, fatta di amanti e fi gli dalla paterni-tà contesa, dovette dimetter-si da Home secretary davan-ti all’accusa di aver cercato di dare una spintarella alle prati-che del permesso di soggiorno della babysitter fi lippina assun-ta dalla sua ex amante.Ma il nord Europa non ha il mo-nopolio delle dimissioni. Un po’ a sorpresa, in Spagna, all’inizio del 2009, lasciò il suo incarico il ministro della Giustizia, il so-cialista Mariano Fernández Ber-mejo, perseguitato da El Mundo per aver partecipato a una bat-tuta di caccia in compagnia del supergiudice Baltasar Garzón, che proprio in quel periodo sta-

va istruendo un processo per presunti casi di corruzione che coinvolgevano alcuni esponen-ti del Partito popolare, avversa-ri politici di Bermejo. Inoltre, lo stesso cacciava in Andalusia senza licenza. Out.

Chiudiamo con delledimissioni con epilogotragico (la connessione tuttavia è nolto incerta).

Nello stesso anno infatti è tocca-to al ministro delle Finanze giap-ponese Nakagawa farsi da parte. Una settimana prima, durante una conferenza stampa in occa-sione del G8 di Roma, il politico nipponico era apparso assente. Visibilmente alticcio, Nakagawa si era rivolto con voce impastata ai giornalisti. Lui negò la sbornia facendo riferimento a un paio di sorsi di vino a pranzo e imputan-do la sua scarsa forma al jet-lag. Ma non ci furono santi e il mini-stro si dimise.

Che dire...Onore a tutti loro.

Nel mondo il ricorso alle dimissioni non rappresenta un “Carneade”

Storie di dimissioni dal mondo

Violato ancora una volta il cessate il fuoco imposto

da Onu e Lega araba in Siria, è scattato il piano B. Dopo es-ser stata bombardata la città di Homs, simbolo della ribellio-ne contro il regime, si è deci-so intervenire sul campo con i famosi osservatori, guidati dal colonnello marocchino Ahmad Himmish che fungeranno da difensori della tregua e saran-no garanti dell’ordine reclama-to dalla comunità internazio-nale. L’uccisione di 32 persone, vittime secondo gli attivisti an-ti-regime delle forze governa-tive, ha reso inderogabile tale misura. L’accumulo di sconten-to in Siria - ancorché cavalcato e incoraggiato - è talmente alto che la rivoluzione nasce da epi-sodi secondari, come l’ambu-lante che si è dato fuoco in Tu-nisia. Il passo successivo è che i ribelli trovino una strada ver-so la democrazia che invocano (che non avrebbe come ovvio nulla o quasi nulla a che vedere con le omonime di stampo oc-cidentale). Ma la domanda è: come sconfi ggere in condizio-ni di assoluta inferiorità un re-gime che attaccare dall’esterno sarebbe un’impresa e che gode del sostegno - non solo politi-co - di Teheran?Il potere logorerà nel vero sen-so della parola nella fattispecie chi non ce l’ha e Al Assad pun-

ta proprio su questo.Intanto, al Palazzo di Vetro si continua a trattare per trovare una soluzione alla crisi.Un crisi iscrivibile al fi lone de-nominato “primavera araba” e all’effetto domino che ha comportato, ma che - al con-trario di altri contesti - non ha trovato congiunture favorevo-li. Non ha trovato caccia fran-cesi a spianare la strada ai ri-belli come in Libia, né militari pronti a gestire la transizione che persuadessero Mubarak a “telare”.Al Assad - come Gheddafi - è intenzionato a difendere il po-

tere ad ogni costo. Ma al con-trario di Gheddafi non è isola-to. Anzi, è protetto dall’attuale nemico pubblico numero uno: Ahmadinejad. Un patrono, il leader iraniano, da prendere con le molle visto che andar-lo a sfrugugliare potrebbe in-nescare una serie di reazioni a catena di diffi cile contenimen-to. E il focolaio, estendendosi, fi nirebbe inevitabilmente per coinvolgere altri pezzi da no-vanta, Russia e Cina in primis per defi nizione non certo alle-ati degli Stati Uniti.Inoltre, a fi ne anno sono in agenda le presidenziali ameri-

L’impotenza volontaria dei grandi del mondo di fronte ad un mediocre dittatore

Siria

cane e per Obama presentar-si all’appuntamento con l’el-metto e la mimetica sarebbe a dir poco sconveniente. Si po-trebbe passare la palla a Israe-le, certo, ma in questo modo la forza dissuasiva si ridurrebbe e non di poco.Forte di tutti questi fattori, che in pratica relegano in un cul de sac le forze avverse, Al Assad tiene duro e non si preoccupa più di tanto se il mantenimen-to del proprio potere compor-ta il massacro degli oppositori. Anzi, il gioco vale la candela e il tempo lavora per lui. La ribel-lione probabilmente ha avu-

to inizio troppo tardi, andan-dosi a collocare in momento sfavorevole: Usa bloccati, Iran più aggressivo che mai, Francia e Gran Bretagna esauste dallo sforzo libico, Russia e Cina pre-giudizialmente contrarie. Così, il percorso democratico che al-cuni auspicavano sarebbe pro-prio l’extrema ratio, nel caso in cui il dittatore siriano dovesse trovarsi alle strette e temere per la propria vita.

Just in case.

Nonostante l’intervento de-gli osservatori, va sottolinea-to che sino a quando esisteva-no i due blocchi, l’Onu poteva intervenire nei confl itti regio-nali molto più facilmente. Og-gi, le diffi coltà sono aumentate per via del mondo multipolare, dove tutti i soggetti tendono a far valere le proprie volontà. Si può giungere ad una mediazio-ne, ma senza che sia basata su accordi determinanti fra le par-ti. E la stessa Lega Araba, più vi-cina per defi nizione ai proble-mi del Medio Oriente, riesce a venirne a capo.L’Onu è frammenatata tra Unione Europea, Cina e Stati Uniti e trovare un accordo pie-no per organizzare una missio-ne umanitaria sembra piutto-sto arduo alla luce anche dei fallimenti del passato.

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LA PIAZZA D’ITALIA - ECONOMIA

C’è una possibilità mol-to plausibile che il pro-

sciugamento dei risparmi pos-sa determinare il crollo del sistema economico naziona-le. Una eventualità purtroppo non considerata quasi da nes-suno in Parlamento, ma che ogni giorno viene conferma-ta da alcuni dati allarmanti sul risparmio delle famiglie italia-ne i quali stanno subendo una lenta ma notevole contrazione. A pensare che in Europa, tut-ta la credibilità del nostro siste-ma fi nanziario poggiava pro-prio sulla solidità che i risparmi delle famiglie potevano creare nei bilanci degli istituti di cre-dito, ora, invece, proprio que-sta stampella contabile rischia di far mancare il suo sostegno a tutto il sistema creditizio per-ché il monte risparmi si sta ap-punto gradualmente dissol-vendo.Secondo l’Istat, nel 2011, la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 12%, il valore più basso dal 1995, con una diminuzione di 0,7 pun-ti percentuali rispetto all’anno precedente. Nel quarto trime-stre del 2011 essa è stata pari al 12,1% in aumento dello 0,3% rispetto al trimestre preceden-te e dell’1,1% rispetto a quello corrispondente del 2010.Tenuto conto dell’infl azione, pertanto, il potere d’acquisto delle famiglie nel 2011 è di-minuito dello 0,5%. Da questi dati potrebbe sembrare che lo scorso anno l’andamento del-la propensione al risparmio sia stato più o meno stazionario. Fermo restando che il valo-re del 12% suindicato comun-

que rileva un livello allarmante di propensione al risparmio, è evidente, in termini reali, inve-ce, la crisi che stanno attraver-sando le famiglie italiane che versano sempre più in con-dizioni di povertà relativa e per tale ragione si vedono co-strette a dover attingere ai lo-ro risparmi per far fronte alle necessità imposte dalla loro sopravvivenza.Oltre al crollo dei risparmi oc-corre registrare anche il calo dei profi tti per questa ragione anche le piccole e medie im-prese incontrano notevoli dif-fi coltà durante il loro percorso di vita. Bisogna rilevare la stret-ta connessione che esiste tra imprese e lavoratori e soprat-tutto tra le componenti macro-economiche che scaturiscono dalle dinamiche dei loro com-portamenti. A tal proposito si fa riferimento essenzialmen-

