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22) GRISAR, fig. 43, 44, pago 146; MARc ROSENBERG, Goldschmiedemerkzeichen, Francoforte 1928, voI. IV, n. 9972, pago 707.
23) BRÉHIER in Byzantin. Zeitschrift, 1903, pago I.
24) GARDTHAUSEN, Byz. neugr. Iahrh., VIII, II 4. DIEHL, Ch. Manuel d'Art byzantin, Parigi 1925, I, pago II4.
25) HULSEN C., Le Chiese di Roma, Firenze 1927, pago 429.
26) TOEsCA P., Storia dell'Arte italiana, pago 222, fig. 138.
27) MOREY in The Art Bulletin, XI, pago 49; KITZINGER E., Romische Malerei des 7- 8 Iahrh. Diss., 1935.
28) WILPERT, Romische Mosaiken und Malereien, Friburgo 1916, IV, tav. 188; VAN MARLE R., Le scuole della Pittura Italiana, L'Aja e Milano 1932, I, pago 80.
29) TOEsCA, pago 1025; HENZE C., Mater de perpetuo succursu, Bonn 1926.
30 ) CARUSI in Atti del I Congresso naz. di Studi Romani, pago 517.
31) WILPERT, IV, Tav. 196, come mi ha ricordato il mio amico Silla Rosa.
32) VOLBACH in Archivio della R. Deput. romana di Storia patria, 1936, pago 153.
33) B. DE MONTAULT in Rev. de l'Art chrét., 1893, pag·376•
34) LIBAERT P. in Mélanges d'Archéol. et d'Hist., Rome 1913, XXXII, pago 479 con la vecchia bibliografia.
35) DALTON O. M., Catalogue of Early Christian Antiquities, 1901, Pl. XXIV.
36) SMIRNOV R., Argenterie orientale, Pietroburgo 1909.
37) MATZULEWITSCH, Byzantische Antike, Berlino 1929, Tav. 4 e II5.
38) SARRE in Ausstellung von Meisterwerken muham. Kunst, Monaco 1912, Tav. 126.
39) SARRE F., Die Kunst des alten Persien, Berlino 1925, Tav. 134.
40 ) ORSI in Byzantin. Zeitschr., XXI, 1912, pago 196, fig. 9.
41 ) HULSEN, pago 206 con bibliografia. 42) MABILLON I., Museum italicum, Paris 1724, I,
pago 97; GAY V., Glossaire, I, pago 252, fig. B. 43) BRAUN J., Das christliche Altargeriit, Miinchen
1932, pago 38. 44) PÉZARD, La céramique arch. de l'Islam, 1920;
F. SARRE mi afferma che crede a una origine egiziana. 45) SARRE F., Die Keramik von Samarra, Berlino 1925,
Tav. III, 5. 46) LAUER, fig. 16. Per la Germania vedi RADEMA
CHER F., Die deutschen Gliiser des Mittelalters, Berlino 1933, pago 7 e Mostra di Darmstadt 1935, Deutsches Glas, Catalogo, Tav. 40.
47) LAMM, Tav. 12. 48) FRANCHI DE' CAVALIERI in Riv. di arch. crist., XI,
pago 259. 49) LAMM, Tav. 28, n. I7, pago 93. so) CECCHELLI in Dedalo, 1926, pago 231. SI) COLASSANTI in Dedalo, 1933, pago 282; cfr. il
Cristo a Galatina (Castelfranco in Boll. d'Arte, 1927, pago 289).
52) VOLBACH, Guida, I, Museo Sacro, 1935, Tav. III. 53) WULFF-ALPATOFF, Denkmaeler der Ikonenmalerei,
Hellerau 1925; DIEHL, II, pago 563. 54) PRESTON T. W., The bronze Doors of the Ab
bey of Montecassino and S. Paul, Princeton 1915; TOEscA P., Storia dell'Arte Italiana, Torino 1927, pago 1105.
