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Notiziario - Ufficio catechistico nazionale · 2016. 12. 6. · Paolo può appellarsi è proprio la...

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Notiziario DELl’ufficio catechistico nazionale QUADERNI DELLA SEGRETERIA GENERALE CEI NUOVA SERIE N. 2 giugno 2011
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NotiziarioDELl’ufficio catechistico nazionale

QUADERNIDELLA SEGRETERIAGENERALE CEI

N U O V A S E R I E

N. 2giugno2011

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Ufficio Catechistico Nazionale

ANNALE

2009

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CAPITOLO 1 XLIII CONVEGNO NAZIONALE DEI DIRETTORI UCDLA NOSTRA LETTERA SIETE VOI... (2Cor 3,2)Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo,condividere l’incontro col Cristo

Introduzione al Convegno del Direttore UCNGuido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13

Comunità cristiane che comunicano il Vangelocon particolare attenzione alle Note CEI:“Risveglio della fede” (2003)“Questa è la nostra fede” (2005) e al sussidio “Lettera ai cercatori di Dio” (2009)† Lucio Soravito de Franceschi, vescovo di Adria-Rovigo . . . . . . . . pag. 17

La “Lettera ai cercatori di Dio”: genesi e presentazioneMons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto,Presidente della Commissione Episcopale per la dottrinadella fede, l’annuncio e la catechesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 31

La formazione per il Primo annuncio:i cristiani, le comunità, gli accompagnatori Don Giampietro Ziviani, Direttore UCD Adria-Rovigo . . . . . . . . . . . pag. 39

Comunità cristiane e accompagnamento delle persone in ricerca:ascolto, dialogo e questione educativaS.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI. . . . . . . pag. 64

Primo annuncio, comunicazione e media ovvero,della segnalazione delle opportunità offerte al primo annunciodel Vangelo dalla comunicazione mediaticaMons. Domenico Pompili, Sottosegretario della CEIe Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77

Sintesi dei gruppi di lavoro e dei lavori del convegnoDon Paolo Sartor, Responsabile Servizio Catecumenato, MilanoMons. Andrea Lonardo, Direttore UCD, Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87

Alcune linee conclusive del Convegno UCNLa bellezza dei “piedi” di chi annunciaDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 97

Comunicazione del Settore CatecumenatoWalther Ruspi, Responsabile Servizio per il Catecumenato dell’UCN . pag. 101

Indice

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Comunicazione del Settore Apostolato BiblicoAttività e prospettive (giugno 2008-2009)Cesare Bissoli, Coordinatore Settore Apostolato Biblico dell’UCN . . pag. 106

Omelia alla Santa Messa del 16 giugno 2009† Vittorio Mondello, Arcivescovo Metropolita diReggio Calabria-Bova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 111

CAPITOLO 2 XVII CONVEGNO NAZIONALE APOSTOLATO BIBLICOIN RELIGIOSO ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO... (DV 1)Gli animatori biblici ed il Ministero della ParolaRoma 4-6 febbraio 2009

Saluto inizialeDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 117

IntroduzioneCesare Bissoli, Coordinatore nazionale Apostolato Biblico . . . . . . . . pag. 119

“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”Il profeta servitore della Parola di Dio nell’AT1Luca Mazzinghi, Docente di esegesi AT Facoltà Teologica, Firenze . . pag. 122

La parola di Dio: tra Antico e Nuovo TestamentoMassimo Grilli, Docente di esegesi alla Pontificia UniversitàGregoriana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 132

L’ascolto ed annuncio della Parola di Dio nel mondo evangelicoPaolo Ricca, Docente di teologia evangelica, Roma . . . . . . . . . . . . . pag. 134

La Parola-Scrittura nel pensiero e nell’esperienza del giudaismo rabbinicoMaurizio Mottolese, Docente incaricato della PUG, collaboratoredel centro culturale “Cardinal Bea” per gli studi giudaici . . . . . . . . pag. 142

La madre della parola e il suo canto Lectio divina sul MagnificatElena Bosetti, sjbp, Biblista, Modena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 151

Sguardo d’insieme sul ConvegnoCesare Bissoli, coordinatore AB nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 161

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CAPITOLO 3 CONVEGNO NAZIONALE SU CATECHESI E DISABILITÀIL DONO DEI DISABILI PER LA COMUNITÀ CRISTIANA“Le membra del corpo che sembrano le più debolisono le più necessarie” (1Cor 12, 22)Roma, 21-22 marzo 2009

SalutoDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 167

«Le varie membra abbiano cura le une delle altre» Fragilità umana e potenza dello Spirito come caratteristica della comunità cristiana in San PaoloGiuseppe De Virgilio, Pontificia Università della Santa Croce, [email protected]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 168

Testimonianza sulla catechesiRoma 21 marzo 2009Don Giuseppe Alcamo, Direttore UCR Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 187

Celebrare con i disabili: un nuovo ambito di adattamento liturgico?Daniele Piazzi, Responsabile Ufficio Culto Divino, Diocesi Cremona . pag. 194

La presenza dei disabili fisici nella Celebrazione EucaristicaSpuntiStefano Toschi, Associazione Beati Noi, Bologna . . . . . . . . . . . . . . . pag. 209

CAPITOLO 4 SEMINARIO DI STUDIO SUL CATECUMENATOA 10 ANNI DALLA SECONDA NOTA SULL’INIZIAZIONE CRISTIANAUna rilettura dei risultati e dei punti critici per una riproposta, in un contestoche richiede un primo annuncio più diffusoRoma 7-8 settembre 2009

SalutoDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 213

A dieci anni dalla Nota sull’Iniziazione Cristiana dei ragazziWalther Ruspi, Responsabile Settore Catecumenato UCN . . . . . . . . . pag. 214Andrea Fontana, Direttore UCN Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 218

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Relazione: il cammino compiutoDon Antonio Facchinetti, Responsabile dell’Ufficio Evangelizzazionee Catechesi della Diocesi di Cremona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 233

Alla ricerca dell’iniziazione perdutaDon Paolo Tomatis, Direttore ULD Torino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 246

Approfondimento pastoraleMons. Paolo Sartor, Responsabile Servizio Catecumenato, Milano . . pag. 257

Esperienza della Parrocchia S. Nicola di Bari - Bovalino - RCP. Giuseppe Castelli, Parroco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 261

Imparare a vivere da cristiani: la proposta del Catecumenatoalle famiglie di oggi. Il cammino compiuto.Diocesi di Torino - Parrocchia del Patrocinio di San GiuseppeRossana Rosato, Catechista e membro del gruppo di lavorodiocesano Catecumenato Ragazzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 263

Ascolto di alcune esperienze parrocchialiPatriarcato di Venezia - Ufficio catechistico diocesanoParrocchia dei Ss. Gervasio e Protasio di CarpenedoDon Danilo Barlese, Parroco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 268

CAPITOLO 5 INCONTRO DEI VESCOVI E RESPONSABILI NAZIONALIDELLA CATECHESI IN EUROPALa comunità cristiana e il primo annuncioRoma 4-7 maggio 2009

Tornare al primo annuncioWalter Kasper, Presidente del Pontificio consiglioper la promozione dell’unità dei cristiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 275

Omelia del 5 maggio 2009Omelia del Cardinale Claudio Hummes nella Santa messadel 5 maggio 2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 289

Colloquio Europeo sul primo annuncioLa Comunità Cristiana e il Primo AnnuncioIl primo annuncio nella chiesa italiana. Orientamenti pastoraliMons. Lucio Soravito, Vescovo di Adria-Rovigo. . . . . . . . . . . . . . . . pag. 293

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“Antemurale christianitatis” fra la tradizione cattolica e l’indifferentismo nel contesto croato odiernoMsgr. Ðuro Hranic, vescovo ausiliare di Djakovo-Osijek (Croazia)presidente del Consiglio per la catechesi della Conferenzaepiscopale croata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 307

Per i momenti cruciali della vitaFascicoli illustrati a colori per il primo annuncioDr. Johan Van der Vloet, Direttore nazionale della catechesi Paesi BassiDrs. Ilse Cornu, Caporedattrice della collezione . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 316

Comunità Cristiana e Primo AnnuncioLa formazione di una comunità missionariaDon Gianni Colzani, Docente di Missionologia pressola Pontificia Università Urbaniana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 323

ConclusioniXavier Morlans, Esperto invitato dal CCEE, SpagnaWalther Ruspi, Responsabile servizio catecumenato UCN . . . . . . . . pag. 336

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CAPITOLO 1

XLIII Convegno Nazionaledei Direttori UCD

La nostra letterasiete voi...

(2Cor 3,2)

Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo,condividere l’incontro col Cristo

Reggio Calabria15-18 giugno 2009

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«[Fratelli], noi non siamo infatti come queimolti che fanno mercato della parola di Dio,ma con sincerità e come mossi da Dio, sottoil suo sguardo, noi parliamo in Cristo. Co-minciamo di nuovo a raccomandare noi stes-si? O abbiamo forse bisogno, come alcuni,di lettere di raccomandazione per voi o daparte vostra? La nostra lettera siete voi, let-tera scritta nei nostri cuori, conosciuta e lettada tutti gli uomini. È noto infatti che voisiete una lettera di Cristo composta da noi,scritta non con inchiostro, ma con lo Spiritodel Dio vivente, non su tavole di pietra, masu tavole di cuori umani» (2Cor 2,17-3,2).

Con queste parole calde e piene di commo-zione Paolo comincia, nella seconda Letteraai Corinzi, la difesa del suo apostolato messoin discussione da alcuni all’interno della co-munità. Si tratta di una constatazione colmadi affetto: la vera e prima difesa alla qualePaolo può appellarsi è proprio la comunità,le persone concrete dei Corinzi, nella vitadelle quali è stata incisa, per la predicazionedi Paolo, la salvezza amorevole di Dio inCristo Gesù. Questa immagine, così profondamente effi-cace nel richiamare come la Parola di sal-vezza si incarni nell’esistenza di ciascuno,è quella che abbiamo voluto porre come ti-tolo del nostro Convegno. Si tratta insiemedi un monito e di un impegno: la riflessione,la preghiera, il confronto e la discussione diquesti giorni, ma anche le relazioni di ami-cizia e sostegno, e dunque la gioia di incon-trarci, devono essere una viva testimonianzadi questa lettera incisa nei nostri cuori che

ancora rivela al mondo la salvezza di Cristo.Per contro, il lavoro e l’approfondimento,l’esercizio responsabile e vivace del dibattito,le nostre facoltà di analisi, dovranno esserevolte a contemplare come oggi ancora, perla grazia di Cristo, la lettera della salvezzaè scritta nella vita delle nostre comunità,degli uomini e delle donne del nostro tempoche, in mezzo a tante gioie e traversie, affettie sofferenze, rivelano nel profondo della pro-pria esistenza l’amore di Dio.Ringrazio vivamente coloro che su questopalco ci hanno rivolto il loro saluto: l’Arci-vescovo, il Sindaco, il Presidente del Consi-glio Regionale per la loro ospitalità e acco-glienza e Mons. Bruno Forte che ci ha fattosentire il suo paterno accompagnamento.Colgo l’occasione di questa platea per dire,anche a nome vostro, un grazie fraterno aMons. Walter Ruspi per il suo servizio allachiesa italiana ed alla catechesi. La gratitu-dine va anche a chi si è profuso nell’orga-nizzazione tematica e pratica di questo Con-vegno: in primis tutti i membri della Con-sulta Nazionale della Catechesi, che in duelunghe sedute con i loro interventi, le lorocritiche ed i loro consigli hanno portato inluce il programma di questo Convegno. Ungrazie non solo formale va a Don MarcoScordo, Direttore dell’UCD di questa Arci-diocesi e ai due moderatori Don Paolo Sartore Mons. Andrea Lonardo che hanno accon-sentito di coadiuvarmi in queste giornate.Un pensiero di gratitudine fin dall’inizio vaanche alla segreteria dell’UCN e del Conve-gno: sappiamo quanto lavoro e servizio ri-chieda infatti questa impresa.

INTRODUZIONE AL CONVEGNODEL DIRETTORE UCN

Guido Benzi, Direttore UCN

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

La nostra lettera siete voi... 13

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 2

La nostra lettera siete voi...14

Questo Convegno nazionale si svolge sullascia di san Paolo, che approdò a Reggio Ca-labria (Atti 28,13) durante le tappe decisivedi un viaggio che aveva ambizioni moltovaste. Intenzionalmente, come è noto,l’Apo stolo avrebbe infatti voluto recarsi sinoai confini del mondo allora conosciuto: laSpagna, le colonne d’Ercole. Quel che è certoè che il racconto degli Atti termina a Roma:capitale dell’impero, centro del potere terrenoe luogo dal quale lo sguardo poteva puntarevirtualmente fino ai lontani orizzonti, dovegiungevano le vie consolari sia a rafforzarei legami con l’istituzione centrale sia a dif-fondere diritto e cultura. Su queste stessestrade si realizzò, per un procedere quasispontaneo e apparentemente casuale, la co-municazione del Vangelo da persona a per-sona, da famiglia a famiglia, fino a trasfor-mare città e interi paesi. Molto è mutato da allora, a livello sia socialesia culturale. Ma rimane intatto lo slanciomissionario della Chiesa di Cristo: esso haper meta tutto il mondo, assume diversi voltinel continente europeo, riguarda in manierapeculiare il nostro Paese. Occorre dunque«ascoltare le domande, comunicare, il Van-gelo, condividere l’incontro con il Cristo»,secondo l’articolata espressione che è statascelta dalla Consulta dell’Ufficio CatechisticoNazionale per esprimere il senso del nostrolavorare insieme. Questo XLIII Convegno si pone al culminedi un cammino che ha visto l’UCN in questianni riflettere sul tema complesso e fonda-mentale dell’evangelizzazione e della cate-chesi degli adulti, con il contributo di rela-zioni di spessore culturale e teologico ed ilconfronto su esperienze “possibili” nelle no-stre comunità parrocchiali. Da subito la te-matica si è collocata nella visione e nell’espe-rienza ecclesiale del “Convegno ecclesiale diVerona” del 2006, assumendo in modo ori-

ginale l’attenzione all’educazione alla fedecome incontro con la persona di Gesù nellaChiesa e come cammino progressivo per unanuova motivazione cristiana nella “quotidia-nità” della vita con le sue molteplici occasionie situazioni decisive. Per una visione d’in-sieme del percorso è possibile confrontare iprogrammi dei precedenti convegni ad Olbia(2006), Vasto (2007) e Genova (2008). Il convegno di Olbia ha posto attenzione suifondamenti teologici di un annuncio rivoltoin particolare agli adulti: l’incontro con lapersona di Gesù attraverso il “racconto” co-me categoria teologica che sottolinea l’even-to o il farsi presente nell’oggi della parola diGesù e dell’esperienza di Lui. Le esperienzehanno proposto una rivisitazione dei piùquotidiani cammini di pastorale parrocchialeper gli adulti. Il convegno di Vasto ha tematizzato il per-corso spirituale verso la fede vissuto da unadulto e si è confrontato con le domande disenso e la loro ricerca nel vissuto delle per-sone. La riflessione biblica ha voluto sotto-lineare come il Vangelo non si limiti a dareuna risposta alle attese, ma chieda ascoltoe obbedienza di fronte ad un proporsi di Dioche configura un orizzonte più vasto dell’at-tesa, e rimane sempre sorpresa e grazia. Leesperienze hanno descritto situazioni di per-corsi personali emblematici di fronte a radi-cali domande di senso.Il convegno di Genova ha voluto tematizzarela vocazione formativa della comunità cri-stiana, delineando la finalità educativa nellasua prospettiva di maturità cristiana in chia-ve di cammino progressivo in una societàindifferente e talvolta ostile. La fede adulta, seguendo l’insegnamento dipapa Benedetto XVI, si articola nell’adesionepersonale a Cristo e in un’esperienza eccle-siale, piena di partecipazione sacramentalee spirituale, in un percorso progressivo che

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prevede tappe, soste e riprese. Inoltre si trat-ta di stare in modo libero e responsabile nelmondo, nella storia, capaci di “testimonian-za” evangelica. Lo stesso Papa, nel suo ormaitradizionale incontro con il Clero romano nelgiovedì dopo le ceneri (26 febbraio 2009),rispondendo ad una domanda sul Primo An-nuncio postagli da un sacerdote ha sottoli-neato: «Con la Parola dobbiamo aprire luoghidi esperienza della fede a quelli che cercanoDio. Così ha fatto la Chiesa antica con il ca-tecumenato, che non era semplicemente unacatechesi, una cosa dottrinale, ma un luogodi progressiva esperienza della vita della fe-de, nella quale poi si dischiude anche la Pa-rola, che diventa comprensibile solo se in-terpretata dalla vita, realizzata dalla vita».Per queste ragioni – e non solo per unafelice coincidenza temporale – abbiamo vo-luto porre al centro di questo convegno laLettera ai cercatori di Dio, fortemente vo-luta dalla Commissione Episcopale per laDottrina della Fede, l’Annuncio e la Cate-chesi, redatta dopo un confronto durato al-cuni anni, al quale molti dei presenti hannopotuto dare il loro contributo. La relazionedi S. Ecc.za mons. Bruno Forte (martedìmattina) testimonierà di un cammino com-plesso e stimolante, che ha visto il concorsodi studiosi, esperti e pastori. La sua presen-tazione costituirà però anche una sorta dipunto di arrivo e di partenza dei lavori, chedaranno spazio a una retrospettiva sinteticasull’importanza del primo annuncio nellaChiesa italiana (la relazione di S. Ecc.zamons. Lucio Soravito, che ascolteremo trapoco), al confronto con esperienze signifi-cative in vari ambiti professionali e sociali(la tavola rotonda di martedì pomeriggio) ealla segnalazione delle opportunità offerte alprimo annuncio del Vangelo dalla comuni-cazione mediatica (la relazione di don Do-menico Pompili, giovedì mattina).

La scelta di tornare a dei normali Gruppi dilavoro (anche questa suggerita dalla Con-sulta) non vuole svalutare i preziosi Labo-ratori sulle esperienze attivati in altri Con-vegni. Essa vuole solo stimolare maggior-mente il dialogo tra le intuizioni e iniziativeportate avanti nelle varie situazioni dioce-sane. È per questo motivo che nella lettera-invito avevamo già inviato le domande sullequali ci confronteremo.Mediante questi contributi ci sarà consentitodi toccare con mano che l’annuncio del Van-gelo nel nostro Paese è realtà vivente e si-gnificativa, anche e soprattutto a motivo diColui che sostiene – quale autentico Prota-gonista – ogni processo di evangelizzazionee di formazione avviato dalla comunità cri-stiana. Ecco perché, come Paolo sapeva chea Roma avrebbe incontrato una comunitàcristiana non creata da lui, anche noi veri-fichiamo di essere chiamati spesso ad ac-compagnare cammini che, in gran parte, so-no già avviati: esistono infatti soggetti nonbattezzati che si interrogano, persone checredono di aver inteso parlare di Cristo maforse sono state deluse dall’incontro col voltopoco persuasivo di qualche suo discepolo,altri che contestano ma non sono indiffe-renti, uomini e donne che Dio stesso invitain molti modi a essere suoi “cercatori”. Atutti i credenti di Roma Paolo volle indiriz-zare l’annuncio liberante della grazia; a ognicercatore di Dio del nostro Paese le nostreChiese offrono l’opportunità di un camminodi autenticità e di libertà. È bello notare che sulla nave e nella metro-poli imperiale Paolo non appare solo. Glistudiosi, in effetti, individuano alcune dellepiù gustose “sezioni-noi” del libro degli Attidegli Apostoli proprio nelle pagine in cui èdescritto il viaggio dalle coste palestinesi aMalta e di qui alla Sicilia e a Reggio, a Poz-zuoli e a Roma. E appunto in compagnia di

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 2

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Luca e di altri collaboratori e amici, Paolopotrebbe aver ripensato alla frase che avevaindirizzato ai cristiani di Corinto: «La mialettera siete voi…» (2 Cor 3,2).Anche oggi vale l’intuizione che la princi-

pale “lettera” scritta dalla Chiesa è rappre-sentata dai credenti stessi: dagli uomini edalle donne, dai giovani e dagli anziani, dailaici e dai consacrati che condividono l’esi-stenza quotidiana dei nostri contemporaneilasciandosi guidare dalla Parola e doman-dando la grazia dei sacramenti della fede.Uomini e donne che reputano un dono gran-de l’aver incontrato Cristo e desiderano te-stimoniarlo nel campo degli affetti e in quellodella trasmissione dei valori, nei momentidi lavoro e in quelli di festa, là dove si av-verte la necessità di una cittadinanza con-divisa e là dove emerge frequentemente lafragilità. Sotto questo profilo la traduzionepratica delle grandi sollecitazioni del Conve-gno ecclesiale di Verona ci domanda di co-gliere la necessità della maturazione di ognicristiano e la stessa Lettera ai cercatori diDio diviene lo strumento per favorire uncontatto o per sollecitare l’approfondimentodi una ricerca che possono portare fruttosolo nello scambio franco e nella relazionesincera con i potenziali fratelli di fede.È necessario dunque scegliere e far maturarecoloro che sono chiamati a essere annun-ciatori. Ecco perché la relazione che terràmercoledì mattina il prof. don GiampietroZiviani sarà interamente dedicata alla for-mazione degli accompagnatori e degli ope-ratori del primo annuncio. E poiché nessun evangelizzatore svolge que-sto servizio a titolo personale, abbiamo chie-

sto al Segretario Generale della CEI, S. Ecc.zamons. Mariano Crociata, di tratteggiare –quasi a mo’ di conclusione logica dell’interoitinerario – la fisionomia che debbono averecomunità ecclesiali capaci di accogliere,ascoltare e accompagnare giovani e adultiin ricerca. Furono proprio i Vescovi Italiani,del resto, ad affermare nella nota pastoraleQuesta è la nostra fede (15 maggio 2005),che «il compito del primo annuncio riguardainnanzitutto la Chiesa in quanto tale, e inmodo particolare le diocesi e le comunitàparrocchiali. [...] L’impegno dell’evangeliz-zazione non è riservato [infatti] a degli “spe-cialisti” ma è proprio di tutta la comunità»(n. 18). È giunto il momento di tradurrequeste affermazioni di principio in scelte ca-ratteristiche del cammino ordinario delle par-rocchie italiane, dei movimenti e dei gruppiche operano nel nostro Paese per la comu-nicazione della buona notizia.Ci attende dunque un percorso appassionan-te e impegnativo, piccola ma significativaeco di quello che compiono ogni giorno lenostre Chiese locali nel campo dell’evange-lizzazione e della catechesi degli adulti, del-l’accompagnamento dei catecumeni, dell’in-troduzione alla Scrittura, della attenzionecredente alle persone diversamente abili, delsostegno ai genitori dei bambini e dei ragazziche si dispongono a ricevere i sacramentidell’iniziazione cristiana.A tutti voi, aprendo questi giorni di Conve-gno e pensando alle nostre attività ordinarieche attendono di essere continuamente ri-lanciate e stimolate, un sincero augurio dibuon lavoro.

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PremessaLa nostra società sta vivendo una radicale tra-sformazione culturale, che ha messo in crisi ivalori umani e religiosi, un tempo pacifi -camente condivisi e vissuti. Non si tratta diun cambiamento ordinato, ma di una trasfor-mazione complessa, che avviene con una ac-celerazione impressionante. Viviamo nellacomplessità e nella fragilità. In questo contestoculturale è andato crescendo progressivamenteil secolarismo e l’indifferenza religiosa.La Chiesa italiana, che si trova a svolgerela missione di annunciare il Vangelo in que-sto contesto culturale, segnato dalla com-plessità, dalla fragilità, dal secolarismo, apartire dal Concilio Vaticano II, si è chiestacome svolgere la sua missione oggi e, inparticolare, come portare il primo annunciodel Vangelo al numero crescente di non cre-denti e di non praticanti.Anche l’episcopato italiano, già all’indomanidel Concilio Vaticano II, ha affrontato questoproblema e ha dato una prima risposta, apartire dagli anni ‘70 con gli orientamentipastorali decennali incentrati sull’evangeliz-zazione: “Evangelizzazione e Sacramenti”(1973), “Comunione e comunità” (1981),“Evangelizzazione e testimonianza dellacarità” (1990).Ma il documento che ha avviato un rinno-vamento radicale nel modo di annunciare il

Vangelo è stato il Documento di base “Il rin-novamento della catechesi” (RdC 1970).Anche se esso è incentrato sul modo di edu-care la vita di fede dei credenti, ha aperto ilproblema del “primo annuncio” da portareai non credenti.

«L’evangelizzazione propriamente detta è il primoannuncio della salvezza a chi, per ragioni varie,non ne è a conoscenza o ancora non crede. Questoministero è essenziale per la Chiesa oggi come neiprimi secoli della sua storia, non soltanto per i po-poli non cristiani, ma per gli stessi credenti. L’espe-rienza pastorale attesta, infatti, che non si puòsempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ri-destarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirlain coloro che vivono nell’indifferenza, farla sco-prire, con impegno personale, alle nuove genera-zioni e continuamente rinnovarla in quelli che laprofessano senza sufficiente convinzione o laespongono a grave pericolo. Anche i cristiani fer-venti, del resto, hanno sempre bisogno di ascol-tare l’annuncio delle verità e dei fatti fondamentalidella salvezza e di conoscerne il senso radicale,che è la “lieta novella” dell’amore di Dio» (RdC25).

Negli anni successivi i documenti che hannorichiamato l’attenzione della Chiesa italianasull’esigenza di portare il primo annunciosono stati: l’“Evangelii nuntiandi” (1975)e la “Redemptoris missio” (1991); “Il ritodella iniziazione cristiana degli adulti” (RI-CA), pubblicato nell’edizione italiana nel

COMUNITÀ CRISTIANECHE COMUNICANO IL VANGELO

con particolare attenzione alle Note CEI:“Risveglio della fede” (2003)

“Questa è la nostra fede” (2005) e al sussidio “Lettera ai cercatori di Dio” (2009)

† Lucio Soravito de Franceschi, vescovo di Adria-Rovigo

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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1978,1 “Il Direttorio generale per la cate-chesi (1997)2 e le prime due Note sull’ini-ziazione cristiana degli adulti (1997)3 e deifanciulli e ragazzi (1999).4

Ma il problema del primo annuncio, come“intervento istituzionalizzato” (DGC n. 62),viene affrontato in forma sistematica dallaChiesa italiana soprattutto nel primo decen-nio del 2000.

1° «COMUNICARE IL VANGELO INUN MONDO CHE CAMBIA»(2001)

I Vescovi italiani hanno scelto come obiettivopastorale prioritario per i primi 10 anni del2000 la “comunicazione della fede”, cioè«comunicare il Vangelo ai fedeli, a quantivivono nell’indifferenza e ai non cristiani,qui nelle nostre terre e in terra di missione».«Il Vangelo è il grande dono di cui dispon-gono i cristiani. Perciò essi devono condivi-derlo con tutti gli uomini e le donne che so-no alla ricerca di ragioni per vivere, di unapienezza di vita» (CV 32; RM 20).Il compito primario della Chiesa è testimo-niare la gioia e la speranza originate dallafede nel Signore Gesù Cristo, vivendo nellacompagnia degli uomini, in piena solidarietàcon loro, soprattutto con i più deboli (cf. CV1). «Ci pare che compito assolutamente pri-

mario per la Chiesa, in un mondo che cambiae che cerca ragioni per gioire e sperare, siae resti sempre la comunicazione della fede,della vita in Cristo sotto la guida dello Spirito,della perla preziosa del Vangelo» (CV 4). Questo obiettivo richiede che si ponga manoa un primo annuncio del Vangelo, perché:– molti praticanti non dimostrano un’autentica

e concreta adesione alla persona di Gesù;– molti battezzati vivono come se Cristo non

esistesse; – cresce il numero di coloro che devono

completare l’iniziazione cristiana;– cresce il numero delle persone non battez-

zate.

1. Chi annunciamo?«La Chiesa può affrontare il compito del-l’evangelizzazione solo ponendosi, anzituttoe sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola diDio fatta carne» (CV 10). Tutto il primo ca-pitolo degli orientamenti pastorali è incen-trato su Colui che è il nucleo fondamentaledel primo annuncio: la persona di Gesù, l’In-viato del Padre, venuto nel mondo per rive-larci il suo volto e donarci lo Spirito Santo,perché potessimo partecipare alla vita divina(cf. CV 10).

2. A chi portiamo il primo annuncio?– Prima di tutto alla comunità “eucaristica”

(CV 47-50): è assurdo pretendere di evan-

1 Si vedano in particolare i nn. 9-13 della presentazione dell’“Iniziazione cristiana degli adulti”, incentrati sul-l’evangelizzazione, intesa come primo annuncio.2 Si vedano in particolare i nn. 61 e 62 su “Primo annuncio e catechesi”, dove si legge tra l’altro: «Il fatto chela catechesi, in un primo momento, assuma questi compiti missionari non dispensa una Chiesa particolare dalpromuovere un intervento istituzionalizzato di primo annuncio, come attuazione diretta del mandato missionariodi Gesù» (DGC n. 62).3 Consiglio Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti.Nota pastorale, Roma 1997; si vedano in particolare i nn. 28-29 sul “tempo della prima evangelizzazione”.4 Consiglio Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e deiragazzi dai 7 ai 14 anni. Nota pastorale, Roma 1999; si vedano in particolare i nn. 31-35 sul “primo annun-cio”.

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gelizzare [i non credenti], se per primi nonsi desidera essere costantemente evange-lizzati (cf. CV 47).

– Ai giovani: per rispondere con l’annunciodella Parola alla loro “sete di senso”(CV 51).

– Alle famiglie: sono le prime responsabilidell’“introduzione” all’esperienza cristiana(CV 52).

– Ai cosiddetti “non praticanti”, ossia a«quel gran numero di battezzati che, purnon avendo rinnegato formalmente il lo-ro battesimo, spesso non ne vivono laforza di trasformazione e di speranza estanno ai margini della comunità eccle-siale» (CV 57).

«Al centro della nostra preoccupazione mis-sionaria ci sono anche tutti quegli uomini equelle donne che, pur avendo ricevuto ilbattesimo, non vivono legami di piena estabile comunione con le nostre Chiese lo-cali» (CV 56), come i genitori che chiedonol’iniziazione cristiana dei figli, le coppie diadulti che chiedono il matrimonio, le personeprovate da malattie e lutti… Gli stessi fan-ciulli battezzati hanno bisogno di essereinterpellati dall’annuncio del Vangelo nelmomento in cui iniziano il loro cammino ca-techistico» (CV 57).Pertanto è urgente un rinnovamento pasto-rale: «un’attenzione ai battezzati che vivonoun fragile rapporto con la Chiesa e un impe-gno di primo annuncio, su cui innestareun vero e proprio itinerario di iniziazione odi ripresa della loro vita cristiana» (CV 57).

3. Chi ha il compito di portare il primoannuncio?

La comunità cristiana nel suo insieme haquesto compito. Ma per questa opera di rie-vangelizzazione è necessaria la mobilitazio-ne di tutti i credenti. «I cristiani più consa-pevoli della loro fede, insieme con le loro

comunità, non si stanchino di pensare a for-me di dialogo e di incontro con tutti coloroche non sono partecipi degli ordinari cam-mini della pastorale.Nella vita quotidiana, nel contatto giornalieronei luoghi di lavoro e di vita sociale si creanooccasioni di testimonianza e di comunica-zione del Vangelo. Qui si incontrano battez-zati da risvegliare alla fede, ma anche semprepiù numerosi uomini e donne, giovani e fan-ciulli non battezzati, eredi di situazioni diateismo o agnosticismo, seguaci di altre re-ligioni. Diventa difficile stabilire i confini traimpegno di rivitalizzazione della speranza edella fede in coloro che, pur battezzati, vi-vono lontani dalla Chiesa, e un vero e proprioprimo annuncio del Vangelo. Su questi ter-reni di frontiera va incoraggiata l’opera diassociazioni e movimenti che si spendonosul versante dell’evangelizzazione» (CV 58).

4. Come svolgere questa missione?I Vescovi italiani, per aprire le nostre Chiesealle diverse situazioni spirituali dei non cre-denti, degli indifferenti e di quanti si acco-stano o si riaccostano al Vangelo, pro -pongono queste scelte pastorali:– dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa

una chiara connotazione missionaria;– fondare tale scelta su un forte impegno in

ordine alla qualità formativa (cf. ChL 57-63);

– favorire una più adeguata ed efficace co-municazione del mistero del Dio vivo evero, fonte di gioia e di speranza perl’umanità intera (CV 44);

– configurare la pastorale secondo il modellodella iniziazione cristiana, intessendo traloro testimonianza e annuncio, itinerariocatecumenale, sostegno permanente dellafede mediante la catechesi, vita sacramen-tale, mistagogia e testimonianza della carità(CV 59).

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2° L’INIZIAZIONE CRISTIANA. ORIENTAMENTI PER IL RISVEGLIO DELLA FEDE.IL COMPLETAMENTO DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA IN ETÀ ADULTA (2003)

Nel 2003 il Consiglio Permanente della CEIha pubblicato la terza Nota pastorale ri-guardante l’iniziazione cristiana, rivolta al«risveglio della fede dei giovani e degliadulti», nonché al completamento dell’ini-ziazione cristiana di quei giovani e di quegliadulti che non l’hanno portata a compimen-to. La Nota si articola in quattro capitoli,preceduti da un’introduzione.

Introduzione - LA SETE DI CRISTO (nn. 1-4) -Partendo dall’icona dell’incontro di Gesù conla Samaritana (Gv 4,1-42), si afferma chel’uomo è alla ricerca della felicità, in un ane-lito profondo di essere amato e di amare.L’incontro con Cristo e con il suo Vangelosuscita e ad un tempo placa la sete profondadi Dio che l’uomo si porta nel cuore. Da quiil dovere della Chiesa di evangelizzare e ildiritto di ogni uomo di venire in contattocon il Vangelo della salvezza.

Capitolo primo - L’ASCOLTO (nn. 5-18) - Lacomunità cristiana è chiamata ad ascoltareed accogliere con amore e attenzione le do-mande religiose di ogni uomo, da qualun-que parte vengano, anche se bisognose dichiarezza e purificazione. Da parte loro icristiani devono essere in grado di porsicome interlocutori credibili e convincentinei confronti di chi pone una domanda difede. Le persone e le situazioni esistenzialiin cui può nascere una domanda di fedesono varie. A tutti la Chiesa è chiamata ad

offrire una risposta e un accompagnamentoadeguati.

Capitolo secondo - L’ANNUNCIO (nn. 19-28)- Il Vangelo è innanzitutto una persona: Ge-sù Cristo, che va annunciato e fatto incon-trare. «Al centro del kerygma di Gesù nonc’è il comportamento dell’uomo, ma Dio ela sua regalità. La conversione dell’uomonon è quindi la condizione della sovrana ebenevola vicinanza di Dio, ma la sua con-seguenza» (IC/3, n. 29).Il nucleo del primo annuncio si compone ditre elementi: la rievocazione degli avveni-menti riguardanti Gesù e in particolare lasua morte e risurrezione; un’interpretazionedi questo evento alla luce delle Scritture; unappello alla conversione.«In sintesi, l’annuncio ha per oggetto il Cri-sto crocifisso, morto e risorto: in lui si compiela piena e autentica liberazione dal male,dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la“vita nuova”, divina ed eterna. È questa la“buona notizia” che cambia l’uomo e la sto-ria dell’umanità e che tutti i popoli hanno ildiritto di conoscere. Tale annuncio va fattonel contesto della vita dell’uomo e dei popoliche lo ricevono» (IC/3, n. 22; RM 44).L’evangelizzazione consiste in questo primoannuncio della salvezza a chi non crede, maquesta azione della Chiesa è necessaria e in-sostituibile anche per chi necessita di ridestareo di ravvivare una fede spenta o soffocatadall’indifferenza e dall’oblio (cf. RdC 25).

Capitolo terzo - L’ACCOMPAGNAMENTO (nn. 29-40) - La comunità cristiana, in tutta la suamolteplice varietà di doni e di ministeri, èsoggetto primario di accompagnamento nelcammino di iniziazione alla fede e alla vitacristiana. Alla parrocchia si chiede di esseresempre di più «luogo di accoglienza, di dia-logo, di discernimento e di iniziazione» (cf.

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n. 32). Da parte sua, il “gruppo di ricercanella fede” non deve chiudersi in se stesso,ma «allargarsi ad un continuo contatto e aun aperto confronto con altre esperienze» divita cristiana (cf. n. 33).Il modo più ordinario per seguire un itine-rario di fede è l’Anno liturgico: esso permetteun graduale e crescente inserimento nel mi-stero di Cristo e un reale incontro con lui at-traverso la preghiera e la celebrazione litur-gica (cf. nn. 36-40).

Capitolo quarto - GLI ITINERARI (nn. 41-61)- L’ultimo capitolo della Nota si sofferma suipossibili itinerari per chi, battezzato, si ponein un cammino di fede per completare l’ini-ziazione o per rimotivare la sua appartenen-za ecclesiale.La Nota propone l’istituzione nelle comu-nità cristiane di luoghi di confronto e di ac-compagnamento che offrano spazi di dia-logo e di ricerca per coloro che, in circo-stanze particolari della loro vita, cercanorisposte a interrogativi e speranza nelle an-gosce esistenziali. Il primo annuncio saràtanto più efficace quanto più le comunitàcristiane sapranno esprimere accoglienzadisinteressata, rispetto, delicatezza, fiducia,assenza di giudizio e soprattutto la gioiadella loro fede.Certo, anche questa Nota pastorale chiamain causa le nostre parrocchie: “Le comunitàcristiane sono capaci di evangelizzazioneautentica e di percorsi comunitari per in-trodurre nella fede cristiana?”. Alcune lostanno facendo; è certo comunque che cisi muove ancora con difficoltà in questomondo in rapido cambiamento. Sono an-cora troppo ancorate alla pastorale dei sa-cramenti. Le comunità cristiane esistonoper offrire Gesù Cristo e non un rito. A chichiede un sacramento esse devono dareGesù Cristo.

3° «IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA»(2004)

Facendo seguito agli Orientamenti pastoralidei primi 10 anni del 2000, “Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia”, i Vescoviitaliani hanno voluto offrire alla Chiesa, cheè in Italia, alcuni indirizzi pastorali perpromuovere il rinnovamento delle parrocchiein senso missionario, in un contesto cultu-rale in rapido cambiamento.Questi orientamenti li hanno riassunti nellaNota pastorale: “Il volto missionario delleparrocchie in un mondo che cambia”, pub-blicata nel 2004. La Nota è articolata in dueparti. Nella prima parte si sottolinea il ruolo dellaparrocchia nella comunicazione del Vangelo.La parrocchia viene presentata come formastorica che dà concretezza alla dimensioneterritoriale della Chiesa particolare. Anche leparrocchie devono essere coinvolte nel rin-novamento missionario chiesto oggi alle dio-cesi (n. 4). È un impegno che esige discer-nimento, valorizzazione dell’esistente, co-raggio nel promuovere alcune scelte inno-vative (n. 5).Nella seconda parte la Nota offre alcune in-dicazioni significative per promuovere lamissionarietà delle parrocchie in sette ambitipastorali: il primo annuncio, l’iniziazione cri-stiana, la celebrazione della domenica, laformazione degli adulti, delle famiglie e deigiovani, il rapporto con il territorio, la col-laborazione tra parrocchie, la collaborazionetra preti e laici.La prima azione pastorale che la parrocchiadeve realizzare è il primo annuncio delVangelo (n. 6). Questo primo annuncio inuna società sempre più scristianizzata, è piùurgente che mai.

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1. Viene ribadita la necessità del primoannuncio

«Non si può più dare per scontato che sisappia chi è Gesù Cristo, che si conosca ilVangelo, che si abbia una qualche esperien-za di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, gio-vani e adulti; vale per la nostra gente e, ov-viamente, per tanti immigrati, provenientida altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annunciodella fede. È compito della Chiesa in quantotale, e ricade su ogni cristiano, discepolo equindi testimone di Cristo; tocca in modoparticolare le parrocchie. Di primo annunciovanno innervate tutte le azioni pastorali»(n. 6).

2. Viene suggerito il metodo del primoannuncio

a) Occorre incrementare la dimensionedell’accoglienza. L’accoglienza, cordialee gratuita, è la condizione prima di ognievangelizzazione.

b) Su di essa deve innestarsi l’annuncio,cioè l’esplicita presentazione di Cristo,Salvatore del mondo; esso va fatto conparole amichevoli, in tempi e modi op-portuni.

c) Per l’evangelizzazione è essenziale la co-municazione della fede da persona apersona. È dovere primario della par-rocchia preparare ogni cristiano a questocompito, educando all’ascolto della pa-rola di Dio, con l’assidua lettura dellaBibbia nella fede della Chiesa.

d) Sono necessarie iniziative organichedi proposta del messaggio cristiano,dei suoi contenuti, della sua validità edella sua plausibilità. Vanno affrontate ledomande di fondo che il cuore e l’intel-ligenza si pongono sul senso religioso,su Cristo, sulla Chiesa…

3. Viene raccomandato il dialogo trafede e cultura

«Non si deve dimenticare la risorsa costituitadalle ricchezze di arte e di storia custoditein tante parrocchie: edifici, dipinti, sculture,archivi e biblioteche: terreno di incontro contutti».Si tratta di continuare a intessere il dialogotra fede e cultura e ad incidere sulla culturacomplessiva della nostra società, valorizzan-do l’eredità cristiana in essa presente. Sba-glierebbe chi desse per scontato un destinodi marginalità per il cattolicesimo italiano.Questa presenza e questa azione culturalerappresentano un terreno importante perchéil primo annuncio non cada in un’atmosferaestranea o anche ostile.L’attenzione all’annuncio va inserito nelcontesto del pluralismo religioso, che nelnostro Paese cresce con l’immigrazione. Lapredicazione, come pure il servizio della ca-rità, uniscono la fermezza sulla verità evan-gelica da proporre a tutti, con il rispetto dellealtre religioni e con la valorizzazione dei“semi di verità” che portano con sé.La “sfida missionaria” chiede di proporrecon coraggio la fede cristiana e di mostrareche proprio l’evento di Cristo apre lo spazioalla libertà religiosa, al dialogo tra le religio-ni, alla loro cooperazione per il bene d’ogniuomo e per la pace.

4. Viene richiamato il dovere della mis-sione “ad gentes”

«Tanto più la parrocchia sarà capace di ri-definire il proprio compito missionario nelsuo territorio, quanto più saprà proiettarsisull’orizzonte del mondo, senza delegare so-lo ad alcuni la responsabilità dell’evangeliz-zazione dei popoli. Non poche esperienze sono state felicementeavviate in questi anni: scambio di personaleapostolico, viaggi di cooperazione fra le

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Chie se, sostegno a progetti di solidarietà esviluppo, gemellaggi di speranza sulle diffi-cili frontiere della pace...Più che ulteriore impegno, la missione adgentes è una risorsa per la pastorale, un so-stegno alle comunità nella conversione diobiettivi, metodi, organizzazioni, e nel ri-spondere con la fiducia al disagio che spessoesse avvertono.

4° «QUESTA È LA NOSTRA FEDE»Nota pastorale sul primoannuncio del Vangelo (2005)

In coerenza con le indicazioni pastorali dellaNota “Il volto missionario delle parrocchie”del 2004, sopra richiamate, la Commissioneepiscopale della CEI per la dottrina della fede,l’annuncio e la catechesi, ha voluto appro-fondire la riflessione sul primo annuncio enel 2005 ha pubblicato la prima Nota pa-storale sul primo annuncio del Vangelo:“Questa è la nostra fede”.In un contesto obiettivamente missionariocome il nostro – si legge nella Nota – occorreriportare al centro di ogni Chiesa diocesanae di tutte le comunità parrocchiali il primoannuncio della fede. «C’è bisogno di un rin-novato primo annuncio della fede. È com-pito della Chiesa in quanto tale e ricade suogni cristiano, discepolo e quindi testimonedi Cristo» (VM 6).È questa la meta della presente Nota pasto-rale: aiutare a riscoprire il valore, l’urgenza,le condizioni di possibilità e le modalità con-crete per comunicare a tutti il primo annunciodella lieta notizia della salvezza» (QNF, n. 1).Ecco l’articolazione dei suoi contenuti.

Introduzione: Comunicare a tutti l’an-nuncio della salvezza (n. 1)Anche oggi, come duemila anni fa, gli uo-

mini e le donne continuano a chiedersi suchi e su che cosa sia possibile riporre le pro-prie speranze. La fede cristiana risponde consan Paolo: chi si affida a Gesù di Nazaretnon resta deluso (cf. Rm 10,11). Ancheoggi c’è:- chi cerca Gesù con sincerità di cuore, pertrovare la luce della vita, come Nicodemo;- chi cerca Gesù, mosso da nostalgia o cu-riosità o desiderio acuto, come Zaccheo;- chi si dichiara indifferente, ma se si imbattein Gesù rimane conquistato, come la Sama-ritana.

Primo capitolo: Alle sorgenti dell’evan-gelizzazione (nn. 2-6)Si descrivono le finalità, il contenuto, ilinguaggi del primo annuncio del Vangelo,inquadrandolo nel vasto orizzonte dell’evan-gelizzazione. Esso deve essere portato agliuomini di oggi con lo stile di Gesù.a) La finalità del primo annuncio è far in-

contrare Gesù Cristo e far conoscere ilsuo Vangelo. È questo il compito priori-tario per la Chiesa, la sua identità piùprofonda. La Chiesa esiste per evangeliz-zare.

b) Il contenuto essenziale di questo an-nuncio è: “Gesù Cristo, crocifisso e risor-to, è il Signore e l’unico salvatore delmondo”. L’evento della Pasqua rimane ilnucleo germinale di tutto il processo ditrasmissione del Vangelo e del successivosviluppo del dogma.

c) Questo contenuto è espresso in diversilinguaggi e generi letterari: proclama-zioni di fede, inni o cantici, racconti e te-stimonianze, ma sempre come “lieto mes-saggio”.

«Il primo annuncio si può descrivere sin-teticamente così: ha per oggetto il Cristo cro-cifisso, morto e risorto, in cui si compie la

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piena e autentica liberazione dal male, dalpeccato e dalla morte; ha per obiettivo lascelta fondamentale di aderire a Cristo e allasua Chiesa; quanto alle modalità deve essereproposto con la testimonianza della vita econ la parola e attraverso tutti i canali espres-sivi adeguati, nel contesto della cultura deipopoli e della vita delle persone» (QNF n. 6).

Secondo capitolo: Comunicare il Vangelooggi (nn. 7-10)Il primo annuncio del Vangelo va calatonell’attuale contesto culturale, segnatodalla secolarizzazione, ma anche da undiffuso, seppure fragile e ambiguo, bisognoreligioso.La comunità cristiana deve esprimere il mes-saggio cristiano con i suoi caratteri fonda-mentali: assolutezza, aspetto salvifico, di-mensione storica, aspetto paradossale e sor-prendente. Grande attenzione va dedicata allo stile dellacomunicazione, che deve essere testimonia-le e dialogico, testimonianza e annuncioesplicito.

Terzo capitolo: Gesù risorto è la nostrasalvezza (nn. 11-17)Questo capitolo offre una esemplificazionedi primo annuncio della fede, ripercorrendo-ne la struttura portante, così come avvienenella liturgia della veglia pasquale: la solen-ne professione della fede in Dio, Padre e Fi-glio e Spirito Santo. Il segno della croce è la formula-base dellanostra fede, in quanto ne esprime i due mi-steri principali: la santa Pasqua del Signoree la santa unità e trinità di Dio.

«Il primo annuncio deve saper unire corretta-mente la professione di fede cristologica: “Gesùè il Signore”, con la confessione trinitaria: “Cre-do nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo”,«poiché non sono che due modalità di esprimere

la medesima fede cristiana. Chi per il primo an-nuncio si converte a Gesù Cristo e lo riconoscecome Signore, inizia un processo… che sboccanecessariamente nella confessione esplicita dellaTrinità». Questa fede è racchiusa nel segno dellacroce, il segno distintivo del cristiano» (QNF,n. 16).

Quarto capitolo: Noi lo annunciamo a voi(nn. 18-23)Propone indicazioni operative per attuareuna pastorale di primo annuncio. Esse ri-guardano i soggetti, la pedagogia, i desti-natari, le forme occasionali e quelle orga-niche.

1) Chi annuncia?«Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto diimpegnarsi perché l’annuncio divino dellasalvezza si diffonda sempre più fra gli uo-mini di ogni tempo e di ogni luogo» (CDCcan 211). «Per l’evangelizzazione rimanesempre indispensabile la comunicazione in-terpersonale da parte di un credente neiconfronti di un non credente… Ma l’annun-cio non è mai un atto esclusivamente indi-viduale: tutta la Chiesa ne è coinvolta»(QNF, n. 18).

2) Quando si annuncia?La pastorale cosiddetta occasionale rimanela via comune e la più ordinaria per l’an-nuncio del Vangelo. Anche nella comunica-zione in forma pubblica e collettiva, non sipuò mai prescindere dal contatto da personaa persona.

3) In che modo si annuncia?– la testimonianza della carità, come via

privilegiata per l’evangelizzazione;– il dialogo schietto e cordiale con le perso-

ne, per far emergere interessi, interrogativi,speranze;

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– la narrazione dell’evento pasquale comela vera, efficace “buona notizia” per l’uo-mo di oggi;

– la promessa del dono dello Spirito e dellasicura efficacia del messaggio della Pa-squa;

– l’esortazione ad aderire al messaggio cri-stiano, consegnandosi a Cristo totalmente;

– l’indicazione della via da seguire fino adarrivare al battesimo o alla sua riscoperta:l’itinerario dell’iniziazione cristiana.

4) La parrocchia come annuncia?La parrocchia assolve questo compito, in-nervando di primo annuncio tutte le azionipastorali: la catechesi, che deve sempre ri-condurre al cuore vitale del messaggio cri-stiano; la celebrazione eucaristica, in cui siannuncia la morte del Signore, si proclamala sua risurrezione, nell’attesa della sua ve-nuta; l’omelia; la testimonianza della carità;gli eventi straordinari.

5) Quali sono le occasioni particolariper il primo annuncio ai giovani eagli adulti?

– la preparazione delle coppie al matrimonioe alla famiglia;

– l’attesa e la nascita dei figli e la richiestadel battesimo;

– la richiesta della catechesi e degli altri sa-cramenti per i figli;

– le situazioni di difficoltà delle famiglie, permalattie, lutti, divisioni…;

– le migrazioni in Italia di tante persone dialtre religioni;

– gli strumenti mediatici e informatici, i sussidiaudiovisivi, musicali, cinematografici…;

– il patrimonio storico e artistico del nostroPaese;

– le relazioni vissute dai giovani nel tempolibero (evangelizzatori di strada).

5° LETTERA AI CERCATORIDI DIO (2009)

L’annuncio del kerygma pasquale è l’annun-cio di un evento di salvezza per tutti gli uo-mini. Ma gli uomini d’oggi sentono il bisognodi essere “salvati”? Da chi e da che cosa? Aquale “ricerca di salvezza” risponde questoannuncio? Non è meglio parlare dell’amoredi Dio, che ci apre alla speranza?La Bibbia usa un’am pia gamma di terminie interpella esperienze molto diverse, perevocare il problema della “salvezza dell’uo-mo”: esodo/libertà (Dio liberatore), alleanza(Dio alleato, Dio sposo: Os 2,26), popolo diDio, paternità e maternità di Dio (Os 11,1-11), amore di Dio, regno di Dio, piano diDio, riconciliazione con Dio, avere la vita,vita eterna, vincere la morte, per dono deipeccati, e simili.Quando Gesù annuncia la “salvezza” agliebrei dice: “Il tempo è compiuto e il regnodi Dio è vicino: convertitevi e credete alvangelo” (Mc 1,15); il concetto di “regnodi Dio” è vivo nell’ambiente ebraico; moltine aspettano la venuta.Questa sostanziale diversità di immagini,con cui l’unico messaggio cristiano è an-nunciato, ci invita ad attualizzare in diversimodi l’annuncio della salvezza, a secondadei diversi contesti culturali e delle esperien-ze vitali vissute dai nostri interlocutori. Anzici invita a portare il primo annuncio, dicendoinnanzitutto che cosa significa per noi “es-sere cristiani”. “Non dirmi ciò che sai; – midisse un giorno il papà di un battezzando –dimmi piuttosto come te la cavi nella vitacon la tua fede!”.Per portare il primo annuncio in terminicomprensibili e significativi agli uomini dioggi e per suscitare la loro conversione, oc-corre riformulare il kerygma apostolico in

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base alle odierne categorie culturali. Bisogna“dire Dio” con le “metafore” desunte dal vis-suto delle persone, che evocano una realtàche trascende le nostre parole: l’amore didue sposi, l’accoglienza del bambino da par-te della mamma, l’esperienza della solida-rietà verso i poveri, l’esperienza liturgica,ecc. L’importante è trovare una “porta” at-traverso la quale far entrare il Vangelo nelcuore dell’uomo d’oggi. L’importante è tro-vare il “punto di partenza” o la prospettivada cui partire, per incontrare in modo au-tentico e significativo il Vangelo e accedereall’intero messaggio evangelico.5

È quello che ha tentato di fare l’attuale Com-missione Episcopale della CEI per la dottrinadella fede, l’annuncio e la catechesi. Essa, incontinuità con le indicazioni pastorali e pe-dagogiche suggerite dalla Commissione Epi-scopale precedente, con la Nota pastorale“Questa è la nostra fede”, ha elaborato unostrumento per il primo annuncio, che si inti-tola: “Lettera ai cercatori di Dio” (2009).Questa “Lettera” è un sussidio offerto achiunque voglia iniziare un dialogo con per-sone in ricerca e sostanzialmente aperte alprimo annuncio di Gesù Cristo, all’internodi un itinerario che possa introdurre all’espe-rienza della vita cristiana.Il “soggetto” che scrive la Lettera e la pro-pone ai “cercatori” è costituito dai “discepolidi Gesù”: un gruppo di credenti, in una ca-tena di narratori - dagli Atti degli Apostoliad oggi - che comunicano la propria fede,ripensandola nel segreto della propria inte-riorità e sulle sfide dell’oggi, rappresentatesoprattutto dalle domande sul senso e dalbisogno di speranza.

1. A chi è destinata?La Lettera si rivolge ai “cercatori di Dio”, atutti coloro, cioè, che sono alla ricerca delvolto di Dio. 1) Lo sono i credenti, che cre-scono nella conoscenza della fede proprio apartire da domande sempre nuove. 2) Losono quanti – pur non credendo – avvertonola profondità degli interrogativi su Dio e sullecose ultime. 3) La Lettera vorrebbe suscitareattenzione e interesse anche in chi non sisente in ricerca, nel pieno rispetto della co-scienza di ciascuno.La Lettera, però, non è pensata come un te-sto da leggere tutto di seguito e unicamentea livello personale: l’esperienza di senso, disperanza e di fede, che la Lettera vorrebbeincoraggiare e sostenere, richiede sempre un“grembo ecclesiale” di riferimento, cioè unpiccolo gruppo che accoglie persone con di-versi livelli di maturazione di fede.

2. Com’è strutturata?La Lettera si articola in tre parti: ciascunaha una sua logica distinta:– parte da alcune domande che ci sembrano

diffuse nel vissuto di molti;– propone l’annuncio cristiano, con cui vo-

gliamo “rendere ragione della speranza cheè in noi”;

– offre una proposta a chi cerca la via diun incontro possibile con il Dio di GesùCristo.

La preoccupazione che anima la ricerca e laproposta è la “significatività”, ossia il de-siderio di restituire alla fede la sua funzionedi “buona notizia” concreta e condivisibile,accogliendo il contributo di tutti e aiutandosireciprocamente a comprendere in modo au-

5 A questo riguardo ci offre un esempio significativo il catechismo dei giovani, I volume, “Io ho scelto voi”. Essoguida gli adolescenti all’incontro con Cristo, a partire da alcune esperienze di fondo che essi vivono e che co-stituiscono altrettanti “temi generatori”: il bisogno di delineare la propria identità, l’esperienza dell’amicizia edell’amore, la crescita del senso di responsabilità, l’esigenza di libertà, la ricerca della propria vocazione.

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tentico sfide e inquietudini. Aiutare a for-mulare bene le domande… è già un gestodi amore verso tutti e un contributo preziosoper ridire la propria fede, condividendola coni “cercatori”.

1) Prima parte: Le domande che uni-scono

La prima parte cerca di rileggere le domandefondamentali che salgano dall’esistenza diogni persona che pensa, ama la sua esisten-za, si lascia interpellare da essa, cerca discavare dentro per cogliere interrogativi, col-legamenti, attese e inquietudini.Una scelta precisa anima questa parte: l’in-dicazione e lo sviluppo delle domande partesempre dalla constatazione del positivo dellavita quotidiana e, di conseguenza, dalla fortecertezza (“teologica”, per chi scrive la Let-tera) che la vita è la prima fondamentalerisorsa da accogliere e amare. Gli interro-gativi nascono dal limite sperimentato in sestessi e in uno sguardo di sincera solidarietà.Queste sono le domande analizzate:

1. Felicità e sofferenza2. Amore e fallimenti3. Lavoro e festa4. Giustizia e pace5. La sfida di Dio

Non ci sono risposte e le domande sonoespresse sempre in atteggiamento di condi-visione, perché l’intenzione ripetutamenteespressa è quella di una sincera e profondacompagnia in umanità. È evidente però chechi guida il cammino ha una sua ispirazionedi fondo, che non può far finta di ignoraresolo per gioco letterario. Per questo, la sceltadegli ambiti da cui salgono le domande e uniniziale tentativo di organizzazione e di in-terpretazione risente necessariamente delcammino dei cristiani.

All’interno di tutte le domande, quasi comeprincipio ispiratore, c’è una richiesta di sensoe di speranza. Le domande di speranza ciriguardano tutti e indicano un orizzonte cheva molto oltre l’esperienza soggettiva. I cre-denti interpretano tutto questo come unadomanda su Dio, autentica anche se impli-cita e non consapevole.

2) Seconda parte: La speranza che è innoi

La piccola introduzione che apre la secondaparte, dichiara il senso delle pagine che se-guono e la loro collocazione nella logica glo-bale del progetto. La riflessione attorno alledomande di senso e di speranza è immagi-nata come un atteggiamento di attesa invo-cante, come la ricerca di qualcosa o di qual-cuno che sia capace di dare una risposta allenostre domande di senso. A queste domandeè atto di amore “offrire una risposta”. I credenti riconoscono di avere qualcosa dacondividere, che è andato progressivamentematurando nella consapevolezza ecclesiale.Per questo non possono rinunciare a direcon amore e rispetto: “questa è la nostrafede”, almeno nelle sue linee fondamentali.Non hanno la pretesa di dire tutto con com-pletezza: non è una catechesi, ma la condi-visione di un orizzonte rivelato, che fondae giustifica la speranza. Per questo, sonostati scelti solo alcuni temi ed è stata privi-legiata la modalità narrativa, per collocareanche i “cercatori di Dio” di oggi in una ca-tena di narratori in ricerca. Con questa pro-spettiva sono stati scelti i temi teologici se-guenti: 6. Gesù 7. Il Cristo 8. Dio Padre, Figlio e Spirito 9. La Chiesa di Dio10. La vita secondo lo Spirito

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La scelta è richiamata esplicitamente nellaintroduzione: “Non abbiamo la pretesa dicomunicare tutto quello che si può dire dellafede cristiana. Per intraprendere un possi-bile percorso di fede, la comunità ecclesialepossiede testi autorevoli, ben elaborati esperimentati, tra cui spiccano il Catechismodella Chiesa Cattolica ed i Catechismi dellaConferenza Episcopale Italiana. Sarebbeinutile ripetere qui quello che si può trovarein essi. Desideriamo invece suscitare inte-resse o almeno curiosità in ogni personache è alla ricerca di Dio, perché possa ri-pensare la figura e il messaggio di Gesù eapprofondirli nell’ascolto delle testimonian-ze che ne parlano.

3) Terza parte: Un cammino per l’in-contro con Dio

“Vogliamo vedere Gesù”, dissero i greci aFilippo. “Vogliamo vedere Gesù”, possonodire le persone che ne hanno sentito parlare.Dove possono incontrarlo? La terza parte siapre con questa prospettiva. Alla radice deltesto sta quell’interrogativo forte.«In quest’ultima parte, dunque, tentiamo diproporre la “mappa” di una esistenza vissutasecondo lo Spirito di Gesù, per restituire fi-ducia alla vita quotidiana e ricordare le con-dizioni per la sua autenticità. Chi sosterrà ilnostro sforzo? Proprio dal vissuto dei nostrifratelli e sorelle nella fede affiora la risposta:la preghiera, la parola di Dio, i sacramenti,il servizio, l’attesa della casa futura, sono leesperienze concrete in cui è possibile incon-trare il Dio di Gesù Cristo».Pertanto in questa terza parte sono formulatii temi seguenti:

11. Preghiera12. L’ascolto della Parola di Dio 13. I “segni” in cui si attua l’incontrocon Cristo

14. Il servizio15. La vita eternaA monte stanno alcune constatazioni. Gliinterrogativi della prima parte nascono dallavita quotidiana, quando riusciamo a viverlaseriamente, come risorsa e provocazione.L’incontro con Gesù ci restituisce alla vitaquotidiana: dà senso e speranza per unaqualità nuova di vita. Ora ci chiediamo comevivere questa vita, nella novità di senso edi speranza che il Crocifisso risorto ci con-segna. Nello stesso tempo, siamo sollecitati ad in-ventare quella qualità di vita a cui siamochiamati e ci preoccupano le difficoltà di re-stare fedeli al progetto di vita nuova. Ab-biamo bisogno di conoscere quali “strumen-tazioni” possono sostenere la nostra fedeltà.La terza parte suggerisce lo stile di esistenzarinnovata e propone i sostegni a questo co-raggioso progetto, rilanciandoli dalla tradi-zione formativa cristiana.

ALCUNE CONCLUSIONI

L’analisi dei documenti pastorali elaboratidai Vescovi italiani in questo decennio atte-sta chiaramente la loro volontà di promuo-vere un rinnovato primo annuncio e offreper questo alle comunità ecclesiali alcuni si-gnificativi indirizzi pastorali, per “inquie-tare” i giovani e gli adulti che hanno rimos-so dalla loro vita la domanda religiosa e perintercettare la ricerca religiosa degli adultiche si interrogano sul senso della loro vita.Il Signore chiede alle nostre comunità e aciascuno di noi di testimoniare l’amore diDio per l’uomo e di prolungare nel tempo –come ci dice la Nota pastorale dopo Verona– la manifestazione di quel grande ‘sì’ cheDio «ha detto all’uomo, alla sua vita, al-l’amore umano, alla nostra libertà e alla no-

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stra intelligenza» (Nota CEI, 10). Egli cichia ma a testimoniare che lui è dalla partedell’uomo, alleato dell’uomo.Ebbene, noi testimoniamo l’amore di Dioprima di tutto con l’attenzione alle perso-ne, con le opere dell’amore e le scelte di vitain favore delle persone. Come scrivono i Ve-scovi italiani nella Nota pastorale dopo Ve-rona, «il nostro unico interesse è mettercia servizio dell’uomo, perché l’amore di Diopossa manifestarsi in tutto il suo splendo-re» (Nota CEI, n. 19).Quali scelte pastorali fare, per far risuonareil primo annuncio e perché gli uomini d’oggilo percepiscano come una “risposta” alle loroattese di speranza? Riassumo le principaliproposte dei Vescovi italiani nel seguente“decalogo della pastorale missionaria”.

11) È necessario innanzitutto che le nostrecomunità cristiane ed i singoli cristianioffrano una testimonianza gioiosae significativa della fede e mostrino co-me la fede cristiana renda più vera, piùgiusta e più bella la vita personale, fa-miliare e sociale, rinnovi i rapporti diamicizia, dia senso alla fatica del lavo-ro, all’impegno educativo e all’azionesociale.

12) È necessario che le nostre comunità cri-stiane offrano una testimonianza dicomunione attraente e convincente, incui i credenti (preti, religiosi e laici) vi-vano e testimonino rapporti sereni, “fre-schi”, liberi e gratuiti; comunità che ac-colgono le persone come sono e che per-mettono loro di vivere esperienze signi-ficative di fraternità; comunità di parte-cipazione, dove i laici assumono preciseresponsabilità ministeriali.

13) Inoltre è necessario che esse diventinocomunità accoglienti, che assicurinol’adozione spirituale di coloro che bus-

sano alla loro porta e dove ognuno sisenta a proprio agio; comunità dove l’ul-timo – il disabile, il vecchio, il malato,l’ignorante, il disadattato – è tenuto inmaggiore considerazione, perché ha piùbisogno degli altri (cf. 1 Cor 12,15-27).

14) È necessario che le nostre comunità va-lorizzino il ruolo profetico della carità.La prima evangelizzazione è quella chela comunità fa con la testimonianza dicarità, di condi visione e di servizio. Ènecessario che le comunità ecclesialipongano gesti profetici in campo socialee caritativo e prestino attenzione agliulti mi.

15) Occorre che le nostre comunità abbianouna tensione missionaria, progettinola loro azione pastorale in funzione dellamissione, intesa come “condivisione del-la salvezza”. Solo una comunità missio-naria è in grado di affrontare il problemadella prima evangelizzazione, rivolta ainon credenti e agli indifferenti; solo unacomunità missionaria è in grado di farrisuonare il Vangelo nei nuovi areopa-ghi del nostro tempo: nel mondo del la-voro, della scuola, nelle nuove povertà(handicap, ma lattia, solitu dine, ecc.),nei problemi sociali e politici e nei massmedia.

16) Per adempiere questo compito missio-nario, bisogna che i pastori e i cristianipraticanti escano dall’ovile e si faccia-no prossimi di chi non crede e non“pratica”; occorre che escano dal tempioe vadano incontro ai “lontani”; occorreche si incarnino nel territorio, stiano inmezzo alla gente e, prima di tutto, inmezzo agli ultimi; occorre che si lascinoin terpellare dai problemi del territorio,in dialogo con gli uomini, al loro servi-zio. Non per conquistare, ma per con-dividere e per proporre.

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17) Per questo è urgente curare la forma-zione di cristiani adulti nella fede,ca paci di incontrare i non credenti làdove questi vivono, di stabilire con lororapporti di amicizia e di dialogo e di co-municare loro la propria esperienza difede, di “dire” la propria fede, di porredomande che provochino la ricerca el’attitudine ad in terpretare il quotidianoalla luce della fede. Oggi più che mai sirende necessario un accostamento indi-vidualizzato, capillare, al mes saggio cri-stiano.

18) Le comunità ecclesiali sono chiamate adiventare “centri di evangelizzazio-ne” e a dar vita a tutte le iniziative dievangelizzazione che servono a pro-porre il Vangelo ai non cre denti ed agliindifferenti, a partire dalla valorizzazionedelle occasioni offerte dalla vita di cia-scuno e soprattutto dei momenti “forti”dell’esistenza (nascita, scelte di vita, ma-lattia, morte, ecc.). Si suggerisce inoltredi creare in parrocchia luoghi di acco-glienza, di moltiplicare le occasioni di in -contro, di costituire piccoli “centri diascolto”, di fare della parrocchia una “co-munità di co munità”.

19) Occorre che favoriamo l’apertura dellepersone al Trascendente e che “ripartia-mo” dall’annuncio di Dio Creatore e Pa-dre. Ma che cosa significa “ripartire daDio”?6 «Ripartire da Dio vuol dire tor-nare alla verità di noi stessi, rinunciandoa farci misura di tutto, per riconoscereche Lui soltanto è la misura del vero, delgiusto e del bene, l’ancora che dà fon-damento, la ragione ultima per vivere,amare, morire. […] Ripartire da Dio vuoldire misurarsi su Gesù Cristo e quindiispirarsi continuamente alla sua parola,ai suoi esempi, così come ce li presentail Vangelo. Vuol dire entrare nel cuore diCristo che chiama Dio “Padre”».7

10) Per svolgere la missione evangelizza-trice, è necessario che le nostre comu-nità ecclesiali va lorizzino meglio la li-turgia, celebrata “come si deve”, polodi interrogazione e di attrazione, fontedi catechesi. È necessario che rendiamoaccoglienti le liturgie eucaristiche e lefacciamo riscoprire quali esse sono: cul-mine della vita cristiana, “momento digrazia” che costruisce la Chiesa e chedà senso e fondamento all’essere cri-stiani.

6 Il titolo è quello usato dal card. C. M. Martini, Ripartiamo da Dio! Lettera pastorale per l’anno 1995-1996,Centro Ambrosiano, Milano 1995. 7 Martini C.M., Ripartiamo…cit, p. 27.

Reggio Calabria, 15 giugno 2009

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Per cogliere la genesi profonda della Letteraai cercatori di Dio, appena pubblicata dallaCommissione Episcopale per la dottrina dellaFede, l’Annuncio e la Catechesi,1 quale stru-mento possibile per il primo annuncio, vorreipensarne la struttura – scandita nelle treparti delle domande che ci uniscono, del ké-rygma proposto e delle vie per il possibileincontro con Cristo – a partire da una nar-razione evangelica, scelta come metaforadella ricerca umana culminante nella finaleesperienza di Dio: il viaggio, l’arrivo e lanuova partenza dei Magi. “Siamo venuti peradorarlo” (Mt 2,2): così essi affermano allavista del Bambino. Nella notte del mondo,nella notte del cuore, essi si sono fatti pel-legrini, guidati da una stella, per andare allaricerca di Colui, che dà senso alla vita e allastoria. Giunti alla Sua presenza – la presenzatenerissima di un Bambino – hanno fattol’unica cosa degna dell’incontro con la Veritàin persona: lo hanno adorato. Proprio così,i Magi rappresentano tutti i cercatori dellaverità, pronti a vivere l’esistenza come eso-do, in cammino verso l’incontro con la luceche viene dall’alto, a cui aprirsi nell’adora-zione, che cambia il cuore e la vita.

1. Pellegrini nella notte: la domanda di unaricerca antica e sempre nuova… I Magi pel-legrini nella notte rappresentano tutti i cer-catori della verità, non solo chi crede e cre-dendo ama l’invisibile Amato, attendendo

nella speranza l’incontro della gloria futura,ma anche chi cerca non avendo il dono dellafede. Il cosiddetto ateo, quando lo è non persemplice qualificazione esteriore, ma per lesofferenze di una vita che lotta con Dio sen-za riuscire a credere in Lui, vive in una me-desima condizione di ricerca, di viva e spes-so dolorosa attesa. La non credenza non èla facile avventura di un rifiuto, che ti lasciacome ti ha trovato. La non credenza seria– non negligente e banale – è passione esofferenza, militanza di una vita che pagadi persona l’amaro coraggio di non credere.Lo mostra, ad esempio, il celebre aforisma125 della Gaia Scienza, dove Nietzsche rac-conta del folle che nella chiara luce del mat-tino andò sulla piazza del mercato, tenendoaccesa la lucerna e gridando: “Cerco Dio,cerco Dio”. “Dov’è Dio? Si è addormentatoo si è perso come un bambino?” – doman-dano gli altri, prendendosi gioco di lui. E luigrida le parole, che segnano il destino diun’epoca: “Dio è morto... e noi lo abbiamoucciso!” Ma subito dopo quelle parole ag-giunge: “Saremo noi degni della grandezzadi questa azione?”. E denuncia la verità deldolore infinito di non credere, il senso diuna notte che è sempre più notte, di un ab-bandono, che è percezione di un’infinita or-fananza. Questa pagina mostra come il noncredere, se serio, sia tragico nella sua con-sapevolezza, indissociabile dall’infinito do-lore dell’assenza, da un senso di solitudine

LA “LETTERA AI CERCATORI DI DIO”:GENESI E PRESENTAZIONE

Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, Presidente della Commissione Episcopaleper la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

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1 Ne esistono varie edizioni: Edizioni San Paolo, con illustrazioni, € 11; Edizioni Paoline, € 2,50: Edizioni LDC,€ 2,50; Edizioni Dehoniane Bologna, € 2,00.

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e d’abbandono, quale solo la morte di Diopuò creare nel cuore dell’uomo, nella storiadel mondo. Il non credente pensoso, comeil credente non negligente, è per questo unuomo che lotta con Dio: proprio così alla ri-cerca della verità, pellegrino nella notte, at-tratto e inquietato da una misteriosa stella.“Mi religion es luchar con Dios”, dirà di séMiguel de Unamuno, il testimone del “sen-timiento tragico de la vida”: la mia religioneè tutta qui, “lottare con Dio”. E poiché “vivires anelar la vida eterna”, il vivere è ineso-rabilmente segnato dalla tragicità di doversostenere l’impari lotta. È questa l’altissimadignità del cercare la verità da parte di cia-scuno, credente o non credente che sia. Ela sola, vera notte del mondo è quella di chinon si riconosce in esodo, pellegrino versouna patria desiderata, ricercata e attesa…I Magi, pellegrini nella notte, venuti da lon-tano, in cammino verso la meta cui li guidala misteriosa stella, rappresentano dunquela condizione umana nella sua struttura ori-ginaria di interrogazione e di ricerca. Comeosserva il giovane Heidegger in Essere etempo, vivere significa essere “gettati versola morte”: all’immediata evidenza la vita ap-pare come un lungo viaggio verso le tenebre,dove tutto sembra affondare nell’ultimo si-lenzio della morte. Per questo la vita è im-pastata di dolore: e per questo la vera do-manda, quella sulla quale sta o cade la veritàdi ogni risposta, è, e resta, la domanda deldolore. Ogni pensiero nasce dal dolore dellalacerazione e della morte. Se non esistessela morte non esisterebbe il pensiero, nonesisterebbe la vita, cioè la vita del pensieroche è la dignità del vivere di ciascuno di noi.È il patire, il morire che suscita in noi la do-manda, accende la sete di ricerca, lasciaaperto il bisogno di senso. Senza dolore nonci sarebbe la dignità dell’uomo che si inter-roga. Il dolore rivela allora la vita a se stessa

più fortemente della morte, che lo produce,perché insegna che noi non siamo sempli-cemente dei gettati verso la morte, ma deichiamati alla vita: il dolore è la felicità dacui siamo tutti attratti nel segno del suo con-trario.Un grande pensatore ebreo del Novecento,Franz Rosenzweig, apre la sua grande operaLa stella della redenzione – dal titolo fasci-noso che evoca appunto l’esperienza deiMagi – con le parole: Dalla morte. La stessaopera si chiude con le parole: Verso la vita.È questo l’itinerario del pensare. Dalla morteci facciamo pellegrini verso la vita. Il cam-mino dell’uomo sta tutto in questo prenderesul serio la tragicità della morte, non fug-gendola, non stordendosi rispetto ad essané nascondendola, come ha fatto troppospesso la modernità. Se guardiamo negli oc-chi la morte, allora si compie il miracolo: vi-vere non sarà più soltanto imparare a mo-rire, ma sarà un lottare per dare senso allavita. Dove nasce la domanda, dove l’uomonon si arrende di fronte al destino della ne-cessità, e quindi alla morte che vince colsuo silenzio tutte le cose, lì si rivela la dignitàdella vita, il senso e la bellezza di esistere.Lì l’essere umano capisce di non essere sologettato verso la morte, ma chiamato alla vi-ta: lì si riconosce come un “mendicante delcielo”. L’uomo è un cercatore di senso, qual-cuno che cerca la parola che riesca a vincerel’ultimo orizzonte della morte e dia valorealle opere e ai giorni, offrendo dignità e bel-lezza alla tragicità del nostro vivere e delnostro morire. Perciò la condizione dell’es-sere umano è quella del pellegrino. L’uomoè un cercatore della patria lontana, che daquesto orizzonte si lascia permanentementeprovocare, interrogare, sedurre.Se l’esodo è la condizione umana, se l’uomoè un pellegrino verso la vita e un mendicantedel cielo, la grande tentazione sarà quella di

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fermare il cammino, di sentirsi arrivati, nonpiù esuli in questo mondo, ma possessori,dominatori di un oggi che vorrebbe arrestarela fatica del viaggio. Una tradizione ebraicaracconta di alcuni giovani, che chiedono aun vecchio rabbino quando sia cominciatol’esilio di Israele. “L’esilio di Israele – rispon-de il Maestro – cominciò il giorno in cuiIsraele non soffrì più del fatto di essere inesilio”. L’esilio non comincia quando si la-scia la patria, ma quando non c’è più nelcuore la struggente nostalgia della patria.L’esilio è di chi ha dimenticato il destino, lameta più grande, il cielo del desiderio e dellasperanza. Heidegger, parlando della “nottedel mondo” nella quale ci troviamo, dice cheessa è l’assenza di patria, perché il drammadell’uomo moderno non è la mancanza diDio, ma il fatto che egli non soffra più diquesta mancanza. Il dramma è di non av-vertire più il bisogno di superare la morte,è di considerare dimora e patria, e non esilio,questo tempo presente. L’illusione di sentirsiarrivati, il pretendersi soddisfatti, compiutinella propria vicenda, questa è la malattiamortale. Si è morti quando il cuore non vivepiù l’inquietudine e la passione del doman-dare, il desiderio del cercare ancora, di tro-vare per ancora domandare e cercare. Quan -do non lascerai più che a guidare i Tuoipassi sia la stella splendente nella notte, al-lora avrai perso la Tua lotta con la morte.L’uomo che si ferma, sentendosi padrone esazio della verità, l’uomo per il quale la ve-rità non è più Qualcuno, da cui essere pos-seduto sempre più profondamente, ma qual-cosa da possedere, quell’uomo ha ucciso inse stesso non solo Dio, ma anche la propriadignità di essere umano. La condizione uma-na è, insomma, una condizione esodale:l’uomo è in esodo, in quanto è chiamatopermanentemente ad uscire da sé, ad inter-rogarsi, ad essere in cerca di una patria.

Martin Lutero avrebbe detto sul letto di mor-te: “Wir sind Bettler: hoc est verum!” – “Sia-mo dei poveri mendicanti, questa è la veri-tà”. Sono parole dette da un “homo religio-sus” alla sera della vita, quando è ormaisulla soglia del mistero liberante per inabis-sarsi in esso e tutto vede nella verità chenon mente. Povero mendicante è l’uomonella verità del suo cuore e nel cuore dellastoria: un cercatore della verità, un mendi-cante del cielo. A quest’uomo, che siamoognuno di noi nel più profondo di noi stessi,si rivolge la Lettera ai cercatori di Dio par-tendo dalle domande che ci uniscono tutti:felicità e sofferenza, amore fallimenti, lavoroe festa, giustizia e pace, la sfida di Dio…

2. Guidati dalla stella: l’annuncio del Dioche ha tempo per l’uomo. Se l’uomo è allaricerca di Dio, Dio non di meno è alla ricercadell’uomo. È quanto ci testimonia il Vangelodi Gesù: il Dio che egli annuncia è il Diodell’avvento, il Dio che ha tempo per l’uomo.È il Dio che viene: venuto una volta, egliha dischiuso un cammino, ha acceso un’at-tesa, ancora più grande del compimento rea-lizzato. È questo il kérygma, l’annuncio gio-ioso del Dio con noi, l’eterno Emmanuele.Perciò, nella tradizione cristiana, l’avventodi Dio nella storia è pensato come revelatio,una rivelazione: è uno svelarsi che vela, unvenire che apre cammino, un ostendersi nelritrarsi che attira. Negli ultimi secoli la teo-logia cristiana ha concepito la rivelazionesoprattutto come Offenbarung, apertura,manifestazione totale. Così, in essa l’avven-to di Dio è stato spesso pensato come esi-bizione senza riserve. Dio si sarebbe deltutto consegnato nelle nostre mani: la storia– dirà Hegel – non è che il “curriculum vitaeDei”, il pellegrinaggio di Dio per divenire sestesso. Con feroce parodia Nietzsche affer-merà che questo “Dio è diventato finalmente

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comprensibile a se stesso nel cervello he-geliano”. È questa presunzione di ridurreDio a certezza luminosa, a definizione chia-ra ed evidente, la pretesa dell’ideologia mo-derna, in tutte le sue forme, anche teologi-che. Ma questo è precisamente l’oppostodell’annuncio cristiano: interpretare la rive-lazione come manifestazione totale, comerisposta incondizionata e senza riserve alledomande del nostro cuore o della nostramente, è il più grande tradimento che di es-sa si possa fare.È allora necessario liberarsi dal fraintendi-mento radicale del concetto di rivelazione.Perché revelatio è, sì, un togliere il velo, maè anche un più forte nascondere. Re-velareè anche un’intensificazione del velare, unnuovamente velare. È questo l’avvento diDio nelle nostre parole, nella nostra carne:rivelandosi, l’Eterno non solo si è detto, masi è anche più altamente taciuto. RivelandosiDio si vela. Comunicandosi si nasconde. Par-lando si tace. Maestro del desiderio, Dio ècolui che dando se stesso, al tempo stessosi nasconde allo sguardo. Dio è colui che ra-pendoti il cuore, si offre a te sempre nuovoe lontano. Il Dio di Gesù Cristo è insepara-bilmente il Dio rivelato e nascosto, abscon-ditus in revelatione – revelatus in abscon-ditate! Perciò, la rivelazione non è ideologia,visione totale, ma è parola che schiude isentieri abissali dell’eterno Silenzio. Questaintuizione è presente fin dalle origini dellafede cristiana, che riconosce ben presto ilCristo come “il Verbo procedente dal Silen-zio” (Sant’Ignazio di Antiochia, Ad Magne-sios, 8). Essa permane nella tradizione dellafede, specialmente nella testimonianza deimistici. San Giovanni della Croce in unadelle sue Sentenze d’amore dice: “Il Padrepronunciò la Parola in un eterno silenzio,ed è in silenzio che essa deve essere ascol-tata dagli uomini”. Il luogo e l’origine della

Parola è il Silenzio. Questo divino Silenziocol linguaggio del Nuovo Testamento lochiamiamo Padre. Il Padre genera la Parola,il Figlio. E noi accoglieremo la Parola se,ascoltandola, la trascenderemo verso il Si-lenzio della sua origine. Obbedisce veramen-te alla Parola chi non si ferma alla lettera,ma ruminando la Parola, scava in essa perentrare nei sentieri del Silenzio.Questo ci dice la rivelazione cristiana: Dio èParola, Dio è Silenzio. La Parola è, e resta,l’unico accesso al Silenzio della divinità, l’in-dispensabile luogo a cui resteremo appesi,come inchiodati alla Croce. Tuttavia, ame-remo la Parola, l’ascolteremo veramentequando l’avremo trascesa per camminare inuna inesausta, perseverante ricerca verso leprofondità del Silenzio. Questo ci hanno in-segnato i nostri padri nella fede: la “lectiodivina”, la “ruminatio Verbi” non sono chevie per imparare ad ascoltare nella Parola ilSilenzio da cui essa proviene, l’abisso cheessa dischiude. Credere nella Parola dell’av-vento sarà allora lasciare che la Parola,schiudendo i sentieri del Silenzio, ci contagiquesto Silenzio e ci apra a dire nello Spiritole parole della vita. Perciò è doveroso nonpronunciare mai la Parola, senza prima averlungamente camminato nei sentieri del Si-lenzio. Così, la Parola sta fra due silenzi, ilSilenzio dell’origine e il Silenzio del destinoo della patria, il Padre e lo Spirito Santo. Traquesti due Silenzi – gli “altissima silentiaDei” – è la dimora del Verbo. Ed io accoglieròil Dio dell’avvento, il Dio della Parola, se inquesta Parola troverò l’accesso agli abissidel Silenzio, e se, camminando in essa e at-traverso di essa nei sentieri del Silenzio, la-scerò che questa Parola mi abiti, si ripeta inme, si dica nel mio silenzio, affinché io stes-so divenga il riposo della Parola, il luogodove la Parola si lascia custodire e dire, comenel grembo verginale della Donna che ha

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detto “sì” al mistero dell’avvento. Perciò, ilkérygma è parola che dice e tace, che pro-voca ed evoca: e perciò nella Lettera ai cer-catori di Dio l’annuncio è presentato contratti brevi, in forma soprattutto narrativa,come voce di testimoni legati alla catena de-gli innumerevoli altri testimoni della tradi-zione della fede, da parola a parola, da si-lenzio a silenzio. Così lo presentano i capitolidella seconda parte, dedicati rispettivamenteal Gesù storico, al Cristo del kérygma, allaTrinità, alla Chiesa, alla vita secondo lo Spi-rito, di cui è icona eloquente la Vergine Ma-dre Maria...

3. Videro il Bambino e lo adorarono: lafede, dove domanda e annuncio si incon-trano. Pellegrini nella notte, guidati dallastella, i Magi hanno riconosciuto nel Bam-bino il dono della verità, la luce che salva.Lo hanno adorato: in questa adorazione ilcercatore è stato raggiunto dalla Parola cheviene dal Silenzio, da quel Dio, cioè, che hatempo per l’uomo. Dio esce dal silenzio per-ché la nostra storia entri nel Silenzio dellapatria divina e vi dimori. L’incontro del-l’umano andare e del divino venire è la fede.Essa è lotta, agonia, non il riposo tranquillodi una certezza posseduta. Chi pensa di averfede senza lottare, non crede. La fede èl’esperienza di Giacobbe. Dio è l’assalitorenotturno. Dio è l’Altro. Se tu non conoscicosì Dio, se Dio per te non è fuoco divorante,se l’incontro con Lui è per te soltanto tran-quilla ripetizione di gesti sempre uguali esenza passione d’amore, il tuo Dio non èpiù il Dio vivente, ma il “Deus mortuus”, il“Deus otiosus”. Perciò Pascal affermava cheCristo sarà in agonia fino alla fine del tempo:questa agonia è l’agonia dei cristiani, la lottadi credere, di sperare, di amare, la lotta conDio! Dio è altro da te, libero rispetto a te,come tu sei altro da Lui, libero rispetto a

Lui. Guai a perdere il senso di questa di-stanza!Ecco perché il desiderio e l’inquietudine dellaricerca abiteranno sempre la fede: l’aver co-nosciuto il Signore non esimerà nessuno dalcercare sempre più la luce del Suo Volto, ac-cenderà anzi sempre più la sete dell’attesa.Credere è cor-dare, come pensavano i Me-dievali, un dare il cuore che implica la con-tinua lotta con l’Altro, che non viene affer-rato, ma sempre di nuovo ti afferra. Il cre-dente è, e resta, in questo mondo un cerca-tore di Dio, un mendicante del Cielo, sullecui labbra risuonerà sempre la struggenteinvocazione del Salmista: “Il tuo volto, Si-gnore, io cerco. Non nascondermi il tuo vol-to” (Salmo 27,8s). Davide, l’amato, cerca ilvolto rivelato e nascosto del suo Dio: voltorivelato, perché non potrebbe essere cercatose in qualche misura non avesse già rag-giunto e rapito il suo cuore; e, tuttavia, voltonascosto, perché resta ardente in quello stes-so cuore il desiderio della visione. Nella nottedel tempo la sua anima si mostra ancora as-setata della luce dell’Eterno. Il volto del Si-gnore vuole essere sempre cercato: lo lasciaintendere anche il termine ebraico “panim”,“volto”, vocabolo sempre plurale, che dicecome il volto sia continuamente nuovo e di-verso, mai uguale a se stesso eppur semprelo stesso, com’è l’amore di Dio, fedele ineterno e proprio perciò nuovo in ogni sta-gione del cuore.In questa incessante ricerca del Volto amato,il credente mostra di essere veramente rag-giunto, toccato e trasformato dal divino Al-tro, rivelato e nascosto: che cos’è peraltrola sua fede, se non il lasciarsi far prigionieridell’invisibile? E questo avviene in un in-contro sempre nuovo, mai dato per scontato,nei luoghi che la Lettera ai cercatori di Dioindica nella terza parte: la preghiera, l’ascol-to della Parola di Dio, i sacramenti, il servizio

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della carità, l’attesa della vita eterna e il de-siderio della bellezza divina. Chi crede nonè mai un arrivato, vive al contrario da pel-legrino in una sorta di conoscenza notturna,carica di attesa, sospesa tra il primo e l’ul-timo avvento, già confortata dalla luce cheè venuta a splendere nelle tenebre e tuttaviain una continua ricerca, assetata di aurora.Il mondo della fede non è ancora pienamenteilluminato dal giorno radioso e splendido,che appartiene ad un altro tempo e ad un’al-tra patria, e tuttavia è sufficientemente ri-schiarato per sopportare la fatica di conser-vare l’amore e la speranza di Cristo. Pelle-grino verso la luce, già conosciuta e non an-cora pienamente raggiunta, chi crede avanzanella notte, appeso alla Croce del Figlio, verastella della redenzione.Ma la fede è anche resa e abbandono: quan-do tu nella lotta capisci che vince chi perdee perdutamente ti consegni a Lui, quando tiarrendi all’assalitore notturno e lasci che latua vita venga segnata per sempre da quel-l’incontro, puoi vivere la fede come un con-segnarsi ciecamente all’Altro: “Tu mi hai se-dotto, o Signore, ed io mi sono lasciato se-durre; mi hai fatto forza e hai prevalso... Midicevo: Non penserò più a lui, non parleròpiù in suo nome! Ma nel mio cuore c’eracome un fuoco ardente, chiuso nelle mie os-sa; mi sforzavo di contenerlo, ma non po-tevo” (Ger 20,7.9). Nelle “confessioni” diGeremia troviamo un’altissima testimonian-za di questa resa della fede: egli è un uomoche ha vissuto la lotta con Dio, ma che lot-tando ha saputo conoscere la capitolazionedell’amore al punto da essere pronto a con-segnarsi perdutamente a Lui. Così la fedediventa anche un approdo di bellezza e dipace. Non la bellezza che il mondo conosce,non la seduzione di una verità totale, cheambisca a spiegare ogni cosa,ma la bellezzadell’Uomo dei dolori, dell’amore crocifisso,

della vita donata, dell’offerta di sé al Padree agli uomini. La pace della fede non è l’as-senza di lotta, di agonia, di passione, ma èil vivere perdutamente arresi all’Altro, alloStraniero che invita, al Dio vivente.L’adorazione di cui i Magi sono testimoninon è, allora, assenza di scandalo, ma pre-senza di un più forte amore: la fede è scan-dalo, non risposta tranquilla alle nostre do-mande, ma, come lo è Cristo, sovversionedi ogni nostra domanda, ricerca del suo Vol-to, desiderato, rivelato e nascosto. Solo dopoche noi lo avremo ciecamente seguito eavremo accettato di amarlo dove e come Luivorrà, Egli diverrà per noi la sorgente dellagioia che non conosce tramonto. Crederemoin Dio se saremo sempre cercatori del Suovolto, guidati dalla stella venuta nella notte,Gesù. Perciò, il credente non è che un poveroateo, che ogni giorno si sforza di cominciarea credere. Se non fosse tale, la sua fede nonsarebbe altro che un dato sociologico, unarassicurazione mondana, una delle tanteideologie che hanno illuso il mondo e deter-minato l’alienazione dell’uomo. La sua luceresterebbe quella del tramonto: “La terra in-teramente illuminata risplende di trionfalesventura” (M. Horkheimer – Th. W. Ador-no). Diversamente da ogni ideologia, la fedeè un continuo convertirsi a Dio, un continuoconsegnargli il cuore, cominciando ognigiorno, in modo nuovo, a vivere la fatica dicredere, di sperare, di amare. Proprio così,la Lettera ai cercatori di Dio non è un puntodi arrivo, ma un inizio. La luce della fede èaurora di chi sa aprirsi all’oltre e al nuovodi Dio nello stupore e nell’adorazione.Per un’altra strada fecero ritorno al loropaese: una conclusione che è un inizio…

Da questa apologia della ricerca, di cui i pel-legrini guidati dalla stella sono modello finoall’approdo pervaso dallo stupore dell’ado-

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razione, viene allora un grande no: il no allanegligenza della fede, il no ad una fede in-dolente, statica ed abitudinaria. E ne vieneil sì ad una fede interrogante, capace ognigiorno di cominciare a consegnarsi perdu-tamente all’altro, a vivere l’esodo senza ri-torno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e ce-lato nella Sua Parola. Quel no raggiunge pe-rò anche il non credente tranquillo, incapacedi aprirsi alla sfida del Mistero, attestato nel-la presunzione del “come se Dio non ci fos-se”, non disposto a rischiare la vita “comese Dio esistesse”. Se c’è una differenza damarcare, allora, nella ricerca della verità cheè la ricerca di Dio, non è anzitutto quella tracredenti e non credenti, ma l’altra tra pen-santi e non pensanti, tra uomini e donneche hanno il coraggio di vivere la sofferenza,di continuare a cercare per credere, speraree amare, e uomini e donne che hanno ri-nunciato alla lotta, che sembrano essersi ac-contentati dell’orizzonte penultimo e nonsanno più accendersi di desiderio e di no-stalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte edell’ultima patria. Con questa, è un’altra differenza che va ri-cordata e che resta sullo sfondo di qualun-que approccio alla ricerca di Dio e agli stru-menti dell’annuncio della fede: quella fra“ammiratori” e “imitatori”. Così la esprimeSøren Kierkegaard in un testo di grande in-cisività: “Che differenza c’è fra un ammira-tore e un imitatore? Un imitatore è ossiaaspira a essere ciò ch’egli ammira; un am-miratore invece rimane personalmente fuori:in modo conscio o inconscio egli evita di ve-dere che quell’oggetto contiene nei suoi ri-guardi l’esigenza d’essere o almeno d’aspi-rare a essere ciò ch’egli ammira» (S. Kier-kegaard, Esercizio del cristianesimo, 812).Perciò “tutta la vita del Cristo sulla terra, dalprincipio alla fine, fu indirizzata assoluta-mente ad avere solo imitatori e a impedire

gli ammiratori” (810). Essere imitatori e nonammiratori di Gesù o dei suoi testimoni piùluminosi, i santi, esige però una decisione,che si può prendere solo in prima persona:“Camminare soli! Sì, nessun uomo, nessuno,può scegliere per te oppure in senso ultimoe decisivo può consigliarti riguardo all’unicacosa importante, riguardo all’affare della tuasalvezza... Soli! Poiché quando hai scelto,troverai certamente dei compagni di viaggio,ma nel momento decisivo e ogni volta chec’è pericolo di vita, sarai solo” (Vangelo dellesofferenze, 833).L’appello a questa decisione per Cristo è lasoglia cui la Lettera ai cercatori di Dio vor-rebbe condurre: la decisione stessa non potràche avvenire però nel cuore e nella libertàdi ciascuno. Solo allora, quando avremo de-ciso di farci pellegrini nella notte alla lucedella Stella, potremo far nostra la preghieradell’innamorato di Dio, che ha incontratol’Amato e ancor più desidera incontrarLo, lapreghiera con cui Anselmo apre il suo Pro-slogion, voce della sua sete di autentico cer-catore di Dio: “‘II Tuo volto, Signore, io cer-co’ (Sal 26, 8). Signore Dio mio, insegna almio cuore dove e come cercarTi, dove ecome trovarTi... Che cosa farà, o altissimoSignore, questo esule, che è così distante daTe, ma che a Te appartiene? Che cosa faràil Tuo servo tormentato dall’amore per Te egettato lontano dal Tuo volto? Anela a ve-derTi e il Tuo volto gli è troppo discosto. De-sidera avvicinarTi e la Tua abitazione è inac-cessibile... Insegnami a cercarTi e mostraTiquando Ti cerco: non posso cercarTi se Tunon mi insegni, né trovarTi se non Ti mostri.Che io Ti cerchi desiderandoTi e Ti desidericercandoTi, che io Ti trovi amandoTi e Tiami trovandoTi”.