te ai consumi ed ai risparmi delle famiglie, ai profi tti del-le imprese, tutte componenti che infl uenzano e determina-no il livello del reddito nazio-nale. Va da sé allora che se la disoccupazione aumenta, le famiglie riducono la loro pro-pensione al risparmio per cer-care di fi nanziare i consumi in modo tale da garantirsi un mi-nimo di sopravvivenza su base mensile. In termini aggregati, questo comportamento provo-ca una contrazione complessi-va dei consumi e dei risparmi fi no a determinare un notevo-le rallentamento della cresci-ta del prodotto interno lordo. Lo stesso dicasi per le impre-se, le quali trovandosi in una situazione di bassa profi ttabi-lità non possono adottare po-litiche volte all’investimento e all’espansione aziendale, in tal modo anche loro contribuisco-

no negativamente alla crescita dell’economia nazionale. Visto che il sistema economico italia-no si fonda principalmente sul-le dinamiche espansionistiche dei lavoratori e delle impre-se, e visto che queste stanno subendo un drastico ridimen-sionamento non ci vuole mol-to a comprendere che i fonda-mentali del mercato nazionale rischiano di minacciare seria-mente il sistema inteso nel suo complesso.Questa è la minaccia più se-ria che sta correndo l’Italia, non pare però sia stata presa in considerazione né dai po-litici né dalle istituzioni, tutti e tutte, invece, cercano di al-leggerire le prospettive me-diante stime e/o previsioni al-quanto lontane dalla realtà e francamente troppo ottimisti-che. Oggi, considerare l’even-tuale dissoluzione dei risparmi

delle famiglie italiane, signifi -ca, purtroppo, prendere atto di una dura realtà, e vuol dire anche aggiungere nell’agenda dell’esecutivo misure idonee ad impedire il crollo del siste-ma economico nazionale.Una misura potrebbe essere quella di far ripartire l’occu-pazione soprattutto giovanile, quella di investire sui giovani formandoli, specializzandoli, preparandoli al mondo del la-voro nel migliore dei modi ri-ducendo i tempi di attesa sul fronte dell’entrata nel merca-to del lavoro. Un’altra misura potrebbe essere quella di age-volare iniziative imprendito-riali in termini di concessio-ni creditizie, in modo tale da poter aumentare l’opportuni-tà di produrre ricchezza e di assumere lavoratori. Un’altra misura ancora potrebbe es-sere quella di creare maggio-re competitività per le nostre imprese, i prezzi dei beni e dei servizi sono troppo eleva-ti per essere acquistati secon-do le quantità che il mercato riesce ad allocare, in tal mo-do non si riesce a soddisfare l’offerta delle imprese deter-minando giacenze indeside-rate. Le tre misure suindicate hanno tutte lo stesso obietti-vo, quello di far ripartire i con-sumi, gli investimenti median-te la leva dell’allargamento dei margini dei profi tti e di far au-mentare la propensione ai ri-sparmi.Questi effetti da soli, purtrop-po, non sono suffi cienti ad in-nescare una buona ripresa dell’economia, occorre altre-sì procedere nella direzione di

una riduzione sostanziale del-le tariffe, del prezzo del carbu-rante e della pressione fi scale. L’incidenza delle accise ha fatto lievitare il prezzo del carburan-te rendendo insostenibile la pratica di alcune attività lavo-rative, come gli agenti di com-mercio, i procacciatori d’affari, gli imprenditori in generale fi -no alle famiglie stesse che ac-compagnano ogni giorno i fi gli a scuola.La sommatoria di questi rin-cari appesantisce i bilanci fa-miliari e incide negativamente sul loro comportamento eco-nomico e fi nanziario. Ci sono troppe cose che non vanno in Italia, e ci sono troppe per-sone che non se ne occupa-no, per questo si rischia di far crollare un sistema ancora fra-gile ma pronto ad essere aiuta-to. Se qualcuno pensa di voler approfi ttare del fi nanziamento pubblico dei partiti per arric-chire la propria famiglia, anco-ra una volta la classe dirigente e/o quella partitica in generale si sta rivelando decisiva per il tracollo dell’Italia.Inutile andare in Europa a chiedere credibilità quando in casa nostra la stessa viene siste-maticamente affondata e mes-sa in discussione, e non si trat-ta di questo o di quel partito, del governo politico o di quel-lo tecnico, ma di un sistema generale a livello parlamentare ed istituzionale che andrebbe del tutto smantellato, perché prima di creare sviluppo e cre-scita occorre creare una classe dirigente seria, onesta, moral-mente nazionalista e dignitosa-mente italiana.

Un fattore che molto spesso è stato utilizzato per giustifi care la teoria della solidità del sistema fi nanziarioin Italia potrebbe rivelarsi addirittura fatale per il sistema economico nazionale nel suo complesso

La dissoluzione dei risparmi

Le imprese italiane fuggono all’estero e quelle straniere disincentivate ad investire in Italia

C’era una volta la riforma del lavoro...Tanto attesa e tanto inutile at-

tenderla perché la riforma del mercato del lavoro che il Par-lamento si appresta a votare non è una riforma ma cristallizza la precarietà come status e condi-zione sociale della nuova epoca contemporanea. Questa catego-ria di lavoratori ancora una vol-ta sarà beffata dagli accademi-ci dell’esecutivo presieduto dal professor Mario Monti. Se si con-sidera il provvedimento dal ver-sante della fl essibilità in entrata le speranze di creare nuovi po-sti di lavoro diventano davvero vane anche in presenza di una eventuale ripresa economica, per essere più realisti tale ripresa non avverrà non prima dell’ini-zio del 2013 per cui gli effetti del-la riforma fi siologicamente privi di ogni intrinseco benefi cio, an-dranno a sommarsi a quelli tem-porali di una recessione tecnica che durerà per tutto il 2012. Tale situazione in termini economici non signifi ca altro che ulteriore aggravio della condizione socia-le dei lavoratori e quindi delle fa-miglie soprattutto monoreddito. Il problema vero del mercato del lavoro risiede proprio nella ri-mozione degli ostacoli e/o delle barriere in entrata. Il provvedi-mento in esame non contempla alcuna misura idonea all’elimina-zione delle suindicate barriere per cui mantiene inalterato l’im-pianto del mercato attuale im-pedendo la formazione di nuovi posti di lavoro, che consentireb-be l’abbattimento del tasso di di-soccupazione che da troppi anni

sta affossando l’economia del-le famiglie. Per dover di cronaca bisogna aggiungere a questo al-tri elementi negativi che stanno asfi ssiando il tessuto economico delle famiglie, cioè l’elevata pres-sione fi scale, l’insopportabile co-sto del danaro, l’impennata inso-stenibile delle materie prime ed il conseguente rincaro dei prez-zi del carburante e dell’energia elettrica.Il decreto legge che avrebbe do-vuto riformare il mercato del la-voro rafforza l’ipotesi di una non riforma. Nonostante l’ampia di-screzionalità in uscita di cui an-dranno a benefi ciare le impre-se in materia di licenziamenti, cioè potranno licenziare quan-do vorranno, il nodo strutturale non è stato sciolto in entrata. Si-curamente l’articolo 18 non rap-presenterà un tradimento come afferma il Ministro del Welfare Fornero, “è una cosa ovvia che nel caso di manifesta insussi-stenza di un motivo economico il giudice può reintegrare”. Il ti-tolare del Welfare quindi eviden-zia: “ non abbiamo fatto la rifor-ma che volevano molti, in due articoli, il primo è che esiste un contratto unico e il secondo è che le imprese possono licenzia-re quando vogliono”. Il Governo di articoli ne ha fatti 72 perché la società è complessa e si cerca di valorizzare ogni tipo di contrat-to eliminando la fl essibilità catti-va, quella malata. Riferendosi alle pressioni di imprese e sindacati, osserva: “uno mi dice che abbia-mo fatto troppo, l’altro che ab-

biamo fatto troppo poco”.La verità è che secondo una ra-gionevole e logica osservazio-ne scientifi ca, questo provve-dimento non riforma nulla. Si ribadisce il fatto che gli interven-ti avrebbero dovuto concentrarsi sul versante dell’entrata pur ap-prezzando la bontà della misura in uscita relativa al licenziamen-to discrezionale dell’impresa fer-mo restando ovviamente il pre-supposto che le imprese hanno interesse ad assumere e non a licenziare per cui se licenziano hanno serie ed oggettive diffi -coltà economiche a proseguire la propria attività. È chiaro che il nodo cruciale è rappresenta-to dalle opportunità in entrata che potrebbe offrire il mercato del lavoro. In tempi come que-sti, dove chi domanda lavoro e