55) DAREMBERG-SAGLIO, Dictionnaire, II, pago 877; ORSI in Byz. Zeitschr., 1912, pago 204.
56) FROTINGHAM in American Journal of Arch., 1895, pago 152; DALTON O. M., East christian Art, Oxford 1925, pago 57.
NOTE GIOTTESCHE: IL CROCIFISSO DI RIMINI
ALLA Mostra riminese dello scorso anno davanti un' opera che per la sua forza mo
rale, cioè, in termini artistici, intensità di commozione interiore e coerente sincerità di espressione, rivelava animo e mano di un sommo, impallidiva ancor più l'aurea mediocrità di quella scuola di eclettici raffinati e di preziosi volgarizzatori: il Cristo Crocifisso del Tempio malatestiano. I)
Un canto funebre d'una tragicità eschilea, di una grandezza beethoveniana; pur nella sua conCISIone, alla quale persino si direbbe avesse
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giovato la mutilazione delle figure nei lobi. La Vittima divina pende chinando il capo stanco, vinto non dalla potenza esterna della morte, ma dalla propria volontà di dolore e di amore. Il Fiat voluntas tua". Solo gli arti inferiori ci dànno il senso greve del corpo esanime cedente sotto il peso della materia che lo attira alla terra, con quel leggero pencolar delle ginocchia piegate, accentuato dal cader delle pieghe; ma il busto è eretto e il capo piegato, non abbandonato.
Il soffio della luce plasma di lievi increspature la sostanza eterea dell'esile corpo; ma
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RIMINI, TEMPIO MALATESTIANO - GIOTTO: CROCIFISSO
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RIMINI, TEMPIO MALATESTIANO - GIOTTO: CROCIFISSO (PARTICOLARI)
concentra ogni suo prodigio nel volto, evocando da un'ombra più fosca lo splendor della fronte pura e gli zigomi e il profilo sottile del naso; si ritrae timorosa dal cavo dell'orbite, dove s'affonda il sonno degli occhi inabissati; commenta lievemente lo spiro delle labbra.
Il colore, nella sua estrema sobrietà, quasi s'identifica col chiaroscuro, tanto che la corta barba nera non è se non un tono più forte nel risucchio dell' ombra livida.
La funzione del chiaroscuro è governata da un possente centro emotivo che se ne serve non a negare ma a trascendere ogni dato di realtà obbiettiva, di particolarismo mimico.
Dopo di che potremo, se vi piace, ammirare anche la modellatura, pur nella sua sommarietà, impeccabile e squisita e le abilissime trasparenze del perizoma, purchè queste non si intendano come sfoggio superfluo di virtuosismo tecnico, ma nel loro ufficio di rivelare quell'abbandono cadente delle coscie e delle gambe, e si ricordi,
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come il "tema" della trasparenza era già stato usato da Cimabue (Crocifisso del Museo di Santa Croce) e da altri.
Dinanzi a questo capolavoro credo che a pochi studiosi non si sia presentato spontaneo immediato e irresistibile come una rivelazione il nome di Giotto, sul quale è ormai d'accordo la maggioranza dei critici. 2) Ed è strano che nessuno, ch' io sappia, nemmeno dei nostri valorosi giovani, ai quali non manca certo il coraggio, l'abbia ancora stampato. Lo stesso Brandi che potè per primo vedere svelata la mirabile.' opera e che pur aveva rasentato la verità, ne . avea poi sùbito deviato per dubbi che egli conferma anche nella sua recente polemica contro il Salmi 3) e che mi sembrano scrupoli fuor di luogo. Se v'è un'opera dinanzi alla quale sia lecito abbandonarsi alla piena dell'ammirazione, è proprio questa. Certo è da mettersi in rilievo, che già da tempo il Toesca 4) con una intuizione davvero geniale, avea presagito
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e taltissima qualità e fassoluto giottismo di questo dipinto pur sotto i restauri e le ridipinture che lo deformavano. E d'altronde molto alta è anche la valutazione del Salmi, anch'essa anteriore alla ripulitura. 5)
Il Brandi non trova una fase dell'arte giottesca nella quale inserire il Crocifisso malatestiano, e perciò nega che sia di Giotto.