La via della metafora: in cammino con iMagi guidati dalla stella (Mt 2,1-12)

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1. Pellegrini nella notte: la domanda di unaricerca antica e sempre nuova…

– Gettati verso la morte: la ferita del doloree dell’assenza

– Assetati di vita: la potenza del domandarecome lotta con la morte, voce del “men-dicante del cielo” che abita in ciascuno dinoi. Dalla morte alla vita…

– Tentati di fermarsi: catturati dall’esilio. Ri-mettersi sempre in cammino, da viandantiinterroganti: Wir sind Bettler, hoc est ve-rum! Mossi dalle grandi domande:felicitàe sofferenza, amore fallimenti, lavoro e fe-sta, giustizia e pace, la sfida di Dio…

2. Guidati dalla stella: l’annuncio del Dioche ha tempo per l’uomo.

– Il Dio vivente alla ricerca dell’uomo: Deusrevelans, absconditus in revelatione, re-velatus in absconditate. Non il Deus mor-tuus, otiosus dell’ideologia

– Il Dio che viene: Deus adveniens, Silenziodell’Origine, Parola eterna ed incarnata,Silenzio del destino

– Il kerygma, che dice e tace, vela e rivela

3. Videro il Bambino e lo adorarono: lafede, dove domanda e annuncio si incon-trano

– La fede come lotta: un incontro fra Viven-ti, sempre nuovo. Il Tuo volto Signore iocerco!

– La fede come resa, abbandono e pace– La fede come sempre nuovo inizio. Il cre-

dente, ateo che ogni giorno si sforza di co-minciare a credere. L’ateo, l’altra parte dichi crede

4. Per un’altra strada fecero ritorno al loropaese: una conclusione che è un inizio…

– No alla negligenza della fede; sì a una fedepensosa, interrogante

– No al disimpegno del pensiero: sì al met-tersi sempre di nuovo in ricerca da partedi chi non crede

– No a essere ammiratori; sì a diventare imi-tatori. Sulla soglia della decisione che cam-bia il cuore e la vita

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1. GLI EFFETTI DEL PRIMO ANNUNCIO: IL COSA È

1. La pietra filosofale

Insomma un bel mattino o un pomeriggio, con leorec chie ancora ronzanti del frastuono della mensa,eccolo assi stere al silenzioso sbocciare della parolasulla pagina bianca, lì davanti a lui: mamma. Certo,l’aveva già vista alla lavagna, l’aveva riconosciutapiù volte, ma lì, sotto i suoi occhi, scritta con lesue dita. Con voce prima incerta, recita le due sil -labe separata mente: “Mam-ma”. E d’un tratto:“Mamma!”. Questo grido di gioia celebra l’esito delpiù gigantesco viaggio intellettuale che si possaimmaginare, una sorta di primo passo sulla luna,il passaggio dall’assoluto arbitrario grafico al signi-ficato più carico di emozione! Piccoli ponti, gam-bette, cerchi... e... mamma! E scritto proprio lì da-vanti ai suoi occhi, ma è dentro di lui che sboccia!Non è una combinazione di sillabe, non è una pa-rola, non è un concet to, non è una mamma, è lasua mamma, una trasmutazione magica, infinita-mente più eloquente della più fedele foto grafia, ep-pure nient’altro che qualche piccolo cerchio, qual -che ponte... ma che d’un tratto – e per sempre –hanno smesso di essere se stessi, di essere niente,per trasformarsi in questa presenza, questa voce,questo profumo, questa mano, questo grembo, que-sta infinità di dettagli, questo tut to così intimamenteassoluto, e così assolutamente estraneo a quel cheè tracciato lì, sui binari della pagina, fra le quattropareti dell’aula... La pietra filosofale. Né più né me-no. Ha scoperto la pietra filosofale.1

È una definizione fenomenologica del primoannuncio, ossia descrive quello che accadepiù che definirlo: un riconoscimento, unaspecie di illuminazione che viene dalla con-giunzione di intelletto e affetti. La fede co-mincia così, come esperienza elementare,possibile a tutti, in questo stadio previo al-l’affidamento e all’impegno personale, resipossibili da chi ha compiuto tutta una pe-dagogia di alfabetizzazione perché ciò av-venisse. Nel primo annuncio riconosco deicaratteri di larga accessibilità e in un certosenso anche di basso livello, una esperienzaelementare, aperta a tutti, non ancora se-gnata dall’itinerario che ciascuno darà alproprio affidamento, ma allo stesso tempobasilare per tutti. Ognuno legge come vuolee ciò che vuole, ma tutti hanno imparato aleggere a partire da gambine, cerchi, segniche ad un certo punto hanno collegato ailoro significati. La lettura è il riconoscimentoe l’appropriazione della realtà come essa sidà per me. Un processo personale, che cia-scuno compie se e quando vuole, che nonpuò essere delegato, che contiene qualcosadi magico e di creativo, ma che allo stessotempo si impara e si insegna, che soprattuttonon si dà da se stesso. Il primo annuncio el’inizio della fede è qualcosa di arduo, unsalto da fare, ma allo stesso tempo di ele-

LA FORMAZIONEPER IL PRIMO ANNUNCIO: I CRISTIANI, LE COMUNITÀ,

GLI ACCOMPAGNATORI

Don Giampietro Ziviani, Direttore UCD Adria-Rovigo

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1 D. PENNAC, Come un romanzo, Feltrinelli, Milano 2005, 32-33.

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mentare, perché si comincia da qui ancheper i traguardi più alti (anche Manzoni haimparato dalle aste), pertanto non occorreche chi lo insegna abbia vinto il Nobel perla letteratura. Basta che lui/lei sappia legge-re, naturalmente, ma direi di più: occorreche ami la lettura e magari anche un po’colui al quale vuole insegnare. È questosemmai che restringe il nostro campo, nonla difficoltà del compito, ma l’avvenuta econsapevole appropriazione della passionedella lettura, della passione di credere. Provo ad accostare questa definizione feno-menologica ad una concettuale esatta, comequella di A. Fossion: “il primo annuncio de-signa gli enunciati della fede cristiana, sottoforme variabili che, in contesti determinati,favoriscono e rendono possibili i primi passinella fede in coloro che ne sono lontani”.2

Non mi sento spaesato: si parla di primipassi, avvio al percorso/lettura. Anche que-sta definizione dice bene la parzialità e ladelicatezza della proposta, che è suggerita,avviata, stimolata, preparata, ma che soloil soggetto può decidere. Si favorisce, sirende possibile un inizio…in chi è lontano.Lo si porta vicino, o forse si è avvicinatolui…i passi però ora sono nuovi, sono nellafede.Per chi – come molti di noi – è abituato allavisione della sintesi e nota subito le man-canze in un quadro sistematico è difficile ac-contentarsi di questa parzialità: il primo an-nuncio farà muovere dei passi che spessonon saranno né i più importanti teologica-mente e nemmeno quelli più condivisi, per-ché ciascuno ha le proprie parole vitali, ri-conosce la sua mamma o le cose che mag-giormente coinvolgono lui. Su questo dob-

biamo destrutturarci un po’: il primo annun-cio è una esperienza nativamente parziale etale rimane perché la sistematicità è dellacatechesi, che avviene successivamente, odell’evangelizzazione, che è un compitomolto più vasto. E non è nemmeno l’inizia-zione il primo annuncio, perché anch’essaun compito più vasto ed organico.3 All’in-terno del dibattito sui rispettivi compiti diqueste azioni, una cosa sembra comunquecerta: tra le varie forme di comunicazionedel messaggio il primo annuncio è quellapiù limitata, più iniziale e frammentaria. Ser-ve a mettere in movimento, come avvieneper la prima marcia dell’automobile. Ma c’è un secondo livello che subito sveglial’attore comunitario: il primo annuncio è an-che una operazione emblematica che descri-ve cosa la Chiesa fa, o dovrebbe fare, quan-do genera se stessa ossia quando si comu-nica a qualcuno fuori da essa. Mentre tra-smette il Vangelo infatti, non solo con i gran-di programmi e gli esponenti più autorevoli,ma anche nel feriale incontro tra credenti enon credenti, la Chiesa comunica anche unaimmagine di sé, uno stile, un’autocoscienza.Il primo annuncio è una finestra aperta, uninterfaccia ecclesiale, un “dispositivo comu-nicativo” con cui la Chiesa entra in comu-nicazione con l’uomo moderno attraverso laproposta, il cui profilo allora diventa secon-dario rispetto al movimento ermeneutico cheinizia. Attraverso la finestra aperta dal dia-logo la chiesa lascia che gli altri guardinodentro di lei, i suoi meccanismi e la sua vita,e allo stesso tempo si sporge all’esterno edimpara a riconoscere ed entrare in rapportocon un territorio pagano, costituito dallanon-fede dell’altro e del suo mondo. Per

2 A. FOSSION, Proposta della fede e primo annuncio, Catechesi 78 (2008-09) 4, 2.3 Le Note CEI sull’Iniziazione cristiana aiutano a fare chiarezza su questo. Cf. L’iniziazione cristiana. Documentie orientamenti della Conferenza episcopale italiana, Elledici, Torino 2004.

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questo appunto il primo annuncio opera almeglio nei luoghi primari dell’esperienzaumana, laddove si costruiscono e si condi-vidono le rappresentazioni: la vita, il dolore,la malattia, la festa, la morte. Forse qualcosa allora già si profila per gliaccompagnatori di questo percorso iniziaticoe un po’ magico che non ha di mira solol’alfabetizzazione della fede e la messa inmovimento, ma punta a suscitare il desiderioe abbattere le barriere che impediscono alloSpirito Santo di essere percepito. C’è un pri-mo atteggiamento spirituale che è richiestoall’operatore, quello del servizio. Appuntoperché si tratta di un compito iniziale, di unmandato a termine, di un segmento – de-terminante – della filiera di cui fa parte eche deve continuare anche dopo, il primoannuncio si mette a disposizione di quello.Per questo non bisogna ritenere che tuttociò che provoca un risveglio della fede siaper questo primo annuncio: si svuoterebbela specificità di questo momento e la sua ne-cessità, finendo per lasciare tutto come pri-ma. Spirito di servizio è richiesto perché l’ac-compagnatore sa di avere questo compitoelementare: è sicuro di conoscere l’alfabeto,è già meno sicuro di saper insegnare a leg-gere, di avere il metodo giusto ed è del tuttoinsicuro di saper invogliare a leggere, di farinnamorare di Cristo. Nemmeno il miglioraccompagnatore è certo che la sua testimo-nianza convertirà e farà scaturire la fede.Può solo proporla alla libertà dell’altro, puòarrischiare la propria fede, mettersi in gioco,ma è solamente l’altro che decide se e quan-do corrispondere, e molto spesso questi lofa in un secondo tempo e senza dirlo. Eccoperché occorre questa spiritualità del servi-zio, che abilita e si sottrae da una logica diricchezza: “io ho la fede e te ne faccio dono”.Solo il servizio porta fuori da questa malce-lata superiorità di cui spesso i lontani ci ac-

cusano, da questo amore un po’ untuoso epresuntuoso. Penso a Maria ed Elisabettacome due fedi che si incontrano nella libertà,ciascuna con il suo inizio. Maria ha compresopoco, ma con quel poco corre in fretta e simette a servizio di Elisabetta. Sono i lorodue grembi che si riconoscono e si salutano:l’incontro avviene più dentro di loro che fuo-ri, nel loro ospitarsi reciproco è racchiusal’ospitalità che entrambe danno a Dio.Mettersi a servizio dell’annuncio ha la stessalibertà dell’accoglienza, come ripete Gesù aisuoi discepoli (Mt 10,14 scuotete la polveredai vostri piedi…). Tu sei libero di accoglierecome io sono libero di farti la mia proposta,nessuno di noi deve farlo, ma tutti e duepossiamo e decidiamo di farlo. Niente osta-cola o ritarda tanto la decisione di fare unacosa come l’esservi forzato. Io amo GesùCristo che mi fa vivere e posso insegnarti aleggerlo; tu puoi imparare e puoi decidere diamarlo, se vuoi. Basta con il dovere, abbia-mo già insistito abbastanza, è ora di passareal potere.

2. Un primo annuncio “all’italiana”

Il nostro tema si innesta dentro il camminodella Chiesa italiana, che esce da un decen-nio dedicato alla comunicazione del Vangeloe al rinnovamento in direzione missionaria,ma non vorrei che proiettassimo anche tuttoquesto sul primo annuncio che è appuntoper sua natura un’esperienza limitata e cheassume caratteri del tutto particolari nel no-stro paese. Mentre infatti l’Europa, soprat-tutto del nord, vede numerose esperienze diprimo annuncio dare vigore a realtà eccle-siali esangui e rivitalizzare un tessuto nelquale i credenti sono ridotti all’insignifican-za, l’Italia mostra caratteristiche diverse, le-gate alla forma del proprio cattolicesimo po-polare, alla vitalità delle parrocchie e delle

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aggregazioni laicali, al permanere della de-vozione popolare e a nuove forme di ripresadella religiosità a livello di base. Questi fe-nomeni non sono tali da rendere reversibileil processo di fine della cristianità, come al-cuni sperano, né intaccano le matrici ideo-logiche della nostra koinè culturale, ma cer-tamente indicano una specificità del nostropanorama della quale sembrano essersi ac-corti anche i politici ed il mercato, che pre-stano una attenzione crescente al mondocattolico. Piuttosto – come notava il card.Ruini – il paradigma della secolarizzazionesembra essere stato accettato più supina-mente all’interno della chiesa che all’esterno,come unica ermeneutica del presente, checondannava i cristiani all’inevitabile scom-parsa. La civiltà postcristiana in Italia sta inveceancora una volta mutando forma e in questofrangente è lecito chiedersi se possa esisteun primo annuncio nel nostro paese, o senon si debba cominciare direttamente dalsecondo, oppure dal destrutturare quello esi-stente. “Da noi non ci sarà più un rapportoinnocente con il cristianesimo; nel bene co-me nel male. Il cristianesimo che cerca diimpiantare il seme originario dell’evangelonel mondo che si trasforma ora, incontrasempre da qualche parte un cristianesimogià insediato in un mondo precedente”.4 An-zi proprio il peso di un’eredità troppo cospi-cua sembra condizionare l’abbandono dimolti che se ne vanno e la stanchezza dialtri che restano. Certamente possiamo direche l’ignoranza religiosa e la confusione cul-turale hanno creato una specie di analfabe-tismo religioso di ritorno, ma non possiamodire che l’Italia sia un terreno sgombro eneutrale, dove l’annuncio parte da zero. Non

c’è quotidiano che non riporti ogni giornoqualcosa della cronaca ecclesiale e non c’ègiornalista che non usi termini desunti dallessico ecclesiastico. Questo rende il compitodell’annunciatore più facile e più difficile in-sieme. Più facile perché utilizza parole giàconosciute e un abbecedario di esperienzeprimarie non del tutto cadute in oblio (es.:sacramentalizzazione di massa, catechismo);più difficile perché deve cercare di istituireun fondamento con le realtà che esse rap-presentano, più significativo di quello cheesiste, che è stato rifiutato o che, soprattutto,è ritenuto già conosciuto e superato o pocorilevante. La situazione italiana somiglia alla cono-scenza non vitale e scoraggiata dei due diEmmaus, già inquadrata e giudicata inutile.Non è un cristianesimo che parte da zero,ma non è nemmeno la prosecuzione di quel-lo che esiste. Non possiamo dichiararlo mor-to e poi pretendere di rivendicarne le radicinella cultura europea. A livello personale,se crediamo che il battesimo cambi radical-mente l’esistenza, non è lecito parlare dicondizione pagana, ma semmai di cristianinon evangelizzati, di un passaggio da uncristianesimo all’altro. Non facciamo il primoannuncio perché quello precedente ha fallito.La nostra proposta viene da dentro: c’è unatradizione ed un cammino di chiesa che ciha portato ora a privilegiare questo tipo dicatechesi, non ci sono missionari da fuori aportarcela, siamo noi che decidiamo dellanostra evangelizzazione, dunque c’è uncammino di chiesa e ci sono persone che lohanno fatto. Se durante la strada è andatoperso qualcosa, forse addirittura di molto es-senziale, bisogna capire il perché e recupe-rare questo. Non per dare delle colpe a chi

4 P. SEQUERI, Non c’è nessun partito di Dio. Evangelizzazione, Occidente, Parrocchia, RCI 2004, 564.

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ha smesso di fare il primo annuncio, ma percapire cosa si è sbagliato. Perché gli operatoridel primo annuncio usciranno da questastessa chiesa che evangelizza non da ieri,non verranno da una chiamata alle armi oda soldati di ventura. Siamo responsabilidell’evangelizzazione che abbiamo ricevuto;forse dovremmo rispondere anche degli er-rori ed omissioni in ordine al mandato mis-sionario, ma pensare che si riparta da zeroè ingenuo ed è tradire lo Spirito Santo checi ha portato fino a qui. Lui di sicuro nonha mancato di fare il suo dovere. Ecco perché se è difficile parlare di primoannuncio in Italia è ancora più difficile par-lare di lontani, che ne sono i naturali desti-natari. Chi sono i lontani? E da cosa sonolontani? Da Cristo o dalla Chiesa? Quantepersone sistematicamente non praticanti di-chiarano di pregare ogni giorno5. “Non seilontano dal regno di Dio” (Mc 12, 34) diceGesù allo scriba, che pensava di essere vi-cinissimo alla Legge (non al Regno) e lo in-terrogava sul comandamento più importan-te. Si può essere lontani dalla fede, ma piùvicini a Dio di quanto non si pensi. Il primoannuncio allora diventa la buona notizia cheDio crede in te e anche questo entra a livellodi atteggiamento dell’accompagnatore che èinvitato a tenere in disparte il giudizio sullalontananza dell’altro. Questo è importanteper molti motivi umani di rispetto, di acco-glienza delle persone per come sono…maanche per motivi teologici: l’immagine di

Dio non si cancella, nessuno diventa inabilea credere e la fede non ha data di scadenza.La vecchia casistica insegnava che è possi-bile anche la conversione in articulo mortise il battesimo di desiderio: l’uomo e la don-na rimangono capax dei fino all’ultimo re-spiro della loro vita. Secondo atteggiamentospirituale: sospendere il giudizio.

2. I SOGGETTI DEL PRIMO ANNUNCIO: IL CHI

1. La figura dei “tutti”: la comunità

«La catechesi è una responsabilità di tuttala comunità cristiana … è pertanto una azio-ne educativa realizzata a partire dalla re-sponsabilità peculiare di ogni membro dellacomunità» (DB 200).6 Perciò anche del pri-mo annuncio è responsabile la comunità cri-stiana e non possiamo liberarci dal compitodi promuovere una coscienza del coinvolgi-mento comunitario nella sua realizzazione.7

La Nota sulla parrocchia missionaria scrive:“C’è bisogno di un rinnovato primo annun-cio della fede. È compito della Chiesa inquanto tale, e ricade su ogni cristiano, di-scepolo e quindi testimone di Cristo; toccain modo particolare le parrocchie. Di primoannuncio vanno innervate tutte le azionipastorali” (VMP 6-NPA 21).C’è un primo annuncio che è occasionale,non organizzato, che si realizza “laddove

5 Nella mia diocesi circa il 40% degli abitanti dichiara di pregare ogni giorno, mentre la Messa domenicale è fre-quentata dal 30%. Cf. CASTEGNARO (cur.), La religione in polesine. Indagine sulla religiosità nella diocesi diAdria-Rovigo, Rovigo 2009.6 DB, 200: ECEI 1/2972.7 NPA 18: “Il compito del primo annuncio riguarda innanzitutto la Chiesa in quanto tale, e in modo particolarele diocesi e le comunità parrocchiali. Infatti «dal momento che tutta quanta la Chiesa è per sua natura missionariae che l’opera di evangelizzazione è da ritenere dovere fondamentale del popolo di Dio, tutti i fedeli, consci dellaloro responsabilità, assumano la propria parte nell’opera missionaria», si legge nel Codice di diritto canonico(Can 781)”.

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Dio apre una porta della parola per parlaredel mistero di Cristo, a tutti gli uomini alloracon franchezza e fermezza deve essere an-nunziato il Dio vivente e colui che egli hainviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo”(AG 13). È la semplice testimonianza cheogni cristiano rende con semplicità alle per-sone che incontra e che la desiderano. Inquesto senso ogni comunità cristiana è pro-tagonista e lo deve diventare sempre di piùassumendo questa responsabilità missiona-ria e diventando anche più stimolante nelsuo stile di vita. Questo primo annuncio ge-nerico è in realtà un ministero ed un compitodi tutta la comunità, un singolo non ha ilpotere di instituirne una forma più specificasenza di esso e senza confrontarsi con unnoi che valuti da dove iniziare. “Prima sonoi catechisti e poi i catechismi; anzi, primaancora, sono le comunità ecclesiali. Infatticome non è concepibile una comunità cri-stiana senza una buona catechesi, così nonè pensabile una buona catechesi senza lapartecipazione dell’intera comunità” (DB200). Analogamente possiamo dire che anche lanostra lettera ai cercatori ha per destinatari“tutti coloro che attendono alla edificazionedel Corpo Mistico di Cristo: per suggerire unnuovo atteggiamento interiore dinanzi allaparola di Dio, un nuovo senso di responsa-bilità cristiana, un rinnovato impegno mis-sionario”. L’evangelizzazione infatti è com-pito di tutti, non può essere delegato ad al-cuni specialisti, ma è fundamentalem offi-cium populi Dei (can. 781). È dovere e di-ritto di ogni battezzato e proprio in quantotale, il primo annuncio deve entrare anche

nella forma della comunità, che trova inesso un elemento comune importante perfar crescere la fede dei credenti (NPA 18). Credo che tutti siamo convinti di questo enon occorre insistere perché appartiene allamigliore tradizione che abbiamo ricevutoquesta forma missionaria dell’esercizio dellafede, che è elementare e quindi possibile atutti: “anche voi dite: Non possiamo nonparlare di ciò che abbiamo udito; non pos-siamo non evangelizzare Cristo Signore. Cia-scuno lo annunzi dovunque gli è possibile,e così è martire. Parlate di Cristo dovunquepotete, con chiunque potete, in tutte le ma-niere che potete. Quello che si esige da voiè la fede, non l’abilità nel parlare. Parli lafede che vi nasce dal cuore, e sarà Cristo aparlare”.8

Vocazioni o ministeri specifici dell’annunciofioriscono su questo protagonismo comuni-tario e non possono non ritenersi chiamatia farlo crescere, perché farebbero poca stradafuori da esso. La figura dei molti inoltre richiama una for-ma diversa del primo annuncio: non solouno stadio iniziale che normalmente preludeil catecumenato di chi giunge alla fede, maanche il primo annuncio come prospettivache riguarda ogni compito di evangelizza-zione, da dirigere verso una forma marca-tamente più missionaria e capace di fare laproposta. Le note CEI sembrano intenderequesto quando parlano di primo annuncioai ragazzi e agli adulti italiani, ritenendo chenon si possa più dare per scontato la lorofede e che ogni attività di evangelizzazioneloro rivolta debba contenere i caratteri dellanovità dell’annuncio. Così come riconoscia-

8 Dicite ergo et vos: Non possumus quod audivimus non loqui et praedicare Dominum Christum. Quisque ubipotest praedicet, et martyr est. Praedicate ergo Christum, ubi potueritis, quibus potueritis, quomodo potueritis.Exigitur a vobis fides, non eloquentia: fides de vobis loquatur, et Christus loquitur. Si enim est in vobis fides,habitat in vobis Christus: Sermo 260/7E, PL 38.

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mo una nostra desuetudine ad esso, che ciha attrezzati sempre più negli itinerari difede ad ogni livello, ma sguarniti nella pro-posta iniziale, così ammettiamo di avere la-vorato per formare operatori capaci di en-trare nei settori più vari della vita (past. diambiente, soggetti), ma di non essere capacidi muovere di pochi millimetri la comunità,o di non essere capaci di risvegliarla e farleprendere vita. Proprio l’assenza di una co-munità adulta o la sua identificazione conun gruppo esistente che non ne ha tutte lecaratteristiche, rende talvolta i cammini diprimo annuncio delle iniziazioni senza ter-mine, che di fatto lasciano le persone installo non immettendole mai in una comu-nità che accoglie. Chi ti ha fatto conoscereil Vangelo o ti ha iniziato alla fede non ti haadottato. C’è un dopo che è l’ingresso inuna realtà di Chiesa che avrà i suoi limiti,ma che ha bisogno anche di quella realiz-zazione per poter essere meno inadeguata epiù cattolica.

2. La figura degli “alcuni”: gli accompa-gnatori

Nel pensare alla figura specifica di alcunioperatori formati e mandati per il primo an-nuncio mi è venuto in mente il sommariodi Mc 16,15-20, la cosiddetta conclusionecanonica di Marco, dove Gesù rimprovera idodici per la loro incredulità e durezza dicuore (v. 14b), ma subito dopo li invia adannunciare il vangelo ad ogni creatura (v.15). Quindi manda tutti quelli che ha sceltobenché si siano dimostrati inadeguati e convistosi problemi di fede (vv. 11.13.14.16).Alla parzialità del contenuto si accompagna,a quanto pare, anche quella degli strumenti.Che è però meno importante del mandatomissionario e del desiderio delle folle di vedereGesù e di sperimentare la sua salvezza.

In un certo senso sono i destinatari a deter-minare gli accompagnatori, il loro desiderione colma le insufficiente. Chi sono allora icercatori di Dio? Se dico che anzitutto siamoanzitutto noi so di dire una cosa ovvia pertutti quelli che mi ascoltano. Ma non è cosìovvia per chi sta altrove, per chi crede chenoi siamo gli uomini e le donne delle cer-tezze, per chi ci giudica o si sente giudicatoda noi. Per questo è determinante che vi siaqualcuno che si dichiara tale e si mette ingioco esplicitamente. Insieme allo stuporedel venire scoperto c’è – quasi simultanea-mente – quello di realizzare che chi mi hascoperto condivide con me la ricerca, la fa-tica e l’incanto del credere e vuole aiutarmia cambiarne il segno. La lettera contiene questa dinamica positivadi condivisione che si esprime almeno in trepassaggi: le domande della prima parte, chenon riguardano solo i non credenti, ma sonole stesse su cui anche noi ci interroghiamo;il fatto che Gesù non è presentato immedia-tamente come la risposta o l’uomo delle ri-sposte, ma anzitutto come uno che ha per-corso le stesse domande, per le quali ha cer-cato e trovato una risposta; da ultimo lacondivisione di una ricerca di sentieri, nonla proposta di strade già fatte solo da per-correre. Lettera ed accompagnatore non fa-ranno molta strada se si presenteranno comecompendio di risposte che aggirano la faticadel coinvolgimento personale. Da parte dell’accompagnatore occorre, quin-di, correttezza anche nei confronti delle do-mande, che è importante accogliere e a vol-te suscitare, che fungono da motore e damotivazione iniziale, ma di cui bisogna an-che riconoscere i limiti. La domanda mettein movimento, ma non contiene la risposta;è sempre imprecisa, imperfetta e in questosenso sbagliata. La domanda non contienel’annuncio, ma semmai lo ospita, lo stimola,

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lo avvia. “Maestro, dove abiti? Venite e ve-drete”: Gesù sembra avere una allergia versole domande teoriche che sarebbero saziateda una facile risposta (es. dialogo con Pilato,Emmaus); preferisce replicare con un rac-conto, con qualcosa di aperto alla ricerca,che metta in cammino. La forma interroga-tiva rischia di saziarsi nella compiutezza for-male della risposta giusta. Inoltre, se alla fine del quiz non c’è un pre-mio, a che serve che ti abbia risposto giu-sto? Oggi forse per la prima volta ci sonointellettuali che sanno esprimere compiuta-mente i contenuti della nostra fede, ma liinterpretano diversamente e soprattutto de-cidono di rimanere non credenti. Il che cimette a disagio, perché “chi sa bene devecredere bene”. Allora li battezziamo in ar-ticulo vitae, togliendo loro il diritto di defi-nirsi e cadendo in questo inganno. Non solola fede è separata dalla vita, ma la fede èseparata anche dai suoi contenuti e dallasua professione. E se il cercatore di Dioavesse già trovato il Catechismo della Chiesacattolica, siamo certi che avrebbe trovato lafede? Da quale dei suoi 3300 articoli parti-remmo per fare a lui un primo annuncio?Il movimento domande-risposte non fun-ziona sempre adeguatamente. Cosa vuol di-re educare le domande? Si tratta di un pro-cesso infinito del quale non abbiamo il con-trollo noi. Occorre tutto un cammino edu-cativo perché l’uomo impari a domandare,ma ci può essere un provocare le domande,che appartiene proprio all’opera dell’evan-gelizzazione. Per questo l’aggancio può avvenire più fa-cilmente a livello della vita e delle sue espe-rienze, attraverso una condivisione di fondoche – come dicevo – si innesta sull’atteg-giamento e sulla forma della comunità, cioèdi tutti i credenti. Lì vi sono mille invoca-zioni, che forse non hanno ancora la forma

della domanda, ma che possono diventarlouna volta messe a contatto con l’annuncio.Più facilmente sono le esperienze negative(dolore, morte, senso) che ospitano doman-de compiute, ma non per questo quelle po-sitive non sono significative o non possonocedere il passo davanti alla perla più preziosadel Vangelo. Pertanto possono esistere delle figure qua-lificate e dei carismi in ordine al dialogo eall’annuncio, ma è fondamentale che vi siaprima questa rottura dei confini e questaosmosi tra credenti e non credenti. Non èuna cosa semplice perché sembrano esisterequasi due figure diverse di credente: quellaquotidiana del cristiano, che vive e lavoraa fianco di non credenti, indifferenti e per-sone in ricerca, offrendo la sua testimonian-za “laica”, nella silenziosa condivisione enell’attenzione discreta nei confronti dellepersone. È un atteggiamento che viene ac-colto generalmente con stima e rispetto, mache non diventa quasi mai annuncio espli-cito, non si sbilancia troppo. Il secondo pro-filo, invece, attua questo passaggio, è piùcoraggioso e mette in gioco la propria espe-rienza personale di fede, è un credente cheparla del Vangelo, che invita ad incontri,che fa proposte. Dietro di lui spesso c’è ungruppo o una comunità che gli dà forza,che rende forse meno “comune” la suaesperienza, ma che gli dà forza e a voltestrumenti. Tuttavia è il primo profilo cheprevale: una presenza che non è quasi maiannuncio, che schiva la proposta con lascusa del rispetto. Per noi preti c’è l’alibi fa-cile del ruolo (“sono stato all’happy hour ei ragazzi hanno visto che la chiesa è vicinaa loro…tra l’altro mi sono pure divertito,mentre in parrocchia c’era il solito gruppoin crisi”), ma i laici non possono. Devonocercarsi un ruolo per legittimarsi e spessolo fanno, riproducendo quelli clericali. Pos-

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siamo dire che questo è annuncio o che èquesta la conversione missionaria? L’attenzione sul primo annuncio è emble-matica di questa necessità di una propostapiù esplicita. I due profili in fondo potreb-bero costituire due gruppi di cristiani, unamaggioranza più diffusiva e meno formataed una minoranza più identitaria e propo-sitiva, un cristianesimo di base più dialogicoe gradito a tutti ed uno più radicale, checompare nei media e nelle posizioni ufficialidella chiesa, che crea divisione e fa discu-tere. In realtà non sono così convinto chesi possano fare queste polarizzazioni, spessosi tratta delle stesse persone che in ambientidiversi si muovono. Cercatore e cercato sonomeno lontani di quanto crediamo. A voltesono la stessa persona in momenti diversi.Per questo è importante la condivisione divita, ma anche la ricerca dello specifico dellafede e in seconda battuta un vero discorsodi teologia fondamentale, per riuscire a ca-pire in cosa diventa diversa la mia esistenzarispetto a quella del collega d’ufficio unavolta che ho accolto la proposta di Cristo el’ho fatta mia.

3. Primo crinale: la fede dell’evangelizza-tore.

Individuo una prima strettoia tra il cercaree il lasciarsi cercare da Dio. Nel suo tentativodi suscitare la fede, il cercatore non può nonmettere in gioco se stesso e la propria espe-rienza di fede. Anche per questo si dannocarismi e stili di evangelizzazione diversi.Chi è passato attraverso l’elaborazione teo-rica delle domande avrà maggiore familiaritàcon esse, mentre chi proviene da esperienzedi luminosa conversione o di affettivo mo-vimento interiore si riconoscerà maggior-mente in profili di questo tipo. Nel suo ritratto di evangelizzatore Paolo ri-

conosce e proclama continuamente quantoin lui è avvenuto e lo rilegge con accentidiversi. C’è un nucleo oggettivo, che è lasua conversione, ma poi vi sono coscienzediverse di sé e della sua missione, soprat-tutto in rapporto a Cristo e alla sua comu-nità. Se a volte si giudica un aborto, l’infimodegli apostoli (1Cor 15,8)...dall’altra riven-dica il titolo di padre (1Cor 4,15; Fil 10),di apostolo, anzi di superapostolo (2Cor11,5.12,11). Paolo sente che la grazia ha compiuto il mi-racolo di trasformare la sua inadeguatezzain un dono per i fratelli e che questo è operadi Dio. Il suo ministero di evangelizzatore silegge benissimo alla luce della sua vicendapersonale reintepretata nella fede, non solocome conversione iniziale, ma anche comestile di annuncio. Paolo non sarà mai comei dodici. Anche per questo sente di avere bi-sogno del loro riconoscimento. Il suo Van-gelo è diretto ai gentili, cioè a lontani in re-altà molto vicini, nella quotidianità confusiai giudei e cristiani. Questo lo porta a cercaresempre di porsi nei panni dei suoi destina-tari, a non accontentarsi di evangelizzarecoloro che si spostavano per i normali traf-fici, ma a decidere di essere lui a viaggiareper portare l’annuncio di Cristo negli snodiculturali che, per la sua formazione, ritienedi poter conoscere. Trasforma perfino la suavicenda di prigionia in corsa della Parola.Penso spesso al discorso nell’areopago diAtene, il miglior tentativo di inculturazioneeppure quello che dà i risultati peggiori. Pao-lo cerca la sintonia con la religiosità grecae affronta con coraggio il luogo-simbolo dellacultura, ma quando arriva alla “differenzacristiana” viene rifiutato. Per R. Fabris l’an-nuncio qui è solo preparato, perché Paolonon fa nemmeno il nome di Cristo e il pro-blema sta nell’assenza di domanda da partedegli ateniesi, nel pregiudizio dato dalla loro

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cultura, nel non avere altro “passatempoche parlare e sentir parlare”.9 Mi piacerebbesapere come Paolo sia cambiato dopo questaesperienza “fallimentare”. A Corinto peresempio preferisce la forma della provoca-zione: “i greci cercano la sapienza e noi an-nunciamo Cristo stoltezza di Dio” (1Cor 1),oppure quella della supplica: “lasciatevi ri-conciliare con Dio” (2Cor 5,20).È evidente che l’opera del primo annunciodeve rinnovare non solo i cammini formativicon cui la Chiesa genera alla fede (IC), mal’intera proposta formativa che deve trovareuna organicità, da inserire in quella che laNota sulla parrocchia chiama una “pastoraledell’intelligenza” (VMP 6), cioè con il profiloculturale del cristianesimo, nonché con uncontesto di pluralismo religioso. L’accom-pagnatore si situa qui dentro, deve essereformato in questo orizzonte, non può averesolo le istruzioni per l’uso del primo an-nuncio.

3. ACCOMPAGNARE IL PRIMO ANNUNCIO: IL COME

1. Ascoltazione

Dirigendo verso maggiore concretezza mirendo conto di dire cose un po’ ovvie, maimprescindibili. Due parole almeno le devopronunciare, perché fondamentali: ascolto edialogo. Le vorrei precisare un po’ meglio.Ascolto è relativo alla vita delle persone, ailoro passaggi di vita, alle esperienze forti, aimomenti costitutivi dell’essere uomo e don-

na e a quelli che segnano il loro divenire.È una antropologia in actu exercito, unesaminare cos’è l’uomo attraverso il flussodei cambiamenti che vanno costituendolo,la prassi, il suo muoversi nella storia e lasua autocoscienza. Chi è, chi vuole esseree chi si crede di essere. L’ascolto è fonda-mentale per l’accompagnatore perché è sullabase di esso che decido quali contenuti devoproporre per primi e che tipo di camminoposso fare.“Il primo annuncio chiede un primo ascolto:prima di arrivare a dire che Gesù è Figlio diDio, per tre secoli si sono raccontati il Gesùdi Nazareth. Prendere sul serio gli interlocu-tori: “che chiederà inevitabilmente un’atten-zione ai singoli, alle loro storie, ai loro falli-menti e alle loro possibilità di ripresa”.10

L’ascolto perciò non è una fase del percorso,che cede il passo al giudizio e all’azione, masi ascolta sempre, non si smette mai. I pa-storalisti ci avvisano sui limiti del metodo“vedere-giudicare-agire”, che in realtà osser-va in modo funzionale all’azione e dunquesettorialmente e affrettatamente. Vedere nonpuò essere solo un primo momento, forte-mente a rischio di sembrare atteggiato, finto:“ti ascolto perché dopo tu ascolti me”. “Fac-cio finta di condividere con te alcuni proble-mi, ma in realtà mi interessa che tu dopoascolti me sulle cose veramente importanti”.La lettera in questo senso non è esemplaredi un metodo: è un testo e quindi necessitavadi un ordine, ma le sue parti non identificanotre fasi successive o separate. La verità di ciò che ti annuncio si misuraanche nella capacità di non interromperel’ascolto, ma di restare assieme a te in ogni

9 Cf. R. FABRIS, Il Primo annuncio. La proclamazione della persona e dell’opera di Gesù di Nazareth nelle primecomunità cristiane, Notiz. UCN, 3/2003, 16.10 A. BIANCHI, Una svolta improrogabile, in: R. PAGANELLI (cur.), Diventare cristiani. I passaggi della fede, EDB,Bologna 2007, 29-30.

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passaggio. L’ascolto è un cammino di im-plicazione reciproca e non può essere inter-rotto. Semmai il parallelo con un metodopastorale può essere con quello del “discer-nimento comunitario”, cioè con un cercareassieme la volontà di Dio sulla nostra storia,diventando interpellanza significativa l’unoper l’altro. L’ascolto è prendersi sul serio re-ciprocamente ed ha una radice di fede equindi anche ecclesiale.

È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto deipastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito santo,di ascoltare attentamente, discernere e interpretarei vari modi di parlare del nostro tempo, e di saperligiudicare alla luce della parola di Dio, perché la ve-rità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia me-glio compresa e possa venire presentata in formapiù adatta (GS 44).

Questo numero di GS si intitola: “l’aiuto chela Chiesa riceve dal mondo contemporaneo”.Fu chiesto in aula da mons. Schmitt e damons. Elchinger che venisse detto che essanon solo dà al mondo, ma anche riceve dalui. Viene detto sebbene in modo non proprioproporzionato: dodici verbi esprimono il pri-mo movimento e solo cinque il secondo (GS57-58). E ancora molto più quello che si dàrispetto a quanto si riceve, ma almeno c’èuna reciprocità e tra i due soggetti i confinisono aperti. Questa osmosi può avvenirepiù facilmente a livello personale: non è dif-ficile capire e magari anche dirsi reciproca-mente ciò che abbiamo da donarci, ciò cheio credente vedo che ho da imparare da tenon credente e viceversa. Da te persona,meglio, non dico da tutti i non credenti, mada te perché è con te che io mi implico. Pro-prio per uscire dalla benevolenza untuosa edallo schema del ricco che elemosina la sua

fede al povero. A chi non darebbe fastidioquesto atteggiamento? La teoria dell’ascoltodeve tradursi in una pratica di comunanzadi vita che và anche oltre lo stare assiemesu ciò che ci unisce, per scoprire che anchesu ciò che ci divide può esserci un apprez-zamento. Questo è quello che io voglio farscoprire a loro. La bellezza della mia fede,la bellezza della chiesa che forse in questomomento li infastidisce. Perché non devofare io lo stesso passaggio? Scoprire ciò chedi positivo ci deve essere anche nella lorodisposizione personale, forse delusa o ran-corosa verso i credenti.Paolo VI parlava di “ascoltazione”, con ilsuo splendido italiano. G. Adornato dice cheintendeva indicare una disposizione costan-te, un ascolto profondo che diventa un at-teggiamento nei confronti del mondo e deiproblemi, che nasce prima di tutto dallagrande ascoltazione della Parola di Dio.11

L’ascoltazione allora non ha dei tempi pre-fissati e non si riduce a una tecnica, ma èla capacità di stare coram deo et coram ho-minum, una dimensione che esprime e di-venta l’atteggiamento spirituale dell’umiltà(terzo atteggiamento spirituale). Nel nostrocontesto italiano postcristiano o postclericalel’ascolto puro può anche avere un valorespiazzante in ordine di tempo e di stile. Lepersone corrono, preti compresi. “Non miaspettavo che il parroco mi ascoltasse cosìa lungo”, “non mi aspettavo che venisse al-l’incontro e non dicesse nulla”. La condannadi dover sempre dire qualcosa.

2. Dialogo

Il secondo atteggiamento è quello del dia-logo, instaurare uno scambio che parta dalla

11 Il termine ricorre una trentina di volte già nei discorsi dell’arcivescovo Montini, cf. G. ADORNATO, Il coraggiodi Paolo VI. Chiesa e modernità: l’attenzione di tutta una vita, RCI 1/2009, 37.

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superficie, ma sappia andare in profondità.Anche in questo sento il bisogno di precisaree di formarci, prima di tutto perché vi è undifetto di riflessione teologica a riguardo.Dov’è finita la teologia del dialogo del con-cilio e di Ecclesiam Suam? Sembra che or-mai l’unico fronte di dialogo sia quello in-terreligioso, mentre vediamo che all’internodella chiesa esistono vistosi problemi di co-municazione e di confronto ad ogni livello.L’accompagnatore che si mette a fianco diun cercatore di Dio sarà presto chiamato arispondere di questi, di una chiesa che hadifficoltà a comunicare se stessa, a confron-tarsi con i media e l’opinione pubblica e cheanche al suo interno vede ancora troppevolte l’ideale della comunione giustificareuna prassi poco comunicativa. Se non ab-biamo il coraggio di parlarci al nostro internocome possiamo pretendere di dialogare conl’esterno? Come potrà l’accompagnatore sta-bilire un dialogo con il cercatore e dopo nonavere nessuno a cui dirlo o non essere anchelui ascoltato da qualcuno? La nota dopo Ve-rona auspicava che lo stile laboratoriale delconvegno trovasse dei luoghi stabili di con-fronto, mutando in questo gli organismi dipartecipazione già esistenti (n. 24) e “pro-muovendo luoghi di incontro con quanti so-no in ricerca della verità e con chi, pur es-sendo battezzato, sente il desiderio di sce-gliere di nuovo il Vangelo come orientamen-to di fondo della propria esistenza” (n. 9).Sono luoghi o momenti dove il dialogo nonè più occasionale. Scrive E. Bianchi: “si sonomoltiplicati gli incontri ecclesiali con dimen-sioni oceaniche, ma si sono rarefatti gli spazidi dialogo e di confronto, privilegiando l’a -spetto del «vedere» rispetto all’ascoltare”.12

Certamente la stagione di Ecclesiam Suamera di grande movimento e partecipazione,mentre ora sembra subentrata la tentazionedi tirarsi fuori dalla mischia e stare in silen-zio. Con la scusa di essere meno litigiosi epiù docili copriamo un po’ di pigrizia. “Seuna parola deve essere dialogo e confrontocon chi non è cattolico, questa parola deveesserlo già all’interno del corpo, dell’organi-smo che vuole dialogare e comunicare”.13 Ildialogo è un momento di grande coraggiointeriore. Paolo VI non lo considerava solo un ele-mento di metodo, ma qualcosa che appar-tiene all’identità stessa della Chiesa e che ri-chiede coraggio. Abbiamo da poco celebratol’anniversario della sua Messa di Natale ce-lebrata nelle acciaierie di Taranto nel 1968,dove ammetteva la fatica del dialogo:

“Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa sem-plicissima, ma piena di significato. Ed è questa: noifacciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la diffi-coltà di farci capire da voi. O Noi forse non vi com-prendiamo abbastanza? Sta il fatto che per Noi ildiscorso è abbastanza difficile. Ci sembra che tranoi e voi non ci sia un linguaggio comune”.14

Una messa di Natale nelle acciaierie e il ma-gistero più alto, che parla ancora al pluralemaiestaico, ma che ammette di non riuscirea parlare.Per l’accompagnatore del primo annuncio siprofila allora un approccio non magistrale,ma dialogico, che si affianca al cercatore ene rispetta i tempi, l’azione dello Spirito e lacondizione adulta. Come deve essere questodialogo? Perché è l’atto pratico che difetta.Anche nella chiesa hanno preso piede i mo-delli civili: estenuato di interesse il conflitto,

12 E. BIANCHI, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006, 83.13 Id., 85.14 Insegnamenti di Paolo VI, VI (1968) 1114.

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la finta zuffa e il teatrino che tutti sanno es-sere costruito, ci si muove di più nell’eccessoopposto, il civile confronto di posizioni conlo stesso numero di minuti a disposizione,la par condicio, l’assenza di contradditorio.“Io l’ho lasciata parlare senza interrompere,adesso per favore lei non mi interrompa”.Questo non è dialogo. I due relatori, il cre-dente ed il non credente siedono al medesi-mo tavolo, ciascuno espone la sua posizionesenza interazione tra i due: lo chiamiamodialogo, ma non lo è. È un’esposizione, unarappresentazione, una vetrina dove si offreai partecipanti un ventaglio delle posizioni.L’uno cerca benevolmente di includere l’al-tro, presentando la propria come una posi-zione non così lontana dall’altra, includendoun po’ l’altro.Ma proprio il dialogo interreligioso ci avvisache con questo metodo non si arriva da nes-suna parte e non c’è alcuno scambio. Sonoparadigmi che non portano più in là dellanormale cordialità. Perché ci sia vero con-fronto ed avvicinamento occorre il coraggiodi accettare la diversità, il rischio dello scon-tro di idee, dell’essere interrotti, del rapportodialettico che caratterizza i normali confrontidell’esistenza quotidiana e degli affetti. Al-trimenti non c’è crescita. Per questo il dia-logo richiede all’accompagnatore nervi saldie capacità di affrontare l’altro che probabil-mente ci metterà alla prova prima di darcifiducia, che partirà con la guardia alzata eci metterà un po’ ad aprire il cuore. Il dialogonon è la virtù dell’irenismo, ma un camminodi verità che costa qualcosa a tutti coloroche decidono di intraprenderlo, perché nonlascia nemmeno l’accompagnatore dov’è,ma lo mette alla prova. “La diversità cristia-na non esce dal silenzio, né dalla semplicegiustapposizione” (Mondian). Anche quello di Emmaus è un dialogo chiu-so, che non riconosce il risorto e rimbalza

la delusione dell’altro, la sfiducia verso i do-dici e quelle donne – delle nostre – che di-cevano di averlo visto; un bello scambio ditristezza. Due complici più che due amici,che hanno così tanta rabbia e delusione den-tro da sfottere lo straniero, così fuori dalmondo da non sapere nemmeno ciò di cuitutti parlavano a Gerusalemme, che riguardaGesù il Nazareno. Lo attaccano e quasi lorespingono, e solo dopo che se ne è andatoammettono che quel dialogo con lui avevaloro scaldato il cuore. Ma chissà com’era laloro faccia durante il dialogo. Non credomolto accogliente. Non credo gli abbianodato molta soddisfazione. Il dialogo è importante perché dice la mo-dalità personale del primo annuncio. Non sipassa il Vangelo da libro a persona, ma daun soggetto all’altro perché la fede è unaadesione personale e il Vangelo una buonanotizia per l’uomo. Il primo annuncio risuona e ci impressionatalvolta perché avviene dentro una culturadel silenzio e del riserbo, che nasconde l’in-dividualismo ed il disinteresse. Non dialogocon te – oppure dialogo a basso profilo –formalmente perché non voglio violare latua privacy, sostanzialmente perché tu nonmi interessi abbastanza per scaldarmi la ca-micia. Una vera cultura del dialogo sarebbeforse più rumorosa, ma ospiterebbe in modonaturale il confronto, stimolerebbe la ricercadel senso, integrerebbe la differenza me-diante un processo dialettico e coglierebbeil cristianesimo come una delle risorse di-sponibili e non come una ideologia portatricedi violenza. Non auspico una maggior ten-sione sociale o più litigi, ma una relazionalitàpiù normale tra le persone, anche dentro lachiesa dove non riusciamo a tollerare il con-flitto. Facciamo grandi teorie sulla diversitànell’unità, ma appena due entrano in ten-sione nei nostri gruppi subito si attivano le

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forze di pace di quei volontari che devonocercare di ricomporre. “Ma forse lui volevadire…”. Dobbiamo riconciliarci con il con-flitto e con la crisi, è un normale sviluppo,crisis è una parola che dice la fatica e l’op-portunità di crescere. Jürgen Moltmann alFestival della teologia a Piacenza, poche set-timane fa, ha parlato del conflitto tra teologied esegeti raccontando un suo incubo:

io mi immagino di salire sul pulpito, in una chiesa,per annunciare il vangelo e, se possibile, per su-scitare la fede. Però non ci sono uditori delle mieparole: sui banchi siede uno storico, che analizzacriticamente i fatti di cui io parlo; e poi c’è uno psi-cologo che analizza la mia psiche, così come la ri-velo attraverso il mio discorso; e inoltre c’è un an-tropologo della cultura, che osserva il mio stile per-sonale; e ancora un sociologo, che indaga la classesociale di appartenenza, della quale mi consideraun rappresentante, e così via. Tutti analizzano mee il mio contesto, ma nessuno ascolta ciò che iovoglio dire. E la cosa peggiore: nessuno mi con-traddice, nessuno vuole discutere con me su ciòche io ho detto.15

Secondo Moltmann questo sta accadendo alVangelo: tutti lo analizzano, ma nessuno lomette in discussione, cioè lo prende sul serio.

3. Proposta (secondo crinale)La chiesa apprezza l’uomo che si interroga,non appartiene alla nostra migliore tradizio-ne evangelizzatrice il proselitismo o un an-nuncio compulsivo che ignora le condizionidel destinatario e si propone a prescindereda esse. Si avverte in questo stile il rischiodi assecondare la domanda di una religiosità

terapeutica con l’offerta di parole magichedi salvezza, un kerygma astratto – che nep-pure esiste nei vangeli allo stato puro – perguarire le ferite dell’anima e sostituire cosìquella che era la richiesta e l’offerta ritualee sacramentale. Le domande non sono lasola forma della richiesta, anche se la espli-citano visibilmente, come i passaggi crucialidell’esistenza non sono le sole feritoie versoil divino. Dobbiamo dirci con molta chiarez-za che vi sono tantissime persone che vi-vono bene anche senza porsi domande disenso e non per questo sono uomini o donnedimezzati. Ve ne sono altre che attraversanol’esistenza senza precipitare nel baratro deldolore, gustando tante piccole felicità che lavita offre. Non possiamo sottomettere l’an-nuncio alla forma delle domande. Il vangeloè una pienezza ulteriore. Se aspettiamo ledomande giuste non ci muoveremo mai.Tutti partiamo da domande sbagliate. “Nonè qui, è altrove” (Lc 24,6)16. Il primo an-nuncio certamente contiene il kerygma, maproprio il NT ci mette in guardia dal consi-derarlo come un’unica formulazione. Più cheil trapasso delle formule è uno scambio vitaleradicale, un vero rapporto di generazione,nel senso appunto che genera, fa nascere.17

La fatica dell’accompagnatore sta anche neltrattenersi dal fornire risposte, portando ledomande alla loro massima apertura, facen-do aumentare il desiderio anziché saziarlosubito, passando dal livello superficiale alquale molto spesso esse si pongono a quellopiù profondo delle istanze vitali. Bisognaqualificarsi maggiormente nelle domande,

15 http://www.queriniana.it/teologia.asp?IDTeologia=136.16 Vi è una novità irriducibile del messaggio cristiano: pur additando un cammino di piena umanizzazione,esso non si limita a proporre un mero umanesimo. Gesù Cristo è venuto a renderci partecipi della vita divina,di quella che felicemente è stata chiamata “l’umanità di Dio”. Il Signore ci ha fatti annunciatori della suavita rivelata agli uomini e non possiamo misurare con criteri mondani l’annuncio che siamo chiamati a fare(CVMV 35).17 Cf. C. BISSOLI, Il primo annuncio nella comunità cristiana delle origini, Catechesi 78 (2008-2009) 3, 48-60.

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anche perché esse sono lo strumento prima-rio di discernimento sull’esistenza di quellapersona ed è soltanto dentro un ampio spaziovuoto che esse possono ospitare un’ideagrande come quella di Dio. Discernimento èfar scoprire cosa c’è dietro e allargare glispazi della mente e del cuore. La gente nonviene con la domanda di Dio precisamenteformulata, ma parte da curiosità laterali, di-mostra un interesse spesso superficiale, tienenascoste le questioni di senso, esita ad aprirsie dare fiducia, teme i discorsi troppo impe-gnati e forse molto spesso non è in gradoeffettivamente di reggerli. Bisogna partire dalì ed essere realisti: molte persone, soprattuttoadulte, non andranno tanto più avanti di lì,troveranno una fede che li accompagnerà fi-no alla fine, ma non sarà la forma più alta.Sarà quella che sono riusciti a trovare e chea loro basta. Nonostante mille segni di fedeli abbiano circondati per tutta la vita. L’evan-gelizzazione è un’opera personale, che deveraggiungere l’uomo e la donna concreti inmodo da suscitare in loro una risposta. Compare qui la seconda strettoia da attra-versare, che intravedo, ma per la quale nonriesco a dare soluzione unica. Dove finiscel’ascolto e dove scatta l’annuncio? C’è unpunto preciso di non ritorno? Fino a quandodevo ascoltare e fecondare il bene contenutonell’esistenza, nella ricerca, e quando inveceè ora di passare alla proposta esplicita di Cri-sto? Avverto che questo passaggio è neces-sario anche a livello pratico, per non restarein una eterna preevangelizzazione e un cri-stianesimo inconsapevole, troppo comodoper l’interlocutore e per me… Basta evan-gelizzare le domande? Rispondere ad essesignifica già evangelizzare? Su questo crinale ho solo tre cose da dire:la prima è che si tratta di un punto in cuientra in gioco fortemente quell’elementopersonale di cui parlavo prima, cioè la sto-

ria di fede e la struttura umana dell’evan-gelizzatore. Con il passare degli anni mi ac-corgo che sono diventato più deciso nellaproposta e meno fiducioso nella naturalematurazione del bene. Quando ero più gio-vane mi sembrava di vederne dovunque,forse è andata diminuendo la mia pazienza,forse aumentando il coraggio ed è cambiatoil mio rapporto con il mondo. E questo è ilsecondo elemento: alla questione del primoannuncio e a questo crinale in particolareè sottesa una questione più grossa, che ri-guarda il rapporto con il mondo, il modoin cui la chiesa guarda al mondo. C’è statauna mutazione anche in questo, lo palesa-no le recenti discussioni sul Vaticano II chenon riguardano i temi ecclesiologici, ma laGS e la DV, il modo in cui la chiesa si ponenei confronti del mondo e del Vangelo chele è stato trasmesso nella storia. L’ottimi-smo che portava a credere in uno sviluppolineare delle indicazioni conciliari, dispone-va anche ad un atteggiamento fiduciosonei confronti del mondo, meno identitarioe più disponibile a leggere gli elementi dellastoria come “segni dei tempi”. Adattato aiconfini del nostro ragionamento l’interro-gativo diventa: “è ancora possibile costruireil Regno in questa storia o la città di Dio èstata definitivamente estromessa da quelladegli uomini? Ha senso ascoltare le inter-rogazioni che ci vengono rivolte come pos-sibile ospitalità dell’annuncio evangelico,oppure non c’è altro spazio per Dio fuorida quello sacro, da recintare e custodirecon ogni mezzo? Credere nel primo annun-cio significa accettare la sfida della signifi-catività evangelica, impegnarsi a dargli unfuturo e a riscattarlo dalle mani del più fortedi lui, pur sapendo che il nostro tradére sa-rà sempre un tradire, perché ogni realizza-zione storica è inadeguata rispetto alla pu-rezza dell’ideale.

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Il terzo elemento allora è l’ipotesi che nonsi diano dei tempi successivi tra l’ascoltoe la proposta, ma che i due movimenti di-vengano compresenti insieme, muovendosiin modo complementare. La Lettera non ècostituita di tre parti come rappresentanti ditre fasi separate (prima ti ascolto, poi ti pro-pongo e poi mi ascolti tu...non continuiamoad usare strumenti nuovi con metodi vec-chi), ma per segnalarci le tre dimensionifondamentali che nemmeno un primo an-nuncio parziale può permettersi di omettere:l’ascolto, la testimonianza e la proposta. So-no tre atteggiamenti costanti e compresenti.L’ascolto può essere l’inizio del cammino,ma il mio interlocutore se ne va se ad uncerto punto si accorge di non essere piùascoltato; però il cammino può anche partiredalla proposta, o dalla testimonianza, purchéqueste dinamiche siano tutte reperibili. Nelnostro ministero di preti siamo molto sbi-lanciati su una sola di esse, perché le altresono scelte altrove (es. ascolto, la propostaè fatta dal tale libro/gruppo/ecc.).

4. Unificazione

La Lettera è un’opera aperta, vale soprat-tutto come metodo, come pretesto e istanzache dice la priorità dell’annuncio e la serietàche rivolgiamo alle domande delle persone.C’è una terza caratteristica spirituale cheoggi mi sembra basilare per un accompa-gnatore del primo annuncio ed è quelladell’unificazione interiore. Anche questanon è una fase, ma un atteggiamento co-stante che si offre come aiuto alla grandesofferenza dell’uomo contemporaneo che ri-guarda la sua identità. A livello teorico lapossiamo chiamare questione antropologica,sapendo che su questa troveremo più diffi-coltà e distonie nel dialogo più che su quellateologica, perché è più facile avere la stessa

concezione di Dio che dell’uomo. Ma il pro-blema che riguarda tutti è, appunto, quellodelle forme concrete del vissuto nelle qualiprendono forma il vuoto interiore, l’isola-mento ed il bisogno di relazioni che imboccale strade più diverse. La frammentazionesegna le persone, cambia il carattere e incidein modo drammatico sui valori che si sonoscelti, sugli affetti e sulle relazioni ancheimportanti. Ormai nemmeno più i modelliculturali dominanti hanno il coraggio di pro-porre delle figure a tutto tondo, ma dellepersone vincenti solo in un piano della lorovita, a scapito di altri. Eroi dimezzati per ungiorno e, per tutti gli altri, persone di bassoprofilo. In realtà non c’è nulla di eroico inquesto essere frammentati e divisi, in co-stante rischio di schizofrenia. La vita nonsi compensa da un ambito all’altro: vivereframmentati è vivere male, con sofferenzae con molte maschere. È compito dell’evan-gelizzazione anche smascherare queste il-lusorie compensazioni e una finta libertàottenuta grazie al vivere low profile, schi-vando la società complessa, sfuggendo ogniscelta e progetto per cogliere una felicità daasporto, l’unica a portata di mano. Spostarsisui versanti più sofferenti della vita, scavarea fondo nei passaggi più significativi non èsolo una nuova strategia evangelizzatrice,ma è dare al Vangelo la sua naturale desti-nazione, la cura della vita umana, la libe-razione dell’uomo, la cacciata dei demoni,la speranza. Per questo è importante puntare, evangeliz-zatore ed evangelizzato, ad una esistenzaunificata, che è quella di una persona risorta,che coglie l’esistenza di un nucleo fondantela propria vita e decide di rischiare abban-donandosi all’amore. In Cristo scopre il gran-de “Sì di Dio all’uomo” che gli ridona ognicosa trasformata attraverso la Sua croce:“tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo

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è di Dio” (1Cor 3,22). In questo passaggiola propria unificazione diventa anche rela-zione perché la persona scopre che la propriaesperienza singolare contiene dei caratteriuniversali.

5. Terzo crinale: la libertà

Ho già accennato, ma questo della libertà edella conoscenza di fede è un passaggio fon-damentale, che riguarda tanto il cercatorequanto l’annunciatore. La libertà personaleè una strettoia imprescindibile. Devo lasciarealla persona che incontro la libertà di defi-nirsi, di parlare della propria fede o non fedecome vuole, senza inscatolarla nei mieischemi o battezzarla a forza. Il dialogo devecustodire questa libertà, che ha da fare dasola il proprio cammino e decidere quandochiamarsi fede e in che forma. Nella chiesa abbiamo troppo spesso sacrifi-cato questa libertà in nome dell’obbedienza.Ma l’obbedienza stessa non vale nulla senon è veramente libera. Non è nemmenovirtuosa perché non è stata posta in condi-zione di scegliere e per questo è funzionaleall’obbedienza non alla crescita delle perso-ne, che continuano a fare quello che mam-ma e papà hanno deciso per loro ritenendoche sia per il loro bene. La libertà è una strettoia imprescindibile eun passaggio drammatico, che consente dipassare dal dovere al potere, da una propo-sta ricevuta ad una scelta. Lo posso com-piere solo io, ma devo essere messo in con-dizione di compierlo. E questo vale ancheper l’annunciatore perché la Grazia supponeed esige la libertà, anzi crea la vera libertà.Scopriamo entrambi la potenza di un Amore

che ci realizza, ma che non ci appartiene,di cui non possiamo disporre e che ora sianticipa, in attesa della pienezza.

6. La formazione degli accompagnatori

È evidente che un cammino come quelloprospettato implica una relazione personale,dove il percorso è modulato sulla disponibi-lità e sull’interesse di chi è coinvolto. Nonsono pensabili dei gruppi o delle classi se-condo il modello scolastico, se non per qual-che tappa significativa che stimoli l’appro-priazione. La conoscenza dei contenuti è ne-cessaria, ma non basta, occorre una forma-zione che aiuti a comunicare la fede. Lo di-ceva già la nota La formazione dei catechi-sti nella comunità cristiana del 198218 chedistingueva le scuole di teologia da quelleper la catechesi. L’operatore del primo an-nuncio è una figura che vogliamo delineare,non pensando ad un esecutore di procedurein serie, bensì ad un artigiano/artista checrea pezzi unici. Questo è determinante per-ché ci costringe alla non rigidità nelle pro-poste, ma anche ad una precisione nellagrammatica essenziale, che consenta, poi,quell’elasticità nel cambiamento che le cir-costanze personali richiedono di volta in vol-ta. Le persone non sono tracciati lineari, co-noscono momenti di entusiasmo e di reces-sione, e anche se fossero sempre motivatee desiderose, hanno comunque ritmi di vitae di apprendimento diversi, da conoscere erispettare ancor di più perché si tratta diadulti, persone ormai strutturate, che richie-dono modalità adulte di approccio e di dia-logo. Per fare del buon jazz bisogna cono-scere così bene la musica da poterla adattare

18 CEI, COMMISSIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, LA CATECHESI E LA CULTURA, La formazione dei catechisti nellacomunità cristiana. Orientamenti pastorali, Roma, 25 marzo 1982, in ECEI, 3/850-916. n. 26.

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e improvvisare, smontandola e cambiandoil tempo, la melodia, le note. Qualche indi-cazione allora può essere data, oltre a quelleche provengono dall’esperienza diretta del-l’accompagnatore che, comunque, ha avutoil suo percorso di fede, che però non devetentare di riprodurre, ma del quale non puòneppure liberarsi.Dalle nostre esperienze formative mi sembrache possiamo trarre il frutto migliore cheanche i documenti sulla formazione dei ca-techisti segnalano, che è il modello del la-boratorio. Compare già negli Orientamentie itinerari di formazione dei catechisti(1991)19 ed è confermato da numerosi do-cumenti successivi. Nel laboratorio si realiz-za una comunità di apprendimento, riespres-sione e progettazione degli itinerari forma-tivi, una realtà flessibile che mantiene apertala ricerca di nuovi spazi e modi per l’annun-cio del Vangelo. Esso mette in opera il me-todo del dialogo e della relazione, confron-tando più punti di vista logici, stimolandola creatività e l’incontro tra vari saperi. Il la-boratorio è un apprendistato dove si imparafacendo e così teoria e prassi si confrontanoa vicenda.20

Soprattutto l’elemento della testimonianzadi fede che impara a comunicarsi tramiteparole, insieme a quello del lavoro di grup-po, possono descolarizzare la mentalità delcatechista, cambiarne la figura in quella di

accompagnatore e dare forma anche al-l’impegno della comunità, che può coin-volgersi in vario modo, mettendo in giocol’esperienza di fede e sperimentando il pas-saggio da figlia a madre dell’evangelizza-zione. Anche la nota La formazione deicatechisti per l’iniziazione cristiana deifanciulli e dei ragazzi (2006)21 confermaquesta prassi formativa del laboratorio erilancia la riflessione sull’identità e la ca-pacità di comunicare la fede da parte delcatechista. La definizione che viene datariguardo l’IC può valere anche per noi: «Ilcatechista è una persona trasformata dal-la fede che, per questo, rende ragione dellapropria speranza instaurando con coloroche iniziano il cammino un rapporto dimaternità/paternità nella fede dentroun’esperienza comunitaria di fraterni-tà».22 Accompagnare allora non è questio-ne di ruolo e di abilità da acquisire, ma èquestione di identità.23

L’identità umana e credente dell’accompa-gnatore si incontra con quella del cercatorecominciando a esplorare seriamente gliaspetti che qualificano l’esperienza religiosa.Non c’è spazio per un procedimento dedut-tivo che dimostri, bisogna muoversi dal bas-so, valorizzando o promuovendo le doman-de della vita per condurle verso una matu-rità maggiore umana e spirituale.24 Più cheformare dei “tecnici” dell’accompagnamento

19 “Si diventa catechisti facendo catechesi e riflettendo sistematicamente su di essa. Lo scambio tra momentoformativo e operativo, tra azione, interpretazione e verifica, crea la vera organicità. Proprio per questi dueversanti della formazione i catechisti domandano che le scuole di formazione abbiano il carattere di comu-nità-laboratorio, ove assieme si apprende, si riesprime e si progetta secondo itinerari formativi; ci si catechizzareciprocamente e ci si rende attenti a ciò che accade effettivamente nella catechesi in atto” OIFC, 2. UCN,Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti. Sussidio pastorale, EDB, Bologna 1991.20 Cf. R. PAGANELLI (cur.), Diventare cristiani. I passaggi della fede, EDB, Bologna 2007, pp. 14-15.21 UCN, La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, Roma 2006.22 FCIC, 19.23 Il DB non era molto lontano quando giudicava necessarie tre dimensioni formative del catechista: dire,insegnare e far vedere (DB 186-188).24 Cf. G. BARBON, Nuovi processi formativi nella catechesi. Metodo e itinerari, EDB, Bologna 2002, 178.

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ci occorrono persone esperte in umanità,capaci di comunicare e testimoniare la pro-pria fede, aiutando altri a crescere in quelladirezione. È una vocazione ad un ministero specifico,che credo non sarà bene lasciare alla gene-rosità dei singoli. La comunità deve appro-priarsi del compito del primo annuncio, chealcuni adempiono per suo mandato e sareb-be tempo ormai che qualunque ministerodella catechesi avesse un riconoscimento ec-clesiale autorevole e impegnativo.Passare come molti auspicano «da una ca-techesi d’encadrement a una catechesid’engendrement»,25 significa mettere in attopercorsi di ricerca e di confronto interper-sonale che puntano alla maturità globaledella persona e realizzare il progetto cate-chistico della Chiesa italiana più esplicita-mente nella prospettiva dell’evangelizza-zione. Anche il modello del laboratorio coo-pera a questo, presentandosi come spazioformativo non più centrato sulla trasmis-sione del sapere da parte di un insegnante,ma sul confronto della persona in relazionea sé stessa e agli altri. È in questo spaziorelazionale che la fede può essere rieducata,annunciata e testimoniata.

4. I LUOGHI DEL PRIMO ANNUNCIO: IL DOVE

1. L’effetto sorpresa

Le esperienze di primo annuncio in atto mo-strano che esso sembra sortire migliori ri-sultati quanto più sono inaspettate le sue

forme e inusuali i luoghi ove avviene. Siparla per questo di luoghi informali, di si-tuazioni in cui la gente vive, di eventi, luo-ghi di passaggio, spiagge, autogrill, ecc. In questa scelta intravedo due effetti positivi: Il vangelo come sorpresa significa spiazza-mento nei confronti dei luoghi comuni, co-gliere l’altro dove non se lo aspetta, nonsolo riguardo ai luoghi, ma anche alle con-dizioni di accesso. Anziché porre delle soglieminime, dichiararti dentro o fuori, mi con-centro sulla qualità della mia proposta, tisorprendo offrendoti qualcosa che per mevale molto e senza chiederti prima se ne seiall’altezza. Ti sorprendo per il tono positivoche mostro, anziché triste e lamentatorio co-m’è uso in questi tempi; per la libertà neiconfronti del mondo del quale non mi sentoprigioniero, nonostante esso faccia di tuttoper marginalizzarmi. Ti sorprendo per la miafiducia nello Spirito che mi concede il lussodi fidarmi di te. Ti sorprendo perché ti ritengoadeguato alla questione anche se a te sem-bra di non esserne all’altezza. È dopo questaazione evangelizzatrice che scatta l’invito adiventare “cittadini degni del Vangelo”(Fil1,27), ma inizialmente tutti sono degni diriceverlo, non ci sono verifiche previe o con-dizioni di accesso. Questa è la vera gratuitàed è anche su questo che le nostre comunitàdevono cambiare, smettendo di rimproverarechi non frequenta o di far sentire in colpachi non ha trovato la fede o non la ritienecosì importante. Gesù non si è comportatocosì nemmeno con chi lo ha esplicitamenterifiutato: non ha detto al giovane ricco: “peg-gio per te, vedrai che vita triste avrai…”perché ci è arrivato da solo ed è stata unasufficiente condanna.

25 Cf. E. BIEMMI, La dimensione missionaria della catechesi. Il Convegno EEC nel cuore della problematica delprimo annuncio, Catechesi 78 (2008-2009) 3, p. 4.

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Le nostre comunità non mi sembra siano indifficoltà o incattivite nell’ accogliere un lon-tano che si riavvicina, anche se proviene daun fallimento, c’è abbastanza misericordia;la cosa veramente difficile, anche per noi, ètrattenersi dal moralismo, dal dirgli “te l’ave-vo detto io…”, da un malcelato giudizio eda una concezione esclusivista della fede:“vedi che adesso mi dai ragione?”. Il Padredel figlio prodigo non fa così…anche se ilfiglio pensa che lo dovrebbe fare. La sorpresaè che non lo fa.L’attenzione sui luoghi geografici dell’an-nuncio non deve tuttavia farci dimenticareche la priorità è antropologica: la persona“cuore della pastorale”. Verona ci ha additatodei luoghi umani prima che geografici, dellesituazioni di vita a partire dalle quali è pos-sibile scoprire la novità del Vangelo propriodove l’uomo sperimenta la crisi di tutte leforze. Ti sorprendo cogliendoti nel tuo vis-suto più significativo.

2. Il patrimonio ereditato

Detto questo tuttavia mi domandando anchese le nostre 25.807 parrocchie debbano es-sere per forza un luogo scontato e quindinegativo per l’annuncio. Esse costituisconol’eredità pesante, ma anche preziosa, delcattolicesimo popolare italiano. Dobbiamoconsiderarle una pastorale di retroguardiarispetto a quella dei luoghi informali, o unpresidio di servizi a cui si attinge una voltache il primo annuncio è stato accolto? Nonpossiamo coinvolgerle nel primo annuncio?Pensate ad una azienda o un progetto chepartisse disponendo già di 25.807 presidi,sportelli, o anche solo insegne simboliche

sul territorio. Credo che sia già un notevolevantaggio. Non c’è dubbio che esse vadanoripensate (razionalizzate) e meglio raccor-date con tutto il resto, ma credo che sarebbeuno spreco enorme di opportunità il lasciarleda parte e che proprio il primo annuncio eduna catechesi veramente catecumenale chene deriva, potrebbero costituire delle oppor-tunità per cambiare la forma di questa isti-tuzione ecclesiale di base in direzione deci-samente più missionaria.26 Non possiamonegare infatti che le nostre parrocchie, anchequelle più strutturate, patiscono quanto aproposte di primo annuncio e di correspon-sabilità missionaria laicale. Ai parroci di Ro-ma all’inizio della quaresima il papa ha par-lato di “un luogo di ospitalità della fede, unluogo in cui si fa una progressiva esperienzadella fede”, individuandolo nella parrocchiae in volto della comunità più accogliente eaperto: “creare anche vestiboli, cioè spazi diavvicinamento. Uno che viene da lontanonon può subito entrare nella vita formata diuna parrocchia, che ha già le sue consue-tudini. Per costui al momento tutto è moltosorprendente, lontano dalla sua vita. Quindidobbiamo cercare di creare, con l’aiuto dellaParola, quello che la Chiesa antica ha creatocon i catecumenati: spazi in cui cominciarea vivere la Parola, a seguire la Parola, a ren-derla comprensibile e realistica, corrispon-dente a forme di esperienza reale”. Se la parrocchia e in essa tutti i luoghi sim-bolici in cui la chiesa si realizza e si mostra,la catechesi, la liturgia, l’esercizio dell’auto-rità, riescono ad essere significativi per chista fuori, essi possono diventare dei luoghidi primo annuncio. Il loro stesso andare in-contro all’umano ed accoglierlo, anche se

26 “Il futuro della Chiesa in Italia, e non solo, ha bisogno della parrocchia. È una certezza basata sullaconvinzione che la parrocchia è un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo,per una Chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare” VMP 5, cf. anche CVMC 57.

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l’Italia conosce una lunga tradizione di im-pegno sociale e caritativo, può ancora stupireed evangelizzare a livello individuale: “sa-pevo che la chiesa aiuta tutti, ma io non neavevo mai avuto bisogno”. Il nostro mododi celebrare, di fare carità o cultura, di fareformazione hanno bisogno di ospitare e di-ventare significative per qualunque personadi passaggio, di essere capiti, di parlare. Nonpuntiamo al proselitismo, ma nemmeno al-l’autoreferenzialità. Questo forse vuol dire“Tutte le attività siano permeate di primoannuncio”, come dice la nota sulla parroc-chia: che tutto ciò che facciamo sia almenocomprensibile anche per i lontani. A questi antichi impianti istituzionali il pri-mo annuncio offre l’opportunità di ricomin-ciare dall’essenziale, dalle cose semplici, di-stanti dai programmi complessi che conten-gono sempre una riedizione di tutto il pas-sato e evocano cambiamenti così globaliche di fatto non avvengono mai. Occorrequalche slogan in meno e ritornare ad unaevangelizzazione semplice, fatta di prossi-mità e stili di vita da condividere, eloquentiproprio perché elementari. Sono molte lepersone che apprezzano la fede, che la ve-dono come un aiuto e non un peso, ma chemanifestano la paura di entrare in un’altracosa complessa, un’ennesima realtà difficile:“mi piacerebbe credere, ma ho già tanti pro-blemi...”. Aggiungeteci il livello etico, cheaumenta ad ogni emergere di problema e dipronunciamento relativo. Non possiamocontinuare a dire tutto questo cristianesimoche non viviamo, bisogna abbassare il li-vello. Ci vuole una moratoria. Anche peruscire dalla manipolazione che di esso fan-no i media. O lo viviamo di più o ne par-liamo di meno. Io vorrei aspettare che ve-nisse la fame e la sete nel paese, come pro-fetizza Amos (Am 8) per poter parlare diDio.

In modo più spicciolo: io operatore del primoannuncio parlo di Gesù Cristo a quest’uo-mo/donna. E non gli chiedo se convive? Ese convive gli dico subito che purtroppo nonpuò fare la comunione? Dobbiamo sempli-ficare, imparare a distinguere l’essenziale eprofessare la fede anzitutto in quello. Più che tutti i nostri corsi di formazione èla vita quotidiana dei cristiani che deve mo-strare il nuovo, lo stupore e lo deplacement,che non ha bisogno di spiegazioni e non ce-de a provocazioni. Il primo annuncio è perun cristianesimo semplice, che basta a sestesso. Che si fa e basta, senza spiegarsitroppo. Rende ragione di quello che crede erimane in silenzio dove non sa rispondereo non sa se valga la pena. “Anche nel si-lenzio, un vigile amore” (Ecclesiam Suam).D’altro canto i primi Simboli sono brevissimie contengono solo l’essenziale. Una fede ini-ziale non professa tutto subito, ma accedeattraverso la mediazione di qualcun altro,che porta il fratello più piccolo nella sua fedepiù completa e in quella della Chiesa. Per questo forse prima di aggiungere ungruppo di evangelizzatori d’assalto a quelligià esistenti, conviene convertire quelli cheesistono alla semplicità del discepolato e fardecollare una pratica religiosa buona versouna vita che contiene la novità di Dio. Nonc’è da trasformare la parrocchia in un grandegioco per catturare chiunque si affacci allafede, ma semplicemente da vivere le rela-zioni di fraternità e di sequela senza altrointeresse che il legame con Cristo e con glialtri discepoli, nella normale dinamica cheva da Nazareth a Gerusalemme, dalla vitanascosta alla testimonianza pubblica, dallostare con il maestro all’andare a predicare.La parrocchia potrebbe diventare la cabinadi regia di questa evangelizzazione semplice,vissuta nel quotidiano, proprio per la suavicinanza ad esso. Altrimenti la strada che

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si prospetta al cercatore è solo quella di in-contrare un cristianesimo militante, annun-ciato da convertiti spesso integralisti, che ri-schia di perdersi nell’apologia anche degliaspetti secondari. Questo però chiede anchealla parrocchia una cura snellente, che ridu-ca i suoi enormi progetti e liberi le energiespese negli enormi preambula fidei o nel-l’attività di preevangelizzazione. L’ultimo atteggiamento spirituale dell’accom-pagnatore lo metto qui: è legato alla carità.Il primo annuncio si muove dentro il precettodell’amore fraterno, è un atto d’amore cheprivilegia i poveri, gli afflitti, coloro che perun motivo o per l’altro non sono entrati allenozze. Non quell’amore che dà il sovrappiù,ma quello di chi dà il meglio di sé al fratelloper amore di Cristo, dà la sua testimonianza,il suo servizio, la sua passione, la bellezzadella sua fede. Sono questi a mostrare l’amo-re ricevuto da Dio più di ogni discorso esono questi che muovono la conversione. Ilprimo annuncio punta alla conversione perl’efficacia dell’amore, non di un discorso.Altrimenti confidiamo nei nostri strumenti enon nella grazia che salva.

5. LA FORMA ECCLESIALE DELL’ANNUNCIO: IL NOI

1. Il “noi” dell’annuncio

È chiaro che la fede è un’adesione personalee che il rapporto si attua da persona a per-sona, ma nessuno trasmette l’Io della fede,perché l’atto stesso del credere è sempre in-trinsecamente comunitario, credere è in re-altà un con-credere. L’incontro misterioso

che avviene tra Dio e ciascuna anima nelcastello interiore ha bisogno anche di un ca-stello esteriore, di un contesto di fraternità etestimonianza che si presti a divenire grembodi questo incontro e allo stesso tempo sappiaoffrire ad esso dei cammini e delle relazioniperché esso possa crescere e trovare il suostile. “Ciò che noi abbiamo visto, udito e toc-cato…lo annunciamo a voi” (1Gv 1,1). Nessuna chiesa può sostituirsi a Dio, matutte hanno il dovere di propiziare questoincontro e ciò che da esso può scaturire, dicostruire una prassi ed una struttura istitu-zionale che mentre si curano di far crescerela fede di coloro che hanno aderito, man-tengano viva la dimensione missionaria neiconfronti di tutti. Pensiamo a cosa ha pro-vocato nelle nostre comunità la perdita del-l’annuncio, della antica prassi catecumenalee lo spostamento dell’iniziazione cristiana aifanciulli (e cosa sta provocando ora il suoritrovamento): una forma di chiesa sbilan-ciata sull’infanzia, preoccupata di chi c’è giàe non di chi manca e incapace di mostrareil volto adulto di una comunità con cui con-frontarsi. Allo stesso tempo tra i bisogni contraddittoridel nostro tempo oltre all’individualismoemerge anche un forte desiderio di comunità,come riparo dalle insicurezze e dall’isola-mento. “La compagnia o la società possonoanche essere cattive, la comunità no. La co-munità – questa è la nostra sensazione – èsempre una cosa buona. Comunità è un si-nonimo di Paradiso perduto, ma un paradisonel quale speriamo ardentemente di potertornare e di cui cerchiamo, dunque, febbril-mente la strada”.27

Anche il catechista o l’accompagnatore te-stimonia questo perché opera sempre in

27 Z. BAUMANN, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari, 2008, 3.5.

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nome della comunità ecclesiale, «evange-lizzare non è un atto individuale» (EN60);28 non va ad annunciare la sua fede,ma la fede della chiesa. La dimensione ec-clesiale del suo ministero richiede di operareun collegamento tra la sua vita e l’azionedella chiesa, coordinando la catechesi contutti gli altri momenti dell’agire ecclesiale.Per questo c’è anche una forte correlazionetra formazione e modelli di chiesa sotto-stanti, perché l’azione formativa non è maineutra, ma ricade direttamente sul modo disentire e vivere la chiesa stessa. Una for-mazione e un modo di fare l’annuncio hauna “responsabilità ecclesiale” perché puòcreare una tipologia di credenti piuttostoche un’altra.Ma è soprattutto il contenuto dell’annuncioche esige la correlazione ecclesiale. Il Cristovivo e vitale nel cuore del credente è infattianche ciò che dà vita alla Chiesa. È Von Bal-thasar ad aver riflettuto molto su questo,stabilendo un legame tra l’evento-Cristo ela forma ecclesiale in cui viene testimonia-to.29 La chiesa non lo proclama Cristo comeun proprio contenuto, ma come ciò che ladetermina, che è reso vivo dallo Spirito, ledà la forma e porta a pienezza la vicendaumana. Cristo e la Chiesa diventano così unsolo mistero, in cui la Sponsa Verbi è carat-terizzata anzitutto dall’essere stata scelta eCristo-formata, e solo in secondo luogo dal-l’aver aderito alla proposta. Per questo la missionarietà appartiene al-l’essenza ecclesiale, perché la salvezza

spinge verso il Cristo totale e la comunica-zione della fede non è altro che l’improntatrinitaria e pasquale di un Dio che è comu-nicazione d’amore.30 Niente altro motival’esistenza della chiesa se non l’amore fon-tale del Padre (AG 2). È evidente che que-sto impegna la comunità, che viene modi-ficata dall’azione del primo annuncio, cheè una forma esigente di evangelizzazione,simile alla delicata fase dell’attesa, dellanascita e dell’infanzia di un figlio: la fami-glia si centra tutta sull’accoglienza e sullacura del nuovo arrivato e allo stesso temposi compatta in relazione, affinità, positività.Ancora prima, mentre cresce l’attesa delnuovo arrivato, qualcosa all’interno si pre-para ad accoglierlo offrendogli il meglio eprecedendolo. Il primo cambiamento del pri-mo annuncio avviene negli annunciatori enella comunità stessa, ancora prima che ilcercatore sia incontrato e analogamente ilcompito non si esaurirà quando avremoguadagnato un credente in più, ma quandola sua comunità sarà diventata una famigliamigliore per lui. L’evangelizzazione e l’annuncio si situanoal cuore genetico della chiesa, che scaturisceda essi e che risponde davanti al mondodella sua capacità di mantenere e trasmetterela memoria Jesu. Se ciò non è scomparsonemmeno in una forma ecclesiale spostatasulla cura d’anime anziché sull’annuncio,ciò non è attribuibile a meriti del magisteroo dei pastori, ma a dinamiche interne delpopolo di Dio che, in maniera semplice e

28 EN, 60: EV 1/1669.29 H.U. von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica. I: La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1994.Cf. M. Tibaldi, Kerygma e atto di fede nella teologia di Hans Urs von Balthasar, Editrice Pontificia UniversitàGregoriana, Roma 2005.30 Nel suo insieme, la Nota vuole orientare e aiutare concretamente a tradurre quanto affermato nel documentoIl volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: «C’è bisogno di un rinnovato primo annunciodella fede. È compito della Chiesa in quanto tale, e ricade su ogni cristiano, discepolo e quindi testimone diCristo; tocca in modo particolare le parrocchie»30 (n. 6), Nota Il Primo Annuncio, n. 2.

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implicita, ha continuato a comunicare la pro-pria fede. Inoltre dobbiamo riconoscere che le nostrecomunità non sono immuni dai limiti dellacultura in cui vivono e che devono essestesse lasciarsi prima evangelizzare per poterevangelizzare altri (EN 15). Devono ritro-vare la forma dell’annuncio, ma anche rivi-talizzare i legami sacramentali che le leganoa Cristo: parola, eucaristia, ministero. Nelnostro contesto è difficile mettersi in discus-sione, viene da ritirarsi sulla difensiva, dagestire l’esistente e rispondere alle domandepiù immediate, domande di servizi soprat-tutto. Il primo annuncio ci mette davanti al pro-blema dell’insufficienza della testimonianza,che non genera più automaticamente. Nellaconfusione di antropologie postmoderne èdifficile formare identità adulte, in grado discegliere Cristo. Mi impressiona sempre, nel-la parabola del seminatore, l’enorme disper-sione di seme e la mediocrità dei destinatari.Due terreni su tre sono inadeguati. Certo do-ve attecchisce cresce ora il 30, ora il 60, orail 100, ma la maggioranza và buttato senzafrutto. C’è una entropia piuttosto alta nel-l’opera di evangelizzazione, proprio perchéè azione di Dio primariamente, che non se-gue i nostri calcoli. Gesù questa parabolacosì facile la spiega. Forse per impedirci lafacile identificazione con il seminatore e spo-starci sul terreno. È questo che deve cam-biare in relazione all’annuncio e non vice-versa. Non è la chiesa che modula la suamissione secondo le possibilità e i tempi, maè la missione che cambia la Chiesa e le chie-de di rendersi adeguata a ciò che proclamae al modo in cui lo proclama. È il Vangeloche fa il credente, non viceversa. Non è escluso che la forma della minoranzasociale possa rimettere le comunità in quellacondizione di debolezza che la costringe a

sottomettersi totalmente a Cristo e la spingeverso una maggior azione missionaria, sen-za diventare nè settaria nè orgogliosa. Perciòil compito del primo annuncio, tanto quellofatto dai molti o dagli alcuni, riveste unavalenza profetica e afferma l’essere assiemedi tutti prima delle caratterizzazioni carisma-tiche o istituzionali. È prendersi cura dellafede del fratello a nome della Chiesa e dentrola Chiesa di oggi, camminando con lui versoquella futura. È importante rompere questoisolamento intimista, la soggettivizzazionedell’esperienza di fede nella quale cadonomolti. Per questo il primo annuncio chiedeanche alla Chiesa di cambiare il suo voltoin quello di un luogo di relazioni vive conDio e con gli uomini, di uno scoprimento deinessi che legano le cose e dispongono a sta-bilire legami, di una città terrena meno eterodiretta e più frutto di avvenimenti reali cheaccadono tra le persone. Per questo mi piaceconcludere con una strana immagine diChiesa, come luogo della relazione e dellerelazioni, tratta dalle Città invisibili di Cal-vino. Mi piacerebbe che colui che viene rag-giunto dal primo annuncio fosse condottoun giorno a visitare la città di Zaira, che an-che a noi piace scoprire.

2. La città di Zaira

Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descri-verti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirtidi quanti gradini sono le vie fatte a scale, di chesesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zincosono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe comenon dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma direlazioni tra le misure del suo spazio e gli avveni-menti del suo passato: la distanza dal suolo d’unlampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore im-piccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera difronte e i festoni che impavesano il percorso delcorteo nuziale della regina; l’altezza di quella rin-ghiera e il salto dell’adultero che la scavalca all’alba;l’inclinazione d’una grondaia e l’incedervi d’un gatto

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che s’infila nella stessa finestra; la linea di tiro dellanave cannoniera apparsa all’improvviso dietro ilcapo e la bomba che distrugge la grondaia; gli strap-pi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti sulmolo a rammendare le reti si raccontano per la cen-tesima volta la storia della cannoniera dell’usurpa-tore, che si dice fosse un figlio adulterino della re-gina, abbandonato in fasce sul molo. Di quest’ondache rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una

spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira qualeè oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira.Ma la città non dice il suo passato, lo contienecome le linee d’una mano, scritto negli spigoli dellevie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano dellescale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste dellebandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi,seghettature, intagli, svirgole.31

31 I. CALVINO, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2002, 10-11.

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LEGGERE IL PRESENTE

Il cammino pastorale della Chiesa in Italiadal Concilio a oggi segnala, già solo nei suoidocumenti, una attenzione e una preoccu-pazione crescenti verso un fenomeno cheviene variamente designato e descritto, eche presenta alcune sue manifestazioni ri-levabili, tra altre, nel calo della partecipa-zione alla Messa domenicale e alla vita delleparrocchie in genere, del numero delle vo-cazioni e dei matrimoni celebrati in Chiesa.Soprattutto negli ultimi decenni c’è stata intal senso una sorta di accelerazione di talifenomeni, che hanno suscitato una legittimapreoccupata attenzione, registrata dai nostridocumenti in formule come “un mondo checambia”, “primo annuncio”, “cercatori di

Dio”.1 Qualcosa, anzi molto, è cambiato. Ilcammino pastorale della Chiesa in Italia nonpuò essere rappresentato come la rispostaordinaria, abitudinaria, alle esigenze dellavita dei credenti e delle comunità cristiane(anche se non manca chi continua a pen-sarlo e praticarlo come tale), ma piuttostocome lo sforzo per far fronte ad una emer-genza, che oggi percepiamo acutamente suldecisivo piano educativo.2 Qualcuno forse,in questa situazione, si potrà sentire comelanciato in una sorta di rincorsa impari estremante, nel tentativo di riacchiapparequalcosa che gli sta sfuggendo di mano. Lo stesso cammino delle nostre Chiese te-stimonia però anche qualcos’altro, che hatrovato espressione significativa al convegnodi Verona. Qui abbiamo in qualche modo ri-

COMUNITÀ CRISTIANE EACCOMPAGNAMENTO

DELLE PERSONE IN RICERCA:ASCOLTO, DIALOGO

E QUESTIONE EDUCATIVA

S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI

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1 Si rimanda agli Orientamenti pastorali della CEI per il primo decennio del duemila Comunicare il vangelo inun mondo che cambia (2001); alle note pastorali sull’iniziazione cristiana (1. Orientamenti per il catecumenatodegli adulti, 1997; 2. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi da 7 a 14 anni, 1999; 3. Orien-tamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione in età adulta, 2003); alla nota pastoraleIl volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004); alla nota pastorale sul primo annuncioQuesta è la nostra fede (2005); alla Lettera ai cercatori di Dio della Commissione episcopale per la dottrinadella fede, l’annuncio e la catechesi (2009).2 Lo dimostra anche il nuovo approccio contenuto negli Orientamenti pastorali Comunicare il vangelo in unmondo che cambia. Il documento, infatti, distingue esplicitamente i diversi destinatari, raggruppandoli in duecategorie: «per imprimere un dinamismo missionario, vogliamo delineare i due livelli specifici, ai quali ci pare sidebba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali. Parleremo anzitutto di quella che potremmo chiamare«comunità eucaristica», cioè coloro che si riuniscono con assiduità nella eucaristia domenicale, e in particolarequanti collaborano regolarmente alla vita delle nostre parrocchie; passeremo quindi ad affrontare la vasta realtàdi coloro che, pur essendo battezzati, hanno un rapporto con la comunità ecclesiale che si limita a qualcheincontro più o meno sporadico, in occasioni particolari della vita, o rischiano di dimenticare il loro battesimo evivono nell’indifferenza religiosa» (n. 46).