cioè l’impresa si trova in una si-tuazione produttiva e commer-ciale molto negativa, l’offerta e cioè i lavoratori hanno poche probabilità di trovare una occu-pazione nel breve periodo. Co-sa può fare un esecutivo in que-sto punto preciso del problema? Può incentivare le imprese ad as-sumere snellendo la pressione fi -scale, ciò però in questa partico-lare congiuntura economica non è possibile visto i sacrifi ci in ter-mini di bilancio che l’Europa ha chiesto all’Italia visto il suo eleva-to indebitamento pubblico al fi -ne di riequilibrare i conti. Ed è naturale, dunque, che la misura relativa alla riduzione della pres-sione fi scale non sarà applicabile nel breve periodo. Ciò signifi ca che il riordino dei conti pubbli-ci è fi nanziato e sostenuto da un

elevato tasso di disoccupazione.Un altro problema che scatu-risce da questa mancata rifor-ma del mercato del lavoro è il disincentivo che le impre-se straniere hanno ad investi-re in Italia e l’incentivo,invece, che quelle italiane hanno ad abbandonare il Paese. Gli in-vestimenti sottratti all’econo-mia nazionale non possono che traumatizzare l’andamento economico del Paese, e se da un lato per far ripartire l’Italia occorrono misure che stimoli-no la crescita dall’altro questa riforma mette in atto una se-rie di meccanismi che rallen-teranno la ripresa economica fi no ad aggravarla. Se il Mini-stro del Welfare voleva riforma-re il mercato del lavoro per ar-restare la crescita economica

c’è da dire che l’obiettivo lo ha raggiunto in pieno. Come si fa a riformare un mercato senza intervenire sulle componen-ti che caratterizzano l’anda-mento del mercato stesso, cioè salari e profi tti e senza con-temperare le esigenze delle imprese con quelle dei lavora-tori per cercare di riequilibrare quella che gli economisti chia-mano domanda ed offerta.Ad un determinato livello di salario deve corrispondere un determinato livello di profi tto affi nché la domanda e l’offer-ta di mercato possano contem-perare le esigenze di imprese e di lavoratori. Il problema italia-no è che ad un determinato li-vello di profi tto non esiste più un corrispondente livello di salario oltre ad non sussistere una corrispondenza moneta-ria adeguata al costo delle vi-ta non esiste proprio una corri-spondente offerta di lavoro più tecnicamente un corrispon-dente livello di occupazione che giustifi chi un certo livello di profi tti. È chiaro ed eviden-te che anche post riforma For-nero il mercato del lavoro non raggiungerà posizioni di equili-brio o quantomeno non tende-rà all’equilibrio.Un’altra occasione mancata, eppure questa volta la riforma è stata presentata da un pool di tecnici, di accademici che di scienza economica dovrebbe-ro intendersi.L’Italia ha perso un altro stimo-lo alla crescita.

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LA PIAZZA D’ITALIA - ECONOMIA

È anche colpa dell’euro se fi -no ad oggi la forza lavoro in

Italia ha prodotto una ricchez-za o meglio un reddito troppo scarso, infatti, dai dati del dipar-timento delle Finanze del Mi-nistero dell’Economia, si rileva che il reddito medio degli italia-ni è pari a € 19.250 lordi, in ter-mini percentuali il 20% è al di sotto della soglia dei 15 mila eu-ro, solo l’1% dichiara redditi su-periori a 100 mila euro.È evidente che questa situazio-ne reddituale è coerente con tutto il quadro macroeconomi-co e microeconomico naziona-le. Si farebbe benissimo però di questa coerenza. Il proble-ma è che gli italiani produco-no una ricchezza derivante dal-la forza lavoro non superiore a quella ante ingresso euro. In al-tri termini i famosi e benedetti trenta milioni delle vecchie lire rappresentano oggi purtroppo i 15 mila euro dichiarati dai la-voratori italiani in un esercizio, con una differenza che i vecchi trenta milioni di lire costituiva-no una vera ricchezza media per le famiglie italiane in rap-porto al costo della vita ed al-la sua qualità, oggi con 15 mi-la euro ossia il controvalore “prodiano” non è suffi ciente neppure a coprire un anno di mutuo e di spesa per beni di prima necessità. In sostanza, non è tanto scarsa in sé la pro-duzione di reddito nell’arco di un anno ma è la compressione esercitata dalla forza dell’euro che purtroppo sgonfi a la capa-cità reddituale dei lavoratori.Tale compressione, in termini tecnici, deriva dal cambio lira-euro imposto in sede europea alla compagine italiana per en-trare nella moneta unica e so-no più di dieci anni che la no-stra economia non riesce ad innescare quel processo di ag-giustamento e di adeguamento dei salari al costo della vita che sta paurosamente affossando il

potere d’acquisto degli italiani e l’economia nel suo comples-so. È un dato di fatto che fi n quando questo aggiustamento non verrà realizzato appieno l’economia del lavoro e la cre-scita economica non potran-no riequilibrarsi e non avran-no speranza di produrre quei meccanismi stimolanti tesi a far ripartire il reddito dei lavo-ratori e lo sviluppo del Paese.C’è da sottolineare che i da-ti del dipartimento delle Fi-nanze del Ministero dell’Eco-nomia confermano purtroppo che il riequilibrio di cui sopra ancora non si è realizzato, an-zi il ceto medio è praticamente scomparso,i poveri diventano sempre più poveri ed i ricchi consolidano sempre di più la loro ricchezza.È chiaro che in una economia come quella italiana dove i ric-chi rappresentano il 5% della popolazione non possono da soli fi nanziare la crescita e lo

sviluppo, visto che la maggio-ranza degli italiani cioè il re-stante 95% vive con un reddito sotto i 35 mila euro.Gli imprenditore rappresenta-no la nuova categoria a basso reddito e questa identifi cazio-ne è un’altra rappresentazione negativa della realtà produttiva ed economica del nostro paese. Non è pensabile che il 95% del tessuto imprenditoriale costitu-isca una forza debole della no-stra economia. Fino ad ora tut-ti gli interventi governativi sono stati fi nalizzati al riequilibrio dei conti pubblici, alla costruzione di una nuova credibilità euro-pea ed internazionale ma anco-ra nulla è stato fatto per far ri-partire la nostra economia. Gli interventi a sostegno del merca-to del lavoro, dei beni e dei ser-vizi, non trovano alcuna collo-cazione nel piano di crescita e sviluppo del Governo Monti.Mettere in moto l’economia è una priorità al pari di quella del

riordino dei conti pubblici. La verità è che non bisogna più il-ludersi sulla possibilità che l’Ita-lia possa crescere a breve, visto che tutto il 2012 il nostro Pae-se attraverserà una dura reces-sione tecnica, che fi n da ora ci deve rendere consapevoli che il periodo successivo alla reces-sione cioè l’anno 2013 se tutto vabene dovrebbe essere investi-to dagli effetti positivi che fi n da subito dovrebbero prevedersi nelle manovre del 2012.Questa consapevolezza pare che ancora non abbia toccato la coscienza dei tecnici del Go-verno Monti in quanto non si varano provvedimenti tesi a far uscire l’Italia dall’ennesima re-cessione, e se siamo ritornati in recessione vuol dire che fi -no ad ora i provvedimenti adot-tati non hanno prodotto alcun risultato se non quello di ridare un po’ di credibilità all’Italia sul piano europeo ed internaziona-le. In verità la crisi è più profon-

da di quella che appare e sono tangibili le diffi coltà economi-che delle famiglie e dei giovani, soprattutto i giovani sono pur-troppo i destinatari di questa re-cessione colpiti duramente dal-la impossibilità di trovare una occupazione, e dalla perdita del posto di lavoro.Gli ammortizzatori sociali pos-sono rappresentare uno stru-mento utile per sopperire alle diffi coltà economiche dei di-soccupati ma temporaneamen-te, perché una volta terminati gli effetti benefi ci degli stessi i disoccupati si ritrovano punto e a capo cioè senza possibilità di entrare nel mondo del lavo-ro e immersi in un sistema eco-nomico depresso e compres-so. Quali sono le soluzioni a tutti questi problemi? Come al solito si allude ad un pacchet-to di provvedimenti che rifor-mi strutturalmente il mercato del lavoro, snellendo i processi burocratici che regolamentano

l’apertura di attività imprendi-toriali e soprattutto che faci-litino l’ingresso dei giovani e quindi il tanto sospirato ricam-bio generazionale.Il problema vero però e que-sta è una certezza matemati-ca è rappresentato dalla va-luta. Fin quando l’euro non decomprime il costo della vita e quindi non si adegua al po-tere d’acquisto delle famiglie la spinta alla crescita ed allo svi-luppo non potrà mai realizzar-si anche includendo le riforme strutturali. Cosa può fare allo-ra il Governo di fronte a questo problema valutario? Purtroppo nulla. È un processo di aggiu-stamento automatico che do-vrebbe derivare dall’equilibrio dei mercati.Se da questi non arriva nessun segnale l’intervento pubbli-co non potrà apportare alcun contributo positivo. Questo purtroppo non viene detto e non viene esternato dagli ad-detti ai lavoro in modo palese ed esplicito ed il vero proble-ma dell’economia delle fami-glie italiane. La spesa pro ca-pite delle famiglie diminuisce perché aumentano i prezzi dei beni e diminuisce il lavoro e quindi i redditi. Come fanno a ripartire i consumi se i redditi non riprendono a crescere? E come fanno i redditi a cresce-re se non si diminuisce la disoc-cupazione? Ecco perché l’inter-vento pubblico è necessario sul piano della disoccupazione, lo Stato deve muovere la forza la-voro nella direzione di una oc-cupazione ad ampio raggio, fi n-ché la platea dei disoccupati tenderà sempre più a diminu-ire le possibilità di far ripartire la crescita diventeranno sem-pre meno fi no ad azzerarsi e questo risultato oggi è più che mai realizzabile vista la energica compressione che l’euro eser-cita sul costo della vita di tutti o meglio di quasi tutti.