La conclusione potrebbe reggere se e quando di un artista potessimo conoscere la linea di sviluppo in continuità assoluta. Ma di quale artista possediamo un elenco così completo di tutte le opere compiute, una dopo l'altra, senza distacco, durante tutta la vita? E le opere non compiute, ma solamente sognate? le aspirazioni, che per non essere concretate non sono meno Il momenti" e quindi possibilità dell'artista? Perchè l'opera del genio non è meccanicamente consequenziaria nè quindi deterministicamente prevedi bile, e possedessimo anche quel famoso elenco, esso non basterebbe a escludere imprevedute esplosioni, come di specie nuove, purchè compatibili con l'organismo spirituale dell' artista.
Si tratterà dunque solamente di trovare il punto di questo cammino nel quale inserire il Crocifisso riminese; e allora avremo determinato anche la fase alla quale appartiene.
L'indagine storica esterna poco ci può servire. In primo luogo perchè, a rigore, non è necessario che il Crocifisso malatestiano sia stato dipinto durante il soggiorno di Giotto a Rimini e potrebbe esservi stato mandato da altro luogo; secondo perchè tale soggiorno è fissato solo con molta latitudine da un presunto termine ante quem: la notizia di Riccobaldo 6) scritta intorno
Comunque neanche valido è l'argomento che pare abbia determinato il Brandi al gran rifiuto, cioè 1'attenuato plasticismo, poichè tutto lo svolgimento dell 'arte giottesca è appunto, come ho accennato altrove, una progressiva attenuazione dell ' originaria vigoria, anzi rudezza plastica. FIRENZE, CHIESA DI S. MARIA NOVELLA - GIOTTO : CROCIFISSO (Fot. Brogi)
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FIRENZE, CHIESA DI S. FELICE IN PIAZZA - GIOTTO E SCOLARI : CROCIFISSO
Arenae Paduae". 7)
Quell' H agnoscitur " parrebbe accennare al sorgere della fama, e la notazione del fatto dopo altri accaduti intorno al I305 ben potrebbe collegarsi col compimento degli affreschi dell' Arena e di altre opere in Padova, dove forse Riccobaldo si trovava in quel tempo. Inoltre la mancata menzione dei lavori nella chiesa dei Minori di Firenze darebbe indizio di una stesura anteriore per lo meno alle pitture di Santa Croce. Ma quel Il fuerit" della proposizione seguente, Il quanto grande egli sia stato nell'arte dimostrano ... ecc." parrebbe riferirsi a persona non più tra i viventi. Sorge dunque la questione se si tratti di una interpolazione, aggiunta dopo la morte di Giotto e diRiccobaldo, o di una correzione da parte di qualche amanuense di un' ori-
al I3I3, ma inserita nell'ordine cronologico dei fatti ad un punto che sembra indicare l'anno I305 circa; terzo perchè questa testimonianza contemporanea sulla quale si è fatto finora tanto assegnamento è assai più vacillante che non si creda.
N essuno ha, infatti, badato alla consecutio temporum del passo della Compilatio chronologica che giova riportare Il Zotus pictor esimius florentinus agnoscitur; qualis arte fuerit, testantur opera facta per eum in Ecc1esiis Minorum Assisii, Arimini, Padue et ea quae pinxit in Palatio communis Padue et in Ecc1esia
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ginario Il sit" in Il fuerit "... 0, infine, di una sgrammaticatura riccobaldiana. Questione che non può esser risolta che dagli specialisti col 'confronto dei codici della Compilatio ed anche . dell' inedita Historia Romana. Qui pel momento dobbiamo limitarci ad una prudente riserva intorno al passo riccobaldiano; tanto più che il Ghiberti non ricorda opere di Giotto a Rimini.
