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NOTE GIOTTESCHE: IL CROCIFISSO DI RIMINI A filemio amico Silla Rosa. 32) VOLBACH in Archivio della...

Date post: 27-Mar-2019
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22) GRISAR, fig. 43, 44, pago 146; MARc ROSENBERG, Goldschmiedemerkzeichen, Francoforte 1928, voI. IV, n. 9972, pago 707. 23) BRÉHIER in Byzantin. Zeitschrift, 1903, pago I. 24) GARDTHAUSEN, Byz. neugr. Iahrh., VIII, II 4. DIEHL, Ch. Manuel d'Art byzantin, Parigi 1925, I, pago II4. 25) HULSEN C., Le Chiese di Roma, Firenze 1927, pago 429. 26) TOEsCA P., Storia dell'Arte italiana, pago 222, fig. 138. 27) MOREY in The Art Bulletin, XI, pago 49; KITZIN- GER E., Romische Malerei des 7- 8 Iahrh. Diss., 1935. 28) WILPERT, Romische Mosaiken und Malereien, Fri- burgo 1916, IV, tav . 188; VAN MARLE R., Le scuole della Pittura Italiana, L'Aja e Milano 1932, I, pago 80. 29) TOEsCA, pago 1025; HENZE C., Mater de perpetuo succursu, Bonn 1926. 3 0 ) CARUSI in Atti del I Congresso naz. di Studi Ro- mani, pago 517. 31) WILPERT, IV, Tav. 196, come mi ha ricordato il mio amico Silla Rosa. 32) VOLBACH in Archivio della R. Deput. romana di Storia patria, 1936, pago 153. 33) B. DE MONTAULT in Rev. de l'Art chrét., 1893, pag·376• 34) LIBAERT P. in Mélanges d'Archéol. et d'Hist., Rome 1913, XXXII, pago 479 con la vecchia biblio- grafia. 35) DALTON O. M., Catalogue of Early Christian Anti- quities, 1901, Pl. XXIV. 3 6 ) SMIRNOV R., Argenterie orientale, Pietroburgo 1909. 37) MATZULEWITSCH, Byzantische Antike, Berlino 1929, Tav. 4 e II5. 38) SARRE in Ausstellung von Meisterwerken muham. Kunst, Monaco 1912, Tav. 126. 39) SARRE F., Die Kunst des alten Persien, Berlino 1925, Tav. 134. 4 0 ) ORSI in Byzantin. Zeitschr., XXI, 1912, pago 196, fig. 9. 4 1 ) HULSEN, pago 206 con bibliografia. 42) MABILLON I., Museum italicum, Paris 1724, I, pago 97; GAY V., Glossaire, I, pago 252, fig. B. 43) BRAUN J., Das christliche Altargeriit, Miinchen 1932, pago 38. 44) PÉZARD, La céramique arch. de l'Islam, 1920; F. SARRE mi afferma che crede a una origine egiziana. 45) SARRE F., Die Keramik von Samarra, Berlino 1925, Tav. III, 5. 4 6 ) LAUER, fig. 16. Per la Germania vedi RADEMA- CHER F., Die deutschen Gliiser des Mittelalters, Berlino 1933, pago 7 e Mostra di Darmstadt 1935, Deutsches Glas, Catalogo, Tav. 40. 47) LAMM, Tav. 12. 48) FRANCHI DE' CAVALIERI in Riv. di arch. crist., XI, pago 259. 49) LAMM, Tav. 28, n. I7, pago 93. so) CECCHELLI in Dedalo, 1926, pago 231. SI) COLASSANTI in Dedalo, 1933, pago 282; cfr. il Cristo a Galatina (Castelfranco in Boll. d'Arte, 1927, pago 289). 52) VOLBACH, Guida, I, Museo Sacro, 1935, Tav. III. 53) WULFF-ALPATOFF, Denkmaeler der Ikonenmalerei, Hellerau 1925; DIEHL, II, pago 563. 54) PRESTON T. W., The bronze Doors of the Ab- bey of Montecassino and S. Paul, Princeton 1915; TOEscA P., Storia dell'Arte Italiana, Torino 1927, pago 1105. 55) DAREMBERG-SAGLIO, Dictionnaire, II, pago 877; ORSI in Byz. Zeitschr., 1912, pago 204. 56) FROTINGHAM in American Journal of Arch., 1895, pago 152; DALTON O. M., East christian Art, Oxford 1925, pago 57. NOTE GIOTTESCHE: IL CROCIFISSO DI RIMINI A LLA Mostra riminese dello scorso anno davanti un' opera che per la sua forza mo- rale, cioè, in termini artistici, intensità di com- mozione interiore e coerente sincerità di espres- sione, rivelava animo e mano di un sommo, impallidiva ancor più l'aurea mediocrità di quella scuola di eclettici raffinati e di preziosi volgarizzatori: il Cristo Crocifisso del Tempio malatestiano. I) Un canto funebre d'una tragicità eschilea, di una grandezza beethoveniana; pur nella sua con- CISIone, alla quale persino si direbbe avesse 35 0 giovato la mutilazione delle figure nei lobi. La Vittima divina pende chinando il capo stanco, vinto non dalla potenza esterna della morte, ma dalla propria volontà di dolore e di amore. Il Fiat voluntas tua". Solo gli arti inferiori ci dànno il senso greve del corpo esanime cedente sotto il peso della materia che lo attira alla terra, con quel leggero pencolar delle ginocchia piegate, accentuato dal cader delle pieghe; ma il busto è eretto e il capo piegato, non abbandonato. Il soffio della luce plasma di lievi increspa- ture la sostanza eterea dell'esile corpo; ma ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte
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22) GRISAR, fig. 43, 44, pago 146; MARc ROSENBERG, Goldschmiedemerkzeichen, Francoforte 1928, voI. IV, n. 9972, pago 707.