Il 20% degli italiani è al di sotto della soglia dei 15 mila euro di reddito e questo non fa ben sperare in un futuro di crescita e di sviluppo

L’euro comprime la ricchezza degli italiani

Rafforzata la disciplina di bilancio UE con la fi rma del patto anche se è arrivato il no della Gran Bretagna e della Repubblica Ceca

Prova di maturità dell’UE a 25 con il fi scal compactI 25 Paesi Ue, tutti ad ecce-

zione di Gran Bretagna e Repubblica Ceca, hanno uffi -cialmente fi rmato il Patto di bilancio che rafforza la disci-plina fi scale. I capi di Stato e di Governo, dopo un discor-so introduttivo dei presiden-ti di Commissione e Consiglio Ue, hanno messo la loro fi r-ma, in ordine alfabetico, in cal-ce al nuovo trattato. Per l’Italia ha fi rmato ovviamente Mario Monti. Con la fi rma del fi scal compact cioè la riedizione del Patto di stabilità e crescita si è chiuso praticamente il primo vertice UE.I punti principali di questo Pat-to sono tutti contenuti nei 16 articoli del trattato. L’impe-gno ad avere bilanci pubblici in equilibrio, il defi cit struttu-rale non deve superare lo 0,5% del Pil e, per i Paesi il cui de-bito è inferiore al 60% del Pil, l’1%. Ogni Stato garantisce correzioni automatiche quan-do non raggiunge gli obiettivi di bilancio concordati ed è ob-bligato ad agire con scadenze determinate. La nuova regola deve essere inserita nella legi-slazione nazionale, preferibil-mente in norme a carattere co-stituzionale.La Corte europea di giustizia verifi cherà che i paesi che han-

no adottato il trattato lo abbia-no trasposto in leggi naziona-li. Se ciò non avverrà secondo i modi ed i tempi prestabiliti a livello comunitario, uno Stato può essere deferito alla Corte dagli altri incorrere in una san-zione pari allo 0,1% del Pil.Il defi cit pubblico dovrà esse-re mantenuto al di sotto del 3% del Pil, come previsto dal Patto di stabilità e crescita, e in caso contrario scatteranno sanzio-ni semi-automatiche. C’è da di-re che la fi rma del Patto è stata fortemente voluta dalla Germa-nia per evitare di incorrere nel rischio cumulativo dei debiti so-vrani e che i Paesi con maggior equilibrio di bilancio avrebbe-ro dovuto accollarsi il disequi-librio degli altri. Questa fi rma, “è una pietra miliare nella storia dell’Unione Europea”, ha com-mentato Angela Merkel.Il Presidente della BCE Mario Draghi ha affermato di acco-gliere con favore l’adozione del Fiscal Compact e rappresenta il primo passo verso un’unio-ne fi scale e che certamente rafforzerà la fi ducia nella zona dell’euro e siamo anche soddi-sfatti dell’applicazione del Fon-do Esm entro il mesi di luglio di quest’anno”.L’unico Stato che voterà il fi scal compact, il nuovo trattato eu-

ropeo sull’austerity mediante referendum è l’Irlanda.Con la fi rma del nuovo Patto di bilancio si chiude una prima fase della risposta europea al-la crisi, una risposta basata su regole, rigore e impegni reci-proci tra gli Stati. Ciò che oc-corre realizzare ora è l’Euro-pa dell’integrazione economia e della crescita, cioè un forte impegno politico e fi nanziario per la crescita sfruttando tutto il potenziale del Trattato di Li-sbona.Il Patto “aiuterà a prevenire il ripetersi della crisi del debito sovrano” ha sottolineato Van Rompuy, riconfermato del re-sto all’unanimità nella sua cari-ca per altri due anni e mezzo. “Dopo la fi rma, viene il mo-

mento della ratifi ca e ora voi tutti dovrete convincere i vo-stri Parlamenti ed elettori che questo Trattato è un passo im-portante per riportare l’euro in modo duraturo in acque tran-quille”, ha poi aggiunto in Pre-sidente Ue, dicendosi “molto fi ducioso” nel successo da par-te dei leader dei 25. Il Testo en-trerà in vigore solo quando 12 paesi dell’eurozona lo avranno ratifi cato. Con il fi scal compact verrà rafforzata anche la fi ducia tra gli Stati membri, cosa che è ugualmente importante da un punto di vista politico, ed in ra-gione di una maggior coesione politica ed istituzionale.Le nuove disposizioni di bilan-cio rappresentano una svol-ta del processo comunitario,

in primo luogo perché testi-moniano la ferrea volontà de-gli Stati membri di dare una ri-sposta decisiva e defi nitiva alla crisi economica, in secondo luogo perché imprimono una importante accelerazione isti-tuzionale al processo di code-cisione mantenendo equilibri prima del vertice non proprio solidi. Dunque, si può affer-mare che l’Europa in questa occasione ha dimostrato tut-ta la sua compattezza, è un buon segnale che fa ben spe-rare per il prosieguo ma non deve illudere che ciò sia davve-ro suffi ciente per ammorbidi-re la leadership franco-tedesca all’interno dell’Unione. L’Italia ha fatto bene la sua parte di-mostrando che quando c’è da stringere i denti il Paese reagi-sce, purtroppo si tratta di una reazione governativa e non so-ciale a causa delle misure di austerity previste appunto dal Governo Monti. La collettività dovrà ancora una volta soppor-tare il maggior peso di queste misure, e ancora non riesce a reagire dal punto di vista pro-duttivo. D’altronde, non è mol-to semplice coniugare il rigore con la crescita, la fase del risa-namento potrebbe esser ormai alle spalle c’è, invece, anco-ra da incanalare l’economia in

un processo di crescita e di svi-luppo, per Mario Monti i tempi son maturi per questa secon-da fase.La parte più diffi cile da com-piere è questa, in quanto la stretta sul credito, l’oppressio-ne fi scale, l’elevato tasso di di-soccupazione è inconciliabile ed incompatibile con qualsia-si processo di crescita, e molto realisticamente i tempi ancora non sono maturi per crescere e non lo saranno fi nché l’Ita-lia non avrà raggiunto il pareg-gio di bilancio. Semmai, ora si deve programmare la crescita ma non bisogna illudersi sul-la realizzabilità immediata del-la stessa, la quale non ha tem-pi immediati neppure quando i bilanci pubblici sono in equi-librio, perché il processo di crescita è qualcosa che deve essere prima pianifi cato poi concretamente realizzato, at-tualmente manca ancora la fa-se della pianifi cazione.Il Governo italiano comun-que, ha rafforzato la credibili-tà del nostro Paese, si attendo-no riforme vere per abbattere il tasso di disoccupazione e per far ripartire gli investimen-ti pubblici e privati in modo da modernizzare l’infrastruttura dell’economia italiana nel suo complesso.