Non resta quindi che affidarsi unicamente all' indagine stilisti ca, rivolgendola alla serie dei più accreditati Crocifissi giotteschi. 8)
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PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI - GIOTTO: LA CROCIFISSIONE (PARTICOLARE) (Fot. Anderson)
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PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, SAGRESTIA - GIOTTO : CROCIFISSO (Fot. Anderson)
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PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, SAGRESTIA
GIOTTO: CROCIFISSO (PARTICOLARE) (Fot. Alinari)
Per quello di Santa Maria Novella si ha una documentazione da soddisfare i più esigenti; 9)
il lascito del I5 giugno I3I2 per l'olio della lampada davanti il Crocifisso dipinto Il per egregium pictorem nomine Giottum Bondonis ". Non volendo rinnegare tale testimonianza il Venturi IO) la concilia con la scarsa valutazione dell'opera, parlando di bottega. Si trattasse di una chiesuola della campagna o del monte, sappiamo o pretendiamo sapere che i maestri non avean tanti scrupoli; ma per una delle più insigni chiese di Firenze, par poco credibile che Giotto licenziasse col suo nome e ne assumesse la responsabilità, un lavoro proprio di scarto, e nel quale non avesse per nulla posto mano; ammesso pure che altri - secondo il Vas ari Puccio Capanna - vi abbiano collaborato.
Certo il corpo del Cristo appare un po' tozzo e volgare, e soprattutto infelice sembra la postura del bacino e delle anche, girate un po' di tre quarti. II) Ma il volto ha una gagliarda severità, non priva di grandezza. Per quanto riguarda mezzi di espressione vi si nota un grado di
PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, SAGRESTIA
GIOTTO: CROCIFISSO (PARTICOLARE)
plasticismo che corrisponde assai bene a quello delle ultime storie di S. Francesco, ancor vigoroso se pure attenuato in confronto alle prime. E, per quanto se ne può ancora giudicare, si direbbe ch'esso ripeta, sia per quel lieve volgersi del torso, sia per il modo e grado del rec1inare il capo, il disegno del Crocifisso sull' iconostasi, nella scena del Gentiluomo incredulo. Sicchè penso che col quasi gemello, guastissim0 Crocifisso del Museo di Santa Croce si pOl.sa collocare immediatamente dopo Assisi e molto vicino alla Madonna di Ognissanti. 12) Nel Crocifisso di Santa Maria Novella, e probabilmente anche nell'altro, se pur non sieno interamente autografi, v' è certo oltre al pensiero, anche qualche parte di esecuzione del Maestro.
L'esemplare di S. Felice in Piazza è ancora, come i precedenti, intavolato nei modi tradizionali, coi tabelloni quadrati, alla fine dei bracci e l'espansione rettangolare dietro il torso del Cristo. Ma formalmente esso realizza una intenzione per la quale il Crocifisso di Santa Maria Novella è un tentativo di espressione ancora non
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interamente raggiunta. È il passaggio dal Cristo paziente di Giunta, del Maestro di S. Francesco, di Cimabue ad una nuova rappresentazione più
r
L'esecuzione non è finissima, sebbene vi sia già la trasparenza del perizoma e perciò si pensa volentieri a largo intervento di aiuti, ma nel disegno
la attuazione è ormai perfetta e rivela senza dubbio la mano del Maestro.
Il Crocifisso di Padova non è se non uno SVIluppo; sviluppo ch' è già forse una decadenza.