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scoperto che la Chiesa vive sempre dentrouna polarità: ci troviamo in un tempo e inuna condizione socio-culturale determinata,quella di oggi, che a uno sguardo serenoed equilibrato presenta problemi e promes-se; e viviamo di un evento che viene dalpassato, ma è vivo e operante nel presente.Non possiamo fare a meno dell’evento checi ha costituiti credenti, Chiesa, ma nonpossiamo nemmeno tirarci fuori dalla con-dizione del tempo e del tempo presente. Eci accorgiamo di guardare alle nostre origini,al fondamento della nostra fede, con gli oc-chi di gente abbagliata e quasi stordita daquesto tempo insieme ricco di potenzialitàe drammatico. Per tanti versi tutta la storiacristiana è così: la fede è stata sempre vis-suta incarnata nella condizione del presen-te: gli stessi Vangeli, ci dicono gli studiosi,senza vedere intaccato il loro carattere ispi-rato, presentano non un Gesù fuori del tem-po, ma quell’unico vero Gesù Cristo, inse-parabilmente della storia e della fede, cheparla e opera al vivo alle comunità a cui sidirige, senza per questo lasciarsi rinchiuderenelle loro condizioni e prospettive.3 La fedein cui rivive l’evento non è mai fuori dalcorso caotico e convulso della storia, ma èvera dentro di essa e nella sua capacità diassumerla e di fecondarla. Semmai in quella difficile polarità, la ten-tazione più grande non è quella di una fedesenza la storia, che ha il sapore dell’alie-nazione, ma di una storia condotta e pen-sata staccata dalla fede, magari in funzionedi essa. Voglio dire che oggi vedo la tenta-

zione di guardare ciò che sta accadendo –un mondo in uscita da Dio, come ha dettoun sociologo – senza riuscire a proiettarvila luce e il giudizio della fede. Come se solodalle dinamiche immanenti ai processi so-cio-religiosi dovessero dipendere i criteri dicomprensione e di azione per rispondere aiproblemi che la fede e la Chiesa incontranooggi.Le ragioni di una simile tendenza possonoessere tante; essa a me sembra uno degliinevitabili conti da pagare al processo diuscita da una mentalità da cristianità, dallaabitudine mentale di molti, nelle nostre re-altà ecclesiali, a pensare e a praticare il cri-stianesimo come l’unica religione di tutti gliitaliani.Come che sia, è importante rilevare, e anziassumere, il riequilibrio operato dal conve-gno di Verona rispetto ad una polarità in pe-ricolo di rottura. Mi riferisco all’inequivoca-bile punto di partenza stabilito nel primatoe nel valore fondante dell’evento Cristo, cul-minante nella Pasqua di morte e di risurre-zione. Di qualunque genere siano le circo-stanze in cui ci troviamo a vivere – e questosenza sminuire la peculiarità di ogni epocae di ogni generazione, con le sue potenzialitàe i suoi problemi –, la Pasqua di Cristo stasempre alle nostre spalle e dentro il nostropresente, come evento non solo già consu-mato ma vivo e operante, come evento esca-tologico, come fattore decisivo dell’interastoria, per il mondo e per l’umanità intera,al punto da essere capace di svelare in an-ticipo alla vista, baluginante ma vera, della

3 Magistrale in proposito è l’impostazione del libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli,Milano 2007. L’autore, infatti, si sofferma sull’identità del Gesù storico con il Cristo della fede, notando che ilGesù dei Vangeli è una figura storicamente sensata e convincente, per poi invitare a porsi la domanda sulsignificato che Gesù riveste per ciascuno di noi e per la presente situazione storica. La discussione riguardo aDio, in ultima analisi, si decide in concreto in rapporto a Gesù Cristo, il cui messaggio possiede una straordinariaattualità.

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fede, l’esito finale, la sua consumazione pie-na e il suo compimento nell’avvento del Re-gno di Dio, nella comunione perfetta dellaTrinità divina.4

Questo è il fondamento della speranza e del-lo sguardo credente su una realtà, che nonha bisogno di essere rappresentata imbellet-tata o di venire all’opposto denigrata, ma diessere assunta nella sua verità, che solo ilgiudizio della parola di Dio riesce a cogliere.E il giudizio della parola è sempre uno sve-lamento del peccato e una comunicazionedi grazia redentrice. Allora mi pare di dover dire che la questionepastorale, cioè di come affrontare secondola nostra responsabilità ecclesiale questotempo, è innanzitutto una questione di fede.Solo così comprendiamo che tutto quanto cista accadendo non ci sgomenta né ci diso-rienta, e nemmeno ci distrae invogliandocialla ricerca di risposte e soluzioni che ab-biano il sapore di accomodamenti sociolo-gici, di accorgimenti organizzativi, di espe-dienti metodologici, ma ci chiede di acuirelo sguardo della fede, per comprendere e ac-cogliere la chiamata di Dio per questo tempo,l’annuncio di salvezza che ci vuole far giun-gere oggi. Solo ancorati al primato dell’even-to Cristo e nella luce della fede e del nostrovivere di tale evento, comprendiamo il sensodi ciò che ci sta accadendo e individuiamo

il percorso che siamo chiamati a tracciareanche per il nostro cammino pastorale. Inquesto spirito leggo il cammino della Chiesain Italia e il senso di una continua ripresache ci vuole vedere tutti responsabili e attivi.

NUOVO INIZIO

Una riflessione in tal senso può essere av-viata nel segno di due categorie, che mi parepossano considerarsi scaturire da una letturacredente del presente, nel segno della spe-ranza certa suscitata dal nostro essere inne-stati in Cristo, immersi nella sua Pasqua. Abbiamo bisogno di comprenderci come inun nuovo inizio. Il cammino del credente èsempre un nuovo inizio: «ogni mattina faattento il mio orecchio», dice il Servo del Si-gnore (Is 50,4), e l’orante gli fa eco conl’invito: «Ascoltate oggi la sua voce» (Sal95,8). La tradizione cristiana ci ripresentaquesto tema biblico con il richiamo, anch’es-so fortemente radicato nella Scrittura, allaconversione continua, poiché la fede non èun possesso e – agostinianamente si potreb-be dire – il Dio che abbiamo trovato non ab-biamo mai finito di cercarlo, e solo cercan-dolo possiamo confermarci sempre di nuovonell’averlo davvero incontrato. Un tema spi-rituale, questo, ma prima ancora teologico,

4 «La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certocreatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande“mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso inun ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famigliaumana, la storia e l’intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della te-stimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi… La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosionedi luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuovadimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostromondo, lo trasforma e lo attira a sé» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno della Chiesa italiana,Verona, 19 ottobre 2006). «Per questo occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l’evento della morte erisurrezione di Cristo, cuore del Cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze,vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire ilcambiamento decisivo del mondo» (Benedetto XVI, Omelia allo stadio comune di Verona, 19 ottobre 2006).

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perché dice il senso del rivelarsi di Dio e delnostro accoglierlo mediante la fede. Questa premessa teologico-spirituale permet-te però di leggere l’esigenza di un nuovoinizio non solo genericamente come neces-sario in ogni circostanza, ma nella peculia-rità di questo tempo con le sue istanze e isuoi problemi. E la peculiarità di questo tem-po la vedo, tra l’altro, nella caratteristicatransizione che lo contraddistingue, da unaforma di cristianità sia pure sempre più in-debolita da una situazione culturale, etica ereligiosa di pluralismo, segnata nondimenoda una forma di persistenza dell’eredità cri-stiana che chiede una attenta valutazioneed un adeguato rapporto.5

Questa attenzione mi sembra sia stata adot-tata dai vescovi italiani con gli Orientamentipastorali che hanno scandito i decenni delpost-concilio, nei quali un ruolo chiave hacomunque giocato fin dall’inizio l’evange-lizzazione. Si direbbe che il loro impegno èstato proteso a salvaguardare il carattere po-polare della persistenza cristiana e cattolicadel nostro paese e, di rimando, a scongiurarevelleità variamente ritornanti a ripiegaredentro recinti rigorosamente delimitati di ap-partenenze elette. Non è peraltro privo di ri-schi il rapporto con una differenziazionesempre più sfumante di legami labili e ap-partenenze sfuggenti, che danno luogo ad

una religiosità diffusa di sapore vagamentecristiano ma di un cristianesimo ormai este-nuato e inconsistente.

AVERE UNA VISIONE

In questo quadro vorrei inserire la secondacategoria utile a comprendere e vivere dacredenti e da responsabili pastorali questotempo. La ricavo dalla relazione che il car-dinale Walter Kasper ha svolto nel recenteSimposio europeo sul primo annuncio. Eglidice: «In una tale situazione di crisi e di ri-volgimento, è necessaria prima di tutto unavisione. Ogni singolo, ogni comunità e ognipopolo sono in grado di sopravvivere solose sono animati da una visione e portanoin sé un sogno. Questo vale anche per laChiesa. La Chiesa – continua – non ha bi-sogno di inventare di nuovo la sua visione;questa è già data in anticipo nel Vangelo diGesù sull’avvento del Regno di Dio (cf. Mc1,14s). La speranza appartiene, per così di-re, alla storia fondante della Chiesa; essa èscritta nel suo cuore. Ciò di cui manca è,cosa oggi di difficile riuscita, tradurre questasperanza in una visione concreta e in unaprospettiva pastorale concreta».6

Da qui egli prende spunto per svolgere ilsuo discorso sulla nuova evangelizzazione,

5 Il “mondo che cambia” è certamente anche quello della comunità cristiana: delle diocesi e delle parrocchie,degli istituti religiosi e delle aggregazioni ecclesiali. Ciò nonostante, dobbiamo rilevare come non sia affattomutata la caratteristica di popolarità e di radicamento nella vita della gente e dei territori, che da sempre con-traddistingue la nostra Chiesa. Essa oggi ci appare come un popolo differenziato e plurale, non privo di vitalitàe di capacità inclusiva, nient’affatto elitario e marginale nella stessa dinamica sociale. Della singolarità del ra-dicamento popolare del cattolicesimo italiano nel quadro europeo ci ha spesso parlato anche il carissimo mons.Cataldo Naro. Ai suoi occhi, questa originalità appariva non come un retaggio del passato, ma come una sfidapastorale, nel doppio senso di un compito di attenzione nei confronti di un ampio numero di fedeli, che le ap-partengono per il battesimo, e di un’opportunità per la stessa missione di evangelizzazione. Potrà reggere ilnostro cattolicesimo – si chiedeva – di fronte ai colpi dei processi di omogeneizzazione culturale che tutto tra-volgono? Non rischia di dissolversi o, comunque, di trasformarsi in un fenomeno di mero consumismo religiosocondizionato e sottoposto alle leggi del mercato?6 W. Kasper, Neue Evangelisierung, in http://www.ccee.ch/index.php?&na=2,3,0,0,e,113777.

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come visione e prospettiva pastorale con-creta indicata alla Chiesa da Giovanni PaoloII, peraltro attualizzando l’impronta con cuiaveva segnato profondamente la ChiesaPaolo VI con la sua esortazione apostolicaEvangelii nuntiandi (1975). Posto chel’evangelizzazione condensa tutta la missio-ne della Chiesa, la nuova evangelizzazionesi distingue dalla missio ad gentes e dallacura pastorale ordinaria in quanto rivolta,in paesi di antica tradizione cristiana, a quel-le fasce di battezzati che hanno perduto lafede vissuta, non si comprendono più comemembri della Chiesa e si sono allontanati daCristo e dalla Chiesa.7

Senza essere una formula ripetitivamenteadottata, in continuità con essa è l’intuizioneprofetica che sta alla base del magistero ori-ginale di Benedetto XVI. Mi è capitato di farosservare, precisamente dopo la pubblica-zione dell’esortazione apostolica Sacramen-tum caritatis e a proposito della prima en-ciclica Deus caritas est, che «la preoccupa-zione che sembra emergere come caratteri-stica di questo pontificato, [è] quella chechiamerei “la concentrazione sull’essenzia-le”,8 e cioè sulla questione di Dio ricono-

sciuto e accolto secondo la fede cristiana co-me amore.9 Tale concentrazione lascia in-tuire una lettura del presente, dentro e fuoridei confini ecclesiali e dell’orizzonte creden-te, come minacciato dalla dispersione, dal-l’oblio e dalla perdita. Il presente viene con-siderato nel suo passaggio ormai estenuatoed estenuante verso una condizione eccle-siale non più garantita da un orizzonte cul-turale ed etico omogeneo (la si chiami o me-no fine della cristianità). La disarticolazioneculturale ed etica del tempo presente imponealla Chiesa un richiamo vitale all’esigenzadi riappropriarsi della visione ordinata delloscenario credente ed ecclesiale, sia nella suaconfigurazione interna sia in vista della suainiziativa evangelizzatrice e missionaria. Bi-sogna ripartire dall’essenziale.10

Questa preoccupazione, messa in relazionecon l’Eucaristia, coglie conseguentementequest’ultima come il luogo della fede, dellacelebrazione e della vita cristiana in cui l’es-senziale del cristianesimo può essere indivi-duato, sperimentato, alimentato. Se c’è unluogo teologico-sacramentale in cui il tuttodella fede cristiana si trova concentrato epieno, infatti, esso è proprio l’Eucaristia.11

7 Cf. ib., che rimanda a Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris missio (1990), n. 33.8 Cf. M. Crociata, Una lettura della prima enciclica di Benedetto XVI, in «Diocesi di Mazara del Vallo. BollettinoEcclesiastico» 103/1 (2006) 125-136.9 È quella priorità, di cui il Papa ha parlato anche nella sua Lettera ai vescovi del 10 marzo scorso: il compitofondamentale della Chiesa «di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Nona un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spintosino alla fine (cf. Gv 13,1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto».10 Scrivono i Vescovi italiani nella Nota pastorale dopo il Convegno di Verona: Come vivere, oggi, il nostro ap-partenere a Lui? In questa stagione difficile e complessa, occorre ritrovare l’essenziale della nostra vita nel cuoredella fede, dove c’è il primato di Dio e del suo amore. Appartenere a Lui è l’altro nome della santità, misuraalta e possibile del nostro essere cristiani. La vita di Dio già circola in noi, e nello Spirito ci dona la pienezza diun’umanità vissuta come Gesù: amando, pensando, operando, pregando, scegliendo come lui. (CEI,“Rigeneratiper una speranza viva” (1Pt 1,3). Testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo, n. 6).11 «Per vivere come persone radicate in Gesù Cristo si devono riconoscere alcune priorità… L’Eucaristia, memorialedel sacrificio di Cristo, costituisce il centro propulsore della vita delle nostre comunità. Nell’Eucaristia, infatti, “sirivela il disegno d’amore che guida tutta la storia della salvezza. In essa il Deus Trinitas, che in se stesso èamore, si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana”. Per questo, l’Eucaristia domenicale è il cuorepulsante della settimana, sacramento che immette nel nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti.

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L’indicazione che al riguardo viene data pre-senta una seconda preoccupazione portante,accanto alla concentrazione sull’essenziale:la chiamerei “il recupero dell’integrità”, oforse meglio ancora “la custodia dell’unitàe dell’intero”. Si tratta della integrità dellafede eucaristica creduta, celebrata e vissuta;si tratta in fondo dell’unità tra fede, preghie-ra e vita».12 In questo modo il segno profe-tico secondo cui leggere il compito dellaChiesa oggi è quello della custodia viva – eil seguito del magistero di Benedetto XVIfino ad oggi ce ne dà conferma13 – della tra-dizione della Chiesa nella sua interezza, fortidella certezza di avere in essa il tesoro pre-zioso da mantenere splendente, da trasmet-tere e diffondere. Una ragione che meritaesplicitare, in questo contesto, è un temamolto presente nel magistero del Papa, ecioè che la Chiesa non è struttura aggiuntivao successiva all’evento cristologico, ma parteintegrante e costitutiva di esso. Così che ve-nire alla fede ed entrare a far parte dellaChiesa sono coincidenti, pur con tutte le ne-cessarie differenziazioni pastorali richiestedai cammini concreti che conducono alla fe-de. In questo senso, per fare una applica-zione immediata, pastorale di inquadramen-to e pastorale di rigenerazione14 hanno sensosolo se stanno insieme, se cioè i camminipersonali trovano nella grande Chiesa la lorocollocazione, l’orientamento e la loro ultimadestinazione.

La visione, il sogno, che sottostà a questosegno profetico è, allora, la convinzione difede che la presenza di Dio, l’opera di Cristo,il segno della Chiesa sono vivi e all’opera inquesto mondo e in questo tempo, non sonostati esiliati e non ne saranno rimossi. Lavisione è profetica, perché non ne conoscein anticipo le modalità e le forme, ma nepossiede la certezza, secondo la parola delSignore: «Aprirò anche nel deserto una stra-da» (Is 43,19; cf. 35,8). Ci passa per lamente il pensiero che in alcune terre la Chie-sa si è ridotta ad un livello residuale; maproprio questa circostanza storica riconduceil nostro discorso alla sua dimensione pro-pria. Siamo dinanzi ad una sfida della fede,e non della fede degli altri bensì della nostra.Oggi è in gioco, come sempre e come nonmai, la qualità della nostra fede. Da qui di-scende anche la configurazione concreta del-la nostra visione, del nostro sogno.

BATTESIMO E CONVERSIONE

Una tale visione concreta sta come all’in-crocio tra alcune esigenze, alcuni paradossi,alcune dimensioni. Il già citato intervento di Kasper vede comecomponenti costitutive di tale visione tre esi-genze: tornare a parlare di Dio, ricominciaredi nuovo da Gesù Cristo e un nuovo mododi essere Chiesa. Egli indica soprattutto una

L’Eucaristia conduce all’ascesi personale e al servizio ai poveri, segni dell’autenticità del nostro conformarci aCristo e della nostra testimonianza, perché “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticatoè in se stessa frammentata”» (CEI,“Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3). Testimoni del grande “sì” diDio all’uomo, n. 6).12 M. CROCIATA, Presentazione dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale “Sacramentum Caritatis” di BenedettoXVI, in «Rivista della Chiesa palermitana» 2-5 (2007) 226-227.13 Cf., ad esempio, la Lettera enciclica Spe salvi (2007), il già citato volume Gesù di Nazaret, le Catechesi delmercoledì prevalentemente improntate alle figure più significative, dopo gli Apostoli, e cioè i Padri della Chiesae oltre.14 Cf. A. FOSSION, Evangelizzare in modo evangelico, in «Notiziario UCN» 3 (2008) 38-53.

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esigenza spirituale, che riprende dai Padridella Chiesa, sulla necessità, dopo la primaconversione, quella battesimale, della con-versione della penitenza e delle lacrime.Questo richiamo interpella una circostanzarilevante della nostra situazione religiosa,che interessa innanzitutto proprio quanti vi-viamo ordinariamente e organicamente l’ap-partenenza ecclesiale. Mi riferisco al fattoche, particolarmente nelle mutate condizionisociali e religiose del nostro tempo, il batte-simo ricevuto da bambini esonera in qualchemodo – o rimanda ad una eventualità im-ponderabile – dal misurarsi con l’esigenzafondamentale posta alla radice dell’esistenzacristiana: il dono del battesimo e della fedee la contestuale conversione personale. Senel passato l’orizzonte socio-religioso sop-periva alla carenza del passaggio della con-versione personale mediante un sistema ec-clesialmente ordinato che integrava i variaspetti della vita dentro le coordinate ulti-mamente dettate dal sacramento della rina-scita cristiana, da qualche tempo non c’ènessun sistema sociale in grado di surrogareo sostenere una appartenenza non legata aduna adesione profondamente personale. Epoiché non si nasce cristiani, ma si può solodiventarlo,15 quello della seconda conver-sione non è una questione che riguardi sol-tanto quella categoria detta dei “ri-comin-cianti”,16 ma tocca innanzitutto i cosiddettipraticanti, tocca tutti.

In questo senso bisogna parlare di qualitàdella nostra fede e della nostra vita eccle-siale.17 Senza questa qualità, tutte le attivitàpastorali non produrranno i frutti che sonodestinate a sollecitare e accompagnare per-ché siano suscitati e generati. Non ci sonocontroparti in quest’opera, analogamente aquanto avviene in ogni opera educativa,poiché si è tutti parte in causa, tutti chiamatia crescere, a maturare, pur in ruoli, relazioni,ministeri diversi e marcatamente diversi. So-prattutto si scopre in questo il senso radicaledella missione ecclesiale, la si chiami evan-gelizzazione o azione pastorale, ovvero l’ir-radiazione della santità che emana dalla te-stimonianza dei credenti e delle loro comu-nità. L’inseparabilità di annuncio e testimo-nianza non sarà mai, in tal senso, sufficien-temente insistita.

CURA DELLA OGGETTIVITÀECCLESIALE

In questione sono dunque le nostre comu-nità, nelle quali deve risplendere la centralitàdel senso di Dio e della fede in lui, la pre-senza di Cristo, la comunione fraterna. Af-finché questa esigenza, insieme spirituale epastorale, non si risolva in pia esortazioneo in proposito moralistico, essa deve coniu-garsi costantemente con una esigenza ap-parentemente opposta e contraddittoria, che

15 Cf. G. GÄDE, Battesimo e confermazione. Teologia dell’iniziazione cristiana, Lussografica, Caltanissetta 2002. 16 Di «persone che hanno bisogno di cammini per “ricominciare”» parla il documento della Cei Comunicare ilvangelo in un mondo che cambia al n. 59.17 «La Chiesa comunica la speranza, che è Cristo, soprattutto attraverso il suo modo di essere e di vivere nelmondo. Per questo è fondamentale curare la qualità dell’esperienza ecclesiale delle nostre comunità, affinchéesse sappiano mostrare un volto fraterno, aperto e accogliente, espressione di un’umanità intensa e cordiale.Parla al cuore degli uomini e delle donne una Chiesa che, alla scuola del suo Signore, pronuncia il proprio “sì”a ciò che di bello, di grande e di vero appartiene all’umanità di ogni persona e della storia intera» (CEI,“Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3). Testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo, n. 20).

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io definirei come cura della oggettività ec-clesiale. In particolare tante discussioni oggimostrano che non viene afferrato o apprez-zato questo senso oggettivo della liturgia,senza il quale lo stesso servizio celebrativoè tentato dal riduttivismo autoreferenziale,denotato da forme di protagonismo o di co-munitarismo. Certo, sarebbe un fraintendi-mento grave, all’opposto, idealizzare moduliimpersonali, scostanti e freddi, come se ilpassaggio dell’annuncio e la comunicazionedella grazia possano essere affidati ad au-tomatismi e ritualismi. Ma ciò che la curadella oggettività ecclesiale è intesa a salva-guardare è la sovrana gratuità e trascenden-za della Parola di Dio e della sua grazia. Talecura pone nelle condizioni di superamentodi una situazione culturale e psicologica cosìdiffusa nel nostro tempo, ovvero di quelsoggettivismo che tutto regola secondo lamisura corta della gratificazione e del ri-scontro immediati, nel tentativo che definireiossessivo di autocentramento, e nell’inca-pacità e nel rifiuto di accettare quello che èil frutto primo di ogni autentica conversione,il decentramento da sé per mettere al centroDio e il suo Cristo nella Chiesa. Cura della oggettività ecclesiale, dunque,non significa mortificazione della partecipa-zione e del coinvolgimento personali, che,se possibile, devono raggiungere la densitàpiù grande possibile, ma loro valorizzazioneunicamente nel segno di una uscita da séverso Dio e il suo Cristo, verso i fratelli everso il prossimo, perché sia attuazione dellalogica agapica della Pasqua e del Vangeloche la proclama. Se una considerazione vo-gliamo concederci ancora su questo punto,essa ci costringe a dire che un malintesoprotagonismo nella Chiesa ha l’effetto nonsolo di allontanare da essa quanti vorrebberoo potrebbero avvicinarsi, ma soprattutto ditenere lontani dal fuoco vivo della grazia

proprio quanti vanno ad attingervi ordina-riamente. Al centro della vita della Chiesa cidevono essere davvero, non solo per buonaintenzione, ma per ordinamento esteriore eper adesione cordiale, la Parola di Dio, la ce-lebrazione liturgica, la cura delle relazionipersonali secondo uno stile insieme affetti-vamente intenso e comunitariamente ordi-nato, perché al centro della vita della Chiesac’è il Cristo di Dio. Questa cura consente diguardare con vero spirito missionario quantisi avvicinano o possono essere accostati eraggiunti sistematicamente o occasional-mente, dalla nostre comunità ecclesiali, per-ché esprime la coscienza che le distanze so-no già state superate e che, per grazia, par-tecipiamo di un unico cammino che tutticonduce. Il rapporto con altri battezzati devesvolgersi nella consapevolezza che ciò cheaccomuna e ci lega è la parte più importantee già attiva di un’opera che ha bisogno diessere ripresa e rifinita. E tale coscienza na-sce dalla fede che l’iniziativa divina è al-l’origine e al centro del nostro essere e delnostro operare, ed è al centro della storia diquanti ci vengono affidati per farcene caricopastoralmente.

IL SOGGETTO DELLA PASTORALE

La prima preoccupazione è dunque rivoltaal soggetto proprio dell’azione ecclesiale, lacomunità cristiana, secondo la vita ordinatain cui è costituita. Tutto deve convergere,almeno intenzionalmente, verso questo sog-getto, perché l’azione di ciascuno abbia laqualità di una autentica azione pastorale.Mi rendo conto di non aver toccato il temaspecifico della catechesi, ma ciò risponde al-l’interesse che essa reclama per l’unità del-l’azione ecclesiale, proprio perché la matu-razione della fede e della coscienza cristiana

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non avviene se non nella circolarità di ascol-to, preghiera e vita. Assicurare una qualitàsempre più curata delle cose essenziali dellavita cristiana per l’esistenza di una comunitàecclesiale, l’ascolto della Parola nelle formepiù varie e adeguate, dalla lectio divina allacatechesi sistematica fino ai corsi di teologia,la celebrazione come centro vivo del tempodella comunità, le relazioni personali pla-smate da uno stile evangelico e aperte oltrei confini del recinto ecclesiale («E ho altrepecore che non sono di questo ovile» [Gv10,16]): questo è il nodo decisivo non solodi una ordinaria azione pastorale, ma anchedi ogni iniziativa missionaria. Poiché unaazione pastorale missionaria consiste in ciò,nella espansione attrattiva della qualità dellavita cristiana condotta da una comunità dicredenti.Perché tutto questo avvenga è necessarial’unità circolare di queste tre dimensioni nel-la vita della comunità e nella vita personale,e una relazione circolare tra comunità e sin-golo credente. Maturità umana e cristianapersonale e maturità della comunità di ap-partenenza si presuppongono e si richiama-no a vicenda. In questo senso ciascun cre-dente è chiamato a farsi carico di tutta lacomunità, nell’unità della sua esistenza per-sonale e a misura del servizio conferito, ela comunità è chiamata a farsi carico di cia-scuno dei suoi membri, in una tensione diapertura e di accoglienza crescenti versol’esterno. Mi rendo conto che tutto questo ha bisognodi essere messo a confronto e di essere inqualche modo tradotto sul piano della vitaconcreta che le comunità parrocchiali ordi-nariamente conducono; pensiamo alla cate-chesi e al completamento della iniziazionecristiana dei fanciulli e dei ragazzi, ma anchedei giovani e degli adulti; pensiamo alla pre-parazione dei fidanzati al matrimonio, dei

genitori dei bambini e dei padrini al batte-simo e alla cresima, e così via. Nondimenorimango convinto che se non si tende alcentro dell’essere Chiesa e del fare pastorale,tanti sforzi e tante fatiche rischiano di nonvedere i frutti che sono destinati a produrreo, meglio, a propiziare. In termini evangelici,il punto in discussione non è che siamo serviinutili, ma se abbiamo fatto tutto ciò che do-vevamo (cf. Lc 17,10). E anche se vogliamoaggiungere il riferimento alle difficoltà in cuioggi si dibattono le nostre comunità, dalladiminuzione del personale e dei collaboratoria varie carenze di ogni genere, la possibilitàdi assicurare la cura dell’oggettività eccle-siale, o delle forme istituzionali della tradi-tio, non ci verrà mai tolta da nessuno.

CONDIZIONE UMANA E RICERCA DIDIO

Insieme alla dimensione ecclesiologica inprospettiva pastorale, cui ho solo accenna-to, un’altra dimensione essenziale è quellaantropologica, a cui mi riferirò ancora piùbrevemente. Anche qui si tratta di indicar-ne le coordinate principali e di suggerire lacircolarità in cui si trova inserita la dimen-sione antropologica con quella ecclesiolo-gica. Il fondamento di tale circolarità è ilprimato e la precedenza dell’iniziativa edella relazione di Dio per Cristo nello Spiritonon solo con la Chiesa ma con l’umanitàintera. In tal senso è appropriato ribadireche come la Chiesa ha una costitutiva aper-tura e relazione all’umanità intera, cosìl’umanità ha impresso dentro la sua vitae la sua storia la potenza della Pasqua equindi dello Spirito del Risorto, che noncessa di orientarla alla comunione divinail cui volto e presenza storica sacramentaleè la Chiesa.

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C’è una solidarietà divina e umana dellaChiesa con l’umanità tutta: una solidarietàdi tipo teologico, come abbiamo appena det-to, e una solidarietà di tipo storico che vedeintrecciarsi angosce e speranza (cf. GS 1),sconfitte e conquiste, condivise al di là dellacapacità dell’una o dell’altra di riconoscerloe documentarlo. I credenti non ricevono indotazione una natura umana differente, poi-ché la grazia innerva, assume ed eleva lacondizione umana, ma non ne muta la strut-tura antropologica e nemmeno la storicità. Questo pone inevitabilmente in una condi-zione che è insieme di condivisione e diasimmetria. L’asimmetria determinata dallapartecipazione alla grazia sacramentale nonriduce l’uguaglianza e la possibilità di ac-cesso alla salvezza; la condivisione, d’altraparte, mescola opportunità e ostacoli, cosìda esporre a reciproche influenze e condi-zionamenti tra i quali non si cessa mai didistricarsi.Per questa ragione in chi non vive un rap-porto ordinario con la Chiesa si manifestal’umano nella sua varietà e complessità diespressioni, spesso distanti e perfino oppostial mondo della fede, ma a cui non sonoestranei gli stessi membri della comunità cri-stiana. Nell’interazione reciproca, se è veroche dalla comunità ecclesiale si schiude l’ac-cesso alla Parola e al sacramento, l’incontroe lo scambio offrono opportunità di crescenteumanizzazione per gli uni e per gli altri. Nonsolo in forza della comune umanità, ma apartire dalla fede, lo sguardo del credente sucolui che si dichiara o si professa non cre-dente, o si mostra estraneo e indifferente, èuno sguardo positivo, improntato alla spe-ranza, motivato dalla certezza di fede cheDio è all’opera nel cuore dell’altro. Se c’èuna differenza tra credente e non credente(o comunque si vogliano definire le varietàdi chi non vive in un rapporto ordinario e

organico con la Chiesa), la differenza, dun-que, è da vedere nella coscienza che il cre-dente ha della sussistenza di legami nonsolo orizzontali, ma prima ancora e soprat-tutto di una iniziativa dall’alto, di una rela-zione comunque instaurata da Dio in Cristocon tutti, per quanto non ancora piena, conla vita di grazia in cui il legame ecclesialeimmette. Il credente riconosce anche nel noncredente un amato da Dio, un mendicantedi Dio, un cercatore di Dio. Lo riconosce inforza della sua fede, poiché nulla dice chequesta ricerca affiorerà alla consapevolezzadi una scelta libera.Grande appare oggi la varietà degli atteg-giamenti, dei modi di intendere e di praticare,anche di negare e lottare, o ancora di igno-rare e rimuovere il rapporto con Dio. Vera-mente in ogni uomo si conduce una lotta,ad altri imperscrutabile, con Dio. Noi credentidi una fede ecclesiale esplicita, forse proprionoi, possiamo comprendere meglio di altriquanto sia ardua e decisiva insieme questaultima dimensione dell’umano che è la rela-zione personale con Dio. Da questa certezzamuove lo sguardo del credente sugli attualio potenziali cercatori di Dio. E ciò che dà ti-tolo ad accompagnare un attuale o potenzialecercatore di Dio è, in primo luogo, la scopertao l’esperienza del credente di essere lui stessoun cercatore di Dio, di non possedere unavolta per tutte e in modo falsamente pacificoquel Dio che l’altro non ha incontrato ancoranella sua compiuta forma ecclesiale. Non perquesto deve essere sminuita nel credente lacertezza della fede, che è altra cosa dal pos-sesso, ma piuttosto scaturisce dall’affidamen-to nel quale ci si radica sempre di più in Diosenza mai smettere di aderire a lui, di risco-prirlo e di cercarlo ancora. Solo un cercatore di Dio può accompagnarneun altro. Ma la difficoltà maggiore in questocampo emerge nell’incontro con chi dichiara

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o si comporta escludendo interesse e volontàdi cercare Dio, con chi, cioè, non può essereaccompagnato a trovare la risposta ad unadomanda di cui non capisce il senso e l’in-teresse.18

Qui intervengono due esigenze che, in mi-sura diversa, coinvolgono sempre l’interacomunità ecclesiale. La prima riguarda l’at-tenzione da riservare alla soggettività per-sonale, una attenzione che si impone a par-tire dall’esperienza della alterità rispetto allafede e dall’emergere della libertà di fronte aDio e al suo appello. Questa esperienza di-venta feconda anche per i credenti, chiamatiessi pure ad un coinvolgimento personalepieno e libero nel loro rapporto con Dio. Ciòcomporta uno sguardo positivo nei confrontidelle possibilità della soggettività e della li-bertà, e l’apprendimento del suo eserciziosempre più pieno nell’orizzonte della fede.E comporta anche la considerazione nuovadi tutte le dimensioni dell’umano, che sca-turiscono dal nuovo protagonismo della sog-gettività e che promettono una partecipa-

zione personale crescente, anche nel rap-porto con Dio. Perciò assumono nuovo ri-lievo, accanto alla razionalità e alla volontàlibera, l’affettività, le emozioni, la fantasia,la stessa corporeità.La seconda esigenza è quella di accompa-gnare lungo il cammino che può condurrea riconoscere il bisogno di Dio. In questopuò essere importante non fermarsi alla ar-ticolazione, e quindi alla distanza, alla dif-ferenza e alla possibile relazione, tra appar-tenenza battesimale e comunità eucaristica,ma pervenire alla proposta di un camminoche riprenda il senso del catecumenato edella mistagogia,19 con l’avvertenza, però,che l’uno e l’altra costituiscono percorsi esi-stenziali, esperienze condotte e condivise,di cui parte costitutiva non può non esserela formazione e la conoscenza a partire dallaScrittura. Il cammino deve essere segnato,fin dall’inizio, dall’orientamento alla metadell’incontro personale con Cristo e, in lui,con Dio. Anche qui deve valere che ascoltoe dialogo si intrecciano con tutte le dimen-

18 «Se l’evangelizzazione diventa capace di “trafiggere il cuore”, cioè di toccare le corde profonde dell’animoumano, immediatamente si crea lo spazio per un rinnovato ascolto e per una disponibilità della libertà all’incontrocon Dio. È questa la strada per ridimensionare quell’ateismo pratico, che è più insidioso dell’ateismo teoretico eche consiste precisamente nel vivere come se Dio non ci fosse, facendo a meno della luce e della forza cheproviene dall’ascolto della Parola di Dio» (Consiglio Permanente CEI, 26-28 gennaio 2009, Comunicato finale).Si veda anche: «Entrare da cristiani nel cuore della questione antropologica significa anzitutto risvegliare le do-mande, le attese profonde, aiutando l’uomo ad accorgersi che la buona notizia è proprio ciò che intimamentedesidera ricevere e – più spesso di quanto non si creda – la scommessa stessa che anima tanti gesti, tanteattenzioni. Sarebbe infatti interessante interrogare la concretezza della vita, per scovare il perché di tante scelte:perché prendersi cura dei più deboli? Perché lottare contro le ingiustizie? Perché essere fedeli alle amicizie? Perchéonorare quelli che oggi non sono più tra noi? Non sono questi, assieme a tanti altri, i segni feriali di un continuoaffermare la diversità dell’umano, la sua irriducibilità al dato biologico? Non tradiscono, questi segni, unarichiesta profonda di liberazione, di liberazione proprio dalla ragionevole ipotesi che tutto questo sia solo illusione?Risvegliare la domanda è risensibilizzare alla buona notizia, e fare spazio all’annuncio che sì, l’uomo è diversodal resto del vivente perché è figlio di Dio e chiamato a vivere la sua stessa vita. La buona notizia raggiungeogni uomo nell’attestargli che certe sue scelte sono sensate, sono consistenti, sono ben fondate e lo sono proprioperché la percezione di irripetibilità dell’umano che in fondo le anima risponde al vero» (Giovanni Grandi, Laquestione antropologica, in dedalo.azionecattolica.it/documents/Grandi.doc).19 «In un contesto di “nuova evangelizzazione” non si può prescindere da una esperienza ecclesiale di accom-pagnamento e di tirocinio cristiano, analoga al catecumenato, per portare alla piena maturità cristiana chi haaderito alla buona notizia» (Nota pastorale CEI L’iniziazione cristiana 3. Orientamenti per il risveglio della fedee il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, n. 25).

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sioni della vita e della vita cristiana, perchéanche nella fede la vita si accende con lavita.20 Di qui il carattere decisivo della rela-zione personale nell’orizzonte della comu-nità ecclesiale e della condivisione dell’espe-rienza credente. Un posto speciale occupain questo itinerario la Sacra Scrittura, primaancora che come testo da accostare, comemodello di un incontro con Dio nella vita enella storia, a cui si giunge anche attraversotappe di attesa e di maturazione del tempodella parola e dell’annuncio.21 Bisogna nellostesso tempo creare le condizioni per far ma-turare convinzioni, ma anche introdurredentro il mistero attraverso l’esperienza, lapreghiera, le emozioni, la prassi.Quello che si vive per lo più in modo per-manente con le persone insieme alle qualisi può condurre una intera esistenza senzavedere mai aprirsi uno spiraglio per la fedecristiana, rappresenta il caso limite di una

condizione che si può presentare anche conbattezzati dentro i quali non fa breccia l’in-vito cristiano, e il possibile risvegliarsi del-l’attenzione è affidato al lungo marcire delchicco di grano dentro un terreno visitatosolo dalla compagnia rispettosa, ma anchesempre fedele a se stessa nella fermezza del-la convinzione e nella coerenza dei gesti.22

L’intreccio di tutti i legami possibili vissutiin questa ottica è destinato ad una feconditàdi cui non è possibile preconizzare sviluppied esiti. La fretta e le forzature rappresen-tano l’ostacolo maggiore in un tale contestoe cammino. Tappe concrete e proposte dipercorsi dipendono dunque dalle caratteri-stiche personali e comuni del cammino diricerca. Comunque è certo che solo l’inseri-mento dentro un rapporto graduale ma ef-fettivo con l’intera articolazione della comu-nità può condurre ad una fede matura e vi-va. Nessun cammino sarà facile e spedito,

20 «Che cosa dunque significa educare? […] Educare significa che io do a quest’uomo coraggio verso se stesso[…]. Che lo aiuto a conquistare la libertà sua propria […]. Con quali mezzi? Sicuramente avvalendomi anchedi discorsi, esortazioni, stimoli e metodi di ogni genere. Ma ciò non è ancora il fattore originale. La vita vieneaccesa solo dalla vita […]. Da ultimo, come credenti, diciamo che educare significa aiutare l’altra persona atrovare la sua strada verso Dio. Non soltanto che abbia le carte in regola per affermarsi nella vita, bensì chequesto ‘bambino di Dio’ cresca fino alla ‘maturità di Cristo’. L’uomo è per l’uomo la via verso Dio» (R. GUARDINI,Persona e libertà, La Scuola, Brescia 1987, 222-223).21 «È importante che il percorso non sia affrettato: un cammino spirituale di conversione richiede sempre unapluralità di interventi e tempi di crescita che possono essere diversi da persona a persona. Una durata prolungatarispetta i ritmi dei singoli individui nell’appropriazione dei valori, nell’acquisizione degli atteggiamenti, nella ma-turazione delle scelte. Il cammino deve essere però orientato ad una seria decisione di aderire a Cristo, perassumere nella Chiesa un servizio di testimonianza e di carità, nel quale continuare la crescita e la maturazionedella propria vita cristiana» (Nota pastorale CEI L’iniziazione cristiana 3. Orientamenti per il risveglio dellafede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, n. 40).22 «La missione non è imposizione, ma è un offrire il dono di Dio, lasciando alla Sua bontà di illuminare lepersone affinché si estenda il dono dell’amicizia concreta con il Dio dal volto umano. Perciò vogliamo e dobbiamosempre testimoniare questa fede e l’amore che vive nella nostra fede. […] La presenza della fede nel mondo èun elemento positivo, anche se non si converte nessuno; è un punto di riferimento. Mi hanno detto esponentidi religioni non cristiane: per noi la presenza del cristianesimo è un punto di riferimento che ci aiuta, anche senon ci convertiamo. […] Mi sembra che oggi, vedendo l’andamento della storia, si possa capire meglio chequesta presenza della Parola di Dio, che questo annuncio che arriva a tutti come fermento, è necessario perchéil mondo possa realmente giungere al suo scopo. In questo senso noi vogliamo sì la conversione di tutti, malasciamo che sia il Signore ad agire. Importante è che chi vuole convertirsi ne abbia la possibilità e che appaiasul mondo per tutti questa luce del Signore come punto di riferimento e come luce che aiuta, senza la quale ilmondo non può trovare se stesso. Non so se mi sono spiegato bene: dialogo e missione non solo non siescludono, ma l’uno chiede l’altra» (BENEDETTO XVI, Dialogo con il clero di Roma, 7 febbraio 2008).

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perché spesso entrano anche in gioco im-magini, rappresentazioni ed esperienze chefalsano o gettano una luce negativa su Dio,su Cristo, sulla Chiesa; e poi dentro ognicredente e ogni persona che percorre la viadella fede si ripercuote quel conflitto insa-nabile tra chiesa e mondo, tra fede e culturache è consegnato nella croce; a questo ri-guardo, nessuna superiore armonia o facilesintesi è pensabile, ma un rapporto dialetticotra accettazione e rifiuto di Cristo, della suaparola, della sua salvezza.

A PROPOSITO DI COMPITOEDUCATIVO

Infine, senza voler entrare nella questioneeducativa, è facile osservare che non solo ilprocesso di umanizzazione e di maturazioneumana, ma anche l’azione pastorale dellaChiesa si lega costitutivamente ad essa e siintreccia con il cammino di ricerca e di in-contro con Dio. Tale processo in realtà nonsi compie se mancano alcune condizionefondamentali, che si possono racchiuderenella presenza di educatori adeguati, ma an-che nella disponibilità ad accogliere la pro-posta educativa, che raggiunge la sua pienarealizzazione nell’acquisizione graduale dellacapacità di lasciarsi educare dalla vita, datutto ciò che accade, che capita e colpisce,a volte anche in maniera imprevedibile epure dolorosa. Senza queste dimensioni ilprocesso educativo non può dirsi adeguata-mente condotto e realizzato.Questo processo, che si svolge nell’intrecciotra lasciarsi educare, educarsi ed educare èanche il percorso lungo il quale si attual’educazione cristiana, cioè il cammino dicrescita e di maturazione umana compiutonella luce della fede, nella forza della spe-

ranza, nell’ardore della carità. Perciò l’edu-cazione cristiana non è un processo sola-mente umano; i suoi protagonisti vedono ingioco, in primo luogo, l’azione dello SpiritoSanto effuso dal Risorto, Cristo Gesù, nelquale il Padre che lo ha mandato si è com-piaciuto, e poi anche educatori ed educandinel tessuto relazionale della comunità eccle-siale. Anche nella educazione cristiana operal’intreccio tra lasciarsi educare, educarsi ededucare, ma esso è attivato dall’accoglienzadella grazia divina che non solo non limital’autonomia e la libertà della persona uma-na, bensì la rende possibile e la esalta. Nelladisponibilità all’opera divina ci si lascia edu-care e si impara l’arte dell’autoformazionefacendo tesoro di tutte le circostanze, “lietee tristi”, della vita, e si diventa a propriavolta veri educatori. La necessità del conte-sto ecclesiale non deriva allora da una esi-genza sociologica, ma dal bisogno che lagrazia di Dio, attraverso la Parola e i sacra-menti, circoli attivamente e costantementetra i credenti, e tra tutti coloro che si pon-gono sul cammino che conduce alla fede.

In conclusione siamo chiamati a coniugareinsieme, a unire, in una situazione comples-sa, presenza sociale, percorsi di comunità edi gruppi, accompagnamento personale; e,in tal senso, a tenere insieme autocompren-sione credente ecclesiale e discernimentoculturale (nel senso della situazione spiri-tuale del momento culturale) del tempo. Non siamo come chi sta a guardare dall’altoo dal di fuori, estranei al corso delle cose;non possiamo pensarci come una categoriache dall’esterno intervenga a risolvere unasituazione difficile: siamo parte in causa,siamo dentro il processo; siamo come ma-rinai che devono riparare la nave mentre èin navigazione.

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0. PREMESSA

È una data particolare quella di oggi perchéil 18 giugno 2009 è il quinto anniversariodi un testo, passato forse già in sordina pri-ma ancora di essere stato metabolizzato etuttavia capace di offrire i fondamenti peruna svolta nella mentalità ecclesiale. Mi ri-ferisco al Direttorio, intitolato ‘Comunica-zione e missione’, il cui pregio è dare spazioad una convinzione di fondo e cioè che:

«I media… non sono semplicemente strumentineutri; essi sono al tempo stesso mezzo e messag-gio, portatori di una nuova cultura che “nasce,prima ancora che dai contenuti, dal fatto stessoche esistono nuovi modi di comunicare, con nuovilinguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamentipsicologici”. La loro incidenza sui modi di pensaree di agire, sugli stili di vita, sulla coscienza per-sonale e comunitaria, in una parola sulla culturae sulla stessa evangelizzazione fa sì che la Chiesa“non può non impegnarsi sempre più profonda-mente nel mutevole mondo delle comunicazionisociali”» (CM, 4).

L’apporto più limpido del Direttorio resta,dunque, quello di aver favorito la compren-sione dei media come cultura e non solo co-me mezzi. Piuttosto che continuare a divi-dersi tra critici pregiudiziali ed ingenui spet-tatori, tra apocalittici ed integrati, sarà beneavvertire la posta in gioco che si cela dentro

questo nuovo scenario mediatico, che noncessa di interrogare sia la mentalità diffusache la stessa evangelizzazione. Vorrei mostrare in primo luogo come la co-municazione mediatica più che una semplicetecnica abbia sempre “una inevitabile rica-duta antropologica e sociale” (CM, 11), conparticolare riferimento all’ultima e più incal-zante stagione, che va sotto il nome di ri-voluzione digitale. Quindi vorrei soffermarmisu cosa oggi, dato questo contesto, sia piùnecessario per comunicare il Vangelo, in tut-ta la sua forza trasformatrice (cf. Spe salvi,2). Da ultimo, vorrei finalmente far emergerealcune possibilità che si aprono per l’evan-gelizzazione in un questo nuovo clima cul-turale, così profondamente segnato dall’im-patto mediatico.

1. IL VIRTUALE È REALE, ANZI CREA UNA “NUOVA ESPERIENZA”

Ci si chiedeva in passato: siamo noi che ciabituiamo ai media o sono i media che allafine si abituano a noi? La posizione cheemerge da quanto appena detto è che la tec-nologia non rappresenta solo un insieme distrumenti, suscettibili di un uso buono ocattivo (in questo caso sarebbero i media

PRIMO ANNUNCIO,COMUNICAZIONE E MEDIA

ovvero, della segnalazione delle opportunitàofferte al primo annuncio del Vangelo

dalla comunicazione mediatica

Mons. Domenico Pompili, Sottosegretario della CEIe Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali

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che si abituano a noi, o almeno al nostrouso), ma determina i comportamenti (siamonoi che ci abituiamo ai media). In effetti sia-mo ormai di fronte non tanto a nuovi e piùsofisticati strumenti, quanto dentro ad uninedito ambiente, che precede ed eccede lenostre semplici intenzioni (cf. F. BOTTURI, Tec-nologia ed esperienza, in P. Arnoldi – B. Scifo,Internet e l’esperienza religiosa in rete, Mila-no, 97-103). Cogliere l’impatto mediatico vuoldire rendersi conto di come, in concreto, lenuove tecnologie danno origine pure a nuoverelazioni. Ricordate il tema della recente(24.5.2009) Giornata mondiale delle comu-nicazioni sociali:”Nuove relazioni, nuove tec-nologie. Promuovere una cultura di rispetto,di dialogo, di amicizia” (Benedetto XVI)?In realtà ritengo che tra la tecnologia e l’uo-mo ci sia una reciproca influenza e non sia-no possibili interpretazioni a senso unico.Nella storia la tecnica ha sempre avuto unsignificato fondamentale: quello di restituireall’uomo la signoria e l’autonomia rispettoal dato puramente naturale. Nel caso dellatecnologia però si verifica un fenomeno pa-radossale: “da una parte, essa realizza undominio inedito sull’ambiente naturale, ma,dall’altra, quanto più l’uomo detta le suecondizioni, tanto più egli costruisce con lesue mani (cioè con la sua mente) un nuovoambiente che condiziona sempre più global-mente la sua esistenza” (cf. BOTTURI, ibidem,98). In tal modo l’uomo tecnologico quandonaviga su Internet non interviene in qual-cosa che gli sta semplicemente di fronte (co-me fosse un mezzo strumentale), ma comeun qualcosa che lo ri-comprende e lo con-tiene. Il soggetto, anzi, finisce per sentirsiquasi in simbiosi con l’apparato tecnologico,tendendo a vedere se stesso quasi come unaprotesi di esso. In tal modo il medium è sempre meno talee sempre più una nuova realtà che va ap-

punto sotto il nome di virtuale, la quale nonè più tanto mediazione di una realtà natu-rale, quanto – per l’alta componente tecno-logica che la costituisce – una ‘nuova’ realtà.A dirla tutta, è stato giustamente osservatoche “virtuale è innanzitutto quel tipo parti-colare ed evoluto di ‘artificiale’ che, a diffe-renza degli altri tipi di artificiali, pretende diessere ‘naturale’ (…). Il virtuale è un me-dium che anzitutto vuol sembrare ‘imme-diato’” (cf. VENTIMIGLIA G., Naturale, arti-ficiale, virtuale. Brevi note di ontologia (eteologia) del virtuale, in “Nova et Vetera”,edizione italiana, 2001, 4, 55). Mentre inpassato tutti gli strumenti di comunicazionea nostra disposizione portavano inscritto ilmarchio del loro essere degli intermediari, edunque dei semplici mezzi, per accostarsi aqualcosa di ulteriore, a cui rimandavano, larealtà virtuale oggi si presenta come auto-referenziale, pretendendo di sostituire, nondi rappresentare il mondo reale. Il fatto cheessa faccia appello a più di un organo sen-soriale – almeno la vista e l’udito, ma ten-denzialmente a tutti e cinque – la rende inqualche modo autosufficiente e del tuttoanaloga alla realtà fisica, col risultato che,mentre nei confronti di altri mezzi si potevapiù facilmente mantenere una distanza cri-tica, rispetto a questo ciò è assai più proble-matico.Potremmo dire che il virtuale è una nuovaforma di realtà. Anche se, comunque la siavoglia intendere, resta artificiale, cioè nonnaturale. L’artificialità riguarda il supportoespansionale che la protesi tecnologica offreal quadro naturale; in altri termini, artificialeè il moltiplicatore che amplifica la mia na-turale disposizione alla relazione, ma non larelazione stessa. Essa è naturale e resta na-turale. Coerentemente, il virtuale non generauna natura fittizia, ma potenzia e torniscel’unica natura umana, la stessa da sempre

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disposta alla relazione comunicativa, me-scolandovisi come mezzo “incorporato”…come protesi, appunto, che non può più es-sere isolata o estirpata.In questo senso le tecnologie sono ‘nuove’:non soltanto perché differenti rispetto a ciòche precede, ma perché segnano di sé il rap-porto dell’uomo con l’altro uomo e con larealtà, cambiando in profondità il concettostesso di ‘fare esperienza’. Non si tratta al-lora di guardarle con sospetto, ma di evitarel’ingenuità di credere che esse siano cosìsemplicemente a nostra disposizione, senzamodificare in nulla il nostro modo di perce-pire la realtà.

Il virtuale genera una nuova forma di espe-rienza dell’umano.In realtà è vero che internet non si limita acomunicare o rappresentare il reale, ma lotrasforma anche, aiutando a interpretarlo e,contemporaneamente, plasmandolo e ri-strutturandolo. Si potrebbe dire quasi cheinternet e la coscienza del soggetto sembra-no plasmarsi a vicenda. Da questo punto divista internet è uno spazio dell’uomo, unospazio umano in quanto popolato da uomini,per lo più giovani. Non più un contesto ano-nimo e asettico, ma un ambito antropologi-camente qualificato. Se volessimo coglierne alcune qualità non sifatica ad individuare, in una sorta di ineli-minabile chiaroscuro, le seguenti: la socialità,la ridefinizione delle categorie di spazio e ditempo, una nuova forma dell’intelligenza.

Una nuova socialità

La tecnologia consente oggi di stabilire con-tatti con qualsiasi parte del globo, superandobarriere linguistiche e culturali. È un’espe-rienza che può dare le vertigini: si possonocondividere contenuti ed emozioni, si pos-

sono allacciare legami capaci di trasformarele connessioni in relazioni. Almeno poten-zialmente. Non bisogna infatti trascurare ilfatto che queste connessioni sono comunquemediate da uno schermo. Con questo termi-ne intendiamo una piccola superficie su cuiprendono forma le immagini, ma non di-mentichiamo che “schermo” può significareanche filtro, un riparo che si frappone tra inostri organi visivi e qualcosa che potrebbeferirli (non a caso si dice “farsi schermo conle mani”…). Uscendo dalla metafora, la multimedialitàpuò gettare ponti ed unire potentemente ma,altrettanto potentemente, è capace di svuo-tare le relazioni, riducendole a mere connes-sioni. Il volto dell’altro, che Levinas ci hainsegnato essere all’origine di tutta l’espe-rienza morale e spirituale della persona, nel-lo schermo (per quanto ad alta definizione!)potrebbe essere privato della sua intrinsecaforza spiazzante e ridotto ad uno spettacoloinoffensivo. Da attori della comunicazionesi rischia così di diventare spettatori di unarappresentazione di cui nessuno più è pro-tagonista.

Una nuova percezione dello spazio

Sopprimere lo spazio non si può. La tecno-logia però ha lo straordinario potere di com-pattarlo, estendendo l’esperienza della pros-simità (virtuale, ma non per questo irreale)a contesti tra loro geograficamente assai re-moti. I moderni sistemi di instant messagingconsentono indiscutibilmente una enormeagevolazione delle relazioni. Anche in que-sto caso, però, è d’obbligo la precisazioneche ciò si verifica potenzialmente, e che an-che il compattamento dello spazio non è im-mune da pericoli. Il primo è stato definito da Giuseppe Mazzacome “sindrome da confessionale” (cf. Que-

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stione antropologica e nuove tecnologie, re-lazione tenuta al Convegno “Chiesa in rete2.0, Roma, 2009). Essa spinge i soggetti adabbattere le proprie difese comunicative e acondividere le proprie dimensioni personaliprofonde, per il semplice fatto di percepirecome “ridotto” lo spazio tra i comunicanti.Oppure si può incorrere nel rischio del livel-lamento delle identità individuali che puòverificarsi nello spazio anonimo e appiattitodi qualche forum, o mailing list, o webgroup, con il conseguente impoverimentodello scambio relazionale.

Una nuova percezione del tempo

Come per lo spazio, anche la percezione deltempo può giocare un ruolo fondamentalenella qualità della presenza in rete. Efficaciacomunicativa e immediatezza di scambio (intempo reale, appunto) portano con sé bene-fici fino a qualche anno fa neppure imma-ginabili. Eppure anche in questo caso sonosempre in agguato insidie da non sottova-lutare. La prima è quella di non saper gestire unatemporalità accelerata con tutto ciò che nederiva in termini di “distrazione, smarrimen-to degli obiettivi determinanti, dissoluzionedelle gerarchie operative, banalizzazione deltempo e del suo libero utilizzo”. Proprio co-me accade a chi nel mare magnum di in-ternet finisce per perdere la bussola dellasua navigazione... L’altro grande pericolo è quello di smarrire,nell’eterno presente della rete, la capacità didistricare i fili della temporalità, conservandoun sano senso della storia, del passato e delfuturo. “Oggi l’uomo percepisce il tempo co-me continuamente presente. Siamo dinnanziad una enfatizzazione del presente per cuisi può parlare di ipertrofia del presente (cf.G. Mazza, art. cit.)”.

Nuovi stimoli per l’intelligenzaSe lo spazio è compattato e il tempo acce-lerato, l’intelligenza alle prese con i new me-dia è di certo assai stimolata. La quantità diinformazioni praticamente sconfinata e of-ferta senza soluzione di continuità a chi in-traprende una navigazione telematica, co-stringe il soggetto a definire, sfruttando lalogica imposta dallo schermo, dalla tastierae dal mouse, un proprio itinerario di viaggio,con grande beneficio per la creatività e perlo spirito d’iniziativa. Come sempre, però,potenzialmente. Nessuno, infatti, può igno-rare gli effetti destabilizzanti e la possibileconfusione che la mole immensa e indiscri-minata di informazioni telematiche è capacedi ingenerare. Quel che può arricchire e ri-solvere problemi, potrebbe anche schiacciaree bloccare se chi naviga non sa gestire il ti-mone con maestria. In internet, poi, i concetti di “avanti” e “in-dietro” (analogamente a quanto si diceva aproposito del tempo) diventano relativi. Co-me in un post-moderno Labirinto, si può ri-manere vittime del Minotauro oscuro delnon-senso, del consumismo, del relativismo.L’eterogeneità degli infiniti siti, apparente-mente tutti uguali per l’internauta inesperto,può indurre a credere che tutto, in fondo, siequivalga e può ridurre la comunicazionealla trasmissione, in ultima istanza, soltantodi se stessa.La simbolica medievale riconosceva nel gio-co tra segno e significato l’eterna feconditàdi un processo costruttivo di senso. Cosapotremmo dire oggi dell’indefinita e indeter-minata rete di rimandi ricorsivi che costitui-sce la radice epistemica (struttura cognitiva)della Grande Rete? C’è ancora spazio per unSignificato (magari “ultimo”), dopo la satu-razione di tutti i referenti? Se tutto punta atutto, l’informazione non finisce forse peruccidere se stessa?

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2. INTEGRARE IL VANGELONELLA CULTURA DIGITALE

«Ogni epoca, ogni condizione, ogni contesto ri-chiede un suo specifico linguaggio. La Chiesa loha sempre tenuto presente nell’annunciare la pa-rola di Dio. Agostino applica alla comunicazionedella fede i princìpi della retorica classica (cf. Dedoctrina cristiana e De catechizandis rudibus) eGregorio Magno raccomanda ai predicatori i prin-cìpi della comunicazione umana come parte es-senziale dell’opera pastorale, adattandosi al ca-rattere e ai bisogni della propria gente (cf. Regulapastoralis). Con l’invenzione e la diffusione dellastampa la comunicazione della fede si trova poidi fronte alla sfida di elaborare una trasmissioneattenta agli aspetti concettuali e dottrinali, maconsapevole di rivolgersi a una popolazione sem-pre più numerosa di alfabetizzati. Tale processosi è via via ampliato fino ai nostri giorni e all’av-vento delle nuove tecnologie» (CM, 49)

Una tale premessa era necessaria per nondimenticare che il problema di evitare la frat-tura tra Vangelo e cultura (cf. Paolo VI,Evangelii nuntiandi) non è una novità, maè una questione ricorrente, trattandosi dicomunicare la Buona notizia in contesticulturali che cambiano continuamente. Ciòsignifica individuare, di volta in volta, il lin-guaggio specifico richiesto dalla cultura deltempo. Esattamente come abbiamo cercatodi fare finora, individuando l’impatto dellacomunicazione digitale sulla condizioneumana, in una sorta di discernimento cul-turale. È curioso osservare, peraltro, che leobiezioni che si muovono ai new media so-miglino in modo impressionante a quelle diPlatone nei confronti dell’esercizio dellascrittura: la tendenza ad espropriare l’uomodella memoria, trasferendone la sede al difuori della mente (nella memoria del PC adesempio), la capacità di dare esistenza fittiziaa delle immagini prive di realtà (pensiamoa cosa significhi il concetto-chiave di ava-

tar), l’impossibilità di un vero dialogo conessa, da parte di chi ne fruisce (in assenzadi un contatto corporeo, il contatto può av-venire anche con intelligenze artificiali).Quel che ci interessa però è l’intuizione diW. Ong per il quale la multimedialità segnauna sorta di ritorno all’oralità, per quantoda lui definita secondaria. Quali gli elementidi contatto tra l’arcaica struttura comunica-tiva orale e quella a cui ci stiamo rapida-mente abituando? Per W. Ong la nuova cul-tura mediale “ha sorprendenti somiglianzecon quella più antica per la sua mistica par-tecipatoria, per il senso della comunità, perla concentrazione sul momento presente epersino per l’utilizzo delle formule” (Ong,1986, 191). Volendo ora chiarirne le caratteristiche, mipare che tre siano innegabili.

a) ‘Immersi in un mondo’Il primo elemento di contiguità è che lanuova comunicazione ha qualcosa del ca-rattere di flusso, proprio della comunicazioneorale, che in questo si stacca nettamente daquella scritta, segmentata in una serie di pa-role distinte e separate. Ciò che viene offertooggi è un fluire continuo di sequenze, in cuiil singolo elemento perde la sua importanzadecisiva come nel suono.

b) Una visione immaginativa che rischiadi esonerare dalla creatività

Nella civiltà multimediale la vista non vieneeliminata, anzi viene coinvolta e valorizza-ta. Ma, non essendo più chiamata ad eser-citarsi su un testo scritto da cui poi il sog-getto doveva ricavare le immagini, bensìdirettamente su queste ultime, il tipo di vi-sione che prevale non chiede né all’intelli-genza né all’immaginazione uno sforzocreativo di penetrazione e di elaborazione.La verità è che nella tradizione orale si dava

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spazio alla libera immaginazione e immen-samente minore era la capacità di invaderee colonizzare la psiche.

c) Una nuova socialitàUn altro vistoso effetto della nuova culturacomunicativa è la capacità di ricollocare inuna sorta di ‘community’ virtuale le perso-ne, ridotte tendenzialmente a soggetti auto-centrati. Non è forse questo il segreto delsuccesso straripante di Facebook?

Ciò posto, è tempo di porsi la domanda checi sta più a cuore: se la fede nasce dal-l’ascolto, che cosa provoca la sordità spiri-tuale nella cultura contemporanea, fin quidescritta?Per rispondere parto da una frase del com-pianto teologo e cardinale A. Dulles, per ilquale: “la crisi contemporanea della fede èin grandissima parte una crisi di immagi-ni”. La fede in effetti esprime un atto di fi-ducia e di abbandono, che per essere susci-tato ha bisogno di trovare conferma nonsolo nei cosiddetti motivi di ragione, maanche nell’ambito dell’immaginazione. Nonsi crede semplicemente in base a delle ar-gomentazioni, ma più profondamente a mo-tivo di un Incontro, cioè di un’esperienzapersonale (cf. Deus caritas est). Occorre forse tornare a distinguere come fa-cevano i medievali la ‘fides qua’ dalla ‘fidesquae’ non per contrapporle, ma per ritrovarleinsieme. La ‘fides qua’ è l’atto della libertàumana che si sbilancia verso Dio ed è im-pastata necessariamente di tutti i colori del-l’umano, ivi comprese le emozioni e l’im-maginazione. La ‘fides quae’ dice invece icontenuti del credere, talora esplicitati attra-verso l’insieme degli articoli della fede, chehanno necessità pure di essere veicolati informa plausibile. Ora cosa è accaduto perdoverne oggi riparlare?

In una società cristiana e alle prese con uncerto razionalismo, comunicare la fede si-gnificava sostanzialmente trasmettere la dot-trina, anche perché la dinamica familiarepensava poi a far emergere la dimensionedell’immaginazione e dell’emozione. Di quil’impegno della Chiesa soprattutto attraversola ‘dottrina cristiana’ per purificare i conte-nuti ed orientare la fede. In tal modo il lin-guaggio informativo-razionale del catechi-smo ben si abbinava a quello simbolico-nar-rativo dell’ambiente familiare. Il punto è cheoggi questi due linguaggi, non più uniti, nonsolo non producono più ciascuno il suo ef-fetto, ma raddoppiano i loro difetti. E cosìassistiamo a bambini che vengono al cate-chismo ormai ‘disincantati’ perché non han-no più in famiglia la crescita della loro sen-sibilità religiosa e da parte nostra offriamoper lo più una dottrina che però è indigestae inutile, perché senza la ‘fides qua’ la ‘fidesquae’ non attecchisce. Dice bene Gallagher: “La gente non è ostilealla verità posta nel cuore del vangelo, maspesso la sua immaginazione non è rag-giunta dal normale linguaggio della chiesa.Il senso religioso ha sempre trovato la suapiù eloquente incarnazione nei simboli, maoggi … i nostri simboli di trascendenza so-no isolati dalle esperienze che li hanno fattinascere” (GALLAGHER M.P., La poesia uma-na della fede, Milano, 2004, 133). Ed ag-giunge: “La maggior parte delle personeche hanno abbandonato il regolare contattocon la chiesa non l’ha fatto per un qualcheargomento intellettuale contro la fede. Essisi sono allontanati perché la loro immagi-nazione non è stata toccata e le loro spe-ranze non sono state risvegliate dalla loroesperienza di chiesa… La crisi è a livellodella ‘mediazione’ tra la tradizione di fedee la nuova sensibilità culturale” (ibidem,137).

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È questa la variante contemporanea dellafrattura tra Vangelo e cultura: l’inflazionedelle immagini maturate al di fuori dell’oriz-zonte della fede e dunque il venir menodell’immaginazione credente. Come si rica-va da un testo, cui sono debitore in questopassaggio della mia riflessione: “Si è dun-que consumato un divorzio che ha reso or-fana l’immaginazione, privata della possi-bilità culturale di sentire vitalmente verociò che viene comunicato e capito comevero”. Per poi concludere: “La mancanzadi cui molte persone oggi soffrono e, di cuila chiesa deve prendere atto, è quella di‘immagini credibili e trasformanti’, non didottrine vere o indicazioni morali da com-prendere” (Cf. RATTI A., Tra fede e cultura:l’immaginazione e il linguaggio simbolicoe narrativo, in CredOg, 24 – 6/2004n. 144, 45-59).Del resto già Agostino aveva lasciato inten-dere che non è sufficiente un approccio solorazionale al credere. Se davvero la fede coin-volge l’assenso, non si può credere senzavolerlo, e la volontà è mossa dall’amore:“Con l’amore si domanda, con l’amore sicerca, con l’amore si aderisce alla rivela-zione, con l’amore infine si rimane in quelloche è stato rivelato” (De moribus ecclesiaecatholicae, I, 17,31, in PL 32, 1321). Piùdi recente, l’interprete più lucido di questaintuizione risulta essere Newman, il quale,in uno dei suoi indimenticabili Sermoni, af-ferma: “Così io rispondo alla domanda ri-guardo al rapporto (la connessione) tra amo-re e fede. L’amore è la condizione della fede;e la fede a sua volta è colei che nutre e famaturare l’amore…L’amore è il fine, la fedeil mezzo. (…) È l’amore che fa la fede, nonla fede l’amore” (J. H. Newman, Sermon 21in ID., Parochial and Plain Sermons, vol 4,Longmans, Green & Co., London 1909,315).

Quanto detto sarebbe facilmente documen-tabile pensando allo scadimento di certa ca-techesi che ha troppo frettolosamente ab-bandonato il metodo informativo-razionalesenza assumere in profondità quello simbo-lico-narrativo; oppure constatando una certadistanza della liturgia ufficiale rispetto a ta-lune forme della religiosità popolare; o an-cora notando che la forza dei ‘buoni esempi’,uniti alle ‘buone pratiche’ spesso cede il pas-so ad un annuncio disincarnato ed astratto.Tutto questo finisce per compromettere leresidue capacità immaginative e privare lacoscienza di quella disponibilità che è ne-cessaria premessa all’ascolto.Per questo appare evidente che occorre crea-re una serie di condizioni, una sorta di nuovipreambula fidei, per preparare il terreno al-l’ascolto, visto che le resistenze avvengononon tanto a livello culturale o razionale,quanto piuttosto esistenziale ed empatico-emotivo.Si tratta, in altre parole, di liberare l’imma-ginazione spirituale, che potrebbe essereostruita da pregiudizi che si sono sedimentatinella cultura secolarizzata e che agisconocome automatismi. Infatti alcune delle prin-cipali strade che portano a Dio – libertà, tra-scendenza, meraviglia, comunità, preghiera,senso religioso – finiscono per essere siste-maticamente eluse nella cultura diffusa e, inparticolare nel linguaggio della Rete, in ge-nere permeato dal pensiero unico dell’ironia,della leggerezza senza contenuti. Un com-pito primario del primo annuncio oggi èquello di liberare coloro che sono affamatidi spiritualità, ma sono oppressi dal sensocomune della nostra cultura. In altre parole,“la crisi, prima di essere teologica o filoso-fica, è antropologica, nelle immagini di noistessi che ci rendono prigionieri o ci libera-no” (cf. M.P. GALLAGHER, Verso una nuovaapologetica, in CivCat 1996 – I – 43).

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Insomma, l’immaginazione della gente co-munque va nutrita e se non trova il nutri-mento va in cerca di surrogati che, oltre aportare fuori strada, possono bloccare la ri-cerca attiva di un significato cristiano dellarealtà. È interessante notare che mentre dacerte chiese e perfino cattedrali – per lo piùsuperfici aniconiche in cemento armato –sono sparite le rappresentazioni di soggettisacri, invece il grande schermo pullula diserial dedicati agli spiriti alati e la TV fa ilpienone sulla vita dei santi o comunque gra-zie a film di soggetto biblico.Se questo è vero, mi pare che ci siano alcuneopportunità che non vanno ulteriormente di-sattese, a partire dal mutato contesto culturale.

Un primo livello di interazione riguarda an-zitutto il discernimento culturale che va vis-suto non come desolazione, ma come con-solazione spirituale. È certamente da anno-verare tra le sfide e i nodi problematici dellacontemporaneità la non immediata evidenzadi Dio, inteso in una forma personale. Inuna parola la trascendenza non è più unfatto ovvio e direi neanche possibile ordina-riamente. In un contesto come il nostro poichi osi rappresentare qualcosa che vada oltreil contingente ed afferrare la verità dell’in-sieme è visto normalmente con sospetto.Ciò spiega perché da questo clima il primoannuncio riceva un colpo letale, simile alladelusione di Paolo nell’Aeropago di Atene(cf. At 17). Proprio questo apparente insuc-cesso ci offre però lo spunto per acquistareun atteggiamento di fondo verso la culturache ci circonda. È lo stesso Paolo, insuperato comunicatore,ad offrircene il senso. Inizialmente l’Apostoloviene descritto con un’espressione inusual-mente forte: “Il suo animo si infiammava disdegno vedendo come la città era piena diidoli”. Poi però il discorso sembra cambiare

3. OPPORTUNITÀ PER IL PRIMOANNUNCIO

La Chiesa, per una malintesa forma di at-tenzione alla razionalità positivista ereditatadall’Illuminismo, ha progressivamente sguar -nito il campo dell’immaginazione popolarelasciandolo in mano all’industria culturaleche spesso coincide con quella del puro in-trattenimento. Nel frattempo i media popo-lari, e in specie quelli commerciali, hannoavuto campo libero per “ri-evangelizzare”(si fa per dire!), colonizzando di fatto l’im-maginario pubblico con suggestioni e pro-vocazioni nel segno delle rappresentazionireligiose utilizzate a scopi addirittura pub-blicitari, a conferma del fatto che esiste unimmaginario che è ancora cristiano (cf. A.ZACCURI, In terra sconsacrata, Perché l’im-maginario è ancora cristiano, Milano,2008), anche se l’immaginazione diffusa sene sta discostando inesorabilmente. Per nonparlare della stessa percezione della fede, laquale passa per lo più attraverso la rappre-sentazione che di essa fornisce il palinsestomediatico, piuttosto che per una personaleesperienza sul terreno concreto delle rela-zioni interpersonali.Basterebbe pensare a quanto pesa anchenella recezione di fatti e documenti ecclesialiil pedaggio da pagare alla comunicazionepubblica. Per andar ad esempi recenti: in as-senza di una propria esperienza di fede e dicontatto ecclesiale, nell’immaginario incidedi più della dottrina cristiana ufficiale ‘Angelie demoni’, sia nella versione cartacea chein quella filmica. Per non parlare dei “Cesa-roni” che evocando la nostalgia per la fa-miglia allargata e non piccolo-borghese(mamma, papà e un bebè), finisce con il co-onestare una impressionante sequenza dicortocircuiti sentimentali e di impossibilitriangolazioni affettive.

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ritmo e tono, quando giunto all’Aeropagocomincia a lodare gli ateniesi per la lorospiccata religiosità ed interpreta perfino l’al-tare dedicato al dio ignoto, non come unaforma di idolatria, ma come un segno del-l’autenticità dei sentimenti religiosi degli ate-niesi. Paolo quindi concentra la sua atten-zione sul desiderio di Dio che vede inscrittoperfino dentro la poesia dei greci e commen-ta che tutti cercano Dio e Dio non è lontanoda alcuno perché “in lui infatti viviamo, cimuoviamo ed esistiamo” (17,28). Il passaggio di Paolo dal disgusto all’identi-ficazione dei semi del vangelo in seno allareligiosità pagana, sembra un esempio delcontrasto tra la desolazione e la consolazio-ne che sottende ogni discernimento. “Nonci può essere, perciò, alcun discernimentoreale della cultura senza la consolazione co-me un atteggiamento basilare, come una to-nalità e una fiducia che libera la nostra di-sposizione per comprendere con un pizzicodella sapienza di Dio. La consolazione nonè sinonimo di un modo di vedere tinto dirosa; di fatto comporta una duplice aspetta-tiva: ci saranno dei conflitti, delle ambiguitàe degli antivalori da detronizzare, e ci sa-ranno segno di speranza e di desiderio realeche sono frutti dello Spirito. Nessuna situa-zione è irredimibile” (GALLAGHER, Fede ecultura, un rapporto cruciale e conflittuale,Milano, 1999, 171): dobbiamo giudicare,ma sempre evitando di gettare via il bam-bino con l’acqua sporca!

Un secondo livello di interazione implica,dopo il discernimento, curare il primo an-nuncio in lingua corrente. Se è vero infattiche siamo dentro ad una cultura di “oralitàsecondaria”, non dobbiamo dimenticare chequesto non significa un puro e semplice ri-torno all’indietro, dimenticando l’impattodella scrittura. L’oralità di oggi, quella che

vediamo all’opera nelle radio o nei talk te-levisivi passa attraverso il rigoroso setacciodell’analisi, per cui perfino il reality più dif-fuso, cioè il Grande Fratello, è costruito dallaprima all’ultima sequenza, fino al punto daapparire del tutto spontaneo. “Nel nostrotempo ci siamo riabituati all’espressione ora-le, ma ad un’oralità pianificata e coscientedi sé non spontanea ed innocente comequella primitiva. L’oralità secondaria confer-ma ulteriormente che il linguaggio più adattoalla comunicazione religiosa anche ai nostrigiorni è quello che sa parlare all’immagina-zione (attraverso il racconto), un linguaggioche deve sostenersi attraverso simboli e im-magini (non solo con argomentazioni con-vincenti e logiche), ma al contempo deveessere pianificato, organizzato, non offensi-vo per le capacità logiche e analitiche svi-luppate dal pensiero assuefatto alla letturae alla scrittura, e che perciò pretende coe-renza nello svolgimento di qualunque di-scorso” (RATTI, art. cit, 58-59). Ciò vuoldire misurarsi con l’ambiente culturale al-l’interno del quale si svolge ogni comunica-zione religiosa e in cui si dà o si nega lapossibilità di incontrare Dio. Come nel Me-dioevo il materiale di costruzione dei mona-steri e delle cattedrali era spesso costituitodai capitelli e dalle colonne dei templi paga-ni, così fuor di metafora, chi oggi voglia im-pegnarsi ad annunciare il Vangelo deve co-noscere in modo professionale i meccanismidel linguaggio narrativo e simbolico e le re-gole comunicative. Di più: conoscere i film,le canzoni, i programmi e le trasmissioninon è facoltativo per chi cerca vie nuove perfar risuonare la parola del Vangelo. Volendoprovare a fare un’ultima esemplificazione ri-volta direttamente a noi preti: non è possibileche si studi per anni negli istituti teologici enon si curino poi le regole fondamentali dellacomunicazione orale. Non si può pensare di

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reggere l’urto della predicazione che resta“un amore deluso” per la gran parte dellepersone e perpetuare questa forma di pres-sapochismo e di dilettantismo per cui si ri-tiene di poter tener desta l’attenzione benoltre i 10 minuti, senza il corredo di unaparticolare “abilità linguistica”, che preve-deva già nell’antica forma della retorica disaper divertire, edificare e commuovere.Infine un terzo livello di interazione che èquasi una diretta emanazione dei primi dueè, dopo il discernimento e l’integrazione, ilfeedback, ovvero il superamento coraggiosodelle logiche di annunzio unidirezionale eincapaci di valutare la propria stessa rice-zione, ritenuta, a torto, del tutto marginale.Il successo di un annuncio all’altezza dellanostra era sta in un’attenzione tutta specialealla connaturalità comunicativa tra l’emit-tente, il messaggio e i suoi possibili recettori,sul modello del Dio che ha preso carne perparlare ad ogni carne. Nuovi tempi esigonoun annunzio che si offra come comunica-zione dimensionata: proporzionata cioè allecoordinate e ai registri espressivi/recettividell’essere umano, capace di farsi capire, diaccogliere e di farsi accogliere. In concretociò vuol dire in primo luogo verificare sem-pre quel che “passa” a partire dallo sguardodell’interlocutore, senza lasciarsi assorbiredalla cura dei contenuti al punto da dimen-ticare l’interlocutore a cui dirigersi. Non ba-sta essere sicuri di aver realizzato la comu-nicazione per star tranquilli: occorre provar-ne l’efficacia oltre che la pura efficienza.Nell’intercettare l’altro non è poi inutile gra-duare l’annuncio tenendo presente che nontutto è allo stesso livello e che esiste una “ge-rarchia delle verità” che va tenuta presentenon solo nel dialogo ecumenico (cf. Unitatisredintegratio), ma anche nell’approccio apersone che devono prima poter cogliere lasostanza della proposta cristiana sia a livello

dogmatico che etico e solo poi addentrarsi inquestioni di dettaglio. Se si perde il centro, laperiferia diventa incomprensibile.Infine il primo annuncio, per il suo carattereessenziale e direi quasi genetico, deve arric-chire se stesso a partire dalle domande cheuniscono e che sono la condizione per poteravviare quell’apertura di credito che fa pas-sare dall’indifferenza all’attenzione e dal-l’attenzione all’ascolto.Su queste tre piste – quella del discernimen-to, quella della lingua corrente e quella delfeedback – vorremmo modulare la capacitàd’impatto dell’universo comunicativo sul-l’intramontata urgenza di un degno primoannunzio della fede. Nel corso della nostrariflessione abbiamo in più di un’occasioneverificato quella “inevitabile ricaduta antro-pologica e sociale” del gioco tra parola emedium di cui parlavamo in apertura. Po-tremmo forse concludere ribadendone anco-ra una volta la pertinenza teologica.Comunicare il lieto annunzio di Colui cheviene nella storia umana significa sempre(re)imparare a dirne la novità. Il cristiane-simo non smette di essere nuovo, ma – so-prattutto – non affida la propria novità al-l’obsolescenza di questa o quella nuova tec-nologia. La sua novità è l’eterno presente –eternamente attuale, eternamente fecondo –di una parola che racconta l’oggi della storiacon la voce suadente di un’Origine mai di-menticata. Il cristianesimo è questa Originesempre presente, sempre attuale. Essa – sil-labata negli spazi e nei tempi dell’incarna-zione, della morte e della risurrezione delCristo – si offre a noi come salvezza: predi-care allora l’“inevitabile ricaduta antropolo-gica e sociale” del suo annunzio è l’atto mi-nimo di giustizia che possiamo rendere a unDio che in Gesù non si è “detto” a noi, masi è “dato”: come mezzo e messaggio insie-me; come via, verità e vita.

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PremessaDai lavori di gruppo emerge con una certanettezza la consapevolezza che il convegnonon è stato dedicato semplicemente e pura-mente alla Lettera ai cercatori di Dio, ma– a partire dall’occasione alta e importanteofferta da questo strumento – i lavori hannomesso a tema una volta di più alcune que-stioni relative alla prima evangelizzazione,all’accompagnamento delle persone in ricer-ca, all’identità del soggetto ecclesiale rivoltoal mondo, alla qualità del credente visto co-me ricercatore a propria volta e insieme co-me accompagnatore ed evangelizzatore.Per questa ragione raccogliamo le osserva-zioni emerse nei gruppi attorno a due poli:1. La sfida dell’incontro con le persone in

ricerca;2. La Lettera ai cercatori di Dio.In un terzo momento cercheremo poi di trac-ciare alcune linee più generali che aiutino acogliere le questioni sollevate dall’intero con-vegno:3. Alcuni elementi trasversali emersi nel

Convegno e meritevoli di attenzione peril futuro.

1. LA SFIDA DELL’INCONTROCON LE PERSONE IN RICERCA

1.1. Chi sono i cercatori di Dio - La que-stione dei soggetti del primo an-nuncio

Se un gruppo sottolinea che sono gli adulti“i soggetti prioritari del PA, anche nei pro-cessi di IC dei ragazzi” (Gruppo 3), la mag-gior parte dei laboratori converge sulla sot-tolineatura che il PA è rivolto a tutti. Eccoper esempio che cosa afferma il Gruppo 2:“I destinatari [del PA] sono tutti gli uominie le donne, cercatori di Dio consapevoli omeno. Anche quelli che non si fanno do-mande, bisogna fare qualcosa che li sor-prenda e li faccia interrogare”. L’insistenzasui “tutti” è presente in molti gruppi ed, inparticolare, il Gruppo 10, usando una ter-minologia “aristotelica” afferma che tutti“sono cercatori di Dio potenziali e lo diven-gono in atto nel momento in cui escono alloscoperto”.Volendo puntualizzare, possiamo rilevareche tra i “tutti” si distinguono talvolta isemplici “praticanti”, verso i quali emergetalvolta un po’ di sfiducia: infatti sarebbe“più difficile stimolare domande nei “nostri”che in coloro che non credono o sono lon-tani”, ma, insieme, “c’è anche una fedesemplice da rispettare” e ancora “coltiviamoun pregiudizio positivo: nell’uomo che in-contriamo Dio è già presente e operante”(Gruppo 13).

1.2. Quali luoghi, quali ambiti e passag-gi di vita

“I luoghi più impensati”, afferma con deci-sione il Gruppo 2. In questa linea la sotto-lineatura più diffusa riguarda gli ambienti di

SINTESI DEI GRUPPI DI LAVOROE DEI LAVORI DEL CONVEGNO

Don Paolo Sartor, Responsabile Servizio Catecumenato, MilanoMons. Andrea Lonardo, Direttore UCD, Roma

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vita quotidiana (Gruppo 1; Gruppo 7). Unambito particolare sottolineato è quello deldolore e della morte, ma anche quelli dellavita che nasce e dei momenti in genere im-portanti dell’esistenza: si vedano in propositosoprattutto le sottolineature del Gruppo 11.Qualcuno ha scelto la via dell’elencazioneanalitica, con riferimento ai contatti dellepersone con la comunità cristiana (Gruppo1): si possono considerare cercatori di Dio igiovani che si preparano al matrimonio, igenitori che chiedono i sacramenti dell’ICper i loro figli, gli ultimi e le persone che so-no impedite nell’espressione piena della lorofede da una situazione personale difficile oin contrasto con le leggi della Chiesa.Anche per altri gruppi un ambito privilegiatodel PA è senz’altro quello delle giovani fa-miglie che chiedono il battesimo per i lorobambini. In genere è importante il ruolodei sacramenti, delle celebrazioni, comepossibilità di far partecipare, di aprire aun’esperienza, a un incontro con Dio (cf.Gruppo 5).Qui si apre la problematica dell’educazionedella domanda religiosa delle persone. Af-ferma il Gruppo 5: si tratta “non tanto [di]‘suscitare domande’, quanto piuttosto [di]‘educare la domanda’, nel senso che le oc-casioni pastorali legate soprattutto alla ce-lebrazione dei sacramenti, ad esempio, do-vrebbero diventare opportunità per favorirel’incontro con il Signore, per cercare rispostealle domande di senso che la vita pone”.Con la problematica “della ‘libertà’ di chiannuncia e di chi accoglie il messaggio, inun contesto culturale in cui chi ‘chiede’ trop-po spesso è motivato da convenzioni sociali;in questa prospettiva la comunità ecclesialefinisce col porre degli obblighi, imporre deipercorsi che rischiano di falsare il rapporto.Qui si pone il problema pastorale: esigenzadi uscire da questi meccanismi per fare una

proposta libera, che parte dal presuppostoche ognuno, a modo suo, cerca Dio”.

1.3. L’annunciatore - questioni di iden-tità e di stile

In vista di che cosa occorre annunciare? Oc-corre “far sperimentare Dio”, scrive il Gruppo1. “Il PA mira a una ‘relazione’ con Qual-cuno. Non è primariamente la comunicazio-ne di qualcosa, ma la testimonianza di unrapporto che fa vivere”, annota il Gruppo 3.Si comprende allora che “si richiedono ac-compagnatori ‘santi’, testimoni credibili, iquali si relazionano con amore, che sol-tanto può suscitare interesse e adesione”(Gruppo 1).Spiega il Gruppo 6: “Per chi cerca come di-scepolo di Gesù, insieme ad altri uomini edonne chiamati a seguire il Maestro e Si-gnore, c’è un dono che occorre riscoprire econtinuamente coltivare nella riconoscenza:quello dello stupore di essere amati da Dioin Gesù di Nazareth, il crocifisso risorto, cheincontrandomi mi chiama per nome a se-guirlo. Con questo dono è possibile accettarela sfida della presenza nelle relazioni umane,con la capacità di narrare il senso dell’esi-stenza umana con la testimonianza di vita.Una presenza capace di raccogliere ‘le do-mande del giorno e della notte’, di destaredal sonno della ricerca alla vita, di accom-pagnare l’altro rendendo sensibile il nostroorecchio a cogliere quello che Dio va dicendoa me, all’altro, alla società”.In genere prevalgono i riferimenti a “farsicompagni di strada, condividendo domandee situazioni” (Gruppo 1), con la conseguen-za che “Non è necessario dire tutta la teo-logia, basta rispondere alla domanda espres-sa e avere pazienza” (Gruppo 2).Appare insomma decisiva la persona del-l’evangelizzatore/accompagnatore, la sua

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qualità umana e spirituale. Scrive il Gruppo3 in riferimento al racconto di Atti 8: “Se cisono i ‘Filippo’ emergono subito i ricercatori,come l’eunuco etiope”. “Il messaggio passa nella relazione interper-sonale, perciò ci vogliono uomini e donnecapaci di relazioni vere e consistenti e dimettere al centro la persona dei destinatari”(Gruppo 2).Interessante una puntualizzazione del Grup-po 12: “I sacerdoti e gli accompagnatori so-no cercatori di Dio che vanno accompagnaticon particolare attenzione”! Per contro vieneevidenziata talvolta la persistenza di unasfiducia verso i laici.Ci sembra significativo che i gruppi tendanoa non impiegare il termine “operatori del PA”,anche se il problema terminologico è più uncompito per la riflessione ulteriore che un ele-mento acquisito. San Paolo, per esempio, uti-lizza spesso l’espressione “collaboratori” (“diDio” e non solo “miei”/ ”suoi”). Altri tra noipreferiscono “annunciatori”, “evangelizzato-ri”, “accompagnatori”.

1.4. Che cosa viene fatto dalle diocesi enelle diocesi

Praticamente tutti i gruppi offrono il lorocontributo a compilare l’elencazione seguen-te, nella quale si possono identificare quattroambiti:a) Formazione del clero, sia di base sia per-

manente

b) Formazione dei catechisti, sia al centrodelle diocesi sia nelle realtà locali: – scuole bibliche – laboratori e campi scuola – strumenti di collegamento tra catechisti

(periodici scritti)

c) Proposte pastorali di base:– cammini per coppie

– pastorale battesimale, che oltre ad ac-compagnare i genitori nella preparazio-ne al Battesimo del bambino s’impegnaa offrire compagni di viaggio ai genitoridopo il battesimo (0 – 6 anni)

– cresima dei giovani e degli adulti– cammini per giovani lontani– i Gruppi di ascolto della Parola, espe-

rienza aperta anche a chi non frequentamolto la chiesa e insieme è ricca di quel-la Parola che chiama alla fede per gra-zia

– altre iniziative di apostolato biblico– genitori dei ragazzi che frequentano la

catechesi– la pastorale universitaria, quale atten-

zione ai giovani che vivono una faseimportante della propria maturazionenon solo intellettuale, ma anche socialee religiosa

– la pastorale dei ragazzi attraverso l’ora-torio, soprattutto quello estivo, nel qua-le sono presenti ragazzi che frequenta-no poco la parrocchia con la loro fami-glia, o che provengono da paesi lontanie di diversa cultura e religione

– situazioni limite (carcerati, persone di-sagiate)

– veri e propri itinerari di introduzionealla fede come i “dieci comandamenti”

– funeralid) Il lavoro di équipe dell’UCD

Qualche elemento viene poi indicato piùcome auspicio che come realizzazione giàin atto:– Importanza di creare luoghi dove l’uo-

mo può farsi ascoltare (Gruppo 4) e“aprire spazi di accoglienza adeguati ainuovi cercatori di Dio [...] che decidonodi iniziare un cammino di fede organi-co” (Gruppo 1). Afferma il Gruppo 2:“Le comunità, dopo aver suscitato ladomanda, devono offrire dei cammini

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(per ora non se ne vedono)”. Addirit-tura il Gruppo 7 dice: “In nessuna dellediocesi presenti esistono percorsi veri epropri di PA, per ricomincianti, o inizia-tive specifiche per i ‘cercatori di Dio’”.