23) BRÉHIER in Byzantin. Zeitschrift, 1903, pago I.

24) GARDTHAUSEN, Byz. neugr. Iahrh., VIII, II 4. DIEHL, Ch. Manuel d'Art byzantin, Parigi 1925, I, pago II4.

25) HULSEN C., Le Chiese di Roma, Firenze 1927, pago 429.

26) TOEsCA P., Storia dell'Arte italiana, pago 222, fig. 138.

27) MOREY in The Art Bulletin, XI, pago 49; KITZIN­GER E., Romische Malerei des 7- 8 Iahrh. Diss., 1935.

28) WILPERT, Romische Mosaiken und Malereien, Fri­burgo 1916, IV, tav. 188; VAN MARLE R., Le scuole della Pittura Italiana, L'Aja e Milano 1932, I, pago 80.

29) TOEsCA, pago 1025; HENZE C., Mater de perpetuo succursu, Bonn 1926.

30 ) CARUSI in Atti del I Congresso naz. di Studi Ro­mani, pago 517.

31) WILPERT, IV, Tav. 196, come mi ha ricordato il mio amico Silla Rosa.

32) VOLBACH in Archivio della R. Deput. romana di Storia patria, 1936, pago 153.

33) B. DE MONTAULT in Rev. de l'Art chrét., 1893, pag·376•

34) LIBAERT P. in Mélanges d'Archéol. et d'Hist., Rome 1913, XXXII, pago 479 con la vecchia biblio­grafia.

35) DALTON O. M., Catalogue of Early Christian Anti­quities, 1901, Pl. XXIV.

36) SMIRNOV R., Argenterie orientale, Pietroburgo 1909.

37) MATZULEWITSCH, Byzantische Antike, Berlino 1929, Tav. 4 e II5.

38) SARRE in Ausstellung von Meisterwerken muham. Kunst, Monaco 1912, Tav. 126.

39) SARRE F., Die Kunst des alten Persien, Berlino 1925, Tav. 134.

40 ) ORSI in Byzantin. Zeitschr., XXI, 1912, pago 196, fig. 9.

41 ) HULSEN, pago 206 con bibliografia. 42) MABILLON I., Museum italicum, Paris 1724, I,

pago 97; GAY V., Glossaire, I, pago 252, fig. B. 43) BRAUN J., Das christliche Altargeriit, Miinchen

1932, pago 38. 44) PÉZARD, La céramique arch. de l'Islam, 1920;

F. SARRE mi afferma che crede a una origine egiziana. 45) SARRE F., Die Keramik von Samarra, Berlino 1925,

Tav. III, 5. 46) LAUER, fig. 16. Per la Germania vedi RADEMA­

CHER F., Die deutschen Gliiser des Mittelalters, Berlino 1933, pago 7 e Mostra di Darmstadt 1935, Deutsches Glas, Catalogo, Tav. 40.

47) LAMM, Tav. 12. 48) FRANCHI DE' CAVALIERI in Riv. di arch. crist., XI,

pago 259. 49) LAMM, Tav. 28, n. I7, pago 93. so) CECCHELLI in Dedalo, 1926, pago 231. SI) COLASSANTI in Dedalo, 1933, pago 282; cfr. il

Cristo a Galatina (Castelfranco in Boll. d'Arte, 1927, pago 289).