Il Weigelt 13)
lo ritiene distanziato di qualche tempo dagli affreschi, ciò che . . mI pare Impro-
pacata e serena; un ritorno al Crocifisso romanico dopo la parentesi bizantineggiante, ma integralmente rinnovati in quel sentimento di umani tà che è la sostanza più alta dell'arte di Giotto. Nel lt Christus patiens", il procombere in avanti del torso nell'arcuarsi esageratissimo trasfigura in simbolo drammatico del Martirio il dato realistico del cadere in avanti di un corpo morto appeso ai sostegni dei chiodi. Nel Cristo di Santa Maria Novella il cadere è un volgersi, cioè già un atto, in luogo di una passività;
FIRENZ.E, CHIESA DI OGNISSANTI - BOTTEGA DI GIOTTO: CROCIFISSO
babile, data la sua coincidenza quasi letterale col Crocifisso della Crocifissione a fresco. L'amplificato goticismo della rilegatura in oro, col trito e sovrabbondante orlo a fogliame, va certo oltre il gusto giottesco, sebbene forse di
e lo stacco dalla tradizione è accentuato dall'inversione della posa: i Crocifissi giunteschi e cimabueschi hanno l'arco del corpo tutto a destra; in quello di Santa Maria Novella a sinistra.
Nel Crocifisso di S. Felice la sintesi è trovata. Rimane ancora il girare del torso, ma ormai quasi impercettibile. Il senS0 di peso inerte è ridotto al cenno necessario e sufficiente del modico piegar le ginocchia; il torso eretto e il capo appena ' re dina, sono composti in una suprema pace che trascende il supremo dolore pur senza cancellarne le amare impronte.
codesto strafare sia più da far colpa ai committenti che sappiamo chi fossero, che non all'artista. E parrebbe che l'invenzione della croce terminata a lobi, divenuta subito comune, esca proprio dall'ambiente giottesco. Ma io ritengo, in ciò più radicale della stessa critica tedesca, che tanto la tavola del Crocifisso (ammesso dal Venturi ma negato dai tedeschi Rintelen e Weigelt) quanto l'affresco della Crocifissione (negato dal Venturi, ma ammesso dai tedeschi) siena opere di scuola, da un disegno di Giotto. 14)
Le due Croci fiorentine di Ognissanti e di San Marco, derivanti evidentemente dalla padovana,
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denotano una sempre minor comprensione del prototipo del Maestro. Entrambi i Crocifissi somigliantissimi fra di loro, accentuano la rilassatezza del corpo cadente; il volto diviene fatuo e affinato; la cadenza a fiocco a sinistra del perizoma (che a S. Felice piombava dritto) è, a Ognissanti, una conseguenza della piega trasversa nell' affresco di Padova, e diventa uno svolazzo superfluo a S. Marco, completamente fuori ormai, di ogni intendimento giottesco, e da far presagire addirittura Lorenzo Monaco. Più tardo questo di San Marco, ma tuttavia più fine, e con la bordura fogliacea molto simile a quella di Padova; più grossolano quello di Ognissanti, specialmente nelle figure dei Dolenti.
le tavolette terminali, ma i quarti di cerchio che smussano gli angoli all' intersezione dei bracci e alla fine del tabellone reclamano simili con
giunzioni anche alle estremità che non è possibile pensare altrimenti da mistilinee.
Ma il tabellone scende a lati diritti mentre a Padova si espande in basso in quelle piccole mezze lunette per simmetria coi quarti di cerchio superiori; ulteriore arricchimento del motivo ornamentale, che poi diviene comune.
Quello di Santa Felicita, giusta- FIRENZE, CHIESA DI S. MARCO - SCUOLA DI GIOTTO: CROCIFISSO
Il perizoma cade a piombo come a S. Felice, ma è più festonato. Nell'affresco di Padova, colle pieghe trasversali, si avvicina di più a quello di S. Felice, ma si allarga a sinistra in un'espansione a campana ch' è l'origine di quella specie di U volant" a mente avvicinato a
Pacino, piccolo e senza figure nei nali mi pare da considerarsi fuori
lobi termidella serie.