– “Offrire una formazione qualificata nelleScuole di Teologia e nei corsi di forma-zione per gli operatori di pastorale e perla catechesi” (Gruppo 1). In questa li-nea si suggerisce di puntare a una for-mazione qualificata “non solo sui con-tenuti ma anche sulla metodologia”(Gruppo 2).

– Priorità alla catechesi degli adulti, cat-tedra dei non credenti, infine confrontocon i non credenti (Gruppo 4).

Il Gruppo 15 sottolinea che “è necessariopermeare del primo annunzio tutta la pasto-rale” e su questa linea si può citare anchel’invito del Gruppo 8 a “riscoprirci come mis-sionari ed impostare il primo annuncio comedimensione fondamentale della pastorale or-dinaria”.

Annotiamo anche che da più parti si sotto-linea il ruolo di movimenti ecclesiali e asso-ciazioni nel favorire cammini di formazionee di approfondimento della propria fede(Gruppi 4-5-6).

2. LA LETTERA AI CERCATORI DI DIO

a) Si registrano anzitutto numerosi elementipositivi:– La Lettera ai cercatori di Dio è desti-

nata a un pubblico molto ampio e ri-chiama anche noi, catechisti a diversilivelli di responsabilità, a un cambio dimentalità e ad accogliere con rinnovatapassione la sfida formativa (Gruppo 5).

– La Lettera ci ha sollecitati anzitutto ascoprire che noi stessi siamo “come cer-catori”, ad abbandonare la supponenzadi chi sa tutto.... È un invito alle co-munità cristiane ad aprirsi e a non es-sere autoreferenziali (Gruppo 7).

– Fondamentale è la questione del lin-guaggio ecclesiale dell’evangelizzazio-ne. Il rischio di utilizzare linguaggiestranei alla ricerca e ai bisogni di vitadelle persone lontane dalla fede è reale.“La Lettera è un tentativo per cercareun linguaggio nuovo” (Gruppo 3).

– Uno strumento opportuno oggi per su-scitare interesse a livello ecclesiale / sti-molare alla ricerca / inventare nuovicammini per risvegliare il desiderio diDio (Gruppo 1).

b) Nei gruppi si lamentano anche alcuni pro-blemi:– Non è molto bello il termine ‘cercato-

ri’… Confusione con i ‘ricomincianti’…(Gruppo 4)In particolare secondo il Gruppo 9 “Lacategoria dei cercatori di Dio rischia diapparire una categoria filosofico-teolo-gica”.

– La lettera sembra porsi nella linea dellaChiesa docente, più che di una Chiesache accompagna credenti in ricerca.Sembra un altro trattato, che difficil-mente fa incontrare Dio (Gruppo 2).

– Non c’è nessun accenno ai Movimentie alle Associazioni (Gruppo 2).

c) Da più parti inoltre si segnala la necessitàdi una mediazione (cf. p. es. Gruppo 1) – In specie il Gruppo 14 afferma che “la

sua comprensione richiede una buonaformazione culturale del lettore”. Ilgruppo propone inoltre una “lettera ainon cercatori di Dio”!

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3. ALCUNI ELEMENTI TRASVER-SALI EMERSI NEL CONVEGNO EMERITEVOLI DI ATTENZIONEPER IL FUTURO

Oltre a presentare questa sintesi dei lavoridi gruppo ci è sembrato utile provare a sot-tolineare il legame fra quanto detto dai grup-pi e alcune delle grandi questioni che sonoemerse nel corso del convegno. Il nostrocompito era proprio quello di mostrare il filoche legava in unità le diverse tappe di questigiorni ed ora che siamo alla fine di questopercorso vale la pena vedere alcuni di questitemi trasversali per poterli più facilmenteavere dinanzi agli occhi.

3.1. Primo annuncio e catechesi: due re-altà da non contrapporre

Mons. Crociata ha proposto una lettura dellasituazione della fede in Italia. La condizionein cui viviamo non è certamente più quellache si è soliti indicare con la parola di “cri-stianità”, ma non è neanche quella di unPaese che semplicemente ignora o disprezzail cristianesimo. Anche Giampietro Ziviani,citando Sequeri, ricordava come si potrebbeparlare propriamente di un “secondo annun-zio”, proprio perché in Italia non si dà unrapporto “innocente” con il cristianesimo. Cisembra che questa consapevolezza sia con-divisa da molti dei presenti, con due conse-guenze molto importanti. La prima: proprio perché la fede non puòessere data per presupposta, il primo an-nunzio è estremamente significativo. Si po-trebbe dire che è la realtà più bella, è lo sco-prire che non si tratta di condividere questao quella cosa secondaria, ma piuttosto il te-soro più prezioso, il primato di Dio che rivelapienamente il suo volto solo in Gesù Cristo.Proprio questa convinzione toglie quella

stanchezza che può prendere una catechesiche non si ritenga più necessaria. Essa ri-scopre, invece, di poter donare all’uomo ciòche gli è essenziale.La seconda: la stima per la fede cristianache la storia del nostro Paese ha posto nelcuore di tanti li porta a rivolgersi alla Chiesain momenti decisivi ed importantissimi dellavita, per chiedere la grazia di Dio alla nascitadi nuovi bambini, perché i figli siano aiutatinella crescita da educatori cristiani, per l’in-vocazione della presenza di Dio nella soffe-renza e nel lutto, per preparare la scelta delmatrimonio, ecc. Questo fatto – ci sembra –deve tornare ad essere guardato con grandesimpatia e con sincero apprezzamento, an-che se le ragioni di questa vicinanza nonhanno fin dall’inizio la purezza che deside-reremmo. Sarebbe strano che si guardasserocon grande simpatia le domande di coloroche sono lontani dalla Chiesa e non si sa-pesse apprezzare la domanda di chi bussaalle porte della comunità cristiana o, addi-rittura, la abita anche se solo nella messadomenicale. Questo genera allora, senza al-cuna contrapposizione con la necessità delprimo annunzio, la complementare consa-pevolezza del valore che ha tutto il tempoimpiegato per la catechesi dei bambini, deiragazzi, dei giovani, degli adulti.

3.2. L’utilità di una chiarificazione ter-minologica su che cosa sia la primaevangelizzazione

All’espressione “primo annunzio” è statacollegata più volte nel convegno l’esperienzache ognuno vive di incontri personali cheportano altri, come già hanno portato noi,a scoprire la bellezza e la verità del vangelo.Il momento del convegno che più ci ha ri-cordato questo è stata la tavola rotonda nellaquale abbiamo ascoltato alcune testimonian-ze di incontri con “cercatori di Dio”.

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Tutti e quattro gli interventi-testimonianza– di Fabio Zavattaro, Paola Vacchina, MarcoTibaldi e di padre Guido Bertagna – ci hannoconfermato nella consapevolezza che nientepuò sostituire questo incontro personalissi-mo e intimo da uomo a uomo. In questosenso, fra l’altro, la testimonianza della fedeè una delle comunicazioni più profonde chepossano darsi fra persona e persona, poichéil testimone permette che l’altro gli legga finnel fondo del cuore quella fede che gli dàvita e gioia. Mons. Forte, nel suo saluto ini-ziale, ci mostrava come già Platone avesseben compreso che l’insegnamento orale pre-cede e sostiene l’apprendimento tramite i li-bri, siano pure “libri sacri”! Sotto questo profilo possono essere ricordatigli ambiti di Verona, che sono apparsi ancorauna volta favorevolmente accolti nella ri-flessione dei gruppi di lavoro, magari com-binati con i passaggi di vita che hanno ca-ratterizzato i convegni dell’UCN degli anniprecedenti. Del resto la stessa Lettera ai cer-catori di Dio, evocando in maniera libera gliambiti veronesi, aiuta ad utilizzarli con crea-tività. Nei gruppi di lavoro sono stati ripe-tutamente sottolineati la centralità del temadel piacere e della felicità, del decisivo pas-saggio esistenziale che è l’esperienza del“mistero della vita” nella paternità/materni-tà, del valore della formazione che si incon-tra nella scuola e nell’università, ecc.Proprio la tavola rotonda ha, però, mostratocome non sia possibile ridurre il primo an-nunzio a quel rapporto interpersonale. Gliincontri che ci venivano raccontati erano av-venuti anche perché dei credenti avevanonegli anni pensato e realizzato delle realtàcomunitarie che potremmo definire ad extra,cioè vive fuori delle mura parrocchiali, comeun Centro culturale, una associazione di la-voratori con le sue varie ramificazioni sulterritorio, una casa editrice e così via. In que-

sta linea possiamo evidenziare anche il con-tributo offerto stamane da monsignor Do-menico Pompili in merito alla attuale socio-cultura mediatica e all’utilizzo pastorale deglistrumenti di comunicazione sociale. La primaevangelizzazione richiama, in sostanza, an-che alla bellezza e alla necessità di una fe-condità che non si preoccupa solamente dellospazio intra-ecclesiale, ma creativamentepropone esperienze, progetti, valori, istitu-zioni, fuori del perimetro ecclesiastico.Il primo annunzio richiede pure una terzadimensione: quella di un itinerario che per-metta a chi vuole conoscere il cristianesimo,perché attratto o incuriosito da esso, di poterconcretamente trovare un cammino dove ri-spondere a questa sua esigenza. Dalle ri-sposte di molti dei gruppi di lavoro, emer-geva il fatto che sono pochi i luoghi dovesi propone qualcosa di significativo a chinon vuole conoscere aspetti particolari delcristianesimo, ma vuole piuttosto essere in-trodotto all’esperienza iniziale ed essenzialedella fede cristiana. Gli interventi pastoralidella CEI, ricordati nella panoramica tracciatada mons. Lucio Soravito ci richiamano pe-raltro alla necessità di affrontare questa sfi-da. E la stessa Lettera ai cercatori di Diopuò essere vista come una traccia di itine-rario in tal senso.

3.3. L’irriducibilità di domande e rispo-ste

Spesse volte, nel corso del convegno – maanche nei convegni precedenti – si sono rin-corsi i termini “domanda” e “risposta”. Essisono così importanti – e tali sono percepitida tutti – perché il volto di Dio e quello del-l’uomo, così come quelli degli uomini, sonoin relazione.Mons. Crociata ci invitava a percorrere finoin fondo questa via, parlandoci del tentativo,

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che definiva talvolta “ossessivo”, nellacultu ra contemporanea, di “autocentramen-to”. In questo senso, il primo annunzio deveascoltare sempre ed in forma ogni volta nuo-va e mai compiuta una volta per sempre ledomande dell’uomo – da Giampietro Zivianiè stata ricordata in merito la Gaudium etspes e le sue indicazioni in merito. Ma, alcontempo, deve ascoltare sempre di nuovola voce di Dio ed accogliere il suo volto. Sa-rebbe miope un annunzio ed una catechesiche non facesse sempre di nuovo brillareperché Gesù è unico ed insostituibile.In questo contesto forse è da tornare a ri-flettere sul perché nella fede cristiana il con-tenuto della fede e la sua esperienza sianoinseparabili. Ancora mons. Crociata affer-mava che l’inseparabilità di annuncio e te-stimonianza non sarà mai sufficientementeinsistita.Questo è evidente proprio nel primo annun-zio, dove ognuno si accorge che talvoltauna persona è colpita dalla testimonianza difede o di gioia o di servizio di un credentee, talaltra, dalle parole che egli pronuncia,scoprendo che ciò che riteneva non interes-sante e banale gli dischiude invece, improv-visamente, un mondo totalmente inedito.Anzi proprio la convinzione della verità ed,insieme, della bontà e della bellezza del cri-stianesimo si richiamano continuamente.Non potrebbe resistere una fede che fossesolo bella o solo vera.È, forse, possibile approfondire qui, anchese solo di passaggio, la questione del dubbio.Mons. Crociata specificava che era da porreuna differenza fra il “possesso di Dio”, chenon avviene mai una volta per tutte, e la“certezza della fede” che scaturisce, invece,dall’affidamento in Lui. L’esempio dell’amo-re è qui illuminante. Chi ama lo sposo o lasposa non mette continuamente in dubbioil proprio amore; se lo facesse, affermando

che non è sicuro del proprio amore – o del-l’amore dell’altro – metterebbe in crisi lacoppia. Chi ama, invece, vuole continua-mente approfondire l’amore e non è mai sa-zio, ma non per questo non sa di aver com-piuto una scelta che caratterizza ormai tuttala vita.Marco Tibaldi, nella sua testimonianza, cirichiamava al valore di questo proprio nelprimo annunzio, affermando che tale com-piacimento del dubbio non si sposa con il“cercatore di Dio” che si accorge di “stareaffondando” e non potrebbe che essere sco-raggiato da chi gli dicesse che, in fondo, an-che la barca che gli va incontro “potrebbeaffondare da un momento all’altro”.Nell’intervento di mons. Bruno Forte si evi-denziava anche la complementarietà dei di-versi linguaggi utilizzati dalla Scrittura, dallateologia e, così, dal primo annunzio. Il lin-guaggio metaforico – affermava – “da a pen-sare”, ma anche il linguaggio narrativo hagrande importanza, così come l’espressionepoetica. Sempre nella sua relazione, mostra-va, in riferimento a svariati temi, come lariflessione sintetica fosse altrettanto impor-tante. Il “cercatore di Dio” talvolta ha biso-gno proprio di quella sintesi che viene fornitadalla riflessione cristiana, che gli permettedi uscire dalla frammentazione in cui vive.

3.4. L’importanza dell’arte del discerni-mento

Dinanzi al domandare umano senza posaed al rivelarsi di Dio è sorta anche la que-stione dei “sì” e dei “no” nell’annunzio enella catechesi. La fede sgorga proprio quan-do l’uomo si accorge che Dio pronuncia il“sì” alla sua vita. La grande sfida che l’evan-gelizzazione deve affrontare, insieme a quel-la della verità, è proprio quella della signi-ficatività della fede: la fede non può che es-

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sere rifiutata quando viene percepita comela mortificazione della vita.In questo senso la storia del cristianesimoha mostrato – e deve mostrare oggi – chela fede accoglie tutto ciò che è umano ed,anzi, lo porta a perfezione, lo compie nellasua bellezza e bontà.Ma, d’altro canto, la fede svela la non pie-nezza e discerne il male che è presente nellavita, portandolo alla luce e chiamandolo peril proprio nome. Le meditazioni su Paolodella prof.ssa Borrello Bellieni ci hanno mo-strato la denuncia che l’Apostolo compie neiconfronti dei falsi idoli e delle vie senza usci-ta degli “epicurei” e “stoici”. Il primo an-nunzio vivrà sempre una tensione, nel suorapporto con gli uomini e con la cultura, chesarà di accoglienza, di denuncia, di compi-mento.

3.5. La significatività della questionedell’identità della Chiesa e di coloroche le appartengono

Molte volte si è ricordato che il primo an-nunzio, come la catechesi, è opera dellaChiesa tutta. Si è profondamente insistitosulla conversione personale e comunitaria,così come sul rinnovamento delle persone edelle prassi ecclesiali.Ma, al contempo, si è posto l’accento sulladimensione “popolare” non solo del cattoli-cesimo italiano, ma, più profondamente, delcristianesimo in se stesso. Come dice la Lu-men gentium, tutti i battezzati – e in certomodo anche i catecumeni – appartengonoprofondamente alla Chiesa. Anzi tutti gli uo-mini “sono ordinati” ad essa.Proprio chi è maturo nella fede – si è insistitomolto su questa maturità – ha la capacità diportare gli altri e di sentirli come “apparte-nenti” a Cristo, ben al di là delle statistichesociologiche.

Tornano in mente le straordinarie parole didon Andrea Santoro che, nel salutare la suaparrocchia, prima di partire missionario inTurchia, diceva: “Sento il bisogno di diregrazie: ai miei confratelli sacerdoti con cuiho pregato, gioito, sofferto e lavorato; aimalati, ai bambini, ai poveri che mi hannomostrato la piccolezza e la potenza di Gesù;ai giovani che mi hanno permesso di coglierecon loro il soffio rinnovatore dello Spirito;agli adulti che mi hanno concesso la loroamicizia e il loro sostegno; agli anziani chemi hanno fatto poggiare sulle loro spalle an-tiche. Ringrazio quanti hanno collaborato inparrocchia a tenere accesa e a trasmetterela lampada della fede, a far crescere la co-munità, ad accendere il fuoco di Gesù nelquartiere: chi con il carisma della parola, chicon quello della preghiera, chi con l’azionevisibile, chi con i silenzi, chi con il carismadella liturgia, chi con quello della carità ope-rosa, chi con le lacrime e la potenza reden-trice della sofferenza, chi con i servizi piùumili e nascosti. Ringrazio quanti non hoconosciuto perché mi hanno concesso di vi-vere accanto a loro e di amarli anche se adistanza. Sempre ho pregato per loro e sem-pre li ho pensati a me vicini, soprattutto lasera quando guardavo le finestre illuminatedelle case e a messa quando, alzando il ca-lice del sangue di Cristo dicevo: “questo è ilcalice del mio sangue, versato per voi e pertutti in remissione dei peccati”. In quel “tutti”comprendevo proprio tutti, nessuno escluso.Nel mio cuore, andando via, porterò ognipersona conosciuta e non conosciuta dellaparrocchia: sono le pecorelle, i figli, i ‘pe-sciolini’ affidati alla mia pesca e destinatialla rete del Regno di Dio”.Le note sull’evangelizzazione degli adultigià battezzati poggiano proprio su questopresupposto, su questo amore che la Chiesaha per tutti i suoi figli.

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La centralità della liturgia eucaristica, sotto-lineata da mons. Crociata e da molti gruppidi lavoro, manifesta il luogo del sorgere edel manifestarsi della Chiesa. Non si può di-menticare che, nel nostro tempo, l’eucarestiaesprime una reale forza di annunzio. Proprionel suo essere aperta a tutti, diventa oggi,spesso, il primo veicolo dell’annunzio e moltidecidono di riavvicinarsi alla fede o di av-vicinarsi per la prima volta, dopo aver par-tecipato ad una liturgia domenicale o a mo-menti di festa o di lutto celebrati nelle par-rocchie o nelle diverse chiese.Anche l’intento e lo stile del nuovo direttorenazionale don Guido Benzi ci sembrano col-locarsi sulla linea sperimentata dall’UfficioCatechistico Nazionale nei decenni scorsi,tesi allo stimolo della creatività dei pastorie dei catechisti in ordine alle sfide che ponel’annuncio agli adulti, ai giovani e ai ragazzi,ma insieme attenti a valorizzare le risorse ele esperienze presenti nella vita delle nostreChiese locali dove tuttora si sperimenta uncristianesimo di popolo. Anche noi, come direttori e collaboratori de-gli Uffici Catechistici Diocesani, consapevolidella difficoltà di stimolare le diocesi sullastrada del rinnovamento pastorale in un mo-mento in cui taluni manifestano resistenzee fatiche, apprezziamo un approccio reali-stico e che vuole tentare di indicare passipraticabili e condivisi.

3.6. L’importanza della questione edu-cativa che viene illuminata dal pri-mo annunzio

Palpabile è la consapevolezza che non sipuò omettere, nel primo annunzio e nellacatechesi, né una serissima attenzione almondo degli adulti, né una altrettanto im-pegnata proposta al mondo dei fanciulli eragazzi.

Proprio il servizio che è richiesto – e nonscelto – dai nostri uffici ci porta continua-mente a misurarci con queste due dimen-sioni. Lo si avverte anche nei dialoghi a ta-vola e negli scambi di esperienze.Il “tutti” a cui si rivolge il primo annunzioriguarda anche cronologicamente tutte leetà. Proprio l’attenzione alle dimensionidell’adulto sta facendo riscoprire che l’adultoè tale proprio perché ha anche una vita fa-miliare e dei compiti educativi presso le nuo-ve generazioni. In questo senso, è da valorizzare tutto ciòche nella pastorale battesimale 0-6 anni enei successivi itinerari in vista del comple-tamento dell’iniziazione cristiana conduceall’accompagnamento delle famiglie e allaloro evangelizzazione.D’altro canto, il primo annunzio della fedeai bambini e ai ragazzi, non può essere con-dizionato al cammino dei genitori, poichéproprio i piccoli hanno bisogno di essere ac-compagnati a conoscere ed amare il Signore.Tutta la moderna pedagogia insiste sullacentralità dei primi anni di vita nella forma-zione della personalità e lo stesso Documen-to di base ricorda che nessuna età va vistacome finalizzata alle altre, ma ha un suo si-gnificato in se stessa, ricordando, d’altrocanto, come errori o inadempienze vissutein una certa età portano con sé conseguenzeper tutta la vita. Solo in alcuni gruppi di lavoro è emerso ilfecondissimo tema dell’annuncio ai giovani.La consapevolezza crescente che l’allonta-namento degli adolescenti e dei giovani dallapartecipazione ordinaria alla vita ecclesialenon dipende tout court dall’iniziazione cri-stiana viene confermata dall’attenzione alprimo annunzio.L’accoglienza della fede, infatti, non può maiessere data per scontata, soprattutto oggi,in quanto realizzata in una età precedente.

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Molti adolescenti e giovani, che sono staticontentissimi di percorrere il cammino di ini-ziazione e lo hanno vissuto come una verascoperta, all’approfondirsi delle proprie do-mande con il crescere delle età ed all’appariredei naturali dinamismi di rifiuto che vivonodopo la fanciullezza, se avvertono che laproposta che è rivolta ai giovani nelle lorocomunità è povera, abbandonano il cammi-no.In questa prospettiva, appare importante tor-nare a illuminare la questione dell’iniziazionecristiana e molti uffici catechistici avvertono

la positività dell’accenno esplicito in meritoche ha compiuto due volte mons. Crociatanella sua relazione. L’attenzione alle praticheconsolidate, sperimentali o auspicabili rela-tive all’iniziazione cristiana dei bambini edei ragazzi potrà essere posta, nuovamente,alla luce dei contributi di questi anni dedicatialla catechesi degli adulti e, insieme, in unorizzonte più ampio di quello meramente ec-clesiale, nella consapevolezza che la difficoltàdi educare non riguarda solo i piccoli nellaChiesa, ma anche i genitori adulti, il mondodella scuola, quello del tempo libero, ecc.

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Molte linee di orientamento per il nostro la-voro sono già state enucleate dalla bellissimaSintesi del Convegno fatta da Mons. Lonardoe Don Sartor. Tale Sintesi dovrà essere og-getto attento di riflessione a partire dallaConsulta Nazionale. Il mio compito è piut-tosto quello di “rilanciare” alcune tematicheche si sono più volte proposte nella nostrariflessione di questi giorni, in modo che nonrimangano un bel pensiero ma possano es-sere tradotte in assunzioni operative.

Dal momento che moltissimo – come eragiusto – è stato detto sui destinatari del Pri-mo Annuncio, appunto i “Cercatori di Dio”,io vorrei piuttosto soffermarmi sulla figuradell’annunciatore, che poi è ciascuno di noi,dei nostri collaboratori, all’interno s’intendedell’intera Comunità Cristiana.

L’immagine che mi è tornata in questi giornispesso alla mente è quella del Servo tratteg-giata nei famosi Canti del Secondo Isaia, so-prattutto quel versetto di Is 53,1 «Chi avreb-be creduto al nostro annuncio?». In taleversetto è celato l’enigma che l’Eunuco Etio-pe, immerso nella lettura del IV Canto, ri-volge a Filippo in Atti 8,34: «Ti prego, diquale persona il profeta dice questo? Di sestesso o di qualcun altro?».1 L’interrogativopiù immediato sembra essere quello sullaidentità del Servo, ma un’attenta lettura diquesto testo, mostra che non si tratta solodi riconoscere l’identità di una persona, madi “credere ad un annuncio”.2 L’identità diquesto Servo è infatti strettamente connessaalla inaudita e radicale novità del “vangelo”che egli testimonia, una novità riconosciutaproprio da coloro che al Servo non avevano

ALCUNE LINEE CONCLUSIVEDEL CONVEGNO UCN

La bellezza dei “piedi” di chi annuncia

Don Guido Benzi, Direttore UCN

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1 Quando l’eunuco chiede se il testo si può applicare “a qualcun altro “ indubbiamente si riferisce alla sua con-dizione personale, avendo appena letto dal profeta “ma la sua posterità chi potrà mai descriverla?” e consciodella esclusione che lui stesso ha dal culto giudaico per la sua situazione (cf. Dt 23,2). Per l’interpretazione diquesto brano si può vedere J.N. ALETTI, Il racconto come teologia. Studio narrativo del terzo Vangelo e del librodegli Atti degli Apostoli, Roma 1996, 37-42. Beauchamp fa notare come qui si supponga una tradizione dilettura che avvicina il IV Canto del Servo Sofferente ai testi vicini: come 54,1 oppure 56,1 (la promessa agli eu-nuchi). Già in Sap 3,13-15 abbiamo la beatitudine della sterile e dell’eunuco. In Sap 5,1-13 nella trattazionedel giusto messo a morte abbiamo tutta una riflessione che parte da Is 54,1 e 56,3-7; cf. P. BEAUCHAMP, “Lectureet relectures du quatrième chant du Serviteur: d’Isaie à Jean”, in J. VERMEYLEN (ed), The book of Isaiah. Le Livred’Isaïe. Les oracles et leurs relectures; unité et complexité de l’ouvrage, Leuven 1989, 325-355. È anche em-blematica la domanda dell’eunuco “cosa mi impedisce di essere battezzato?” che fa evidentemente riferimentoal timore della esclusione dal culto. La risposta di Filippo è sia nella linea cristologica sia nella linea dell’annuncioevangelico da parte della Chiesa: “Filippo, aprendo la bocca,e partendo da quel passo della Scrittura, gliannunziò la buona novella di Gesù” (cf. il commento fatto su questo brano in P. BOSSUYT-J. RADERMAKERS, Letturapastorale degli Atti degli Apostoli, Bologna 1977, 350-351).2 Il gioco delle citazioni nel testo lucano è come al solito assai raffinato: alla citazione diretta del testo isaianodi 53,7-8 secondo la LXX egli fa seguire due citazioni “indirette”: Filippo “apre la bocca” ed “evangelizza”l’Etiope, mentre in Is 52,15 i re e le genti (forse non è tra questi l’Etiope?) “chiudono la bocca” perché vedranno“un annuncio mai udito”. La pecora della metafora (Is 53,7 e At 8,32) “non apre la bocca”.

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creduto, mettendolo a morte, mentre propriodalla sua testimonianza e dal suo sacrificioavrebbero ricevuto la rivelazione della sal-vezza e del perdono. Gesù stesso ha utiliz-zato questi testi di Isaia per annunciare ilmistero della sua Passione, Morte e Risur-rezione, dono di salvezza per «la moltitudi-ne» (Mc 10,45).3 Così la prima Chiesa hariletto in questi testi il Mistero di Gesù, e lasua identificazione con il Messia sofferentee glorificato.4

A questa immagine – come si sa e si puòvedere molto impegnativa – si sovrappone,sempre nel Secondo Isaia, quella del “mes-saggero che annuncia la pace” (Is 52,7). Potremmo così schematizzare il nostro in-tervento attraverso alcune parti fisiche delServo alle quali ricondurre alcune delle ri-flessioni compiute in questo convegno: losguardo, la bocca, l’orecchio, i piedi.

1. LO SGUARDO DEL SERVO

«Non ha apparenza né bellezzaper attirare i nostri sguardi,non splendore per poterci piacere» (Is 53,2).

È più volte tornato in questi giorni (stimolatidalle relazioni di Mons. Crociata e del Prof.Ziviani) la categoria avvincente del “sogno”e della “visione” in chiave profetica da pro-porre alle nostre comunità e da proporre(non solo a parole ma con la vita) nell’an-nuncio. Tali categorie sono molto importanti,esse escludono però, proprio nel loro radi-camento biblico, l’idea della «fascinazione»

così come esprime il Primo Isaia: «Essi di-cono ai veggenti: “Non abbiate visioni” e aiprofeti: “Non fateci profezie sincere, ditecicose piacevoli, profetateci illusioni!”» (Isaia30,10). Lo sguardo del Servo è uno sguardorealista e di fede che sa cogliere nella realtàla presenza di Dio proprio dentro i segni difragilità e di «passione» che la realtà pre-senta. Vorrei qui riportare un passaggio dellarelazione di Mons. Crociata che mi sembraveramente illuminante:

«La visione, il sogno, che sottostà a questo segnoprofetico è, allora, la convinzione di fede che lapresenza di Dio, l’opera di Cristo, il segno dellaChiesa sono vivi e all’opera in questo mondo e inquesto tempo, non sono stati esiliati e non ne sa-ranno rimossi. La visione è profetica, perché nonne conosce in anticipo le modalità e le forme, mane possiede la certezza, secondo la parola del Si-gnore: «Aprirò anche nel deserto una strada» (Is43,19; cf. 35,8). Ci passa per la mente il pensieroche in alcune terre la Chiesa si è ridotta ad un li-vello residuale; ma proprio questa circostanza sto-rica riconduce il nostro discorso alla sua dimen-sione propria. Siamo dinanzi ad una sfida dellafede, e non della fede degli altri bensì della nostra.Oggi è in gioco, come sempre e come non mai, laqualità della nostra fede. Da qui discende anchela configurazione concreta della nostra visione,del nostro sogno».

Se siamo chiamati – come ci è stato ricordatoanche nei Convegni degli anni passati soprat-tutto a Olbia e Genova – ad operare in unasocietà dove sempre di più Dio sembra appa-rire «non necessario», dobbiamo nello stessotempo maturare la convinzione che questa«kenosi» non tocca la potenza della Parola e

3 Il contesto di questo brano è quello del terzo annuncio della Passione. Per una discussione sulla sua pertinenzaai Canti del Servo Sofferente si veda P. BEAUCHAMP, Le Deutéro-Isaïe dans le cadre de l’alliance, Fourvière-Lyon1970, 49.4 Cf. per esempio Gv 12,37-50, e lo scopo “introduttorio” che hanno questi versetti con il racconto della Passionedi Gesù.

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dell’annuncio: «questa è la vittoria che havinto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4).In concreto bisogna che mentre proseguia-mo il nostro lavoro di riflessione e di attua-zione di cammini di Annuncio agli adulti,riprendiamo in mano una verifica seria delRinnovamento della Catechesi dell’Inizia-zione cristiana secondo le numerose e pre-ziose indicazioni che sono state enucleatenel corso di questo decennio. E non dimen-tichiamo la caratterizzazione «catecumena-le» che abbiamo riscoperto all’interno del-l’atto catechistico.

2. LA BOCCA DEL SERVO

«Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchioperché io ascolti come i discepoli» (Is 50,4).

L’evento ecclesiale del Sinodo sulla Paroladi Dio nella vita e nella missione della Chiesaci ha ricordato all’inizio del presente AnnoPastorale l’importanza della Parola nell’an-nuncio, nella celebrazione e nella testimo-nianza delle comunità Cristiane. Un’attentalettura delle Proposizioni – in attesa dellaEsortazione Apostolica postsinodale – ci mo-stra alcune direttrici importanti nel nostroimpegno per l’Annuncio e la Catechesi:

• Anzitutto la consonanza del DocumentoBase (del quale nel 2010 celebreremo ilquarantennio) con il Sinodo. Tale conso-nanza non è casuale, ma risale al comuneriferimento fedele alla Dei Verbum. Misembra che qui ci sia un interessante cam-po di indagine anche per dare vigore al

Primo annuncio nel solco della tradizionecatechistica italiana e – mi si permetta –per affrontare il tema della catechesi degliadulti anche in rapporto alla Parola di Dio.Si tratta, per dirla con uno slogan di CesareBissoli, di passare “Dalla pagina scritta allepersone vive: il Tu di Dio ed il Noi del po-polo”;5

• I temi della Comunicazione, che si sonoaffacciati nel nostro Convegno con la re-lazione di Mons. Pompili, debbono sen-z’altro poter avere un maggiore spessoreed una maggiore attenzione. Non si trattasolo di «curare» il nostro annuncio, si trattadi comprendere la grammatica fondamen-tale di un mondo comunicativo che ha as-sunto sempre maggiori dimensioni.

• In tale contesto riemerge, a tutti i livelli,il tema della FORMAZIONE dei catechistie dei formatori dei catechisti. Il documentoUCN del 2006 aspetta di essere ripreso perverificare quanto e come è stato utilizzatonelle nostre Diocesi.

3. L’ORECCHIO DEL SERVO

«Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchioe io non ho opposto resistenza,non mi sono tirato indietro» (Is 50,5).

L’immagine potrebbe facilmente sembrare laprosecuzione del tema precedente dell’«es-sere discepolo», va invece compresa in mododiverso. L’«apertura (foratura) dell’orecchio»si rifà all’usanza di marcare lo schiavo chedesidera rimanere a vita nella casa del pa-drone. «Quando tu avrai acquistato unoschiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni enel settimo potrà andarsene libero, senza ri-scatto… Ma se lo schiavo dice: “Io sono af-

5 Cf. C. BISSOLI, Dio parla Dio ascolta. Una lettura del XII Sinodo della Chiesa, LAS, Roma 2009, 37.

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La nostra lettera siete voi...100

fezionato al mio padrone, a mia moglie, aimiei figli, non voglio andarmene libero”, al-lora il suo padrone lo condurrà davanti aDio, lo farà accostare al battente o allo stipitedella porta e gli forerà l’orecchio con la le-sina, e quello resterà suo schiavo per sem-pre» (Esodo 21,2-6).Si tratta dunque di una fedeltà di appartenen-za (dentro una dimensione affettiva): il servodona tutto se stesso a Dio, secondo i modellivocazionali profetici dell’AT (Isaia, Gere-mia,...). Tale tema dell’appartenenza richiamaun altro passo della relazione di Mons. Cro-ciata sulla «cura dell’oggettività ecclesiale»:

«Cura della oggettività ecclesiale, dunque, non significamortificazione della partecipazione e del coinvolgi-mento personali, che, se possibile, devono raggiungerela densità più grande possibile, ma loro valorizzazioneunicamente nel segno di una uscita da sé verso Dio eil suo Cristo, verso i fratelli e verso il prossimo, perchésia attuazione della logica agapica della Pasqua e delVangelo che la proclama. Se una considerazione vo-gliamo concederci ancora su questo punto, essa ci co-stringe a dire che un malinteso protagonismo nellaChiesa ha l’effetto non solo di allontanare da essaquanti vorrebbero o potrebbero avvicinarsi, ma so-prattutto di tenere lontani dal fuoco vivo della graziaproprio quanti vanno ad attingervi ordinariamente. Alcentro della vita della Chiesa ci devono essere davvero,non solo per buona intenzione, ma per ordinamentoesteriore e per adesione cordiale, la Parola di Dio, lacelebrazione liturgica, la cura delle relazioni personalisecondo uno stile insieme affettivamente intenso e co-munitariamente ordinato, perché al centro della vitadella Chiesa c’è il Cristo di Dio. Questa cura consentedi guardare con vero spirito missionario quanti si av-vicinano o possono essere accostati e raggiunti siste-maticamente o occasionalmente dalla nostre comunitàecclesiali, perché esprime la coscienza che le distanzesono già state superate e che, per grazia, partecipiamodi un unico cammino che tutti conduce».

Anche qui possiamo fare due considerazioniche si traducono in indicazioni concrete:• In primo luogo dobbiamo sempre con mag-

giore attenzione valorizzare nell’Annuncio

e nella Catechesi la dimensione Liturgico-celebrativa. Qui si apre tutto un grandeambito di proposte e riflessioni. Basti ac-cennare al fatto che sempre di più staemergendo negli studi come le formula-zioni kerigmatiche che troviamo nei testibiblici avessero anche e soprattutto unavalenza celebrativa.

• In secondo luogo va approfondita e megliocompresa anche in chiave catechistica, laproposta di gradualità che, ad esempio dalRito del Matrimonio, viene fatta rispetto allacelebrazione della Parola (con indubbi ri-flessi catecumenali) ed alla celebrazione cheprevede la piena partecipazione eucaristica.

4. I PIEDI «BELLI» DEGLI EVANGELIZZATORI

Come sono belli sui montii piedi del messaggero che annuncia la pace,del messaggero di buone notizie che annuncia lasalvezza,che dice a Sion: «Regna il tuo Dio» (Is 52,7)

L’immagine mi sembra descrivere molto beneil nostro servizio al Signore e alla Chiesa. Seè vero che il compito dell’Annuncio e dellaCatechesi è in definitiva di tutta la Comunitàcristiana unita intorno ai suoi Pastori, tutta-via tale compito ha bisogno di chi si mettein spirito di servizio a “camminare”. Noi sia-mo «i piedi» che recano l’annuncio del regno.Piedi belli non per motivi estetici, ma perchéquesto annuncio, questo vangelo è «bello».Possiamo così concludere dicendo a noi stessiche dobbiamo avere molto a cuore la nostra“comunità catechistica” italiana. Solo se mo-striamo con verità e attenzione quanto essasia variegata e bella possiamo essere certiche il nostro servizio sarà di stimolo al cam-mino di tutta la comunità cristiana.

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conosce le situazioni che deve applicare le indi-cazioni, trovare un metodo per aprire i cuori edinvitare a mettersi in cammino con il Signore econ la Chiesa.

Il Papa sottolinea in primo luogo il ruolodella comunità cristiana:

La comunità dei fedeli è una cosa preziosa e nondobbiamo sottovalutare la realtà positiva e bellache costituiscono questi fedeli, i quali dicono sì alSignore nella Chiesa, cercano di vivere la fede,cercano di andare sulle orme del Signore. In questomodo credo che essi possano anche interpretareun ruolo missionario «senza parole», poiché sitratta di persone che vivono realmente una vitagiusta. E così offrono una testimonianza di comesia possibile vivere bene sulle strade indicate dalSignore.

Per l’annuncio il Santo Padre richiama dueelementi: la Parola e la testimonianza:

Con la Parola dobbiamo aprire luoghi di esperien-za della fede a quelli che cercano Dio. Così hafatto la Chiesa antica con il catecumenato, chenon era semplicemente una catechesi, una cosadottrinale, ma un luogo di progressiva esperienzadella vita della fede, nella quale poi si dischiudeanche la Parola, che diventa comprensibile solose interpretata dalla vita, realizzata dalla vita.Quindi mi sembra importante, insieme con la Pa-rola, la presenza di un luogo di ospitalità dellafede, un luogo in cui si fa una progressiva espe-rienza della fede. E qui vedo anche uno dei compiti della parrocchia:ospitalità per quelli che non conoscono questavita tipica della comunità parrocchiale. Non dob-biamo essere un cerchio chiuso in noi stessi. Ab-biamo le nostre consuetudini, ma dobbiamo co-munque aprirci e cercare di creare anche vestiboli,cioè spazi di avvicinamento. Uno che viene da

COMUNICAZIONE

DEL SETTORE CATECUMENATO

Walther Ruspi, Responsabile Servizio per il Catecumenato dell’UCN

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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UNA RIFLESSIONE COMUNECHE CI PORTA A RIFLETTERE

Prima di descrivere i dati pastorali circa ilcatecumenato degli adulti in Italia e le pro-blematiche emergenti a seguito di domandecrescenti di adesione al cattolicesimo, desi-dero richiamare le parole che, nel dialogocon il clero romano all’inizio di questa Qua-resima 2009, papa Benedetto XVI ha espres-so alla richiesta di dare un orientamento re-lativo ad una riscoperta pastorale missiona-ria nel nostro Paese.Un sacerdote gli domandava:

Si stanno moltiplicando le esperienze di primo an-nuncio e non mancano risultati anche molto in-coraggianti. Personalmente posso constatare comeil Vangelo, annunciato con gioia e franchezza,non tarda a guadagnare il cuore degli uomini edelle donne di questa città, proprio perché esso èla verità e corrisponde a ciò di cui più intimamenteha bisogno la persona umana. Quali devono essere i criteri imprescindibili di que-sta urgente azione di evangelizzazione? Quali so-no gli elementi che garantiscono di non correreinvano nella fatica pastorale dell’annuncio a que-sta generazione a noi contemporanea?

Il Santo Padre rispondeva:

Sono contento di sentire che si fa realmente questoprimo annuncio, che si va oltre i limiti della co-munità fedele, della parrocchia, … che si cerca diandare verso l’uomo d’oggi che vive senza Cristo,che ha dimenticato Cristo, per annunciargli il Van-gelo.Io non posso dare ricette, perché sono diverse lestrade da seguire, a seconda delle persone, delleloro professioni, delle varie situazioni. Ma è chi

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lontano non può subito entrare nella vita formatadi una parrocchia, che ha già le sue consuetudini.Per costui al momento tutto è molto sorprendente,lontano dalla sua vita. Quindi dobbiamo cercare di creare, con l’aiutodella Parola, quello che la Chiesa antica ha creatocon i catecumenati: spazi in cui cominciare a vi-vere la Parola, a seguire la Parola, a renderlacomprensibile e realistica, corrispondente a formedi esperienza reale. In questo senso mi sembramolto importante la necessità di collegare la Pa-rola con la testimonianza di una vita giusta, del-l’essere per gli altri, di aprirsi ai poveri, ai biso-gnosi, ma anche ai ricchi, che hanno bisogno diessere aperti nel loro cuore, di sentir bussare alloro cuore. Si tratta dunque di spazi diversi, a se-conda della situazione. L’esperienza concreta mo-strerà le strade da seguire.

È questa una ulteriore affermazione dell’im-portanza che il Santo Padre attribuisce al-l’itinerario catecumenale ed al processo del-l’iniziazione cristiana, per avviare corretta-mente una vera pastorale missionaria.

ALCUNI DATI STATISTICI

È ormai consuetudine di più di dieci anni larichiesta che l’UCN – con il Settore del Ca-tecumenato – rivolge a tutte le Diocesi, conla domanda di inviare i dati statistici del-l’anno che si è chiuso. La richiesta è rivoltain particolare al Cancelliere della Curia, aven-do il dovere di rilasciare l’autorizzazione delVescovo a celebrare l’iniziazione cristiana diun adulto, ma è rivolta pure ai Direttori degliUffici Catechistici e, ove esiste e si conosce,al Responsabile del Servizio del Catecume-nato diocesano, per l’interesse pastorale chequesto Ufficio coltiva. La risposta non ne-cessariamente deve giungere a ambedue gliUffici, ma con una condivisione di cono-scenze, basta che risponda uno solo.Si deve rilevare che progressivamente il nu-mero delle diocesi che stanno rispondendo

cresce di anno in anno, forse dovuto al fattoche la richiesta di Iniziazione cristiana daparte di adulti, interessa ormai un più vastoterritorio italiano. Rimangono però moltediocesi che non segnalano alcuna risposta,anche se si richiede di restituire il questio-nario, anche negativo, così da avere un ri-scontro più oggettivo.Si coltiva la fiducia che possa crescere lasensibilità che aiuta una più precisa analisipastorale.

Per l’anno 2008, possiamo sintetizzare al-cuni dati:

Diocesi che hanno risposto 128 (58,18)non hanno risposto 92 (41,82)

Battesimitotale 1207Maschi 505Femmine 702

Italiani 457 42%Stranieri 750 59%

Data Veglia pasquale 42%Pentecoste 9%Domenica 23%Altra data 26%

Qualcuno potrebbe obiettare la presenza diadulti che diventano cristiani sia irrilevante.La Chiesa francese, al di là di una valuta-zione spirituale, che non disprezza alcun do-no di grazia, ricorda che a livello pastorale,ove una diocesi sottolinea la possibilità diuna adesione alla fede in età adulta e sistrutturano dei percorsi di accompagnamen-to, quella chiesa sorgono i catecumeni, simanifestano coloro che cercano la speranzadonata da Cristo.

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Si deve infine sottolineare che entrare indialogo con adulti sulla ricchezza della fedee preparare adulti a divenire accompagnatoridi adulti, è mettere in atto una profonda ca-techesi e avviare un laboratorio che aiuta aritrovare un linguaggio capace di annunciareagli uomini e alle donne, oggi.

SEMINARIO sulla II Notadella Iniziazione cristiana

A 10 ANNI DELLA Nota II sull’ IniziazioneCristiana: una rilettura dei risultati e deipunti critici per una riproposta, in un con-testo che richiede un primo annuncio piùdiffuso.

1. INTRODUZIONELe scelte portanti e i nodi operativi intra-visti nella Nota

2. IL CAMMINO COMPIUTOLettura degli orientamenti dati in una dio-cesiAscolto valutativo di esperienze parroc-chiali (3) che focalizzino i seguenti punti– Primo annuncio– Coinvolgimento dei genitori– Unità dei sacramenti– Celebrazioni liturgiche– Inserimento del gruppo nella comunità– Mistagogia

3. Finestre aperte sul percorso realizzatodalle esperienze raccontate– Approfondimento teologico– Approfondimento pastorale

4. Punti di non ritorno e passi nuovi in unasocietà culturalmente mutata e trasfor-mata da notevoli e varie presenze migra-tori e che richiedono una pastorale di pri-

mo annuncio e un nuovo processo di ini-ziazione cristiana- sintesi finale –

INIZIATIVE EUROPEE

A Wiendal 30 aprile al 4 maggio si è svolto il22° Convegno dei Responsabili Nazionalidei Servizi del Catecumenato presenti nellediverse Chiese cristiane in Europa – EU-ROCAT 2009. Erano presenti i rappresen-tanti di 30 Chiese, cattolici e luterani sve-desi e finlandesi. La tematica trattata fu“integrazione” come processo di acco-glienza nella comunità civile ed ecclesiale.Il catecumenato è stato presentato all’in-terno di ciò che possono fare le Chiese,come messaggio di Dio a tutti noi oggi.

A Frankfurtdal 21 al 23 maggio si è svolto l’incontrodei responsabili diocesani della pastoralein Germania, Vescovi, Vicari Generali eLaici, che hanno confrontato le diverseiniziative presenti. Il Convegno aveva pertitolo “Christ werden – Christbleiben. DieChance des Katechumenats” (Divenirecristiani – restare cristiani. Le chancesdel catecumenato). Attraverso i docu-menti dei Vescovi tedeschi sono emersi idiversi impulsi che sono offerti dal cate-cumenato alla pastorale delle comunitàcristiane.

A Parigi È nota l’esperienza del catecumenatofrancese, come l’espressione istituzionalepiù significativa e operante ormai da unacinquantina d’anni. Nel processo di ve-rifica pastorale che caratterizza questaChiesa, è programmata per il 6-9 luglio2010 una Assise internazionale, promos-sa dell’ISPC (Institut Supérior de Pastorale

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Catéchétique), che intende fare una pa-noramica dei percorsi catecumenali nellediverse Chiese a livello intercontinentale.

A RomaUltimamente (4-7 maggio) si è svolto l’11° Simposio Europeo dei Vescovi inca-ricati per la catechesi e dei Direttori Na-zionali della catechesi, organizzato dalCCEE (Consilium Conferentiarum Episco-porum Europae). Vi è stato un ricco con-fronto sulla tematica pastorale La comu-nità cristiana e il primo annuncio. Du-rante questo Simposio è nuovamenteemersa come significativa, per l’evange-lizzazione, la pastorale catecumenale.

Ho voluto tracciare questa rapida panora-mica delle attività e delle riflessioni presentiin Europa, per dare testimonianza di molte-plici cammini che sono in atto da parte delleConferenze Episcopali e delle Comunità cri-stiane per assumere veramente il compito dievangelizzazione e tradurlo in solide e fon-date scelte educative alla vita cristiana.Ci basta qui sintetizzare quanto viene dettodal Direttorio Generale della Catechesi(1997) pubblicato dalla Congregazione peril Clero, come guida per tutta la pastoraledella Parola, quale l’annuncio e la catechesi.

“In molte grandi città la situazione che postula una* missione ad gentes e quella che richiede una nuovaevangelizzazione coesistono simultaneamente. Insie-me a esse, sono dinamicamente presenti comunitàcristiane missionarie, alimentate da un’azione pa-storale adeguata. Oggi accade spesso che nel terri-torio di una Chiesa particolare occorra far fronte al-l’insieme di queste situazioni. I confini tra cura pa-storale, nuova evangelizzazione e attività missiona-ria specifica non sono nettamente definibili e non èpensabile creare tra di esse barriere o compartimentistagno. Di fatto, ciascuna influisce sull’altra, la sti-mola e l’aiuta. Perciò in ordine al mutuo arricchi-mento delle azioni evangelizzatrici che convivonoinsieme, conviene tener presente che:

La missione ad gentes, quale che sia la zona o l’am-bito in cui si realizza, è la responsabilità missionariapiù specifica che Gesù ha affidato alla sua Chiesa e,pertanto, è il modello esemplare dell’insieme del-l’azione missionaria della Chiesa. La nuova evange-lizzazione non può soppiantare o sostituire la mis-sione ad gentes, che continua ad essere l’attivitàmissionaria specifica e compito primario.Il modello di ogni catechesi è il Catecumenato bat-tesimale, che è formazione specifica mediante la qua-le l’adulto convertito alla fede è portato alla confes-sione della fede battesimale durante la veglia pa-squale. Questa formazione catecumenale deve ispi-rare le altre forme di catechesi, nei loro obiettivi enel loro dinamismo” (DGC 90-91).

PROBLEMATICHE

Concludo sottolineando alcuni punti di pro-spettiva che ci giungono dall’esperienza pa-storale nelle nostre diocesi.

Annuncio della fede e migrazioniEvoco semplicemente questa sfida pastoraleche ci pone di fronte ad orizzonti decisa-mente nuovi, che richiedono cambiamentodi giudizi e capacità di accoglienza umanaed energie di carità di fronte a moltepliciemergenze. Ma l’annuncio della fede è cam-mino delle nostre chiese, in queste circo-stanze, ad andare oltre le emergenze, perfar entrare nel circolo della fraternità e del-l’accoglienza. Sono molte le testimonianzee le spinte per una nuova missionarietà, maqui la nostra esperienza comune è più elo-quente di molte argomentazioni.

IslamSono tanti coloro che quando si parla di ca-tecumenato chiedono quanti sono i mussul-mani che si convertono al cristianesimo. GiàSan Francesco rispondeva che tale adesionedi fede si compie “se Dio vorrà”. Deve esserelontano da noi la tentazione della conquista,

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della supremazia, ma la nostra testimonianzadeve procedere con la forza della carità. Staproprio in queste esperienze di vita comune,di rispetto, di stima e di libertà che scopriamoil fascino e il richiamo che esercita la personae il messaggio di Gesù su coloro che fannoparte della tradizione mussulmana.

RagazziTra i nuovi dati pastorali, uno è in continuacrescita, ma sembra che le nostre comunitànon se ne avvedano, o cerchino di affron-tarlo con risposte pastorali vecchie. Tale datopastorale è la diminuzione di battesimi datonell’infanzia, accompagnato da un dato fa-miliare di provvisorietà, di convivenza, dirimando ad un impegno reciproco in un ma-trimonio riconosciuto da una forma istitu-zionale (religiosa o civile). Quali nuovi itinerari educativi alla fede perfanciulli e ragazzi che si accostano alla co-

munità cristiana in una età più matura? Sap-piamo tutti che non basta “battezzare” convecchia mentalità sacramentalizzante: laConferenza Episcopale Italiana, con la II No-ta sulla IC, ha aperto una linea di ripensa-mento. Sono dieci anni che circola tra le no-stre comunità, ma con quale convinzione?È una domanda che richiede di tornare acercare una nuova pastorale di IC.

Nuovi adempimenti burocratici e nuovaispirazione missionaria?Pongo infine un’ultima riflessione. Osser-vando l’estendersi delle prassi catecumenalinelle nostre diocesi, qualche volta si ha l’im-pressione di assistere ad una burocratizza-zione del cammino e non ad una acquisizio-ne di una spinta missionaria, perché appareche l’accompagnamento catechistico è postoin secondo piano, poco attento a stare ac-canto alla vita e alle domande dell’adulto.

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Questa prassi annuale di rendere conto, siapur succintamente, del lavoro del SettoreApostolato Biblico nazionale ai direttori dio-cesani dell’UC, non vuol essere un fattoburocratico, invece mantiene sempre l’in-tento di dare e ricevere informazioni e sug-gerimenti per un impegno che riteniamoprimario nella Chiesa: formare ed animarei fedeli cristiani ad ascoltare la Parola diDio come indispensabile pane quotidianodella fede e fonte di consolazione per lavita.Ecco qui alcuni dati che motivano tale af-fermazione (1), esprimono il cammino com-piuto a livello nazionale (2), propongonoadeguate prospettive di impegno coinvol-genti l’Ufficio Catechistico Diocesano dovenormalmente si svolge il servizio biblico (3). Premetto che questa comunicazione racco-glie pensieri del SAB nazionale.

1. Tra gli AVVENIMENTI di questo anno, che ri-propongono con la forza dell’urgenza e dellapriorità, l’impegno di un conversione biblicapersonale e di tutta la pastorale, ne ricor-diamo tre: l’anno paolino che sta per chiu-dersi, la nuova Traduzione della Bibbia CEI,il Sinodo sulla Parola di Dio.

1.1 Merito dell’Anno Paolino è stato pertanti la scoperta vera e propria – e quantomai gradita – di Paolo, del suo vangelo (lanescienza era ed è profonda), con fonda-mentale arricchimento a riguardo del mistero

di Cristo colto nella sua centralità pasqualee del volto reale della Chiesa nel tempo.Voi siete testimoni per la vostra chiesa ditante iniziative al proposito. Come SAB ab-biamo pubblicato una guida “In camminocon S. Paolo, di 15 schede (vita, scritti, teo-logia, spiritualità, con traccia di riflessione– che avete in cartella). Ha avuto una buonadiffusione e vale ancora oggi.1.2 Della nuova traduzione (revisione) del-la Bibbia CEI le nostre comunità si sonorese più o meno conto. Un buon servizio diAB dovrebbe parlarne per due obiettivi con-nessi: rendere consapevoli del valore dellaliturgia della Parola specie nell’Eucaristia do-menicale; far prendere coscienza del valoredell’ascolto e della lettura diretta del testosacro.1.3 Quanto al Sinodo sulla Parola di Dio,ne sono sortiti un bel messaggio e 55 denseproposizioni. Si attende l’Esortazione apo-stolica del Papa (novembre 2009?). Ma nonsi dovrebbe aspettare quel documento perfare qualcosa, ma entrare nella correnteaperta dallo Spirito Santo con il Sinodo ( leproposizioni dicono bene il tracciato) per co-minciare (se vi è bisogno) un cammino bi-blico che sia ecclesiale, di popolo, sicura-mente per approfondire teologicamente ilmistero della Parola di Dio e della Bibbia chene è come un sacramento (cf. Pro 7), oveDei Verbum resta sempre essenziale, ma an-che – come conseguenza seria e primaria –per avviare o rafforzare una adeguata strut-

COMUNICAZIONEDEL SETTORE APOSTOLATO BIBLICO

ATTIVITÀ E PROSPETTIVE(GIUGNO 2008-2009)

Cesare Bissoli, Coordinatore Settore Apostolato Biblico dell’UCN

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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tura organizzativa a livello diocesano (il SABappunto). Proprio il Sinodo, come eventoecclesiale , con il testo annesso, lo riteniamocome approdo del Vaticano II e sua nuovapartenza.1

In verità il Sinodo, sempre sulla base del DeiVerbum, arricchisce notevolmente questaCostituzione, in particolare il c. VI. Mi per-metto di dire che non si potrà essere fedelialla pastorale biblica richiesta nel secondomillennio senza confrontarsi con l’imposta-zione del Sinodo nei suoi tre capitoli: la Pa-rola di Dio come ‘evento Gesù Cristo’, in-trinseca vocazione ecclesiale della Parola, ilinguaggi della Parola di Dio come una sin-fonia, Eucaristia supremo luogo vitale dellaBibbia, Parola di Dio e carità , incontro oran-te con essa (LD), Bibbia e dialogo ecume-nico, interreligioso, interculturale, adeguatapreparazione dei ministri della Parola, pre-sbiteri e laici/e; infine, l’impegno dell’incon-tro personale con la Scrittura: leggiamo tratutte la proposizione nona: “Questo Sinodoripropone con forza a tutti i fedeli l’incontrocon Gesù, Parola di Dio fatta carne, comeevento di grazia che riaccade nella lettura enell’ascolto delle sacre Scritture. Ricorda SanCipriano, raccogliendo un pensiero condivisodai Padri: “Attendi con assiduità alla pre-ghiera e alla Lectio divina. Quando preghiparli con Dio, quando leggi è Dio che parlacon te” (Ad Donatum, 15). Pertanto auspi-chiamo vivamente che da questa assembleascaturisca una nuova stagione di più grandeamore per la Sacra Scrittura da parte di tuttii membri del Popolo di Dio, cosicché dallaloro lettura orante e fedele nel tempo si ap-profondisca il rapporto con la persona stessadi Gesù. In questa prospettiva, si auspica –per quanto possibile – che ogni fedele pos-

sieda personalmente la Bibbia (cf. Dt 17,18-20) e goda dei benefici della speciale in-dulgenza legata alla lettura delle Scritture(cf. Indulgentiarum Doctrina, 30)”

2. Il PERCORSO DI QUEST’ANNO 2008-2009 (GIU-GNO), riguarda ciò che è avvenuto a livellonazionale, lasciando a ciascuno le tante ini-ziative locali

2.1 Come primo accenniamo a quella cherimane sempre l’iniziativa più grande: il con-vegno nazionale per animatori dell’AB. Sia-mo già arrivati al 18° convegno. È direttospecificamente – unico nel suo genere adanimatori biblici. Si svolge intorno al primoweek-end di febbraio (venerdì pomeriggio-domenica mattina). Abitualmente sono uncentinaio i partecipanti, un po’ di tutte le re-gioni italiane, per una cinquantina di diocesi,la maggior parte sono laici/e, estremamentemotivati, ricchi di esperienze e non senzaqualche inquietudine e sofferenza per l’at-teggiamento cauteloso, poco collaborativodei presbiteri. Soprattutto in questi ultimianni si è manifestato un desiderio di discorsiesegeticamente qualificati, per cui al Conve-gno sono chiamati esperti noti con tematichealte, non riducibili a suggerimenti pratico-pratici. Vi è sempre però lo spazio per unoscambio di esperienze, momento utilissimo,anzi unico, per conoscerci nei fatti e cosìfarsi una visione della realtà italiana. Vor-remmo che fosse di più. Di qui le prospettivedi lavoro che seguono. Intanto ricordiamoche per il biennio 2009-2010 ci stiamo im-pegnando sulla Parola di Dio alla luce delSinodo. Chi del resto più dei responsabilidell’AB deve rimboccarsi le maniche per unadiffusione di conoscenza e di attuazione nel-

1 Mi permetto di ricordare il mio Dio parla, Dio ascolta. Una lettura del XII Sinodo della Chiesa, LAS, Roma2009, Euro 9.

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le diocesi? Per il 2009 ci siamo interessatisu come ascoltare e servire la Parola di Dioalla luce dei profeti e di Paolo, nell’incontrodi AT e NT, all’interno della comunità, inte-ressandoci anche dell’ottica evangelica edebraica di ascolto della Parola.2 I contenutidel Convegno si trovano nel sito dell’UCN([email protected]) e finalmente entre-ranno a far parte dell’Annale di ogni anno.Per il 2010 ( inizio febbraio a Villa Aurelia),per il 18° convegno nazionale, stiamo pro-gettando lo studio della Esortazione sinodaleche dovrebbe uscire durante quest’anno, av-valendoci di membri del Sinodo stesso e dialtri esperti e soprattutto approntando unlaboratorio dove gli animatori stessi portanoil loro contributo in ordine alla prassi

2.2 Un secondo servizio di qualità è l’impe-gno, che troviamo necessario, di formazionedegli animatori biblici. A La Verna dal 26luglio al 1 agosto 2009 , si terrà il 15° corso,che pone a tema “donne e uomini tra AT eNT in cammino verso Cristo. I - Paolo e Ge-remia”. Vero laboratorio di apprendimentosia esegetico, sia pastorale, sia didattico. Colcoordinamento di Don Marco Mani (Diret-tore UCD di Mantova) vi operano membridel SAB nazionale, tra cui il nostro direttoredell’UCN Don Benzi, con il prezioso serviziodi Don R. Fabris.Invece a Capo Rizzuto (Crotone) il taglio delcorso formativo è dato dalla relazione ‘Bibbiae comunicazione’, sapendo dell’enorme im-portanza della comunicazione nel senso lar-go e pieno. Nel luglio 2008 si è svolta la 2°Settimana biblica dedicata a “Paolo, unastrategia di annuncio. Identikit di una co-municazione di impatto”, ora diventato libropresso la San Paolo a cura di G. Mazza e di

G. Perego. Nel 2009, dal 5 al 10 luglio, sisvolgerà la 3a Settimana Biblica interdisci-plinare sempre per animatori, avendo atema: Pedagogie della Parola. L’emergen -za educativa tra universo biblico e culturadella comunicazione, con esperti qualificati(v. www.bibbiaecomunicazione.it)

Invitiamo caldamente i direttori degli UC ei responsabili dell’AB a far conoscere, par-tecipare e far partecipare sia al Convegnonazionale sia ai corsi estivi ora citati quellisoprattutto che avranno in diocesi un ruolospecifico di formazione degli animatori. Viassicuriamo che ne usciranno soddisfattied incoraggiati a fare il proprio non facilecompito e saranno desiderosi di continuarela formazione biblica in diocesi.

3. PROSPETTIVE, sono qui messi alcuni puntisalienti per avere il vostro parere e collabo-razione

3.1 Anzitutto ricordiamo –l’abbiamo già ac-cennato- l’impegno del Convegno nazionalee dei due corsi estivi. L’informazione vi giun-ge a domicilio a momento opportuno. Unacosa chiediamo, di non mirare al cestino co-me nel gioco della pallacanestro. Abbiamosentito animatori lamentarsi di non averricevuto notizie ad hoc.

3.2 Intendiamo anche realizzare dei sussidiutili: ad es. riguardo alla Bibbia nel processodi iniziazione cristiana, secondo il principioche iniziare alla fede è iniziare alla Paroladi Dio, specificamente al Libro Sacro (cf. LaBibbia nella vita della Chiesa, 27). Ed an-cora pensiamo di sviluppare in schede ra-gionate la prossima Esortazione Apostolica

2 Ricordiamo i nomi di L. Mazzinghi, A. Pitta, M. Grilli, S. Noceti, P. Ricca, M. Mottolese.

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di Benedetto XVI su La Parola di Dio nellavita e nella missione della Chiesa. Così pureriteniamo utile impegnaci, sempre sul ver-sante biblico, per l’imminente ‘anno sacer-dotale’. E specificamente ci interessa accom-pagnare, sempre con la ricchezza della Bibbia,il prossimo decennio della Chiesa italiana de-dicato all’educazione. Vi saremmo molto gratise voi stessi suggeriste proposte di sussidiazione per i gruppi biblici o altre attività.

3.3 Ma ancora più mirata, vasta e bisognosadella vostra collaborazione è la meta che,quale SAB nazionale, vogliamo lanciare co-me attuazione del Sinodo sulla Parola di Dioe in vista dei 45 anni di Dei Verbum (1965-2010). La Bibbia si sta ‘popolarizzando’, di-ventando il libro della fede per tanti adulti,anzi un vero e propri cammino di fede degliadulti. Ragioni teologiche e attese pastoralirichiedono che la pianta appena nata nonsolo non muoia, ma cresca bene e si molti-plichino i rami, appaia come una ‘parabola’del farsi del Regno di Dio (cf. Mc 4,30-32).Si profilano perciò esigenze sempre piùmarcate:

– recepire da parte di ogni comunità locale(diocesi) l’incontro con il libro sacro, nellediverse forme dalla Liturgia della Parolanell’Eucaristia domenicale, nelle esperien-ze di incontro diretto (LD…) come espe-rienza propriamente ecclesiale condivisa enon soltanto devozionale e ad libitum;

– definire bene l’identità dell’apostolato bi-blico, la ministerialità che ne consegue, illessico che si usa ( gruppo biblico, lectiodivina, lettura orante…)

– precisare in concreto l’identità dell’anima-tore biblico e la sua formazione

– come pure assolvere l’esigenza di camminiformativi per l’incontro con la Bibbia, se-condo vari destinatari e tramite le diverse

agenzie formative (ISSR, scuole diocesane,progetto culturale…)

– porre in dialogo e collaborazione enti chefanno formazione /promozione biblica (centri di spiritualità, monasteri, associa-zioni, movimenti…)

– impostare in maniera fruttuosa il rapportotra Bibbia e catechismi nazionali, valoriz-zandone le indubbie ricchezze bibliche,nell’occasione in particolare dei 40 annidel documento-base Il Rinnovamento del-la catechesi (1970-2010).

3.4 A questo scopo il SAB nazionale avvertela necessità di una certa istituzionalizzazionecondivisa, da approfondire e fare insieme, icui punti salienti raccogliamo come ipotesiin questi tre:

– mirare che ogni diocesi possa giungere adun SAB diocesano, inserito preferibilmen-te – come sta del resto avvenendo – nel-l’ufficio catechistico diocesano, o non senzal’aiuto che può dare l’UCD, analogamentea quanto avviene a livello nazionale;

– stabilire un collegamento tra i vari SABdiocesani ( e in una diocesi tra gli uffici oservizi a livello parrocchiale) come segnodi comunione e di reciproca informazioneed aiuto. L’esperienza ci dice che iniziativecome queste se non vogliono cominciareesangui e pronte a spegnersi, hanno biso-gno di collaborazione e dunque di comu-nicazione a livello regionale e nazionale.Come avviene del resto per la catechesi;

– una mediazione che stimiamo realistica econcreta è di radicare questa forma di co-ordinamento negli Uffici Catechistici Re-gionali, sapendo che tali consulte hannosempre un rapporto con l’UCN e dunquecon il SAB nazionale e normalmente anchecon gli UCD.

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Chiaramente il discorso che qui si apre verràportato avanti con la consulta degli UC a li-vello nazionale, ma essendo voi direttamen-te collegati con la regione, voi stessi sietedirettamente coinvolti per dare il vostro pa-rere in regione e offrire soprattutto la vostracollaborazione.

Termino portando una proposizione del Si-nodo ben espressiva

Pastorale biblicaLa Dei Verbum esorta a fare della Parola di Dionon solo l’anima della teologia, ma anche l’ani-ma dell’intera pastorale, della vita e della mis-sione della Chiesa (cf. DV 24). I Vescovi devono

essere i primi promotori di questa dinamica nelleloro diocesi. Per essere annunciatore e annun-ciatore credibile, il vescovo deve nutrirsi, lui perprimo, della Parola di Dio così da sostenere erendere sempre più fecondo il proprio ministeroepiscopale. Il Sinodo raccomanda di incrementarela “pastorale biblica” non in giustapposizionecon altre forme della pastorale, ma come ani-mazione biblica dell’intera pastorale. Sotto laguida dei Pastori tutti i battezzati partecipanoalla missione della Chiesa. I Padri sinodali desi-derano esprimere la più viva stima e gratitudinenonché l’incoraggiamento per il servizio al-l’evangelizzazione che tanti laici, e in particolarele donne, offrono con generosità e impegno nellecomunità sparse per il mondo, sull’esempio diMaria di Magdala prima testimone della gioiapasquale (Pro. 30)

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“Ascoltare le domande, comunicare il Van-gelo, condividere l’incontro con il Cristo”

Carissimi fratelli,vorrei tentare di leggere le pagine sacre

della Liturgia di oggi alla luce di queste pa-role che segnano il Convegno Nazionale deiDirettori degli Uffici Catechistici Diocesanid’Italia che stiamo vivendo in questi giorni:“Ascoltare le domande, comunicare il Van-gelo, condividere l’incontro con il Cristo”.

ASCOLTARE LE DOMANDE

“Ascolta, Signore, la mia voce: a te io grido.Sei tu il mio aiuto, non respingermi, nonabbandonarmi, Dio della mia salvezza”:così inizia oggi l’Antifona di ingresso. E laColletta ne riprende l’eco: “Dio, fortezza dichi spera in te, ascolta benigno le nostreinvocazioni...”.Ma questo desiderio di “ascolto” da partedell’orante, che è rivolto a Dio, divental’ascolto cui è chiamata la Chiesa, nel suoessere segno della presenza misericordiosadi Dio nel mondo. Ed è chiamata tutta laChiesa: quella dei primi tempi, quella di oggi,la Chiesa di sempre. Ascoltare le domande.Anche S. Paolo oggi parla di domande ascol-tate e di risposte date dalle chiese di Mace-donia, che hanno tramutato la loro estremapovertà nella ricchezza di una generosità,che è andata al di là dei loro mezzi. L’ascoltodella povertà degli altri è diventato per quellechiese risposta con l’offerta della ricchezzadella propria povertà. Chiese attente, Chiesetestimoni, quelle della Macedonia, di cui

parla Paolo oggi.Proprio questo “ascoltare” è il compito cuiè chiamata, vi dicevo, la Chiesa di sempre,la Chiesa di oggi.Ed oggi, miei cari fratelli, l’ascolto avviene –grazie a Dio – e si tramuta in risposta, quan-do le domande vengono poste, quelle do-mande che si riferiscono specialmente allacondizione disagiata di molti fratelli.Le pagine della cronaca e della storia sonopiene di segni di questa molteplice rispostadella Chiesa ai bisogni degli ultimi.Le opere di carità e il sostegno a una miriadedi fratelli bisognosi rientrano nel camminoquotidiano delle nostre comunità, spesso nelsilenzio e all’insaputa dei mezzi di comuni-cazione. E non sono mai sufficienti, devonocrescere giorno dietro giorno...Ma, il compito della Chiesa di oggi, fratellicarissimi, è molto, davvero molto più pro-fondo.È il compito straordinario di ascoltare quelledomande che paradossalmente non vengo-no espresse; che molte volte non sono dette;che, spesso, anzi, sono volutamente taciute,quasi nascoste per una sorta a volte di pu-dore, altre volte di sordo rancore.L’uomo di oggi spesso tiene chiuse a chiave,dentro di sè, le domande. Non le rivela: enon solo per una sorta di orgoglioso riserbo,o se volete di delicato pudore, ma – dobbia-mo dircelo – anche per una evidente sfidu-cia. Sfiducia non solo nelle istituzioni, maperfino a volte nella Chiesa.Preferisce l’uomo di oggi una solitudine sen-za risposte, anziché risposte che non tocchi-no il perché della sua solitudine.

OMELIA ALLA SANTA MESSADEL 16 GIUGNO 2009

† Vittorio Mondello, Arcivescovo Metropolita di Reggio Calabria-Bova

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Omelia112

Una solitudine che diventa tanto più fortequanto più la persona si trova smarrita difronte al mistero dell’aldilà, dello sbocco ul-timo della vita oltre la morte; oppure si do-manda il perché delle tristi e a volte platealiincoerenze tra l’annuncio del Vangelo e lavita di chi l’annuncia; oppure non riesce arisolvere la miriade di dubbi che si insinuanocome ferite nascoste nello spessore del suopensiero.Il compito enorme per la Chiesa di oggi è difarsi attenta anche alle domande non dette.Di ascoltare il silenzio della persona umana.Solo così le sarà possibile di entrare nellavita, nel cuore della gente comune. Deve,in un certo senso, la Chiesa, fare suo lo stiledi Cristo, che sapeva bene quello che c’erain ognuno. Aveva lo sguardo penetrante el’esperienza della preghiera prolungata. Èquesto che lo rendeva capace di capire, diascoltare le domande non dette.E questo è necessario per la Chiesa di oggie per tutti i suoi ministri, per chiunque inEssa svolga un ministero per gli altri: averelo sguardo penetrante e l’esperienza dellapreghiera prolungata.

COMUNICARE IL VANGELO

Allora, l’ascolto delle domande suscita la“comunicazione del Vangelo”. Ed oggi nellaliturgia questa comunicazione raggiunge unvertice straordinario in una parola, in unasorta di rivelazione che Paolo di Tarso fa aiCorinti. Una delle perle più belle dell’interomessaggio cristiano: “Cristo, da ricco cheera, si è fatto povero per voi, perché voi di-ventaste ricchi per mezzo della sua pover-tà”. La comunicazione di questo “vangelo”,di questo messaggio, è quanto mai neces-saria ed urgente, e direi decisiva, per l’uomodi oggi.

L’uomo di oggi, infatti, si ritrova prigioniero.Prigioniero non solo dei suoi dubbi, dellesue fragilità, dei suoi sogni non realizzati,delle sue speranze deluse. Ma si ritrova pri-gioniero soprattutto di un modo di pensare,di un clima culturale, che rischia di ridurloda “persona” a “cosa”.È quella diffusa cultura dell’avere, per cuitu vali per quello che hai. Non conta chisei, conta ciò che hai. Si finisce anzi con ilcredere che una persona è quello che ha.L’identità della persona si smarrisce nel pos-sesso delle cose.I mezzi di comunicazione fanno a gara nelpresentare la persona umana ridotta a cosa:ridotta al suo libretto di assegni, ai suoi ac-quisti, alla soddisfazione dei suoi piaceri,all’aspetto del suo corpo, al suo apparire.Sei quello che hai, sei solo se appari.Dentro questo mondo, dentro questo tipo dicultura, siamo chiamati come Chiesa a gri-dare l’annuncio che Paolo di Tarso fa oggi,a farlo penetrare come spada che ferisce:“Cristo, da ricco che era, si fece povero,perché voi diventaste ricchi per mezzo dellasua povertà”.Perché è un annuncio, questo, che ponel’uomo d’oggi di fronte al “fatto” della “pre-senza” di Cristo, di fronte all’autentica “ri-voluzione cristiana”, che dà senso ad ogniaspetto della sua vita.C’è un brano di S. Agostino, semplicementesplendido, su questo grido di S. Paolo.“Cristo, da ricco che era – scrive S. Agosti-no – si è reso povero per noi”. E continua:“Cerchi l’oro? L’ha creato lui. Cerchi l’ar-gento? L’ha creato lui... Cerchi mandrie dibestiame? Sono opera sua. Cerchi latifondi?Li ha fatti lui. Ad opera di lui sono statefatte tutte le cose e nulla è stato fatto senzadi lui”.E qui S. Agostino raggiunge il vertice dellasua riflessione. Dice: “Tutte le cose furono

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fatte per opera di lui, ma lui stesso volleessere «una di queste cose». Colui, che creòl’universo, volle essere «creatura» nell’am-bito di questo universo. Colui, che creò l’uo-mo, si fece uomo...”.E qui si rivolge S. Agostino ad ognuno deilettori, a ciascuno di noi. “E ora torna a ri-flettere – ci dice, «Guardalo!» – Eccolo là:lui, che era ricco, prese una carne mortalenel grembo della Vergine. Nacque bambino,fu avvolto in panni, fu posto nella man-giatoia, attese con pazienza il succedersidelle età; con pazienza subì i condiziona-menti del tempo, lui che del tempo era l’au-tore. Succhiò il latte, emise vagiti, si pre-sentò come un bambino. Ma, giaceva e re-gnava; stava nel presepio e sorreggeva ilmondo; era allattato dalla madre e venivaadorato dai popoli pagani... Ecco la suaricchezza, ecco la sua povertà: la ricchezzaper cui tu fosti creato, la povertà per cuifosti riammesso in casa”.

Fratelli carissimi, l’espressione di San Paoloè paradossale, perché non si è mai visto unoche da ricco diventa povero per arricchiredella propria povertà gli altri; in genere unoche diventa povero non arricchisce nessuno.Ma il brano di S. Agostino ce ne fa capireil senso mettendoci di fronte al “mistero del-l’incarnazione” come “mistero di povertà”.E il nostro pensiero va al Cristo che, comeogni persona umana, è soggetto alla fame,alla sete e alla stanchezza (Gv 4, 6-7); alCristo che si commuove e piange (Gv 11,34-38); è toccato dal tradimento di Giuda edal rinnegamento di Pietro (Gv 13, 21);nell’ora del Getsemani rivela che la sua ani-ma è triste fino a morire (Mc 14, 34); alCristo, che sperimenta la solitudine e l’ab-bandono (Mt 27, 46); vive fino in fondo ilmistero della kènosi, della povertà non solofisica, ma totale. Dona tutto se stesso, fino

all’ultimo respiro...Come, del resto, aveva fatto lungo la suavita terrena: incalzato dalle folle, rinuncia adisporre di sè e del suo tempo. Gesù non siappartiene.Uno dei segni di questo suo non apparte-nersi, di questa rinuncia, è il suo modo divivere nel tempo. Vive spogliato di se stesso.Il suo tempo non gli appartiene più: è tuttoconsacrato al Padre e alla sua opera. Il suotempo non è suo, ma di quelli che hannobisogno di lui.È questa, fratelli miei, l’icona più credibiledi uomini e donne della Chiesa che voglianooggi rispondere alle domande della gente ecomunicare il Vangelo: vivere senza posse-dersi.Donare, insomma – spogliati di noi stessi –la vita e il tempo a chi ha bisogno di noi.Così si comunica il Vangelo.

CONDIVIDERE L’INCONTRO COL CRISTO

Ma questo, miei cari fratelli, può accaderesolo se noi stessi abbiamo incontrato il Cri-sto. Tutto, allora, diventa naturale. Anchequello che può sembrare impossibile, diven-ta possibile. Diventa un dono.Come la pagina del Vangelo di oggi. Unapagina che ci colloca dentro una frontierache sembra assurda, ritenuta impossibiledalla cultura dominante, e che diventa na-turale per chi ha vissuto l’incontro conCristo.“Amate i vostri nemici, pregate per i vostripersecutori”. Non sono parole antiche, sonoparole di una scottante tragica attualità.Perché i nemici della Chiesa esistono oggi ei persecutori anche. Ed esistono nemici epersecutori palesi ed occulti.La storia del secolo scorso, e dei primi annidi questo secolo, è storia dei martiri cristiani,

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in una maniera impressionante, che non hal’uguale nella storia passata, nemmeno inquella dei primi tempi della Chiesa.Nemici e persecutori palesi ed occulti, fuorie dentro l’Europa, fuori e dentro la nostraItalia.E se dalle nostre parti non siamo arrivati almartirio fisico, nessuno può negare che sia-mo dentro scenari di quotidiano martirio spi-rituale.Basti pensare, ne dico solo una, a quel chesi legge – non solo su certi giornali – masoprattutto sui liberi commenti on-line circala figura del nostro amato Pontefice Bene-detto XVI. Una miriade di assurde e gratuiteoffese, ospitate come libera espressione delpensiero, senza capire l’offesa che si recaalla comunità cristiana del mondo intero.Dinanzi a questo – e ad una serie di fattiquotidiani e circoscritti di cui ciascuno puòessere a conoscenza – diventa davvero dif-ficile vivere la parola di Cristo: “Amate i vo-stri nemici”.È facile questa parola annunziarla dai pulpitidelle nostre chiese con voce più o meno si-cura; difficile viverla nelle vicende della vitaquotidiana.Quando qualcosa tocca la tua persona, pro-prio allora sei chiamato tu a vivere questaparola.

Quando tu sei stato offeso, tu sei odiato, tucolpito da un nemico, tu perseguitato, cometi senti dentro?Ti senti forse deluso, distrutto, annichilito,adirato... vorresti forse che accadesse qual-cosa per ristabilire la verità... ti lamenti nellapreghiera silenziosa e gridi a Dio il tuo di-sagio...Ma egli ti rispnde con quella paradossale pa-rola: “Ama il tuo nemico”, “prega per chi tiperseguita”, per chi non ti capisce, per chiparla male di te dietro le tue spalle, per chicerca di farti del male a tua insaputa... ama!È questa, fratelli miei, la frontiera più alta,una frontiera che ci disturba. Ma è l’unicache ci permette di essere cristiani.Se abbiamo incontrato Cristo, tutto diventanaturale. E l’offerta dell’amore al nemicodiventa il segno più grande dell’incontro conCristo. Amando così, si condivide l’incontrocon Cristo.Credo che oggi siamo chiamati tutti ad unesame della nostra vita e ad una riscopertadi questa follia dell’amore.In un tempo di sconsolante relativismo e disfiducia diffusa, l’offerta di un amore cosìalto sarà il grande segnale che può ancora,io credo, meravigliare la gente e condurlaall’incontro col mistero di Dio e del SuoFiglio.

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CAPITOLO 2

XVII Convegno NazionaleApostolato Biblico

In religioso ascoltodella Parola di Dio...

(Dv 1)

Gli animatori biblicied il Ministero della Parola

Roma4-6 febbraio 2009

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Carissimi amici,sono proprio lieto che il primo atto pubblicodel mio nuovo incarico qui alla CEI sia quellodi fare il saluto iniziale a questo Convegnodel Settore dell’Apostolato Biblico. Con tantidi voi c’è una conoscenza ed un’amiciziaantica, cementata dal comune servizio allaParola di Dio e sostenuta dalla consapevo-lezza che tanti uomini e donne del nostrotempo hanno fame e sete del Vangelo, perscoprire in esso Gesù vivo e risorto.Lascio la disamina del tema del Convegnoe delle sue declinazioni nel programma aDon Cesare Bissoli, il cui infaticabile ed in-defettibile servizio per l’UCN, in qualità diConsulente per il Settore dell’Apostolato Bi-blico, ho auspicato continuasse.Desidero solo collocare questo Convegnonell’ambito di un tempo che è stato caricodi eventi riguardo alla diffusione ed all’ap-profondimento della Parola di Dio.Prima di tutto voglio ricordare la ri-consegnaalle Chiese in Italia, in una rinnovata tradu-zione, del testo biblico “più sicuro, più coe-rente, più comunicativo, più adatto alla pro-clamazione”.1 La sua utilizzazione nella li-turgia, attraverso i nuovi lezionari che, viavia stanno uscendo, nell’annuncio, nellapredicazione e nella catechesi daranno unoslancio ancora più forte al nostro servizio dianimatori biblici. Anche le domande chepossono essere suscitate da diverse scelte ditraduzione rispetto all’edizione precedentealla quale tutti guardiamo con l’affetto chesi ha per quanto si deposita giorno dopo

giorno nella memoria, possono essere l’oc-casione di un maggiore approfondimento, diun maggiore “scavo” nel testo.L’evento del Sinodo dei Vescovi su “La Pa-rola di Dio nella vita e nella Missione dellaChiesa” e la celebrazione dell’Anno Paolino,hanno ancor di più posto l’accento sulla di-mensione biblica della Pastorale e sono statil’occasione in tante Diocesi di una riflessionepiù approfondita sull’eredità del Documentoconciliare Dei Verbum. Su questi eventiascolteremo in questi giorni alcuni illustriesperti. Una particolare pubblicazione su SanPaolo in chiave pastorale, di cui vi facciamoomaggio in cartella, è stata redatta dal Grup-po Nazionale dell’Apostolato Biblico. Moltimembri sono qui presenti e li ringrazio confraterna amicizia per il loro servizio.Ci sono state nel corso di quest’anno anchealcune iniziative assai importanti soprattuttosul fronte della comunicazione mediatica.Come non ricordare l’iniziativa “La Bibbiagiorno e notte”? Dal 5 all’11 ottobre 2008il testo sacro ha fatto irruzione nella vita di1500 lettori e poco meno di quattro milionidi telespettatori. Alla lettura, incominciatadal S. Padre Benedetto XVI, si sono succe-dute persone note e meno note, esponentidelle comunità ebraica e musulmana, per-sonalità della vita pubblica, uomini e donnedi spettacolo, calciatori, ma desidero parti-colarmente citare Caterina, una non-vedenteche ha letto in braille un brano dell’AnticoTestamento, ed i quattro detenuti del carceredi Gasai del Marmo.

SALUTO INIZIALE

Don Guido Benzi, Direttore UCN

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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1 G. BETORI, “Presentazione” in CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA – UELCI, La Sacra Bibbia, Roma 2008, p. 8.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 2

In religioso ascolto della Parola di Dio...118

Tra le tantissime iniziative sull’Anno Paolinomolte delle quali in questi giorni sarannoanche presentate, ne segnalo una nata inuna chiesa locale, la Diocesi di Novara. Conil progetto “Saul 2000. Ripartire da Dama-sco”, un gruppo di giovani animati da DonSilvio Barbaglia ha dato vita ad una serie dicortometraggi (visibili sul sito www.saul2000.it) che introducono alla vita, alla teo-logia ed alla spiritualità di San Paolo. È solouna delle tantissime iniziative che raccon-tano come la Parola “corre ed è glorificata”(2Ts 3,1) nelle nostre comunità.Desidero ringraziare i rappresentanti del-l’Associazione Biblica Italiana che sempre

ci accompagna con la competenza del suoservizio e gli amici della Società Biblica inItalia che ci sono sempre di aiuto e di sti-molo nel comune interesse alla diffusionedella Bibbia. E grazie a voi, per il tanto la-voro che fate nelle vostre Diocesi e perchésiete qui a rendere più bello questo nostroincontro.Infine voglio ricordare con amicizia chi miha preceduto in questo incarico, Mons. Wal-ther Ruspi, che rientrato a Novara continuail suo preziosissimo servizio alla catechesinazionale ed europea.Ora non mi resta che augurarvi: buonConvegno!

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1. SENSO DEL CONVEGNO

Questo intervento si apre con un mio cor-diale saluto a voi carissimi/e animatori/ani-matrici di Apostolato Biblico nelle nostre co-munità. Mi associo di cuore alle parole diplauso (è stato il più intenso!) del Sinodorivolte ai servitori della Parola di Dio, in par-ticolare donne, con queste parole:

– I Padri sinodali desiderano esprimere la più vivastima e gratitudine nonché l’incoraggiamento peril servizio all’evangelizzazione che tanti laici, ein particolare le donne, offrono con generosità eimpegno nelle comunità sparse per il mondo,sull’esempio di Maria di Magdala prima testimonedella gioia pasquale (Prop. 30).

– I Padri sinodali riconoscono e incoraggiano il ser-vizio dei laici nella trasmissione della fede. Ledonne, in particolare, hanno su questo punto unruolo indispensabile soprattutto nella famiglia enella catechesi. Infatti, esse sanno suscitarel’ascolto della Parola, la relazione personale conDio e comunicare il senso del perdono e dellacondivisione evangelica.

Si auspica che il ministero del lettorato sia apertoanche alle donne, in modo che nella comunità cri-stiana sia riconosciuto il loro ruolo di annunciatricidella Parola (Prop. 17).

Da queste citazioni si comprende bene cheal centro del Convegno sta l’evento del Si-nodo su “La Parola di Dio nella vita e nellamissione della Chiesa”, cui si collega stret-tamente per il 2008-2009 l’Anno Paolino(2008-2009). Questo avvenimento, ancoraformalmente aperto fino alla stesura del-

l’Esortazione Apostolica (ottobre 2009), in-terpella direttamente il nostro servizio del-l’Apostolato Biblico più di ogni altro, per lafunzione di animazione che ci spetta, nonsolo della pastorale biblica ma di tutta la pa-storale tramite la Parola di Dio. IL SAB (Ser-vizio Apostolato Biblico) nazionale – di cuimolti membri sono tra noi e che di cuoreringraziamo – consapevole dell’importanzadi tali avvenimenti e sentendosi responsabilein prima persona a riguardo della conoscen-za e pratica delle indicazioni sinodali ha pro-gettato diverse iniziative di cui si farà parolapiù avanti. Centrale è il Convegno annualedell’AB, che affronteremo in due momenti,ora nel 2009 e successivamente nel 2010.Nel convegno attuale considereremo il cuoredel Sinodo, ossia l’ascolto ed annuncio dellaParola di Dio compito primario dell’anima-tore biblico. Nel 2010, disponendo del do-cumento papale conclusivo, rifletteremo su-gli orientamenti sinodali ufficiali.

2. OBIETTIVI DEL CONVEGNO 2009

Li riprendiamo dal programma ufficiale: – Approfondire alla luce della rivelazione bi-

blica cosa significa “ascolto religioso dellaParola di Dio” secondo Dei Verbum 1, qua-le atteggiamento viene richiesto ad ogniservitore della Parola, quali sono le esi-genze a livello teologico, spirituale e pa-storale in vista di un annuncio efficacedella Parola di Dio al popolo di Dio.

INTRODUZIONE

Cesare Bissoli, Coordinatore nazionale Apostolato Biblico

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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– Entro tale quadro, mettere a fuoco alcuninodi oggi particolarmente sentiti: rapportotra AT e NT, la proposta della Parola se-condo il senso della Chiesa, la testimo-nianza dell’incontro con la Parola nel mon-do evangelico ed ebraico.

– Come è pratica consueta, riflettere sulleesperienze di AB comunicate dai parteci-panti.

3. I CONTENUTI

Le tematiche scelte dicono quanto stia acuore di fare sì un convegno attento allaprassi pastorale, ma rifacendoci sempre alleradici dello studio e della ricerca, quindi af-frontando temi e soprattutto avvalendoci diesperti di competenza riconosciuta. Il Con-vegno, proseguendo la linea dello scorso an-no, intende essere anche un aggiornamentoscientifico, portato avanti con sensibilità pa-storale, cui darete voi stessi uno specificocontributo.Osservando il programma, notiamo i nucleiportanti

A. (venerdì) Il servizio della Parola di Dionella testimonianza biblica (AT e NT)

Sono compresi due interventi di biblisti chemettono in luce, uno per l’AT ed uno per ilNT, cosa significhi ascoltare ed annunciarela Parola: protagonisti, contenuti, modalità,incidenza pastorale.• “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono la-

sciato sedurre” (Ger 20,7). Il profeta, ser-vitore della Parola di Dio nell’AT(Luca Mazzinghi, docente di Esegesi del-l’AT alla Facoltà Teologica di Firenze e alPontificio Istituto Biblico)

• “Cristo mi ha mandato a predicare il Van-gelo”(1Cor 1,17). Servitori della Parolanel NT

(Antonio Pitta, docente di Esegesi del NTalla Pontificia Università Lateranense)

B. (sabato mattina) Nodi peculiari nelservizio della Parola di Dio

Sono toccati due temi che hanno una rile-vanza specifica nel servizio della Parola: unoriguarda la Parola di Dio nel legame tra ATe NT. Il secondo riguarda quel servizio stra-tegico della Parola che ha per soggetto laChiesa• La Parola di Dio alla luce del rapporto

tra AT e NT (Massimo Grilli, docente di esegesi allaPontificia Università Gregoriana)

• Ascolto e annuncio della Parola di Dionella Chiesa(Serena Noceti, docente di ecclesiologia al-la Facoltà Teologica di Firenze, membrodel Sab nazionale)

C. (sabato pomeriggio): Ascoltare ed an-nunciare la Parola di Dio nella prassipastorale (laboratorio)

• Dai vari gruppi vengono elaborati alcunicriteri che si ritengono principali quantoall’ascolto e all’annuncio della Parola(sene farà poi una esposizione in aula).

• Vita dell’AB: iniziative, proposte, raccon-to di esperienze di AB

D. (domenica mattina): Ascolto e annun-cio della Parola di Dio nel mondo evan-gelico ed ebraico

• L’ascolto ed annuncio della Parola di Dionel mondo evangelico (Paolo Ricca, docente di teologia, alla Fa-coltà Teologica Valdese di Roma)

• L’ascolto ed annuncio della Parola di Dionel mondo ebraico(Benedetto Carucci Viterbi, rabbino)

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4. MOMENTI QUALIFICANTI

A. Momento della preghieraAbbiamo avvertito quanto sia necessario edinsieme desiderato, non solo conoscere, maanche celebrare la Parola di Dio. Abbiamoquindi dei momenti di preghiera che vor-remmo accurati• venerdì: 19.30: Preghiera di Vespro (in

aula) • sabato mattina: 7.30 Eucaristia (in cap-

pella)• sabato sera 19.00: Lectio divina (Elena

Bosetti, biblista)• domenica 11.30: Eucaristia domenicale

conclusiva (Mons M. Crociata, Segr. Gen.CEI)(in cappella)

B. Momento dello scambio e fraternità• sabato 15.00-17.00: Partecipazione ai La-

boratori• sabato 17.00-19.00: Informazione del

SAB nazionale; presentazione di esperien-ze significative di AB (previo accordo conil responsabile del Convegno)

• da sabato mattina: Piccola ‘mostra-merca-to’ di materiale concernente l’AB (in aula)

• risposta ai questionari

C. Momento logistico-finanziarioPresso la Segreteria

Proprio alla luce della Parola di Dio che ciricorda il valore delle persone agli occhi delSignore, concludiamo ricordando due perso-ne che per tanti motivi sono partecipi emi-nenti al servizio della Parola: Don WaltherRuspi, fin qui direttore dell’Ufficio Catechi-stico Nazionale e dunque anche del SettoreApostolato Biblico. Finito il suo compito inCEI, è ritornato nella sua diocesi Novara,continuando l’eccellente servizio fatto finqui. Gli siamo grandemente riconoscenti perla cura attenta e generosa di tutte le nostreiniziative di AB. Merito suo se esse si sonosempre più affermate, tra cui questo nostroConvegno annuale. Grazie, Don Walther.Ed insieme esprimiamo un saluto accoglientea Don Guido Benzì, biblista insigne, direttorefin qui dell’ UCD e dell’AB a Rimini, cheprende il posto di Don Walther, quale diret-tore dell’UCN, con l’esperienza non piccoladi essere da sempre membro del SAB nazio-nale. Molti di noi lo conoscono, e siamo felicidi incontrarlo in questi giorni, con il nostroaugurio di buon lavoro per noi e con noi.Ed ora procediamo in nomine Domini.