52) VOLBACH, Guida, I, Museo Sacro, 1935, Tav. III. 53) WULFF-ALPATOFF, Denkmaeler der Ikonenmalerei,

Hellerau 1925; DIEHL, II, pago 563. 54) PRESTON T. W., The bronze Doors of the Ab­

bey of Montecassino and S. Paul, Princeton 1915; TOEscA P., Storia dell'Arte Italiana, Torino 1927, pago 1105.

55) DAREMBERG-SAGLIO, Dictionnaire, II, pago 877; ORSI in Byz. Zeitschr., 1912, pago 204.

56) FROTINGHAM in American Journal of Arch., 1895, pago 152; DALTON O. M., East christian Art, Oxford 1925, pago 57.

NOTE GIOTTESCHE: IL CROCIFISSO DI RIMINI

ALLA Mostra riminese dello scorso anno davanti un' opera che per la sua forza mo­

rale, cioè, in termini artistici, intensità di com­mozione interiore e coerente sincerità di espres­sione, rivelava animo e mano di un sommo, impallidiva ancor più l'aurea mediocrità di quella scuola di eclettici raffinati e di preziosi volgarizzatori: il Cristo Crocifisso del Tempio malatestiano. I)

Un canto funebre d'una tragicità eschilea, di una grandezza beethoveniana; pur nella sua con­CISIone, alla quale persino si direbbe avesse

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giovato la mutilazione delle figure nei lobi. La Vittima divina pende chinando il capo stanco, vinto non dalla potenza esterna della morte, ma dalla propria volontà di dolore e di amore. Il Fiat voluntas tua". Solo gli arti inferiori ci dànno il senso greve del corpo esanime cedente sotto il peso della materia che lo attira alla terra, con quel leggero pencolar delle ginocchia piegate, accentuato dal cader delle pieghe; ma il busto è eretto e il capo piegato, non abbandonato.

Il soffio della luce plasma di lievi increspa­ture la sostanza eterea dell'esile corpo; ma

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RIMINI, TEMPIO MALATESTIANO - GIOTTO: CROCIFISSO

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RIMINI, TEMPIO MALATESTIANO - GIOTTO: CROCIFISSO (PARTICOLARI)

concentra ogni suo prodigio nel volto, evocando da un'ombra più fosca lo splendor della fronte pura e gli zigomi e il profilo sottile del naso; si ritrae timorosa dal cavo dell'orbite, dove s'af­fonda il sonno degli occhi inabissati; commenta lievemente lo spiro delle labbra.

Il colore, nella sua estrema sobrietà, quasi s'identifica col chiaroscuro, tanto che la corta barba nera non è se non un tono più forte nel risucchio dell' ombra livida.

La funzione del chiaroscuro è governata da un possente centro emotivo che se ne serve non a negare ma a trascendere ogni dato di realtà obbiettiva, di particolarismo mimico.

Dopo di che potremo, se vi piace, ammirare anche la modellatura, pur nella sua sommarietà, impeccabile e squisita e le abilissime trasparenze del perizoma, purchè queste non si intendano come sfoggio superfluo di virtuosismo tecnico, ma nel loro ufficio di rivelare quell'abbandono cadente delle coscie e delle gambe, e si ricordi,

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come il "tema" della trasparenza era già stato usato da Cimabue (Crocifisso del Museo di Santa Croce) e da altri.

Dinanzi a questo capolavoro credo che a pochi studiosi non si sia presentato spontaneo immediato e irresistibile come una rivelazione il nome di Giotto, sul quale è ormai d'accordo la maggioranza dei critici. 2) Ed è strano che nessuno, ch' io sappia, nemmeno dei nostri valo­rosi giovani, ai quali non manca certo il corag­gio, l'abbia ancora stampato. Lo stesso Brandi che potè per primo vedere svelata la mirabile.' opera e che pur aveva rasentato la verità, ne . avea poi sùbito deviato per dubbi che egli conferma anche nella sua recente polemica contro il Salmi 3) e che mi sembrano scrupoli fuor di luogo. Se v'è un'opera dinanzi alla quale sia lecito abbandonarsi alla piena dell'ammira­zione, è proprio questa. Certo è da mettersi in rilievo, che già da tempo il Toesca 4) con una intuizione davvero geniale, avea presagito

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e taltissima qualità e fassoluto giottismo di questo dipinto pur sotto i restauri e le ridipin­ture che lo deformavano. E d'altronde molto alta è anche la valutazione del Salmi, anch'essa anteriore alla ripulitura. 5)

Il Brandi non trova una fase dell'arte giot­tesca nella quale inserire il Crocifisso malate­stiano, e perciò nega che sia di Giotto.