Nella quale v' è una lacuna fra il Crocifisso di S. Felice e quello di Padova, che par proprio la sede predisposta per quello di Rimini, tanto esso vi si inserisce convenevolmente e tanto in esso e per esso l'intera serie trova non solo saldatura di due parti ma unità logica e legame solidale di ogni membro.
Dal punto di vista iconografico e da quello stilisùco.
Iconograficamente. Intanto il malatestiano ci appare il primo Crocifisso a lobi. Mancano ora
Ognissanti; la tavola di Padova è più vicina a quella di Rimini. Identica nei tre, la impostazione del capo, del corpo, delle mani. Se si radiografassero questi corpi gli scheletri si sovrapporrebbero esattamente.
Ma solo in quello di Rimini ha pienezza e chiarezza di significato, prima non ancora compiutamente espressa, subito dopo fraintesa, la nuova altissima concezione giottesca del Crocifisso, che riassume in sè tutta la somma del dolore umano, ma anche lo trascende coll'offerta del sacrificio volontario nella quale si rasserena la Divinità. È insieme il Il Christus patiens", l'Uomo e il Il Christus triumphans" , il Dio,
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solo in tale liricità si poteva realizzare questa sublime,: vera e propria catarsi cristiana ch' è l'alta e complessa concezione spirituale di Giotto.
Dal Crocifisso di Santa Maria Novella a quello di S. Felice, a questo di Rimini è un progressivo attenuarsi della corporeità, senza che si svigorisca il contrasto chiaroscurale, che anzi è potente a Rimini. Al di là di questo vertice, l'incorporeità diventa piattezza, il chiaroscuro si svuota, non senza qualche ricaduta in particolarismi realistici. Quello stupendo velo di mistero denso sugli occhi e alla bocca s'è, a Padova, dissolto, e gli occhi riemergono spenti, e la bocca è fin troppo ben disegnata; siamo già in uno stadio morbido e opaco, preannuncio alle debolezze gotiche degli ultimi due di S. Marco e di Ognissanti.
PERG0LA, CATTEDRALE - CROCIFISSO GIOTTESCO ROMAGNOLO
Sarebbe questo luminismo la fase, o vorremo dir meglio il momento, nuovo e impossibile nell'arte di Giotto? Nuovo forse. Ma non certo impossibile. Perchè le quante volte la interiorità dello spirito più intensamente scuote e brucia le figure giottesche - Il fuoco dietro l'alabastro" - vediamo la luce mutarsi da una funzione plastica ad una lirica. Si considerino quasi tutti i volti magnetici del Cristo a Padova in quelle scene dove più personale è il lavoro del Maestro (per
e entrambi li supera in una mirabile sintesi dell'umano e del divino, 15) nella quale il senso della morte è appena suggerito marginalmente, con somma discrezione, nel cadere inerte delle ginocchia; mentre, al richiamo della luce, il petto sembra debba risollevarsi, la bocca dissuggellarsi al respiro.
La luce; ed eccoci al punto cruciale della nostra disamina: è qui l'elemento dominante della espressione formale.
La modulazione chiaroscurale è qui trasposta dal linguaggio plastico in quello luministico; più intensamente e profondamente lirico, perchè risolve, senza residuo, in miti, i dati obiettivi.
Raggiungimento che pone anche stilisticamente questo Crocifisso al vertice della parabola, perchè
esempio il Battesimo, la Risurrezione di Lazzaro). Sicchè, a conclusione, nel Crocifisso di Rimini
io credo si possa riconoscere non solo un'opera di Giotto, ma il più bello ed alto di tutti i Crocifissi giotteschi; quello che dà ragione di tutti gli altri; forse il solo nel quale egli in persona e senza intervento deteriorante di aiuti abbia compiutamente realizzato la sua visione mirabile.
Dopodichè mi si consenta ancora una giunta d'ordine strettamente filologica.
Il Crocifisso di Rimini è mutilo dei lobi terminali; resta solo un lembo del mantello della Vergine a destra. Ma possiamo ricostruirlo.