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INTRODUZIONE

Il tema che ci viene proposto in questo in-contro, ovvero il profeta come servitore dellaParola di Dio, è introdotto nel titolo da uncelebre testo di Geremia (Ger 20,7, di cuipiù avanti parleremo). Ci occuperemo perciòdi Geremia, senza voler allargare il discorsoa tutti gli altri profeti, tra i quali Geremiaemerge certamente come l’uomo afferratodalla Parola.Quello di Geremia è certamente un libro dif-ficile; non è questa la sede per entrare nellecomplesse problematiche del testo, che nonè forse tra i più noti dell’Antico Testamentoe che la liturgia ci propone soltanto attra-verso una piccola antologia di passi.In questo convegno ci viene chiesto di riflet-tere su che cosa significhi, per l’Antico Te-stamento, ascoltare e annunciare la Paroladi Dio: chi siano i protagonisti dell’annuncio,quali ne siano i contenuti, con quali modalitàannunciare la parola, quali incidenze pasto-rali abbia tutto questo per la chiesa oggi.Cercheremo di far questo lasciandoci guidaredal testo di Geremia e soprattutto dalle im-magini che egli usa nel suo libro; parafra-sando la Dei Verbum, cercheremo cioè dimettere in luce la figura di Geremia «in reli-gioso ascolto della Parola di Dio» (cf. DV 1).2

GEREMIA, UOMO DELLA PAROLA

Geremia esercita il suo ministero profeticotra il 627 e il 587 a.C. circa, dall’epoca delre Giosia sino al momento della distruzionedi Gerusalemme da parte dei babilonesi, unperiodo realmente tragico per Israele. Gere-mia si è conquistato ben presto tra i suoicontemporanei la fama di profeta di sven-tura, soprannominato ironicamente dai suoinemici “terrore all’intorno” (cf. 20,10) acausa del suo messaggio che è per lo più diminaccia. Per molti aspetti Geremia fu real-mente un profeta di sventura, ma sarebbeuna lettura molto superficiale il ridurlo sol-tanto a questo.Notiamo, di passaggio, che come già Amose Isaia che lo hanno preceduto, anche Ge-remia è un profeta che in nome della Paroladi Dio ha il coraggio di denunciare l’ingiu-stizia dei potenti, l’ipocrisia delle autorità re-ligiose del tempo; si vedano ad esempio lepagine di Geremia dirette contro il Tempio,cf. Ger 7. Geremia denuncia la corruzionegenerale del popolo (cf. Ger 5), il che con-duce talora Geremia a una sorta di pessimi-smo antropologico: «può un etiope cambiarela pelle? O un leopardo le sue macchie? Allostesso modo: potrete fare il bene, voi, abi-tuati a fare il male?» (13,23).

“MI HAI SEDOTTO, SIGNORE,E IO MI SONO LASCIATO SEDURRE”

IL PROFETA SERVITORE DELLA PAROLADI DIO NELL’AT1

Luca Mazzinghi, Docente di esegesi AT Facoltà Teologica, Firenze

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1 In queste pagine viene presentato il testo della relazione tenuta al XVII Convegno Nazionale dell’ApostolatoBiblico (Roma, 6-8 febbraio 2009); il testo è stato rivisto per la pubblicazione.2 Per quanto riguarda la questione del rapporto tra i due Testamenti (cf. le Propositiones 10 e 29 dell’ultimoSinodo dei Vescovi dedicato alla Parola di Dio) rinvio alla relazione di M. Grilli, in questo stesso Convegno.

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Geremia appartiene tuttavia a quel tipo diprofeti di cui oggi si sente la mancanza, pro-feti che in nome del Signore non hannopaura di denunciare i tradimenti della Parola,se anche dovessero provenire da quelle stes-se autorità religiose che hanno ricevuto ilcompito di annunziarla, ma non lo fanno.Non toccheremo questo aspetto della predi-cazione di Geremia e neppure, con esso, ladimensione “politica” della Parola che Ge-remia annuncia.

Iniziamo subito ad esplorare, sinteticamente,il rapporto che il libro di Geremia rivela es-serci tra il profeta e la Parola di Dio. Pren-diamo spunto dal capitolo 36, che è un casounico nella Scrittura; il testo ci narra, infatti,gli inizi del libro stesso di Geremia: il profeta,tramite il suo scrivano Baruch, scrive luistesso i suoi oracoli in un primo rotolo cheil re Yoiaqim distrugge sprezzantemente nelfuoco; in seguito a tale evento, Geremia scri-ve un secondo rotolo, con nuovi oracoli: èil germe del futuro libro, che avrà tuttaviauna lunga storia, per molto tempo dopo lamorte di Geremia. Ma, come si è detto, nonentriamo in questa vicenda del testo cosìampia e complessa. Questo accenno al ca-pitolo 36 ci serve soltanto per ricordare comela Parola annunciata e persino scritta – cosanon comune al suo tempo, sia realmente alcuore della missione di Geremia.

Geremia, uomo della Parola: si osservi benel’inizio del libro: «parole di Geremia...» (Ger1,1); e subito dopo, al v. 2: «a lui fu rivoltala parola del Signore»: parole di un uomoche subito divengono parole di Dio; la litur-gia li ha del resto abituati a questa dimen-sione divino-umana della Parola: iniziamoogni lettura liturgica ascoltando Dal librodel profeta Geremia e la concludiamo pro-clamando: Parola di Dio.

Il profeta ha con la Parola di Dio un rapportoche è insieme di distanza – la parola delprofeta, infatti, non è più sua, ma di Dio,egli non parla più a nome proprio – e di uni-tà – la parola del profeta è ormai soltantoparola di Dio. Ecco perché un elemento fon-damentale della parola del profeta è la vo-cazione del profeta stesso – e questo valein particolare per Geremia! La vocazione èinfatti il momento in cui Dio si appropriadella parola di Geremia e la fa sua. Veniamodunque a qualche considerazione relativaalla vocazione del profeta, narrata proprioall’inizio del libro.

UN PROFETA AFFERRATODALLA PAROLA (Geremia 1,4-19)

Il celebre racconto della vocazione di Gere-mia ci presenta subito un uomo afferratodalla Parola: cf. i vv. 4.11.13 dove per quat-tro volte risuona l’espressione «mi fu rivoltala parola del Signore». Notiamo subito comela Parola di Dio diviene nel racconto dellavocazione di Geremia una parola che si fadialogo: cf. i vv. 6-7; 11-12 e 13-14; Ge-remia e il Signore si parlano e si rispondono;le domande e le risposte si incrociano neltesto. Notiamo ancora come Geremia non ha al-cuna visione nel momento della sua chia-mata, come invece avviene per Isaia (cf. Is6), ma anche per Amos (cf. Am 7,1-8,3);Geremia è soltanto afferrato dalla Parola.Egli non ci dice in che modo ha ricevutoquesta Parola di Dio, ma ci pone soltantodi fronte a un fatto compiuto: Dio gli haparlato.

Parola dunque che afferra l’uomo, quella diDio, ma anche Parola che presuppone undialogo con l’uomo; siamo così di fronte a

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quella conversatio tra Dio e gli uomini dicui parla la Dei Verbum (cf. DV 22), davantia quel dialogo amicale nel quale consiste laRivelazione ebraico-cristiana, letta alla lucedi DV 2. L’aspetto dialogico della Parola diDio nella vocazione di Geremia ci ricordacosì che la Parola di Dio non è tanto espres-sione di un catechismo calato dall’alto, divalori non negoziabili ai quali non può es-serci alcuna replica. Dio interroga e Geremiarisponde (cf. 1,11.13); Geremia interroga asua volta il Signore (cf. 1,6) e Dio replica aGeremia. La parola di Dio chiede per sua stessa naturail dialogo con l’uomo. «Il Padre che è neicieli viene con molta amorevolezza incontroai suoi figli ed entra in conversazione conessi» (DV 22); questo dialogo tra due amicisi trasforma, nel momento in cui la chiesainizia a vivere della Parola, nel dialogo dellachiesa stessa con il mondo (cf. la teologiadella Gaudium et Spes e della EcclesiamSuam; si veda anche più sotto). La Paroladi Dio, che diviene la parola stessa del pro-feta e, per noi, della chiesa, non è perciòuna comunicazione a senso unico, già bloc-cata fin dal suo punto di partenza da unaParola che volesse essere soltanto un mo-nologo.

Notiamo ancora come, di fronte a Dio cheparla, Geremia resiste, non si arrende subitoalla Parola: «ahimé, non so parlare, perchésono giovane» (1,6); sono cioè inadeguatoper questo compito. Anche in questo Geremiasi dimostra ben diverso da Isaia che subitorisponde «eccomi, manda me!» (Is 6,8). Nonso parlare: questo è un lamento, non tantouna giustificazione; ahimé… io sono inadattoa portare una parola che abbia veramenteun senso; a me – a Geremia – non appartienela parola “vera”, quella che appartiene sol-tanto a Dio. Quella di Geremia è una vera e

propria dichiarazione di impotenza: solo Dioè infatti, per Geremia, colui che parla real-mente, in modo significativo. È possibile in-fatti parlare, ma allo stesso tempo non direnulla; solo la Parola di Dio è un autenticoparlare: Geremia lo sa bene, fin dal primomomento della sua chiamata.Se tuttavia Geremia afferma di non saperparlare (usando il verbo ebraico yada‘, chedi per se significa «conoscere»), il Signore gliaveva appena detto (cf. 1,5) «prima di for-marti nel grembo materno, ti ho conosciuto»;Dio conosce Geremia e lo ha consacrato (allalettera «separato») come profeta.Dio conosce – Dio parla – Dio suscita, creaun dialogo: la vocazione di Geremia è cosìuna piccola catechesi sulla natura della Pa-rola di Dio intesa come autentica comuni-cazione. Ricordiamo ancora il testo di DV 2:Dio parla agli uomini come ad amici.

Parola di Dio tuttavia diversa da quella uma-na, la parola di Dio; nel v. 9 leggiamo infatti:«ecco, io metto le mie parole sulla tua boc-ca». Non conta qui l’autorevolezza personaledi Geremia o il suo carisma, ma l’autorevo-lezza della parola stessa di Dio; se uno è do-cile alla Parola, essa produce il suo effetto.Se dunque Geremia cercherà di affermare sestesso, non potrà mai far risuonare la Paroladi Dio – e viceversa, se egli si aprirà a taleparola, la Parola produrrà da se stessa ilproprio effetto. E il Signore prosegue: «Vedi, io oggi ti doautorità sopra le nazioni e sopra i regni...»(v. 10). Parola dunque sovrana e regale, laParola di Dio, parola autorevole ed efficace.Una Parola che esige tuttavia il confrontocon gli altri, anche quando gli altri la rifiu-tano. Geremia non potrà sfuggire a tale con-fronto, che diventerà a tutti gli effetti la suapassione. «Non aver paura di fronte a loro,perché io sono con te per proteggerti» (1,8;

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cf. anche il v. 19): la Parola di Dio sa ancheinfondere fiducia, toglie la paura, da corag-gio nelle situazioni più difficili.

Ci fermiamo infine sul v. 12, legato alla vi-sione del ramo di mandorlo da parte del pro-feta; il profeta gioca qui sulle parole: il man-dorlo (in ebraico shoqed) ricorda infatti aGeremia il verbo “vigilare” (shaqad); diceinfatti il Signore: «io vigilo sulla mia parolaper realizzarla». La Parola di Dio è una Pa-rola sulla quale Dio stesso vigila e che dun-que non può altro che realizzarsi. Una Parolaefficace, che produce il suo effetto, una Pa-rola che è così un “farsi”; ricordiamo cheemerge qui il duplice significato del termineebraico dabar, che significa sia “parola” che“fatto”, “evento”. Tutto ciò ci richiama an-cora da vicino la teologia di DV 2, la rive-lazione di Dio che avviene in fatti e parole(gestis verbisque).Si osservi infine, di passaggio, che in questov. 12 Geremia non soltanto “ascolta”, maanche “vede” la Parola; la Parola si fa perlui visibile, corporea; è come una parola “in-carnata”, non è soltanto un messaggio,un’idea, un concetto magari molto astratto;la Parola si fa “vedere” al profeta nel ramodi mandorlo.

LA PAROLA DI DIONELLE CONFESSIONI DEL PROFETA

Nel libro di Geremia esistono cinque bei testinei quali il profeta “confessa” se stesso difronte a Dio, come una sorta di diario intimodi Geremia, pur se si tratta di testi rivisti erielaborati in seguito e dunque non attribui-bili tout court all’esperienza diretta del pro-feta. Questi testi (Ger 11,18-12,6; 15,10-21; 17,12-18; 18,18-23; 20,7-18) furonochiamati da un esegeta (Skinner), nel 1922,

“Confessioni di Geremia”, in analogia con leConfessioni di s. Agostino. Vi troviamo al-cune immagini per noi significative, in re-lazione al nostro tema, immagini sulle qualiadesso ci soffermiamo brevemente.

• Nella seconda confessione troviamo unprimo, ben noto passo, nel quale il profetasi confronta con la Parola che è stato chia-mato ad annunciare: «quando le tue parolemi vennero incontro, le divorai con avidità;la tua parola fu la gioia e la letizia del miocuore, perché il tuo nome è invocato su dime» (15,16). La Parola è dunque stata fonte di nutrimentoper il profeta; la metafora cibo / Parola ènota alle Scritture; basti pensare al celebretesto di Dt 8,3 («non di solo pane vive l’uo-mo...»). Per Geremia la Parola di Dio è stataun nutrimento da divorare con avidità, uncibo che sazia, ma che anche da gioia alcuore.In questo testo, Geremia sottolinea così inmodo molto plastico l’aspetto positivo delsuo incontro con la Parola, un incontro chespesso – per grazia di Dio – anche noi spe-rimentiamo. Parola che da gioia, parola chenutre; per noi cristiani tutto ciò ci rinvia alladimensione liturgica della Parola: la duplicemensa della parola e del pane, il grande do-no che il Concilio Vaticano II ci ha lasciato,quel tesoro prezioso da custodire gelosa-mente, specie di fronte alla grande povertàdella Parola di Dio nella liturgia tridentina.Ma l’entusiamo di Geremia è di breve durata:poco più avanti il profeta ci dice che il Si-gnore sembra averlo abbandonato; Geremiaci parla di Dio come di «un torrente infido,dalle acque incostanti» (15,18). La Paroladi Dio sembra adesso addirittura tradire leattese del profeta, non mantenere le pro-messe che essa stessa gli ha fatto. Geremiagiunge così a un primo momento di delu-

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sione di fronte alla Parola e di fronte a Diostesso.Si rende perciò necessaria una continua con-versione del profeta alla Parola di Dio. Unnuovo dialogo tra Dio e il profeta mette inluce tale necessità: «Allora il Signore rispose:“Se ritornerai, io ti farò ritornare, e staraialla mia presenza» (15,19). In questo testoè interessante notare come la conversionealla Parola di Dio appare non tanto operadel profeta, quanto di Dio stesso: «se ritor-nerai, io ti farò ritornare». Lascia che sia ioa plasmarti! Lascia che sia io a parlarti e chesia la mia Parola a produrre in te il suo ef-fetto...: allora, dice ancora il Signore a Ge-remia, «tu sarai come la mia bocca».

• Nella terza confessione, Geremia riflette inmodo più diretto sul fallimento della Parola,citando le accuse che i suoi avversari evi-dentemente gli muovevano: «Essi mi dicono:dov’è la parola del Signore? Si compia, fi-nalmente!» (17,15). Ma, ecco: ai lamenti ealle richieste di vendetta da parte di Geremia,Dio non risponde! Non soltanto la sua parolanon sembra compiersi, almeno come Gere-mia l’aveva annunziata, ma anche il Signorenon risponde ai lamenti del suo profeta,resta muto. Geremia invoca la vendetta di-vina sui propri avversari (17,18), ma ancorauna volta non c’è risposta da parte di Dio.Tutto ciò ci porta a riflettere ulteriormentesulla debolezza della Parola: una Parola de-bole e apparentemente inefficace, quella diDio, che talora sembra non compiersi, no-nostante passi celebri come Is 55,12-13, aiquali siamo certamente più abituati: una Pa-rola che non torna mai indietro senza averprodotto il suo effetto. Una parola che, come

si è visto nella seconda confessione, sembrainvece per Geremia persino parola inganna-trice, infida (cf. 15,18).La Parola della Scrittura è così allo stessotempo una Parola forte ed efficace (cf. sopraa proposito di Ger 1,10.12), ma è anche Pa-rola debole: la Dei Verbum ci ricorda al ri-guardo l’idea patristica della synkatabasis,ovvero della “condiscendenza” della Paroladi Dio che assume le debolezze della parolaumana; c’è infatti un’analogia piuttostostretta tra la “condiscendenza” della Parolae la kenosis, lo svuotamento del Verbo nel-l’Incarnazione.3 La debolezza, e persino lastoltezza della Parola sono la debolezza e lastoltezza della parola della croce (cf. 1Cor1,18). La forza della Parola nasce così, pa-radossalmente, dalla sua debolezza.Tutto ciò ha conseguenze importanti per lachiesa, oggi: la Parola di Dio, in Geremia,non si impone per i suoi risultati immediati,non si impone con la forza o con una au-torità modellata su schemi umani, ma sipropone agli uomini con tutta la sua debo-lezza e persino con la sua umana stoltezza(cf. anche la quinta confessione di Geremia,v. sotto). Il Signore non risponde ai propositidi vendetta di Geremia, che in realtà, in que-sti momenti di disperazione, sta difendendosolo se stesso (cf. 17,18). L’esperienza di Geremia può così diventareanche l’esperienza della comunità cristianaoggi. Che cosa insegue la chiesa, veramen-te? Una qualche forma di successo monda-no, una qualche forma di autorità, di pre-stigio e di potere, forse un tentativo di farrisorgere quella societas perfecta che rinnovioggi i pretesi fasti di una ideale civiltà cri-stiana? Oppure la chiesa si affida soltanto

3 Cf. anche la lettera di papa Giovanni Paolo II del 21 aprile 1993, che introduce il documento della PontificiaCommissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano1993, pp. 8-10).

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alla nudità e alla debolezza della Parola diDio, com’è quella annunziata da Geremia,quella che nel Nuovo Testamento diventaper noi la parola della croce? La debolezzadella Parola è così la debolezza di una chiesache sa accettare la propria situazione di mi-norità nel mondo, e persino di persecuzione,e che tuttavia sa affidarsi a Dio, e non a sestessa.

• La quinta confessione di Geremia contienenuove immagini relative alla Parola e al rap-porto che il profeta ha con essa, immaginiche allargano ulteriormente la nostra pro-spettiva. La Parola di Dio è prima di tutto una parolache seduce: «mi hai sedotto, Signore, e io misono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza,e hai prevalso» (20,7). In questo testo, cheda il titolo al nostro incontro, il linguaggio ècrudamente sessuale, tanto che si è giunti aparlare di un Geremia violentato da Dio. Iltesto è veramente molto forte; il verbo ebrai-co pth, “sedurre”, è usato ad esempio in Es22,15 a proposito della violenza sessualefatta su una vergine; anche il verbo “fareviolenza” è senz’altro molto esplicito; gli in-terpreti antichi erano non di rado imbarazzatiin relazione a questo passo. Così, afferma ancora Geremia, «la parola delSignore è diventata per me causa di vergo-gna e di scherno tutto il giorno» (20,8); ognivolta che egli parla, infatti, deve annunziaree insieme denunziare violenza e oppressione.Nasce dunque la tentazione, da parte delprofeta, di rifiutare una parola che mette incrisi il profeta stesso; una Parola scomoda,che sembra non realizzarsi, una Parola chesuscita vergogna per chi l’annuncia e gli at-tira soltanto scherno da parte dei suoi ascol-tatori, così come avviene ancora oggi. Così, ecco la decisione drastica del profeta:«Mi dicevo: non penserò più a lui, non par-

lerò più nel suo nome!» (20,9). Ne ho ab-bastanza della Parola: mi sento tradito, per-sino violentato... il mio lavoro è stato inutile,smetterò dunque di parlare in nome di Dio.Non si tratta di una esperienza rara, nelleScritture: qualcosa del genere era già acca-duto a Elia (cf. 1Re 19,1-8) e ancora accadea Giona (cf. Gn 4), entrambi tentati nonsolo di farla finita con la missione di profeta,ma con la loro stessa vita.Ma subito, nel momento della maggior ten-tazione per un profeta («non parlerò più insuo nome») appare un altro aspetto dellaParola di Dio che muta completamente la si-tuazione di Geremia; egli afferma infatti:«ma nel mio cuore c’era come un fuoco ar-dente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo dicontenerlo, ma non potevo» (20,9). In que-sto splendido testo Geremia accosta la Paroladi Dio a un fuoco ardente – ritorneremo piùavanti su questa immagine così suggestiva.La Parola è così qualcosa che brucia dall’in-terno, che scalda e che infiamma allo stessotempo colui che l’annuncia.Alla Parola di Dio non è perciò possibile re-sistere («non potevo») – la Parola, nono-stante la sua debolezza – è dunque sempreefficace, ma non per opera umana. E difatti,dopo un apparente ritorno alla speranza, laquinta confessione di Geremia si chiude nuo-vamente sottolineando il silenzio di Dio neiconfronti dei lamenti del suo profeta; lo stac-co tra il v. 13, testo del tutto positivo, e iben più tragici vv. 14-18, nei quali Geremiamaledice il giorno della sua nascita, è unostacco assolutamente drammatico. Non si tratta, in quest’ultima confessione,di un Geremia mentalmente disturbato, co-me qualche commentatore ha talora pensa-to; si tratta invece di una logica non infre-quente nell’esperienza spirituale di chi è sta-to realmente afferrato dalla Parola: passaredalla gioia e dall’entusiasmo alla delusione

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e alla sensazione di sentirsi traditi da Dio.Ma proprio qui ci imbattiamo nella grandezzadi Geremia: l’aver resistito, in una notte cosìtenebrosa, al desiderio di rinunciare alla Pa-rola, nonostante l’apparente silenzio divino.La Parola di Dio continua così la sua corsa.

INTERMEZZO: LA VITA DELPROFETA COME PAROLA DI DIO

Prima di procedere oltre, in una sorta di bre-ve intermezzo, affrontiamo un altro aspettonon marginale relativo al rapporto tra Ge-remia e la Parola di Dio: Geremia profetanon solo con la sua parola, ma anche conla sua vita. Il libro di Geremia, infatti, è ca-ratterizzato dalla descrizione di diversi gestisimbolici compiuti dal profeta: ne ricordiamoqui di passaggio appena tre, tutti legati altema della Parola di Dio non ascoltata dalpopolo. Abbiamo già menzionato al riguardoil testo di DV 2, nel quale la rivelazione diDio agli uomini è descritta come qualcosache avviene con gesta e con parole, così co-me accade per la persona di Geremia.Un gesto interessante è quello legato allacintura marcita (Ger 13,1-11), che indica lafine che farà un popolo che si stacca dallaparola di Dio; come la cintura marcita, ancheil popolo staccato dalla Parola di Dio nonsarà più buono a nulla. L’episodio di Geremiapresso il vasaio (cf. Ger 18,1-12) ricorda lalibertà di Dio nei confronti del popolo d’Israe-le che non ascolta la Parola. La brocca spez-zata (cf. Ger 19,1-20,6) richiama invecel’arrivo della catastrofe, ovvero della distru-zione di Gerusalemme, su chi non ha volutoascoltare la parola di Dio annunciata dalprofeta.Non entriamo nei dettagli di questi episodi,che possono essere riletti facilmente da cia-scuno nelle proprie Bibbie, se non per notare

come la vita stessa del profeta è, alla lucedi questi episodi, un segno realmente visibileed efficace della Parola di Dio che egli staannunziando; è per questo motivo che il li-bro di Geremia da molta importanza a epi-sodi che riguardano direttamente la vita delprofeta, non per ragioni biografiche o mo-ralistiche, ma per motivi profondamente teo-logici; cf. il già ricordato racconto del rotolobruciato in Ger 36. Si pensi ancora al rac-conto di Ger 37 sull’imprigionamento di Ge-remia, il quale paga la fedeltà a una Parolache tuttavia non può essere annullata né re-almente incarcerata. Si è parlato, a propositodi questi testi, di una vera e propria «pas-sione di Geremia» che anticipa, per moltiaspetti, la passione di Cristo. Del resto, neiVangeli e nel Nuovo Testamento, la passionedel Signore è anche presentata come la con-seguenza di una Parola accolta e ubbiditafino alla morte da parte del Signore (cf. Fil2,6-11: «ubbidiente fino alla morte e allamorte di croce...»).

PAROLA FUOCO E MARTELLO

Completiamo adesso la nostra carrellata sultema della Parola di Dio nel libro di Geremiaapprofondendo alcune immagini usate dalprofeta, prima di trarre alcune conclusioniche possano essere di aiuto alla nostra ri-flessione di cristiani chiamati ad annunciarela Parola in un contesto senz’altro molto di-verso da quello di Geremia. Dobbiamo ades-so evitare il rischio, tipicamente occidentaledi voler a tutti i costi concettualizzare le im-magini che la Bibbia ci offre; i simboli usatidalla Scrittura hanno una meravigliosa ca-pacità evocativa; occorre lasciare che le im-magini ci provochino, ci parlino al cuore,prima ancora che alla ragione, e ci suggeri-scano nuovi e più vasti orizzonti.

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In Ger 20,9 ci siamo già imbattutti nell’im-magine della Parola di Dio come fuoco (cf.anche Ger 5,14, dove il simbolismo del fuocoapplicato alla Parola di Dio riappare in uncontesto di punizione). Com’è noto, nellatradizione esodica, Dio che parla agli uominiè accostato al fuoco (cf. Dt 4,12.33); in Es3,1-6 il fuoco del celebre roveto ardente ètuttavia qualcosa di esterno a Mosè, una re-altà che sta fuori di lui; in Ger 20,9 il fuocodella Parola di Dio è invece «chiuso nelle mieossa», è qualcosa che brucia il profeta daldidentro. È come se Geremia fosse diventatolui stesso una specie di Oreb vivente: il pro-feta come epifania della Parola-fuoco!

L’immagine del fuoco ritorna in un bel testodi Geremia, all’interno di una lunga polemicache il profeta conduce contro i falsi profeti(23,9-32). Profeta autentico è per Geremiacolui che il Signore ha davvero mandato, ilcui messaggio viene dalla sua bocca (cf. ivv. 16 e 21); ma come verificare un talecriterio? Ad esso occorre aggiungere il cri-terio dell’ortodossia (v. 13), ovvero dellaconformità della fede del profeta con la feded’Israele, ma anche il criterio della condottamorale del profeta, della sua rettitudine divita (cf. il v. 14). Un ulteriore criterio èquanto “costa” al profeta annunciare la pro-pria profezia: i falsi profeti, infatti, parlanofacilmente di pace, quando però la pace nonc’è (cf. il v 17); essi annunciano cioè fan-tasie del loro cuore (v. 16), soltanto sognivani ed illusioni (v. 27). Si noti di passaggio che per Geremia parlaredi sventura è sempre, in qualche modo, veraprofezia, perché è qualcosa che spinge allaconversione; parlare di pace è sempre troppofacile e non costa praticamente nulla a chilo fa. Criterio senz’altro paradossale, ma perGeremia vero profeta è in ogni caso chi esor-ta e spinge il popolo alla conversione, a se-

guire le parole di Dio, non chi ci lascia tran-quilli e sereni, come se nulla fosse accadutoo potesse accadere. La Parola di Dio, in unmodo o nell’altro, disturba sempre, non puòlasciare mai indifferenti.

All’interno di questa polemica contro i falsiprofeti leggiamo poi che la Parola del Signorecolpisce e lascia inebetiti, come ubriachi: «misi spezza il cuore nel petto, tremano tutte lemie ossa, sono come un ubriaco e come unoinebetito dal vino, a causa del Signore edelle sue sante parole» (23,9). C’è pertantocome una componente di umana follia nellaParola. La Parola di Dio ferisce lo stessoprofeta, prima ancora che colpire i destinataridell’annuncio. Non è una parola a buonmercato, che può lasciare indifferente chil’annuncia: «le mie viscere, le mie viscere!Sono straziato. Mi scoppia il cuore nel petto,mi batte forte, non riesco più a tacere, perchého udito il suono del corno, il grido di guer-ra»; così si esprime Geremia in 4,19, dopoaver preannunziato la catastrofe in nomedel Signore, la cui Parola smuove il profetanell’intimo. Una Parola che inebria e chestrazia, che agita l’uomo dal didentro, chenon lo lascia più com’era prima: tutto questoè ciò che accade a Geremia.

Nel testo relativo ai falsi profeti (ancora Ger23,9-32), l’immagine del fuoco alla qualeabbiamo accennato giunge al v. 29: «la miaparola non è forse come il fuoco – oracolodel Signore – come un martello che spezzala roccia?». Ci troviamo di fronte ad un altro testo dav-vero molto bello e provocante. La Parola diDio è Parola che brucia e che scotta, ma an-che che arde e che scalda e che trasforma lostesso profeta («non ci ardeva forse il cuorementre egli conversava con noi lungo la via,mentre ci spiegava le Scritture?»; Lc 24,32).

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Potremmo domandarci, a questo punto, co-me mai la Parola di Dio che noi annunziamonon riesce oggi ad essere fuoco che scaldail cuore...Ma la Parola di Dio non è soltanto fuoco, èanche martello che spezza la roccia, cherompe le resistenze più dure e che è capacedi trasformare la realtà. Notiamo tuttaviache la tradizione ebraica ha dato a questaimmagine del martello un valore piuttostodiverso: la Parola di Dio produce diversi ef-fetti e ha molteplici significati, proprio comele schegge che schizzano via quando il mar-tello picchia sulla roccia (Talmud babilonese,Sanhedrin 34a).

CONCLUSIONI E SPUNTIDI RIFLESSIONE E DISCUSSIONE

È giunto il momento di trarre qualche con-clusione che possa aiutarci a riflettere. Primadi tutto la Parola di Dio, in Geremia, è fontedi continue motivazioni per resistere, pernon cedere nei momenti di difficoltà, pernon cadere nella tristezza, nella rassegna-zione; anche quando è parola dura (martel-lo), è pur sempre parola che trasforma (fuo-co), che non lascia mai indifferenti… Domandiamoci perciò che in modo la Paroladi Dio possa essere sempre per noi principioe fondamento di resistenza nelle difficoltà,sorgente di conversione nel peccato, fonte diispirazione e di vita. Oppure la Parola ci serve– utilitaristicamente – solo per confermaredottrine che già riteniamo stabilite e acquisiteper altre vie? Come per Geremia, l’intera vitadel credente è sub verbo Dei – neppure ilMagistero, come ci ricorda la Dei Verbum, èsuperiore alla Parola, ma ne è il servitore.

La missione di Geremia fu di fatto un falli-mento, sul piano storico; Geremia finirà in

esilio in Egitto, inascoltato dai suoi stessiconcittadini, anche dopo l’avverarsi dellesue minacce. La Parola di Dio è certamentefuoco e martello, parola seducente e persinocapace di “violentare” il profeta, ma è ancheparola debole e disarmata. Il mondo di oggi cerca senz’altro sicurezzeche non è più in grado di trovare; la chiesaè, in questo contesto, tentata di presentarsicome maestra di parole forti, di valori asso-luti e non negoziabili. La Parola di Dio è in-vece, come ho già ricordato, anche paroladebole, senza alcuna pretesa di autorità sulpiano umano; non ha altra forza che se stes-sa; Parola che sa accettare persino il falli-mento: «la parola della croce, infatti, è stol-tezza per quelli che si perdono, ma per quelliche si salvano, per noi, è potenza di Dio»(1Cor 1,18).Geremia, lo abbiamo già accennato, criticapiù volte nel suo libro la la falsa sicurezzadi chi mette la propria fiducia in un sistemareligioso stabile, che sia il Tempio di Geru-salemme (cf. Ger 7) o che sia la Legge diMosè, almeno se intesa come strumento disalvezza; cf. Ger 31,31-34 e l’annuncio diuna nuova alleanza basata sul perdono enon sull’osservanza della Legge realizzatatramite le proprie forze. Ma tutto questo vale anche, in modo ana-logo, per le chiese cristiane: il volto che lachiesa cattolica, in particolare, è chiamata aoffrire all’uomo è stato ben tracciato da Pao-lo VI nella sua enciclica programmatica, laEcclesiam Suam (1964) “la Chiesa deve ve-nire a dialogo con il mondo in cui si trovaa vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa sifa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” (ES38); un dialogo caratterizzato da chiarezza,mitezza, fiducia, prudenza (ES 47). Un dia-logo in cui la chiesa si fa evangelizzatricecon la testimonianza di vita; il mondo hapiù bisogno di testimoni che di maestri, co-

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me Paolo VI ci ricordava ancora nella indi-menticabile Evangelii Nuntiandi.Una chiesa dunque che si propone al mondocome comunità in dialogo, che da parte suapossiede soltanto la forza di una Parola te-stimoniata all’interno di una vita attiva difede e di carità. E nel dialogo non possiamomai imporre noi stessi all’altro, ma solo pro-porre il nostro stile di vita, che sarà convin-cente solo nella misura in cui noi per primisaremo fedeli alla Parola.4

La chiesa non ha perciò necessariamente larisposta a ogni problema – come non l’avevaGeremia neppure per ciò che lo riguardavada vicino, ma ha la forza della Parola chel’ha generata e che essa annuncia, una Pa-rola che entra costantemente in dialogo conla vita; la chiesa deve evitare di cadere nellatentazione di annunziare se stessa e così diautogiustificarsi, piuttosto che affidarsi al Si-gnore, come è accaduto a Geremia. La chie-sa, infine, sa conservare, anche davanti almistero di Dio, tutta la propria fiducia, senzavoler trovare a tutti i costi delle risposte. Èchiamata infatti a fidarsi della Parola di Dio,anche quando Dio sembra essere, come diceGeremia, «un torrente infido», anche quandonasce la voglia di non parlare più «in suonome» di fronte a un mondo che sembranon voler ascoltare. Fidandosi della Parola, nonostante tutto, Ge-remia rischierà la vita fino di fatto a perderla;

al Signore Gesù Cristo la fiducia nella Paroladel Padre costa la morte in croce: alla chiesa,la fedeltà alla Parola incarnata che è Cristostesso costa una continua lotta contro sestessa, una continua opera di conversione,per far emergere la novità della Parola diDio che alla fine, come anche avviene inGeremia e in modo ancor più chiaro nelNuovo Testamento, non è mai soltanto pa-rola di condanna («terrore all’intorno»!), madi conversione e di speranza; un fuoco nonche distrugge, ma che seduce e riscalda.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

D. ATTINGER, Geremia. La violenza dell’amore diDio, Nuove Frontiere, Roma 1990.

P. BOVATI, “Così parla il Signore”. Studi sul pro-fetismo biblico, EDB, Bologna 2008.

C.M. MARTINI, Una voce profetica nella città.Meditazioni sul profeta Geremia, Piemme,Casale Monferrato (AL) 1994.

R. VIRGILI, Geremia, l’incendio e la speranza. Lafigura e il messaggio del profeta, EDB, Bo-logna 1998.

Per un commentario scientifico su Geremia, cf.il monumentale e complesso lavoro di W.L. HOL-LADAY, Jeremiah, 2 voll., Fortress Press, Phila-delphia 1986. Cf. anche il classico e più acces-sibile commentario di L. ALONSO SCHÖKEL – J.L.SICRE DIAZ, I profeti, Borla, Roma 1989.

4 Vale la pena di ricordare ancora ai cristiani ciò che scriveva Paolo VI: «Il dialogo della salvezza non obbligòfisicamente alcuno ad accoglierlo; fu una formidabile domanda d’amore, la quale, se costituì una tremenda re-sponsabilità in coloro a cui fu rivolta, li lasciò tuttavia liberi di corrispondervi o di rifiutarla (...). Questa formadi rapporto, indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; escludela condanna aprioristica, la polemica offensiva e abituale... (...). Il dialogo non è orgoglioso, non è pungente,non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempioche propone...» (ES 43.46.47).

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secondo quella visuale che legge l’AnticoTestamento come ‘ancella’ del Nuovo. Aquesto modello relativizzante appartiene an-che la visuale che ritiene l’Antico insuffi-ciente, incompiuto, imperfetto, perché soloil Nuovo sarebbe perfetto e definitivo.

LE STRADE DA INTRAPRENDERE

Propongo tre piste di riflessione, che misembrano fondamentali per un nuovo ap-proccio alla questione del rapporto tra i dueTestamenti.

Alleanze o Alleanza?L’autore della Lettera agli Efesini, parlandodi più alleanze, le definisce come alleanzedella promessa (Ef 2,12), suggerendo cheesse riposano tutte sull’indefettibile «Pro-messa» di Dio e sul suo Progetto salvifico,che vuole ristabilire l’unità del genere uma-no, riconciliando Giudei e Gentili in un’uma-nità nuova (Ef 2,11-22). Si darebbero, così,diversi modi di partecipazione all’unica eter-na Alleanza di grazia, a cui prendono parteebrei e i cristiani, nell’orizzonte di un unicodisegno divino a favore di tutti i popoli.

Rapporto dialogico tra Antico e Nuovo a. Nella lettura dialogica della Bibbia va ri-

cercata una struttura dinamica, dove cia-scuno dei Testamenti trova senso in rap-porto all’altro. Finora, in qualche modo,il cammino è stato a senso unico: ci si èpoggiati sempre sul Nuovo per valutarela consistenza dell’Antico. È necessario

LA PAROLA DI DIO:TRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Massimo Grilli, Docente di Esegesi alla Pontificia Università Gregoriana

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INTRODUZIONE

La fede cristiana percepisce l’unico e inson-dabile Progetto salvifico in due momenti:Antico e Nuovo Testamento. Quale relazionesi stabilisce tra i due Testamenti? E, alla lucedel compimento in Cristo, quale considera-zione deve avere un cristiano della primaparte della Bibbia, di modo che “nella tra-dizione e nella catechesi si tengano in debitoconto le pagine dell’Antico Testamento»?(Sinodo, Preposizione 10)?

LE DISTORSIONI DA EVITARE

Sono soprattutto due i pericoli che possonodarsi nella comprensione del rapporto tra idue Testamenti: la sostituzione (marcioni-smo) e la relativizzazione.

La teoria della sostituzione (marcionismo)Il marcionismo è quella visuale – si annidaspesso anche oggi nelle comunità cristiane– che estremizza la diversità tra le due partidella Scrittura e quindi ritiene impossibilecomprendere i due Testamenti come unitàorganica. È uno schema che si basa su duealleanze, di cui una non più attuale (AT) euna Nuova (NT) tuttora in vigore. Per AnticaAlleanza s’intende «vecchia alleanza» e,dunque, una testimonianza di Dio in qualchemodo superata e sostituita dalla testimo-nianza di Gesù.

La teoria della relativizzazione Il secondo pericolo da evitare è la stradadella relativizzazione del Primo Testamento,

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anche il processo inverso, che è poi quelloadottato dalla chiesa delle origini.

b. La lettura dialogica esige da parte dei cri-stiani la presa di coscienza che l’Anticorende la sua testimonianza in quanto An-tico e Primo Testamento: una testimo-nianza propria e non puramente “funzio-nale”. Ciascuno dei due Testamenti rendeuna testimonianza specifica al Dio di Ge-sù Cristo, testimonianza alla quale oc-corre prestare ascolto sia separatamenteche in modo congiunto.

c. Dalla lettura dialogica dei due Testamentici si attende che sappia nuovamente trac-ciare quel cammino che va dalla violenzaalla riconciliazione universale. La ricon-ciliazione tra i due Testamenti significasoprattutto riconciliazione tra popoli enazioni.

I CRISTIANI E LA LETTURA ALLALUCE DI CRISTO, KAIRÓS DECISIVO

Tutta la tradizione cristiana riconosce inCristo il kairos decisivo. La croce di Cristo,con la sua doppia sbarra, ha offerto unadimensione nuova. È questo, se così si puòdire, il perno della dialettica cristiana. Lacroce rappresenta il ritorno alle origini, alProgetto di Dio sul mondo e sull’uomo,così come era nel piano originario. La Nuo-va Alleanza nel sangue di Gesù (Lc 22,19-20 e 1Cor 11,23-25) non abolisce l’Antica(cf. Rm 11,29), ma rende escatologica-mente e definitivamente presente la Pro-messa divina a favore del suo popolo Israe-le (Lc 1,68.77) e di tutti i popoli (Lc 2,30-32).

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Ringrazio di cuore per l’invito e per il tema,che è particolarmente congeniale con il mo-do valdese e protestante di intendere e vi-vere il cristianesimo. «Ascolto e annunciodella Parola di Dio» è la descrizione esattanon solo del nostro programma (se così lovogliamo chiamare), ma della stessa nostravocazione, cioè della nostra ragion d’essere.Noi siamo nati ed esistiamo per questo unicoscopo: rendere effettivo, cioè realmente pra-ticato e vissuto l’ascolto e l’annuncio dellaParola di Dio. Questo vale sia per i Valdesi,sia per il Protestantesimo in genere. I Val-desi, a cominciare dal fondatore Valdo diLione e i suoi primi compagni, nella secondametà del XII secolo (intorno al 1170-75),interpretarono la loro missione come predi-cazione itinerante della Parola evangelica.Per loro, però, «predicazione» non significa-va spiegazione e commento, ma pura e sem-plice trasmissione della parola biblica (fattatradurre da Valdo nella lingua del popolodella sua regione – Lione e dintorni – cheera l’occitano, parlato ancora oggi) alla gen-te, nelle piazze di villaggi e città, per le stra-de, nelle case private, nelle fiere, insommalà dove la gente vive e opera, nella sua quo-tidianità profana, non nel chiuso degli spazisacri e nei confini ristretti delle liturgie ec-clesiastiche. Il loro era, letteralmente, «apo-stolato biblico», come il vostro, nulla di piùe nulla di meno, svolto per lo più all’ariaaperta, per far conoscere questa Parola, nellaquale risiede, come dirà più tardi Lutero,«tutta la vita e la sostanza della Chiesa».«Apostolato biblico» fu anche quello di Fran-cesco d’Assisi, che trent’anni dopo Valdo,

avviò in Italia centrale un analogo program-ma di predicazione itinerante della Parola diDio. I due movimenti, di Valdo e di France-sco, erano gemelli nella sostanza e nell’ispi-razione. Perché allora i valdesi furono sco-municati e Francesco no ? Per un unico mo-tivo: Valdo e i suoi compagni erano laici etali rimasero, rivendicando per sé, in quantolaici, il diritto di predicare la Parola di Dio.Questo diritto fu loro negato e per questasola ragione furono scomunicati. «Ascolto e annuncio della Parola di Dio» fuanche la ragione dell’iniziativa di Lutero ne-gli anni Venti del XVI secolo e di tutta la Ri-forma protestante. La scintilla che mise inmoto il movimento riformatore che dovevacambiare il volto religioso dell’Europa fu unavera e propria lotta del monaco Lutero conun passo della Scrittura, analoga a quella diGiacobbe con l’angelo per una notte intera(Genesi 32, 24-32). Il passo era Romani1,17: «In esso [cioè nell’Evangelo] la giu-stizia di Dio è rivelata da fede e fede, com’èscritto: Il giusto vivrà per fede». Vale la pe-na, per capire come e perché nacque la Ri-forma, e come introduzione al discorsosull’«ascolto» della Scrittura, prima dell’ «an-nuncio», riferire il testo famoso del 1545 nelquale Lutero ricorda e descrive quella lottae il suo esito.

…Nel frattempo, in quello stesso anno [in realtàl’anno prima, cioè nel 1518] ero tornato al Salterioper interpretarlo di nuovo, nella fiducia di essermia ciò meglio esercitato dopo aver trattato nelle le-zioni [Lutero era professore di Bibbia all’Universitàdi Wittenberg] le Lettere di Paolo ai Romani, ai Ga-lati e quella destinata agli Ebrei. Ero stato afferrato

L’ASCOLTO ED ANNUNCIO DELLA PAROLADI DIO NEL MONDO EVANGELICO

Paolo Ricca, Docente di teologia evangelica, Roma

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da un desiderio, certo stupefacente, di conoscerePaolo nella Lettera ai Romani, ma ciò che fino aquel momento aveva costituito un ostacolo nonera il sangue freddo nel petto [cioè una sorta diimpossibilità di comunicare col testo], ma una solaparola che si trova nel capitolo 1°: «La giustizia diDio è rivelata in esso [cioè nell’Evangelo]». Io infattiodiavo questa espressione, «giustizia di Dio», chesecondo l’uso e l’abituale interpretazione di tutti iteologi avevo imparato a intendere filosoficamentecome la giustizia formale o attiva per la quale Dioè giusto e punisce i peccatori e gli ingiusti.Ora io che, vivendo come monaco irreprensibile,mi sentivo peccatore davanti a Dio con la coscienzaestremamente inquieta e non potevo confidare cheEgli si sarebbe placato nei miei confronti grazie allemie opere riparatrici, non amavo, anzi odiavo quelDio giusto che punisce i peccatori, e mi indignavocontro Dio pronunciando segretamente, se non pro-prio parole blasfeme, certo intensi mormorii di pro-testa… Fino a che, avendo Dio pietà di me, mentremeditavo giorno e notte e riflettevo a lungo sulnesso delle parole «la giustizia di Dio è rivelata inesso [nell’Evangelo], com’è scritto: Il giusto viveper fede», ecco che cominciai a capire che la giu-stizia di Dio è quella per la quale il giusto vive peril dono di Dio, cioè per la fede che egli ci dona, eche la giustizia di Dio rivelataci per mezzo del-l’Evangelo è quella passiva, per la quale Dio mi-sericordioso ci giustifica per fede, com’è scritto: Ilgiusto vive per la fede. Qui mi sembrò di essereaddirittura rinato e di essere entrato in paradiso at-traverso porte spalancate. Allora a un tratto tuttala Scrittura mi apparve sotto un altro aspetto… Equanto grande era l’odio con cui avevo in prece-denza odiato l’espressione: «Giustizia di Dio», conaltrettanto grande amore esaltavo ora quell’espres-sione, che mi era diventata dolcissima. Così quelpasso di Paolo divenne per me davvero la portadel paradiso.1

Chiedo scusa per la lunga citazione. Essaperò ci aiuta a capire – quasi a toccare conla mano – quanto la genesi della Riformasia legata all’«ascolto» della Scrittura e in

particolare alla scoperta del vero significatodell’espressione «giustizia di Dio». Appunto,come dicevo all’inizio: la Riforma è natadall’ascolto della Parola di Dio e per il suoannuncio. La sua ragion d’essere sta tuttaqui. Ecco perché il tema del nostro incontroci è così familiare e congeniale. Lo svolgeròora in sette brevi punti.1. Giustamente il tema è stato formulato inmodo da far precedere l’ascolto all’annuncio.La sequenza biblica – normativa per la fedecristiana di ogni confessione – è infatti que-sta: prima l’ascolto e poi l’annuncio, e non(come si potrebbe pensare) prima l’annuncioe poi l’ascolto. La fede biblica, madre dellafede cristiana, comincia con l’ascolto.«Ascolta, Israele: l’Eterno, l’Iddio nostro, èl’unico Eterno…» (Deuteronomio 6,4). E nelNuovo Testamento ci è detto: «la fede viendall’udire, e l’udire si ha per mezzo della pa-rola di Cristo» (Romani 10,17). Così è statofin dall’inizio della storia della fede, che co-mincia con Abramo. «L’Eterno disse adAbramo: “Vattene dal tuo paese…”. E Abra-mo se ne andò, come l’Eterno gli aveva det-to…» (Genesi 12,1 e 4). Dunque la fedenon viene dall’esplorazione di se stessi o delmondo, dalla contemplazione della natura,delle sue meraviglie e dei suoi misteri, mada una parola udita, che viene da altrove,ma non da «troppo lontano» (Deuteronomio30,11) da non poter essere decifrata, è unaparola altra, non salita dal cuore dell’uomo,che però è per te, «molto vicina a te, è nellatua bocca e nel tuo cuore» (Deuteronomio30,14), ma non viene dalla tua bocca e daltuo cuore. La fede è questo: ascolto dellaparola di un altro. Quindi non è neppure unsalto nel buio, la famosa «scommessa» di

1 MARTIN LUTHER, Prefazione alle Opere latine, vol. 1, Wittenberg 1545, in: Martin Luther, Studienausgabe,vol. 5, a cura di Hans-Ulrich Delius, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1992, pp. 635,17-637,10.

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Pascal. È, sì, un rischio, che però si giocanon nel vuoto, ma su una parola, una parolache è sostanzialmente una promessa, sulladecisione consapevole di ascoltarla, cioè didarle fiducia e quindi di ubbidirle, lasciandosiguidare da essa. La promessa è il contenutodell’Antico Testamento, ma lo è anche delNuovo, che pure è adempimento: Colui cheera promesso e che è venuto, deve ancoravenire: «… verrà a giudicare i vivi ed i morti».Maranà thà (I Corinzi 16,22) «Vieni, Signo-re!». La storia di Israele, popolo nomade alquale è promessa una terra, faticosamenteraggiunta e conquistata, poi di nuovo per-duta, una volta, due volte, e chissà quantealtre volte ancora, è metafora del fatto chela parola udita mette un popolo in movimen-to, lo chiama ad andare oltre e altrove, tra-valicando le frontiere di ogni tipo, rendendolo«forestiero e pellegrino sulla terra» e così di-mostrando che «cerca una patria» (Ebrei11,13-14) che non si trova su questa terra.La Chiesa è chiamata ad essere questo popolopellegrino in cammino verso la «casa del Pa-dre», e il segreto di questa misteriosa itine-ranza è tutto racchiuso in quella voce uditaed ubbidita. Essere messo in movimento è ilsegno che la Parola è stata ascoltata.

2. Se è così – e nella Bibbia che racconta lastoria del popolo di Dio è indubbiamentecosì – se cioè la prima cosa è l’ascolto, esolo dopo viene l’annuncio, allora è chiaroche la chiesa nel suo insieme (il discorsovale per tutte le chiese) e ogni singolo cri-stiano, non deve parlare di Dio e in nomedi Dio se prima non lo ha ascoltato. Orasuccede spesso che la chiesa e il singolo cri-stiano parlino di Dio e in nome di Dio primadi averlo ascoltato. Ascoltano forse la tradi-zione (cioè loro stessi: la tradizione siamonoi), oppure le cosiddette leggi naturali (oquelle che ritengono siano “leggi naturali”),

o ancora la Ragione con la “r” maiuscola (oquella che ritengono sia la Ragione con la“r” maiuscola), o anche semplicemente ilBuon Senso (che in sé può essere apprez-zabile, ma che sovente è molto lontanodall’Evangelo cristiano), ma non ascoltanoDio. Voi conoscete i tre criteri di giudizio pervalutare il carattere cristiano o meno di unparola: secundum Scripturam, praeterScripturam, contra Scripturam. Una parolapuò essere considerata cristiana se è «se-condo la Scrittura», e anche se, pur essendoformalmente «al di fuori della Scrittura», èsostanzialmente conforme ad essa; non puòinvece essere considerata cristiana se è «con-tro la Scrittura». In generale le chiese parlanomolto, anche troppo, e sovente si ha l’im-pressione che non si preoccupino granchédi vagliare la qualità cristiana di quello chedicono misurandola con il metro della suaconformità alla Scrittura. La domanda è:quello che la chiesa, qualunque essa sia,dice su una certa questione ha sostanza bi-blica oppure no? Se non ce l’ha, non ha au-torità per la fede cristiana, nel senso chequest’ultima non può essere invitata a cre-dere a un discorso del tutto privo o anchesolo carente di sostanza biblica. La domandasulla biblicità di ciò che la chiesa, qualunqueessa sia, dice rivela il grado di ascolto o, alcontrario, di non ascolto della Parola di Dioda parte di quella chiesa.

3. Dove parla Dio? In tanti luoghi e modi.Può parlare attraverso un fiore, o attraversoun’asina (Numeri 22,28), o attraverso unangelo Luca 1, 13-20), o attraverso un uo-mo o una donna o un bambino o un vec-chio, parla anche tacendo, parla insommain mille modi diversi, ma anzitutto e soprat-tutto parla attraverso la Bibbia. Anzi la Bib-bia è stata costituita come canone (che si-gnifica «regola» e «misura» – s’intende re-

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gola e misura di fede e di vita) proprio perchéIsraele prima e la Chiesa poi hanno ricono-sciuto che nei libri che compongono la Bib-bia risuona in modo particolarmente chiaroed autorevole la parola di Dio. Tutte le chiesecristiane riconoscono la Bibbia come cano-nica, e la canonicità della Bibbia costituisceil più stretto e profondo vincolo che da sem-pre e ora più di prima le unisce. La Riformaprotestante ha sottolineato con forza parti-colare il primato della Scrittura nella chiesa,che ha ripensato come comunità «edificatasul fondamento degli apostoli e dei profeti,essendo Gesù Cristo stesso la pietra ango-lare» (Efesini 2,20). Il fondamento degliapostoli e dei profeti è quello biblico: è que-sto fondamento biblico (o meglio: la ricercadi questo fondamento) il tratto saliente delcristianesimo riformato, in ogni tempo, an-che nel nostro. La Bibbia ha sempre accom-pagnato la storia della chiesa attraverso isecoli, è sempre stata letta, meditata e com-mentata, ha sempre occupato un posto diassoluto rilievo nella vita, nella liturgia enella pietà personale e collettiva dei cristiani.Ma mai – se non nei primi decenni – erastata posta come fondamento della chiesa esostanza del suo discorso. Questo è acca-duto con la Riforma del XVI secolo. «La Ri-forma ci ha tolto tutto e, crudelmente, ci halasciato solo la Bibbia» – così scriveva inuna conferenza degli anni Venti del secoloscorso il maggior teologo protestante (e forsecristiano) del Novecento, Karl Barth.2 Maquesta Bibbia diventata l’unica parola daascoltare come parola sicuramente di Dio haricevuto nelle chiese della Riforma un rangoe un ruolo assolutamente centrali. La Rifor-ma, in fondo, è stata questo: una risostan-ziazione biblica delle parole fondamentali

della fede cristiana. Da allora l’ascolto dellaParola di Dio è avvenuto essenzialmente at-traverso la Sacra Scrittura. Si è certo prestatoascolto anche alla Tradizione, antica, me-dievale e moderna, ma solo nella misura incui era conforme alla Scrittura.

4. L’espressione «Parola di Dio» ha un tri-plice significato. Designa anzitutto e princi-palmente la persona di Gesù, Parola di Diofatta carne (Giovanni 1,14) che ha abitatoper un tempo fra noi, piena di grazia, verità– «Parola della vita» ( I Giovanni 1,1) cheabbiamo udito, veduto e persino toccato conle nostre mani – dicono i primi testimoni, eche a nostra volta annunciamo a voi – Pa-rola dunque che non è un discorso, ma unapersona. In secondo luogo, «Parola di Dio»è la predicazione di Cristo, fatta da apostoli,profeti e profetesse del 1° secolo, e raccoltanelle pagine del Nuovo testamento, che in-sieme all’Antico è stato dichiarato canonico,cioè normativo per la fede e la vita dellaChiesa. Vale per l’intera testimonianza bibli-ca quello che dice Paolo ai cristiani di Tes-salonica: «… quando riceveste da noi la pa-rola della predicazione, cioè la Parola di Dio,voi l’accettaste non come parola di uomini,ma, quale essa è veramente, come parola diDio» (I Tess. 2,13): la Sacra Scrittura è Pa-rola di Dio. In terzo luogo è Parola di Dio,e non di uomini, la predicazione di Cristofedele alla testimonianza biblica originaria –predicazione svoltasi attraverso i secoli finoad oggi. Parola di Dio significa Dio che parla,oggi come un tempo, attraverso i suoi testi-moni, cioè in primo luogo coloro che credonoin lui. E la parola che di Dio pronuncia e ri-volge a ogni generazione, in fondo, è unasola: Gesù. È lui la Parola di Dio. Ma lui non

2 KARL BARTH, Not und Verheissung der christlichen Verkündigung, in: Karl Barth, Das Wort Gottes und dieTheologie. Gesammelte Vorträge, Kaiser Verlag, München 1929, p. 110.

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l’abbiamo altrimenti che attraverso la paroladei primi testimoni, che la hanno conosciuto,ascoltato e seguito. Questa parola, che èquella del Nuovo Testamento (e dell’Anticoche la prepara), è unica e insostituibile. Sen-za quella parola non ci sarebbe il cristiane-simo, o il cristianesimo sarebbe qualcosa dicompletamente diverso da quello che è. Maquella parola, che è stata prima detta, ora èscritta. È parola diventata Scrittura, anchese la Parola è stata fatta carne, e non libro,e il nuovo Patto non è di Lettera, ma di Spi-rito (II Corinzi 3,6). La Lettera non è la Pa-rola, ma non possiamo pensare di avere laParola senza la Lettera biblica, o lontano daessa, o addirittura contro di essa. Quandoquesto accade – e può facilmente accadere– non abbiamo più a che fare con la paroladi Dio, ma con parole di uomini. Certo, laLettera non è la Parola, e l’identificazionetra lettera e Parola è la radice di ogni fon-damentalismo. La lettera è però la culla dellaParola, lo spazio misterioso e benedetto incui la Parola è custodita per tutte le gene-razioni. Ecco perché ci chiniamo e inchinia-mo davanti alla lettera della Scrittura, checustodisce nei secoli il tesoro dell’Evangelo. C’è a questo proposito uno straordinario rac-conto contenuto nelle pagine finali delromanzo L’ultimo dei giusti, di AndréSchwarz-Bart, che si rifà a un’antica tradi-zione ebraica secondo la quale il mondo ri-poserebbe su trentasei Giusti, i Lamed-waw,alcuni dei quali non sanno neppure di es-serlo. Ma, se uno mancasse, la sofferenzadegli uomini avvelenerebbe persino l’animadei neonati, e l’umanità soffocherebbe in ungrido. I Lamed-waw infatti, sono il cuoremoltiplicato del mondo, e in essi si versano,come in un ricettacolo, tutti i nostri dolori.

L’ultimo dei Giusti, di nome Erni Levy, fini-sce in un campo di sterminio e nella cameraa gas. E lì, nell’attimo che precedette il pro-prio annientamento, «si ricordò con gioiadella leggenda di rabbi Chaninà ben Teradiònquale la raccontava scherzando il nonno:quando il buon rabbi, avvolto nel rotolodella Torà, fu buttato dai romani sul rogoper aver insegnato la Legge, e gli acceserosotto le fascine di sterpi verdi perché fossepiù lungo il suo supplizio, i discepoli gli dis-sero: “Maestro, cosa vedi?” E rabbi Chaninàrispose: “Vedo la pergamena bruciare, ma lelettere volano via…” Oh sì, è vero, le letterevolano via, ripeté Erni Levy mentre la fiam-ma che gli bruciava il petto d’un sol trattogli invase il cervello…».3

La pergamena può bruciare, le lettere no.Verbum Dei manet in aeternum. Dove ? InDio e nelle lettere della Scrittura.

5. Dopo l’ascolto viene l’annuncio. L’an-nuncio della Parola di Dio è sostanzialmenteannuncio di Gesù Cristo, perché, in fin deiconti, la Parola ascoltata e da annunciare èLui. Tutta la Scrittura parla di Lui e a benguardare non dice altro che Lui. L’apostoloPaolo scrive ai Corinzi, ma tramite loro atutte le generazioni di cristiani: «Mi proposidi non saper altro tra voi fuorché Gesù Cri-sto, e lui crocifisso» (I Corinzi 2,2). Paolo,com’è noto, concentra l’annuncio cristianonella morte e risurrezione di Gesù, che ef-fettivamente ne costituiscono il cuore vivoe pulsante. La fede cristiana non nasce aNatale, ma a Pasqua. È però altamente si-gnificativo che gli evangeli (tutti e quattro,benché ciascuno in modo diverso), pur es-sendosi costituiti anche loro a partire dalracconto della passione, morte e risurrezione

3 ANDRÉ SCHWARZ-BART, L’ultimo dei Giusti, Feltrinelli, Milano 1964, p. 304.

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di Gesù, hanno poi scritto la storia della vitadi Gesù, considerandola rilevante, anzi parteintegrante dell’annuncio cristiano. Annun-ciare Cristo non vuol dire annunciare solola sua morte e risurrezione, ma anche la suavita, i suoi insegnamenti, le sue «opere po-tenti» (così vengono chiamati i «miracoli»),il suo modo di agire nei confronti della suafamiglia, della tradizione religiosa del suopopolo, delle autorità ebraiche e romane, deisuoi discepoli, delle donne, del Tempio, dellaScrittura, dei poveri e dei ricchi, dei primi edegli ultimi, e così via. Anche la vita di Gesùsalva, non solo la sua morte. La fede cri-stiana è credere in Gesù, ma anche crederecome Gesù, almeno cercare di credere e vi-vere come Lui. «Chi dice di dimorare in lui,deve, nel modo ch’egli camminò, camminareanch’esso» (I Giovanni 2,6).

6. Come avviene l’annuncio ? In tanti modidiversi: in pubblico e in privato, nelle casee nelle chiese, attraverso la parola e l’esem-pio, nella cura pastorale delle persone e nelculto. Nel mondo evangelico la predicazionepubblica, nelle chiese ma anche all’aperto,occupa un posto centrale. Fides ex auditu,«la fede vien dall’udire, e l’udire si ha permezzo della parola di Cristo» (Romani101,17). Ma che cos’è la predicazione ? Èla trasmissione del messaggio evangelicocustodito nella lettera e nella parola dellaBibbia. Il predicatore lo deve trovare, sca-vando nella Scrittura, che è come lo scrignonel quale si trova la perla preziosa, o comeil campo nel quale è nascosto il tesoro del-

l’Evangelo. La predicazione presupponequindi un grosso lavoro storico, filologico espirituale sul testo biblico. Val la pena ricor-dare, al riguardo, che Lutero prese le distan-ze dal modo in cui il Medioevo cristianoaveva praticato l’esegesi biblica, mettendoin luce i quattro sensi della Scrittura secondoil distico famoso Litera gesta docet, quidcredas allegoria, Moralis quis agas, quotendas anagogia.Cioè: l’interpretazione letterale si occupa deifatti (gesta), quella allegorica della dottrina(quid credas), quella morale, detta anchetropologica, della condotta (quid agas),quella anagogica della metafisica e dell’esca-tologia (quo tendas).4 A differenza di questomodo di leggere la Scrittura, e quindi di pre-dicarne il messaggio, Lutero propone il pri-mato del «senso letterale», come afferma ri-petutamente in molti scritti, ad esempio nellaCattività babilonese della Chiesa (1520):«…alle parole divine né uomini né angeli[cf. Galati 1,8] devono fare alcuna violenza,ma esse, per quanto possibile, devono essereconservate nel loro più semplice significatoe, a meno che il contesto non imponga difare altrimenti, non devono essere accolteal di fuori del loro senso letterale [extragrammaticam], che è loro proprio, per nondare agli avversari l’occasione di eluderel’intera Scrittura».5 Lutero era ben consape-vole del fatto che l’interpretazione può ancheessere un modo raffinato, colto, non per il-lustrare, ma al contrario per oscurare o ad-dirittura modificare il messaggio della Scrit-tura, non permettendole di dire quello che

4 BRUNO CORSANI, Lutero e la Bibbia. L’ermeneutica di Martin Lutero, in: AA.VV, Lutero nel suo e nel nostrotempo. Studi e conferenze per il 5° centenario della nascita di M. Lutero, Claudiana, Torino 1983, pp. 160 s.5 MARTIN LUTERO, De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium, in: Martin Luther, Studienausgabe, vol. 2,a cura di Hans-Ulrich Delius, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1982, p. 187, 21-15. Trad. ital. Martin Lutero,La cattività babilonese della Chiesa, a cura di Fulvio Ferrario e Giacomo Quartino, Claudiana, Torino 2006, p.107.

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dice e, inversamente, facendole dire quelloche non dice. Perciò sostiene che «la gram-matica» è la vera teologia. La predicazionedunque non deve tanto interpretare, quantopiuttosto trasmettere il messaggio così comeè stato colto nelle parole della Scrittura.Ma c’è chi oggi si chiede se la predicazionepubblica, nel culto o in altri contesti, sia an-cora un mezzo idoneo per trasmettere allanostra generazione il messaggio cristiano.L’uomo contemporaneo è ancora disposto,in mezzo ai mille messaggi che ininterrot-tamente lo raggiungono, lo inseguono equasi lo perseguitano, a prestare ascolto almessaggio cristiano ? C’è ancora in lui unavolontà e una capacità di «ascolto» o è di-ventato impermeabile a qualunque discorso?Certo, l’enorme proliferazione delle parolepuò rendere oggi più difficile la trasmissionedella parola cristiana. Constatiamo ancheogni giorno che la secolarizzazione, carat-teristica dell’Europa moderna e contempo-ranea, ha allontanato molte persone dallatradizione cristiana custodita (più o menobene) dalle chiese. Constatiamo però ancheche oggi non meno di ieri resta vivo in moltil’interesse per le questioni di fondo della vitaumana, la ricerca di senso e orientamento,che non si trova nella vita stessa, ma fuoridi essa: non basta vivere per capire perchési vive. Quindi, in fondo, resta viva, ogginon meno di ieri, la ricerca di Dio, anche sequesta ricerca viene oggi spesso dirottataverso soggetti diversi da quelli cristiani tra-dizionali: fioriscono altri culti e religioni, spe-cialmente orientali, ma non solo. C’è ancheuna ripresa di ateismo militante che consi-dera la religione – tutte le religioni, indistin-tamente – non solo come illusoria, ma anchecome altamente nociva. Forse questa è unareazione ai danni (effettivamente notevoli)delle varie forme di fondamentalismo, pre-senti purtroppo in tutte le religioni. L’an-

nuncio cristiano deve dunque confrontarsioggi con situazioni molto differenziate e de-ve, in conseguenza, articolarsi in modi di-versi. Ha però, oggi non meno di ieri, lapossibilità di essere ascoltato e accolto. Valela pena, oggi non meno di ieri, di recare allanostra generazione, come gli angeli nellanotte di Natale, «la buona notizia di unagrande gioia che tutto il popolo avrà» (Luca2,10). La buona notizia, l’abbiamo già detto,è Gesù di Nazareth e la sua storia, così comela testimonianza biblica ce l’ha trasmessa.La ricchezza e varietà di questa testimo-nianza sono tali da offrire molti spunti emateriali per un annuncio articolato secondoi vari contesti in cui avviene e i diversi in-terlocutori a cui è rivolto.

7. Se poi qualcuno ponesse la domanda (tut-ti ce la poniamo): Che cosa dire di Gesù allanostra generazione? Quale aspetto del-l’Evangelo, che è Lui in persona, proporreall’uomo di oggi? risponderei, per parte mia,in questi termini: l’umanità di Gesù può es-sere oggi il cuore dell’annuncio cristiano.Sappiamo tutti che l’uomo che vive, pensae agisce nel bacino culturale dell’Occidenteè largamente secolarizzato, anche quandonon è totalmente separato dal mondo dellechiese. Essere secolarizzato significa, in so-stanza, non sapere più o non sapere ancoradove collocare Dio sia nel proprio universointeriore, sia in quello esteriore. Dio è almassimo una domanda, non un punto di ri-ferimento: perciò un dialogo che parta daDio può arenarsi dopo poche battute. Meglioperciò partire dall’uomo, della cui realtà nonsi può dubitare. Dio può essere messo in di-scussione e anche negato, l’uomo no. E cia-scun uomo, per poco che prenda sul seriola sua condizione umana, non può esimersidal rispondere a domande elementari comequeste: Che cosa è l’uomo? Che cosa lo ca-

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ratterizza come tale? Che cosa lo rende uma-no? Che cosa significa «umanità»? All’inter-no di queste domande, che sono comuni acredenti e non credenti e ugualmente rile-vanti per tutti, si apre la strada all’annunciocristiano della umanità di Gesù, «veramenteDio e veramente uomo» secondo il Conciliodi Calcedonia (451). L’umanità di Gesù è lospecchio dell’umanità di Dio. All’antica do-manda di Anselmo d’Aosta Cur Deus homo?la risposta è: Dio è diventato uomo, affinchélo diventasse anche l’uomo. In Gesù è ap-parsa l’umanità di Dio e dell’uomo insieme.All’umanizzazione di Dio in Gesù deve oraseguire l’umanizzazione dell’uomo. L’uomonon è ancora diventato veramente umano,non ha ancora raggiunto la «statura perfet-ta» di Cristo (Efesini 4,13), che è anche lastatura perfetta dell’uomo. In fondo si po-trebbe dire che solo Dio, finora, è riuscito adiventare uomo. L’uomo non ancora. Eglipuò trovare in Gesù la misura dall’umanoche ha perduto, ma che Dio ha conservatoe manifestato nel suo Figlio. Nei venti secoli

della sua storia il cristianesimo ha molto in-sistito, comprensibilmente, sulla divinità diGesù da un lato, e dall’altro sulla sua uma-nità crocifissa. L’umanità di Gesù non cro-cifissa, che egli ha vissuto prima della pas-sione, cioè il suo modo di rapportarsi a Dioe agli uomini (soprattutto ai malati, ai pec-catori, agli emarginati, ai bambini, alle don-ne, ma anche ai rappresentanti del poterereligioso e politico) è rimasta in ombra, maè proprio l’umanità di Gesù che salva l’uomodalla disumanità che sempre lo minaccia.L’umanizzazione dell’uomo, cioè la sua cre-scita verso un modo non violento, fraternoe solidale di essere uomo, è fondamentaleper la sua sopravvivenza nel «villaggio glo-bale». Per questa ragione, nel quadro di unacultura secolarizzata che caratterizza il no-stro tempo, l’umanità di Gesù può esserel’Evangelo, la buona notizia, alla quale lanostra generazione può prestare ascolto, tro-vando anche, per questa via, un rapportopositivo con la realtà, altrimenti inaccessi-bile, di Dio.

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Non si possono nutrire dubbi sulla centralitàdella Scrittura all’interno del mondo ebraico:la Parola-Scrittura (non a caso userò questodoppio termine) rappresenta il fulcro per-manente del pensiero e dell’esperienza delpopolo d’Israele. D’altra parte questa cen-tralità deve essere analizzata con cura, percapire tutte le sue sfumature complesse nellevarie fasi e correnti del pensiero ebraico, ele sue implicazioni ad ogni livello. In questasede, ci concentreremo su alcuni aspetti fon-damentali del tema all’interno della culturadel cosiddetto ‘giudaismo rabbinico’.

1. Conviene partire da un’affermazione piut-tosto famosa della letteratura rabbinica, trattada quella raccolta fondamentale di detti deiMaestri del rabbinismo che va sotto il nomedi Pirqei Avot, una raccolta in qualche modoallegata alla Mishnah e quindi contenuta nelTalmud. A proposito della Scrittura si dice:“Voltala e rivoltala, poiché tutto è in essa.Rimirala, invecchia e consumatici sopra. Nonte ne allontanare mai, poiché non vi è perte parte migliore di essa”.1 Detto breve esemplice in apparenza: in realtà, come inmolti aforismi rabbinici, traspare una grandedensità di significato (enigmatico è persinoil nome dell’autore: Ben Bag Bag, un rabbinodi incerta identificazione, a cui viene attri-buito forse uno pseudonimo simbolico).

Dunque il Libro come ciò che di più impor-tante è nella vita dell’uomo, da tenere comecriterio di orientamento e da approfondiresenza sosta, per tutta la vita (si dice infatti:“Rimirala, invecchia e consumatici sopra”).Ma perché e come si deve fare questo? De-cisivo è l’inizio del passo: “Voltala e rivoltala,poiché tutto è in essa”. “Tutto è in essa”: laScrittura ha innanzitutto questo carattere diorizzonte completo, di apertura inclusiva eonni-comprensiva. Non sorprende che que-sto carattere sia stato sviluppato in partico-lare dalle correnti del misticismo ebraico,che sottolineano l’infinità, l’infinita profon-dità della Scrittura: le sue parole (persino isuoi significanti minimi, come vedremo) ab-braccerebbero in sé la realtà tutta, incluse lesue dimensioni più nascoste e più alte. Maanche la letteratura rabbinica classica ruotaintorno all’idea che la Torah racchiude tuttii significati fondamentali per l’uomo in ognitempo, e da lì bisogna cominciare ogni voltaper pensare e capire.2 Questo vale natural-mente anche oggi. Basti pensare all’espe-rienza banale di chi sente parlare un rabbinosu un certo tema (magari anche un proble-ma attuale): il punto di partenza è sempreun certo passo o versetto della Bibbia, lettoe riletto per trovare una risposta… In terminipiù filosofici, potremmo dire che la Scritturaè l’orizzonte perenne, il fondamento e il me-

LA PAROLA-SCRITTURA NEL PENSIEROE NELL’ESPERIENZA

DEL GIUDAISMO RABBINICOMaurizio Mottolese, Docente incaricato della PUG,

collaboratore del centro culturale “Cardinal Bea” per gli studi giudaici

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1 Pirqei Avot 5, 4.2 Già nella letteratura rabbinica (e poi naturalmente nella letteratura mistica dell’ebraismo) emerge l’idea dellaTorah come entità divina (e non solo di origine divina): entità ‘celeste’, ‘primordiale’ e ‘finale’… Di questa di-mensione superna, ad esempio, Dio si sarebbe servito per creare il mondo (Genesi rabbah 1, 1).

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dium del pensare. Non può esserci un altrocominciamento, una verità metafisica o ra-zionale ‘oltre’ o ‘dietro’ quelle parole antiche:il cominciamento è appunto il dato scrittu-rale, che è letteralmente ‘dato’ divino, inquanto è il “dono della Torah” (mattan To-rah). Più precisamente, il Libro è stato do-nato agli uomini nelle sue due componentiprimarie: come la Narrazione fondamentalee come la Legge fondamentale. Ma qui si scopre immediatamente l’altra fac-cia della medaglia. Quel dono – la rivelazione– è un linguaggio verbale, che deve essereinteso; di più, è un linguaggio scritto (gli“scritti sacri”, kitvei ha-qodesh, è un altronome ebraico della Bibbia) e in quanto taleva decifrato, esplorato… In quanto si trattadi un testo, richiede in modo ineludibile l’in-terpretazione. In effetti, il detto rabbinicoprima citato si apre con un imperativo: “Vol-tala e rivoltala!”, che solo dopo viene spie-gato: “poiché tutto è in essa”. L’imperativofondamentale è l’imperativo dell’interroga-zione: il Libro va ‘voltato e rivoltato’ conti-nuamente! Un celebre racconto talmudico siconclude con l’affermazione radicale che laParola divina ormai non parla più dall’alto,“non è più nei cieli”, poiché è stata conse-gnata alle mani degli uomini (noi – diconoaltrove i rabbini – siamo solo i “figli dei pro-feti”3). Secondo questo racconto talmudico,dopo la fine della profezia, sta agli uominidecidere a maggioranza la corretta interpre-tazione della Legge. L’idea di fondo, inoltre,

è che la Torah non è affatto un codice fissoe immobile, da assumere in modo passivo:al contrario, è stata data agli uomini perchéessi cerchino dentro di essa il senso e la re-altà, con una pratica interpretativa potentee attiva, con forza, creatività, coraggio. Oc-corre investigare i suoi versetti, occorre in-terpretare, occorre rendere attuale… Non acaso il genere forse più importante e costi-tutivo della letteratura rabbinica è midrash.Questo termine, che designa innanzitutto lamodalità peculiare dell’esegesi rabbinica, èlegato al ricercare (li-derosh), cioè appuntoal ‘cercare’ significati e risposte dentro i ver-setti della Bibbia. La riflessione, il pensierostesso non sono in effetti altro che interpre-tazione del testo, sono un ‘fare midrash’!Ecco che a mio avviso si staglia qui al centrodel pensiero ebraico – in particolare nellacorrente più importante dell’ebraismo post-biblico, quello farisaico-rabbinico (detto an-che ‘giudaismo classico’), che prende formadefinita intorno al I secolo d.C. – una dia-lettica centrale. Da un lato, indubbiamente,il giudaismo acquisisce davvero una ‘fisio-nomia testo-centrica’: si assiste a una pro-gressiva centralizzazione della Scrittura nellareligione d’Israele; il popolo d’Israele diventadavvero ‘popolo del Libro’; la cultura e in-sieme il culto ruotano intorno al Libro, aglieventi raccontati nel Libro, alle norme espo-ste dal Libro…4 Ma al tempo stesso e im-mediatamente – questo è l’altro lato delladialettica – si tratta di una ‘fisionomia er-

3 Cfr. il passo talmudico riportato in A.C. AVRIL-P. LENHARDT, La lettura ebraica della Scrittura, Magnano 1984,pp. 76-78 (questo libricino tradotto in italiano da Qiqajon rappresenta un’utile guida su questi temi). 4 Si tratta innanzitutto di un mutamento cruciale sul piano storico-culturale. Gli studiosi moderni più autorevolihanno mostrato che progressivamente il Libro – il ‘luogo santo mobile’ – va ad occupare il centro che primaera occupato dal Tempio – il ‘luogo santo fisso’, stabile. Probabilmente già nei secoli complessi del SecondoTempio, aveva acquistato sempre maggiore rilevanza il ‘rotolo della Torah’, un testo scritto, letto e proclamatoalla comunità; ma poi questo processo si dispiega sempre più dopo il 70 e il 135 d.C., quando l’Impero romanomette fine all’autonomia della terra d’Israele e il popolo ebraico si disperde nelle diaspore… Per una presentazionedi queste trasformazioni epocali, si veda M. HALBERTAL, People of the Book, Cambridge Mass. 1997.

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meneutica’: il testo esige la ‘spiegazione’; laparola prevede il ‘commento’; si aprono pro-cessi di interpretazione senza fine…

2. Un altro modo per chiarire la centralitàdella Parola-Scrittura nel mondo ebraico, eal tempo stesso la sua complessità, può es-sere quello di analizzare meglio il termineTorah. Questo termine indica l’‘insegnamen-to’ divino, legato alla manifestazione/rive-lazione di Dio. In realtà, però, nel giudaismoclassico questo insegnamento copre un’areasemantica vasta: Torah può designare laLegge mosaica (o i primi cinque libri dellaBibbia), ma poi anche l’insegnamento pro-fetico e sapienziale, e infine tutto il com-plesso di norme sviluppato dalla tradizione.Torah indica, dunque, tanto la scrittura (ola parte più alta e sacra della Scrittura) quan-to tutto il corpus della tradizione rivelativa.Non a caso, per i maestri del fariseismo edel rabbinismo, la rivelazione è da semprein qualche modo ‘duplice’: accanto alla ‘To-rah scritta’, c’è la ‘Torah orale’ (il giudaismoclassico è il ‘giudaismo della doppia Torah’,delle torot5). Il rapporto tra ‘Torah scritta’ e ‘Torah orale’costituisce il fulcro del giudaismo rabbinico,e solleva discussioni fra i rabbini stessi.6

Mi limito qui a un paio di esempi (che mo-strano fra l’altro fino a che punto la tradi-zione rabbinica sia plurale). Alcuni testirabbinici sembrano affermare che ogni ele-mento della tradizione orale è già ‘incluso’

nella Scrittura; fino al paradosso: persinola lettura attuale che un discepolo acutofornirà davanti al suo maestro, tutto “è giàstato detto a Mosè sul Sinai (halakah le-Moshe mi-Sinai)”.7 Qui si esprime l’ideache non solo la Scrittura ma anche la Tra-dizione risale all’esperienza originaria dellaRivelazione sul Sinai: ciò che della rivela-zione divina non si è incarnato nello scritto,è disvelato e trasmesso dalla tradizione ora-le. D’altra parte, alcuni maestri tendono asfumare questa impostazione estrema, chefinisce per dare legittimità di rivelazione adogni lettura possibile, e propongono con-cezioni più ‘moderate’ (anche se non menoaudaci). In un famoso passo talmudico, distraordinaria densità e ironia, si narra chequando Mosè sale al cielo osserva dall’altoil grande Rabbi Aqiva trarre dalla Torah“montagne di halakot” (determinazionipratiche). Mosè confessa di non capire nul-la di queste interpretazioni del testo scrittoda lui stesso! In sostanza, Dio avrebbe ri-velato a Mosè le questioni, ma non tutte lerisposte, i principi generali, ma non le de-terminazioni specifiche, che andrannoesplorate dalle generazioni successive…Quiprevale l’idea di una Torah orale come‘innovazione’, ampliamento (d’altronde,dicono alcuni rabbini, persino la ‘praticadi vita’ di un maestro o di un giusto èTorah!).8

La posizione dei rabbini è talmente dialet-tica che essi sembrano continuamente sfu-

5 I testi parlano spesso di torot al plurale: cf. ad esempio Talmud Bavli, Shabbat 31a; Sifre Deuteronomio suDeut. 33, 10 e Sifra su Lev. 26, 46. 6 Questo vale naturalmente ancora oggi. Ecco una formulazione espressa pochi anni fa dal rabbino AdinSteinsaltz: la Bibbia costituisce in qualche modo il discorso di Dio rivolto all’uomo, mentre il Talmud (cheracchiude la Torah orale) rappresenta la risposta dell’uomo a Dio,7 Si veda, ad esempio, Talmud Yerushalmi, Pe’ah 2, 4, 17a; Kohelet Rabbah 1, 9, § 1.8 Su queste prospettive, si vedano le ricerche di D.W. HALIVNI (in italiano, Restaurare la rivelazione, Firenze,2000), in cui si ricostruiscono nelle fonti rabbiniche le tracce di un’idea assai audace: la Torah è di origine divina,

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mare la distinzione fra le due torot. Essiconsiderano la Torah mosaica come un’en-tità aperta e dinamica, un testo che ‘si rin-nova’ e ‘cresce’ ogni giorno mediante le in-terpretazioni dei suoi lettori, e dunque ‘sidona nuovo’ ogni giorno ai suoi lettori egrazie ai suoi lettori.9 Ecco allora che la To-rah orale sembra accogliere in sé la Torahscritta, o viceversa è la Torah scritta chepare racchiusa dentro una Torah orale piùampia.10

Queste poche indicazioni bastano a mo-strare che l’ebraismo vive di una dialetticacontinua fra ‘Torah scritta’ e ‘Torah orale’,fra Scriptura e Traditio. Esse costituisconoi due fuochi di un circolo – il circolo dellinguaggio (e della Rivelazione) – che èsempre estremamente dinamico… Vi è unrapporto dialettico tra testo e interpretazio-ne ovvero – per dirla nei termini più raffi-nati utilizzati in precedenza – la culturarabbinica ha una natura testocentrica mainsieme fondamentalmente ermeneutica. Iltesto non basta, chiede l’interpretazione (eforse, sia detto qui en passant, proprioquesto impedisce il fondamentalismo). Daun lato, il Libro resta innegabilmente pri-mum e medium di ogni riflessione (e sem-bra comprendere in sé tutto). D’altro lato,la potenza dell’azione interpretativa apparefortissima (e sembra trascendere il testostesso).3. Ma a chi spetta il primato, alla Torahscritta o alla Torah orale? Alla Scrittura o

alla tradizione/interpretazione? Soffermia-moci per il momento su questo secondoaspetto. Abbiamo visto in precedenza che ilvalore della tradizione orale eguaglia quellodella tradizione scritta, al punto che un’ese-gesi o una norma della Torah orale possonorivendicare il proprio carattere ‘rivelativo’(vengono dal Sinai!). La “nuova interpreta-zione” – hiddush – è celebrata. Non stupisce,quindi, che il potere dell’interprete nella tra-dizione rabbinica sia notevolissimo e legit-timato nella sua audacia. Un aspetto viene messo in evidenza conti-nuamente dalla tradizione: il testo esige l’in-terpretazione, innanzitutto perché si trattadi un testo plurale, polisemico. I rabbini siriferiscono sovente al versetto biblico di Sal.62, 12: “Una parola ha detto Dio, due neho udite”, oppure all’immagine di Ger. 23,29 del martello che produce scintille sullaroccia, per sostenere che la parola divina ènecessariamente polisemica, offre volti dif-ferenti e livelli di significato plurimi. L’inter-prete di turno, dunque, deve proporre la pro-pria lettura come un ulteriore livello di sensoaperto dalla Scrittura (certo non deve pre-tendere di fornire la spiegazione ultima etrasparente del Testo, ma deve suggerire lasua interpretazione all’interno del grovigliodi tradizioni interpretative precedenti, invi-tando la tradizione successiva a tenerne con-to). È chiaro che così la parola di Dio si mol-tiplica e cresce in modo dinamico, e che latradizione orale assume un ruolo decisivo in

ma è ‘macolata’, ‘imperfetta’, perché vi sono stati errori nella trasmissione umana del testo; ecco allora che iltesto originario deve essere in qualche modo ‘purificato’, ‘restaurato’ nell’interpretazione umana.9 Questa prospettiva venne elaborata soprattutto dalla mistica ebraica medievale, la Qabbalah, che paragonò laTorah a un ‘organismo’ vivente, pulsante e in espansione, oppure ad un ‘tessuto’ infinito, ricamato continuamentedai propri lettori. Si veda in proposito, G. SCHOLEM, La Kabbalah e il suo simbolismo, Torino1980 (in part. cap.II: Il significato della Torah nel misticismo ebraico).10 Sui rapporti fra il “fuoco bianco” e il “fuoco nero” tornarono, di nuovo, soprattutto i mistici ebrei del Medioevo:cf. M. Idel, Absorbing Perfections, pp. 48-52.

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questo processo. In effetti, la letteratura rabbinica presenta incontinuazione serie di interpretazioni diffe-renti (e spesso contrastanti) sul senso deiversetti scritturali: all’affermazione del rab-bino x riguardo un versetto, segue quelladel rabbino y, introdotta di solito dalle paroledavar aher (“un’altra interpretazione”, “unalettura ulteriore”…). La tradizione orale am-plia e fa crescere quella scritta mediante ildibattito esegetico e il conflitto delle inter-pretazioni. Secondo i rabbini, non c’è nientedi male in questo: al contrario, persino in-terpretazioni contraddittorie possiedono en-trambe un valore, contengono una partedella verità: “queste e quelle sono parole diDio”!Una tale forza delle interpretazioni, e dellatradizione orale che le raccoglie, è evidenteanche sul piano fattuale. I rabbini percepi-scono che lo stesso canone biblico è com-posto di tradizioni diverse e che un testo bi-blico successivo può essere inteso come am-pliamento o precisazione di un passo prece-dente: in qualche modo, suggeriscono, l’in-terpretazione è presente nella Bibbia stes-sa!11 Inoltre, essi sanno bene che il testo èstato accompagnato da sempre da esegesi eprecisazioni che lo arricchiscono. Così la Bib-bia rabbinica non assomiglia per nulla ai te-sti biblici che da un paio di secoli si cercadi ricostruire mediante un approccio storico-critico. Essa contiene nella cornice della pa-gina non solo il cosiddetto ‘testo masoretico’(con vocalizzazione e puntazione prodottenel Medioevo), ma anche osservazioni di ti-po filologico, con riferimenti ad eventualivarianti, traduzioni del testo in aramaico diorigine molto antica, commentari plurimi di

matrice medievale!Chi si sia accostato alla letteratura rabbinicaalmeno una volta sarà rimasto sorpreso dallapotenza del midrash. Per studiosi moderni,abituati a un approccio filologico, certe in-terpretazioni appaiono del tutto forzate e ar-bitrarie (già gli antichi rimproveravano al-l’esegesi ebraica di essere insieme ‘troppoletterale’ e ‘troppo fantasiosa’!). Nel Mi-drash, soprattutto nella sua parte narrativae omiletica (midrash aggadah), si utilizzanometodi esegetici che fanno pensare a una“filologia creativa” o ad una “storiografiacreativa”.12 Ma anche nel Midrash relativoalle norme (midrash halakah) si utilizzauna grande libertà interpretativa per ‘appli-care’ la legge biblica a nuovi contesti (è bennoto, ad esempio, che i rabbini interpretanola legge del taglione come se intendesse unrisarcimento in denaro…). In effetti, la lettura rabbinica sembra spessostravolgere il senso ‘piano’ dei passi biblici;può utilizzare i versetti per una elaborazionepersonale o attualizzante; costruisce nellasua ri-narrazione qualcosa di assolutamentenuovo rispetto al contesto scritturale… Laforza del lettore è tale che, in molte occa-sioni, risulta difficile stabilire se il testo bi-blico sia davvero oggetto di interpretazioneo se esso sia piuttosto utilizzato come “ap-poggio” per validare una norma esterna oun’opinione di stretta attualità. Un grandestudioso ha descritto in modo efficace uncerto tipo di esegesi rabbinica: “Rabbi Akiva(lo stesso rabbi che, abbiamo visto prima,‘ricamava’ sulle lettere della Torah mosaica)incorporated the Oral Law in the WrittenLaw, in its words, and in its letters”.13 Ineffetti, in certi testi, il lavoro esegetico appare

11 Questa caratteristica del testo biblico, d’altra parte, è stata sottolineata anche da studi recenti: penso al librodi M. FISHBANE, Biblical Interpretation in Ancient Israel, Oxford 1985. 12 Sono le categorie proposte da I. HEINEMANN, I metodi dell’aggadah, Jerusalem 1949 (ebr.).

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quasi una “interposizione” nelle parole deltesto, una sorta di ri-scrittura creativa dellaTorah. Si spalanca, allora, in tutta la sua gravità,il problema dei ‘limiti dell’interpretazione’.Si tratta di una questione cruciale anche neldibattito contemporaneo, che non possiamocerto approfondire qui. I limiti dell’interpre-tazione midrashica appaiono assolutamentesfuggenti (anche perché la tradizione rabbi-nica non conosce una strutturazione dog-matica dei suoi metodi e dei suoi contenuti).Ma l’impressione, in breve, è che in realtàesistano nel mondo ebraico limiti dell’inter-pretazione sottili e profondi. Innanzitutto ab-biamo regole interne, esplicite, stabilite dallastessa tradizione rabbinica.14 Ma ancor dipiù abbiamo una sorta di delimitazione im-plicita del campo interpretativo. L’interpretesembra muoversi in un campo di forze de-terminato, e, di fatto, al livello dei contenutifondamentali, le sue innovazioni sono nelcomplesso piuttosto limitate. Così, la “no-vella interpretazione” (hiddush) è accoltacon gioia, ma solo se essa si mantiene nel-l’alveo della tradizione, altrimenti viene ri-fiutata.

4. Un limite decisivo deriva proprio – a mioavviso – dalla centralità del testo (ed eccoche torniamo qui alla Scrittura e al suo even-tuale primato). È vero, c’è la potenza del-l’azione interpretativa; ma questo ‘esodo’interpretativo si accompagna continuamenteal ‘ritorno’ al Testo originario. Su questopunto tutta la tradizione ebraica non tran-sige: la Torah non può essere ‘sostituita’, èil canone sacro definitivo, il punto più altodella rivelazione. La libertà della ricerca si

esercita dunque su un Testo unico, e – perdirla con Eco – questo testo “fa resistenza”,anche laddove la nozione del suo significatoletterale sia molto vaga. Non sorprende cheil testo abbia continuato a dettare l’agendae le categorie di fondo al pensiero degli in-terpreti, a fornire i simboli decisivi, le strut-ture normative, e così via. L’interrogazionesi pone nel solco della precedente tradizioneinterpretativa su quel Testo: entro le ‘cornici’stabili dettate dalla narrazione iniziale e dallastoria dei suoi effetti nella comunità inter-pretante. Infine, la lettura dell’interprete at-tuale, per quanto potente, sarà sempre ‘re-lativa’, ‘limitata’: non potrà mai proporsi co-me ‘dottrina’ ultima, capace di ‘sostituire’ ilTesto. La posizione rabbinica afferma che iltesto (esternamente ‘chiuso’) deve essere‘dispiegato’ (‘aperto’) nelle sue potenzialitàinterne, va ‘portato a compimento’ dalla tra-dizione e dall’interpretazione, ma è chiaroche sempre da lì bisogna partire, e lì bisognatornare.Questa posizione sembra trovare conferma,di nuovo, in alcuni fenomeni storici, empi-rici. In primo luogo, se si esaminano i generie materiali letterari propri della tradizionerabbinica, si coglie immediatamente il ruolopermanente e decisivo della Bibbia ebraica:ciò che domina, in tutte le epoche, è il ‘faremidrash’, ovvero la pratica interrogativa-interpretativa sulla Scrittura. E questo si ri-scontra in tutte le forme della letteraturarabbinica. 1) Il Talmud è composto per lamaggior parte da interpretazioni midrashichedella Bibbia, appare quasi un mosaico o unflorilegio di versetti biblici. 2) Il Targum nonè altro che la traduzione aramaica della Bib-bia ebraica, una traduzione che è insieme

13 E. URBACH, The Sages, Jerusalem 1968, p. 299.14 Cf. in proposito, il saggio di B. Carucci Viterbi, Le regole ermeneutiche per l’interpretazione del testo biblico,nell’utile volume collettivo La lettura ebraica delle Scritture, Bologna 1995, pp. 75-101.