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LA PIAZZA D’ITALIA - CULTURA

Autonomia od eterono-mia? Scelte indipenden-

ti o volontà determinate da motivi esteriori, esterni?Un’Europa democratica o un’Europa di potenti élites?Dapprima, giusto qualcu-no aveva l’impressione che l’Unione dei 27 non fosse esattamente quella favola di nobili intenti raccontata in TV dai politici, dai giornali e da ogni istituzione, ma ora con la crisi, quella polvere magica soffi ata negli occhi degli uo-mini per far apparire l’UE co-me il sogno più bello, non ha più il suo effetto totalizzante. La magia sembra piano piano svanire nel nulla.Molto semplicemente: le isti-tuzioni europee così conce-pite non sono democratiche.È più che evidente che man-ca, come già affermato in al-tre sedi, un’opinione pubbli-ca europea che abbia potere e mezzi incisivi per opporsi ai diktat calati dall’alto, manca un Parlamento (unico organo eletto dai cittadini) con effet-tivo spirito decisionale ed è assente, almeno in Italia, una reale discussione critica alla costruzione di istituzioni più eque e partecipate.È strano come chi manifesti insofferenza o sollevi pole-miche a riguardo venga im-mediatamente indicato come antieuropeista ed ostraciz-zato, come se fosse esclu-sa ogni possibilità, ma anche ogni volontà di costituire un concerto di stati possibilmen-te migliore di quello che at-tualmente si sta facendo.Negli ultimi anni si è presa coscienza di casi molto parti-colari: il Parlamento Europeo ha solo “potere” consultivo sulla politica di sicurezza e di-fesa comune (PSDC o politica estera europea) e sulle scelte economiche; dunque di fatto ai cittadini europei vengono imposte decisioni importan-tissime che pochi non eletti vogliono perseguire.Si è vietato alla Grecia di fare un referendum che avrebbe avu-to un forte impatto ed avreb-be dato una scossa a quei po-teri forti che stanno decidendo la vita economica di milioni di persone; ultimamente si è par-lato di un possibile accordo se-

Norberto Bobbio

Democrazia e sistema internazionale

greto (poi smentito dall’inte-ressata) tra la Merkel, Sarkozy, Monti e il premier spagnolo di sabotare Hollande, prossi-mo candidato alle presidenzia-li francesi, principalmente per-ché ha affermato la sua volontà di riconsiderare il recente fi scal compact.Viene deciso un piano econo-mico europeo di incredibile importanza con risvolti prati-ci in ogni paese e l’unica na-zione che sottopone a refe-rendum questa via è l’Irlanda. A riguardo, il dibattito pubbli-co in Italia non si è assoluta-mente animato, ma del resto con un tecnico orgogliosa-mente europeista al potere e con uno spirito di solidarietà nazionale in nome della crisi, così tanto diffuso che a tratti è quasi soffocante, è abbastanza diffi cile immaginare la promo-zione di una discussione pub-blica su questo argomento.Quindi, che le ragioni e i me-todi del fi scal compact passi-no pure senza esame critico.Infi ne, ultimo episodio caduto nel dimenticatoio della stam-pa e delle istituzioni è la nuo-va candidatura della Serbia all’UE, che determinerà valan-ghe di investimenti e di denari e però, chissà se in cambio, Ta-dic ha dovuto scegliere di iso-lare via via i serbi del nord del Kosovo per il volere della co-munità internazionale.A vedere i fatti, pare si abbia-no a livello nazionale, leaders non eletti che decidono le politiche da adottare sulla ba-se di imposizioni transnazio-nali che non vengono vota-te seriamente all’interno dei singoli Stati (vedi l’Italia che ha un governo di tecnici non eletti e che gode, per forza di cose, del 90% della maggio-ranza in parlamento) e una politica europea di poten-ti ugualmente non rappre-sentativa nel senso più stret-to del termine, che tira i fi li del teatrino e che legifera sul-le sorti di milioni di cittadini.Forse a ragione, si può affer-mare che c’è un defi cit diffu-so di democrazia.La questione ha il suo fulcro nel fatto che si sta costituen-do un potere quasi oligarchi-co sovra-nazionale dove non è previsto spazio per la parteci-

pazione popolare nelle deci-sioni più importanti, decisioni poi però, che vanno ad incide-re signifi cativamente sulla vita quotidiana dei popoli.Norberto Bobbio (Torino 18 Ottobre 1909 – 09 Gennaio 2004), uno dei maggiori in-tellettuali del nostro tempo, fi losofo, storico e politolo-go italiano, in “Futuro della Democrazia” (Torino, 1984) apre un’approfondita rifl es-sione sul rapporto tra la de-mocrazia e i sistemi interna-zionali, argomento questo di indubbia attualità che non può non essere qui ricordato.I punti di partenza della rifl es-sione sono diversi e tra questi c’è la connessione tra demo-crazia e sistema internaziona-le, ovvero i limiti che uno sta-to democratico subisce al suo interno a causa delle relazio-ni internazionali e dell’even-tuale presenza nella comuni-tà di paesi non democratici.In che senso e perché, si do-manda Bobbio, l’attuale so-cietà internazionale non può dirsi democratica?Il punto di partenza è lo stato di natura, che, rileva il fi loso-fo, è ancora in parte sussistente nelle relazioni estere delle na-zioni, tra loro in perenne po-tenziale stato di guerra, a di-spetto di tutti i patti di non aggressione che implicitamen-te o meno si fanno al fi ne di far nascere uno stato di pace, se non perpetua, almeno stabile.Successivamente all’atto di non aggressione, il secondo patto positivo per mezzo del quale si costituisce una socie-tà civile è quello per cui i pae-si contraenti si accordano per stabilire regole in vista di una soluzione pacifi ca dei confl it-ti futuri.Questo stadio segna il pas-saggio dallo stato polemico allo stato agonistico ( Julien Freund): cioè, da una situa-zione caratteristica dello sta-to di natura in cui i confl itti vengono risolti con il trion-fo del diritto del più forte, si passa ad una fase in cui l’uso della forza viene escluso e i soggetti risolvono i problemi mediante negoziati e com-promessi.Ma affi nché gli accordi e le ri-soluzioni non vengano viola-

ti si pone l’esigenza che un elemento terzo vigili sui con-traenti; questo soggetto di-venta attivo nello stato ago-nistico perché interviene direttamente nelle risoluzio-ni di eventuali scontri come un giudice super partes cui i contendenti delegano le de-cisioni e si impegnano a sot-tomettere la propria volontà.Afferma Bobbio, con l’entrata in scena del giudice, si passa dallo stato polemico ad un ul-teriore grado, cioè si approda allo stato pacifi co.Lo stato pacifi co è quello sta-to che nasce dal pactum su-biectionis, in base al quale le parti si sottomettono ad un potere in comune.Affi nché si possa però parla-re di democrazia è necessario che s’includano nella pratica politica almeno due condi-zioni fondamentali: “a) che il potere sovrano, da chiunque esercitato anche dagli stes-si contraenti, non si estenda sopra tutte le libertà e i pote-ri che gli individui o i gruppi hanno nello stato di natura, e quindi rispetti quelle libertà e quei poteri che vengono con-siderati, per questo loro ca-rattere di inattaccabilità, di-ritti naturali e in quanto tali né sopprimibili né restringi-bili; b) che vengano stabilite regole per le decisioni col-lettive, vincolanti per tutta la comunità, tali che esse siano prese con la massima parteci-pazione e il massimo consen-so dei contraenti medesimi”, se non all’unanimità, almeno dalla maggiornaza ( “Il futuro della democrazia” pag. 204).Al contrario, il patto autocrati-co si ha quando il potere so-vrano viene istituito senza li-miti o con degli auto-limiti e le decisioni, collettivamente vin-colanti, vengono prese soltan-to da un gruppo di potere ri-stretto senza la partecipazione e senza il consenso dei desti-natari delle scelte attuate.Quanto questo discorso sia pertinente con il sistema eu-ropeo e con i vari patti d’ac-ciaio stretti tra i diversi leader nazionali si nota da sé; inol-tre, si può condividere con l’autore la constatazione di quanto lo stato di natura per-manga ancora all’interno di una delle organizzazioni in-ternazionali per eccellenza, come le Nazioni Unite (or-gano citato da Bobbio stes-so), visto che il patto di non aggressione dovrebbe va-lere per tutti i membri che