La conclusione potrebbe reggere se e quando di un artista potessimo conoscere la linea di sviluppo in continuità assoluta. Ma di quale artista possediamo un elenco così completo di tutte le opere compiute, una dopo l'altra, senza distacco, durante tutta la vita? E le opere non compiute, ma solamente sognate? le aspirazioni, che per non essere concretate non sono meno Il momenti" e quindi possibilità dell'artista? Perchè l'opera del genio non è meccanicamente con­sequenziaria nè quindi deterministicamente prevedi bile, e possedes­simo anche quel famoso elenco, esso non baste­rebbe a escludere im­prevedute esplosioni, come di specie nuove, purchè compatibili con l'organismo spiri­tuale dell' artista.

Si tratterà dunque solamente di trovare il punto di questo cammino nel quale inserire il Croci­fisso riminese; e allora avremo determinato anche la fase alla quale appartiene.

L'indagine storica esterna poco ci può servire. In primo luogo perchè, a rigore, non è neces­sario che il Crocifisso malatestiano sia stato dipinto durante il soggiorno di Giotto a Rimini e potrebbe esservi stato mandato da altro luogo; secondo perchè tale soggiorno è fissato solo con molta latitudine da un presunto termine ante quem: la notizia di Riccobaldo 6) scritta intorno

Comunque neanche valido è l'argomento che pare abbia deter­minato il Brandi al gran rifiuto, cioè 1'at­tenuato plasticismo, poichè tutto lo svolgi­mento dell 'arte giotte­sca è appunto, come ho accennato altrove, una progressiva attenuazione dell ' originaria vigoria, anzi rudezza plastica. FIRENZE, CHIESA DI S. MARIA NOVELLA - GIOTTO : CROCIFISSO (Fot. Brogi)

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FIRENZE, CHIESA DI S. FELICE IN PIAZZA - GIOTTO E SCOLARI : CROCIFISSO

Arenae Paduae". 7)

Quell' H agnoscitur " parrebbe accennare al sorgere della fama, e la notazione del fatto dopo altri accaduti intorno al I305 ben potrebbe collegarsi col compimento degli af­freschi dell' Arena e di altre opere in Pa­dova, dove forse Ric­cobaldo si trovava in quel tempo. Inoltre la mancata menzione dei lavori nella chiesa dei Minori di Firenze darebbe indizio di una stesura anteriore per lo meno alle pitture di Santa Croce. Ma quel Il fuerit" della proposizione seguente, Il quanto grande egli sia stato nell'arte dimo­strano ... ecc." parreb­be riferirsi a persona non più tra i viventi. Sorge dunque la que­stione se si tratti di una interpolazione, ag­giunta dopo la morte di Giotto e diRiccobaldo, o di una correzione da parte di qualche amanuense di un' ori-

al I3I3, ma inserita nell'ordine cronologico dei fatti ad un punto che sembra indicare l'anno I305 circa; terzo perchè questa testimonianza contem­poranea sulla quale si è fatto finora tanto asse­gnamento è assai più vacillante che non si creda.

N essuno ha, infatti, badato alla consecutio temporum del passo della Compilatio chronologica che giova riportare Il Zotus pictor esimius florentinus agnoscitur; qualis arte fuerit, tes­tantur opera facta per eum in Ecc1esiis Mino­rum Assisii, Arimini, Padue et ea quae pinxit in Palatio communis Padue et in Ecc1esia

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ginario Il sit" in Il fuerit "... 0, infine, di una sgrammaticatura riccobaldiana. Questione che non può esser risolta che dagli specialisti col '­confronto dei codici della Compilatio ed anche . dell' inedita Historia Romana. Qui pel momento dobbiamo limitarci ad una prudente riserva intorno al passo riccobaldiano; tanto più che il Ghiberti non ricorda opere di Giotto a Rimini.

Non resta quindi che affidarsi unicamente all' indagine stilisti ca, rivolgendola alla serie dei più accreditati Crocifissi giotteschi. 8)

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PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI - GIOTTO: LA CROCIFISSIONE (PARTICOLARE) (Fot. Anderson)

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PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, SAGRESTIA - GIOTTO : CROCIFISSO (Fot. Anderson)

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PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, SAGRESTIA

GIOTTO: CROCIFISSO (PARTICOLARE) (Fot. Alinari)

Per quello di Santa Maria Novella si ha una documentazione da soddisfare i più esigenti; 9)

il lascito del I5 giugno I3I2 per l'olio della lampada davanti il Crocifisso dipinto Il per egregium pictorem nomine Giottum Bondonis ". Non volendo rinnegare tale testimonianza il Venturi IO) la concilia con la scarsa valutazione dell'opera, parlando di bottega. Si trattasse di una chiesuola della campagna o del monte, sappiamo o pretendiamo sapere che i maestri non avean tanti scrupoli; ma per una delle più insigni chiese di Firenze, par poco credibile che Giotto licenziasse col suo nome e ne assumesse la responsabilità, un lavoro proprio di scarto, e nel quale non avesse per nulla posto mano; ammesso pure che altri - secondo il Vas ari Puccio Capanna - vi abbiano collaborato.