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interpretazione, o persino ri-scrittura, dellaBibbia. 3) E poi, come è noto, vi sono i mi-drashim (midrash è sia il nome della praticainterpretativa, sia costituisce un genere let-terario a sé stante): midrashim sono ap-punto i testi esegetici che interpretano laBibbia secondo le modalità del midrash (mi-drash su Genesi, su Esodo…).Vorrei soprattutto attirare l’attenzione suuna costante storico-culturale. Ogni qualvolta la tradizione ebraica ha sviluppato (oassorbito dall’esterno) un genere letterarioautonomo, ha poi sempre articolato unaletteratura capace di mediare, di collegare,quel genere con la Bibbia. Così, quando iprimi maestri del giudaismo rabbinico de-cisero di mettere per iscritto la tradizioneorale (andando oltre il precedente divieto),essi elaborarono un corpus di norme legalie morali (la Mishnah), senza reali connes-sioni con il testo biblico: in effetti, la Mi-shnah, questo importantissimo codice giu-ridico chiuso intorno al 200 d.C., diviso in6 ordini, raccoglie norme del diritto civilee/o religioso che si erano venute via viaformando nel mondo ebraico (riguardantil’agricoltura, i matrimoni, i reati, ecc.), manon presenta alcun legame esegetico o di-retto con la Bibbia. Immediatamente dopo,lo sforzo dei rabbini fu quello di riannodareil corpus normativo e rituale della Mishnahal canone scritturale (ciò che avviene nellaGemara, una sorta di commento alla Mi-shnah): da cui il Talmud, ecc. Un altroesempio. La speculazione mistica antica, avolte, venne sviluppata inizialmente in mo-do autonomo dalla Scrittura; ma poi nac-quero commentari che la legavano stretta-mente alla lettera ed ai contenuti della Bib-bia (tipico è il caso dei commentari al Sefer

Yetzirah). Così, i generi letterari più tipicidella mistica medievale (la Qabbalah) sonoil commento alla Torah, la ricerca delle ra-gioni dei precetti biblici…; e anche quandoil suo discorso appare più speculativo o sle-gato dal dettato della Bibbia (cosmologiamistica, ecc.), esso si presenta costante-mente come un florilegio vertiginoso di ci-tazioni e interpretazioni di versetti. Un pro-cesso simile riguarda persino la filosofiaebraica. L’assorbimento della filosofia è po-tuto avvenire solo a patto di conciliare leverità ‘greche’ con il discorso biblico (me-diante la sua interpretazione allegorica,ecc.); e il più del volte il pensiero filosoficoè stato allontanato e guardato con sospetto,proprio perché rischiava di mettere in di-scussione la validità e la centralità perma-nente della Scrittura.15

Mi pare in sostanza che il mondo ebraicoabbia sempre rigettato ogni tentazione, ognitentativo di sostituire l’orizzonte originario(la Torah) con un codice successivo, piùsemplice o esplicativo o moderno: per usareun’immagine nota, la Torah scritta dovevarimanere il fuoco, la Torah orale i raggi cheescono fuori (in tutta la loro pluralità…).Conferme ulteriori, e di diverso tipo, potreb-bero venire da un’osservazione dell’impor-tanza della Scrittura nelle strutture cultualidel giudaismo rabbinico. È del tutto evidenteche la lettura, l’ascolto e l’esegesi della Bibbiarivestono un ruolo di primo piano, e forsecostituiscono il momento cruciale, dell’espe-rienza religiosa e della pratica rituale e litur-gica del rabbinismo, sia nella sua dimensionecollettiva, sia nelle sue forme più individuali. Innanzitutto nel culto sinagogale. Il mo-mento caratteristico ed essenziale della li-turgia dello shabbat è la lettura di una se-

15 Per ulteriori approfondimenti e suggerimenti bibliografici su questi punti, cf. M. HALBERTAL, People of theBook, cit.

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zione del Pentateuco (la pericope settima-nale, la parashah: oggi – com’è noto – lalettura di tutta la Torah viene completata inun anno, in un ciclo liturgico annuale: 54parashot). Subito dopo questa prima letturatratta dai cinque libri della Torah si leggeun secondo passo, tratto dai Profeti. Al-l’ascolto della Scrittura segue poi un’omelia(derashah) che – fin dai tempi antichi – hail compito di ‘aprire’ alla comunità i signi-ficati della sezione biblica appena letta (ilmodello biblico, chiaramente, è quello diEsdra che porta il Libro davanti alla comu-nità, ne legge delle parti e lo spiega al po-polo). In che modo? Secondo l’approcciodel midrash – interpretativo, creativo, nar-rativo – prima messo in evidenza: in primoluogo interrogando la prima lettura alla lucedella seconda, facendo dunque collegamentifra la Torah e gli altri scritti della tradizionecanonica. È importante anche sottolinearegli elementi di contorno, ma molto signifi-cativi, di questi momenti del culto sinago-gale. Si tratta di gesti solenni e antichi in-torno alla Torah (ancora oggi, sono forse irituali della liturgia ebraica svolti con lamaggiora aura sacrale, con piena concen-trazione...). Questi rituali prevedono che i‘rotoli’ della Torah vengano estratti solen-nemente dall’‘arca santa’ – l’armadio, aronha-qodesh –, fatti girare davanti alla comu-nità, e poi portati sull’ ‘altare’ per la recita-zione della Parola. Va da sé che tutte le pre-ghiere svolte in sinagoga sono o tratte dallaScrittura o legate in vario modo ai versettiscritturali: si pensi allo Shema Yisrael(“Ascolta Israele”) o alle benedizioni… Questo ruolo centrale emerge in manieralampante analizzando i rituali festivi degliebrei, svolti dentro o fuori dalla sinagoga (sipensi alla cena della Pasqua), ed emergechiaramente anche nei diversi rituali quoti-diani che l’ebreo religioso deve compiere.

Un esempio significativo è il noto indumentorituale dei tefillin che l’ebreo religioso è te-nuto ad indossare per la preghiera: si trattadi piccoli rotoli chiusi in astucci di cuoio, chevengono fissati sulla fronte e sul braccio(com’è noto, essi vengono menzionati anchenei Vangeli): essi contengono passi scritturaliche insistono sulla necessità del ‘ricordo’dell’uscita dall’Egitto (Es. 13).Tutta la liturgia ebraica è dunque fondatasull’ascolto o la lettura della Parola: costitui-sce, potremmo dire, un perenne memorialedi essa, una continua ripetizione. E in effetti,‘ripetere-ripetizione’ è un termine-chiave delmondo rabbinico. La Scrittura va prima ditutto recitata ad alta voce, quasi a memoria,e ripetuta costantemente nella liturgia. Nellostesso tempo, va ripetuta e approfondita co-stantemente nello ‘studio’. Dice un altro pas-so rabbinico: “poiché la ripetizione è la cosapiù importante dello studio, e viene chiamatalo studio della Torah per se stessa (senzaaltri scopi)”. Credo sia possibile affermareche l’ascolto della Parola costituisce in qual-che modo il tratto comune della liturgia edello studio degli ebrei; al punto che – proprioper questa proprietà comune – i due campi,rituale e studio, si intrecciano fra loro e sisovrappongono. Lo studio diventa per gliebrei anche una pratica religiosa, un ritualeimportante, una forma di preghiera (unesempio concreto: la ‘casa dello studio’, ilbet midrash, è di solito adiacente alla sina-goga, il bet ha-knesset, la ‘casa dell’assem-blea’, dove si prega; e studiare è un vero ri-tuale collettivo: la Parola va studiata insieme,a piccoli gruppi…). Nello stesso tempo, lostudio sembra quasi entrare nel rituale (unesempio concreto: le tredici regole esegetichedi R. Yishmael vengono ripetute ogni giornonella liturgia del mattino!).Un’ultima notazione in conclusione. Ab-biamo visto che l’esperienza religiosa nor-

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male degli ebrei viene pensata e vissutaprimariamente come esperienza del me-dium testuale: esperienza di ‘ascolto’, ‘vi-sione’, ‘decifrazione’ del Libro. È logico al-lora che l’esperienza religiosa più intensa,l’esperienza mistica, sia stata nel giudaismosempre strettamente legata alla Parola-Scrittura. Il mistico ebreo – antico o medie-vale – piuttosto che cercare una liberazionedai lacci ‘umani’ del linguistico e del cor-poreo per attingere le dimensioni del silen-zio ‘divino’ – sembra far esperienza delle“profondità” della parola scritta, delle suelettere... Si tratta di un misticismo che ap-pare spesso come ‘esegesi mistica’, comeun’esperienza di interpretazione straordi-naria della Parola.16 Alcuni passi del Talmudci parlano di un ‘fuoco’ che si scatena nel

momento in cui autorità rabbiniche con ten-denze mistiche collegano e commentanoversetti biblici, quasi che l’esperienza si-naitica del fuoco si ripeta, o meglio si riat-tivi, nel loro ascolto della Parola.17 La Pa-rola-Scrittura, dunque, è ciò che maggior-mente rende presente il divino fra gli uo-mini. Non a caso, viene spesso legata allaShekhinah, la prossimità, la presenza diDio sulla terra. Vorrei allora concludere ci-tando quel passo rabbinico le cui assonanzecon il versetto di Matteo 18, 20 non pos-sono certo essere casuali: “Se due siedonoinsieme e vi sono tra loro parole di Torah,la Shekinah (appunto la presenza divina)è in mezzo a loro”.18

16 Mi permetto di rinviare a M. Mottolese, La via della qabbalah, Bologna 2004, cap. I.17 Cf. il passo citato in C. AVRIL-P. LEHARDT, La lettura ebraica, cit., p. 45. Sul tema, si veda I. Chernus, Mysticismin Rabbinic Judaism, Berlin 1982.18 Pirqei Avot 3, 6. Cfr. sul tema D. FLUSSER, “Io sono in mezzo a loro (Mt. 18, 20)”, in Il Giudaismo e le originidel Cristianesimo, Genova 1995, pp. 163-174.

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PREMESSA

La scelta del Magnificat per questa nostralectio non è casuale né senza sfida. Questocantico vibra nella quotidiana Liturgia delleore: al Vespro nella liturgia romana, al Mat-tutino nella tradizione liturgica bizantina,armena e maronita.1

Trattandosi di un testo quanto mai familiare,occorre superare il livello del già noto, quellasorta di eccessiva familiarità che l’abitudinedella recita quotidiana può ingenerare, perlasciarci nuovamente sorprendere da qual-che scintilla di questa divina parola. Un testopoetico interpella non solo per quello che di-ce, ma per come lo dice. In poesia, più chein ogni altro ambito, è la forma che portail contenuto. E primieramente non è l’intel-letto che la parola poetica intende raggiun-gere, ma l’intera persona con le sue emo-zioni e sentimenti. Occorre dunque sintonizzare l’animo, met-tersi in ascolto profondo. Cosa non facile come potrebbe sembrare,perché un testo poetico nato in tempi lontani– e il Magnificat vanta una storia bimille-naria – è presumibilmente lontano ancheper linguaggio e forma letteraria. Ragione inpiù per ascoltare questo cantico con amorosaattenzione, come fosse la prima volta. Lochiediamo umilmente alla Madre del Ma-gnificat:

Vergine Maria, madre della Parola,facci entrare nei sentimenti che sono all’origine del tuo Magnificat. Mettici in sintonia con il tuo cantoe insegnaci a cogliere nella trama feriale della storia l’azione dello Spirito,la grande misericordia del Padrein Cristo Gesù, tuo figlioe Signore nostro. Amen.

Articolo il mio intervento in tre momenti.

1. Faremo anzitutto la lectio del testo poe-tico nel suo contesto, cercando di coglierei vari collegamenti con la narrazione; nelracconto lucano il Magnificat costituisceil “gioiello” della visita di Maria a Elisa-betta. Osserveremo l’architettura poeticadel Magnificat e ci soffermeremo su al-cune parole chiave.

2. Passeremo quindi alla meditatio, la-sciando spazio a varie risonanze bibli-che.

3. Nel terzo momento entreremo in un dia-logo più diretto con la Parola per lasciarciguidare dalla contemplatio all’actio, dallacontemplazione alla vita: come appren-dere da Maria l’arte di interrogare, custo-dire e comunicare la Parola? Cosa signi-fica e comporta evangelizzare nella pro-spettiva del Magnificat?

LA MADRE DELLA PAROLAE IL SUO CANTO

Lectio divina sul Magnificat

Elena Bosetti, sjbp, Biblista, Modena

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1 Cf. Ph. ROUILLARD, “il Magnificat nella liturgia romana attuale”, in MatEccl 13 (1977) p. 65. Nella tradizionebizantina il Magnificat viene celebrato solennemente ogni giorno. In tale contesto si sono sviluppate anche leMegalinaria, composizioni poetiche che si ispirano al Magnificat.

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I. IL MAGNIFICAT NEL SUO CONTESTO: GIOIELLO DELLA VISITA DI MARIA A ELISABETTA

Dobbiamo all’evangelista Luca questo can-tico che insieme al Benedictus, al Gloria eal Nunc dimittis scandiscono la giornataorante della Chiesa. Luca è particolarmentesensibile alla dimensione liturgica. La bellanotizia vede coinvolto il cielo, è portata dagliangeli (Gabriele) e suscita movimento e can-to sulla terra. E non è casuale che la primaa cantare sia proprio lei, la Vergine Madre.2

È importante rendersi conto del contesto.Anche per il Magnificat vale infatti ciò cheè regola primaria di ogni buona lectio: oc-corre inquadrare il testo nel contesto per co-gliere i legami che intrecciano l’insieme. IlMagnificat è indubbiamente una perla, manon a se stante. Questa splendida perla brillain una collana, brilla nel vivo del racconto:è il gioiello della visita di Maria a Elisabetta(Lc 1,39-56).

La simbolica del viaggioIl racconto inizia in 1,39 con Maria che sialza e si mette in cammino per raggiungerela casa di Zaccaria e si conclude al v. 56con la Vergine che riprende il cammino perfar ritorno a casa sua. La simbolica del viag-gio è particolarmente cara all’evangelistaLuca. È azzardato cogliere in questo viaggiodella Madre del Signore un’anticipazione delcammino di Gesù? Il verbo poreuomai chequi descrive la Vergine verrà impiegato piùvolte per indicare il grande viaggio di Gesùa Gerusalemme (cf. Lc 9,51; 10,38).

Possiamo dire che l’accoglienza della Parola“attiva” profondamente Maria, la mette inpiedi (anastasa, il verbo della risurrezione!)e in cammino. La serva del Signore si faprontamente serva dell’umanità. Le paroledell’angelo la sollecitano a prendere inizia-tiva e mettersi in viaggio. Dio parla attra-verso i segni, ed eccola pronta – come il cre-dente Abramo – a seguire la traccia dei se-gni. E il segno indicato dall’angelo Gabrieleporta sulla montagna di Giuda, ad Ain Ka-rem secondo la tradizione, una decina di ki-lometri da Gerusalemme.

L’ingresso e il salutoMaria entra nella casa di Zaccaria, il sacer-dote, ma sorprendentemente non è a lui cherivolge il saluto bensì a lei: kai espasato tenElisabet, “e salutò Elisabetta” (v. 40). Ec-cole di fronte le due donne graziate dal Si-gnore, la giovane e l’anziana. Chaire, ralle-grati Elisabetta! Rallegrati perché il tuo nome(Elisabet significa “Dio ha giurato”) ha tro-vato senso e compimento. Dio è fedele allasua alleanza!Mi colpisce un dettaglio. Luca racconta chedopo il ritorno di Zaccaria dal tempio, Eli-sabetta concepì un figlio e – cosa degna dinota – “si tenne nascosta per cinque mesi”(Lc 1,24). Perché mai Elisabetta “liberatadalla vergogna” della sterilità si nasconde?Perché questo sottrarsi agli occhi della gentee dei curiosi? Per la “vergogna” di restareincinta in tarda età? Se così fosse, non sa-rebbe più logico nascondersi dal quinto mesein poi, quando il segno della gestazione sifa sempre più palese?Evidentemente la ragione del nascondimen-to di Elisabetta non è la vergogna, ma la

2 Cf. E. BOSETTI, Luca. Il cammino dell’evangelizzazione, EDB, Bologna 2006, pp. 27ss.3 Cf. M. ANASTASIA DI GERUSALEMME, Grembi che danzano. Lectio divina su figure bibliche femminili, EMP, Padova2008.

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contemplazione. Quando Dio parla convieneche l’uomo taccia (Zaccaria resta muto);quando Dio parla conviene non dissolverein chiacchiere le sue meraviglie… Elisabettanon cede alla tentazione della chiacchiera,si ritrae dagli sguardi della gente per restaretotalmente sotto lo sguardo di Dio. Dunqueun tenersi nascosta per contemplare. Manon resta muta, anzi precede Maria nellaconfessio laudis. Diceva infatti: «Ecco checosa ha fatto per me il Signore, nei giorniin cui si è degnato di togliere la mia vergo-gna fra gli uomini» (Lc 1,25).

Maria saluta Elisabetta giunta ormai al sestomese della sua gravidanza e l’effetto dellesue parole è straordinario: il piccolo Giovannibalza di gioia nel grembo di sua madre.3

Il verbo skirtao esprime un movimento diesultanza;4 evoca l’atteggiamento di Davideche salta di gioia davanti all’arca del Signore(2Sam 6,2-11). Nel suo vecchio grembo Elisabetta, comegià Sara, sperimenta il palpito vibrante dellavita, quasi una danza, mentre lei stessa tra-scinata dal frutto del suo grembo e “ricolmadi Spirito Santo” riecheggia lo stupore di Da-vide: “a che debbo che la madre del mio Si-gnore venga a me?”Nella casa di Zaccaria, anticipazione del Ce-nacolo (At 2,1-4), tutti sono pieni di Spiritosanto e infine anche il muto sacerdote scio-glierà la lingua in cantico: «Benedetto il Si-gnore, Dio d’Israele, perché ha visitato e re-dento il suo popolo…» (Lc 1,68). È semprelo Spirito che suscita fecondità, profezia ecanto.

L’elogio profetico di ElisabettaQuella di Elisabetta è la prima voce profeticadel Nuovo Testamento (benché non le siaattribuito il titolo di profetessa). Sale forte lasua voce, come nelle acclamazioni liturgiche.È un’esplosione di gioia e di profezia cheproclama “benedetta” (euloghemene) e“beata/felice” (makaria) la vergine madredel Messia:

Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto deltuo grembo!A che debbo che la madre del mio Signore vengaa me?Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai mieiorecchi, il bambino è sobbalzato di gioia nel mio grembo.E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore (vv. 42-45).

Non abbiamo forse qui un magnifico esem-pio di meditazione colma di stupore? Nellaluce dello Spirito Elisabetta intuisce il segretodi Maria: l’acclama infatti madre del “mio”Signore, di quel Kyrios che lei stessa rico-nosce e accoglie nella fede. Elisabetta va dritta all’essenziale, scopre perprima che la vera grandezza di Maria staproprio nella sua fede, nel pieno affidarsialla Parola: “felice la credente” (he pisteu-sasa, v. 45). È la fede la chiave interpreta-tiva della vera grandezza di Maria, che comedirà Agostino concepì prima nel cuore e poinella carne (Sermone 196,1).

L’architettura poetica del Magnificat Sotto il profilo narrativo il Magnificat costi-tuisce la risposta della Vergine all’elogio tes-

4 Nella prospettiva del Salmista salta di gioia l’intera creazione davanti all’agire potente del Signore: “i montisaltellarono come arieti, le colline come agnelli d’un gregge” (Sal 113/114,4.6). Troviamo questo verbo anchein Lc 6,23 dove Gesù invita i discepoli a rallegrarsi (chaieo) e a far salti di esultanza (skirtao) quando sarannoodiati e insultati, perché grande è la loro ricompensa nei cieli.

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suto da Elisabetta.5 Ma il cantico trascendela situazione, lasciando per così dire nel-l’ombra Elisabetta, la casa e quant’altro. Ma-ria si rivolge direttamente a Dio, è tutta pro-tesa nel far grande Colui che ha fatto per leimeraviglie.Notiamo un duplice movimento nel Magni-ficat: ascendente e orizzontale.Il movimento ascendente ritrae la Vergine inrapporto al suo Signore e il movimento oriz-zontale la colloca dentro il suo popolo. Sipotrebbe parlare di due strofe, ma collegatein modo tale che la seconda appare comeprolungamento della prima. Infatti soltanto nella prima strofa troviamole “ragioni” del cantico, espresse da duplicehoti, “perché”: hoti epeblepsen, “perché haguardato” (v. 48); hoti epoiesen moi, “per-ché ha fatto per me” (v. 49). Non si da in-vece alcuna congiunzione nel passaggio dal-la prima alla seconda strofa. E ciò non è ca-suale: l’assenza di congiunzione evidenziamaggiormente il collegamento tra l’eventoposto in primo piano (la maternità di Maria)e l’orizzonte storico salvifico entro cui si di-spiega la divina misericordia (di generazionein generazione). Le forme verbali, i pronomi e la concatena-zione complessiva, concordano nell’eviden-ziare che il Magnificat intreccia due motivifondamentali: la lode per la situazione per-sonale di Maria (vv. 46-49) e il passaggioa una situazione più ampia, con esplicito ri-ferimento a Israele (vv. 50-55).

Al centro della scenaAll’inizio del Cantico l’io di Maria si esprimein terza persona, lasciando parlare l’animae lo spirito. “Questo modo perifrastico diesprimersi da una parte sottolinea con unacerta intensità e solennità i propri sentimenti,dall’altra costituisce una forma indiretta dirivolgersi a Dio, in cui la persona dell’orantequasi scompare, lasciando il Signore al cen-tro della scena, posizione che egli occuperàfino al termine del canto”.6

Io preferisco dire che al centro della scenac’è Maria, ma totalmente de-centrata, tuttaprotesa nel magnificare il Signore. L’esul-tanza di Maria nasce dal profondo di sé,dalla sua anima (psiche), dal suo spirito(pneuma). Quello spirito che conosce i pro-fondi segreti della persona (1Ts 4,23; 1Cor2,11) e che prorompe in giubilo come ac-cadrà per Gesù (Lc 10,22).

Maria esulta in Dio suo Salvatore, fa grandel’unico Grande, il Signore. All’origine del movimento ascendente delMagnificat vi è però un movimento discen-dente che precede e provoca il giubilo: Mariaè consapevole che Dio ha “guardato giù”,che lo sguardo divino si è abbassato sul-l’umiltà, sulla “bassezza” (tapeinosis) dellasua serva.7 Sale in canto la vita di Mariaperché lo sguardo del Signore è disceso el’ha innalzata. Maria ha consapevolezza di essere al centrodell’attenzione di Dio e, conseguentemente,dell’intera umanità: “tutte le generazioni mi

5 Anche Valentini interpreta in questa prospettiva: “in risposta agli elogi di Elisabetta, la Vergine celebra ilSignore” (Maria secondo le Scritture, 143).6 Valentini, Maria secondo le Scritture, 151.7 Il termine tapeinosis è il medesimo che nel cantico di Anna designa la situazione di sterilità (1Sam 1,11)mentre il verbo tapeinoo nel cantico di Fil 2 designa il volontario abbassamento del Cristo che pur essendo dicondizione divina “umiliò se stesso” (v. 8).

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diranno beata”. Ma il suo stare al centro ètotalmente decentrato. Scrive Adrienne VonSpeyr che Maria “ha piena cognizione di es-sere l’Eletta e tuttavia persiste nell’atteggia-mento della più completa umiltà. Non po-trebbe sopraggiungerle il pensiero di attri-buirsi una cosa qualsiasi tra quelle ricevuteda Dio. … Questa coesione tra perfetta con-sapevolezza e perfetta umiltà non possonoche contraddistinguere Maria come la solaMadre del Signore. Tuttavia ella non con-serva per sé il dono del Figlio, ma lo tra-smette elargendolo alla chiesa e a coloro chesono chiamati, sia pure in scarsa analogiacon la sua figura, a proseguire qualcosa delsuo compito. Nessuno però, al pari suo, rag-giungerà questo perfetto equilibrio tra umiltàe consapevolezza. Ci saranno santi, comeTeresa d’Avila, che avranno una maggioreconsapevolezza del ruolo che devono rap-presentare e altri, come Teresa di Lisieux,che meglio personificano l’umiltà cui rimanecelata la piena consapevolezza. In Maria pe-rò si rafforzano e si accrescono scambievol-mente: è umile perché consapevole, consa-pevole perché umile”.8

Tra gli anawim, i poveri del Signore.Ed ecco che la scena si allarga. Mentre legenerazioni umane si alzano a proclamarlabeata, Maria sembra quasi scomparire al-l’interno di una moltitudine che si muovenella stessa sua direzione. Sono i timoratidel Signore, sui quali si dispiega – come sudi lei – la misericordia dell’Onnipotente.Schiere di piccoli e di poveri, un popolo diumili.9

La scena si popola ulteriormente. Sul palco-scenico della storia, da un lato stanno i su-perbi, i potenti, i ricchi. Sul lato oppostostanno gli umili, gli affamati e indigenti. Co-loro che temono il solo Potente e si fidanodi lui. Le grandi opere, compiute dal Signorea favore della sua serva, innalzata dalla ta-peinosis (“bassezza”, nel senso di povertàe umiltà) si ripetono con forza impressio-nante a vantaggio di tutti i tapeinoi, i poverie gli umili della terra, vera discendenza diAbramo. Il canto di Maria è ormai il lorocanto. Si loda e si danza insieme, come sullerive del Mar Rosso.In effetti il Magnificat riecheggia il canto diun’altra Maria, la sorella di Aronne e di Mo-sè, la profetessa dell’Esodo, che con cembalie a ritmo di danza insegnò alle figlie d’Israelel’indimenticabile ritornello: “Cantate al Si-gnore perché ha mirabilmente trionfato!” (Es15,21).Il Magnificat è come un ponte tra l’Anticoe il Nuovo Testamento, tra Israele e la Chie-sa. Maria è l’eccelsa figlia di Sion (LG 55),al primo posto tra la schiera degli anawim,i poveri che puntano tutto sul Signore. Ecosì la vede anche Benedetto XVI nella suaenciclica sulla Speranza: “Santa Maria, tuappartenevi a quelle anime umili e grandiin Israele che, come Simeone, aspettavano“il conforto d’Israele” (Lc 2,25) e attende-vano, come Anna, “la redenzione di Geru-salemme” (Lc 2,38). Tu vivevi in intimocontatto con le Sacre Scritture di Israele cheparlavano della speranza – della promessafatta ad Abramo e alla sua discendenza”(Spe Salvi, 50).

8 ADRIENNE VON SPEYR, L’ancella del Signore, Jaca Book, Milano 2001, 49-50.9 P. COULANGE, Dieu, ami des pauvres. Etude sur la connivence entre le Très-Haut et les petits, Fribourg-Göttingen2007; G. DE VIRGILIO, “Tra gli umili e i poveri del Signore, in Theotokos 7(2000) 513-536.

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canto nuovo … Esultino e gioiscano in tequanti ti cercano, quelli che bramano la tuasalvezza dicano sempre: «Sia magnificato(megalynthete) il Signore!» (vv. 2.4.17).Non è solo questione di contatto lessicale,ma di motivo tematico e liturgico: si trattadi celebrare le “grandi cose” che il Signoreha compiuto a favore del suo popolo. Cisembrava di sognare – esclama il salmista– ci ha colmati di gioia, ha riempito la nostrabocca di sorriso... Non solo. Il ritorno degliesuli a Sion riempie di stupore anche i popolipagani:

Allora si diceva tra le genti:«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».Grandi cose ha fatto il Signore per noi:eravamo pieni di gioia (Sal 126/125,1-3).

È una grande sinfonia che coinvolge nonsolo Israele ma anche i goyim, le genti, ipopoli tutti che possono contemplare le me-raviglie che il Signore ha fatto. Molteplicisono gli echi del Salterio nel Magnificat cheperò non è semplicemente un centone di te-sti antichi, ma un canto nuovo perché inau-dito è l’evento che celebra. In esso trova ri-sonanza anche il cantico di Anna, la madredel profeta Samuele, che dà voce al sor-prendente capovolgimento di situazione cheDio opera:

Il mio cuore esulta nel Signore:la mia forza s’innalza grazie al mio Dio …Non c’è santo come il Signore …I sazi si sono venduti per un pane, hanno smesso di farlo gli affamati.La sterile ha partorito sette voltee la ricca di figli è sfiorita.

II. UNA SINFONIA DI LODE E DI STUPORE

Passiamo dalla lectio alla meditatio lascian-doci aiutare da alcune risonanze bibliche.Come figlia di Israele Maria è abituata a ri-volgersi a Dio con le parole dei Salmi. “Na-sciamo con questo libro nelle viscere”, con-fessa A. Chouraqui. “Più ancora che un libro,un essere vivente che parla – che ti parla –,che soffre, che geme e che muore, che ri-sorge e che canta, alle soglie dell’eternità, eti prende e ti trasporta, con i secoli dei secoli,dall’inizio alla fine”.10

Trovo preziosa questa testimonianza ebraica.Aiuta a comprendere meglio anche il canticodi Maria, che si muove liberamente sullosfondo dell’intera Scrittura e presenta nu-merosi contatti soprattutto con i Salmi di lo-de. Magnificat è la prima parola del suocanto (megalynei in greco) e questo verbodi giubilo lo ritroviamo in diversi Salmi:

Magnificate (megalynate) con me il Signoreesaltiamo insieme il suo nome (Sal 34/33,4).

Loderò il nome di Dio con il cantolo magnificherò (megalynô) con azione di grazie(Sal 69/68,31).

Esulti e gioisca chi ama la giustizia,dica sempre: «Sia magnificato (megalyntheto) il Signore!» (Sal35/34,27).

“Ho sperato, ho sperato nel Signore – dicel’orante del Sal 40/39 – ed egli su di me siè chinato… Mi ha messo sulla bocca un

10 A. CHOURAQUI, Gesù e Paolo. Figli d’Israele, Qiqajon, Bose 2000, p. 8.

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Il Signore fa morire e fa vivere,scendere agli inferi e risalire … Il Signore giudicherà le estremità della terra;darà forza al suo re,innalzerà la potenza del suo consacrato(1Sam 2,1-10).

In continuità con i poveri, gli umili e le don-ne che l’hanno preceduta nel canto, Mariafa grande il Signore, esalta la sua misericor-dia che abbraccia tutte le generazioni e maiabbandona Israele.

Una simbolica menorahMa torniamo al cantico di Maria. Vorrei no-tare la rilevanza del verbo poieo che com-pare in entrambe le strofe del Magnificat(sempre all’aoristo: epoiesen, “ha fatto”). Alv. 49 qualifica l’azione divina in rapportoalla Vergine: “ha fatto per me grandi cose”,mentre all’inizio del v. 50, senza collega-mento e in posizione enfatica, introduce ilsettenario delle azioni salvifiche: le operemeravigliose che il Signore ha compiuto afavore del suo popolo:• ha fatto prodezze• ha disperso i superbi• ha deposto i potenti• ha esaltato gli umili• ha colmato di beni gli affamati• ha rimandato vuoti i ricchi• ha soccorso Israele

Sette verbi/azioni indicativi di un agire sal-vifico pieno, totale. Il numero 7 nella Bibbiaè infatti simbolo di pienezza e totalità. Pren-dendo come immagine il candelabro a settebraccia si potrebbe dire che questa secondastrofa del Magnificat costituisce una sorta diluminosissima divina menorah!

L’espressione iniziale: “ha fatto prodezze conil suo braccio”, è chiaramente evocatricedell’esodo, quando Yhwh manifestò la suapotenza contro l’arrogante prepotenza delFaraone. Inoltre, l’ultimo verbo della seriemenziona Israele, oggetto di affettuosa mi-sericordia da parte di Dio e da lui soccorsoper fedeltà ad Abramo e alla promessa.L’orizzonte è quindi tracciato con nitidezza.Il Magnificat riecheggia il canto di Mirjamla profetessa dell’esodo (l’unica Maria di cuiparli l’AT) che con cembali e a ritmo di dan-za guida il coro delle figlie d’Israele: “AlloraMaria, la profetessa, sorella di Aronne, presein mano un timpano: dietro a lei uscironole donne con i timpani, formando cori didanze” (v. 20). È lei che insegna il “ritor-nello”, e dunque il leitmotiv del canto di vit-toria: “Cantate al Signore perché ha mira-bilmente trionfato: ha gettato in mare ca-vallo e cavaliere!” (v. 21). C’è da sospettare che Mirjam sia l’autricedell’intero canto. In effetti l’indimenticabileritornello che lei insegna alle donne israe-liane coincide con l’ouverture del canticoposto in bocca a Mosè (15,1) e sotto il pro-filo letterario “si collega, senza interrompereil filo del racconto, a 14,9, rappresentandocosì la «risposta» innica (v. 21) all’eventosalvifico verificatosi nel Mare dei Giunchiche segna la fine dell’oppressione del popoloin Egitto”.11

Miriam svolge indubbiamente un ruolo dimediazione ermeneutica: interpreta il sensodell’evento e intona il canto liberatorio qualerisposta del popolo all’azione divina. Sembranel pieno vigore della giovinezza questadonna che canta e danza con tanto entu-siasmo, e invece ha quasi novant’anni! Il

11 I. FISCHER, “Donne nell’Antico Testamento”, in A. Valerio (ed.), Donne e Bibbia. Storia ed esegesi, EDB,Bologna 2006, 182-183. L’autrice specifica: “Con il suo canto Maria viene posta nell’ufficio di intermediaria,ancor prima che esso venga istituito nel corso della narrazione”.

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suo entusiasmo è contagioso, trascina tuttoil corteo femminile nella lode e nella danza.Sul crinale del Nuovo Testamento Maria diNazareth raccoglie e rilancia questo canto:“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innal-zato gli umili” (Lc 1,52).Ma qual è il senso di sette verbi del Ma-gnificat che si esprimono all’aoristo, comeazioni compiute nel passato e che tuttaviasembrano avere di mira un futuro che nonsi vede? In che rapporto stanno con il mo-tivo fondamentale del canto, con i due “per-ché” riguardanti la situazione personale diMaria?

Il paradigma dell’esodo e la grande pro-messaMaria legge l’opera di Dio in lei alla lucedelle opere antiche di Dio per il popolo, maanche, viceversa, vede il futuro del popolomutuato dall’opera che il Signore ha fattoin lei. Quest’opera non solo corrisponde al-l’agire passato di Dio e al suo costante com-portamento verso gli uomini, ma addiritturacostituisce il compimento delle promesse fat-te ai padri a favore dei discendenti di Abra-mo. Non è quindi un’opera qualsiasi, che siinserisce nella scia delle tante, ma il lorocompimento e culmine. Il braccio potente del Signore fa uscire dallamiseria i poveri della terra, come un tempofece uscire Israele dall’Egitto. La sua operadi liberazione contrasta però con i “potenti”di questo mondo che spesso siedono su untrono di violenza e di oppressione come l’an-tico Faraone. In questa prospettiva, Mariacanta che Dio “ha disperso i superbi, deposto

i potenti, rimandato a mani vuote i ricchi”.12

Serena Noceti ci ha ricordato che la Scritturaè portatrice di una parola di promessa: “lapromessa di Dio sulla storia, sul compimentodell’umanità e della creazione nella pienezzadel Regno”.13 Ebbene, il Magnificat è por-tatore di questa grande promessa.

In effetti cosa è mai quel cantare di Maria:“i potenti li ha deposti dai troni”? Illusionepoetica? Memoria e vivo desiderio che siacosì, che Dio faccia finalmente giustizia aideboli, alle donne e ai poveri della terra?Come tradurre in definitiva questi verbi al-l’aoristo: con valore di passato o di futuro?14

Occorre tener presente l’insieme: da un latoil paradigma dell’esodo serve per leggerel’evento di cui Maria è resa protagonista (lasua maternità); d’altro lato, c’è un fatto de-cisivo, un evento che ha realizzato lo sche-ma dell’esodo in maniera del tutto sorpren-dente e radicale: la risurrezione di Gesù. IlMagnificat risente già dell’alleluia pasquale.L’evangelista vi proietta la luce del Risorto,la grande speranza.15

Il Magnificat anticipa l’alleluia pasquale e ri-suona come grande speranza per la Chiesadi ogni tempo. La storia della salvezza ècoerente. Sappiamo (nella fede) come andràa finire, perché Dio ha già fatto intendere isuoi gusti, i suoi pensieri. Perciò i credentipossono cantare il futuro con le azioni delpassato e affermare che Dio “ha deposto ipotenti dai troni” anche se l’ora della detro-nizzazione non è ancora scoccata … LaChiesa che canta il Magnificat sperimenta avari livelli ostilità e violenza, prove e per-

12 Potenti e ricchi sono qui concretizzazioni storiche dei “superbi”, di coloro che pongono se stessi al posto diDio, che pretendono di governare il mondo secondo i propri giudizi, senza alcun timore verso il nome santo diDio. Pensano di potere tutto con la ricchezza e la potenza, anche di comprare il cielo. Ma così non è. Il Magnificat“risuona come la marsigliese del fronte cristiano di liberazione nelle lotte tra le potenze e gli oppressi di questomondo” (J. MOLTMANN, Il linguaggio della liberazione, Brescia 1973, 127).

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secuzioni. E tuttavia canta, perché la risur-rezione di Gesù ha sprigionato vita nuovanella storia degli uomini, ha spalancato icieli sull’abisso della morte e dell’inferno,ha pronunciato il giudizio irrevocabile di Diosu ciò che merita di avere futuro e di vivereper sempre.L’importanza ecclesiale del Magnificat è statarecepita fin dalle origini e si prolunga nellaChiesa di ogni tempo che vibra in sintoniacon la Madre del Signore. Essa non è sot-tratta al buio della notte né alla prova dellafede. E tuttavia canta perché vedeoltre.

III. ALLA SCUOLA DI MARIA,DONNA DEL MAGNIFICAT

Come apprendere da Maria la capacità dileggere la nostra storia alla luce di Dio, dellasua potente azione salvifica? Leggiamo nel-l’Instrumentum Laboris del Sinodo: “Giàeducata alla familiarità con la Parola di Dionell’esperienza così intensa delle Scritturedel popolo cui appartiene, Maria di Nazaret,a partire dall’evento dell’Annunciazione finoalla Croce, anzi fino alla Pentecoste, accoglie

nella fede, medita, interiorizza e vive inten-samente la Parola”.16

La Vergine santa ci è modello non solo percome ascolta la Parola, ma anche per comela medita e per come vi ritorna costante-mente sopra per approfondirne il senso:«Maria, da parte sua, serbava tutte questecose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19).Nella cella del cuore, lì dove è la sede piùprofonda dell’interiorità, Maria s’intrattienecon la Parola, cerca di interpretarla e di com-prenderne il senso vitale collegandola (sym-ballousa) con gli eventi della storia sua e diGesù.17 Così Maria si fa essa stessa “simbo-lo” per noi. È splendida icona della Chiesache mantiene viva la memoria del cuore percogliere il senso della Parola che si rivelanella storia.18

Cosa possiamo imparare alla scuola di Ma-ria? Accenno a tre atteggiamenti (fonda-mentali per la lectio divina ma anche per lalectio humana): l’ascolto, il dialogo e l’amo-revole cura della Parola.

• Ascolto. È il primo e fondamentale atteg-giamento: “Shema Israel, Ascolta Israele!”(Dt 6,3). Maria è donna dell’ascolto. Dob-

13 S. NOCETI, “Ascolto e annuncio della Parola di Dio nella Chiesa”: relazione al XVII Convegno nazionale SAB(Roma, 6-8 febbraio 2009).14 In teoria, gli aoristi dei testi poetici possono designare opere escatologiche, oppure opere storiche, o anche ilcomportamento costante di Dio. Nel primo caso, il tempo della traduzione sarà il futuro, nel secondo il passato,nel terzo il presente. Gli esegeti faticano a trovare una risposta esauriente; si veda al riguardo l’ampio excursusdi Valentini, Il Magnificat, 221-223.15 La sterile che partorisce anticipa per così dire il segno della risurrezione: il suo grembo si apre alla vita. E seciò vale per Elisabetta (in continuità con le madri d’Israele) che dire di Maria di Nazareth? La Vergine che generaper opera di Spirito santo, è inedito prodigio, novità esclusiva del NT. Meraviglia che Luca abbia colto in taleevento un anticipo di pasqua?16 La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa: Instrumentum laboris, n. 25.17 In Lc 2,19 il participio symballousa attesta anche un ruolo attivo di interpretazione e valutazione degli eventi.Non si tratta semplicemente di “custodire” ma di “comprendere” le parole/eventi in un processo dinamico cheaccorda intelligenza e cuore.18 C’è una sorta di reciprocità tra ascoltare e custodire, verbi che esprimono entrambi il dinamismo tipico del-l’atteggiamento sapienziale: cf. A. SERRA, Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2,19.51b, Roma1982.

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biamo sempre nuovamente entrare in re-ligioso ascolto – vedi il proemio della DeiVerbum. Diversamente la Parola non puòessere accolta e generare vita.

• Dia-logo. Proprio perché ascolta, Mariapone domande: è donna critica e interro-gante (Lc 1,34; 2,48). Anche noi dobbia-mo imparare a interrogare il testo biblico,a porre domande mirate. Occorre entrarein dialogo con la Parola e con la vita.

• Amorevole cura. Maria ci insegna unpasso ulteriore, a custodire la Parola nelcuore anche quando non la capiamo. Ru-minare la parola, ritornarci sopra in medi-tazione orante, custodirla amorosamenteperché produca frutto come il buon semenella terra.

Alla scuola di Maria possiamo apprenderel’arte di coniugare nella vita quotidiana lo-gos ethos e pathos. Lo abbiamo potuto

notare anche in questa lectio: la Vergine cheaccoglie la Parola prontamente si alza e simette in cammino... il logos sollecita l’ethosdell’amore, simbolicamente indicato in quelmettersi in cammino verso la casa di Zac-caria, e il canto che segue da voce al pathos.Il grande pathos di Dio per il suo popolo.L’ultima propositio del Sinodo (la 55), de-dicata a Maria Mater Dei et Mater fidei, af-ferma che “la Chiesa del Nuovo Testamentovive là dove la Parola incarnata viene ac-colta, amata e servita in piena disponibilitàallo Spirito Santo” e che “l’attenzione devotae amorosa alla figura di Maria come modelloe archetipo della fede della Chiesa, è di im-portanza capitale per operare anche oggi unconcreto cambiamento di paradigma nel rap-porto della Chiesa con la Parola, tanto nel-l’atteggiamento di ascolto orante quanto nel-la generosità dell’impegno per la missione el’annuncio”.

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1. IL SINODO URGE: LE RAGIONIDI UNA SCELTA

L’esperienza di questo tipo di Convegni, uni-co nel suo genere a livello nazionale, durada 17 anni, dal 1992, con una vitalità chene giustifica la durata, le cui motivazioniappaiono sempre più nitide e diffuse. Leconcentriamo così: la Bibbia, quale testimo-nianza indispensabile della Parola di Dio at-tira la nostra gente, sia pure con numeri pic-coli, ma in maniera incessante e crescente,sicché il pur vero analfabetismo biblico de-nunciato nei tempi del Sinodo non deve fardimenticare una minoranza qualitativa, lamaggior parte composta da laici (aspetto deltutto considerevole), che va formandosi bi-blicamente a un alto livello culturale ed in-sieme teologico-spirituale e pastorale, nelsenso di pervenire ad una comprensioneesegeticamente aggiornata , secondo la fededella Chiesa e disponibile di aiutare altri nelleloro comunità a frequentare la Bibbia comeil libro della fede alla sorgente. L’evento sinodale- e collateralmente l’AnnoPaolino2 – ha accelerato questa impostazio-ne, in quanto il Convegno ha assunto iltema centrale del Sinodo, la Parola di Dio,articolandone i contenuti nell’ambito di dueConvegni. Nel 2009 (6-8 febbraio a Roma)iltema ha riguardato l’atteggiamento di ascol-to ed annuncio quale compito primario del-

l’animatore biblico, mentre nel 2010, saràfatto oggetto di studio il documento conclu-sivo,nella forma autorevole di una Esorta-zione apostolica per mano di Benedetto XVI,prevista per l’autunno prossimo. Tra un Con-vegno e l’altro, il Servizio Nazionale del-l’Apostolato Biblico (SAB) vara per l’autun-no un seminario di studio in modo da ap-profondire quanto il Sinodo propone3 in vistadi una comprensione corretta ed approfon-dita ed una conseguente, decisa applicazionein tutte le nostre comunità ecclesiali.Devo dire che l’elevatezza del tono è statogradito dai partecipanti, tutti animatori inazione, un centinaio, provenienti da 15 re-gioni ecclesiastiche (su 16) e da 40 diocesi,la maggior parte donne, quasi a dimostra-zione del meritato plauso dei Padri Sinodali(Prop,17 e 30)

2. IL FILO ROSSO DELLA PROPOSTA

Imperniato sulle prime parole di Dei Verbum,secondo cui la Chiesa prima di annunciareascolta religiosamente la Parola di Dio comeParola di un Padre che parla agli uomini co-me figli, il Convegno si è articolato in tremomenti:

a) Il fondamentoÈ la stessa Parola di Dio risuonata e rac-colta dall’uomo biblico nel documento del-

SGUARDO D’INSIEME SUL CONVEGNO1

Cesare Bissoli, coordinatore AB nazionale

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

In religioso ascolto della Parola di Dio... 161

1 Da Settimana 9 febbraio 2009.2 Ricordo il sussidio dell’Ufficio Catechistico Nazionale. Settore Apostolato Biblico, In cammino con San Paolo.Schede di lavoro per l’anno paolino, ElleDiCi, Leumann (Torino) 2008. 3 Mi permetto di suggerire il mio modesto contributo: Dio parla, Dio ascolta. Una lettura del XII Sinodo dellaChiesa, LAS, Roma 2009.

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In religioso ascolto della Parola di Dio...162

la sua fede, la Scrittura. Ecco allora l’at-tenzione a due gigantesche figure nei te-stamenti.– Geremia è letteralmente l’uomo della

Parola, da essa generato, afferrato, se-dotto e rilanciato. In Geremia la Paroladi Dio si fa dialogo che esige dialogo,è fuoco e martello, ma anche appareParola debole e sconfitta, però indomitanel portare avanti il piano di salvezza.Ascoltare e annunciare la Parola è fareesperienza del fuoco. Veramente – con-cludeva Luca Mazzinghi della FacoltàTeologica di Firenze – la Parola di Dioè fonte di coraggio e speranza, di con-versione e trasformazione.

– L’altro gigante chiamato a parlarci èstato Paolo di Tarso. Antonio Pittadell’Università Lateranense, ha messoin risalto il primato assoluto della “pa-rola della croce” (1Cor 1,18) o misteropasquale, da cui l’annuncio prende ve-rità e vitalità, i due testamenti diventa-no Parola di Dio unificata, la lettera tro-va la profondità dello Spirito, l’incultu-razione diventa esigenza viva della Pa-rola di Dio in Gesù, giacché vuol essereParola che salva per tutti.

b)Due aree caldeIl fondamento biblico del servizio dellaParola di Dio si espande su due aree caldeche continuamente interpellano gli ani-matori: il rapporto tra AT e NT e la me-diazione della Chiesa– Massimo Grilli docente all’Università

Gregoriana riflettendo sulla Parola diDio tra Antico e Nuovo Testamento an-zitutto rileva la tentazione alla margi-nalizzazione del primo Testamento (èun allarme sollevato da tanti vescovi alSinodo, cui rispondono ben due propo-sizioni 10 e 29) sia nella forma mar-

cionita di ieri e di oggi che tende a so-stituire l’AT con il NT, sia nella formache relativizza e quasi annulla i valoridella rivelazione prima di Gesù. Più chedi due alleanze contrapposte, secondoEfes 2,12 si deve parlare di alleanzedella promessa, per cui vi è un’unicaeterna alleanza di grazia, cui prendonoparte ebrei cristiani, ciascuno rendendouna testimonianza specifica al Dio diGesù Cristo, uniti in un dialogo fruttuo-so reciproco, in tensione escatologicaverso il compimento della promessa, ri-conoscendo da parte dei cristiani che lacroce di Cristo non divide e contrapponema intende affermare l’attesa comunedella salvezza di Dio per tutti i popoli.In questa visione la lettura cristiana dàragione all’AT, assume da esso la ten-sione della Promessa e vi dona in Gesùuna conferma certa.

– Finalmente l’ascolto e l’annuncio dellaParola di Dio si confronta con la Chiesa,nelle tante mediazioni che l’animatoredeve considerare. Quale rapporto traChiesa e Parola per poter annunciarela Parola secondo la Chiesa e la Chiesasecondo la Parola? Serena Noceti dellaFacoltà Teologica di Firenze, ha messoin risalto come sia costitutivo tale rap-porto per entrambi gli elementi, nel sen-so che la Parola fa la Chiesa come co-munione che ascolta e annuncia, laChiesa, a sua volta, fa la Bibbia nellatotale dipendenza della Parola, diven-tando soggetto tradente della Parolapienamente autorizzato. Creatura e ser-va della Parola, la Chiesa trova la suavocazione di comunità profetica che ac-cetta la triplice sfida di parlare secondoi linguaggi di oggi, in un contesto plu-ralista non solo religioso, ma valoriale,sapendosi tutta relativa al Regno, il che

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la porta a sentirsi in stato di riforma etestimone della speranza.

c) Due modi significativi di ascoltoL’ascolto ed annuncio della Parola di Dioavviene in altri due modi degni di inte-resse, che gli animatori non possono tra-lasciare sia come dato culturale, ma an-cora di più come contributo teologico-pa-storale a valenza ecumenica: il serviziodella Parola nella confessione evangelicae nell’ebraismo.– Paolo Ricca, teologo valdese, ha portato

la testimonianza evangelica eviden-ziando il primato così rimarcato del-l’ascolto della Parola per un annunciogenuino, Parola che ha nel canone unainsuperabile norma di autenticità, Pa-rola però che non è un libro, ma la per-sona di Gesù Cristo, che dunque si fainterprete centrale del testo, con il ke-rigma di Pasqua, ma anche con la to-talità della sua esistenza pre-pasquale.Attualmente la condizione di estesa se-colarizzazione che sembra rendere in-significante il sacro codice della Bibbia,fa sì – secondo il relatore – che convieneincontrare la persona nella sua realtàumana con le domande di senso chel’avvolgono, mostrando le risorse del-l’umanesimo evangelico come proposta(non imposizione) di vita aperta al tra-scendente

– Maurizio Mottolese, docente alla Uni-versità Gregoriana, ha tratteggiato l’ar-gomento dal punto di vista ebraico: èun mare immenso. Un detto rabbinicoafferma a proposito della Scrittura: “Vol-tala e rivoltala, poiché tutto è in essa”.Dove si insiste sul carattere ultimativoe onnicomprensivo del Libro, ma altempo stesso si chiama l’uomo a unacontinua e decisa attività interpretativa.

Si ha così un originale e paradossalepensiero testo-centrico, ma nello stessotempo una interrogazione infinta dellaParola, un commentario creativo e ri-narrativo, un midrash. La Parola-Scrit-tura si trova sempre di nuovo come pa-rola originaria cui si subordinano altreproduzioni storico-culturali e cultuali.

d)Convegni come questi del tutto orientatialla prassi e reduci da essa, rende dove-rosa una comunicazione di esperienze inmaniera organica. È stato fatto sia in unlaboratorio dove si è cercato di configurareun servizio biblico secondo le età (bam-bini, giovani, adulti) e secondo particolarisituazioni (famiglia, mondo della soffe-renza, persone anziane). Dai risultati sonoapparse cose buone, ma ancora di più siè colta una certa chiusura dell’AB nel-l’ambito dei gruppi di ascolto, senza unaprospettiva larga sia in riferimento ai bi-sogni delle persone sia ai contesti cultu-rali. Però si deve anche riconoscere – stan-do alle comunicazioni di esperienze fattein assemblea – quale varietà di forme sistanno sviluppando oltre quelle abituali:la Bibbia in relazione al teatro, al mondooperaio, all’animazione della comunità nelsuo insieme…A questo punto però si poneun problema di comunicazione menoframmentata e più organica, di cui piùsotto.

4. GUARDANDO IN AVANTI

Come va l’incontro l’AB nel nostro paese?È la domanda-bilancio che si pone ad ogniconvegno. Quest’anno credo si possa direcosì:– È indubbia la crescita di persone che si av-

vicinano alla Bibbia, grazie anche all’input

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del Sinodo (là dove almeno se ne parlacon convinzione). Diversi gruppi di ascoltosorgono, si manifestano iniziative varie disensibilizzazione, anche a livello laico, nonstrettamente confessionale.

– Di animatori laici vi è bisogno prioritario.C’è da dire che ne spuntano sempre dinuovi (pochi) e che mostrano una dispo-nibilità grande al momento dello studio bi-blico. È importante allargare loro la portaalla formazione esegetica e teologica alta,come nei seminari. In particolare, alla lucedel Sinodo, si curerà l’apprendimento dellateologia della Parola di Dio e di quanto ilSinodo stesso viene a comunicare. Ricor-diamo che gli animatori biblici rappresen-tano una corrente privilegiata per lo svi-luppo biblico popolare.

– Esiste un problema di conoscenza e di or-ganizzazione. È un lato fragile di tutto ilmovimento biblico-pastorale italiano. Si

conosce a frammenti ciò che avviene nellecomunità ecclesiali, le tante e diverse ini-ziative che pure qui al Convegno sono tra-pelate; non si riesce ad avere un quadroglobale sufficientemente sicuro sull’esi-stenza di qualcosa di organico ed organiz-zato a riguardo dell’AB nelle singole dio-cesi. A questo scopo il SAB nazionale in-tende realizzare una mappatura generale.Non certo per un controllo, ma per un ser-vizio di comunione che si traduce in unreciproco aiuto.

– Viene caldamente domandato ai presbiteriun atteggiamento positivo e promozionaleriguardo alla pianticella biblica che nasce oè già nata nelle loro comunità, che rimanesempre tenera pianta come è di tutte le espe-rienze della fede. Viene da ricordare quantodice vigorosamente il Sinodo nelle Proposi-zioni 31 (Parola di Dio e presbiteri) e 32(Formazione dei candidati all’ordine sacro).

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CAPITOLO 3

Convegno Nazionalesu Catechesi e disabilità

Il dono dei disabiliper la

comunità cristiana

“Le membra del corpo che sembrano le più debolisono le più necessarie”

(1Cor 12, 22)

Roma21-22 marzo 2009

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A tutti ben trovati e grazie di essere qui! Seda un lato so di poter contare fin da subitosu tutta la vostra comprensione nei confrontidi questo Direttore “novizio”, dall’altro desi-dero che sappiate che mi sento veramenteimpegnato nel rivolgervi questo saluto. Nel“grande mare” dell’UCN il Settore Catechesie disabilità non è certamente quello numeri-camente più rilevante, ma nello stesso tempoavverto tutto lo spessore spirituale, umanoed anche sociale che la presenza di questoSettore comporta per la riflessione sulla co-municazione della Fede nelle nostre Chieseed anche per la qualità di questa comunica-zione. In definitiva la presenza di questo Set-tore, così discreta ma anche così fedele, fapiù bella, più efficace e più vera la nostra ca-techesi, proprio perché la umanizza e la co-stringe ad andare al passo dei più piccoli, dichi non ha abbastanza voce per testimoniarequanto è bello vivere amando il Signore.

La novità della mia persona in questo con-testo, mi costringe anche a presentarmi bre-vemente. Certamente il mio cognome e lamia provenienza dalla Diocesi di Riminimuove la curiosità di molti circa la parentelacon un Sacerdote caro a voi tutti, grandeapostolo e testimone per l’amore di Gesùper i piccoli ed i poveri. Anche se non sonoparente di Don Oreste Benzi, sono orgogliosodi esserne stato confratello nello stesso pre-sbiterio diocesano e sono felice di ricordarloqui insieme a voi. Ovviamente ho incontratoDon Oreste moltissime volte nella mia vitae ne coltivo un ricordo insieme vivace e sco-modo. Vivace per come era capace lui di va-lorizzare ogni persona. Certamente per Don

Oreste non c’erano cristiani-fotocopia, maognuno aveva il suo posto nella storia dellasalvezza, ognuno, dunque anche il più sof-ferente, il più piccolo, il dimenticato. Ma diDon Oreste ho anche un ricordo scomodo,nel senso che la sua stessa persona richia-mava (direi anche fisicamente per quel suosorriso luminoso che si apriva su di un voltospesso segnato dalla stanchezza e dalla fa-tica) come non possiamo mai sentirci abba-stanza seguaci del Vangelo quando sappia-mo che l’umanità ed il diritto ad una vitadignitosa del nostro fratello e della nostrasorella sono calpestati.

Di me posso dirvi poco di più: sono sacerdoteda diciotto anni, ho approfondito negli studila competenza biblica, da sedici sono statoimpegnato nel mondo della catechesi dioce-sana e regionale, ho svolto il ministero primain una comunità parrocchiale e poi a serviziodi una Cappella Universitaria.

Sul Convegno che andiamo iniziando vi diràcon più ampiezza Vittorio Scelzo che colgol’occasione di ringraziare per il suo Servizioall’UCN, così umano, pacato e sereno. De-sidero con voi anche ringraziare chi mi hapreceduto in questo Servizio e cioè Mons.Walther Ruspi, che con me condivide ancorala responsabilità per il Catecumenato. Ungrazie particolare a tutti i membri del GruppoCatechesi e disabilità con i quali abbiamopensato questo Convegno e a tutti gli illustriRelatori che hanno accettato di parteciparea questo incontro. E grazie a voi, per il tantolavoro che svolgete nelle vostre Diocesi enelle vostre comunità. Buon Convegno.

SALUTODon Guido Benzi, Direttore UCN

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che nel Romani, seppure in contesto diver-so), ma deve essere estesa all’intera visionedell’uomo e della Chiesa che l’Apostoloesprime nelle sue lettere.3 Sarebbe riduttivopensare che l’analisi delle relazioni interper-sonali e il principio cristiano della comunionefraterna sia valido solo per un contesto comeCorinto. Dobbiamo ritenere che questa pro-posta si estenda alla Chiesa primitiva e co-stituisca uno dei capisaldi della realtà dellaChiesa in quanto tale. Uno degli obiettividella presente proposta è quello di offrire uncontributo biblico-teologico utile per la ri-flessione ecclesiale circa la condizione e laprogettualità delle persone disabili nellaChiesa.4

INTRODUZIONE

L’oggetto della nostra analisi comprende duetermini specifici che caratterizzano la rifles-sione paolina in senso teologico e pastorale.Il primo è costituito dal binomio asthenes/asthenema (debole/debolezza) il cui impiegotrova diverse interpretazioni nelle letterepaoline.1 Il secondo termine è allelon (l’unl’altro, la reciprocità), che esprime una dellepiù significative e semplici visualizzazionidella comunità, intesa come corpo e comerete di relazioni comunionali (la koinonia).2

La riflessione paolina circa la relazione traforti e deboli va contestualizzata nell’am-biente della comunità di Corinto (come an-

«È nel paradosso paolino della debolezza come forza che la Chiesa trova le modalità per “stare nella fragilità”

e annunciare la beatitudine della povertà»(CEI, Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo, 723)

«LE VARIE MEMBRA ABBIANO CURALE UNE DELLE ALTRE»

Fragilità umana e potenza dello Spirito comecaratteristica della comunità cristiana in San Paolo

Giuseppe De Virgilio, Pontificia Università della Santa Croce, [email protected]

1 Cf. G. STÄHLIN, «asthenes», in GLNT I, 1303-1312; J. ZMIJEWSKI, «asthenema», in DENT, I, 451-456; D. A.BLACK, «debolezza», in HAWTHORNE G.F.-MARTIN R.P. -REID D.G. (edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere(DPL), San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 436-437 (con bibliografia).2 Cf. KRÄMER H., «allelôn», in BALZ H.-SCHNEIDER G. (edd.), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, I, Brescia1995, 166-167 (DENT); LOHFINK G., Gesù come voleva la sua comunità? La chiesa quale dovrebbe essere?,Cinisello Balsamo (MI) 21990, 136-156.3 Per una ricognizione sociologica sul tema, cf. i lavori di G. THEISSEN, Sociologia del cristianesimo primitivo,Marietti, Genova 1987: sulla stratificazione sociale a Corinto (207-241) sulla problematica forti/deboli (242-257) e sull’interpretazione sociologica della Cena del Signore (258-278); J.K. CHOW, Patronage and Power. AStudy of Social Networks in Corinth, Sheffield 1992. Una sintesi è offerta in R. FABRIS, Prima lettera ai Corinzi,(I libri biblici. Nuovo Testamento 7), Paoline, Milano 1999, 26-28.4 Circa i contributi più recenti sul tema, cf. V. SCELZO, «La catechesi dei disabili verso il convegno ecclesiale diVerona», in CEI, «Il racconto della speranza. Annuncio e catechesi agli adulti nella Chiesa italiana in camminoverso il Convegno di Verona. XL Convegno Nazionale dei Direttore UCD (Olbia 19-22 giugno 2006)», Notiziario

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Partendo dall’analisi di 1Cor 12,12-27, checostituisce il testo-base della nostra rifles-sione, proponiamo una lettura biblico teo-logica della dialettica comunionale tra «de-bolezza» e «forza», che corrisponde al bi-nomio fragilità umana/potenza dello Spirito,per poi focalizzare alcune conseguenze ec-clesiali e pastorali di questo modello dialet-tico che definisce l’esistenza «in Cristo enello Spirito».

1. L’IDENTITÀ CORPORATA DELLACHIESA DI DIO (EKKLESIA TOUTHEOU)

Non c’è dubbio che la descrizione somato-logica di 1Cor 12 colpisce per la sua ricchezzaespressiva e la sua forza dialettica.5 Delle re-lazione interne alla Chiesa Paolo si era giàoccupato nella stessa lettera quando ha in-teso definire la comunità con metafore al-trettanto espressive: la comunità è il campo(georgion), l’edificio di Dio (oikodome: 1Cor3,9; cf. anche: 6,12; 10,23; 14,3.5.6.12.17),e appena dopo conclude con una intensa do-manda retorica «Non sapete che siete tempiodi Dio (naos theou) e che lo Spirito di Dioabita in voi (to pneuma tou theou oikei enhemin)? Se uno distrugge il tempio di Dio,Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio

di Dio, che siete voi» (1Cor 3,16-17). Lacollocazione della riflessione ecclesiologicaproposta ai Corinzi fin dall’esordio della 1Corpone in connessione il motivo della Chiesa(il «voi» ecclesiale) con la realtà della potenzadello Spirito di Dio. Distruggere l’unità eccle-siale per motivi di superbia, di faziosità par-titiche, di scelte discriminanti tra alcuni chesi ritenevano forti e possessori di carismicontro altri che venivano rifiutati perché rite -nuti «deboli», significava «distruggere il tem-pio di Dio».6 Come è possibile notare, le tremetafore ecclesiologiche sono progressive;dall’immagine del campo in cui si opera il la-voro agricolo (i missionari come agricoltoriche svolgono il lavoro nelle varie fasi: chi se -mina, chi irriga), all’immagine della costru -zione (edificio), molto utilizzata nella pro-spettiva ecclesiologica neotestamentaria (cf.il motivo delle pietre e dell’edificio in 1Pt).7

Infine la terza metafora colloca la Chiesanell’orizzonte sacrale del tempio e della pre-senza di Dio. Tutte e tre le immagini implicanol’azione di Dio e la collaborazione dell’uomo:Dio fa crescere ciò che viene seminato, Diosorregge ciò che viene costruito, Dio abitacon il Suo Spirito e rende «santo» il tempio,metafora della persona e della comunità. Per-tanto la realtà della comunità appare an-ch’essa divina e umana, opera di Dio e fruttodella risposta responsabile dei credenti.

UCN 4(2006) 122-125. Per il contesto ecclesiologico e il dibattito sul tema delle «fragilità», nel Convegno diVerona, cf. A. SABATINI, «Ambito 3: fragilità», in CEI, Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo. Atti del4° Convegno Ecclesiale Nazionale (Verona 16-20 ottobre 2006), EDB, Bologna 2008, 245-293; la sintesi deilavori: 519-523; la proposta pastorale: 717-729.5 Cf. G. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi (SOC 16), Dehoniane, Bologna 1995, 631-686; R. FABRIS, Primalettera ai Corinzi, 167-175. Più ampiamente sul concetto di Chiesa e di Corpo di Cristo, cf. R.Y.K. FUNG, «corpodi Cristo», in DPL, 332-340; P. T. O’BRIEN, «chiesa», in DPL, 213-226. Per l’approfondimento delle metafore ec-clesiologiche, cf. anche E. FRANCO, «Chiesa come koinônia: immagini, realtà, mistero», RivB 2 (1996) 157-192.6 Circa il dibattito sulla relazione forti/deboli, rimandiamo alla ricerca di A. COLACRAI Forza dei deboli e debolezzadei potenti. la coppia “debole:forte” nel Corpus Paulinum, Cinisello Balsamo (MI) 2003; cf. anche A. PITTA,Paolo, le scritture e la legge. Antiche e nuove prospettive (StBi 57), Dehoniane, Bologna 2008, 161-179.7 Cf. P.T. O’BRIEN, «chiesa», 221.8 Cf. G. DE VIRGILIO, «L’etica della libertà e dell’amore (1Cor 5-10)», ParVit 2 (2002) 37-44. Più ampiamente,

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Un secondo aspetto è costituito dall’identitàdella Chiesa. Il singolo o l’insieme dei cre-denti rappresentano il «tempio di Dio», aprescindere dalla propria condizione fisica,socio-culturale ed etnica. Per il fatto di essereinserito in Cristo, di aver accolto il vangelodel Crocifisso, ciascun credente è abitato dal-la potenza (dynamis) dello Spirito Santo edha come fondamento lo stesso Gesù Cristo(1Cor 3,11). Questo dato teologico vienerielaborato come motivo dominante che sot-tostà alle problematiche che Paolo deve af-frontare in 1Cor: non solo la divisione e lediscordie (skismata kai èrides: 1Cor 1.10.11)interne alla comunità, ma le soluzioni chie-ste di fronte alle emergenze morali comel’incestuoso (1Cor 5,1-13), l’ambiguo ricor-so ai tribunali pagani (1Cor 6,1-11), la li-cenziosità della cultura e dei modelli di com-portamento sessuali e la frequentazione deibanchetti pagani con cibi idolatrici (cf. 1Cor6; 7-10).8 La prospettiva che Paolo ha acuore è costituita dalla dinamica ecclesialetra le «varie membra della Chiesa» e un’at-tenta lettura dell’intera lettera conferma que-sta tesi. In continuità con le soluzioni moraliprospettate, Paolo passa ad affrontare le ir-regolarità denunciate nelle riunioni ecclesiali,con il criterio supremo della «comunione»(koinonia) intesa come fondamentale voca-zione a cui Dio chiama la Chiesa (cf. 1Cor1,9). L’accettazione dei limiti socio-culturalidella condizione femminile (nel caso dellapresenza delle donne nell’assemblea: 1Cor11,2-16), la discriminazione dei nullatenentinel caso della Cena del Signore (1Cor 11,17-34) e le relazioni reciproche fondate sulla«via più eccellente» che è l’agape (1Cor

12,31-13,13) contestualizzano il pensierodell’Apostolo espresso in 1Cor 12. Nel nostrotesto viene confermata la duplice dimensionedi cui è composta la realtà comunità: accantoalle fragilità umane opera la potenza delloSpirito. Per indicare le azioni della «potenzadello Spirito», Paolo scrive in 1Cor 12,4-11:

4Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è loSpirito; 5vi sono diversità di ministeri, ma uno soloè il Signore; 6vi sono diversità di operazioni, mauno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7E a cia-scuno è data una manifestazione particolare delloSpirito per l’utilità comune: 8a uno viene concessodallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altroinvece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggiodi scienza;9 a uno la fede per mezzo dello stessoSpirito; a un altro il dono di far guarigioni permezzo dell’unico Spirito; 10a uno il potere dei mi-racoli; a un altro il dono della profezia; a un altroil dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietàdelle lingue; a un altro infine l’interpretazione dellelingue. 11Ma tutte queste cose è l’unico e il mede-simo Spirito che le opera, distribuendole a ciascunocome vuole.

È chiaro come la concezione della Chiesa«corpo di Cristo» sia conseguenza dell’azionetrinitaria di Dio, origine e sorgente di ognidono (charisma). La «comunione trinitaria»fonda la «comunione ecclesiale» e ogni donocarismatico deve essere interpretato e collo-cato all’interno di questa singolare dinamicatrinitaria: Paolo sottolinea che ogni manife-stazione particolare dello Spirito è per «l’uti-lità comune (pros to sympheron)». L’Apo-stolo spiega ai Corinzi che la realtà dellaChiesa non è costituita sul principio dellacontrapposizione e della competitività, masull’ideale della koinonia e della reciprocità,

cf. P.C. BORI, Koinônia. L’idea della comunione nell’ecclesiologia recente e nel Nuovo Testamento, Brescia 1972;E. FRANCO, Comunione e partecipazione. La koinonia nell’epistolario paolino (Aloisiana 20), Brescia 1986. Perl’analisi sul versante etico, cf. H.D. WENDLAND, Etica del Nuovo Testamento (NT Suppl. 4), Paideia, Brescia1975, 86-89.9 Cf. A.C. THISELTON, The First Epistle to the Corinthians (NIGTC), Grand Rapids 2000, 926-936; R. FABRIS, «Eu-

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che ha come condizione il dinamismo delloSpirito Santo, l’unico in grado di trasformareed armonizzare le differenze e le contrappo-sizioni. Per rimarcare l’unità e la solidarietàorganica di tutti i credenti, nella diversitàdei loro doni spirituali e compiti ecclesiali,Paolo ricorre al confronto con l’unicità delcorpo, pur nella pluralità delle membra.9 Sof-fermiamoci sul movimento letterario e teo-logico del testo paolino. L’affermazione delv. 22 è contestualizzata in 1Cor 12, che si

articola in quattro unità:10 i vv.1-3 nei qualil’Apostolo ribadisce il principio del discerni-mento carismatico; i vv. 4-11 presentano lapluralità dei carismi presenti nella comunitàcristiana, suscitati dall’unico Spirito; i vv.12-27 riprendono la dialettica uno-molti at-traverso il paragone dell’unico corpo; i vv.28-31 costituiscono l’applicazione della me-tafora somatica alla comunità cristiana. CosìPaolo prosegue nei vv. 12-27, argomentan-do mediante la metafora del «corpo»:

caristia e comunione ecclesiale in Paolo (1Cor 10)», 155-158; E. FRANCO, «Chiesa come koinônia. Immagini,realtà, mistero», 183-188. Questa formula ecclesiologica espressa in tre varianti: «un solo corpo» (1Cor 10,17;12,13; Rm 12,4), «un sol corpo in Cristo» (Rm 12,5) e «corpo di Cristo» (1Cor 12,27) non trova riscontri nel-l’Antico Testamento, né nel giudaismo tardivo, mentre mostra significative analogie con l’ambiente greco-romano(cf. G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 661-665). Per l’analisi retorica della pericope, cf. M.M. MITCHELL,Paul and the Rhetoric of Reconciliation. An Exegetical Investigation of the Language and Composition of 1Corinthians, HUTh 28, Tübingen 1991, 266-279.10 E.-B. Allo struttura il testo in tre unità: vv. 1-11; 12-26, 27-31; Barrett articola il capitolo in due unità: vv.1-3; 4-31; W. F. Orr–J. A.Walther, H. D. Wendland, G. Barbaglio individuano quattro unità: vv. 1-3; 4-11; 12-

A - Paragone: unsolo corpo/molte membra

12Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra,pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13E in realtà noitutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudeio Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.

B - La ricchezzadelle membranella loropluralità

14Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. 15Se il piededicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questonon farebbe più parte del corpo. 16E se l’orecchio dicesse: «Poiché io non sonoocchio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte delcorpo. 17Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito,dove l’odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nelcorpo, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbeil corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo.

B’ - La ricchezzadelle membranella lororeciprocità edunità

21Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa aipiedi: «Non ho bisogno di voi». 22Anzi quelle membra del corpo che sembranopiù deboli sono più necessarie; 23e quelle parti del corpo che riteniamo menoonorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattatecon maggior decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. MaDio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava,25perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avesserocura le une delle altre.

A’ - Conclusione:comunionenella sofferenzae nella gioia

26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se unmembro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27Ora voi siete corpodi Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

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In questa terza articolazione si distinguonoi vv. 12-13 nei quali l’Apostolo introduceil paragone (v.12: kathaper gar..outos) del-la unità-molteplicità dell’organismo umano,applicandolo a Cristo11 ed approfondiscel’affermazione (v.13: kai…gar) esplicitan-do come il «noi tutti» della comunità (v.13:hemeis pantes)12 costituisca la realtà del-l’unico corpo formato dall’azione battesi-male dello Spirito.13 Successivamente il pa-ragone del corpo umano viene sviluppatosu due linee distinte e complementari: laprima (vv. 14-20) illustra l’essenziale plu-ralità delle membra nell’unico corpo (v. 20:polla men mele, en de soma); la seconda(vv. 21-26) mostra la complementarità del-le diverse membra che costituiscono l’interoorganismo, condividono la stessa finalitàvitale e per questo hanno bisogno le unedelle altre. Paolo fa leva su due argomenti:la necessità dell’opera di ciascun singolomembro unito all’altro nella medesima di-gnità (v. 21) e la reciprocità della relazionedi aiuto e di solidarietà tra le diverse mem-bra dell’unico corpo (v. 25: hyper allelon

merimnosin ta mele). Tale unione diventacomunicazione vitale strettissima a tal pun-to che «se un membro soffre (paschei), tut-te le membra soffrono insieme (synpa-schei), e se un membro è onorato (doxa-zei), tutte le membra gioiscono (synchairei)con lui» (v. 26). Infine con una chiara in-clusione il v. 27 riprende i vv. 12b-13 af-fermando di nuovo che i credenti, indicatidal pronome di seconda persona plurale«hymeis», sono «corpo di Cristo» (somaChristou) e sue membra, ciascuno per lasua parte (mele ek merous).14 È importantepuntualizzare la descrizione delle relazioniinterecclesiali delineate dal paragone dellemembra nei vv. 21-26, che vuole rispon-dere all’interrogativo su come debbano rap-portarsi i battezzati nel contesto della vitacomunitaria. Infatti, parlando delle diverseparti del corpo, Paolo sembra riferirsi a dueatteggiamenti concreti sorti nell’ambito del-la vita comunitaria di Corinto: il senso diinferiorità dei cristiani meno dotati di donispirituali (o dalla coscienza “fragile” perchéprovenienti dal paganesimo) e di converso

26; 27-31a.11 Lo schema presente nel v.12 è del tipo A (en soma) - B (mele polla) / B’ (mele polla) - A’ (en soma) esottolinea il binomio unità-molteplicità prima in un ordine e poi nell’ordine inverso, in modo da evidenziarecome l’organismo umano presenti necessariamente due aspetti costitutivi e correlativi: l’essere unico e contem-poraneamente l’essere costituito da molte membra. Tuttavia l’aspetto peculiare della comparazione è dato dalsecondo termine di confronto: outos kai o Christos (cf. G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 665).12 La totalità e la diversità dei componenti della chiesa viene esplicitata con la menzione del diverso stato sociale(giudei/greci, schiavi/liberi), che rappresenta un passo parallelo con Gal 3,28. Tale sottolineatura evidenzia ladinamica sociale che deriva dal fondamento battesimale e che quindi postula l’idea di unità e di solidarietà, cf.H. MERKLEIN, «Entstehung und Gehalt des paulinischen Leib-Christ-Gedankens» in Studien zu Jesus und Paulus,319-344; G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 669 n. 188.13 Dopo aver costruito il paragone dell’unità/molteplicità in relazione a Cristo nel v. 12, ci si aspetterebbe chePaolo sviluppasse il suo pensiero nella prospettiva cristologica, mentre in modo sorprendente al v. 13 egliintroduce l’azione battesimale dell’«unico Spirito» (en eni pneumati hemeis pantes esi en soma ebaptisthemen)che diventa principio attivo dell’unità ecclesiale. «Potremmo tradurre il testo paolino dicendo che l’hen sômadella comunità cristiana non solo è costituito dall’agire creativo dello Spirito ma anche è animato dalla suaenergia vitale» (G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 665). 14 Alcuni codici e versioni (D lat syr Eus Ep Sev Prisc Hier Aug) leggono melous al posto di merous rendendooscuro il senso del versetto; cf. Vulg.: «vos estis corpus Christi et membra de membro».15 Il paragone in 1Cor 12,15-16 indica come il piede risulti meno abile della mano nella sua capacità di azione

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il senso di superiorità di altri credenti chesi ritenevano più dotati (dalla coscienza“forte”).15

Ai primi, che si consideravano inutili nellaChiesa fino a pensare di non essere vericristiani, Paolo risponde che la diversitàdelle capacità e quindi delle funzioni è ne-cessaria all’esistenza stessa del corpo (1Cor12,17.19) e che questa diversità provieneda Dio (cf. 1Cor 12,18). Invece di cedereal senso di inferiorità e di frustrazione, bi-sogna quindi accettare con gioia la dispo-sizione divina che attraverso le differen-ziazioni mira ad un’unità superiore. Ai se-condi, mossi da spirito di autosufficienzae tentati di disprezzare gli altri, l’Apostolonon solo ribadisce che «le membra del cor-po che sembrano essere più deboli sononecessarie» (1Cor 12,22), ma esorta questicarismatici a vivere la solidarietà con i piùpiccoli, ad avere maggiore rispetto, premu-ra, sollecitudine verso i più semplici e afarsi servi di tutti, imitando lo stesso ope-rato di Dio (1Cor 12,24-25).16

Le formule utilizzate dall’Apostolo contri-buiscono ad illuminare la dinamica della co-munione ecclesiale. Nel v. 21 si afferma duevolte, con una espressione retorica che ab-bina due negazioni equivalenti ad un’affer-mazione, che ogni membro per quanto di-verso (occhio/mano; testa/piedi) «non puòdire di non aver bisogno dell’altro» (ou dy-natai eipen,… chreian sou ouk echo) e diconseguenza non può esimersi di andare in-contro al bisogno altrui;17 nel v. 22 si rilevache le membra più deboli (asthenestera)18

risultano quelle «più necessarie» (anagkra-ia) rispetto alle altre;19 nei vv. 23-24a si di-chiara che le parti meno onorevoli ricevonomaggior rispetto (timen perissoteran) e lepiù indecenti maggior decoro (euschemosy-nen perissoteran), mentre quelle più decenti(v. 24: ta de euschemona) non hanno bi-sogno. Nei vv. 24b-25 Paolo fa appello al-l’azione di Dio che ha composto il corpo(synekerasen to soma) supplendo alla defi-cienza altrui (to hysteroumeno), con lo sco-po di evitare ogni scissione (ina me e schi-

e l’orecchio meno abile dell’occhio nella capacità di percezione. In 1Cor 12,21 si indica come l’occhio è superioreper la sua capacità di visione profetica rispetto alla mano e parimenti la testa come capacità di guida rispetto alpiede; cf. A. VANHOYE, «Nécessité de la diversité dans l’unité selon 1Cor 12 et Rm 12» in COMMISSION BIBLIQUE

PONTIFICALE, Unité et diversité dans l’Église, 143-156. Lo sviluppo teologico della «chiesa» in Paolo è ben sin-tetizzato in J.D.G. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo (Introduzione allo Studio della Bibbia. Supplementi 5),Paideia, Brescia 1999, 521-549 (la chiesa come corpo).16 Circa il rapporto tra imitazione di Cristo e fondamento della comunione in Paolo, cf. A. FUMAGALLI-F. MANZI,Attirerò tutti a me. Ermeneutica biblica ed etica cristiana, Dehoniane, Bologna 2005, 352s.17 Nella lettere paoline l’espressione cheian echein assume una valenza di «bisogno» strettamente materiale edeconomico in Rm 12,21, Fil 2,25; 4,16.19; 1Ts 4,9.12 (cf. A. SAND, «chreia», DENT, II, 1919-1920).18 L’aggettivo asthenes (nel nostro testo è in forma comparativa) è presente in Rm 5,6; 2Cor 10,10; Gal 4,9;1Ts 5,14 ma è prevalentemente impiegato da Paolo con diversi significati nella nostra lettera (1Cor 1,25.27;4,10; 8,7.10; 9,22; 11,30; 12,22); cf. G. STÄHLIN, «asthenes», GLNT, I, 1303-1312; J. ZMIJEWSKI, «asthenema»,DENT, I, 451-456; D. A. BLACK, «Debolezza», DPL, 436-437; per l’approfondimento del tema, cf. ID., Paul,apostle of Weakness: Astheneia and its Cognates in the Pauline Literature, P. Lang, New York 1984.19 Nell’argomentazione a fortiori segnalata dalla formula pollo / mallon (v. 22) non solo Paolo si mette dallaparte delle membra più deboli per contrastare alla radice la pretesa dei «forti» di Corinto di poter fare a menodegli altri (v. 21: ou dynatai), ma il suo ragionamento vuole sottolineare che la debolezza non pregiudica l’esserenecessario per la vita ecclesiale (cf. G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 674-75).20 Barbaglio sottolinea l’unicità dell’uso del verbo in connessione con il pronome reciproco per esprimere l’idea

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sma) e di favorire la reciproca cura tra lemembra (hyper allelon merimnosin ta me-le).20 L’uso dei termini schisma e merim -nosin unitamente al pronome reciprocoallelon indica non più una metafora soma-tica, bensì allude a comportamenti ecclesialiche sono stati precedentemente descritti nel-l’ambito della comunità di Corinto.21 L’ideache Paolo sta proponendo ai suoi interlocu-tori è che la comunità cristiana non va com-presa come una qualsiasi aggregazione,bensì secondo un preciso progetto di Dio:«Il creatore ha inscritto nella natura dell’or-ganismo umano la legge della solidarietàche regge i rapporti delle membra, condi-zione indispensabile perché esso possa re-stare unito».22 Il v. 26 costituisce un ulte-riore passaggio dell’argomentazione paolinain quanto traduce la solidarietà ecclesialenella concreta dinamica della condivisionedell’altrui sofferenza (sympaschei) e gioia(sygchairei).23 La conseguenza della reci-proca relazione tra le diverse membra dellaChiesa è l’equilibrio vitale e l’armoniosa uni-tà dell’intero corpo, alla cui bellezza contri-buisce ogni membro, l’uno coinvolto nella

comunione con l’altro. Quindi la dinamicasolidale fatta di aiuto fraterno vissuto trapari, di sostegno verso i più deboli e di con-divisione reciproca e vicendevole, costitui-sce la regola vitale dell’unità dell’organismoecclesiale, pena la sua dissoluzione. CosìPaolo può concludere al v. 27 con l’affer-mazione riassuntiva: «ora voi siete corpo diCristo e sue membra, ciascuno per la suaparte» (hymeis de este soma Christou kaimele ek merous). Tale formula ecclesiologicaè unica in tutto il Nuovo Testamento ed in-dica come la comunità di Corinto nella suaconcretezza storica e relazionale è corpo diCristo e deve tendere ad esserlo sempre dipiù. Il verbo all’indicativo (este - «siete»)non mira solo a far crescere nei Corinzi lacoscienza di ciò che sono, ma suggeriscecon l’uso della seconda persona plurale(«voi» in riferimento alle persone che for-mano la Chiesa e non più alla metafora so-matica) anche un implicito invito ad essereconformi alla nuova dignità di credenti.Inoltre l’espressione «corpo di Cristo» è sen-za articolo probabilmente per evitare unaidentificazione esclusiva con la persona del

di prendersi cura gli uni degli altri, che traduce il principio della solidarietà come costitutivo della dinamicaecclesiale: «Il verbo merimnan poi integrato dalla formula hyper allêlôn, cioè dal motivo della reciprocità,presenta il significato positivo di “prendersi cura di” e ci rimanda, di nuovo, ai rapporti di solidarietà in senoalla comunità cristiana, paragonabile, anche da questo punto di vista, a un corpo. Ma ora Paolo, più che criticare,intende sollecitare ”i forti” alla solidarietà verso “i deboli”, cioè ad avere spirito di corpo» (cf. G. BARBAGLIO, LaPrima Lettera ai Corinzi, 673).21 «Sorprende che a proposito dell’organismo umano Paolo usi due vocaboli, scissione (skisma) e prendersi cura(merimnan), altrove indicativi di comportamenti personali. Di fatto nella 1Cor egli ha denunciato più volte lospirito “scismatico” della chiesa di Corinto che ha condotto i credenti a formare chiesuole (1,10ss.) e a dividersinella stessa cena del Signore (11,18). Per questo il nostro passo non appare una descrizione fisiologica del corpoumano; tra le righe emerge l’immagine della comunità corinzia scissa tra credenti pneumatici e gli altri» (G. BAR-BAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 674); cf. C. K. BARRETT, La prima lettera ai corinti. Testo e commento, 358-359.22 G. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 675.23 Cf. A. SACCHI, Una comunità si interroga. Prima lettera di Paolo ai corinti, Paoline, Milano 1999, 265. Com-menta Franco: «È evidente che Paolo sta parlando a persone concrete nella loro reciproca relazionalità: ognipersona nella sua specificità costituisce e contribuisce alla vitalità e alla ricchezza di tutto il corpo comunitario»(E. FRANCO, «Chiesa come koinônia. Immagini, realtà, mistero», 185).24 «Di nessun cristiano si può dire che è corpo di Cristo, ogni comunità invece è corpo di cristo e tutti, “ciascuno

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Cristo24 e può essere interpretata «corpo cheappartiene a Cristo».25

Così il rapporto illustrato per esteso nei vv.14-26 a proposito dell’organismo umano,culmina con il v. 27 dove si riassumono lestesse connotazioni ecclesiali, l’unità e lapluralità non risultanti da una riduzione dellediversità bensì dalla loro armonizzazione.26

Di conseguenza la comunità è espressionedel corpo di Cristo e tutti, ciascuno per lasua parte sono corpo di Cristo, nel senso chepartecipano alla sua azione vitale, vivendola piena comunione con Cristo e tra di loro.Questo legame «vitale», che Paolo sottolineae ripropone ai suoi interlocutori è contras-segnato dal vincolo della solidarietà, di cuilo Spirito è protagonista e principio attivo edinamico, in quanto permette la piena co-munione-partecipazione dei battezzati conCristo («abbeverati» richiama l’immagine delbattesimo).27 In definitiva il paragone eccle-siologico dell’organismo unico e formato dimolte membra, permette di cogliere l’istanzadella koinonia che soggiace al pensiero pao-lino e che trova piena validità ed applica-zione nella Chiesa, che è fatta di pluralità edi unità.

La “complementarità” delle membra checompongono l’organismo somatico e chehanno bisogno le une delle altre (vv. 21-24a), la “reciprocità” nel prendersi cura diquelle parti del corpo che sembrano più de-boli, evitando ogni divisione (v. 25) e lapiena “condivisione” nella sofferenza e nellagioia (v. 26) rappresentano in modo con-creto, anche se in una visione generale, l’in-vito a vivere la solidarietà nelle forme e neimodi che storicamente si presentano nellaekklesia di Corinto.28

Un ultima attenzione deve essere riservataal pronome allelon, che indica la relazionedi reciprocità interna alla Chiesa.29 Nel nostrotesto questa relazione sottolinea la dimen-sione del rispetto reciproco e della legittimitàdelle diverse membra dell’unico corpo. Leattestazioni paoline del pronome di recipro-cità sono espressive dello stile che la comu-nità deve saper attuare: gareggiare nello sti-marsi a vicenda (Rm 12,10), con gli stessisentimenti (Rm 12,16; accogliersi l’un l’altro(Rm 15,7), correggersi reciprocamente (Rm15,14), salutarsi gli uni gli altri con il baciodella pace (Rm 16,16), sapersi aspettare gliuni gli altri (1Cor 11,33) aver cura gli uni

per la sua parte” siamo il corpo di Cristo» (E. FRANCO, «Chiesa come koinônia. Immagini, realtà, mistero», 185-186).25 La formula «corpo di Cristo» può essere meglio decifrata in una prospettiva ecclesiologica a partire da Rm12,4-5. Si comprende bene che la dialettica un corpo/molte membra è guidata dal motivo della solidarietà checollega unità e pluralità; cf. G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 679; C.K. BARRETT, La prima lettera aicorinti, 360.26 E. Käsemann commentando il testo così si esprime: «La parola d’ordine è “solidarietà, non “uniformità”» (cf.E. KÄSEMANN, «Il problema teologico del motivo del corpo di Cristo», in Prospettive paoline, 171).27 «L’armoniosa diversità nell’intima unità che subordina ciascun membro alla totalità del corpo, il corpo ecclesialeal corpo personale del Cristo, il Figlio al Padre rivela il dono e l’opera di Colui che è la personificazione dellakoinônia, lo Spirito che fa essere ciascuno quello che deve essere di fronte agli altri e di fronte a Dio già oranel cammino storico problematico in questo mondo e poi per sempre nella definitività del Dio tutto in tutti (1Cor15,28)» (E. FRANCO, «Chiesa come koinônia. Immagini, realtà, mistero», 187).28 Il motivo teologico della solidarietà in Paolo è stato ampiamente sviluppato in G. DE VIRGILIO, La teologia dellasolidarietà in Paolo. Contesti e forme della prassi caritativa nelle lettere ai Corinzi (SRB 51), Dehoniane,Bologna 2008, 207-212.29 Cf. H. KRÄMER, «allelon», in DENT, I, 166-167; G. LOHFINK, Gesù come voleva la sua comunità? La chiesaquale dovrebbe essere, Paoline, Minalo 1987, 136-145.

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degli altri (1Cor 12,25) essere al servizio gliuni degli altri mediante l’amore (Gal 5,13),portare i pesi reciprocamente (Gal 6,2) con-fortarsi ed edificarsi a vicenda (1Ts 5,11),vivere in pace e cercare il bene gli uni congli altri (1Ts 5,15), sopportarsi a vicenda(Ef 4,2), essere benevoli e misericordiosi gliuni con gli altri (Ef 4,32), essere sottomessigli uni agli altri (Ef 5,21), perdonarsi a vi-cenda (Col 3,13). Tutte queste espressionidi solidarietà contribuiscono a comporrel’idea della Chiesa che emerge dalla parenesipaolina: la piena integrazione sociale e spi-rituale delle diverse membra nella comunio-ne con Cristo.30

2. L’ELOGIO PAOLINO DELL’ASTHENEIA

Nella rappresentazione della simbolica ec-clesiale l’Apostolo ha fatto un’affermazioneparadossale rispetto all’ottica funzionale diun «organismo perfetto»: ha sostenuto chealla Chiesa sono necessarie le «membra piùdeboli» (asthenestera), le parti meno ono-revoli (perithitemen), quelle ritenute «inde-corose» (ta aschemona). La chiesa-corpo èchiamata da Dio a realizzare una intima re-ciprocità, dove debolezza e forza si coniu-gano, in quanto entrambe sono espressioninecessarie per l’incontro tra l’umanità e la

potenza dello Spirito. La conclusione del ra-gionamento paolino è inequivocabile: Dioha composto il corpo conferendo maggioreonore a ciò che ne mancava ed in virtù diquesta comunione, se un membro soffre,soffrono «tutti insieme»; se un membro vie-ne onorato, «tutti insieme» gioiscono (vv.24.26).In questa prospettiva possiamo intenderel’elogio della astheneia come formula dia-lettica della teologia paolina. La realtà delladebolezza, in quanto offerta a Dio e trasfor-mata dalla potenza dello Spirito, costituisceanche la «caratteristica» della comunità cri-stiana, nel segno della «teologia della cro-ce».31 Tale dimensione, che permea la bio-grafia dell’Apostolo, ha delle ricadute sul-l’interpretazione della vita spirituale dei cre-denti, sulla visione del mondo e dell’uomo,come anche sullo stile e sul metodo pastoraledella Chiesa. Se a Corinto le «membra piùdeboli» sono identificate con quei credentiche venivano ritenuti inferiori rispetto ai ca-rismatici,32 una maggiore comprensione dicosa si debba intendere per «debolezza» efragilità, ci viene dal più ampio uso di asthe-nes e dei termini indicanti la debolezza(astheneo; asthenema). Nell’uso classico, itermini in questione designano la malattiae l’impotenza,33 mentre in Paolo l’idea diastheneia diventa una categoria teologica,soprattutto nelle lettere maggiori.34 Il testoche colloca l’elogio dell’atheneia nell’ambito

30 Cf. l’analisi di G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 676-681.31 Paolo sviluppa il motivo dell’astheneia nel contesto della lettura cristologica della salvezza mediante la crocedi Cristo, a cui egli partecipa con le sue sofferenze (cf. A.E. MCGRATH, «teologia della croce», in DPL, 397-406).32 Cf. A. COLACRAI, Forza dei deboli e debolezza dei potenti. La coppia “debole:forte” nel Corpus Paulinum,269-275.33 Per quanto riguarda la terminologia della malattia, va notato che il vocabolario tipico (noseo; nosema; nosos)non ricorre nell’epistolario (tranne che in 1Tm 6,4), cf. C. DE LORENZI, «Paolo: infermità del corpo, forza delloSpirito», in PSV 2(1999) 115-116.34 Cf. D.A. BLACK, «debolezza», 436.