quell’accordo hanno sotto-scritto; ma di fatto, i confl it-ti vengono ancora risolti con lo stato di guerra e di attacco.Egli, seguendo ovviamente la lezione di Hobbes e Locke, individua nella paura recipro-ca quell’elemento d’instabi-lità che convince l’uomo ad uscire dallo stato di natura; ma paradossalmente, è fuori discussione quanto oggi il so-spetto e l’incertezza spadro-neggino nella politica inter-nazionale e quanto entrambi vengano calati con decisio-ne tra il vivere quotidiano dei cittadini.Inoltre, il problema non di-minuisce se lo stato di natu-ra sussiste tra poche nazioni: se queste poche sono coloro che detengono “la maggior forza e sono irriducibili al po-tere di un terzo superiore, la loro relazione fi nisce per dominare il sistema nel suo complesso e favorisce all’in-terno dell’ambito di potere di ciascuno, rapporti dispoti-ci” (“Ibidem” pag. 209).Sia l’anarchia tra eguali, sia il dispotismo tra diseguali, in-ceppano il processo di de-mocratizzazione del sistema.Bobbio prosegue la sua anali-si affermando che si è venuto via via a realizzare un sistema di potere eccezionale accanto a quello riconosciuto da ogni costituzione in cui le decisio-ni collettive vengono assunte da organi predisposti attraver-so procedure stabilite: il nuo-vo ordinamento prevede che gran parte delle decisioni ge-nerali vengano prese diretta-mente da gruppi interessa-ti attraverso accordi fondati esclusivamente sul riconosci-mento del potere reciproco. “Si può parlare di un doppio sistema internazionale, com-posto di due ordinamenti ide-almente incompatibili fra loro, ma praticamente coesisten-ti, che si conoscono ma non si riconoscono, non si ignora-no ma agiscono l’uno indipen-dentemente dall’altro” (“ibi-dem” pag. 211).Ora, la rifl essione che apre il fi losofo è la seguente: qual’è la conseguenza di questo sta-to di cose sull’ordine inter-no degli stati democratici; è possibile per un paese esse-re pienamente democratico in un sistema internazionale siffatto?Per rispondere a questa do-manda bisogna soffermarsi su quali siano i condiziona-menti esterni a cui una singo-

la nazione è sottoposta.In un universo in cui l’incer-tezza, la paura e il pericolo di un’eventuale aggressione spadroneggiano, la condotta che uno stato sentirà di fare propria è garantire la propria sopravvivenza, proprio come accade nello stato di natura hobbesiano.In un contesto del genere, la massima di ogni paese si tradurrà nella difesa dei pro-pri interessi vitali, per i quali a questo punto, nella insicu-rezza diffusa, ogni fi ne giusti-fi cherà ogni mezzo e la liber-tà dei cittadini potrà essere sacrifi cata in virtù di questa congiuntura di casi particola-ri e generali.Tali condizionamenti si an-dranno dunque a rifl ette-re nell’attuazione della poli-tica estera perché uno stato in questo contesto non po-trà mantenere gli stessi impe-gni che per lo più dovrebbe ri-spettare nella politica interna.Eccoci dunque alla proble-matica più grande: la visibilità del potere attraverso la pub-blicità degli atti di governo. “Solo quando l’atto è pubbli-co” afferma Bobbio, “i cittadi-ni sono in grado di giudicarlo e quindi di esercitare nei suoi riguardi una delle prerogati-ve fondamentali del cittadi-no democratico”, ossia il con-trollo dei governanti.Se si pensa al fatto che noi oggi abbiamo in Italia un go-verno che non è stato elet-to, che gode in Parlamento dell’appoggio senza se e sen-za ma dei tre partiti naziona-li più grandi e se si considera la diffi cile situazione europea nella quale ci siamo trovati calati come cittadini, è diffi -cile che una signifi cativa in-quietudine non rapisca le no-stra attenzione democratica.Il principio della visibilità è un valore che contrasta la tendenza naturale del pote-re, il quale preferisce per la maggiore, di non dichiarare le proprie intenzioni; biso-gna dunque contrastare il po-tere nella sua natura imper-scrutabile.Il parlamentarismo ha già il suo grande defi cit nella dele-ga della propria volontà che ogni cittadino consegna al proprio rappresentante e og-gi, ci si trova addirittura ol-tre questa realtà, sia in Italia che in Europa: dunque sareb-be bene ricordarsi che non è con l’imposizione che si crea uno spirito europeo.

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LA PIAZZA D’ITALIA - CULTURA

Alexis de Tocqueville (1805-1859), fi losofo, po-

litico e storico francese, de-dica in “La Democrazia in America” (opera pubblicata in due parti, 1835 e 1840) dei capitoli alle leggi americane e al potere giudiziario.Quest’ultimo in Italia, è un te-ma fortemente dibattuto e di grande attualità vista la pros-sima riforma sulla giustizia e visto il tanto ormai famoso emendamento Pini; per cui, perché non accennare alle ri-fl essioni del noto pensatore per introdurre una discussio-ne su questo argomento.Tocqueville afferma che ne-gli Stati Uniti, tutti, eccetto poche categorie di persone, concorrono alla formazione del potere giudiziario; perciò coloro che vogliono opporsi in qualche modo alle leggi so-no ridotti o a cercare di cam-biare apertamente l’opinione della nazione o a calpestare la sua volontà.Ma per gli americani questa attitudine non vale perché “Negli Stati Uniti ognuno tro-va un certo interesse perso-nale a che tutti obbediscano alle leggi; poiché colui che oggi non fa parte della mag-gioranza potrà forse essere domani nelle sue fi le e il ri-spetto che oggi egli professa per le volontà del legislatore avrà presto occasione di esi-gerlo per sé” (“La Democra-zia in America”, pag. 247).Infatti per quanto le regole possano essere considerate spiacevoli, ogni cittadino di qualsiasi strato sociale, vi si sottomette non solo perché le considera opera e risulta-to di una maggioranza ma an-che perché le sente sue pro-prie.A quei tempi dunque, non si scorgeva una “folla numero-sa e sempre turbolenta” che considerava la legge come un nemico naturale e che getta-va su di essa solo sguardi so-spettosi e timorosi.Per Tocqueville infatti, tre co-se in particolare concorrono più di tutte alla conservazio-ne della repubblica democra-tica americana e l’ultima di queste è la stessa costituzio-ne del potere giudiziario, poi-ché i tribunali così come so-no stati concepiti, hanno la funzione di correggere gli er-rori della democrazia.Nel capitolo “Altri poteri ac-cordati ai giudici americani”, egli fa un discorso molto in-teressante, forse scontato di sicuro nella teoria, ma non

nella pratica; egli afferma che presso un popolo libero (co-me quello americano), ogni cittadino ha il diritto di accu-sare i funzionari pubblici da-vanti ai giudici e che tutti i giudici hanno il diritto di con-dannare i funzionari pubblici.“Tanto la cosa mi sembra na-turale” (Ibidem, pag. 105) prosegue il fi losofo, perché non è un privilegio permet-tere ai tribunali di punire gli agenti del potere quando vio-lano la legge; “al contrario, sarebbe togliere loro un dirit-to naturale proibirglielo” (ibi-dem, pag. 105).Gli americani rendendo tut-ti i funzionari responsabili di fronte ai tribunali non han-no affatto indebolito la forza del governo, anzi hanno ac-cresciuto il rispetto dovuto ai governanti, perché ovvia-mente questi si preoccupano di sfuggire alle critiche.Secoli fa, questa era la nor-malità; anche oggi dovreb-be essere così visto che uno stato di diritto è quello stato che al di sopra di ogni potere pone il rispetto per la legge. Questa asserzione è dunque di fatto, il punto di partenza per ogni stato che vuole con-siderarsi civile e moderno.Ma a noi piace che l’Italia viaggi sempre sul fi lo dei ca-si particolari, del resto come si dice, è l’eccezione che con-ferma la regola e indubbia-mente di eccezioni nel no-stro paese ce ne sono molte.Ad esempio, lo scontro tra politica e magistratura lo è ed è semplice analizzare perché esso esiste.Molto banalmente ma fatto grave è che da Nord a Sud, passando per il centro (e in questo l’Italia sembra davve-ro unita e omogenea) ci so-no politici indagati per cor-ruzione che occupano posti dove si gestisce il potere, do-ve si amministra la vita dei cit-tadini. Altra notevole anoma-lia è che i sospettati di reato non si dimettono perché di-cono sia giusto attendere il “responso”della magistratu-ra. Ma l’Italietta è l’Italietta e di certo essa non gode di un’ammirevole velocità nel ti-rar fuori la verità dei fatti. Co-sì in attesa, come tanto è in uso dire, che “la magistratura faccia il suo percorso”, il cit-tadino che vota e che lavora deve tenersi in Parlamento, nei Consigli regionali, nel-le Giunte comunali persone che si sospetta abbiano vio-lato la legge. È scontato che