Certo il corpo del Cristo appare un po' tozzo e volgare, e soprattutto infelice sembra la po­stura del bacino e delle anche, girate un po' di tre quarti. II) Ma il volto ha una gagliarda seve­rità, non priva di grandezza. Per quanto riguarda mezzi di espressione vi si nota un grado di

PADOVA, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, SAGRESTIA

GIOTTO: CROCIFISSO (PARTICOLARE)

plasticismo che corrisponde assai bene a quello delle ultime storie di S. Francesco, ancor vigo­roso se pure attenuato in confronto alle prime. E, per quanto se ne può ancora giudicare, si direbbe ch'esso ripeta, sia per quel lieve volgersi del torso, sia per il modo e grado del rec1inare il capo, il disegno del Crocifisso sull' icono­stasi, nella scena del Gentiluomo incredulo. Sicchè penso che col quasi gemello, guastissim0 Crocifisso del Museo di Santa Croce si pOl.sa collocare immediatamente dopo Assisi e molto vicino alla Madonna di Ognissanti. 12) Nel Cro­cifisso di Santa Maria Novella, e probabilmente anche nell'altro, se pur non sieno interamente autografi, v' è certo oltre al pensiero, anche qualche parte di esecuzione del Maestro.

L'esemplare di S. Felice in Piazza è ancora, come i precedenti, intavolato nei modi tradizio­nali, coi tabelloni quadrati, alla fine dei bracci e l'espansione rettangolare dietro il torso del Cristo. Ma formalmente esso realizza una inten­zione per la quale il Crocifisso di Santa Maria Novella è un tentativo di espressione ancora non

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interamente raggiunta. È il passaggio dal Cristo paziente di Giunta, del Maestro di S. Francesco, di Cimabue ad una nuova rappresentazione più

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L'esecuzione non è finissima, sebbene vi sia già la trasparenza del perizoma e perciò si pensa volen­tieri a largo intervento di aiuti, ma nel disegno

la attuazione è ormai perfetta e rivela senza dub­bio la mano del Maestro.

Il Crocifisso di Padova non è se non uno SVI­luppo; sviluppo ch' è già forse una decadenza.

Il Weigelt 13)

lo ritiene distan­ziato di qualche tempo dagli af­freschi, ciò che . . mI pare Impro-

pacata e serena; un ritorno al Cro­cifisso romanico dopo la parentesi bizantineggiante, ma integralmente rinnovati in quel sentimento di umani tà che è la sostanza più alta dell'arte di Giot­to. Nel lt Chri­stus patiens", il procombere in avanti del torso nell'arcuarsi esa­geratissimo tra­sfigura in sim­bolo drammatico del Martirio il dato realistico del cadere in avanti di un cor­po morto appeso ai sostegni dei chiodi. Nel Cri­sto di Santa Maria Novella il cadere è un vol­gersi, cioè già un atto, in luogo di una passività;

FIRENZ.E, CHIESA DI OGNISSANTI - BOTTEGA DI GIOTTO: CROCIFISSO

babile, data la sua coincidenza quasi letterale col Crocifisso della Crocifis­sione a fresco. L'amplificato goticismo della rilegatura in oro, col trito e so­vrabbondante orlo a fogliame, va certo oltre il gusto giottesco, sebbene forse di

e lo stacco dalla tradizione è accentuato dal­l'inversione della posa: i Crocifissi giunteschi e cimabueschi hanno l'arco del corpo tutto a destra; in quello di Santa Maria Novella a sinistra.

Nel Crocifisso di S. Felice la sintesi è trovata. Rimane ancora il girare del torso, ma ormai quasi impercettibile. Il senS0 di peso inerte è ridotto al cenno necessario e sufficiente del modico piegar le ginocchia; il torso eretto e il capo appena ' re dina, sono composti in una suprema pace che trascende il supremo dolore pur senza cancellarne le amare impronte.

codesto strafare sia più da far colpa ai commit­tenti che sappiamo chi fossero, che non all'ar­tista. E parrebbe che l'invenzione della croce terminata a lobi, divenuta subito comune, esca proprio dall'ambiente giottesco. Ma io ritengo, in ciò più radicale della stessa critica tedesca, che tanto la tavola del Crocifisso (ammesso dal Ven­turi ma negato dai tedeschi Rintelen e Weigelt) quanto l'affresco della Crocifissione (negato dal Venturi, ma ammesso dai tedeschi) siena opere di scuola, da un disegno di Giotto. 14)