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cristologico e pone la relazione tra debolezzae forza è in 1Cor 1,18-31:

18La parola della croce infatti è stoltezza per quelliche vanno in perdizione, ma per quelli che si sal-vano, per noi, è potenza di Dio. 19Sta scritto infatti:Distruggerò la sapienza dei sapienti e annulleròl’intelligenza degli intelligenti. 20Dov’è il sapiente?Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore diquesto mondo? Non ha forse Dio dimostrato stoltala sapienza di questo mondo? 21Poiché, infatti, neldisegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la suasapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Diodi salvare i credenti con la stoltezza della predica-zione. 22E mentre i Giudei chiedono i miracoli e iGreci cercano la sapienza, 23noi predichiamo Cristocrocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pa-gani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudeiche Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sa-pienza di Dio. 25Perché ciò che è stoltezza di Dio èpiù sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza diDio è più forte degli uomini. 26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: nonci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, nonmolti potenti, non molti nobili. 27Ma Dio ha sceltociò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti,Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per con-fondere i forti, 28Dio ha scelto ciò che nel mondoè ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurrea nulla le cose che sono, 29perché nessun uomopossa gloriarsi davanti a Dio.30Ed è per lui che voisiete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è di-ventato per noi sapienza, giustizia, santificazionee redenzione, 31perché, come sta scritto: Chi si van-ta si vanti nel Signore.

I motivi che si colgono dalla ricchezza diquesta pagina sono diversi. Ai fini della no-stra riflessione possiamo notare che il fon-damento della predicazione paolina sia datodalla potenza di Dio che si manifesta nella«croce di Cristo». Il binomio astheneia / dy-namis tou theou racchiude in sé la dinamicacircolare dell’opera di Dio nella storia dellasalvezza. Cosicché il criterio della predica-zione e della vita dei credenti non è datodall’efficienza organizzativa, dalla forza per-suasiva e dalla sapienza intellettiva del mes-

saggio, ma precisamente dalla sua «stoltez-za», dalla sua «debolezza» dalla sua «nullità»secondo la logica del mondo. Questo è ilpreciso volere di Dio: la scelta (Paolo sotto-linea con l’aoristo, la determinazione storicadella scelta: exelexato o theos) è caduta sullafragilità e sulla debolezza «perché nessunopossa vantarsi davanti a Dio». Il v. 30 chiu-de l’argomentazione con l’affermazione dellapriorità dell’opera di Dio in Cristo Gesù: ilquale è per noi «sapienza, giustizia, santifi-cazione e redenzione».

È stato ben evidenziato come lo sviluppodel concetto paolino di debolezza va intesosecondo tre prospettive: antropologica, cri-stologica ed etica. La astheneia in sensoantropologico presuppone che tutto l’esseredi una persona dipenda da Dio e sia sog-getto alla limitazione di tutta la creazione(cf. 1Cor 2,3). Questa debolezza priva l’es-sere umano di quella capacità di autoaffer-marsi di fronte a Dio e al creato (cf. 1Cor9,22). In senso cristologico l’astheneia de-finisce l’appartenenza del credente al Cristocrocifisso, l‘essere «in Cristo». Per questo ilcredente che «vive nella signoria di Cristo»,partecipa pienamente alla sua morte e allasua risurrezione e questa partecipazione ri-vela come la potenza di Cristo si manifestanella debolezza (cf. 2Cor 12,7). Infine ladebolezza, intesa nella prospettiva etica, im-plica un responsabile uso della libertà co-niugato con la carità. Nel servizio di Cristonon c’è posto per l’individualismo: la cor-responsabilità tra le membra più forti e lemembra più deboli che formano il corpodella Chiesa implica il dovere morale di co-struire la comunione e questo presupponeun reciproco riconoscimento dei membri del-la Chiesa e della loro importanza in favoredell’unità e del bene comune dell’intero«corpo ecclesiale». Annota Black:

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«Il concetto paolino di debolezza è marcatamenteteocentrico. Dio non dipende dalle forze umane nédalle gesta umane, neppure nella Chiesa. Egli, in-vece, cerca il debole, l’empio e l’ostile per redimerlie prepararli come recipienti della propria potenza.La debolezza – come il Signore stesso ha detto aPaolo – è il luogo in cui si manifesta pienamentela potenza di Dio (2Cor 12,9). Così tra Cristo e ilcredente c’è una tale profonda identificazione nelladebolezza che di ambedue si può dire che vivono“per la potenza di Dio” (2Cor 13,4)».35

3. I CONTRASSEGNI DELLA ASTHENEIA

a) Come vasi di creta (2Cor 4,7-18)Seguendo l’interpretazione antropologica delgiudaismo del tempo, l’Apostolo interpretala realtà dell’uomo e del cosmo nella condi-zione di caducità (cf. Rm 8,20), sottopostaalla fragilità e alla morte. Tale condizione èradicalmente trasformata dal gratuito inter-vento salvifico di Dio, compiutosi nel misteropasquale di Cristo. Una delle più suggestivemetafore, che assume una chiara connota-zione paradossale,36 è quella di 2Cor 4,7-18: il tesoro che Dio ha posto nell’uomo èconservato in «vasi di creta» (en ostrakinoisskeuesin).

7Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta,perché appaia che questa potenza straordinaria vie-ne da Dio e non da noi. 8Siamo infatti tribolati daogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti,ma non disperati; 9perseguitati, ma non abbando-nati; colpiti, ma non uccisi, 10portando sempre edovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perchéanche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.11Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo espo-sti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita

di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale.12Di modo che in noi opera la morte, ma in voi lavita. 13Animati tuttavia da quello stesso spirito difede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato,anche noi crediamo e perciò parliamo, 14convintiche colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risu-sciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a luiinsieme con voi. 15Tutto infatti è per voi, perché lagrazia, ancora più abbondante ad opera di un mag-gior numero, moltiplichi l’inno di lode alla gloriadi Dio.

È nel mistero ineffabile del progetto di Diola soluzione di questo paradosso: il «tesoro»(thesauron) è conservato in un contenitoredi argilla. Spicca la fragilità dell’argilla, ma-teriale sproporzionato per contenere un te-soro così prezioso. La metafora del vaso nonindica solo il motivo platonico del «corpoumano» che contiene l’anima, ma allude al-l’intera persona nella propria condizioneumana, segnata dalla fragilità dell’esistenza.Pur riferendosi alla debolezza del ministero,questa metafora sottolinea la condizione ge-nerale del credente, nella quale emerge la«potenza straordinaria che viene da Dio enon da noi» (2Cor 4,7). Ritorna in questocontesto il binomio debolezza umana/po-tenza di Dio. Il tesoro che ci è stato dato èla persona stessa di Gesù Cristo; i vasi dicreta sono i credenti. La finalità di questacondizione paradossale è «perché appaia chequesta potenza straordinaria viene da Dio enon da noi». La sottolineatura paolina è costituita preci-samente dal ruolo della «dynamis pneuma-tos» (potenza dello Spirito) che opera nellafragilità umana e permette di vivere le av-versità del ministero come «viventi» e non

35 IDEM, 437.36 Cf. A. PITTA, La seconda lettera ai Corinzi, Borla, Roma 2006, 215-218; M. BOUTTIER, «La suffrance de l’apôtre.2Co 4,7-18», in L. DE LORENZI (cur.), The Diakonia of the Spirit (2Cor 4:7-7:4), MSB 10, Benedectina, Rome1989, 29-49.

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come sconfitti. Il concetto era già stato an-ticipato in 2Cor 3,8, quando Paolo avevadefinito il suo ministero come «ministerodello Spirito» (diakonia tou pneumatos),cioè ministero originato dall’opera dello Spi-rito e non dalla forza della volontà umana.Segue un primo catalogo delle avversità(«peristatico”), che indica la cifra delle sof-ferenze e delle tribolazioni sofferte per ilvangelo. Il movimento del testo procede se-condo l’antitesi morte/vita e culmina con lafede pasquale. Tuttavia una seconda ripresainteressa il nostro tema nei vv. 16-18 ed in-troduce il binomio uomo esteriore/uomo in-teriore (o exo anthropos / o eso):

16Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche ilnostro uomo esteriore si va disfacendo, quello in-teriore si rinnova di giorno in giorno. 17Infatti ilmomentaneo, leggero peso della nostra tribolazio-ne, ci procura una quantità smisurata ed eterna digloria, 18perché noi non fissiamo lo sguardo sullecose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibilisono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.

La condizione di debolezza e di fragilità nondeve costituire un motivo di scoraggiamento,ma di speranza perché «giorno dopo giorno»se aumenta la fragilità umana, l’uomo inte-riore si rinnova. Paolo assume il modellodualistico della cristologia adamitica (più chequello platonico o gnostico) per indicare ilprocesso di trasformazione interiore operatodallo Spirito.37 Viene sottolineata la positivaazione dello Spirito Santo che permette al

vaso di creta di custodire il tesoro inestima-bile del vangelo, Cristo stesso nell’esistenzadel credente.38

b) Le fragilità39 raccontate attraverso icataloghi delle avversità

Proseguendo in questa linea un ulteriore se-gno della debolezza è costituito dalle soffe-renze apostoliche, espresse nei cataloghi del-le avversità. Oltre a 2Cor 4,8-12, troviamoaltri tre importanti cataloghi in 1Cor 4,8-13e in 2Cor 6,3-10; 11,23-26. Ci limitiamosolo a segnalarne il testo, evidenziando co-me Paolo intenda la condizione paradossaledel credente come configurazione al misteroparadossale del Cristo crocifisso e risorto.

1Cor 4,9-139Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apo-stoli, all’ultimo posto, come condannati a morte,poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agliangeli e agli uomini. 10Noi stolti a causa di Cristo,voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi ono-rati, noi disprezzati. 11Fino a questo momento sof-friamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaf-feggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, 12ciaffatichiamo lavorando con le nostre mani. Insul-tati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 13ca-lunniati, confortiamo; siamo diventati come la spaz-zatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

2Cor 6,3-103Da parte nostra non diamo motivo di scandalo anessuno, perché non venga biasimato il nostro mi-nistero; 4ma in ogni cosa ci presentiamo come mi-nistri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni,

37 Cf. A. PITTA, La seconda lettera ai Corinzi, 233; F. MANZI, Seconda lettera ai corinzi, NT 9, Milano 2002,159-160.38 Annota Pitta a proposito della dynamis tou pneumatos: «Il percorso figurativo del sostantivo donami nell’epi-tolario paolino e, in particolare, nella corrispondenza ai Corinzi, orienta decisamente verso una connotazionepnematologica […] Pertanto, soltanto la potenza che scaturisce dall’azione dello Spirito, in quanto egli stesso è“potenza di Dio”, permette al vaso di creta di custodire il tesoro inestimabile del vangelo o di Cristo stesso» (A.PITTA, La seconda lettera ai Corinzi, 218); cf. anche P. J. GRÄBE, «Dynamis (in the Sense of the Power) as aPneumatological Concept in the Main Pauline Letters», in BZ 36 (1992) 226-235.39 Cf. G. H. TWELFTREE, «guarigione, malattia», in DPL 828-832.

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nelle necessità, nelle angosce, 5nelle percosse, nelleprigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, neidigiuni; 6con purezza, sapienza, pazienza, benevo-lenza, spirito di santità, amore sincero; 7con paroledi verità, con la potenza di Dio; con le armi dellagiustizia a destra e a sinistra; 8nella gloria e nel di-sonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ri-tenuti impostori, eppure siamo veritieri; 9sconosciuti,eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo;puniti, ma non messi a morte; 10afflitti, ma semprelieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente chenon ha nulla e invece possediamo tutto!

2Cor 11,23-2623Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia,io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche,molto di più nelle prigionie, infinitamente di piùnelle percosse, spesso in pericolo di morte. 24Cinquevolte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; 25trevolte sono stato battuto con le verghe, una voltasono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio,ho trascorso un giorno e una notte in balìa delleonde. 26Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pe-ricoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pe-ricoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel de-serto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fra-telli; 27fatica e travaglio, veglie senza numero, famee sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. 28E oltrea tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoc-cupazione per tutte le Chiese. 29Chi è debole, cheanch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io nonne frema?

La matrice teologica di questi tre testi, con-testualizzati nelle rispettive sezioni letterarie,mostra come la forza testimoniale della vitacristiana e della predicazione apostolica nonderivi dall’iniziativa umana, ma dalla po-tenza divina. Paolo difende il proprio apo-stolato nei confronti di quei Corinzi che si

ritenevano superiori, mostrando la naturadinamica del ministero cristiano: Dio si servedella fragilità umana per evangelizzare ilmondo, ha scelto la «stoltezza della predi-cazione» (1Cor 1,21).40

c) Le «catene» e le «prigionie» per ilvangelo

Le espressioni paoline circa le catene (sem-pre al plurale) e le prigionie41 sono toccanti:in Ef 6,20 si definisce «ambasciatore in ca-tene» (prosbeuo en alusei), in Col 4,3 chiededi pregare perché si apra la porta della pre-dicazione per annunciare il mistero di Dioper il quale si trova «in catene» (o kai de-demai), così come nel saluto di Col 4,18l’invito suona con il monito: «ricordatevidelle mie catene» (memoneuete mou ton de-smion). È particolarmente toccante la testi-monianza di Paolo in Fil. La condizione diprigionia diventa perfino una situazione pri-vilegiata per l’evangelizzazione: portare lecatene è una «grazia» come il «soffrire peril Signore» (Fil 1,7.13). È ancora commo-vente l’invito a Filemone di accogliere il ser-vo Onesimo, figlio «generato in catene» (Fm10), ricordando che Paolo porta le cateneper il vangelo (Fm 13). Infine il motivo dellecatene ritorna in 2Tm con il ricordo di One-siforo (2Tm 1,16) e con la raccomandazionerivolta a Timoteo della necessità dell’annun-cio della Parola di Dio (2Tm 2,9). La fragilitàdelle catene e delle prigionie non va intesacome un limite, ma Paolo la interpreta comeuna «grazia» e uno sprone per i cristiani e

40 Ci limitiamo a segnalare l’importanza retorico-teologica dei «cataloghi delle avversità», rimandando alle con-siderazioni di A. PITTA, La seconda lettera ai Corinzi, 218-221 e F. MANZI, Seconda lettera ai corinzi, 188-198.41 L’Apostolo impiega i termini «catene e prigionie» (catene – desmoi; essere legato – dedemai; in prigione – enphylakais, vincolo – alysis) per indicare la propria condizione di fragilità, di sofferenza e di restrizione in vistadell’annuncio del vangelo (cf. D.G. REID, «prigionia, prigioniero», in DPL, 1213-1218).42 Cf. D. G. REID, «prigionia, prigioniero», 1217-1218.

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per i missionari, affinché la Parola divinapossa essere proclamata con maggiore co-raggio.42

d) L’infermità di Paolo, occasione dievangelizzazione

Sul motivo della malattia si possono trovarenell’epistolario diverse indicazioni. La ma-lattia è menzionata come debolezza del-l’umana natura (2Cor 4,17), come conse-guenza del giudizio divino (1Cor 11,30),come provocazione satanica (2Cor 12,7). Èsingolare che Paolo testimoni della sua in-fermità e ne tratti come una «occasione op-portuna di evangelizzazione». In Gal 4,12-15 scrive:

12Siate come me, ve ne prego, poiché anch’io sonostato come voi, fratelli. Non mi avete offeso in nulla.13Sapete che fu a causa di una malattia del corpoche vi annunziai la prima volta il vangelo; 14e quellache nella mia carne era per voi una prova nonl’avete disprezzata né respinta, ma al contrario miavete accolto come un angelo di Dio, come CristoGesù. 15Dove sono dunque le vostre felicitazioni?Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile,vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli.

L’Apostolo non si attarda a descrivere la suacondizione clinica, né rivela quale fosse l’in-fermità accadutagli. La rievocazione dellasua infermità è sintetica ed essenziale, quan-to basta per far rivivere la memoria di unincontro e di un soggiorno in cui i Galatimostrarono a Paolo un’amicizia tanto ospi-tale, da cavarsi perfino gli occhi se fossestato necessario. Emerge da questa testimo-nianza come Paolo interpreti la sua infermitànel progetto di Dio: i Galati hanno esercitatola carità e l’accoglienza, Paolo ha potuto an-

nunciare il vangelo. La condizione di fragilitànon è stata intesa come un limite, ma comeoccasione per evangelizzare la comunità.43

e) La «spina nella carne»

Un particolare rilievo è stato dato all’espres-sione skolops te sarki di 2Cor 12,7 in rife-rimento all’astheneia, applicata al ministeropaolino. Senza entrare nel merito del dibat-tito circa l’interpretazione della perifrasi,44 lasingolarità della debolezza di Paolo è resanell’autotestimonianza toccante della secon-da apologia della sezione di 2Cor 10-13. Inessa viene difeso il suo apostolato, mostran-do come l’origine dell’opera di evangelizza-zione sia lo stesso Dio che ha chiamato Pao-lo al suo servizio e gli ha concesso una pro-fonda esperienza mistica (cf. 2Cor 12,1-6).La dinamica della debolezza e della potenzadi Dio è descritta in 2Cor 12,7-9:

7Perché non montassi in superbia per la grandezzadelle rivelazioni, mi è stata messa una spina nellacarne, un inviato di satana incaricato di schiaf-feggiarmi, perché io non vada in superbia. 8A cau-sa di questo per ben tre volte ho pregato il Signoreche l’allontanasse da me. 9Ed egli mi ha detto: «Tibasta la mia grazia; la mia potenza infatti si ma-nifesta pienamente nella debolezza». Mi vanteròquindi ben volentieri delle mie debolezze, perchédimori in me la potenza di Cristo. 10Perciò mi com-piaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nellenecessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sof-ferte per Cristo: quando sono debole, è allora chesono forte.

L’Apostolo ha provato una sofferenza tal-mente atroce da invocare «tre volte» il Si-gnore per esserne liberato. Egli attribuiscequesta sofferenza ancillare, all’opera di unemissario di Satana, produce un dolore per-

43 Cf. C. DE LORENZI, «Paolo: infermità del corpo, forza dello Spirito», 122-124.44 Cf. A. PITTA, La seconda lettera ai Corinzi, 506-508; F. MANZI, Seconda lettera ai corinzi, 289-297.

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sistente, incalzante ed umiliante nella pro-pria umanità (sarx intesa come dimensioneantropologica dell’uomo). La condizione diprova, comunque si interpreti, spinge l’Apo-stolo alla riflessione cristologica successiva:la sofferenza resta ineffabilmente un misteroche Dio non ci ha voluto svelare, così comeil mistero della croce del Figlio. Tuttavia ab-biamo la certezza che attraverso la debolezza(astheneia) si manifesta la potenza (dyna-mis). Paolo specifica che la potenza è «dy-namis tou Christou» e che le infermità, glioltraggi, le necessità, le persecuzioni e leangosce sofferte per Cristo diventano «for-tezza nella debolezza». Così il soffrire di Pao-lo si trasforma in vanto apostolico e in com-piacimento per il fatto che Dio interviene ecompie le promesse mediante la sua grazia.

«Questa spina nella carne che prima della preghierarivolta da Paolo al Signore era una sofferenza in-sostenibile, ora nella consolazione che gli viene di-rettamente da Dio si trasforma nella prova inalie-nabile. Paolo è esaudito per il fatto che divieneconsapevole che la sua debolezza e la sua soffe-renza sono manifestazione del Cristo; se la sua spi-na fosse rimossa e la sua carne finalmente sanata,la manifestazione della potenza di Dio in lui nonsarebbe “piena”».45

La metafora della «spina» ha collegamenticon la passione di Gesù e riporta inevitabil-mente la riflessione paolina alla teologia del-la croce. Come Gesù nel Getsemani pregòtre volte il Padre (cf. Mc 14,32-42) perchéallontanasse il calice della sua passione, cosìPaolo prega Dio tre volte perché la spinanella carne sia allontanata. Come per Gesù,anche Paolo deve obbedire alla suprema vo-lontà, affrontando la prova nella quale simanifesta la grazia celeste.

Riassumendo l’analisi proposta, sottolineia-mo alcuni aspetti:46

– la condizione dell’uomo nella storia e dal-l’intera creazione è irriducibilmente segna-ta dalla fragilità, dalla caducità e dalla de-bolezza mortale;

– la comunità cristiana si fa carico della de-bolezza non per suo volere, ma per unpreciso progetto divino, che manifesta nelparadosso della croce di Cristo, la sua po-tenza nello scegliere la debolezza;

– in seguito a questa rivelazione celeste,Paolo interpreta la fragilità e la debolezzacome dimensione costitutiva della realtàcristiana ed ecclesiale. Chi segue Cristo èconformato nella sofferenza e nella gloria;

– la comunità, «corpo di Cristo» vive la dia-lettica della pluralità delle membra comerisorsa e non come limite, riconoscendonella pluralità delle membra la reciprocitàdei diversi ruoli e la comunione dell’unicocorpo di Cristo;

– nella sua storia personale Paolo stesso te-stimonia come la debolezza, offerta a Dio,rappresenta un «vanto» e una ulterioreconferma della necessità delle membra «piùdeboli» per la vita di quelle «più forti». Leespressioni più significative che testimo-niano il binomio debolezza/forza sono:l’immagine dei «vasi di creta», i cataloghidelle avversità; le catene e le prigionie; l’in-fermità di Paolo e la «spina nella carne».

Il percorso ci ha aiutato a cogliere il sensoprofondo dell’affermazione ecclesiologica di1Cor 12,22: «Quelle membra del corpo chesembrano più deboli sono più necessarie».Questa affermazione ha ancora bisogno diessere completata con la riflessione sull’iden-tità e il ruolo della «potenza dello Spirito».

45 C. DE LORENZI, «Paolo: infermità del corpo, forza dello Spirito», 120.46 Cf. le conclusioni riassunte in A. COLACRAI, Forza dei deboli e debolezza dei potenti, 564-568.

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4. DALLA FRAGILITÀ UMANAALLA POTENZADELLO SPIRITO

L’ampia riflessione pneumatologica di Paoloci permette di cogliere alcuni aspetti collegaticon il motivo della astheneia e precisamentela perifrasi «potenza dello Spirito» (dynamistou pneumatos) e la sua relazione con laChiesa. Riprendendo i contenuti dello Spiritodall’AT e dal giudaismo intertestamentario,Paolo presenta il pneuma come «forza diDio».47 Tale forza, la dynamis tou pneuma-tos,48 agisce efficacemente nella predicazionee nella vita della Chiesa, ispirando le parolee favorendo anche manifestazioni e portenti«soprannaturali» (cf. 1Cor 12,7-11; Gal3,5). L’azione efficace dello Spirito operanell’esistenza del credente, che riempie ilsuo cuore e lo rende «tempio santo» di Dio(1Cor 3,17; 6,19). Pertanto la debolezza dell’uomo viene tra-sformata dalla potenza dello Spirito Santo.Utilizzando l’espressione complementare«spirito di Cristo» (o «Spirito del Figlio diDio»), Paolo allude alla trasformazione inte-riore che produce nei credenti la configura-zione all’immagine del Figlio (Rm 8,29; 2Cor3,3; Ef 3,17) e la piena comunione (1Cor1,9; 2Cor 13,13; Fil 2,1). In riferimento alnostro tema, occorre sottolineare due aspettiche ineriscono al ruolo dello Spirito in con-nessione con la debolezza umana: a) la realtàdella croce; b) l’edificazione della Chiesa.

a) la realtà della croce In primo luogo la potenza di Dio (dynamistou theou) si manifesta nella «parola della

croce» (1Cor 1,18).49 Paolo esordisce in 1Corproprio con questo principio che guida lasua riflessione teologica e conclude in 2Cor13,4 con lo stesso motivo: la crocifissionedi Cristo mostra la debolezza della condizio-ne umana e la sua vita risorta testimonial’efficacia della potenza di Dio. Possiamo af-fermare che la relazione tra debolezza e forzacostituisca un motivo centrale della corri-spondenza ai Corinzi: in entrambe le lettereritorna questo principio-guida dell’esistenzacristiana. Come la croce svela la debolezzaumana e la mortalità del Cristo che viene ri-suscitato per la potenza di Dio, allo stessomodo nella debolezza dei credenti che ac-colgono con fede il vangelo della salvezza,si realizza il dono della vita. Perciò «…Dioha scelto ciò che nel mondo è debole perconfondere i forti, Dio ha scelto ciò che nelmondo è ignobile e disprezzato e ciò che ènulla per ridurre a nulla le cose che sono,perché nessun uomo possa gloriarsi davantia Dio» (1Cor 1,27-29). La paradossalità delprogetto divino sta proprio nell’assunzionepiena del «principio dell’incarnazione»: lapotenza dello Spirito trasforma l’impotenzadella croce, per cui la sofferenza viene tra-sfigurata e diventa strada di salvezza e dievangelizzazione. Questa dinamica implicanon solo l’assunzione di una condizione,ma la formazione di una spiritualità e di unconseguente stile cristiano di condurre lapropria vita «configurata all’immagine delFiglio». Per questo Paolo invita i suoi inter-locutori a cambiare mentalità, per passareda un vecchio modo di pensare ad uno nuo-vo. Questo passaggio avviene appunto conla potenza dello Spirito ed insieme con l’im-

47 Cf. T. PAIGE, «Spirito Santo», in DPL, 1492; cf. anche R. PENNA, «Spirito Santo», in P. ROSSANO-G. RAVASI-A.GIRLANDA (edd.), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 1511-1517.48 Cf. G. FRIEDRICH, «dynamis» in DENT I, 944-951.49 Cf. T. PAIGE, «Spirito Santo», 1494-1495.

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potenza della croce di Cristo, crocifisso erisorto.

b) l’edificazione della Chiesa

La potenza dello Spirito non opera solo a li-vello del cuore umano, ma è il principio perla costruzione della comunità dei credenti.La comunione ecclesiale è anzitutto un donodello Spirito di Dio, che produce il cambia-mento del cuore e l’unità nella diversità. Lacomunità di Corinto rappresenta un esempioper tutta la Chiesa: i doni carismatici, le dif-ferenze sociali, i livelli culturali, le diversitàetniche e socio-religiose non vengono ap-piattite ed azzerate, ma unificate dall’azionedello Spirito di Dio. Per questo l’Apostolo,presentando la realtà della Chiesa come «cor-po di Cristo», introduce all’inizio il «principiounificatore» dello Spirito Santo, nell’orizzontedel mistero trinitario. I passaggi sono chiari: – nessuno può affermare la fede cristologica

se non sotto l’azione dello Spirito (1Cor12,3)

– secondo il misterioso progetto divino, ognimanifestazione dello Spirito è ordinata allacomunione ecclesiale, ad immagine dellacomunione trinitaria (1Cor 12,4-11)

– L’unità delle membra nell’unico corpo diCristo è data dal fatto che tutti i credentisono stati battezzati in un solo Spirito per«formare un solo corpo» (1Cor 12,12-13)

– la dialettica della comunione ecclesiale im-plica: 1. Il riconoscimento della diversità come

risorsa carismatica (1Cor 12,14); 2. Il dovere della reciprocità come contras-

segno dell’unica appartenenza spirituale(1Cor 12,1521);

3. Il dovere della solidarietà tra le membrapiù deboli e quelle più forti della comu-nità, secondo un progetto voluto daDio, che ha composto il «corpo» confe-rendo maggior onore a ciò che ne man-cava (1Cor 12,22-24);

4. L’accettazione della propria identità edella propria vocazione nella Chiesa,perché dono dello Spirito che ci fa sof-frire con chi soffre e gioire con chi gioi-sce (1Cor 12,26-27) .

La debolezza e la potenza, in quanto assuntiin Dio, costituiscono la realtà stessa dellaChiesa in cammino verso il regno.

CONCLUSIONE

Gli ambiti in cui Paolo ha proposto il binomioastheneia/dynamis sono diversi ma con-nessi tra di loro e dipendenti da un unicoprincipio teologico: il compimento della mis-sione salvifica di Cristo, crocifisso e risorto.Propongo quattro prospettive teologiche equattro criteri pastorali.

1. Quattro prospettive teologiche

a) La reciprocità forte/debole, come la con-seguente difesa dei deboli e delle debolezzenon appare in Paolo fine a se stessa. Essaè costitutiva del «dato rivelato» secondo ilquale Dio opera la salvezza attraverso la de-bolezza. Si tratta di un «paradigma teologi-co» che si traduce in uno stile ecclesiale epastorale. Scrive Colacrai: «esiste sempreuna circolarità tra vangelo, una dottrina suCristo crocifisso e risorto, il ministero apo-stolico e l’apostolato»51. Pertanto la relazione

50 Cf. Cf. l’analisi di G. BARBAGLIO, La prima lettera ai corinzi, 665-669.51 A. COLACRAI, Forza dei deboli e debolezza dei potenti, 564.

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mutua tra debolezza e potenza di Dio fa par-te dell’annuncio del vangelo.

b) I termini paolini che esprimono il «van-gelo» non escludono la debolezza e la fra-gilità, né la nascondono. Al contrario attra-verso questi termini viene narrata la trasfor-mazione dell’uomo e della storia come svi-luppo necessario e sequenziale del passaggiotra morte e vita, tra debolezza umana e po-tenza dello Spirito, condizione del «primoAdamo» e compimento del secondo Adamo.«Per cui si può dire che il vangelo sia meglioespresso non dall’esclusione reciproca o dalconflitto ma da una sintesi tra astheneia edynamis, o meglio ancora da un necessariopassaggio sequenziale da morte a vita e nonviceversa, o dalla astheneia -nekro

_sis-tha -

na tos alla dynamis-zro_e_-doxa»52.

c) Va ancora sottolineato come questa dia-lettica non è posta a livello teorico, ma èsperimentata sia nella singola vicenda apo-stolica di Paolo che nel vivo della vita ec-clesiale. Possiamo affermare che la caratte-ristica della comunità cristiana secondo Pao-lo è proprio quella di rifiutare una teologiapriva di amore per i deboli e di conseguenzaincapace di «edificare» la Chiesa di Dio nel-l’unità del corpo di Cristo. Al contrario, lacomunità cristiana è tale solo quando accadeil miracolo della reciprocità, dove le variemembra «abbiano cura» le une delle altre,

superando la tentazione dell’élitarismo e laconcezione di una chiesa di perfetti, che sitrasforma in setta53.

d) Illuminata da questa visione teologica edecclesiologica, la prassi ecclesiale implical’accoglienza incondizionata dei deboli, laloro legittimità nella comunione e nella col-laborazione, l’accettazione della condizionedella croce, la capacità di condividere le de-bolezze altrui, come è avvenuto per GesùCristo, al fine di edificare l’unità della Chiesadi Dio, corpo vivo in quanto invisibile di Cri-sto. Il risvolto dell’etica paolina trova il suofondamento proprio nel modello cristologicodell’esistenza cristiana. Infatti è necessariopartire dalla «parola della croce» recuperandocome regola della vita ecclesiale ed aposto-lica la memoria di Cristo crocifisso per i de-boli. Solo da questo evento è possibile con-dividere la comunione ecclesiale e viverel’esodo che porta alla pienezza della vita inCristo risorto.

2. Quattro criteri pastorali

Avendo presente le «dieci attenzioni» cheil Convegno ecclesiale di Verona ha indi-cato in riferimento alle fragilità, ci permet-tiamo di segnalare alcuni criteri pastoraliricavabili dal messaggio biblico-teologicoche Paolo ci consegna nel suo insegna-mento55.

52 IDEM, 565.53 «L’uso della coppia debole: forte suggerisce in sostanza che non è possibile una theologia crucis senza con-temporaneamente fare anche una theologia resurrectionis o una theologia vitae o una theologia gratiae, o unatheologia gloriae; non è possibile la fede in Cristo crocifisso senza la speranza in Cristo risorto (A. COLACRAI,Forza dei deboli e debolezza dei potenti, 565).54 Per il tema dell’etica paolina relativo alla «koinonia», cf. R.B. HAYS, La visione morale del Nuovo Testamento.Problematiche etiche contemporanee alla luce del messaggio evangelico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)2000, 41-73. Per uno sguardo complessivo, cf. H.D. WENDLAND, Etica del Nuovo Testamento, 87-89; J.D.G.DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo, 654-662.55 Cf. Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo, 726-729.

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a) Un primo aspetto è costituito dal modellocon cui l’Apostolo fa teologia: l’assunzionedell’humanum. Una teologia che non assu-ma l’humanum come criterio-base del pro-prio processo teoretico rischia di proporreuna interpretazione gnostica e parziale delmessaggio cristiano. Ora l’humanum è datoprecisamente da ciò che appare debole, inquanto imperfetto, limitato, storicamente da-tato e segnato dalla cifra dell’incarnazione.Paolo ha amato l’umanità nella fragilità dellapropria persona e in quella dei suoi fratelli56.Il suo pensiero è connotato dalla «conte-stualità» e non dalla teorizzazione idealistica.Questo dato colpisce ancora di più i lettori.Dovendo rispondere alle situazioni urgentie conflittuali createsi nella Chiesa di Corinto,Paolo elabora la propria visione teologicasapendo leggere «in contesto» il messaggioevangelico.

b) Un secondo aspetto è dato dal rapportotra fragilità e annuncio del vangelo. Poichéla salvezza non è accaduta «nonostante lacroce», bensì mediante la croce, l’annunciosalvifico implica l’assunzione della debolezzacome «via necessaria» dell’evangelizzazionee della catechesi. Sia come destinatari delmessaggio evangelico, sia come testimonied annunciatori, i «deboli» possono e devo-no essere protagonisti del cammino dellaParola57.

c) Il discernimento ecclesiale che emergedallo sviluppo di questa riflessione impone

una verifica sullo «stile» della Chiesa, sullasfida educativa58, e su come i «deboli» par-tecipano all’edificazione della comunità. Lemodalità della partecipazione (integrazionesociale, progetti caritativi, esperienze dievangelizzazione e di missione, dimensioneliturgica, ecc.) devono tradurre lo spirito diuna Chiesa che vive effettivamente ed effi-cacemente la comunione e che costruiscefuturo con la potenza dell’amore donato.

d) La forza attraente della testimonianza edell’imitazione deve connotare la maturitàdel cammino dei credenti. Paolo semplificatutto il suo annuncio evangelico per arrivaread una fede che agisce per il prossimo nel-l’amore, insistendo sull’imitare» Cristo chedonò la vita per il debole (cf. 1Cor 8,11; Rm14,15). In tal modo i credenti, come fu peri Corinzi, devono poter imitare Paolo nellasua appassionata scelta di farsi «tutto a tut-ti», debole con i deboli, per salvare ad ognicosto qualcuno (1Cor 9,22).

«Ci sembra che Paolo voglia suggerire ai suoi con-temporanei di adottare la sua dialettica, corrispon-dente del resto a quella delle beatitudini, e di ri-partire nella missione dal debole, dal disprezzato,da ciò o da chi per il mondo politico, militare o eco-nomico imperante non conta, ma che già proprioper questo somiglia di più al Cristo crocifisso. Paolonon suggerisce di fare del debole un simil-forte,dello stolto un simil-sapiente secondo il mondo, delpovero un ricco. La sua prospettiva nel presente èla partecipazione alla debolezza di Cristo, per par-tecipare in futuro alla vita con Cristo, il potente Si-gnore della storia»59.

56 Cf. CEI, Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo, 722 («La persona al centro»).57 Cf. CEI, Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo, 721 («contemplare il mistero della croce ed evangelizzarela fragilità).58 Cf. IDEM, 723 (Fragilità e grandezza dell’uomo: la sfida educativa).59 A. COLACRAI, Forza dei deboli e debolezza dei potenti, 568-569.

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INTRODUZIONE

Mi è stato chiesto di presentare l’esperienzadi un gruppo di disabili inserito in modo or-ganico in una comunità parrocchiale dellaSicilia; ho interpretato la richiesta, nel sensodi descrivere il tipo di accoglienza e di rela-zioni che una comunità parrocchiale, al cuiinterno accoglie un gruppo di persone disa-bili, vive o dovrebbe vivere.Non mi attarderò quindi a descrivere il tipo dicatechesi sacramentale messa in atto, né levarie celebrazioni liturgiche che in parrocchiasi celebrano; la mia attenzione è concentratasull’accoglienza che la comunità parrocchialeoffre al gruppo e sull’inserimento del grupponella comunità, per non vivere l’isolamentoe l’emarginazione dentro la Chiesa.Cercherò di mettere a fuoco l’attenzione diuna comunità parrocchiale ai disabili e il suochiedersi come integrarli pienamente nonsolo per dare ma anche per ricevere; ho scel-to questa prospettiva perché credo che, piùdi ogni altra, da una parte è espressionedella speranza cristiana, dall’altra rende vi-sibile la profezia che la Chiesa è chiamata avivere dentro la storia. È ormai un convincimento assodato, in lineadi principio, che per la chiesa le persone di-sabili non possono essere un peso o un ul-teriore problema, ma i figli prediletti che leindicano, con la fragilità della loro esistenza,che Essa non ha altra via da percorrere chequella della croce e della povertà, nella pro-spettiva della risurrezione, non come corporianimato, bensì come pienezza di vita.

Il mio intervento tiene presente una realtàparrocchiale della Diocesi di Mazara del Val-lo: Santa Maria di Gesù; ma da essa piùvolte ne prenderà le distanze per elaborareun pensiero di servizio e di accoglienza cheancora non vi è pienamente presente. Mi muoverò quindi, nella relazione, tra ilreale e l’ideale; il reale ho avuto modo di ri-costruirlo attraverso la conoscenza persona-le, il dialogo con l’attuale parroco, don Gio-acchino Arena, con la responsabile locale diFede e Luce, Alda Mangiapane e con la pre-sidente nazionale Enza Gucciardo, che pro-viene da questo gruppo; l’ideale l’ho elabo-rato a partire dagli elementi che loro stessimi hanno segnalato come problema o comesperanza.

LA PARROCCHIA

La parrocchia scelta vive in un quartieremolto circoscritto della città di Mazara delVallo, conta circa 4000 abitanti; è costituitada gente dedita al duro lavoro del mare edella terra, abituata alla fatica e desiderosa,quando non lavora, di vivere una vita go-dereccia.Il mare e la terra, la pesca e l’agricoltura,educano l’uomo all’attesa speranzosa, allabenevola pazienza, perché tutto è frutto dellapropria fatica e della provvidenza; ma pos-sono anche indurre, come tentazione, aduna prospettiva egoistica e alla rassegna-zione; non è difficile individuare genitori cheeducano i propri figli a vivere senza preoc-

TESTIMONIANZA SULLA CATECHESIRoma 21 marzo 2009

Don Giuseppe Alcamo, Direttore UCR Sicilia

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cuparsi degli altri e a pensare solo di appa-gare i propri bisogni.Elemento culturale di notevole valenza chestride con la logica del Vangelo e che hadelle forti ripercussioni nell’educare all’ac-coglienza, al servizio e alla condivisione. Nello stesso quartiere vi si è stabilita unanotevole presenza di immigrati di fede isla-mica, in prevalenza tunisini, ormai piena-mente inserita nell’ambiente, soprattutto nelmondo del lavoro; mi fermo a descriverequesta presenza e il tipo di rapporto che vigetra le due comunità perché, a mio giudizio,in qualche modo, con le dovute proporzioni,è paradigmatico del tipo di rapporto che vigetra i vari gruppi ecclesiali.Tra mazaresi e tunisini non si può dire chevi siano tensioni di tipo sociale, ma non visono nemmeno molti contatti amicali; tra lacomunità cristiana e quella musulmana lerelazioni nascono quando loro necessitanodi qualche aiuto caritativo e si diradanoquando finisce il loro bisogno. Potremmo dire che nel silenzio reciproco cisi ignora, non disturbandosi ma nemmenocostruendo, ci si limita al minimo necessario,ai rapporti sociali obbligati: datore di lavoro/lavoratore, commerciante/cliente, pro prie -ta rio/inquilino; la comunicazione fra immi-grati e comunità locale, è caratterizzata dauna sorta di diaframma, una barriera di in-differenza, di isolamento. Tra gli adulti cri-stiani non risulta che vi siano forme violentedi razzismo, ma un ventaglio di sfumaturerazziste, che vanno dal paternalismo all’in-differenza, dalla diffidenza alle piccole av-versioni verbali, che trasformano in epitetol’appartenenza africana; diversa è la situa-zione dei giovani, ma il fenomeno va moltoal di là del territorio parrocchiale, interessatutta la città e la diocesi; tutt’altro è il mondopacifico e ludico dei bambini e dei ragazziche frequentano la stessa realtà scolastica.

Si può dire, per concludere questa breve con-testualizzazione, che vi è una forma di am-pia tolleranza, che qualifica in positivo edin negativo il tipo di relazioni che intercor-rono tra siciliani ed immigrati, tra cristianie islamici. Bisogna però tenere presente che il termine“tolleranza” ha una duplice valenza: in sen-so positivo, la tolleranza è convivenza mul-tietnica e multiculturale, pacifica e civile;contemporaneamente, in senso negativo, latolleranza è una barriera, in quanto ci si in-contra ma non ci si vede, ci si sfiora ma nonci si tocca, ci si tollera ma non c’è motivodi interagire. La comunità parrocchiale dei praticanti è co-stituita sia da uno zoccolo duro di un gruppodi adulti che vive una fede fatta di pratichedi pietà e di messa domenicale, ma senteforte la propria appartenenza alla parrocchia;sia da un corposo movimento di ragazzi egiovani, che frequenta la catechesi parroc-chiale, l’ACR e l’AGESCI. Nel campo della catechesi e delle associazioniecclesiali si riscontrano difficoltà nella parte-cipazione delle famiglie, che si limitano a por-tare i loro figli, ma non si riesce a coinvolgerlinelle varie proposte educative; difficoltà do-vute a motivi culturali e a motivi lavorativi.All’idea-prassi della delega in bianco allaparrocchia si aggiunge il fatto che molti papàche lavorano nel mondo della pesca stannoveramente poco tempo in seno alla loro fa-miglia e trovano difficoltà a dare il loro ap-porto per l’educazione dei figli, per cui granparte del peso dell’educazione dei ragazzigrava sulla sola figura materna.

FEDE E LUCE

In questo contesto, da circa 15 anni, si col-loca la Comunità di Fede e Luce “Nuovo

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Germoglio”, il cui inserimento in parrocchia,a giudizio dell’attuale parroco, è un po’ plu-rimo; non si è ancora arrivati, per gli ope-ratori pastorali, ad un vero cambiamento dimentalità, nel senso di cogliere il gruppo co-me un dono, ma non vi sono problemi diindifferenza, incomprensione, ostilità; c’ègrande rispetto e attenzione.Oggi la presenza del gruppo di Fede e Lucein parrocchia è a tutti nota ed è consideratauna realtà consolidata; si può dire che, tutticoloro che svolgono un servizio pastoralevivono accanto ai componenti del gruppo“Nuovo Germoglio”, ma non vivono con lo-ro e, meno ancora, per loro. Nella presa di coscienza dei membri attividella parrocchia non si è arrivati alla dimen-sione della condivisione, non solo delle strut-ture e delle attività, ma anche della vita quo-tidiana; la presenza di Fede e Luce in par-rocchia fa piacere che ci sia, ma non è an-cora maturata la coscienza ecclesiale di chie-dersi cosa si può fare perche questa presenzasia segno profetico di una comunità missio-naria nel territorio.Dal punto di vista della comunità “NuovoGermoglio”, inizialmente, l’inserimento inuna Parrocchia è stata un’esigenza e unascelta maturata per uscire dall’emarginazio-ne e dai pregiudizi che si erano constatati esofferti nei primi anni di vita associativa aMazara del Vallo; ma, nell’intenzione di suorMargherita, Colei che nel ’83 ha aperto ilprimo gruppo di Fede e Luce, vi era ancheuna prospettiva educativa nei confronti deicristiani praticanti, bloccati da quella pauradel diverso che paralizza tante emozioni ela capacità di collaborazione. I componenti della comunità “Nuovo Ger-moglio” si sono inseriti come un qualsiasigruppo ecclesiale, mantenendo la propriaidentità e le proprie modalità di incontro, se-condo la spiritualità e la metodologia di Fede

e Luce e partecipando alle varie celebrazionidella Parrocchia e a tutta la vita pastorale.La scelta condivisa di far parte a pieno titolodi una parrocchia è stata anche motivatadal desiderio di voler condividere con altri il“dono” che i “ragazzi” rappresentano (inFede e Luce si chiamano “ragazzi” le per-sone con handicap); contemporaneamente,attraverso questa scelta il gruppo faceva suoil dovere di far scoprire ad una comunitàparrocchiale che accanto ai “ragazzi” ognu-no può riappropriarsi dell’intima essenza del-l’essere persona. Allo stato attuale, tra i membri del gruppo“Nuovo Germoglio” vi sono famiglie che purnon risiedendo nel territorio parrocchialepartecipano in toto alla vita della parrocchia;altre famiglie, invece, si rendono presentisolo in occasioni particolari, quali l’incontromensile del Gruppo, o i vari appuntamentiche si organizzano a vario titolo – comple-anni, feste o altro – ma sempre e solo in ri-ferimento al gruppo di Fede e Luce, ponen-dosi ai margini della comunità parrocchiale.I primi si sono inseriti a pieno titolo negliorganismi di partecipazione ecclesiale e dan-no il loro apporto contribuendo allo svolgersidi tutte le attività parrocchiali; per i secondi,la parrocchia è solo un punto di riferimentologistico; ma, anche questo, non è cosa dipoco conto, perché offrire uno spazio cheviene riconosciuto come familiare, perché cisi sente accolti e lo si sente proprio, è unvalore.Per tutti i ragazzi, le loro famiglie e i loroamici, che costituiscono il gruppo “NuovoGermoglio”, circa 30 persone, la strutturaparrocchiale è diventata, quindi, un luogomolto familiare, non di rado, è un punto diriferimento per incontri con le altre due co-munità “Fede e Luce” presenti in Diocesi eper tutti i loro momenti ricreativi.Si deve inoltre evidenziare che i tre parroci

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che si sono succeduti nel tempo in parroc-chia hanno avuto una notevole sensibilitàecclesiale nei confronti di Fede e Luce e han-no seguito con particolare attenzione l’evol-versi del gruppo.Ciò premesso, mi soffermo a descrivere edinterpretare il tipo di rapporto che vige trala comunità parrocchiale ed il gruppo di Fedee Luce e il tipo di accoglienza che dovrebbeancora ulteriormente maturare.

PROSPETTIVE

Nonostante la presenza silenziosa ma par-tecipativa, sia il parroco che i responsabilidel Gruppo, hanno l’impressione di non averfatto abbastanza per trasmettere la “profe-zia” di Fede e Luce. In teoria non ci sono veri e propri ostacoliche impediscono l’integrazione e la parteci-pazione alla vita pastorale, ma di fatto è an-cora lungo il cammino da percorrere per po-ter affermare e riconoscere come dono il “ra-gazzo” e quello che può rappresentare nellavita della parrocchia.Nel descrivere il tipo di interazione tra grup-po e parrocchia, Alda Mangiapane constata:«Nell’arco del tempo il gruppo è cresciutonumericamente ma pochissime persone del-la Parrocchia ne sono entrate a far partee ne hanno condiviso principi ed attività…. e comunque l’ingresso e la partecipazioneattiva è stata solo di pochi amici… non c’èstato infatti nessun “ragazzo” della Par-rocchia che è entrato a far parte di Fede eLuce... Il rapporto con la Parrocchia, a li-vello personale, è sempre stato positivo esi sono instaurati dei rapporti di amicizia,di simpatia e cordialità ma, come comuni-tà, si è avuta l’impressione di non aver fat-to abbastanza per farsi notare. Ci si è postitanti interrogativi ma finora non si è riu-

sciti a dare delle risposte su come poter ri-chiamare l’attenzione di altri e coinvolgerlinell’accoglienza dei ragazzi disabili per vi-vere insieme la gioia dell’amicizia tra noie con Gesù».Da quanto ho potuto cogliere, sia nel gruppodi Fede e Luce, sia nel parroco e negli ope-ratori pastorali, la constatazione sopra ri-portata è fatta con una certa sofferenza edè vissuta come un problema da risolvere.Ci si chiede: cosa manca? Quale tipo di ac-coglienza deve offrire la parrocchia ad unafamiglia con una persona disabile o ad ungruppo come il “Nuovo Germoglio”? Comerendere la parrocchia “luogo” dove la comu-nità cristiana cammina insieme alla “diver-sità” e le tende le braccia? Come ripensarela pastorale a partire da questa significativapresenza? Come trovare il giusto linguaggioper far maturare tutti verso una riconosciutaed esplicita condivisione? Come vincereignoranza, paura, egoismo? Come renderequesta concreta comunità sempre più sog-getto e ambiente dove per tutti è possibileessere educati alla fede? Come rendere lacomunità parrocchiale sempre più accoglien-te, ospitale, corresponsabile, dove sia pos-sibile vivere nella complementarietà la reci-procità dei doni? Per rispondere, almeno, ad alcuni di questiquesiti, che possono interessare ogni comu-nità parrocchiale, senza esasperare le diffi-coltà e senza ignorarle, credo sia opportunofare tre premesse, che a questa assembleasono note, ma che non vanno mai date perscontate, perché quando sono troppo sot-tointese, finiscono per essere dimenticate: – L’uomo, ogni uomo, nella sua originalità

e nella sua libertà, ma anche nella suaumanità fragile è, da una parte la “via”per una vera comprensione del Vangelo,dall’altra il “luogo” originario ed originanteda cui il Vangelo ci viene incontro, inoltre

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è anche “l’orizzonte” verso cui il Vangeloci orienta.1 Le immagini di “via”, “luogo”ed “orizzonte” permettono di cogliere nonsolo l’aspetto della ricerca dell’uomo maanche il movimento inverso, l’aspettodell’uomo che è cercato dalla Parola; dal-l’accoglienza della Parola che ti cerca e tiprovoca alla fedeltà, alla ricerca della Pa-rola che ti accoglie con le tue domande econ le tue povertà.2 Questo percorso checoinvolge Dio e l’uomo, vale per ogni uo-mo, qualunque sia la sua situazione per-sonale.

– Una comunità parrocchiale che impara adare spazio nella propria vita di comunitàad un gruppo come “Nuovo Germoglio”,in qualche modo investe nel campo edu-cativo, perché educa, non solo i ragazzi ei giovani, ma tutti, a riconoscere i veri va-lori e a dare importanza all’essenziale, avalutare le persone per quello che sonodentro e non per quello che appaiono oper la loro efficienza, a scoprire la gratuitàdell’amicizia e della solidarietà, a trovareragioni profonde di unione, di gioia, diamore.

– Accogliere qualcuno significa fargli scopri-re e sperimentare che Lui è un valore; que-sta comunicazione avviene attraverso tuttii gesti quotidiani del corpo e attraversotutte quelle scelte che pongono la comu-nione come obiettivo insostituibile. La co-munione è una realtà molto diversa dalla

generosità o dalla condivisione; nella co-munione c’è una reciprocità di relazionedentro il grembo dell’amore; non a caso iltermine “comunione” è la categoria teolo-gica che descrive contemporaneamente ilmistero di Dio e il mistero della Chiesa.Comunione non è né fusione, né controllo,né potere, né possesso; è una relazione difiducia reciproca, basata non solo sui va-lori, ma anche sulle difficoltà; la vita di co-munione richiede una comunità parroc-chiale calda, affettuosa, mite, cioè con ipiedi per terra, realista e pacata, consape-vole che rispetto, sia alla missione che èchiamata a svolgere, sia alle necessità chele si presentano, riesce ad offrire veramen-te poco; nello stesso tempo la comunionefa della comunità un luogo umano, dovecircola vita.

A partire da queste tre premesse, bisognadefinire bene il concetto di “Accoglienza”,per evitare atteggiamenti di concessione odi forzata accettazione, di sterile pietismo odi facile compiacimento ed aiutare le nostrecomunità parrocchiali ad essere “case apertea tutti”, dove è possibile compiere gesti digenerosità umili, concreti, creativi e nellostesso tempo più adeguati alla propria mis-sione.3

Per precisare cosa si intende per Accoglien-za, dal punto di vista di una comunità par-rocchiale, è bene tenere presente un “mo-dello” di riferimento accessibile a tutti e che,

1 Cf. G. RUGGERI, La via della povertà, in C. SARNATARO (a cura di), Annuncio del Vangelo e percorsi di Chiesa.Le vie della povertà, dell’alterità e della bellezza, Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione S.Tommaso d’Acquino, Napoli 2005, 49-64. L’autore, rifacendosi al testo di LG 8,3, si impegna a dimostrare comel’intuizione del Concilio di indicare la povertà come la “via Jesu” non viene pienamente accolta e compresa dallaChiesa.2 Cf. S. CURRÒ, L’alterità via alla comprensione del Vangelo, in C. SARNATARO (a cura di), Annuncio del Vangeloe percorsi di Chiesa. Le vie della povertà, dell’alterità e della bellezza, o.c., 239-252.3 Cf. C. ALCAMO, La ”sicura bussola” della Chiesa. La recezione del Concilio Ecumenico Vaticano II e i ConvegniEcclesiali nelle Chiese siciliane, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2008, 247-254.

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in modo plastico, dia subito l’idea di cosa siintende e a quale possibile progetto educa-tivo si fa riferimento.Il modello che più di ogni altro aiuta a capirecosa si intende per accoglienza nella Chiesalo si può ricavare da quell’ambiente da cuitutti proveniamo e che risulta essere l’ambitoeducativo per eccellenza: la Famiglia.Giovanni Paolo II, nell’anno internazionaledella famiglia, iniziativa promossa dalle Na-zioni Unite, ha scritto una lettera in cui de-scrive la famiglia come il luogo della comu-nione e della comunità:

«La famiglia è infatti una comunità di persone,per le quali il modo proprio di esistere e di vivereinsieme è la comunione: comunione di persone. …Ho fatto riferimento a due concetti tra loro affini,ma non identici: il concetto di “comunione” e quel-lo di “comunità”. La comunione riguarda la rela-zione personale tra l’io e il tu. La comunità invecesupera questo schema nella direzione della società,di un noi».4

Comunione e comunità sono i due terminiche caratterizzano la famiglia come “Chiesadomestica” e che viene identificata comecellula vivente della Chiesa.In altri termini, la famiglia ci dà la possibilitàdi pensare in modo concreto all’esigenza,che tutti abbiamo iscritta dentro il cuore, diintessere relazioni autentiche, legami edamicizie significative e durature. Adesso, ribaltiamo i termini, parliamo dellaparrocchia a modello famiglia, cioè comeluogo dove ci si educa e ci si esercita nell’artedella comunione per vivere quello che sia-mo, comunità.Una volta descritte le coordinate della Fa-miglia, come punto di riferimento per capirecosa intendiamo per accoglienza, è neces-sario procedere a scandagliare meglio che

tipo di accoglienza solo la famiglia è capacedi attuare e da cui una comunità parrocchia-le, in qualche modo, può ricavare aiuto.Il non conoscersi, il non essere spontanei,la non sincerità, l’estraneità ai progetti co-muni, non permettono di entrare nella logicadella famiglia e di far nascere la familiarità;inoltre bisogna tenere presente che per es-serci familiarità è necessario che tutti i sog-getti chiamati in causa lo vogliano, perchéè una dinamica di relazione che implica lacorresponsabilità e la condivisione; quandoci si sente ospiti o estranei alle idee o ai pro-getti, non scatta la familiarità. Inoltre la familiarità è l’esatto contrario del-l’autoritarismo e dell’impersonale burocra-zia; ovviamente non va confusa con il fa-milismo gretto e soffocante, né con il pater-nalismo.La comunità parrocchiale, presa in esame,un pò per storia e un po’ per struttura, fafatica a pensarsi, in concreto, nella logicadella famiglia, dove è possibile sperimentarein modo semplice e feriale quell’affetto uma-no che dà volto e sapore alla comunione eche rende comunità. Interpretando quanto, sia il parroco, sia laresponsabile del Gruppo “Nuovo Germoglio”,mi hanno descritto colgo la difficoltà di unavera e profonda accoglienza, innanzituttonel fatto che la struttura parrocchia non fa-vorisce, automaticamente, quell’osmosi fa-miliare tra tutti coloro che la frequentano. Per una relazione accogliente, in coerenzacon quanto sinora affermato, la parrocchiadovrebbe rendere visibili alcune caratteristi-che particolari, che non solo affermino in li-nea di principio la possibilità di essere ac-colti, ma suscitino anche il desiderio di en-trare.

4 GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie del 2 febbraio 1994; EV 14 (1994-1995), 177-180.

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Per far maturare questo desiderio e per farsperimentare la bellezza dell’essere cercati eaccolti per amore, nella logica e nello stiledella condivisione, è stato realizzato un cen-simento delle persone con disabilità che vi-vono nel territorio parrocchiale, offrendo loroitinerari educativi contestualizzati e diversi-ficati secondo il metodo di Fede e Luce.L’accoglienza è condizione indispensabileperché si trovi lo spazio ed il tempo, nellafiducia, per esprimere il disagio e lasciarsiaccompagnare nella scoperta della domanda,che porta alla scelta di un progetto educati-vo. Solo quando ci si sente accolti, volutibene, stimati, si è in grado di esprime il di-sagio per chiedere implicitamente o esplici-tamente aiuto a guardare oltre l’immediato,verso l’orizzonte a cui apre Cristo, Speranzacristiana.Accogliere con simpatia e fiducia nella vitadella comunità, significa aiutare a ricono-scersi più cordialmente nella continuità dellatradizione, a riscoprire la dimensione comu-nitaria della fede, condivisa e vissuta con ifratelli, a maturare un più profondo sensodi Chiesa.L’accoglienza aiuta a superare i limiti di unsoggettivismo superficiale; a condividere inun fruttuoso scambio le esperienze e gli im-pegni; ad aprirsi al riconoscimento del ruolodegli altri nella propria vita.Tutto questo resta ancora come un obiettivoda far maturare in modo diffuso e da rea-lizzare nell’armonia della vita pastorale.La comunità parrocchiale dovrebbe aiutaretutti a relazionarsi in modo amicale, andan-

do oltre le singole appartenenze o le singolesensibilità, per aiutare a compiere quello chenon si riesce a fare da soli e far sentire tuttiutili dentro la comunità. La fatica di continuare ad accogliere, serviree lasciarsi servire dai fragili e dai deboli per-mette alla Chiesa di mostrare il suo verovolto, comunità di fratelli, radunata nel no-me del Signore, sotto l’influsso dello Spirito. Questa consapevolezza pone all’attenzionedi tutti la sfida della semplicità, che nonvuol dire banalità o riduzionismo. La sfidadella semplicità come ricerca semplice dellavia da percorrere insieme, andando alla so-stanza, all’anima, alla bellezza della fede,eliminando gli orpelli e le caricature, cherendono meno credibile la testimonianza,consapevoli che è necessario entrare in sin-tonia con tutte le persone, tenendo contoche a volte, nell’annuncio del Vangelo, lavia affettiva è più percorribile e precede lavia intellettiva.Nel primo numero di “Ombre e Luci” del1994, anno in cui si è tenuto, dal 27 al 29gennaio, il primo convegno nazionale per iresponsabili diocesani della catechesi nel-l’area dell’handicap, sul tema “L’educazionealla fede del disabile nella comunità cristia-na”, ci si chiede: cosa può fare la comunitàparrocchiale per le persone con handicap?Tra le varie cose che vengono indicate, unami sembra possa essere la giusta conclusionedi questo mio intervento-testimonianza:“educarsi all’accettazione della diversità,all’accoglienza e alla promozione dei donidi ciascuno”.

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INTRODUZIONE‘IN PUNTA DI PIEDI’

Entro in punta di piedi in questo Convegno,consapevole che non ho esperienza né diservizio né di celebrazione con i disabili.Solo qualche esperienza scolastica con alun-ni con handicap sensoriali e motori. Mi met-to, pertanto, a ragionare dal di fuori dellavostra diretta esperienza e da teorico dellaliturgia cerco di interrogare me e voi intornoa due domande fondamentali: a)Quali sono le pre-comprensioni della li-

turgia da possedere per aprire strade percelebrare con i disabili? E non necessa-riamente teologie della liturgia valide soloper loro!

b)L’analisi del rapporto linguaggi della ca-techesi e linguaggi del rito consentono disperimentare metodologie di celebrazionecon loro? C’è modo di non forzare la na-tura della liturgia e nello stesso temponon sminuire il fine della catechesi e difar sì che la catechesi non detti le regoledella liturgia? Si dà un celebrare “a parte”rispetto alla assemblea, così come è pos-sibile un catechizzare “a parte”?

1. IL FINE DELLA PASTORALE LITURGICA: LA PARTECIPAZIONE ATTIVA

1.1 La partecipazione attiva parte inte-grante e costitutiva di ogni azione li-turgica

«Occorre ordinare i testi e i riti in modo cheesprimano più chiaramente le sante realtà

che significano, e il popolo cristiano, perquanto possibile, possa capire facilmente eparteciparvi con una celebrazione piena, at-tiva e comunitaria» (Sacrosanctum Conci-lium n. 21).L’affermazione conciliare è l’anima stessadel diritto – dovere dei fedeli, è il fine dellaliturgia in quanto costituita da «riti» (cioèparole, gesti, segni), è la radice di ogni tec-nica di animazione dell’assemblea, è la mo-tivazione e il fine del variegato servizio deidiversi ministri ed è l’oggetto proprio dellapastorale liturgica.a) In forza del sacerdozio battesimale è di-

ritto e dovere di ogni battezzato offrirese stesso al Padre insieme a Cristo nelloSpirito. Senza il popolo sacerdotale (l’as-semblea) è impossibile l’azione liturgica,ma non solo. Il fine della liturgia è, comepregano le antiche orazioni: la partecipa-zione ai misteri, cioè alle opere di salvez-za che Dio realizza. Infatti è mediante laliturgia che «si attua l’opera della nostraredenzione» (SC n. 2). Il «prendere parte»è costitutivo della ritualità cristiana, poi-ché la liturgia di presenta come «econo-mia» divina, come «dispensazione» dellasalvezza.

b) È qui che si motiva la necessità che i ritisiano resi con azioni. Il mistero celebrato,il chi/che cosa si celebra mi viene parte-cipato attraverso il come si celebra. Misembra perciò superata la distinzione trapartecipazione interna e partecipazioneesterna alla liturgia sulla quale insiste PioXII nella Mediator Dei e ritorna il Vati-cano II in Sacrosanctum Concilium. Nella

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CELEBRARE CON I DISABILI: UN NUOVOAMBITO DI ADATTAMENTO LITURGICO?

Daniele Piazzi, Responsabile Uff. culto divino, Diocesi di Cremona

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liturgia, come in ogni rito, la forma cele-brativa condiziona il mistero/realtà checelebra. Forme celebrative inadeguate fer-mano la partecipazione al mistero. Nonadattiamo la liturgia per i disabili, perché‘capiscano’ di più, ma perché è loro dirittoessere immersi nel mistero salvifico cele-brato.

1.2 Per far partecipare: la dinamica mini-stri / assemblea

a) Segnale che la partecipazione è parte co-stitutiva della liturgia è il fatto che ogni azio-ne liturgica richiede una variegata ministe-rialità sia per il servizio del sacerdozio co-mune e sia perché il rito stesso sia effettuato:ministri ordinati, lettori, accoliti, cantori, mu-sici, salmista, commentatore, cerimoniere,sacrista, ecc… e i fedeli stessi in quantosono chiamati ad intervenire nel rito per leparti loro proprie.b) Perché davvero si prenda parte ai divinimisteri occorre che alcune delle energie dellacomunità ecclesiale siano impegnate intornoalla liturgia. La partecipazione attiva è og-getto proprio della pastorale liturgica. Giàil concilio aveva chiesto di spendere piùenergie nella formazione liturgica e un solidorapporto tra catechesi e liturgia, perché unculto motivato, evangelizzato e, soprattutto,partecipato porta a una più profonda vitacristiana. Perciò l’azione pastorale dellaChiesa deve costantemente realizzare questiobbiettivi:

– la formazione catechistica, biblica, storica,teologica di tutti i componenti del popolodi Dio, perché la partecipazione sia con-sapevole;

– l’educazione a capire facendo i gesti ritualiperché la partecipazione sia piena e attiva;

– la scelta e la formazione di diversi ministriperché la partecipazione sia comunitaria.

Questa prospettiva conciliare legittima per-tanto la prospettiva di quali ministerialitàoccorra attivare o come si devono attivare idiversi ministri nel caso di presenza di di-sabili in una assemblea. Perché anche quiil problema non è ‘spiegare’, ma far parte-cipare.

2. UN PARTICOLARE AMBITO DI ADATTAMENTO LITURGICO

Se scopo della pastorale liturgica è la parte-cipazione dei fedeli al mistero celebrato,l’adattamento si inscrive in questo fine pri-mario e se in una assemblea abbiamo lapresenza di disabili, questo fatto diventa unparticolare ambito dell’adattamento liturgico.Che indicazioni ci offrono i documenti ma-gisteriali e i libri liturgici?

2.1 L’adattamento nei documenti magiste-riali

Sia SC, sia le istruzioni seguenti, così comele Premesse ai diversi libri liturgici, stabili-scono diversi gradi di adattamento.1 L’adat-tamento (aptatio) alla propria cultura è dicompetenza delle Conferenze Episcopali na-zionali. Le competenze del vescovo diocesa-no, sono invece molto limitate. È all’episco-pato che compete la responsabilità di una in-culturazione e adattamento del rito romano. Interessante invece per il nostro tema è lapossibilità del ministro presidente di acco-modare più che aptare il rito nei limiti dellerubriche e nel rispetto del rito stesso che,come dice il concilio, ha una parte immuta-bile e una parte soggetta alle stratificazioniculturali e quindi mutabile (SC 21).

1 A. CUVA, Adattamento liturgico, in D. SARTORE-A.M. TRIACCA-C. CIBIEN (edd.), Liturgia, San Paolo 2001, pp. 1-6.

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Qual è il fine della accomodatio e della ap-tatio? Le concessioni in materia hanno comefine il maggior profitto spirituale dei parte-cipanti alle azioni liturgiche. In relazione al nostro tema, la normativagenerale sull’adattamento ci suggerisce l’im-portanza che i singoli ministri celebrinocon un occhio al messale e l’altro all’as-semblea concreta che hanno davanti, o me-glio della quale sono parte. Tocca infatti aloro applicare in concreto quanto è stabilitodall’autorità competente. Devono pertantopreoccuparsi di preparare celebrazioni litur-giche in modo accurato, e il più possibile co-munitario, perché mediante il loro atteggia-mento, ponendo una attenzione speciale allavalutazione dei diversi modi di comunica-zione orale e gestuale, possano far sentirela presenza viva di Cristo a tutti i partecipantiall’azione liturgica per contribuire allo svi-luppo della loro vita cristiana.

2.2. L’adattamento nel Direttorio per leMesse dei fanciulli

Un particolare caso di adattamento è quellodel Direttorio per le Messe dei fanciulli.2

Era un problema molto avvertito tra gli anni’60 e ’70 e il testo è il frutto di un lavorioche ha avuto queste tappe fondamentali: nel1967 il Sinodo dei vescovi, nel 1971 unaindagine Congregazione per il Culto Divino;nel 1973 il Direttorio vero e proprio, seguitonel 1974 dalla edizione della Preghiere eu-caristiche per i fanciulli. Questo iter ha con-sentito alla CEI di editare nel 1975 Messalee Lezionario per le Messe de fanciulli. Pur essendo un testo datato, perché l’attualecontesto dell’iniziazione dei ragazzi già bat-tezzati non è certo quello di quattro decennifa, ci offre tre tracce per un adattamento serio:

a) cosa fare per accompagnare i ragazzi allacelebrazione eucaristica? b) Che fare nellemesse domenicali in cui i ragazzi sono unaparte della grande assemblea degli adulti?c) Come procedere quando si celebra in gior-ni feriali con piccoli gruppi di fanciulli e conla presenza di alcuni adulti?a) Cosa fare per accompagnare i ragazzi

all’eucaristia? Vi risponde il n. 9 del Di-rettorio, che passa in rassegna gli atteg-giamenti vitali da far maturare nei fan-ciulli, affinché l’azione rituale sia produt-tiva esperienzialmente e non sia un sem-plice gesto formale. Catechesi e educa-zione (leggi catechisti e famiglia) dovran-no far maturare nei fanciulli (e, aggiungo,io nei nostri fratelli disabili) secondo l’etàe lo sviluppo raggiunto l’esperienza con-creta di quei valori umani che sono sottesialla celebrazione eucaristica, quali:– l’azione comunitaria,– il saluto,– la capacità di ascoltare,– quella di chiedere e accordare perdono,– il ringraziamento,– l’esperienza di azioni simboliche,– il clima di un banchetto tra amici,– Il senso di una celebrazione festiva e

festosa.

b) Che fare nelle messe domenicali in cui iragazzi (aggiungo ancora: i disabili) so-no una parte della grande assembleadegli adulti (Direttorio nn. 16-19)? Sirisponde chiedendo ai ministri di nonsnaturare l’assemblea e lo schema ritualedella eucaristia domenicale, ma di acco-modarlo piegando i diversi linguaggi dellediverse sequenze rituali alla capacità dicomprensione dei fanciulli. Si consente,

2 eziona

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una volta che ci si è chiesto se ci sonopiù adulti o più fanciulli, di: – adattare le monizioni;– che fanciulli molto piccoli stiano in luo-

go a parte e si uniscano alla assembleaper la benedizione finale;

– valutare la possibilità di una Liturgiadella Parola a parte;

– riservare ai fanciulli alcuni gesti e can-ti;

– se il numero è rilevante, l’omelia si ri-volga ad essi;

– con il permesso del Vescovo si possonoinserire alcuni adattamenti previsti perle messe feriali con piccoli gruppi difanciulli.

c) Come procedere quando si celebra ingiorni feriali in piccoli gruppi di fanciulli(aggiungo:in gruppi di disabili) con lapresenza di alcuni adulti (Direttorio nn.20-55)? Come già detto non siano di do-menica e possibilmente si tengano inchiesa, altrimenti in un luogo adatto algruppo; all’ora più utile; e possibilmentesi facciano più celebrazioni in gruppi pic-coli in giorni diversi. Va comunque ga-rantita una ricca ministerialità, sia da af-fidare ai fanciulli, sia da esplicarsi dagliadulti. Anzi, se un educatore presente hapiù competenza del presbitero, può tenerelui l’omelia al posto del presidente. Scopo principale di queste celebrazioniferiali e di gruppo è quello di accompa-gnare gradualmente alle messe con la co-munità parrocchiale adulta. Servirannopertanto opportuni adattamenti: – canto e musica: acclamazioni, versioni

adattate dei testi, strumenti musicali,musica riprodotta (ma con cautela!);

– gesti (sono insiti nella psicologia infan-tile): processioni e atteggiamenti delcorpo e altri;

– elementi visivi: valorizzare quelli chegià sono presenti nel rito della messa enelle ricorrenze dell’anno liturgico, i co-lori, cercarne altri;

– il silenzio: guidarli ai silenzi previsti, lepause e la calma nel pregare.

2.3. L’adattamento nel Lezionario per gliScouts

Un veloce accenno a un interessante casodi adattamento. Il 6 giugno 1968 il Consi-lium ad exequendam constitutionem de Sa-cra Liturgia autorizzava ad experimentumun lezionario con 20 schemi di letture perl’Associazione Guide Italiane (AGI). È con-cesso in uso per le messe feriali dei campiestivi.3 Annota la presentazione dell’alloraassistente centrale AGI don Giorgio Basa-donna: «Il Lezionario Scout è un libro litur-gico: la Chiesa lo offre come traccia perascoltare la Parola di Dio sui valori fonda-mentali della vita scout… (Promessa, Legge,attività…)».4

Allora fu certamente una novità, ma questoadattamento – sempre feriale e non festivo,e anche per liturgie della Parola senza eu-caristia – ci autorizza a recuperare dalla Scrit-tura quelle pagine più significative per chivive l’esperienza della disabilità (anche fa-miliari e operatori) per accompagnarli nellaloro vita cristiana con la luce della Parola. Nel 1974 l’AGI confluirà nell’AGESCI e daallora non si hanno più notizie di un Lezio-nario per tutta l’associazione e si interruppel’autorizzazione.

3 AGI, Lezionario Scout, Queriniana, Brescia 1968, p. 5.4 AGI, Lezionario Scout, cit, p. 3.

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2.4. Esistono le condizioni per un adatta-mento specifico per disabili?

Se leggo bene i suggerimenti autorevoli cir-ca l’adattamento e l’accomodatio ci ven-gono offerti alcuni criteri operativi da sal-vaguardare in tutti i casi di gruppi partico-lari (e non solo per i disabili, come se fos-sero una specie protetta che invoca leggispeciali):

– valorizzare l’educazione a quei valori uma-ni che fanno comprendere la dinamica sa-cramentale;

– programmare celebrazioni eucaristiche odella Parola che dai giorni feriali portino acelebrare con frutto nella assemblea do-menicale;

– valorizzare la ministerialità;– sfruttare nell’adattamento tutte le poten-

zialità che hanno i diversi linguaggi dellaliturgia, senza snaturarli, ma traducendoliin modo corretto per la concreta assembleache sta celebrando;

– la possibilità di una scelta di testi dellaScrittura che faciliti a leggere in chiavestorico-salvifica le proprie esperienze uma -ne e di gruppo, e anche quelle di familiarie operatori.

Ma qual è la ‘filosofia’ che sta dietro a questepossibilità? Tutte le teologie della liturgia ciconsentono di ragionare così? Non credo. Vichiedo la pazienza di ripercorrere veloce-mente il tragitto di questi ultimi decenni checi ha consentito di riscrivere la teologia dellacelebrazione.

3. I PRESUPPOSTI ANTROPOLOGICIE TEOLOGICI DELL’ADATTA-MENTO LITURGICO

3.1. Una teologia liturgica fortemente sto-rico salvifica

3.1.1 Sacrosanctum Concilium: prospettivateologica e prospettiva pastorale.

Il lavoro conciliare, teso a recuperare il va-lore teologico della liturgia, prende le mosseda un approfondito legame tra la fede e laliturgia (prospettiva teologica) e insiste sullanecessità di migliorare la partecipazione allecelebrazioni (prospettiva pastorale). Non so-no due piste separate, l’una porta all’altra.Infatti, se la liturgia è l’agire salvifico dellaTrinità nell’oggi della storia della salvezza(teologia), questo agire salvifico va offertoai fedeli (pastorale). Diverse sono le pisteche SC percorre, spesso solo abbozzate:a) La pista soteriologica: azione. La rive-lazione non è la trasmissione di concetti mala partecipazione viva alla storia della sal-vezza; questa, poi, non viene solo annun-ziata nella predicazione ma anche attuatanella liturgia (SC 6).b) La pista cristologica: presenza. La liturgianon è semplicemente il luogo nel quale si di-stribuiscono le grazie meritate da Cristo, maè il contesto nel quale Cristo stesso è presentee agisce in modo del tutto speciale (SC 7).c) La pista escatologica: anticipazione. Laliturgia non è solo memoria ma anche an-ticipazione: la liturgia che si compie sullaterra è già un modo di pregustare la liturgiadel cielo (SC 8).d) La pista ecclesiologica: senso. La liturgianon esaurisce tutte le attività della chiesa(SC 9), ma le orienta in quanto ne è il cul-mine e la fonte: ciò verso cui tende l’attivitàdella chiesa e la fonte da cui promana questaattività (SC 10).e) La partecipazione dell’assemblea. Il pun-to centrale della prospettiva pastorale è lapartecipazione consapevole, attiva, fruttuo-sa di tutti i fedeli alla liturgia (SC 11). Ciòavviene attraverso la «formazione» e la «ri-forma».

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f) La formazione alla liturgia. Una primaistanza del rapporto tra i credenti e la liturgiariguarda la formazione, ossia l’educazionedei credenti (laici e chierici) alla natura pro-fonda e autentica della liturgia (SC 14ss). g) La riforma della liturgia. Una secondaistanza del rapporto tra i credenti e la liturgiariguarda la riforma, ossia il cambiamentodella liturgia per purificarla dalle incrosta-zioni e adattarla alle nuove sensibilità deicredenti (SC 21ss).

3.1.2. Le piste attuali di teologia liturgica.Le due prospettive conciliari, teologica e pa-storale, segnano gli studi precedenti e suc-cessivi, anche se il modo di intenderle èpiuttosto diversificato.a) La tendenza teologica: la liturgia comecontenuto. L’interesse è rivolto ai «testi» checompongono la liturgia, con particolare at-tenzione al linguaggio verbale. La liturgiaha valenza teologica perché ha i contenutitipici della fede: proprio per questo costitui-sce un momento prezioso per la crescita spi-rituale e morale. In questa tendenza si puòparlare di «liturgia teologica» (Vagaggini).b) La tendenza teologale: la liturgia comeforma. L ‘approccio precedente è consideratoancora troppo intellettuale e morale. La li-turgia ha dei contenuti ma soprattutto rea-lizza tali contenuti secondo una forma spe-cifica che la rende unica e insostituibile perl’incontro con Dio, con Cristo, col misteropasquale. In quanto luogo di incontro colMistero divino, la liturgia ha valenza teolo-gale. In questa tendenza si può parlare di«teologia liturgica» (Casel, Marsili, Dalmais,Schmemann, Wainwright).

c) La tendenza pastorale: la liturgia comecontesto. La preoccupazione per chi parte-cipa alla celebrazione liturgica pone le que-stioni pastorali della «comunicazione» e della«cultura». Prende sempre più consistenza laconsapevolezza che la liturgia più che un li-bro è un’«azione», più che un testo è un«contesto» in cui interagiscono molti fattori.La stessa riflessione teologica della liturgiadovrebbe incrociare le dinamiche concretedella celebrazione (Roguet, Gelineau, DellaTorre, Brovelli). d) La tendenza antropologica: la liturgiacome vita. L’attenzione alla celebrazionecon creta porta all’esigenza di aprirsi alle con-dizioni reali dell’umanità attraverso i percorsidelle scienze umane. Il punto nodale dellatendenza antropologica però è più profondo,e nasce da una sorta di fusione tra istanzapastorale, attenta al contesto celebrativo, eistanza teologale, attenta alla forma liturgica.L’intento è quello di individuare le caratte-ristiche del contesto celebrativo che lo ren-dono congeniale alla forma teologale: quellecaratteristiche sono individuabili nell’azionesimbolico-rituale (Festugière, Guardini, Chau-vet, Isambert, alcuni Istituti, Associazioni eRiviste liturgiche).5

3.2. La riscoperta dell’azione liturgica comeazione rituale

3.2.1. Le indagini teologiche e soprattuttoantropologiche più recenti tendono a sotto-lineare alcuni aspetti del vissuto liturgicocoinvolgendo diverse sfere dell’esistenza chehanno il loro punto nucleico nel corpo.

5 GIORGIO BONACCORSO, La liturgia e la fede. La teologia e l’antropologia del rito, Messaggero, Padova 2005;ANDREA GRILLO, La nascita della liturgia nel XX secolo, Cittadella Editrice, Assisi 2003; GIORGIO BONACCORSO, Lostudio della liturgia nel dibattito teologico contemporaneo, , in APL, Celebrare il mistero di Cristo, vol. 1,Edizioni Liturgiche, Roma 1993, pp. 21-44.

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a) La sfera espressiva. La liturgia non ricorrea un solo linguaggio per esprimere la fede,ma a tutti i linguaggi umani, verbali e nonverbali. La non verbalità diventa un criterioanche per la verbalità. b) La sfera estetica. La mediazione liturgicadella fede non consiste nell’essere strumentodi trasmissione, ma luogo di esperienza: co-me la bellezza è nell’arte e non dopo l’arte,così la vita di fede non è dopo la liturgia manella liturgia. c) La sfera emotiva. Il modello liturgico nonè quello di de-finire il contenuto teologicoma di avviare all’in-finito teologale: cogliel’uomo nel suo essere aperto a ciò che nonpossiede come nel desiderio. d) La sfera intersoggettiva. La comunità li-turgica non è l’occasione di un culto indivi-duale (privato) né la manifestazione di uncomportamento massificato (pubblico). Essaè il luogo in cui si intercetta l’altro/ Altro nelsegreto della sua unicità. Lo studio delle dinamiche antropologichedell’esperienza, del linguaggio e dell’azioneportano a capire anche le dinamiche internedell’esperienza religiosa, del linguaggio sim-bolico e dell’azione rituale. Il rito si dà dase stesso come luogo dell’esperienza del No-me e di un Nome non indistinto.

3.2.2. Il gioco è…Il rito è…. Una delle tantepossibili strade per capire come il rito ‘fun-ziona’ e come può comunicare ‘salvezza’ edare accesso al ‘Mistero’ e il ‘Mistero’ acce-dere a noi, parte dalla categoria di azione everifica cosa c’è di analogo tra l’agire ludico(il gioco) e l’agire liturgico (il rito).«Il gioco appartiene a una sfera superiore aquella strettamente biologica del processo

nutrimento – accoppiamento – difesa… I finia cui serve stanno anch’essi fuori dell’am-bito di interessi immediatamente materiali odi soddisfacimento individuale dei bisogni».6

Queste le caratteristiche dell’agire ludico cheanalogamente sono vissute nell’azione ri-tuale:7

– attività esiste quando realmente sigioca

– libera non è obbligatoria; è ludusnon paidia

– separata comincia e finisce (tempi ecampi di gioco)

– incerta non si sa chi vince…– improduttiva non produce ricchezza– regolata ogni gioco ha un regola-

mento– fittizia il gioco è irreale rispetto al

quotidianoCosì anche il rito:– Il rito è una attività

• È fatto di gesti, azioni, movimenti… usaun corpo in azione (contatto, prossimità,orientamento, posture, “travestimento”...)

– Il rito è una attività “regolata”• Dal sanscrito rta = ciò che è conformato

dall’ordine. Come non si dà gioco senzanorma, non si dà rito senza regola

– Il rito è una attività libera• È l’ambito della liberà e della bellezza,

della dimensione estetica, della musica,della danza, del ritmo e dell’armonia.

– Il rito è una attività separata• Rito e tempo festivo • Rito e spazio “sacro”

– Il rito è una attività incerta• Il rito come difesa dall’incertezza della na-

tura (esperienza del limite, della morte)– Il rito è una attività inutile

6 J. HUIZINGA, Homo ludens, Einaudi, Torino 1973, pp. 12-13.7 R. TAGLIAFERRI, Il progetto di una scienza liturgica, in APL, Celebrare il mistero di Cristo, vol. 1, Roma 1993,pp. 45-120.

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• Negotium (non - otium) / Otium: nonproduce profitto economico

• La cultura occidentale ha smarrito lafesta?

– Il rito è una attività fittizia• È fuori della vita ordinaria / Destruttu-

razione temporanea della società– Amplificazione del ludus nel rito

• I protagonisti del gioco e del rito° Il gioco si impossessa dei “giocatori” e

degli spettatori° Nel rito officianti e comunità sono coin-

volti nella medesima azione sacra• Gli oggetti del gioco e del rito° ‘Per sensibilia ad invisibilia’

• Le parole nel gioco e nel rito° Parole che sono giochi / I giochi che

“narrano” e fanno fare…° Il mito nel rito / Le parole sacre / le

preghiere

Se così funziona il rito e anche la liturgiacristiana per la sua dimensione antropolo-gica, dobbiamo essere più fiduciosi nel ritostesso e senza rivestirlo di preoccupazionididascaliche, ma vivendolo per quello cheè, imparare a farci condurre alle soglie delMistero dall’agire più che dallo spiegare.Questo vale per tutti i credenti che siano onon siano disabili. Nel rito siamo tutti acco-munati, tutti dobbiamo lasciarci prenderedall’azione.

3.3. «Teologia terapeutica» e Liturgia C’è un altro settore della riflessione teologica,biblica e morale che recentemente – seppure

in maniera ancora poco evidente – ha tro-vato nuovi approdi, utili alla nostra rifles-sione. Non sono capace di coglierne tutte leimplicanze per la questione che stiamo di-battendo (celebrare con i disabili), ma provoa sottoporvi alcune riflessioni che ritengointeressanti. Sto parlando della riscoperta,sul piano teologico e sul piano dell’esperien-za carismatica e sacramentale, della dimen-sione terapeutica della redenzione.8 Questariscoperta corrisponde, oltre che ad unaprovvidenziale mozione dello Spirito, ancheall’esigenza avvertita dalle Chiese cristianedel nostro tempo di strutturare cammini difede sempre più radicati sui modelli evan-gelici.

3.3.1 La redenzione come guarigione inte-grale. Già nel Primo Testamento appare unlinguaggio ‘terapeutico’ per esprimere gli in-terventi salvifici di Dio. Gesù non solo operamiracoli, ma discorsi e presenza di Cristohanno nel Nuovo Testamento una forza li-beratrice e guaritrice. Gesù ha atteggiamentiche offrono la possibilità di passare dalloschiacciamento da parte di agenti esterni (lamalattia, la Legge, i demoni, la ricchezza...)ad una condizione di libertà. La Chiesa apo-stolica mostra una consapevolezza della di-mensione terapeutica della salvezza: la vitanello Spirito, oltre a carismi di guarigione,produce frutti di «amore, gioia, pace, pa-zienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitez-za, autocontrollo» (Gal 5,22), tipici di unaumanità guarita.9

È sulla scorta di questi dati che l’intuizione

8 A. LANGELLA, La funzione terapeutica della salvezza nell’esperienza della chiesa: sguardo diacronico eriflessione sistematica, in A.N. TERRIN (ed.), Liturgia e terapia. La sacramentalità a servizio dell’uomo nellasua interezza, Edizioni Messaggero – Abbazia S. Giustina, Padova 1994, pp. 86-138.9 B. HARING, Proclamare la salvezza e guarire i malati. Verso una visione più chara di una sintesi tra evan-gelizzazione e diakonia sanante, Centro studi dell’ospedale «Miulli», Acquaviva delle Fonti (Bari) 1984, pp.23-31.

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principale della teologia terapeutica, sul pia-no antropologico, è la riscoperta della visio-ne della totalità della persona, secondo laquale l’uomo è considerato come il risultatodelle relazioni fra componenti fisiche, emo-tive, intellettuali, spirituali, affettive, ecc. chelo costituiscono. Questa prospettiva mostrache la salvezza non è una realtà astratta,ma tocca concretamente ogni dimensioneferita della persona: la salvezza è identificatacon la ‘guarigione’ totale dell’uomo.

3.3.2 Trinitaria e funzione terapeutica dellaChiesa, guaritrice ferita10 (anche l’assem-blea?). L’attività terapeutica della comunitàsi fonda sull’amore trinitario, non sulle ca-pacità dei credenti. Si è guariti dall’amoreviscerale del Padre per la sua creazione, dallapotenza della risurrezione del Figlio e dallaperenne effusione dello Spirito consolatore.Il fatto che alcuni credenti abbiano il carismadella guarigione o anche solo della conso-lazione e della condivisione con coloro chesoffrono, significa ricevere il dono di parte-cipare all’opera redentrice e sanante dellaTrinità. Questo compito, non vivere più pernoi stessi, ma portare gli uni i pesi deglialtri, va esercitato dalla chiesa come compitocomunitario, perché missione da Dio a leiaffidata. Oggetto di questa missione tera-peutica non è solo il mondo, ma la chiesastessa, consapevole che ha bisogno conti-nuamente di essere liberata e guarita dal Si-gnore.

3.3.3 Le ‘attività’ terapeutiche della Chiesa:molte e contraddittorie? Le attività con cuila chiesa svolge la sua missione terapeuticasono estremamente diverse e spesso nonconvivono pacificamente. Si va dal sovra-

stimare i fenomeni di guarigione interni agruppi ecclesiali e ai miracoli (vedi santuarie altro) al limitare la riflessione a quei pro-cessi di guarigione che derivano in maniera‘naturale’ dai dinamismi intrinseci alla vitaispirata alla fede. In questo caso l’attenzioneva solo ai risvolti psichici della fede. Traquesti opposti come si pone la liturgia? Qualeuso per l’Unzione dei malati? Quale ruoloper le diverse benedizioni che la tradizioneci trasmette? Solo consolazione spiritualeper il malato e i suoi familiari? O anche in-vocazione di salvezza, o anche invocazionedi miglioramento o guarigione?

3.3.5 Il valore escatologico della funzioneterapeutica della salvezza. La funzione te-rapeutica della salvezza, infine, racchiude an-che un valore escatologico. La sanazionedell’uomo nella storia rivela che il regno diDio agisce, è iniziato. Non solo, ma la stessaazione sanante ha il marchio della fallibilitàe della fragilità e quindi è in se stessa attesae invocazione della pienezza e del compi-mento. Non esclude la gratuità prevenientee trascendente di Dio, ma la richiede e la in-voca. Infatti, essere guariti da una malattianon vuol dire non ammalarsi più. La mortefisica svolgerà comunque il suo ruolo inelut-tabile ma la guarigione e la consolazione spe-rimentate nella fragilità della storia apronoalla consapevole speranza che la storia stessae in essa la nostra piccola vicenda personaleha il seme, l’attesa, e la ‘certezza’ di una sa-lus che sarà eterna e incorruttibile.

3.3.6 Quali sono le conseguenze di questateologia per la liturgia della chiesa? Nonsaprei declinarle in dettaglio. La teologia sa-cramentale e la liturgia, anche dopo la rifor-

10 H. J.M. NOUWEN, Il guaritore ferito Il ministero nella società contemporanea, Queriniana, Brescia 20078.

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ma conciliare, hanno restituito solo implici-tamente il ruolo terapeutico dei sacramenti.Osservo solo che tra le tante ‘opere’ dellacomunità credente la liturgia è eminente-mente opera che vien dall’Alto e respira del-la Trinità di Dio. Osservo che essa usa l’ac-qua, il pane, il vino e l’olio per lavare, sanaree nutrire; dice la Parola e le parole della pre-ghiera (eucologia) per «bene – dire» e mai«male – dire» nessuna persona e nessunevento della storia. Se deve alzare la voceè per invocare (epiclesi) e esorcizzare, perchiamare la salvezza di Dio su quella per-sona, in quella situazione, su quel peccato,su quella fragilità. Forse dovremmo riempiredi più di queste liturgie non solo il camminodi fede dei nostri fratelli disabili, ma anchequello dei familiari e degli operatori che liamano e li servono.