qualcuno, di fronte a que-sto dato di fatto imposto, di fronte a questa moda tanto in voga oggi nel nostro paese, possa dire: “ma come faccio a fi darmi io di una persona che continua ad amministrare la cosa pubblica quando maga-ri, è sospettata di concorso esterno in associazione ma-fi osa o di corruzione o con-cussione o di furto o di P2, P3, P4? Dov’è la trasparenza della politica? Dov’è la pub-blicità degli atti? Dov’è l’idea fondamentale, base di ogni democrazia secondo la qua-le il politico ha la responsa-bilità e il dovere di essere un modello per i propri concit-tadini?Si può dedurre molto mode-stamente che queste necessi-tà di civiltà non sembrino im-perare nella nostra Italietta perché gli accusati sono co-modamente seduti a decide-re anche per chi di nulla è so-spettato e allora tra i comuni mortali, l’Olimpo disinibito della politica appare una ge-stione ad uso e profi tto priva-to del potere.Se poi, fi nalmente accade che la magistratura fa que-sto suo famoso percorso ec-co arrivare la prescrizione, la quale ovviamente, trattando-si del nostro paese, presen-ta anch’essa le sue curiose ma anche gravi peculiarità ri-spetto agli altri paesi. In più, è in voga da anni far passare questa per innocenza dell’in-dagato; così politici auto pro-clamatisi innocenti per pre-scrizione restano nelle stanze dei bottoni a governare la Res Publica.Altra eccezione nel nostro paese, carica di peso sociale è rappresentata dal comparto delle caste.Esse rappresentano una for-za sociale: l’India si sta mol-to molto lentamente affran-cando ed ammodernizzando da questo punto di vista attra-verso un sostenuto sviluppo economico e in Italia invece abbiamo una società organiz-zata in compartimenti stagni.Ci sono dei gruppi di intocca-bili a partire ad esempio dal mondo stesso del giornali-smo: nei decreti di Monti, per dirne una, l’ordine dei gior-nalisti neanche è stato nomi-nato eppure si sa quanto sia oppresso questo ambito; la riconsiderazione delle par-tite iva ovviamente riguarda tutti ma non coloro che fan-no parte degli ordini e così lo sfruttamento è regolarizzato,

la giungla è istituzionalizzata.In un contesto siffatto si può dunque per caso non sospet-tare che anche tra la nostra magistratura non viga una ca-sta in cui l’applicazione della legge non sia l’unico pensie-ro predominante?Si, si può, semplicemen-te perché di fatto, per quan-to generale possa sembrare, il nostro paese a livello am-ministrativo e politico non è sano, da una parte vi è il so-spetto concreto che molti che governano non siano de-gni politici e degne persone e dall’altra c’è il sospetto rea-le che ogni ordine in Italia ha il suo tornaconto, la sua inat-taccabilità, il suo nepotismo, il suo clientelismo, la sua po-liticizzazione, le sue correnti e le sue porte blindate.Dunque, è normale che in una nazione come la nostra, non trasparente nella gestio-ne dell’amministrazione, gli scontri si acuiscano e di fron-te a magistrati che indagano funzionari pubblici si arrivi ad invocare la responsabilità civile dei giudici.Ma è seriamente questo il problema principale? Questa è la soluzione ai tanti contra-sti di cui si è stati spettatori costretti e un tantino schifati?L’emendamento Pini è quel-lo che vuole l’introduzione di tale responsabilità; chi lo boccia afferma che esso po-trebbe rendere il sistema giudiziario italiano ingestibi-le perché si verrebbe a cre-are un intreccio paradossale tra l’esercizio della funzione giudiziaria e la difesa perso-nale del giudice chiamato a rispondere in prima persona per un’eventuale azione risar-citoria. Inoltre potrebbe ac-cadere che attraverso l’eser-cizio immediato e diretto dell’azione nei confronti del magistrato si possa costrin-gere il giudice non gradito all’astensione e quindi si pos-sa indirettamente sceglierne uno più gradito.L’Europa, afferma la linea che si oppone all’emendamen-

to Pini, non chiede una re-sponsabilità diretta del giudi-ce, ma vuole solo che la legge italiana preveda che il cittadi-no possa chiedere allo Stato il risarcimento anche quando la sentenza defi nitiva sia frut-to di errata interpretazione delle norme giuridiche eu-ropee, di fronte ad una vio-lazione manifesta del diritto vigente o in caso di una valu-tazione dei fatti e delle prove operata nell’ultimo grado di giudizio; dunque l’UE chie-de diritto di risarcimento allo Stato, non al magistrato.La parte che invece difende l’emendamento afferma che è ora che i magistrati paghino quando vengono trascinati in processo persone che alla fi -ne, dopo anni e anni, risultano non c’entrare niente con i fat-ti di reato. In più, questa par-te, in particolare denuncia una volontà delle toghe di mietere vittime tra una supposta par-te politica non gradita ad esse; di qui la necessità di arginare il loro potere attraverso la re-sponsabilità civile.Ora la domanda è questa: si desidera che la giustizia fun-zioni? Certamente si.Dunque, può questo emen-damento far migliorare il fun-zionamento del potere giudi-ziario?Per i cittadini e non per i po-litici, i problemi più gravi del-la giustizia sono la lunghezza eccessiva dei processi, i costi esorbitanti per andare fi no in fondo alla verità, la mancan-za di personale adeguato per velocizzare le pratiche, l’ec-cessiva burocratizzazione e la prescrizione stessa, che co-sì com’è posta in Italia, non permette effettivamente di valutare se un pubblico fun-zionario è colpevole o meno.Dunque, si potrebbe afferma-re che questa tanto acclama-ta responsabilità dei giudici, nell’atto pratico, nella stessa attuazione della legge, non risolve nulla di concreto nel miglioramento del funziona-mento delle cose. L’emenda-mento appare più una resa

dei conti tra due gruppi che dovrebbero prima risolvere altri problemi interni più im-portanti, affi nché davvero il buon senso comune e l’inte-resse diffuso trionfi no.Ma poi sembra abbastan-za evidente che se un giudi-ce sa di poter essere chiama-to in causa una volta perché ha dato ragione ad uno, una seconda volta perché ha da-to torto all’altro, egli alla lun-ga preferirà essere clemen-te e compiacente. Se si tratta poi di essere citati da imperi economici e da interessi capi-tali è naturale che il magistra-to non sarà tranquillo nel suo lavoro e l’odor di ricatto ser-peggerà nell’aria. La giustizia non può funzionare così.Si può e si deve agire diret-tamente nei confronti dello Stato, si può pensare a mo-dalità di giudizi più duri per le toghe rispetto a quelle che sono ora previste dalle com-missioni disciplinari del CSM, ma no citarle direttamente, perché in fondo le proble-matiche che non fanno cam-minare la giustizia nella ma-niera più effi ciente possibile sono altre ed è abbastanza in-crescioso che si spacci la re-sponsabilità civile del giudice per il problema più impellen-te da risolvere.In questa questione può aver ragione chi pensa che l’Italia sia un malato grave nei cen-tri nevralgici del suo siste-ma amministrativo e politi-co e quindi intende curarla iniziando da un risanamento morale e culturale.Il problema dunque non sta solo in questo emendamen-to tanto dibattuto, poiché esso è solo il frutto di un’abi-tudine ad una gestione spic-ciola della cosa pubblica che guarda solo ai propri inte-ressi, ma sta nel fatto che paradossalmente, la classe politica per cambiare le co-se o qualcosa, dovrebbe pri-ma cambiare essa stessa; so-lo in seguito si potrà tornare a credere alla serietà di ogni intervento.

L’Italia dei tanti casi dibattuti

Responsabilità dei giudici

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LA PIAZZA D’ITALIA - CULTURA

Secondo l’Istat, nel 2011, la Tra castelli e torri, tra frut-

teti e boschi si estende il terri-torio di Roero. Un’area collina-re a nord est della provincia di Cuneo che prende il suo nome dall’omonima nobiltà astigiana.Il fi ume Tanaro, affl uente del Pò, rappresenta una sorta di linea naturale di confi ne, uno spartiacque che divide le vicine Langhe dall’area roerina; esso è anche in parte una demarca-zione che permette di distin-guere i due territori tanto da sottolinearne le diversità geo-logiche e paesaggistiche.L’Ecomuseo delle Rocche del Roero, orientato a valorizzare le bellezze del territorio, riuni-sce a sé otto comuni sorti sul-la faglia delle Rocche che cor-rispondono ad un fenomeno geologico millenario di ero-sione. La principale attività di questo ecomuseo è quella di creare una serie di percorsi e sentieri che raccontano le pe-culiarità più interessanti. Nei comuni delle Rocche si posso-no osservare profonde voragi-ni che possono raggiungere anche dislivelli di centinaia di metri. Qui l’ecosistema è mol-to delicato. Microclimi diversi coabitano in poche centinaia di metri di altitudine. È affasci-nante vedere come pini e ro-verelle (particolari querce), ti-pici di una vegetazione secca, crescono in cima alle creste, mentre nel fondo dei burroni l’acqua stagnante crea habitat umidi e rigogliosi.La zona del Roero è costel-lata da fortezze medioeva-li che caratterizzano il paesag-gio. Tra stili architettonici di gran pregio e arredi origina-li di notevole fattura, si trova-no elementi peculiari che con-traddistinguono la storia locale e sue genti. Il castello di Monti-cello d’Alba è una delle costru-zioni medievali meglio conser-vate della zona, mentre quello di Govone, edifi cato nel Set-tecento su un antico maniero medievale, gode oggi del tito-lo di “patrimonio dell’umanità” attribuito dall’Unesco.Dalle sommità delle colline della zona, si possono osser-vare pioppi, salici, querce, ca-stagni che costituiscono, as-sieme ad altre varietà di alberi, la fl ora locale. Qui, nel Roero, dove le aree boschive lascia-no il passo a distese di vigne-ti e frutteti, l’agricoltura è un comparto economico locale molto importante. Qui si col-