Le due Croci fiorentine di Ognissanti e di San Marco, derivanti evidentemente dalla padovana,

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denotano una sempre minor comprensione del prototipo del Maestro. Entrambi i Crocifissi somi­gliantissimi fra di loro, accentuano la rilassatezza del corpo cadente; il volto diviene fatuo e affinato; la cadenza a fiocco a sinistra del perizoma (che a S. Felice piombava dritto) è, a Ognis­santi, una conse­guenza della piega trasversa nell' affre­sco di Padova, e di­venta uno svolazzo superfluo a S. Mar­co, completamente fuori ormai, di ogni intendimento giot­tesco, e da far presa­gire addirittura Lo­renzo Monaco. Più tardo questo di San Marco, ma tuttavia più fine, e con la bor­dura fogliacea molto simile a quella di Pa­dova; più grossolano quello di Ognissanti, specialmente nelle figure dei Dolenti.

le tavolette terminali, ma i quarti di cerchio che smussano gli angoli all' intersezione dei bracci e alla fine del tabellone reclamano simili con­

giunzioni anche alle estremità che non è possibile pensare altrimenti da mi­stilinee.

Ma il tabellone scende a lati diritti mentre a Padova si espande in basso in quelle piccole mez­ze lunette per sim­metria coi quarti di cerchio superiori; ulteriore arricchi­mento del motivo ornamentale, che poi diviene comune.

Quello di Santa Felicita, giusta- FIRENZE, CHIESA DI S. MARCO - SCUOLA DI GIOTTO: CROCIFISSO

Il perizoma cade a piombo come a S. Felice, ma è più festonato. Nell'af­fresco di Padova, colle pieghe tra­sversali, si avvicina di più a quello di S. Felice, ma si allarga a sinistra in un'espansione a campana ch' è l'ori­gine di quella spe­cie di U volant" a mente avvicinato a

Pacino, piccolo e senza figure nei nali mi pare da considerarsi fuori

lobi termi­della serie.

Nella quale v' è una lacuna fra il Crocifisso di S. Felice e quello di Padova, che par proprio la sede predisposta per quello di Rimini, tanto esso vi si inserisce convenevolmente e tanto in esso e per esso l'intera serie trova non solo saldatura di due parti ma unità logica e legame solidale di ogni membro.

Dal punto di vista iconografico e da quello stilisùco.

Iconograficamente. Intanto il malatestiano ci appare il primo Crocifisso a lobi. Mancano ora

Ognissanti; la tavola di Padova è più vicina a quella di Rimini. Identica nei tre, la impo­stazione del capo, del corpo, delle mani. Se si radiografassero questi corpi gli scheletri si sovrapporrebbero esattamente.

Ma solo in quello di Rimini ha pienezza e chiarezza di significato, prima non ancora com­piutamente espressa, subito dopo fraintesa, la nuova altissima concezione giottesca del Croci­fisso, che riassume in sè tutta la somma del dolore umano, ma anche lo trascende coll'offerta del sacrificio volontario nella quale si rasserena la Divinità. È insieme il Il Christus patiens", l'Uomo e il Il Christus triumphans" , il Dio,

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solo in tale liricità si poteva realizzare questa sublime,: vera e propria catarsi cristiana ch' è l'alta e complessa conce­zione spirituale di Giotto.

Dal Crocifisso di Santa Maria Novella a quello di S. Felice, a questo di Rimini è un progressivo attenuarsi della corpo­reità, senza che si svigorisca il contrasto chiaroscurale, che anzi è potente a Ri­mini. Al di là di questo vertice, l'incor­poreità diventa piattezza, il chiaroscuro si svuota, non senza qualche ricaduta in particolarismi realistici. Quello stupendo velo di mistero denso sugli occhi e alla bocca s'è, a Padova, dissolto, e gli occhi riemergono spenti, e la bocca è fin troppo ben disegnata; siamo già in uno stadio morbido e opaco, preannuncio alle debo­lezze gotiche degli ultimi due di S. Marco e di Ognissanti.

PERG0LA, CATTEDRALE - CROCIFISSO GIOTTESCO ROMAGNOLO

Sarebbe questo luminismo la fase, o vorremo dir meglio il momento, nuovo e impossibile nell'arte di Giotto? Nuovo forse. Ma non certo impossibile. Perchè le quante volte la interiorità dello spirito più intensamente scuote e brucia le fi­gure giottesche - Il fuoco dietro l'alaba­stro" - vediamo la luce mutarsi da una funzione plastica ad una lirica. Si consi­derino quasi tutti i volti magnetici del Cristo a Padova in quelle scene dove più personale è il lavoro del Maestro (per

e entrambi li supera in una mirabile sintesi dell'umano e del divino, 15) nella quale il senso della morte è appena suggerito marginalmente, con somma discrezione, nel cadere inerte delle ginocchia; mentre, al richiamo della luce, il petto sembra debba risollevarsi, la bocca dissug­gellarsi al respiro.