Tra la monotona serie dei Crocifissi romagnoli,16) quello del Palazzo Ducale di Urbino,
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già dal Serra e da altri attribuito al Baronzio, dal Salmi al Maestro della Incoronazione di Urbino, dal Brandi 17)
a un fabrianese -riminese e che secondo me appartiene alla schiera più bolognesizzante dei romagnoli, non senza contatti con Pietro, ha singolare somiglianza con quello di Padova nel S. Giovanni che abbassa il capo incassandolo tra le spalle, in una posa che esagera quella di Padova ma evidentemente ne deriva, distinguendosi dal grande consueto repertorio di atteggiamenti poco variati del Dolente. Credo se ne possa concludere che anche per la figura del S. Giovanni, il Crocifisso malatestiano al quale più o meno tutti i romagnoli si sono ispirati, dovea essere simile al padovano; e così si può pensare anche per la Madonna, in atto di arretrarsi atterrita, poichè un atteggiamento analogo, ma trasferito
TALAMELLO, CHIESA PARROCCHIALE - CROCIFISSO GIOTTESCO (Fot. Anderson)
con qualche variante nel S. Giovanni, notiamo in altro Crocifisso romagnolo, quello di S. Arcangelo, dal Brandi 18) attribuito a Pietro. Infine, sempre per analogia con Padova, confermata da
I) N. 7 del Catalogo BRANDI, pago XXI-XXII, .- 20-23·
2) So che per esempio il Fiocco ha esposto una simile opinione nelle sue lezioni giottesche del corso padovano, 1935 - 36.
3) Ne La Critica d'arte, 1936 - V, pago 235. 4) Dal Brandi citato nel surricordato articolo pole
mico ma non nel Catalogo.
molte imitazioni romagnole, possiamo arguire che il Crocifisso malatestiano fosse sormontato dall' Eterno benedicente, mentre gli anteriori fiorentini hanno il Pellicano. LUIGI COLETTI
5) Ora il Lavagnino (St. dell'arte medioevale, 1936) colloca il Crocefisso, nella cerchia di Pietro, pur ritenendolo non indegno di Giotto!
6) Su Riccobaldo si vedano gli studi di A. F. Massera che ne ha trattato a più riprese nell' Archivio Muratoriano, e in ispecie II, pago 449 segg. e Bullettino Società Dantesca Italiana, 1915, pago 168 segg.; non ricordati nella voce dell' Enciclopedia Italiana.
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URBINO, PALAZZO DUCALE CROCIFISSO GIOTTESCO ROMAGNOLO (PARTICOLARE)
(Fot. Anderson)
7) RR. II. ss. IX. Nel correggere le bozze e nel riesaminare il Rintelen vedo che anch'egli (2 pagg. 152-3, 244, n. 156) aveva affacciato dei dubbi sulla autenticità del passo Riccobaldiano. Ma L. Venturi (L'Arte, 1918, pago 235) non li aveva ritenuti validi, ed anzi dall'autorità di Riccobaldo che non cita lavori romani ricavava altri argomenti per ritardare l'andata di Giotto a Roma.
8) Oltre a quanto si dirà in altre note, accenno alle indicazioni delle fonti e ai giudizi dei critici sui più importanti Crocifissi giotteschi. Il Ghiberti ricorda quelli di Santa Maria Novella e di Ognissanti; il Vas ari aggiunge quello di S. Marco. Tra i critici moderni il Thode ammette tutti tre i vasariani e inoltre quello di S. Felice; il Cavalcaselle solo quello di S. Marco; pel Venturi son tutti di bottega; pel Rintelen, apocrifi tutti; migliore quello di Santa Maria Novella (del quale, nella seconda edizione, 1923, pago 225, rinnega la sua precedente attribuzione a Spinello), dovrebbe esser ' d'accordo col Suida, posteriore alle opere di Padova ancor migliore, ma sempre opera di seguace, quello dell' Arena; il Siren ricorda solo quello di S. Felice forse di Puccio. Secondo la Vavalà (croce dipinta) di Giotto solo quello dell'Arena; pel Berenson (ed. italiana 1936) solo questo è autografo in gran parte, di aiuti, nella stessa bottega del Maestro, quelli di S. Felice e di Rimini, di seguaci quelli di Santa Maria Novella (identificato con quello del doc. 1312) di S. Marco e di Ognissanti.