tivano gustosi frutti e ortag-gi come le fragole, le pesche, le pere, le castagne, gli aspa-ragi...prodotti tipici del ter-ritorio. Una voce saliente del bilancio della zona è il com-parto vinicolo. Infatti, tra le dolci colline roerine, che si alternano a zone pianeggian-ti, si coltivano viti dalle quali si producono dei vini pregia-ti. Ordinariamente, quando si cita il Piemonte, in particola-re la zona cuneese, vien da sé menzionare per antonomasia il vitigno Nebbiolo, dal qua-le si ricavano vini prestigio-si come il Barolo e il Barbare-sco. È interessante ricordare come l’etimologia del termi-ne nebbiolo (secondo Gio-vanni Battista Croce, orefi ce e gioielliere milanese che si cimentò anche in altri campi, quali l’enologia, nel suo trat-tato del ‘600 “Dell’eccellenza e diversità dei vini che sulla Montagna di Torino si fanno, e del loro modo di farli) deri-vi dalla parola “nobil”, vale a dire “nobile”, sottolineando-ne la caratteristica aristocra-tica intrinseca dell’uva stessa. Il Nebbiolo (cultivar a bacca rossa) è allevato nelle vigne delle colline cuneesi assieme ad altri pregiati vitigni come l’Arneis, ma anche il Barbe-ra, il Bonarda, il Favorita e il Birbet. Nel territorio roerino quando si pronuncia il termi-ne Nebbiolo si pensa imme-diatamente al vino Roero ros-so che si presenta al palato dei degustatori come un vino più vivace rispetto ai suoi cugini Barolo e Barbaresco. A ren-derlo meno severo concorro-no due elementi fondamenta-li: il primo è la leggerezza del territorio roerino rispetto a quello langhese, l’altro carat-tere si annida nella base am-pelografi ca che è costituita sia da uve Nebbiolo (da 95 a 98%) che uve Arneis (cultivar a bacca bianca). Tali condizio-ni rendendo il gusto e il carat-tere del vino meno rigoroso. Al bicchiere del degustatore si mostra di color rubino con profumi che richiamano i frut-ti rossi come il lampone, ma anche la pesca e la viola; esso accompagna bene il pasto ed è delizioso se si sposa con la fonduta, ma anche con paste, risotti e carni non troppo pe-santi. Il Roero non è solo terra di uve rosse; si produce anche un elegante vino bianco l’Ar-neis, da uve omonime, vitigno

molto diffuso nella provincia cunese. Il colore è giallo pa-glierino. Ha un profumo deli-cato, fresco e richiama i frutti selvatici e d’erba con probabi-li sentori di legno. La denomi-nazione Roero Arneis è riser-vata al vino bianco ottenuto esclusivamente dalle uve Ar-neis.Anche il territorio del Roero, come qualsiasi altro, vive mi-nacciato dall’azione antropiz-zante dell’uomo. Per tentare di frenare il fenomeno la divulga-zione della cultura che carat-terizza l’area sembra essere la chiave di volta. Così, a sottoli-neare l’importanza della cultu-ra enoica della zona nel territo-rio roerino, sono sorte diverse istituzioni dirette alla sua diffu-sione. L’Enoteca Regionale del Roero ha avviato uno proget-to per la tutela e valorizzazione dei ciabòt, ossia delle casupo-le di architettura rurale costru-ire dai contadini piemontesi volte sia ricoverare gli attrezzi che a fungere da luoghi di ri-

poso durante i lavori in vigna. Questi edifi ci sono disseminati lungo il paesaggio viticolo del Roero, tanto da renderlo tipi-co. A Pollenzo è sita, dal 2001, la Banca mondiale del vino ove è custodita la memoria stori-

ca del vino italiano attraverso la selezione e la conservazione dei migliori vini della penisola nostrana. A valorizzare anco-ra di più il territorio c’è anche l’Università di Scienze gastro-nomiche con sede a Brà, qua-

le centro internazionale di for-mazione e di ricerca mentre ad Alba troviamo la scuola enolo-gica e il corso di laurea in Viti-coltura ed Enologia. Ma il vino non deve far dimen-ticare il prezioso comparto tartufi geno locale e la sua vo-cazione. A celebrarne le pecu-liarità è la famosa fi era inter-nazionale del tartufo bianco d’Alba, che si svolge tra otto-bre e novembre di ogni anno. Ma il tartufo per essere immes-so sul mercato deve essere pri-ma trovato, cosa non facile. Co-sì gli amanti dei gustosi tartufi e dell’avventura possono fa-re un’esperienza emozionale a Piobesi d’Alba, partecipando alla ricerca simulata del tartufo seguendo un cercatore com-petente, accompagnato dal suo cane, che condurrà i tu-risti nel bosco, alla ricerca del prezioso fungo ipogeo. Inol-tre, ad Alba vi è il Centro Na-zionale Studi Tartufo un istitu-to specializzato nella ricerca e nella divulgazione della cultura tartufi cola, incidendo in que-sto modo sullo sviluppo del tu-rismo enogastronomico locale.Il Roero è uno scrigno prezio-so contenente tracce di aristo-crazia che si possono ritrovare tra castelli e torri, tra nobiltà piemontesi e cultivar d’uva imperiale, tra preziosi tartufi e succulenti frutti, tra cultu-ra locale e quanto ancora di inesplorato può emozionare il viandante.

Roero, tracce di nobiltà

Quando il cibo è fashionL’arte contemporanea si

esprime in direzioni diver-se, a volte è in grado di crea-re connubi impensati, curiosi e creativi, volti all’originalità della propria arte. Yeoniu Sung è una giovane arti-sta coreana che ha ideato il “ci-bo indossabile”, wearable foods ossia una serie di abiti prodotti con l’utilizzo di verdura e frutta. Quindi ha dato il via nel suo ate-lier a pomodori, ravanelli, me-lanzane, banane, cipolla, cavo-lo rosso, e altri ortaggi e frutta che nelle sue creazioni diventa-no vestiti che simulano merlet-ti, sete, velluti e broccati. Il lato curioso è proprio la ca-ratteristica di questi oggetti, frutta e verdura, che sono di per sé deperibili e certamen-te non indossabili. Sung è riu-scita a rendere funzionale alla moda, grazie alla sua immagi-nazione e fantasia, il cibo.Va da sé che questi insoliti as-semblaggi non sono più con-siderabili prodotti alimentari in senso stretto e, giocoforza, non saranno mai oggetti di moda, ma oltre ad essere visi-vamente abiti affascinanti crea-no un simbolismo molto forte.Dal suo spazio web su social

network Facebook, l’artista scrive che si tratta de: “L’im-magine tra realtà e non-real-tà” della vita. Sospesa tra due mondi, quello della moda e quello degli alimenti, quello dell’indossabilità e quello del-la nutrizione. Sposabili forse solo in modo forzato, ma che rendono l’immagine di un ci-clo temporale, che seppur ac-ceso nei suoi colori, nelle sue forme diviene sempre limitato, nel tempo e nel suo uso. Non a caso Yeoniu Sung si esprime in questo modo: “Creo il mio mondo della realtà, generan-do una serie completamente diversa di immagini che con-traddicono la nozione con-venzionale di cibo e vestiti”.Il lato introspettivo porta a ri-fl ettere sulla decomposizione e naturale deperibilità dei ve-getali che a loro volta sembra esser l’occasione per tratteg-giare la vita dell’uomo, la sua fragile esistenza che è destina-ta a spegnersi. Ma la fotografi a, medium per questo importan-te, permette il fermo immagi-ne, permette la testimonianza dell’esistenza delle cose, delle loro bellezze e dei loro splen-dori.


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