La luce; ed eccoci al punto cruciale della nostra disamina: è qui l'elemento dominante della espressione formale.

La modulazione chiaroscurale è qui trasposta dal linguaggio plastico in quello luministico; più intensamente e profondamente lirico, perchè risolve, senza residuo, in miti, i dati obiettivi.

Raggiungimento che pone anche stilisticamente questo Crocifisso al vertice della parabola, perchè

esempio il Battesimo, la Risurrezione di Lazzaro). Sicchè, a conclusione, nel Crocifisso di Rimini

io credo si possa riconoscere non solo un'opera di Giotto, ma il più bello ed alto di tutti i Cro­cifissi giotteschi; quello che dà ragione di tutti gli altri; forse il solo nel quale egli in persona e senza intervento deteriorante di aiuti abbia com­piutamente realizzato la sua visione mirabile.

Dopodichè mi si consenta ancora una giunta d'ordine strettamente filologica.

Il Crocifisso di Rimini è mutilo dei lobi ter­minali; resta solo un lembo del mantello della Vergine a destra. Ma possiamo ricostruirlo.

Tra la monotona serie dei Crocifissi roma­gnoli,16) quello del Palazzo Ducale di Urbino,

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già dal Serra e da altri attribuito al Baronzio, dal Salmi al Maestro della Incoronazione di Urbino, dal Brandi 17)

a un fabrianese -rimi­nese e che secondo me appartiene alla schiera più bolognesizzante dei romagnoli, non senza contatti con Pietro, ha singolare somiglianza con quello di Padova nel S. Giovanni che ab­bassa il capo incassan­dolo tra le spalle, in una posa che esagera quella di Padova ma evidente­mente ne deriva, distin­guendosi dal grande consueto repertorio di atteggiamenti poco va­riati del Dolente. Credo se ne possa concludere che anche per la figura del S. Giovanni, il Cro­cifisso malatestiano al quale più o meno tutti i romagnoli si sono ispi­rati, dovea essere simile al padovano; e così si può pensare anche per la Madonna, in atto di arretrarsi atterrita, poi­chè un atteggiamento analogo, ma trasferito

TALAMELLO, CHIESA PARROCCHIALE - CROCIFISSO GIOTTESCO (Fot. Anderson)

con qualche variante nel S. Giovanni, notiamo in altro Crocifisso romagnolo, quello di S. Arcan­gelo, dal Brandi 18) attribuito a Pietro. Infine, sempre per analogia con Padova, confermata da

I) N. 7 del Catalogo BRANDI, pago XXI-XXII, .- 20-23·

2) So che per esempio il Fiocco ha esposto una simile opinione nelle sue lezioni giottesche del corso pado­vano, 1935 - 36.

3) Ne La Critica d'arte, 1936 - V, pago 235. 4) Dal Brandi citato nel surricordato articolo pole­

mico ma non nel Catalogo.

molte imitazioni romagnole, possiamo arguire che il Crocifisso malatestiano fosse sormontato dall' Eterno benedicente, mentre gli anteriori fiorentini hanno il Pellicano. LUIGI COLETTI

5) Ora il Lavagnino (St. dell'arte medioevale, 1936) colloca il Crocefisso, nella cerchia di Pietro, pur ritenen­dolo non indegno di Giotto!

6) Su Riccobaldo si vedano gli studi di A. F. Massera che ne ha trattato a più riprese nell' Archivio Murato­riano, e in ispecie II, pago 449 segg. e Bullettino Società Dantesca Italiana, 1915, pago 168 segg.; non ricordati nella voce dell' Enciclopedia Italiana.

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URBINO, PALAZZO DUCALE CROCIFISSO GIOTTESCO ROMAGNOLO (PARTICOLARE)

(Fot. Anderson)

7) RR. II. ss. IX. Nel correggere le bozze e nel riesa­minare il Rintelen vedo che anch'egli (2 pagg. 152-3, 244, n. 156) aveva affacciato dei dubbi sulla autenticità del passo Riccobaldiano. Ma L. Venturi (L'Arte, 1918, pago 235) non li aveva ritenuti validi, ed anzi dall'auto­rità di Riccobaldo che non cita lavori romani ricavava altri argomenti per ritardare l'andata di Giotto a Roma.