9) Non se ne accontenta il WEIGELT (Giotto, XLVIII) radicale come sempre, e ritiene perduto il Crocifisso del documento, che i più identificano in quello esistente
ancor oggi di evidentissimi caratteri giotteschi. Il doc. in VASARI-MILANESI, I, pago 394-95. Anche lo SCHLOSSER nelle note al GHIBERTI (II, II9) nega l'identificazione e comunque crede difficilmente di Giotto il Crocifisso attualmente a Santa Maria Novella. Così il Siren (I, 24). Ma esso è citato anche dal Ghiberti, e proprio Il sopra la porta di mezzo II dal Billi, e dagli altri ghibertiani, fino al Vasari. Manca al Borghini, ma ritorna nel Baldinucci. Sicchè sebbene ne tacciano guide successive, come il Bocci-Cinelli e il Richa, non mi pare vi sia proprio serio motivo di dubitare della identificazione.
IO) Storia, V, pago 305-6, 407. II) Simile è la postura del Cristo nella Crocifissione
a musaico del Battistero di Firenze, e nella Croce argentea perugina (VAVALÀ, fig. 57); nonchè nel Crocifisso di Deodato Orlandi, meschina imitazione (VAVALÀ, fig. 557) la cui data 1301 potrebbe forse offrire un termine ante quem per i due Crocifissi di Santa Maria Novella e di S. Felice.
12 ) Anche il Fiocco ritiene a ragione la Madonna di Ognissanti anteriore a Padova.
13) Pago 240: opera di scolaro; per confronti colla Crocifissione che sarebbe invece del Maestro. Così il Rintelen (2 225, 7) che esalta molto l'affresco (50, 2).
14) Cosi la Crocefissione di Berlino, nella quale il Crocifisso deriva dal Crocifisso in tavola di Padova (cadenza del perizoma che lievemente si differenzia da quello della Crocifissione a fresco).
15) Sia precisato che qui io non intendo la deificazione dell'uomo o umanizzazione del Dio, che sarebbe uno dei motivi giotteschi secondo L. VENTURI (Introduzione nell' arte di Giotto, ne L'Arte, 1919, pago 57). Meglio interpretata la spiritualità giottesca in Gusto dei Primitivi, pago 247 - 8.
16) Si noti, che qualcuno sembra ispirarsi ad altri prototipi giotteschi: ciò che dimostra probabilmente l'andata a Firenze di qualche Romagnolo secondario. Così quello di Pergola (Catalogo n. 50) è una tarda derivazione da quello di Santa Maria Novella. Quello invece di Talamello si avvicina tanto a quello di S. Felice da sembrare anteriore (come tipo) al malatestiano e forse lo si potrebbe credere piuttosto importato che eseguito in Romagna.
17) Catalogo, n. 47, pago 124. 18) Catalogo, n. 17, pago 52. Leggo il Giotto di CECCHI, or ora uscito. Si direbbe
proprio che, dinanzi al Crocifisso di Rimini, anche i più scaltriti e sottili critici, vogliano repugnare alla verità, suadente diabolo. Come è possibile parlare di Il genio" di "miracoli (sic) disegnativi e di chiaroscuri II e poi ricadere nella solita attribuzione ad "aiuti II sia pur sotto la guida del Maestro? Gli aiuti di bottega non han mai fatto miracoli; e il genio e l'arte non sono trasmissibili per dettatura.
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