8) Oltre a quanto si dirà in altre note, accenno alle indicazioni delle fonti e ai giudizi dei critici sui più importanti Crocifissi giotteschi. Il Ghiberti ricorda quelli di Santa Maria Novella e di Ognissanti; il Vas ari aggiunge quello di S. Marco. Tra i critici moderni il Thode ammette tutti tre i vasariani e inoltre quello di S. Felice; il Cavalcaselle solo quello di S. Marco; pel Venturi son tutti di bottega; pel Rintelen, apocrifi tutti; migliore quello di Santa Maria Novella (del quale, nella seconda edizione, 1923, pago 225, rinnega la sua precedente attribuzione a Spinello), dovrebbe esser ' d'accordo col Suida, posteriore alle opere di Padova ancor migliore, ma sempre opera di seguace, quello dell' Arena; il Siren ricorda solo quello di S. Felice forse di Puccio. Secondo la Vavalà (croce dipinta) di Giotto solo quello dell'Arena; pel Berenson (ed. ita­liana 1936) solo questo è autografo in gran parte, di aiuti, nella stessa bottega del Maestro, quelli di S. Felice e di Rimini, di seguaci quelli di Santa Maria Novella (identificato con quello del doc. 1312) di S. Marco e di Ognissanti.

9) Non se ne accontenta il WEIGELT (Giotto, XLVIII) radicale come sempre, e ritiene perduto il Crocifisso del documento, che i più identificano in quello esistente

ancor oggi di evidentissimi caratteri giotteschi. Il doc. in VASARI-MILANESI, I, pago 394-95. Anche lo SCHLOS­SER nelle note al GHIBERTI (II, II9) nega l'identifica­zione e comunque crede difficilmente di Giotto il Cro­cifisso attualmente a Santa Maria Novella. Così il Siren (I, 24). Ma esso è citato anche dal Ghiberti, e proprio Il sopra la porta di mezzo II dal Billi, e dagli altri ghi­bertiani, fino al Vasari. Manca al Borghini, ma ritorna nel Baldinucci. Sicchè sebbene ne tacciano guide suc­cessive, come il Bocci-Cinelli e il Richa, non mi pare vi sia proprio serio motivo di dubitare della identifi­cazione.

IO) Storia, V, pago 305-6, 407. II) Simile è la postura del Cristo nella Crocifissione

a musaico del Battistero di Firenze, e nella Croce argentea perugina (VAVALÀ, fig. 57); nonchè nel Croci­fisso di Deodato Orlandi, meschina imitazione (VAVALÀ, fig. 557) la cui data 1301 potrebbe forse offrire un ter­mine ante quem per i due Crocifissi di Santa Maria Novella e di S. Felice.

12 ) Anche il Fiocco ritiene a ragione la Madonna di Ognissanti anteriore a Padova.

13) Pago 240: opera di scolaro; per confronti colla Cro­cifissione che sarebbe invece del Maestro. Così il Rin­telen (2 225, 7) che esalta molto l'affresco (50, 2).

14) Cosi la Crocefissione di Berlino, nella quale il Cro­cifisso deriva dal Crocifisso in tavola di Padova (cadenza del perizoma che lievemente si differenzia da quello della Crocifissione a fresco).

15) Sia precisato che qui io non intendo la deifica­zione dell'uomo o umanizzazione del Dio, che sarebbe uno dei motivi giotteschi secondo L. VENTURI (Introdu­zione nell' arte di Giotto, ne L'Arte, 1919, pago 57). Meglio interpretata la spiritualità giottesca in Gusto dei Primitivi, pago 247 - 8.

16) Si noti, che qualcuno sembra ispirarsi ad altri prototipi giotteschi: ciò che dimostra probabilmente l'andata a Firenze di qualche Romagnolo secondario. Così quello di Pergola (Catalogo n. 50) è una tarda deri­vazione da quello di Santa Maria Novella. Quello invece di Talamello si avvicina tanto a quello di S. Felice da sembrare anteriore (come tipo) al malatestiano e forse lo si potrebbe credere piuttosto importato che eseguito in Romagna.

17) Catalogo, n. 47, pago 124. 18) Catalogo, n. 17, pago 52. Leggo il Giotto di CECCHI, or ora uscito. Si direbbe

proprio che, dinanzi al Crocifisso di Rimini, anche i più scaltriti e sottili critici, vogliano repugnare alla verità, suadente diabolo. Come è possibile parlare di Il genio" di "miracoli (sic) disegnativi e di chiaroscuri II e poi ricadere nella solita attribuzione ad "aiuti II sia pur sotto la guida del Maestro? Gli aiuti di bottega non han mai fatto miracoli; e il genio e l'arte non sono trasmissibili per dettatura.

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