4. L’AZIONE RITUALE:LA DINAMICA DEI LINGUAGGISIMBOLICI (OVVERO COMELEGGERE IL LIBRO LITURGICO)

Dopo questo excursus nei presupposti delnostro discorso, vediamo quali sono le com-petenze da possedere e quali attenzioni daavere prima di celebrare con i disabili. Il come celebrare, prima di celebrare, è con-tenuto nel libro liturgico. Se sono vere le co-se dette prima, nel come si celebra prendevita il che cosa, il perché si celebra e il chicelebra. Forma e sostanza, interiore e esteriore, ani-ma e corpo nella liturgia si fondono insiemee la forma rituale non è indifferente all’og-getto della celebrazione. Poiché il come ègestito dal libro liturgico, una attenta e sana

riflessione su quanto esso ci suggerisce ciporterà a corrette strade di traduzione deidiversi linguaggi simbolici presenti nelle se-quenze rituali.11

4.1 Cos’è il libro liturgico? Uno strumentoda interpretare

Non si deve dimenticare che il libro liturgiconon è un feticcio. È uno strumento. Ciò cheesso contiene non è identificabile in sé e persé con l’evento – oggetto della celebrazione.Tra il libro (programma rituale) e l’evento(programma del rituale) intervengono levariabili di tempo, spazio, persone, gestua-lità. Il libro è lo strumento che porta il sog-getto (l’assemblea) verso l’oggetto (il mi-stero celebrato).È uno strumento composito, perché formatoda più testi di diverso valore funzionale, ri-tuale e teologico. È anche composito nellastruttura: le sue diverse parti hanno codicidi lettura diversi. Esso funziona come unalingua. Infatti, è una produzione di figure,testi, gesti codificati, che il soggetto deveelaborare, interpretare, manipolare, perchépossa nascere un discorso comunicativo. Sequesta è la sua natura, il libro liturgico puòessere indagato con i metodi della semiotica,con le scienze che studiano la comunicazio-ne. La semiosi del programma rituale ci portaa catalogare sistemi e codici. Il sistema è ilrepertorio di segni/segnali e le regole chereggono la loro selezione o combinazione(la lingua); il codice è l’insieme dei segnaliconvenzionali che servono a trasmettere in-formazioni tra mittente e ricevente (il lin-guaggio).

4.2 I codici sistemiciEsistono codici cinesici generali. L’azione

11 S. MAGGIANI, Gli strumenti della scienza liturgica. B. Come leggere gli elementi costitutivi del libro liturgico,in APL, Celebrare il mistero di Cristo, vol. 1, CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 1993, pp. 131-141.

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ha bisogno di movimento. Siccome ci sonoconvenzioni che regolano gesti, movimenti,espressioni, il libro dà norme per l’interpre-tazione del movimento secondo i diversi mi-nisteri.Ci sono codici prossemici: convenzioni spa-ziali che ad esempio definiscono una minoreo maggiore vicinanza all’altare, c’è il pre-sbiterio e l’aula dei fedeli. Il libro suggeriscenorme per la lettura delle configurazioni spa-ziali in termini di inter-relazioni e luoghi perla celebrazione. Ogni cultura esprime codicivestimentari: ci sono quindi regole per gliabiti liturgici e le loro connotazioni e il libroassegna gli abiti secondo i ministeri.Ogni cultura esprime codici musicali: il libronorma l’uso del canto e della musica nel rito.

4.3 I codici linguisticiOgni cultura ha regole costitutive strutturalidei diversi linguaggi verbali e non verbali.Il libro regola ad esempio le convenzioni traministri e assemblea e usa diverse conven-zioni stilistiche e retoriche (vedi eucologia,monizioni, ecc.)

4.4 I codici testuali – strutturaliOgni sistema comunicativo prevede dei testisintatticamente e semanticamente coerenti.Il libro struttura sequenze rituali concatenateda una loro sintassi e anche gli stessi testiscritti hanno una loro struttura coerente.

4.5 I codici epistemiciOgni rito vive di una episteme, in una or-ganizzazione concettuale del mondo. Perquanto riguarda la liturgia essa respira delvalore antropologico della ritualità. La cor-nice dell’agire liturgico è la possibilità del-l’uomo di esprimersi ritualmente. Quindi èanche possibile una definizione degli ele-menti costitutivi della azione liturgica, unacostruzione ‘logica’ del discorso rituale.

4.6 I codici teologiciLa teologia è la organizzazione concettualedel rapporto uomo-Dio. La liturgia esprimecelebrando una teologia. Il libro liturgico lacontiene nei testi e nel modo di strutturarela sequenza dei riti.

4.7 I codici storiciOgni cultura ha il suo contesto. Il rito respiradella sua storia. Occorre perciò avere con-sapevolezza delle modalità tradizionali del-l’agire rituale, della eredità della storia litur-gica. Il libro autorizza le differenze e le iden-tità di sequenze rituali, di linguaggio, diusanze.

4.8 Dal libro alla catechesi, dalla catechesiall’azione liturgica

Questa molteplicità di codici di lettura del-l’azione liturgica cosa ci suggerisce? Di in-terpretare dal di dentro l’azione liturgica edi non sovrapporle comprensioni esterne oestranee. Mi dice che al centro sta l’azionenon la riflessione sistematica su di essa. Mi faccio capire con un esempio: se mi fer-massi al solo codice teologico, farei la storiadelle teologie dell’eucaristia. Se invece leggola Messa con questo intreccio di codici, sco-pro che ‘eucaristia’ non equivale a paneconsacrato. C’è eucaristia quando con panee vino faccio delle azioni: li prendo, pronun-cio su di essi il ringraziamento, spezzo il pa-ne e dò il pane da mangiare e il vino dabere. Dietro questo ‘fare’ sta sia l’azione diGesù nell’ultima cena, sia l’esperienza uma -na del pasto festivo e comunitario. Pensoche analizzare così le azioni rituali ci portia ricalibrare i contenuti e i metodi della ca-techesi non solo per i disabili, ma anche pertutti.Inoltre, se devo preparare una liturgia conla presenza di disabili il riconoscere la mol-teplicità dei codici comunicativi utilizzati mi

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aiuterà a trovare gli equivalenti che giànella vita quotidiana mi consentono di sta-bilire una comunicazione con loro, codiciche potrò cominciare a usare negli incontricatechistici.

5. CATECHESI E LITURGIA: LINGUAGGI ANTITETICI?12

L’intreccio fede / vita, intrinseco alla realtà cristiana,si riflette nella mutua interiorità di catechesi e li-turgia: che dice una reciproca inclusione dove l’unonon vive senza l’altro. Come insegna la strutturacelebrativa dell’eucaristia e quella catechetica delCatechismo della Chiesa Cattolica, nella connes-sione strutturale delle due prime parti: le grandiopere di Dio creatore, redentore, vivificatore pro-clamate (Credo) e realizzate qui e ora, sorgente divita nuova (Sacramenti). Questo orizzonte precom-prensivo si traduce negli itinerari a disposizione?Molto poco in quelli di impronta tipicamente cate-chistica, che si muovono sul versante contenutistico(con accentuazione dottrinale o esperienziale, ri-schiando anche in questo caso una divaricazioneinfausta).13

5.1 Il linguaggio della catechesi: narrareper coinvolgere

La catechesi è servizio di P(p)arola, linguag-gio, quindi comunicazione. Ma significa chedeve privilegiare l’astrazione verbale? La le-zione della filosofia contemporanea, le scien-ze del linguaggio, ci dicono che la valenzacomunicativa non si riduce alle sole parole.Infatti anche nella catechesi il contesto ap-propriato è dato dal gruppo ecclesiale, checonvocato dalla Parola, ne approfondiscel’ascolto e ne argomenta le ragioni, sotto la

guida di un compagno di viaggio e maestro.La strutturazione e la figura che tale gruppoecclesiale assume, i rapporti che in esso sistabiliscono, le possibilità comunicative o leinceppature sono i fattori salienti «che de-terminano la fattispecie linguistica del mo-dello di catechesi praticato».14 L’ortodossianon è solo questione di parole, ma anche diprassi (metodo dell’annuncio).La catechesi è certo linguaggio, ma nonqualsiasi. È un linguaggio religioso, un lin-guaggio della trascendenza che trova la viaper comunicarsi all’uomo. Il linguaggio sim-bolico è capace di aprire alla trascendenza.15

Questa affermazione diventa vera per la ca-techesi sotto il profilo sia metodologico checontenutistico. È innegabile che la fede cri-stiana abbia una struttura ‘narrativa’, stori-co-salvifica. Questa dimensione narrativaincrocia l’antropologico, la dimensione esi-stenziale della fede: raccontami la tua vitae la metterò nella storia di Dio.

5.2 Il linguaggio della liturgia: il simboloper ‘comprendere’

Una via teologica per rifondare il rapportotra liturgia e catechesi mi sembra possibileoggi proprio perché abbiamo affinato – comedetto sopra – strumenti di analisi della ri-tualità a partire dall’antropologia. Teologialiturgica e sacramentaria stanno reinterpre-tando la liturgia cristiana a partire dalla suanatura rituale. Il rito è azione, azione sim-bolica, azione rituale, azione simbolica ‘altra’dalla vita e quindi unica possibile via perchéil Mistero si comunichi all’uomo. La teologialiturgica classica che vede nei sacramenti ilmomento attuale di una lunga storia sal -

12 Cfr. D. PIAZZI, Liturgia e Catechesi: ancora in dialogo?, in «Notiziario – Ufficio Liturgico Nazionale» n. 31(2009) 22-39.13 S. LANZA, «Itinerari per adulti», in Rivista di Pastorale liturgica n. 265 (6/2007) 17-18.14 LANZA, La specificità del linguaggio catechistico, cit., p. 153.15 LANZA, La specificità del linguaggio catechistico, cit., pp. 163-180.

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vifica attuata e attuabile per mediazioni (Cri-sto – Chiesa – sacramenti), si apre alla con-sapevolezza che l’uomo conosce anche at-traverso l’esperienza dell’agire e non soloper la via della razionalità.16

Nel rito la Parola raccorda l’atto rituale conl’evento originario. Nel rito la Parola cherisuona fa diventare contemporaneo quelDio che ha parlato attraverso eventi e per-sone.17

Non solo, il significato delle azioni e dei se-gni liturgici è determinato dai testi biblici.La Scrittura dice il logos dell’agire liturgicoe nello stesso tempo la liturgia è stata l’am-biente vitale che ha fatto nascere la consa-pevolezza della Scrittura come Scrittura Sa-cra ed è permanentemente il luogo vitalenel quale avviene il continuo passaggio dellaSacra Scrittura a Parola di Dio.18

Allora la catechesi deve precedere i riti, per-ché i riti siano celebrati con fede? Serve piùcatechesi per spiegare i riti? Più concetti sicomunicano e si imparano, più si entra nel-l’economia della salvezza? Ma i nostri fedelinon ci stanno, scelgono sempre in maggio-ranza il rito, rispetto alla catechesi. Il simbolonon si spiega, se non dispiengandolo mentrelo si fa, cioè celebrandolo. L’accesso al-l’evento è garantito dalla celebrazione stessanon dalla sua spiegazione, così come leesperienze fondamentali dell’esistenza si tra-scrivono attraverso i linguaggi simbolici“presentazionali”, cioè sensibili, non attra-verso quelli discorsivi.

5.3 Punti di incontroSi vuole dire che la catechesi non serve?No! La catechesi non è previa alla liturgia,perché deve creare la fede con la quale sipuò celebrare la liturgia, ma che entrambecostituiscono il contesto vitale dell’esperien-za cristiana, se sanno assumere il «linguag-gio del cuore», cioè dello Spirito, linguaggiosimbolico e non solo analitico e cognitivo.La catechesi ha la liturgia come fonte e necostituisce il contesto (prima e dopo). Ma èpure vero che i linguaggi della catechesi in-fluiscono sulla percezione del mistero cele-brato da parte di coloro che vi partecipanoe gli stessi ‘linguaggi’ della catechesi tendonoa entrare dentro il rito stesso, contrassegnan-do le diverse epoche del culto cristiano.Ci sono metodologie dove le due realtà sonostrettamente legate? Il Rito dell’iniziazionecristiana degli adulti nel tempo del catecu-menato e della mistagogia lega insieme eritma per tappe le quattro dimensioni per-manenti della vita cristiana: l’ascolto (Pa-rola), conversione, liturgia (preghiera), vi-ta ecclesiale.Penso che l’esperienza degli operatori nel-l’assistenza ai disabili si configuri come unvero e proprio ministero di accompagnamen-to. Non possono specializzarsi nella sola ca-techesi, o nella sola liturgia, o nella sola as-sistenza, ma è il circolo virtuoso di tutte que-ste realtà vissute dallo stesso operatore a ren-derlo capace di accompagnare l’altro a viverela fede nella concreata situazione esistenziale

16 Sono molteplici gli studi teologici che hanno approfondito questa realtà. In Italia, come è noto, è l’Istituto diLiturgia Pastorale di S. Giustina in Padova ad avere il merito di avere scandagliato queste prospettive antropo-logiche. Cito pertanto un’opera riassuntiva del percorso richiamato: G. BONACCORSO, La liturgia e la fede. Lateologia e l’antropologia del rito, Edizioni Messaggero – Abbazia S. Giustina, Padova 2004. Un solo accennoa un’opera diventata classica per la sacramentaria attuale: L.-M. CHAUVET, Linguaggio e simbolo: Saggio sui sa-cramenti, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1988.17 Ordinamento delle letture della Messa, Roma 1981, nn. 4-10. 18 TAGLIAFERRI, Lo specifico del linguaggio liturgico, cit., pp. 134-139.

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nella quale si trova. Non penso, quindi, checi debbano essere percorsi liturgico-catechi-stici diversi (come dinamiche) tra disabili e‘abili’. Anzi, forse, chi opera accanto a questinostri fratelli può insegnare alla Chiesa ita-liana, in cerca di nuove figure ministeriali diaccompagnamento alla fede, come si diventacompagni di viaggio delle persone.

6. CONCLUSIONI APERTE

6.1. Una esigenza culturale che esige pro-gettazione pastorale

a) Se i principi di SC valgono anche per as-semblee con la presenza di disabili, cercareun adattamento attraverso una seria pro-gettazione pastorale non è una moda cultu-rale, perché in occidente i diritti di questepersone si sono affermati. È una esigenzastessa del loro far parte dell’assemblea. Per-ciò, colui che presiede, come modera tuttal’attività parrocchiale e comunitaria perchési giunga a celebrare in spirito e verità, cosìè suo dovere e precipua competenza inda-gare le strade della accomadatio. In assem-blee con la presenza di disabili la diversitànon mi pare stia né nel punto di partenza,la dignità dei battezzati, né nel punto di ar-rivo, la partecipazione al mistero, ma staeventualmente nel tradurre i linguaggi sim-bolici già presenti nel rito nelle modalità pro-prie di comprensione dei disabili. b) Il Direttorio per le Messe dei Fanciulli ciha offerto tre strade di progettazione di pa-storale liturgica: – far crescere i disabili negliatteggiamenti umani che consentono di vi-vere il rito; – progettare eucaristie o celebra-zioni in piccoli gruppi per aiutarli a inserirsinella assemblea domenicale; – essere attentialla loro presenza nella eucaristia della do-menica, utilizzando tutte le possibilità e letonalità dell’adattamento.

6.2. Per ritus et preces: adattare il rito ‘daldi dentro’

a) Se consideriamo il rito non come l’espres-sione razionale della fede, ma come azione,come luogo simbolico in cui essa si esprimee si accresce, gli operatori dovranno gestirela liturgia e la catechesi – come dovremmofare con tutti – partendo dai riti e dalle pre-ghiere stesse. È il metodo del concilio: perritus et preces. Ho notato, nella sussidiazione per gruppi didisabili rintracciata in rete, che spesso neglischemi catechistici e nel modo di ordinarela celebrazione prevalgono o schemi di teo-logia scolastica, oppure scelte teologiche disacramentaria (soprattutto circa l’iniziazio-ne) datate agli anni ’70-’80. Occorre che glioperatori sappiano leggere il libro e l’azionerituale così come è. Si diventerà così capacidi far emergere, con il linguaggio narrativodella catechesi e con la messa in atto dellinguaggio simbolico dei riti, il cuore del mi-stero che quel sacramento realizza e comu-nica.b) Non solo. Se ci impossessiamo dei diversicodici della ritualità, sapremo sia adattare ilrito (non sempre vuol dire accorciare), siatradurre i suoi linguaggi con le modalità dicomunicazione che psicologia, psichiatria,strumenti particolari (tecnologie?) ci hannomesso a disposizione per comunicare con idisabili e per far comunicare loro con noi. c) Se la teologia terapeutica ha un suo va-lore, occorrerà che chi lavora nella catechesie nella liturgia con i disabili ne approfondiscale implicanze per la liturgia. Si dovrà averepiù fiducia nell’efficacia della Parola e piùconvinzione nel ministero di guarigione e diconsolazione affidato alla chiesa. In questocampo il dialogo tra la teologia della funzio-ne terapeutica della salvezza con psicologie,pedagogie e scienze umane contemporanee,non escluse le neuroscienze, potrebbe di-

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Il dono dei disabili per la comunità cristiana208

ventare proficuo e mentre mira a recuperarela dimensione sanante della liturgia cristia-na, non la consegnerà a vuoti pietismi o aesoterici miracolismi.

6.3 Da operatori competenti a ministri del-la Parola e dell’Altare

Il volto antropologico e teologico della ritua-lità richiede, inoltre, che si superino le com-petenze strette, che finalmente vita e rito di-ventino comunicanti. Come? Non con leidee, ma con le persone. Familiari e operatoridovrebbero pian piano appropriarsi di unaministerialità capace di accompagnamentoalla fede. Nella logica dell’accompagnamentocompete a loro spezzare il pane della Paroladi Dio, educare alla preghiera liturgica e te-stimoniare la fraternità ecclesiale. In un certosenso mi pare che chi lavora con i disabilisia nella situazione privilegiata di sperimen-tare vie esistenziali di accompagnamento al-

la fede così come richiede il RICA per il ca-tecumenato. Così Parola / Liturgia /Caritàtroverebbero la loro sintesi non in piani pa-storali, non in sequenze catechistiche o li-turgiche, ma nella vita e nell’operato di per-sone concrete.Concludo con la citazione tratta da un con-tributo di don Morante presente nel sitodell’Ufficio Catechistico Nazionale. Scrive aproposito della catechesi dei disabili, mapenso che ben si adatti anche al celebrarecon loro:

Chi vive a contatto diretto con i disabili gravi, comechi mette la propria vita al loro servizio nelle strut-ture di accoglienza, sa che essi più che “capire”possono “intuire”, più che “ragionare” possono“com prendere”, più che “imparare” possono “vi-vere”. Dobbiamo essere capaci di concedere lorol’onore di credere a quella parte di libertà che è diciascuno, con l’esigenza intrinseca di rispettarla edi predisporre tutte le condizioni perché il loro in-serimento nella comunità ecclesiale sia completo.

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La presenza dei disabili fisici nella celebra-zione eucaristica è una cosa semplice comeconcetto. Analizziamo che cosa è necessario:

1. che ci siano persone disabili che voglionoandare a Messa e ricevere l’Eucaristia;

2. che ci sia qualcuno che le accompagni;

3. che non ci siano barriere in nessun mo-mento;

4. che la comunità attribuisca valore e si-gnificato cristiano a questa presenza;

5. che la comunità aiuti le persone disabilie le loro famiglie;

6. che nella comunità anche le persone di-sabili e le loro famiglie possano parteci-pare alle attività, svolgere servizi e/o mi-nisteri.

1. Questo punto riguarda l’evangelizzazionee il cammino di fede che ciascuno ha biso-gno di fare. Bisogna fare scoprire alle per-sone con deficit fisico che la Buona Notiziariguarda anche i loro corpi. Non mi riferiscoqui ai miracoli, ma al sentire l’amore di Dioanche nel proprio corpo. I disabili fisici de-vono essere aiutati a vincere ogni odio versoil proprio corpo. Se nella comunità ci sonofisioterapisti o comunque esperti della riabi-litazione è importante che anche loro con-tribuiscano a sostenere i cammini di fededelle persone disabili.

2. Oltre all’aspetto pratico-logistico, bisognasottolineare che la presenza delle persone

disabili aiuta il cammino di fede di tutta lacomunità. La presenza nei gruppi di cate-chismo e giovanili può, con un poco di aiuto,generare molta amicizia e solidarietà, e dareun senso molto concreto alle virtù cristiane.3. Semplicissimo come concetto, ma poi bi-sogna attuarlo. È qui che ci si può scontrarecon resistenze di mentalità. Non è solo unaquestione di pedane esterne ma di come so-no disposti i banchi nella chiesa. Non è solouna questione di barriere strutturali ma so-prattutto di barriere mentali. La persona condisabilità non deve essere retaggio o appar-tenere solo a gruppi per disabili o malati oessere di pertinenza dei ministri per l’Euca-ristia o delle Caritas Parrocchiali. Se è gio-vane e se lo desidera deve fare parte deigruppi giovanili. Se ci sono incontri di lectioo di catechesi …

4. Nell’Eucaristia il Corpo di Cristo incontrail corpo del credente. Il Corpo di Cristo è cro-cifisso, il corpo del credente disabile anche(ma nel disabile la crocifissione è trasparen-te). È importante cogliere questa somiglian-za nella fede nella risurrezione. Il significatocristiano della presenza delle persone disabilinella celebrazione eucaristica è straordina-riamente ricco e ciascuno di noi può offrirespunti da condividere. Possiamo impiegareore a parlare della gioia del celebrare insiemeil giorno del Signore senza riuscire a tra-smettere molto, ma la presenza gioiosa diuna persona che visibilmente porta i segnidi una vita difficile contagia e mette in di-scussione senza l’utilizzo di tante parole.

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Il dono dei disabili per la comunità cristiana 209

LA PRESENZA DEI DISABILI FISICINELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

Spunti

Stefano Toschi, Associazione Beati Noi, Bologna

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Il dono dei disabili per la comunità cristiana210

5. In tutte le comunità è importante, se nonsi può condividere sempre, almeno averefrequenti momenti di condivisione, nei qualiteoricamente dovrebbero esserci tutti. Laparrocchia non è tanto tenuta a fornire ser-vizi di assistenza quanto ad essere una co-munità che vive coltivando il senso dellecose. Le difficoltà delle famiglie con personedisabili dovrebbero essere considerate allaluce del Vangelo come una realtà importantea cui stare vicini. Quando alle porte dellenostre parrocchie bussa o una persona condisabilità o un suo familiare non dobbiamodare l’idea che stanno bussando a un su-permarket dove vengono a prendere quantodesiderano e poi tutto si conclude lì ma de-vono sentire di essere membra necessarie di

quella comunità. Questo significa non averesempre le soluzioni per tutto e il pacchettogià pronto da offrire, ma insieme a loro met-tere insieme risorse e handicap e iniziare uncammino insieme, dove sia la famiglia o lapersona con disabilità, sia la parrocchia in-vestono qualcosa. Solo così si sviluppa l’im-portantissimo senso di appartenenza a unarealtà che deve essere una grande famigliadi famiglie.

6. Una buona integrazione nella comunitàporta a una vita dove per tutti c’è qualchecosa di buono da dare. La persona disabilecristiana non può essere solamente oggettodella carità altrui ma è chiamata ad esseresoggetto attivo e attivante.

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CAPITOLO 4

Seminario di studiosul catecumenato

A 10 anni dallaseconda Nota

sull’iniziazione cristiana

Una rilettura dei risultati e dei punti criticiper una riproposta, in un contesto che richiede

un primo annuncio più diffuso

Roma7-8 settembre 2009

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Carissimi amici, sono davvero contento divedervi e di potervi salutare così numerosia questo appuntamento ormai consueto delnostro Settore del Servizio nazionale per ilCatecumenato. Desidero da subito ringrazia-re Mons. Walther Ruspi ed il gruppo nazio-nale del Catecumenato per la preparazionedi questo momento. Il considerevole numero di partecipanti aquesto Seminario dice certamente la cura ela passione con cui queste tematiche, ben-ché presentino una riflessione alquanto re-cente, sono state discusse, preparate e af-frontate nelle varie Diocesi. Certamentedunque va considerato un interesse speci-fico che vi ha spinti a partecipare, un in-teresse che vede al centro ragazzi e prea-dolescenti che chiedono di diventare cri-stiani e che già operano, con questa stessaesigenza, un effetto importante di coinvol-gimento dei loro coetanei, dei genitori, deicatechisti, dei sacerdoti e, auspicabilmente,dell’intera comunità cristiana.Ma dietro l’interesse specifico, non possiamonegarlo, mi pare ci sia anche un interessesui processi di rinnovamento degli itineraricatechistici di Iniziazione Cristiana e sullesperimentazioni che coraggiosamente sonostate avviate in molte diocesi. A questo in-teresse fa appello anche un terzo elemento,e cioè il rinnovamento degli operatori pa-storali in atto (Direttori responsabili dioce-sani, figure di accompagnamento a livellodiocesano e parrocchiale,…); il che, oltre adessere un segno positivo, richiede un rinno-vato sforzo formativo e mostra come la co-

munità catechistica italiana sia creativa einsieme capace di attingere al patrimoniodella tradizione e del cammino ecclesiale.Certamente sia il tema sulla «emergenzaeducativa» scelto dai Vescovi per il prossimodecennio, sia la costante attenzione all’im-pegno educativo delle nostre comunità, cirichiamano a mettere l’Iniziazione Cristianaal centro dell’attenzione dell’Ufficio Catechi-stico Nazionale, dopo un quadriennio voltoalla riflessione sul Primo Annuncio agli adul-ti, culminato nella pubblicazione della «Let-tera ai cercatori di Dio» ad opera della Com-missione Episcopale per la Dottrina della Fe-de, l’annuncio e la catechesi e nel ConvegnoNazionale di Reggio Calabria del giugnoscorso.Mi piace così indicare, all’indomani di questoSeminario, due momenti importanti che civedranno già impegnati in questo cammino:

1) La Consulta Nazionale che si riunirà a fi-ne mese per due giornate e cercherà dicompiere un discernimento proprio sulrapporto tra questione educativa e edu-cazione alla fede;

2) Il Laboratorio per i Nuovi Direttori UCDprevisto per il 19-20 ottobre prossimi.Desidero infine anticipare a voi il fattoche il Segretario Generale della CEI Mons.Crociata nominerà dal 1 di ottobre unnuovo Aiutante di Studio per l’UCN, cheaffiancherà il Direttore proprio sul delicatotema dell’Iniziazione cristiana.

A tutti buon lavoro!

SALUTODon Guido Benzi, Direttore UCN

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NON ACCANTONARE IL PROBLEMA(CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA)

Se non sbaglio, leggendo la documentazioneraccolta e se la mia memoria non difetta,l’ultima volta che la Conferenza EpiscopaleItaliana ha parlato di Iniziazione Cristiana èstato durante il Convegno Ecclesiale di Ve-rona (2005), prima con la relazione inizialedi Mons. Brambilla, poi con la sintesi finaledel Card. Ruini. La Nota finale del Convegno(2007) ne accenna in un elenco.1

La relazione di mons. Brambilla a Verona2

contiene questa panoramica:

I due percorsi più innovativi con cui le Diocesi ita-liane hanno cercato “di tradurre in italiano il Con-cilio”, e cioè la riforma liturgica e il rinnovamentocatechistico, richiedono una ripresa creativa per-ché diventino una costante nella vita delle comu-nità e siano proposti ai giovani come un bene nonscontato, ma d’inestimabile forza per lo splendoredella vita cristiana. È questo, infatti, il senso delcammino fatto dalla Chiesa italiana in questi pri-mi anni del decennio, dando attuazione praticaal programma Comunicare il Vangelo in un mondoche cambia: i temi del “primo annuncio”, dell’ini-ziazione cristiana, della dome nica, della parroc-

chia, sono state tappe di un cammino unitario…Perciò la Chiesa italiana ha privilegiato la dimen-sione di trasmissione (primo annuncio, inizia-zione, volto della comunità credente) e la dimen-sione culturale (progetto culturale, comunicazionemassmediale).

La relazione conclusiva del card. Ruini harichiamato la problematica dell’ IniziazioneCristiana. Traggo qui alcune affermazionipuntuali che mi sembra indichino un per-corso già segnato e da confermare, alcunespecifiche posizioni della catechesi e alcunielementi da tematizzare.3

L’opera formativa, sebbene oggi debba essere ri-volta a tutti, mantiene un orientamento e una ri-levanza speciale per i bambini e i ragazzi, gliadolescenti e i giovani: sono proprio le nuove ge-nerazioni, del resto, le più esposte a un duplicerischio: – crescere in un contesto sociale e culturale nel

quale la tradizione cristiana sembra svanire edissolversi – perfino in rapporto al suo centroche è Gesù Cristo – rimanendo viva e rilevantesoltanto all’interno degli ambienti ecclesiali;

– pagare le conseguenze di un generale impoveri-mento dei fattori educativi nella nostra società.

In particolare l’iniziazione cristiana si pre-senta oggi alle nostre Chiese come una sfidacruciale e come un grande cantiere aperto,

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A DIECI ANNI DALLA NOTASULL’INIZIAZIONE CRISTIANA DEI RAGAZZI

Walther Ruspi, Responsabile Settore catecumenato UCN

1 “Ci interroghiamo sulle modalità e sugli ambiti della nostra testimonianza, senza nasconderci le inadempienzee i ritardi, consapevoli di quanto il nostro tempo sia un’ora propizia per la diffusione dell’annuncio di salvezzanel mondo. A questo ci portano anche le scelte compiute circa la testimonianza al Vangelo della carità, le nuoveprospettive missionarie della parrocchia, l’urgenza del primo annuncio, il rinnovamento dell’iniziazione cristiana,l’attenzione alla famiglia, l’accompagnamento e la proposta di senso alle nuove generazioni, il ruolo strategicodella cultura e della comunicazione” (“RIGENERATI PER UNA SPERANZA VIVA” (1 Pt 1,3): TESTIMONI DEL GRANDE “SÌ” DI

DIO ALL’UOMO, Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, n. 3).2 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. Atti del 4° Convegno ecclesialenazionale, Verona, 16-20 ottobre 2006, EDB, Bologna 2008, 147-151 passim.3 Idem, 542.

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dove c’è bisogno di dedizione e passione formativaed evangelizzatrice, di sicura fedeltà e al contempodel coraggio di affrontare creativamente ledifficoltà odierne.

In questo grande cantiere, possiamo collo-care la rilettura della seconda Nota su L’ini-ziazione cristiana 2. – Orientamenti perl’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai7 ai 14 anni, pubblicata nel 1999 dal Con-siglio Episcopale Permanente.Lascio a don Andrea Fontana il compito didescriverci il percorso di stesura e i punti mi-liari per comprendere le scelte e gli orienta-menti proposti. Mi è sembrato però utile annotare alcuniappunti o punti interrogativi che, attraversol’esperienza e l’attenzione condotta in questianni, si sono sedimentati in me.

1. LEGGENDA METROPOLITANA?

La nota Italiana, come pure altri interventidell’Episcopato europeo, parlano di un cre-scente numero di ragazzi, tra gli 8 e i 14anni, che non avendo ricevuto il battesimoda infanti, ora chiedono i sacramenti del-l’Iniziazione cristiana.4 Se però cerchiamo diquantificare o di avere una visione più pre-cisa di tutta la problematica pastorale, ci tro-viamo dinanzi ad una vaga situazione, salvorare eccezioni locali. La difficoltà di avereuna conoscenza più precisa è ben conosciu-ta. Già problematica per il catecumenato de-gli adulti, quasi indomabile per un possibilecatecumenato dei ragazzi: assenza di indi-cazioni pastorali omogenee a livello locale,disinformazione nelle parrocchie e conse-guente insensibilità per i possibili itineraricatecumenali, assenza del livello diocesano

per rilevare il fenomeno pastorale, in quantonon vi è necessità di autorizzazione del Ve-scovo per l’Iniziazione Cristiana dei ragazzi,ecc…Numero crescente… ma con quale orizzonte,così da far maturare una linea prospettica diuna costruttiva pastorale catecumenale peri ragazzi?Mi sembra un dato su cui riflettere.

2. L’IC DEGLI ADULTI, MODELLOPER OGNI PERCORSO CATECUMENALE

È quanto è affermato dal RICA fino ai do-cumenti applicativi degli episcopati, e nonmi soffermo a dare ulteriori conferme.Ma vi è un faticoso percorso per entrarenella prospettiva catecumenale perché nonsufficientemente sostenuta. Lo stesso cap.V del RICA di fronte ad una vasta sperimen-tazione in questi anni meriterebbe di essereripreso, arricchito e sussidiato. Esso ha vistouna ampia sperimentazione con gli adulti, enel prossimo mese di luglio 2010 vi sarà unricco confronto intercontinentale a Parigi sul-l’utilizzo del RICA e sui percorsi catecume-nali degli adulti in diverse nazioni dell’Eu-ropa e degli altri Continenti. Per quanto ri-guarda il cap. V, i brevi accenni non sonopiù sufficienti per articolare percorsi adeguatiai fanciulli, specie per la mistagogia.

3. INTEGRAZIONE TRA LITURGIAE CATECHESI

La celebrazione liturgica è il “locus” teolo-gico-pedagogico dell’azione di Dio nell’iti-nerario catecumenale.

4 Cf. documenti.

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“Componente fondamentale dell’itinerariodell’iniziazione, anche se non prima in or-dine cronologico, è quella liturgica, doveemerge chiaramente che l’iniziazione è operadi Dio, che salva l’uomo, suscita e attendela sua collaborazione. La celebrazione non è collocata solo al ter-mine del percorso iniziatico, quale puntoculminante costituito dai tre sacramenti del-l’iniziazione; essa accompagna tutto l’itine-rario, diventando espressione della fede, ac-coglienza della grazia propria di ogni tappa,adesione progressiva al mistero della sal-vezza, fonte di catechesi, impegno di carità,preparazione adeguata al passaggio finale”(Nota 36).

“Tali celebrazioni si pongono nella direzionedelle tre componenti dell’itinerario catecu-menale, cioè:– inserire l’annuncio in una celebrazione del-

la parola;– formare alla celebrazione con la celebra-

zione;– aiutare ad acquisire i valori sottesi al cam-

mino catecumenale attraverso apposite ce-lebrazioni” (Nota 41).

Permane l’accosto, non si riscontrano inte-grazioni significative (valore delle celebra-zioni) e non si ricordano le possibilità giàofferte (Direttorio per la messa con i fanciulli,1973).

4. CAMMINO FANCIULLI E FAMIGLIA

Mi ha colpito molto quanto, in una confe-renza sull’Iniziazione Cristiana, anni fa di-ceva il card. Martini. Si è espresso raccon-tando come, nel mondo ebraico, ma ancheoggi, l’educazione dei ragazzi alla vita reli-

giosa avvenga per la forza di due fattori: ilprimo è la famiglia, padre compreso (cheracconta ai figli ciò che ha fatto il Signore);il secondo sono le feste liturgiche che per-mettono di rileggere costantemente la storiadel popolo di Israele e accrescere il sensodell’appartenenza a una comunità. Per gliadolescenti, poi, è previsto un momento dipassaggio alla vita adulta nella comunitàdel popolo di Israele: è qualcosa di simile aciò che noi chiamiamo “professione solennedi fede”.Ecco dunque la strada della comunicazionedella fede di generazione in generazione:andare nella direzione di adulti testimoni edi comunità intense e vive, che nasconodalla fede.

34 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota Pastorale, Co-municare il Vangelo in un mondo che cambia, 2001,n. 45.

Ci sono così vari percorsi dalla famiglia alfanciullo, ma sappiamo che ci sono purepercorsi che dal fanciullo vanno alla fami-glia. È forse questa la grazia di un percorsocatecumenale dei ragazzi che chiedono ilbattesimo, pur provenendo da famiglie di-stanti dalla partecipazione ecclesiale. Credoche questi percorsi andrebbero valorizzati,nei confronti di una rapida e superficiale sa-cramentalizzazione.È questo ci sembra venga suggerito dallaNota del catecumenato: “Nell’iniziazione cristiana la famiglia ha unruolo tutto particolare. Spesso ci si trova inpresenza di situazioni familiari molto diversetra loro, che esigono da parte della comunitàecclesiale e dei suoi operatori un’assunzionedi maggiore responsabilità e di ampia azionedi accompagnamento. Diversa infatti è la si-tuazione di genitori che intraprendono conil figlio il cammino dell’iniziazione da quelladi coloro che restano indifferenti e lasciano

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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libero il figlio di fare la scelta cristiana. Qualiche siano le situazioni, è bene ricercare ilcoinvolgimento della famiglia o di alcuni suoimembri – fratelli o sorelle, parenti... –, o dipersone strettamente collegate alla famiglia”.

5. UNA PASTORALE SECONDOIL DB

L’Iniziazione cristiana prospetta un cambiodi pastorale, per il quale mi sembra di doverrilevare i punti di partenza, o meglio che noinon si parta da “0”,e anzitutto si rivalutipienamente il progetto catechistico italiano,per potenziare il positivo che con esso si ècompiuto.

Prendo come punto di partenza la Nota del1999: “La comunità cristiana, consapevole delledifficoltà di vivere la fede nel contesto so-ciale e culturale odierno e convinta del gran-de aiuto che può provenire ai fanciulli dallafamiglia, dai coetanei e dagli adulti, li con-duce all’esperienza della vita cristiana, se-

condo una materna cura pedagogica cheporti la loro fede iniziale a prendere radici.Offre ad essi itinerari che tengano contodella loro età, psicologia, esperienza religio-sa, della situazione familiare, dell’ambienteparrocchiale, del cammino formativo dei lo-ro coetanei” (52).

A ben guardare, sono descritti qui sintetica-mente alcuni “punti di non ritorno” che conil DB o “Il rinnovamento della catechesi”sono per noi fondamentali:a) la comunità cristiana, nelle sue diverse mi-

nisterialità, è il soggetto della catechesi;b) la comunità cristiana educa con l’armo-

nizzazione sinergica delle sue azioni sal-vifiche (Parola, Celebrazione, Testimo-nianza) (Nota 31-37);

c) la comunità cristiana educa l’intera per-sonalità in tutte le sue dimensioni (intel-ligenza, cuore e volontà);

d) la comunità cristiana educa attenta allediversità e procede con gradualità;

e) la comunità cristiana educa ponendo icapisaldi della “vita nuova” nei sacra-menti dell’IC.

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Prima parte: la storia

ALLE ORIGINI DELLA NOTA

Verso la metà degli anni ’90 la ConferenzaEpiscopale Italiana diede incarico ad un grup-po di esperti, nominati dall’Ufficio catechi-stico e liturgico della stessa CEI, di rendere at-tuabile nelle nostre comunità il “Rito per l’Ini-ziazione Cristiana degli Adulti” (abbrev. Ri-ca). Il Rituale era stato pubblicato a seguitodella riforma liturgica del Concilio Vaticano IIed aveva visto la luce, in traduzione italiana,nel 1978. Ma giaceva ancora nelle sacrestiedelle nostre parrocchie, a causa della quasiassenza di catecumeni adulti e di opportunitàper utilizzarlo nella pratica pastorale.

Il gruppo di lavoro della CEI cominciò a sten-dere i suggerimenti del cap. 1 “Rito del ca-tecumenato secondo i vari gradi”, avendoacquisito in profondità le indicazioni pasto-rali che il Rica propone nelle due grandipremesse, riguardanti l’una “L’iniziazionecristiana” in genere con le importanti sot-tolineature circa la dignità del Battesimo;l’altra “L’iniziazione cristiana degli adulti”ove presenta la struttura della iniziazione, ivari ministeri ed uffici, i tempi e il luogo, gliadattamenti richiesti alle Conferenze episco-pali. Ne scaturì la prima Nota, firmata dalConsiglio Episcopale permanente della CEI,dal titolo: “L’iniziazione cristiana. 1. Orien-

tamenti per il catecumenato degli adulti”,uscita nel 1997. Questo accadde alla vigiliadi un risveglio nelle richieste in età adultadi molti Battesimi, risveglio che avrà neglianni successivi uno sviluppo notevole intutte le diocesi italiane, con la riscoperta gio-iosa e stupita della possibilità di diventarecristiani anche nell’età adulta. O forse la No-ta stessa e la conseguente istituzione nellediocesi del “Servizio diocesano per il cate-cumenato” (richiesto ai nn.ri 53-54) diedevisibilità alla proposta catecumenale, indu-cendo molti nostri contemporanei ad affac-ciarsi alla soglia ecclesiale per diventare cri-stiani, compresi gli stranieri.

Il Rica propone anche un quinto capitolocon il “Rito dell’iniziazione cristiana deifanciulli in età di catechismo”: su di essoil gruppo nazionale propose un’ampia rifles-sione non priva di interesse nel movimentocatechistico italiano, già così ricco ed arti-colato. Non dimentichiamo il documento dibase “Il rinnovamento della catechesi”(1970), riconsegnato nel 1988 con la letteradei Vescovi italiani per esortare a proporrela catechesi “con un taglio più marcata-mente missionario” (n. 7). Né dimentichia-mo il “Progetto catechistico italiano” conle sue linee di sviluppo che, in qualche mo-do, preludono al cambiamento radicale dimentalità che l’attuazione del Rica esige. Ealcuni documenti di episcopati regionali co-me il Piemonte e il Lazio,1 i quali comincia-

A DIECI ANNI DALLA NOTA SULLAINIZIAZIONE CRISTIANA DEI RAGAZZI

Andrea Fontana, Direttore UCR Piemonte

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1 CONFERENZA EPISCOPALE DEL LAZIO, L’iniziazione cristiana (1974): riferendosi al piano decennale della CEI su“Evangelizzazione e sacramenti” traccia una analisi spietata della catechesi in occasione dei sacramenti e

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vano ad addentrarsi in proposte vicine allospirito catecumenale. E i nuovi catechismiCEI già ispirati, almeno nella presentazione,ad un percorso “iniziatico”, che tuttavia siinnestava sull’impianto catechistico prece-dente.2 Infatti, al n. 14 del documento dipresentazione dei catechismi si proponevauna scansione dei testi vagamente ispirataad un itinerario catecumenale, anche se illinguaggio usato era ancora impreciso. Iltesto “Io sono con voi” propone“ai fanciulliil mistero centrale della nostra fede: la mor-te e la risurrezione di Cristo” e viene definitoal n. 21 come “la tappa della necessariapreparazione o introduzione catecumenaleall’itinerario di iniziazione”. Si noti qui l’ac-cennata imprecisione del linguaggio: in se-guito, infatti, si chiarirà che l’iniziazione cri-stiana non viene dopo il catecumenato, macomprende il catecumenato come tappa fon-damentale. Poco oltre (nn. 14.21) si propo-ne il testo “Venite con me” come “inizia-zione che ha nell’eucaristia il suo centro”;“Sarete miei testimoni” come iniziazionecrismale: questi due testi non si collocanomolto bene nella sequenza dell’itinerario ca-tecumenale, che ha sì al centro la celebra-zione dei sacramenti, ma va oltre.3 Infatti,in seguito, si parlerà sempre più spesso non

di “iniziazione ai sacramenti”, ma di “ini-ziazione attraverso i sacramenti”,4 essendoi sacramenti non la méta dell’iniziazione,ma il vertice di essa. Lo stesso documentoconclude presentando, stavolta correttamen-te, il testo “Vi ho chiamato amici” come“parte integrante del cammino di iniziazio-ne cristiana: la mistagogia si colloca all’in-terno dell’esperienza ecclesiale, sacramen-tale e vitale dell’iniziazione” (n. 21). Il n.22 riassume con uno sguardo globale il per-corso nella sua dinamica, così costruita:– un momento introduttivo (con la risco-

perta del Battesimo)– due momenti caratterizzati da specifiche

tappe sacramentali (Penitenza, Eucari-stia e Cresima)

– un momento di sintesi e conclusivo (mi-stagogia).

È proprio sviluppando queste intuizioni, purespresse ancora in termini fluttuanti, che ilgruppo di lavoro tradusse in itinerario per-corribile il cap. V del Rica: attraverso semi-nari ed incontri prese forma la Seconda Nota,approvata dal Consiglio episcopale perma-nente della CEI nel 1999, dal titolo: “L’ini-ziazione cristiana 2. Orientamenti per l’ini-ziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi

propone di far uscire l’iniziazione cristiana da una visione riduttiva che la considera come un fatto puramenteintellettuale e rituale, limitato nel tempo e riservato ai bambini, e farla diventare un vero itinerario di fedefatto dalla persona nella Chiesa e con la Chiesa” (n. 47). CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE, L’iniziazionecristiana dall’infanzia alla fanciullezza fino alla maturità delle vita cristiana nell’età giovanile (1984): intempi insospettabili questo documento proclama: “Ci sembra opportuno rinnovare l’invito ad approfondire eattuare le indicazioni offerte dal Rica, che costituisce il modello esemplare a cui è necessario riferirsi per pro-muovere una pastorale e una catechesi di preparazione ai sacramenti…. Il Rica fa emergere l’esigenza diun’azione pastorale che recuperi la prassi catechistica in uso nella chiesa primitiva per l’ammissione ai sa-cramenti. Essa fissò l’itinerario di iniziazione entro quella esperienza comunitaria chiamata catecumenato…ci pare indispensabile indicare in quel modello un punto di riferimento essenziale” (n. 8).2 UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, CEI, Il catechismo per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, Roma1991.3 In tal senso già si esprimono i due documenti degli episcopati del Lazio e del Piemonte che promuovono unitinerario “mistagogico” successivo ai sacramenti.4 Cf CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, Roma 2004, n. 7.

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da 7 a 14 anni” (abbrev. Nota 2). Seguendole essenziali indicazioni del Rica, ma acqui-sendo lo spirito del catecumenato degli adul-ti, la Nota, dopo aver tracciato al c.1 la si-tuazione attuale della richiesta del Battesimoda parte di fanciulli in Italia e dopo aver rac-contato la storia dell’iniziazione cristiana inItalia a partire dei primi secoli fino al “pro-getto catechistico italiano” cui ho accen-nato (c. 2), espone gli elementi essenzialidell’itinerario di iniziazione cristiana, ricor-dando che tale itinerario “rimanda per con-tenuti e modalità a quello previsto per gliadulti che chiedono il battesimo, ma tieneconto delle peculiarità della fanciullezza edella preadolescenza, del loro specifico le-game familiare, del contesto socio-ambien-tale in cui sono inseriti e del bisogno par-ticolare di una crescita armonica e inte-grale a garanzia della loro crescita spiri-tuale” (n. 20).

Così si presenta la Nota stessa al n. 7: “IlRito dell’iniziazione cristiana degli adultidedica ai fanciulli il capitolo V, nel qualeviene data grande importanza all’istituzio-ne di un cammino catecumenale, che cul-mini con la celebrazione unitaria dei sa-cramenti del battesimo, della confermazio-ne e dell’eucaristia. Attuando questa mo-dalità, la Chiesa fa appello all’esigenza deltutto tradizionale di non dare i sacramentie il battesimo in specie in modo indiscri-minato. La richiesta dei genitori o il desi-derio del fanciullo, unito al consenso deigenitori, sono la condizione necessaria manon sufficiente per accedere ai sacramenti.Da lì dovrebbe iniziare un itinerarioprogressivo e disteso nel tempo, grazieal quale si consolida nella vita del fan-ciullo, con la partecipazione dei geni-tori, la conoscenza dei misteri dellafede e la pratica delle virtù cristiane,

per un’apertura incondizionata allagrazia sacramentale”.La Nota 2 precisa così il linguaggio incertodei testi e documenti precedenti; aderisce to-talmente alla proposta del Rica di trasferirein forma appropriata e adatta ai fanciullil’esperienza del catecumenato degli adulti;organizza e offre una visione globale e coe-rente alle attese di un mondo catechistico,stimolato dalla situazione di scristianizza-zione e dal desiderio di mettersi in stato divigorosa evangelizzazione, come studi econvegni ormai da anni propongono. L’im-portanza della comunità adulta nel generarealla fede, il riferimento alla Bibbia, la cen-tralità di Gesù Cristo, gli itinerari di fede nonlegati solo all’età ma al discernimento cri-stiano, l’esperienza di vita cristiana integratanella dimensione catechistica e liturgica, lapriorità dell’evangelizzazione e del primoannuncio, il percorso che contiene come mo-mento essenziale la mistagogia, ecc. sonotutti temi già dibattuti da anni che trovanonella Nota 2 accoglienza e sistemazione or-ganica e completa.

CHE COSA È SUCCESSOIN DIECI ANNI?

Subito dopo l’uscita della Nota, di cui cele-briamo il decennale, attuando ciò che la stes-sa suggerisce al n. 57 (“Al Servizio nazio-nale per il catecumenato, con la collabo-razione dell’Ufficio catechistico nazionalee dell’Ufficio liturgico nazionale è affidatoil compito di predisporre un sussidio det-tagliato per attuare in modo facile e riccogli itinerari indicati”), fu pubblicata dallaElledici la “Guida per l’itinerario catecume-nale dei ragazzi” come modello per costruirenelle esperienze diocesane e locali i percorsiper i ragazzi e le famiglie. La “Guida” è fir-

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mata dal “Servizio nazionale” e possiededunque una certa autorevolezza.

La “Guida” sviluppa il cammino catecu-menale per i ragazzi da battezzare, chesempre più numerosi frequentano il catechi-smo, ma, in linea con il Rica, al cap. V, pro-pone di attuare l’itinerario “insieme a ungruppo di coetanei già battezzati che, d’ac-cordo con i loro genitori, accettano di ce-lebrare al termine di esso il completamentodella propria iniziazione cristiana” (Nota2, n. 54). Inoltre, fondando i propri sugge-rimenti su alcuni criteri che caratterizzanolo spirito missionario proprio del catecume-nato, propone un percorso fatto di ascoltodella Parola di Dio nella Scrittura, di cele-brazioni che ne scandiscono le tappe, diesperienze graduali e progressive di vita cri-stiana. Non perde mai di vista neanche icontenuti dei catechismi della CEI, pur uti-lizzandoli in modo creativo, adattandoli alpercorso tipico del catecumenato, già inqualche modo implicito nei testi stessi.

Molte diocesi e parrocchie hanno accoltogioiosamente e con entusiasmo la proposta,cercando attraverso i propri orientamenti “inloco” di attuare la Nota 2 e la relativa “Gui-da”. Così sono iniziate le prime sperimen-tazioni a macchia di leopardo in tutta Italia,con risultati sorprendenti là dove lo spiritodella Nota 2 venne acquisito in manieraconvinta. Molti parroci hanno riconosciutoche il nuovo impianto catecumenale offre lapossibilità di evangelizzare le famiglie e ditrasformare la comunità stessa che prendecoscienza di esistere per generare alla fedenuovi cristiani. Sarebbe lungo elencare glieffetti positivi e i risultati straordinari spessoverificati proprio nelle famiglie più lontanedalla fede, che liberamente hanno assuntol’impegno di lasciarsi coinvolgere in un cam-

mino graduale per riscoprire la fede con ipropri figli.

A fronte di una grande produzione di sussididi ogni genere, nel decennio, sono nati stru-menti creativi ed efficaci, come quelli chePaoline, Queriniana ed Elledici hanno dedi-cato ai percorsi di tipo catecumenale, sug-geriti dalla Nota 2 del Consiglio episcopalepermanente della CEI sull’iniziazione cristia-na dei ragazzi e sulla traccia della successiva“Guida” preparata dal “Servizio nazionaleper il catecumenato”. Ne ho censiti tre, iquali si ispirano al quadro sinottico del per-corso così come viene scandito dai tempi edai riti del catecumenato. Il sussidio prepa-rato dalla diocesi di Cremona e pubblicatodalla Queriniana “Iniziazione cristiana deiragazzi, itinerario di tipo catecumenale” inquattro volumi con “Guida” e “Quadernoattivo per i ragazzi” (Brescia 2006-2009)mi pare abbia una conduzione lineare peraccompagnare i catechisti e le famiglie a fareun percorso di fede, anche se risente qua elà delle molte mani che hanno contribuito acomporlo. G.F. Calabrese e M. Zagara ci of-frono, invece, attraverso le Edizioni Paoline,“Vieni e vedi: un itinerario catecumenaleper ragazzi dai 7 ai 14 anni insieme allefamiglie” in 5 volumi con le “Guide per icatechisti” e “Libro per i ragazzi” (Milano2005-2006): sono volumetti molto agili checontengono suggerimenti essenziali per l’iti-nerario di tipo catecumenale. Infine, la El-ledici propone il “Progetto Emmaus” (A.Fontana-M. Cusino) che, oltre al “NumeroZero” per presentare le coordinate del Pro-getto, ha pubblicato i 5 volumi di “Guideper i catechisti accompagnatori” e i 5 vo-lumi di “Schede per i ragazzi”. È uscito an-che il volume (unico) dedicato all’accompa-gnamento delle famiglie. Il percorso del“Progetto Emmaus” parte dall’ascolto della

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Parola di Dio per giungere, attraverso la Sto-ria della salvezza, a impregnarsi di una vi-sione cristiana della vita e agire di conse-guenza. È stato costruito con fedeltà sullatraccia offerta dalla “Guida” del Servizio na-zionale per il catecumenato.

Durante l’estate (2009) sono usciti i primivolumi di altre due proposte di itinerari ca-tecumenali. La prima presenta l’esperienzadella parrocchia di Mattarello (Trento): “Iti-nerario catecumenale per fanciulli e ragaz-zi”. Sarà composto da 5 Guide e 5 blocchidi schede per i ragazzi; edito dalla Elledici:contiene materiale e attività per gli incontri,basandosi sulla vita della comunità, il coin-volgimento dei genitori, la catechesi biblico-kergimatica. La seconda, pubblicata da EDB-Bologna a cura di P. Sartor-A. Ciucci, saràcostituita anch’essa da 5 volumi. “BuonaNotizia” è il titolo delle “Guide” e del “Sus-sidio”. Per ogni tappa del cammino sonosuggerite attività, esperienze, narrazioni, ce-lebrazioni, condivisioni, ecc.

Durante questi dieci anni tutte le riviste ca-techistiche, liturgiche e pastorali più im-portanti si sono occupate della Nota e dellaconseguente ricaduta sulla prassi catechisti-ca che permane ancora in Italia con un gran-de seguito da parte dei ragazzi, quasi dap-pertutto, fino alla “Prima Comunione” e unpo’ meno fino alla Cresima, “sacramentodell’addio”. Le riflessioni e le pubblicazioni,lunghe da citare in questa breve riflessione,hanno indubbiamente valore e stimolano laricerca. Esse hanno condotto ad aprire il di-battito su “Dove sta andando la catechesidell’iniziazione cristiana oggi?”. Dibattito

non marginale visto che in Italia proliferanomolteplici esperienze, non tutte coerenti conil progetto catechistico italiano, anche semolte si appellano ad esso per trovare co-pertura e sostegno.

Seconda parte: pietre miliari della nota sull’ic ragazzi

IL PUNTO DI PARTENZA

Punto di partenza per passare in rassegnale pietre miliari di un itinerario “catecume-nale” in riferimento alla Nota 2 è la defi-nizione di “iniziazione cristiana”, ripresada un documento precendente:5 “Per inizia-zione cristiana si può intendere il processoglobale attraverso il quale si diventa cri-stiani. Si tratta di un cammino diffuso neltempo e scandito dall’ascolto della Parola,dalla celebrazione e dalla testimonianzadei discepoli del Signore attraverso il qualeil credente compie un apprendistato globaledella vita cristiana e si impegna in unascelta di fede e a vivere come figlio di Dioed è assimilato con il battesimo, la confer-mazione e l’eucaristia al mistero pasqualedi Cristo nella Chiesa”. Come si vede, taledefinizione fa parte del Progetto catechisticoitaliano già negli anni precedenti la Nota 2,la quale tuttavia (n. 19) “ha inteso rinno-vare la pastorale della educazione alla fededei fanciulli integrando più armoniosamen-te, con la nozione di iniziazione cristiana,la dimensione catechistica e la dimensioneliturgico-sacramentale e la vita di carità”.È ovvio che la nozione di “iniziazione cri-stiana” implica un’azione particolarissima,

5 UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, Il catechismo per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Nota perl’accoglienza e l’utilizzazione del catechismo della CEI (15 giugno 1991), n. 7.

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che non è solo incontro catechistico, comeho già cercato di chiarire altrove.6

La Nota 2, poche righe prima della defini-zione, sottolinea che l’iniziazione cristianacosì intesa “invita a una pastorale che so-stenga la prima evangelizzazione, caratte-rizzata da una forte testimonianza degliadulti educatori per un iniziale incontro vi-tale con la realtà del Vangelo; la catechesisi modella sull’”apprendistato” a divenirecristiani; promuove il coinvolgimento dellacomunità ecclesiale, la cui fede visibile viene“consegnata” in modo progressivo per es-sere “riconsegnata” dai ragazzi, avendolainteriorizzata con l’aiuto dei catechisti edegli adulti-educatori; la partecipazione as-similazione al mistero pasquale si compienella celebrazione dei sacramenti del bat-tesimo, della confermazione e dell’eucari-stia” (come si vede, scompare la festa della“prima comunione”, evento unico e infantile,per far posto all’eucaristia, sacramento quo-tidiano del vivere da cristiani, ndr) (n. 18).

L’iniziazione cristiana è, dunque, molto piùche un semplice percorso catechistico: èun’azione particolarissima che coinvolge iprotagonisti (ragazzi, adulti, chiesa, graziadivina…) affinché crescano nella fede e nellavita cristiana, a poco a poco, intrecciandotra loro legami di fraternità, imparando adaffrontare la vita per riconoscere in essa gliappelli del Padre, lasciandosi modellaredall’azione dello Spirito, riproducendo atteg-giamenti e comportamenti evangelici. È unpercorso educativo e pastorale che coin-

volge molti protagonisti e tutti gli aspettidella persona. Per questo oggi l’itinerariocatecumenale è proposto autorevolmente atutte le comunità ecclesiali, tenendo contodella situazione pastorale delle nostre Chiese.Soprattutto là dove, sempre di più, ci sonoragazzi da battezzare.

Va infine sottolineato che in tal senso si puòparlare di “itinerario catecumenale”: nonsolo quando l’iniziazione cristiana funzionamettendo in atto alcuni criteri di fondo(l’ascolto della Parola, la famiglia, la comu-nità, le esperienze cristiane, la gradualità,ecc.); bensì solo quando si acquisisce la giu-sta mentalità missionaria che coordina que-sti criteri, “mixandoli” in maniera corretta eattuandoli in maniera tale che “generi” ve-ramente vita cristiana nei ragazzi e nelle fa-miglie. Molte esperienze e sussidi propon-gono “compromessi” discutibili, da questopunto di vista, dimenticando appunto i criterifondamentali che andiamo a rivisitare…

IL PRIMO ANNUNCIOO EVANGELIZZAZIONE

La pietra fondamentale dell’itinerario è il “pri-mo annuncio”. Non è ancora esplicito nellaNota 2 il termine “primo annuncio”, così co-me sarà elaborato negli anni successivi allaNota stessa.7 Tuttavia, quando nei nn.38-50si presentano i tempi e le tappe dell’itinerario,mi pare con sufficiente chiarezza, la Nota 2indica nell’evangelizzazione “rivolta alle fa-miglie e ai ragazzi per far scoprire la persona

6 A. FONTANA, Iniziare: che significa, in realtà? in “Catechesi”,78 (n. 5, maggio-giugno 2008-2009), pp. 27-41.Il testo si può trovare anche nel sito della diocesi di Torino/Servizio diocesano per il catecumenato/documenti.7 Cf la Nota pastorale sul primo annuncio: COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CA-TECHESI, Questa è la nostra fede, Roma, 15 maggio 2005. Ad essa fa seguito Lettera ai cercatori di Dio, prototipodi un primo annuncio al mondo contemporaneo...

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di Gesù” il punto originante del percorso ca-tecumenale. È importante questa annotazionepoiché in Gesù deve trovare fondamento lanostra ricerca, la richiesta dei sacramenti stes-si, il modo con cui percepiamo e viviamo lafede oggi. “Senza di me non potete fare nulla”(Gv 15,5), neanche un itinerario catecume-nale! Per questo la “Guida” pone all’originedel percorso la lettura o il racconto del vangelodi Marco, in forma adatta ai ragazzi e alle fa-miglie, senza interferenze con altri testi bibliciimpropri. (Parleremo di Dio in seguito, comePadre di Gesù Cristo… e magari anche del-l’angelo custode!).

Nei nn. 31-35 ove si parla dell’annuncio edell’accoglienza della Parola si precisa me-glio quali siano le finalità e i contenutidella evangelizzazione, come prima tappadell’itinerario. La finalità è così espressa:“Un incontro con Cristo vivo: i vari elementidell’annuncio devono essere strutturati inmodo che al fanciullo risulti che Cristo oggigli parla, lo invita alla conversione, lo chia-ma a condividere la sua avventura umana;da parte sua il fanciullo catecumeno acco-glie questa Parola e vi risponde con la fede,la preghiera e l’azione”. Un altro elementosi aggiunge al primo annuncio: non solol’incontro con la persona di Gesù, come giàdetto, ma anche l’accoglienza, la conversio-ne da celebrare nel “Rito di ammissione”che conclude il tempo della prima evange-lizzazione. Infatti, “l’ammissione al catecu-menato è legata al momento in cui il fan-ciullo è capace di decidersi in rapporto aGesù Cristo. Perciò la celebrazione non deveessere fatta troppo presto, suppone una pri-ma evangelizzazione che susciti la fede eimplica una prima esperienza di vita nellacomunità” (n. 40).Sono inoltre indicati i contenuti dell’evan-gelizzazione: “Il contenuto dell’annuncio

ha come oggetto il racconto della storiadella salvezza e in particolare della storiadi Gesù”, precisando che “solo successiva-mente sarà possibile organizzare l’annun-cio attorno ad alcune verità fondamentalicontenute nel Credo”. Infatti, la “Guida”presenta il Credo come storia della salvezzasia pur espressa in linguaggio sintetico erappresenta la prima fase del catecumenato,dopo la prima evangelizzazione.

Si può concludere, dunque, che la primaevangelizzazione racconta la storia di Gesù,fondamento del nostro cammino; richiedeuna presa di posizione come “conversioneiniziale” a Cristo, secondo le parole del Rica;è un tempo che esige un certo spazio pro-lungato (“non troppo presto”): diciamo, al-meno un anno. Il “primo annuncio” ci chie-de di diventare capaci di motivare lefamiglie e i ragazzi con l’unico motivo percui vale la pena diventare cristiani e cele-brare i sacramenti: Cristo stesso, a cui siaderisce liberamente e consapevolmente. Èlui che ci chiama a gioire del vangelo perchéè bello diventare cristiani. Non si compie in-vece un itinerario semplicemente per “pre-pararsi” alla Comunione o alla Cresima.

LA BIBBIA E I CATECHISMIDELLA CEI

Se l’annuncio e la narrazione di Gesù mortoe risorto e la relativa presa di posizione neisuoi confronti costituisce il fondamento del-l’itinerario, nonché il primo tempo dell’evan-gelizzazione, la storia della salvezza “rac-contata non come qualcosa di lontano eormai concluso, ma come successione dieventi aperti, attuali, che attendono altriprotagonisti” (n. 32) rappresenta lo scena-rio del cammino nel tempo del catecumena-

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to. Sfogliare la Bibbia nelle sue pagine es-senziali pone in primo piano la logica della“traditio” e della “redditio”, logica appunto“tradizionale” nella chiesa, che progressiva-mente, nel tempo del catecumenato mettein atto un “vero tirocinio di vita cristiana,durante il quale il ragazzo cresce nell’espe-rienza spirituale dell’amore di Dio e prendecoscienza di essere chiamato a dare unarisposta ai molti inviti del Signore” (n. 41).

Non solo, ma colui che sceglie di affidarsi altesto biblico come sorgente dell’esperienzacristiana impara ad accogliere la Parola e aviverla. La successione, seguita nella “Gui-da”, di catechesi, di riti e di esperienze di vitasviluppa “la “consegna” della Bibbia (storiadella salvezza, del Simbolo della fede, delPadre nostro, delle Beatitudini, della Legge(comandamenti, precetto della carità, di-scorso della montagna)” (n. 41). La Nota 2propone dunque un percorso catecumenaleche, partendo dalla storia della salvezza perimparare a distinguere gli avvenimenti attra-verso cui Dio ci parla e ci chiama all’alleanza,aiutandoci a vedere la storia con il Suo sguar-do, passando attraverso l’acquisizione degliatteggiamenti propri del celebrare cristianocon i suoi simboli e i suoi segni per incontrareoggi l’amore del Padre e vivere oggi l’allean-za, ci conduce a poco a poco ad appropriarcidi atteggiamenti e comportamenti improntatiall’amore predicato e praticato da Gesù. Sonole tre fasi del catecumenato (biblica, liturgi-co-comunitaria, esistenziale) e possono du-rare tre o quattro anni e culminare, durantel’ultima quaresima prima dei sacramenti, conla preparazione spirituale e ascetica suggeritadai vangeli dell’anno A.

Un percorso così concepito pone in primopiano la Bibbia, il libro della vita cristianae della catechesi, per il religioso ascolto della

quale i catecumeni diventano a poco a pocodiscepoli e imparano a vivere la fede ognigiorno. Con questo non si vuole certo met-tere da parte i catechismi della CEI: macome non è il libro della Bibbia che mate-rialmente parlando ci interessa, ma ciò chela Bibbia ci rivela, il volto del Dio di GesùCristo e il suo ingresso nella nostra storia,così per i catechismi. Non è il libro del ca-techismo che materialmente ci interessa,tanto da idolatrarlo e usarlo come un tali-smano intoccabile, ma piuttosto lo spiritoche anima il catechismo, proponendoci unpercorso sistematico che passa attraverso lestesse tappe appena esposte. Dunque, cisentiamo liberi di utilizzarli nel loro conte-nuto, senza legarci alla forma delle sue pa-gine e alla successione dei suoi contenuti,fermo restando ciò che abbiamo già detto.E cioè, che i catechismi CEI contengono giàabbozzato un percorso che parte dall’evan-gelizzazione (“Io sono con voi”) e passa at-traverso la storia della salvezza, la scopertadei “segni” sacramentali e liturgici, la rispo-sta di fede come “sequela Christi” (“Venitecon me” e “Sarete miei testimoni”) fino alladimensione mistagogica ecclesiale (“Vi hochiamato amici”). Ma la celebrazione uni-taria dei sacramenti, su cui torneremo, ci in-vita ad usarli al di là della forma, storica-mente e culturalmente datata, con cui sonostati composti: la successione dei loro con-tenuti va modificata in relazione all’itinerariocatecumenale proposto dalla Nota 2.

IL GRUPPO CATECUMENALE, LA FAMIGLIA, LA COMUNITÀ ECCLESIALE

Il RICA afferma: “Poiché i fanciulli da ini-ziarsi sono spesso in rapporto con qualchegruppo di compagni già battezzati, che sipreparano con la catechesi alla Conferma-

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zione e all’Eucaristia, l’iniziazione è im-partita gradatamente e si appoggia comesu fondamento in questo stesso gruppo ca-techistico” (308). Ma la Nota 2 parte dalcontesto più ampio della comunità ecclesialeed esorta a “creare un ambiente adatto allaloro età, capace di accompagnarli nella loroprogressiva crescita nella fede, in un au-tentico cammino di conversione personalee di adesione a Cristo” (26). E aggiunge:“Questo è possibile attraverso l’inserimentodel fanciullo e del ragazzo in un gruppo“catecumenale” con la presenza di alcuniadulti (catechisti, accompagnatori, padri-ni), della famiglia e, almeno nei momentipiù significativi, della comunità tutta” (26).

Nei numeri seguenti la Nota precisa che cosaintende per “gruppo catecumenale”:– “La scelta può cadere su un gruppo cate-

chistico già esistente o su un altro appo-sitamente formato”: in realtà, nelle espe-rienze, si constata che è più utile puntaresu un gruppo appositamente costituito, nel-la libertà di scelta da parte della famiglia;la Nota 2 ricorda spesso la libera accetta-zione da parte della famiglia della propostadi un itinerario da percorrere insieme.

– “il gruppo deve assumere una fisionomiaparticolare, essere cioè un gruppo ben ca-ratterizzato ecclesialmente, accogliente,catecumenale, esperienziale”: quattro ag-gettivi definiscono il gruppo nell’impiantoeducativo perseguito, non tanto per sposareuna metodologia particolare quanto, piut-tosto, per indicare un modello di percorsoche conduce all’inserimento ecclesiale, al-l’accoglienza senza pregiudizi di tutte le si-tuazioni, all’ispirazione catecumenale, allapriorità data all’esperienza di vita cristianain famiglia, nel gruppo, nella comunità.

– “Questo è possibile se il gruppo catecu-menale sa porsi alla scoperta di Cristo,

del Vangelo, della Chiesa e gradualmentecresce nella fede e celebra la conversionea Cristo; se a un tipo di catechesi piutto-sto sistematica preferisce quella più pro-priamente evangelizzatrice e kerigmatica;se non ha scadenze precostituite né datedella prima comunione e della conferma-zione fissate per tutti, ma è attento e ri-spettoso della diversa maturazione dellepersone…”: anche queste condizioni sonospecifiche del gruppo catecumenale.

Il “gruppo catecumenale” diventa così il luo-go in cui si fa l’esperienza viva, concreta,tangibile della comunità ecclesiale lungo tut-to il percorso, aprendosi gradualmente allacomunità più vasta. La Nota 2 dedica a que-sto aspetto i nn. 26-29 con una riflessioneorganica e specifica: “Secondo il Rica “l’ini-ziazione cristiana dei catecumeni si fa conuna certa gradualità in seno alla comunitàdei fedeli” (RICA 4) che in concreto si espri-me nella famiglia, nei catechisti, padrini eaccompagnatori, nel gruppo”.

La Nota 2 distingue poi il compito degli adul-ti e della comunità locale (n. 28) da quellodella famiglia (n. 29): “Nel compiere il suocammino di iniziazione il catecumeno è ac-compagnato in modo particolare da alcuniadulti… sono persone che gli stanno ac-canto e interagiscono nei vari momentidell’annuncio, nell’esercizio della vita cri-stiana, nella celebrazione, rispettose delcammino del catecumeno e dell’azione delloSpirito”. La presenza dunque della co-munità, come “ambiente” in cui si compiel’iniziazione cristiana dei ragazzi, prendevolto nella progettazione e nella propostadell’itinerario (in molte esperienze il “gruppoprogetto”); nel momento celebrativo a cuipartecipa pregando con i ragazzi e le lorofamiglie; nel momento in cui testimonia con-

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cretamente, facendo partecipare al gruppoalcuni adulti della comunità per raccontareil modo in cui crede e vive il mistero di Cri-sto; nella testimonianza di luoghi e opereartistiche visitate dal gruppo per toccare conmano la fede trasmessa dai nostri “padri”;nell’esito stesso dell’itinerario che durantela mistagogia conduce ad inserirsi nella co-munità, anche attraverso l’esperienza del-l’Oratorio, come luogo di introduzione e le-game dei preadolescenti con la comunità.“Si esige il coinvolgimento di tutta la co-munità ecclesiale. Questo avvenimento puòdiventare l’occasione per risvegliare nellacomunità il senso delle sue origini, dellanecessità di una rinnovata riscoperta dellapropria fede”.

Per quanto riguarda la famiglia, il Ricaravvisa essere “opportuno che i fanciullitrovino l’aiuto e l’esempio anche dei lorogenitori, il cui consenso è richiesto per l’ini-ziazione e la loro futura vita cristiana. Iltempo dell’iniziazione offrirà alla famiglial’occasione di avere colloqui con i sacerdotie i catechisti” (308). La Nota 2 sottolineacon forza il ruolo della famiglia: “Nell’ini-ziazione cristiana la famiglia ha un ruolotutto particolare…Quali che siano le situa-zioni (delle famiglie) è bene ricercare ilcoinvolgimento della famiglia o di alcunisuoi membri – fratelli e sorelle, parenti – odi persone strettamente collegata alla fa-miglia. La domanda del battesimo per ifanciulli dovrà sempre essere accompagna-ta dal consenso dei genitori” (n. 29).

Di fatto, l’itinerario catecumenale dei fan-ciulli è diventato anche itinerario di risvegliodella fede per i genitori, andando così a toc-care la Nota 3 che indica la catechesi del-l’iniziazione cristiana come uno dei luoghipropizi alla riscoperta della fede negli adulti

e anche “Il volto missionario delle parroc-chie in un mondo che cambia” al n.7:“L’iniziazione cristiana dei fanciulli inter-pella la responsabilità originaria della fa-miglia nella trasmissione della fede”.

Nell’esperienza di questi anni, molti cate-chisti hanno sperimentato non solo la gioiadei genitori quando si rendono conto chel’itinerario percorso li aiuta a vivere megliola loro vita e a riscoprire la fede, ma anchela gioia dei figli nel vedere finalmente i ge-nitori fare le stesse cose che fanno loro: pre-gare, leggere il vangelo, andare in chiesa,fare scelte cristiane, ecc. Poiché la prospet-tiva catecumenale non è teorica ma aiutapraticamente la famiglia a riunirsi e a ritro-vare uno stile cristiano di comunicazione af-fettiva e vitale. In altre parole non si chiedeai genitori di fare “di più”, ma di “fare inaltro modo” nel rapporto con i figli, in cui“altro modo” significa trasformare il rapportoeducativo dandogli una connotazione cristia-na. Toglie definitivamente i ragazzi dall’iso-lamento in cui la pastorale attuale li ponenelle parrocchie, le quali continuano a pro-durre una congerie di iniziative “per i fan-ciulli”, “apposta per loro”, confessioni per iragazzi, novene di Natale per i ragazzi, ecc.,senza che mai i ragazzi abbiano occasione divedere concretamente la testimonianza degliadulti della comunità ecclesiale.

La progressione o gradualità del per-corso con le sue tappe educativePiù volte la Nota 2 insiste sull’attenzionepedagogica ed educativa propria della co-municazione della fede nel corso dell’itine-rario: ciò che era già un principio fonda-mentale nel documento di base (cioè, l’at-tenzione all’”uomo in situazione”) diventanell’itinerario catecumenale una condizionesenza la quale non si può procedere nell’iti-

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nerario. Il fatto stesso che il percorso siascandito da varie tappe, da piccoli passi, dacelebrazioni che segnano i cambiamenti nelgruppo e invocano lo Spirito santo, ci fa toc-care con mano che il cammino, “non hascadenze precostituite né date della primacomunione e della confermazione fissateper tutti, ma è attento e rispettoso della di-versa maturazione delle persone” (n. 27).

Ciò significa verificare di tempo in tempogli atteggiamenti acquisiti e i comportamentioggettivi diventati “abitudini di vita”. Nonsi può procedere nel cammino se non sicompie un passo dopo l’altro. L’esempio piùevidente è la terminologia che la Nota 2 usacostantemente, là dove parla di “itinerario”,di “adesione progressiva”, di “passaggi divita”, di “rispetto della situazione delle per-sone”. “Tutto questo postula che non si pos-sa proporre un modello uniforme di itine-rario” (n. 25). I criteri di valutazione sonolegati non all’età o agli anni trascorsi, maalla maturazione nelle risposte concrete delgruppo stesso e nella situazione delle comu-nità (piccole/grandi; città/campagna; italia-ni/stranieri). Questo rende molto “relativi” isussidi pubblicati, quando essi costringonodentro uno schema troppo rigido, senza of-frire alternative ai percorsi proposti.

Un altro esempio di gradualità è dato dal n.51 ove si parla delle celebrazioni: “Il Ricaprevede che la comunità cristiana sia invario modo sempre presente e partecipe inogni passaggio e tempo dell’itinerario ca-tecumenale. Il catecumeno viene così con-dotto gradualmente a partecipare alle ce-lebrazioni della comunità, specialmenteall’eucaristia e alle feste dell’anno liturgico.Ci si deve tuttavia chiedere se sia opportunoche egli partecipi a tutta la celebrazioneeucaristica. I ragazzi catecumeni, qualora

non ci siano gravi inconvenienti, potreb-bero prendere parte con i loro coetanei allaliturgia della parola ed essere quindi di-messi. In questo modo l’educazione allapartecipazione liturgica avverrebbe nelrispetto del principio della gradualitàe della progressione”. Quanto si dice dellecelebrazioni si deve applicare anche a tuttigli altri aspetti della vita cristiana. Nel du-plice senso che la gradualità esige di proce-dere, partendo da zero, con le cose più im-portanti e, strada facendo, aggiungere altrecose più difficili da capire, da celebrare, dafare. E nel senso che non si procede oltreattraverso il passaggio verso una nuova tap-pa, se non si è acquisito in forma stabile uncerto comportamento di vita cristiana.

Le celebrazioni e l’unità dei tre sacra-menti dell’iniziazione cristianaSia nel Rica sia nella Nota 2 si parla rara-mente della mitica “prima comunione”: siparla, invece, sempre di Battesimo Cresimaed Eucaristia proprio perché – come altreistituzioni o feste cristiane – per molti oggiessa ha perso il suo significato in riferimentoa Cristo, ma è diventata semplicemente ungesto socialmente corretto come “festa deibambini”, isolata e a sé stante, senza ri-mando ad un seguito di vita cristiana vis-suta. Così come il Battesimo non ha rilevan-za alcuna nell’esistenza di molti cristiani,poiché confinato nell’età incosciente dall’in-fanzia di cui nessuno conserva memoria.Infine, la Cresima, stiracchiata lungo gli an-ni, più avanti o più indietro secondo le esi-genze pastorali, caricata di troppi significatiad essa estranei, è diventata una specie disacramento conclusivo della propria appar-tenenza alla comunità cristiana.

Per ripristinare il giusto significato dell’ini-ziazione cristiana nei sacramenti celebrati

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sia il Rica sia la Nota 2 pongono come es-senziale al “vertice dell’iniziazione cristia-na” la celebrazione unitaria dei tre sa-cramenti del battesimo, della conferma-zione e dell’eucaristia. Così si esprime laNota 2 (n. 46): “In considerazione del le-game con il mistero pasquale i sacramentidell’iniziazione cristiana si celebrano dinorma nella Veglia pasquale o in altra do-menica durante il tempo pasquale (Rica343)” E anche questo pone fine alla praticaabusiva di celebrare tali sacramenti nelle fe-ste civili del 25 aprile o 1 maggio o la Co-munione la sera del Giovedì Santo. Ma con-tinua la Nota: “Per salvaguardare l’unitàdell’iniziazione e la successione teologicadei sacramenti, il battesimo si celebra du-rante la messa nella quale i neofiti per laprima volta partecipano all’eucaristia. Laconfermazione viene conferita nel corso del-la stessa celebrazione o dal vescovo o dalsacerdote che dà il battesimo”.

Dunque, si diventa cristiani non solo attra-verso il percorso di conversione progressivoe graduale del catecumenato, ma attraversol’immersione nella morte e risurrezione diCristo, come mistero pasquale che si compieanche in noi, similmente al suo. Si diventacristiani con il Battesimo, la Cresima e l’Eu-caristia: finché non si partecipa pienamenteall’Eucaristia non si può dire di essere di-ventati cristiani nel senso di appartenere to-talmente al corpo di Cristo nella chiesa cat-tolica. Come afferma il Rica nell’introduzio-ne generale (n. 2): “I tre sacramenti del-l’iniziazione cristiana sono così intimamen-te tra loro congiunti, che portano i fedeli aquella maturità cristiana per cui possonocompiere nella chiesa e nel mondo la mis-sione propria del popolo di Dio”.

Nel corso dei secoli eventi particolari hannocondotto a spalmare i tre sacramenti in tempi

successivi e spesso slegati tra di loro; ad in-vertirne l’ordine secondo esigenze pastorali;a dare ai sacramenti dei significati puramen-te sociali o addirittura magici, come se agis-sero automaticamente; infine, a perdere ilsignificato originario, ponendoli fuori di uncammino che li sorregga e dia loro il signi-ficato di culmine e fonte della vita cristiana.La Nota 2 propriamente pone fine a questedistorsioni: è una pietra miliare nel rinno-vamento della catechesi.

Ed affinché la celebrazione unitaria dei tresacramenti non avvenga improvvisamentee senza la giusta percezione del loro signi-ficato, “attraverso le diverse celebrazioniche scandiscono il cammino i ragazzi sonogradualmente formati al celebrare cristia-no, in modo che la partecipazione diventiconsapevole e piena” (n. 45)

La Nota 2 definisce il ruolo dei riti lungoil percorso:– il senso: “Componente fondamentale è

quella liturgica, anche se non prima inordine cronologico: in essa emerge chel’iniziazione è opera di Dio che salva l’uo-mo, suscita e attende la sua collabora-zione”

– le caratteristiche specifiche: “la cele-brazione non è collocata solo al termi-ne… ma accompagna tutto l’itinerario,diventando espressione della fede, acco-glienza della grazia propria di ogni tappa,adesione progressiva al mistero della sal-vezza, fonte della catechesi, impegno dicarità, preparazione adeguata al passag-gio finale”

– i tre riti essenziali scandiscono i quattrotempi: La prima tappa è l’ammissione alcatecumenato (n. 40); la seconda tappa èl’elezione o chiamata al battesimo (n. 42);la terza tappa è il vertice dell’iniziazione

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cristiana: essa consiste nella celebrazionedei sacramenti del battesimo, della confer-mazione e dell’eucaristia” (n. 46).

Risulta evidente a proposito di riti e celebra-zioni che esse costituiscono la struttura ditutto l’itinerario catecumenale, come la Pa-rola di Dio ne costituisce l’origine temporale.La Nota 2 afferma da una parte che “l’annoliturgico risulta di fatto il contesto più op-portuno per compiere questo annuncio nar-rativo e coinvolgente” (n. 32); e dall’altrache “il vertice dell’iniziazione cristiana stanella celebrazione dei sacramenti” (n.46).Esiste una progressione e una gradualitànell’imparare a celebrare da cristiani, la qua -le scandisce i tempi e le tappe del percorsocatecumenale attraverso i riti di passaggio eattraverso gli altri riti tipici compiuti lungoil percorso.

Tra questi riti tipici, sempre più frequentinel percorso a mano a mano che la vita cri-stiana si approfondisce, la Nota 2 richiama: – “il rito di accoglienza nel quale si espri-

me il fatto che il candidato viene chia-mato da Cristo, da lui accolto in seno algruppo di amici che condividono la chia-mata e fanno l’itinerario di iniziazione”(n. 39)

– “il tempo del catecumenato è ritmato dacelebrazioni in stretta relazione con lacatechesi che si va sviluppando e secondoil metodo della traditio-redditio, come laconsegna della Bibbia, del Simbolo dellafede, del Padre Nostro, delle Beatitudinie della Legge. La riconsegna potrebbe av-venire al termine delle relative catechesie dopo un periodo di esperienza” (n. 41).

– “il tempo della preparazione immediataai sacramenti è ritmato da alcune cele-brazioni: le consegne o riconsegne se non

sono state fatte precedentemente, gliscrutini o celebrazioni penitenziali (n.43)… nel tempo degli scrutini i fanciulligià battezzati possono celebrare il sacra-mento della penitenza” (n. 44).

– “nel tempo della mistagogia i neofiti sipreparano a celebrare comunitariamenteil sacramento della penitenza, secondatavola di salvezza dopo il battesimo… esi può prevedere durante questo tempo laconsegna del giorno del Signore, del ca-techismo che deve guidare la formazionecristiana negli anni successivi” (n. 49).

LA MISTAGOGIA

Se ormai è chiaro il quadro generale del per-corso catecumenale con le sue pietre miliari,proposte dal Rica e dalla Nota 2, pare al-trettanto chiaro che l’itinerario non si puòconcludere con la celebrazione dei sacra-menti, come la maggior parte dei “corsi” ca-techistici sia per ragazzi sia per giovani eadulti realizzati ancora nelle nostre comu-nità. Questa è un’altra pietra miliare. La mi-stagogia esiste per indicarci che nessunitinerario è orientato ad un sacramento,ma tutti sono orientati alla vita cristianaattraverso il sacramento celebrato. Anzi,tutta la vita cristiana sta sotto la luce del sa-cramento celebrato e dunque è essenzial-mente una esistenza mistagogica. La se-quenza nelle dimensioni cristiane della vitaè: la fede creduta, poi celebrata, quindi vis-suta, infine testimoniata.

Per questo, come l’itinerario catecumenaleaveva la sua prima tappa nel primo annun-cio che precede e sostiene tutto, così ha lasua conclusione nella mistagogia. Anchequesta parola pone fine al tempo dei vari“post”. Post-cresima, post-matrimonio, post-

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ecc. Sono parole generiche nel linguaggiocristiano, visto che esiste un termine peresprimere la realtà in maniera suggestiva echiara: “mistagogia”.

Così si esprime la Nota 2: “Con la celebra-zione del battesimo, della confermazione edell’eucaristia non è terminato l’itinerariodi iniziazione cristiana. Inizia il tempo dellamistagogia per familiarizzarsi sempre dipiù con la vita cristiana e i suoi impegnidi testimonianza (Rica 369)” (n. 48). Co-me dire che senza la mistagogia non esistenessun itinerario catecumenale, perché essane è parte integrante. Fin dall’inizio deveessere chiaro, quando si fa la proposta allefamiglie e alle comunità.

“La mistagogia dovrebbe estendersi per tut-to il tempo pasquale e per l’intero annosuccessivo e potrebbe concludersi con unasolenne celebrazione dell’anniversario delbattesimo” (n. 48). Nella pratica di questidieci anni in alcune diocesi la mistagogia èstata prolungata per due anni e l’ambienteadatto al passaggio dal gruppo catecumenaleall’inserimento nella vita ordinaria della co-munità ecclesiale è parso a molti esserel’Oratorio con le sue attività educative per ipreadolescenti e gli adolescenti. Infatti, se èfinito l’itinerario, non è terminata la forma-zione cristiana che deve affrontare i nuovipassaggi di vita nell’età adolescenziale e nel-la giovinezza con i loro ostacoli e le conse-guenti scelte da operare nella prospettivacristiana.

Dunque, la mistagogia è il tempo in cui s’im-para stabilmente a vivere ciò che si è sco-perto lungo il cammino e ciò che si è cele-brato nei sacramenti; è il tempo dell’inseri-mento consapevole nella chiesa, corpo diCristo, fatto da diverse membra e di cui noi

siamo diventati parte con l’Iniziazione Cri-stiana; è il tempo della testimonianza darendere per spargere attorno a noi il “pro-fumo di Cristo”, la luce della Pasqua, la di-mensione dell’amore e del perdono. La mi-stagogia rappresenta dunque per noi unaspecie di cartina di tornasole per verificarese l’itinerario è stato corretto, pur mettendoin conto la percentuale di abbandoni uma-namente comprensibile.

CONCLUSIONE: IL FUTURO

Quale sarà il futuro che questi anni stannopreparando? Non sono un profeta e non soprevederlo. Tuttavia, avendo introdotto nel-l’iniziazione cristiana la mentalità catecu-menale, si può prevedere che sarà necessariorafforzare le nostre comunità affinché pos-sano vivere lo spirito missionario in una so-cietà che ignora sempre più chi è il SignoreGesù e che cosa significa essere cristiani. Ilfuturo sarà forse l’itinerario catecumenale osarà altro ancora che lo Spirito santo vorràsuggerire alle chiese: certo è necessario usci-re dalle nostre tane e dai nostri nidi per cer-care nuove strade di evangelizzazione, comedice Gesù:“le volpi hanno le loro tane e gliuccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio del-l’uomo non ha dove posare il capo”(Mt8,20).

Io credo che saremo preparati al futuro seriusciremo da una parte a fissare bene questepietre miliari che qualificano la nuova men-talità nel portare a compimento la missioneaffidataci da Gesù, come scrive la Nota 2,al n.21: “Dio ha attuato la salvezza del ge-nere umano nella storia attraverso eventisuccessivi fino all’evento ultimo e definitivodella Pasqua di Cristo. Similmente egli con-tinua a operare a livello di ogni persona

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con interventi successivi fino a farla par-tecipe del mistero pasquale di Cristo e in-serirla nel suo popolo. Questa successionedi interventi di Dio costituisce un vero eproprio “itinerario”, nel quale ogni personaè chiamata a entrare, accogliendo la Parolache viene da Dio, partecipando alla cele-brazione dei santi misteri e portando fruttidi un’esistenza rinnovata. Anche l’inizia-zione cristiana è un itinerario…”.

Una nuova visione dell’azione pasto-rale della chiesa è chiamata in causa oggi.Dall’altra parte è un impianto nuovo adessere richiesto anche per la catechesi ordi-

naria affinché possa portare i frutti di unavita nuova nel mondo d’oggi. Non è soloun aggiustamento metodologico richiesto danuove tecniche comunicative o dall’irrequie-tezza sempre maggiore dei ragazzi. È unnuovo impianto che assume per adesso ilnome di “itinerario catecumenale”, ci liberadalle pressioni ancora presenti d’uniformitàsociale superficiale; ci toglie la fama d’agen-zie rivolte ad amministrare sacramenti e ciorienta verso l’integrazione tra la Parola an-nunciata, la Presenza del Cristo Salvatore,la Vita nuova da attuare quotidianamentenell’amore.

Roma, 7 settembre 2009

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1. L’OBIETTIVO DELLA RELAZIONE

Nella lettera d’invito al nostro Seminario diStudio sia don Guido Benzi, Direttore del-l’Ufficio Nazionale Catechistico, sia Mons.Walter Ruspi, Responsabile del Servizio Na-zionale per il Catecumenato, hanno chiara-mente esplicitato l’intento del nostro conve-nire qui a Roma per questi due giorni, nelsolco della tradizione: “Non si tratta di ef-fettuare riflessioni sull’intero problemadell’Iniziazione Cristiana dei ragazzi, ma diriflettere sulle esperienze compiute, com’èindicato dal capitolo V del RICA, relative adaccompagnamenti di iniziazione cristianaper ragazzi che hanno domandato di dive-nire cristiani”. Cercherò di attenermi a questaprospettiva delineata, illustrando con sem-plicità quanto nella mia Diocesi di Cremonaè avvenuto in questo arco di tempo, peraltrobreve ma anche molto intenso. Dico subitoche non mi sarà possibile prescindere daqualche “considerazione riflessa” e “a tuttocampo”, per così dire: non desidero certoaddentrarmi nei “massimi sistemi teoretici”

che vedono oggi una complessità evidente,e – diciamolo subito – anche una variegataabbondanza di opinioni spesso anche fluide,dal momento che si incrociano sempre piùormai, e spero sempre meglio felicemente,le dimensioni teologica, pastorale, cateche-tica, persino canonistica con tutte le istanzedel caso, che spaziano dalla liturgia alla pe-dagogia, dall’antropologia all’etica, ecc.

2. L’AVVENTURA DELL’I.C. CATE-CUMENALE A CREMONA E ILSUO TRAVAGLIO1

Come altre chiese particolari o locali in Italia,anche la diocesi di Cremona da qualche annoormai si sta cimentando coraggiosamentecol rinnovamento dell’iniziazione cristianasecondo il modello catecumenale: i primi ti-midi tentativi di “rinnovamento” – avviatimediante un apposito Convegno diocesanonel settembre del 2003 con il Vescovo Mons.Dante Lafranconi da pochi mesi divenutoVescovo di Cremona – si sono man mano

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1. L’obiettivo dichiarato di questa Relazione al Seminario di Studio sul Catecumenato(“A 10 anni dalla II Nota sull’iniziazione cristiana: una rilettura dei risultati e dei punticritici per una riproposta, in un contesto che richiede un primo annuncio più diffuso”).

2. L’“avventura” della chiesa particolare di Cremona: brevi cenni storici del suo “travaglio”.3. Rilettura della Nota per la Diocesi di Cremona, ma non solo.

1 Per celia, mi sovviene alla mente L’avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone e Il travaglio della co-scienza di don Primo Mazzolari.

RELAZIONE:IL CAMMINO COMPIUTO

Don Antonio Facchinetti, Responsabile dell’Ufficio Evangelizzazione e Catechesidella Diocesi di Cremona

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chiariti e consolidati in questi ultimi anni,tanto che oggi si preferisce non parlare piùdi “sperimentazione” ma di “cammino ordi-nario” (almeno in prospettiva, anche perl’immediato futuro) di tutte le comunità par-rocchiali o unità pastorali. E questo avvienegrazie a diversi fattori che si richiamano, siintegrano e si sostengono a vicenda: a) orientamento fermo del Vescovo – quindi,

delle strutture di governo della diocesi edegli organismi pastorali di partecipazione– sempre più convinto della bontà delladirezione imboccata, ribadita grazie allacapillare visita pastorale che sta compien-do alle parrocchie;

b) sensibilizzazione progressiva insistita del -le comunità parrocchiali, preoccupate del -l’andamento delle cose (secolarizzazioneavanzata delle famiglie, defezione post-cresima dei ragazzi in Oratorio, scarsitàdelle figure ministeriali tradizionali comei catechisti, emarginazione culturale deicredenti in ambiti sociali, formativi, ani-mativi, ecc.) ma incerte nel rinnovamentoche comporta una autentica “conversionepastorale” (mancata comprensione dellasostanza del progetto di rinnovamento,confinato talvolta a questioni di mera me-todologia; fatica nel superamento delleresistenze da parte dei genitori adulti pro-pensi ancora alla delega in ambito edu-cativo-catechistico; scarsità delle collabo-razioni laicali idonee all’evangelizzazionedi adulti e da adulti; limiti oggettivi nelri-modellamento di spazi, tempi, attività;difficoltà nel raccordare e armonizzare leesperienze plurime ma frammentarie dieducazione alla fede dei ragazzi nei nostriambiti tradizionali, come l’Oratorio, ecc.);

c) formazione e fruizione di figure mini-steriali – accanto ai pastori insostituibili– sempre più congruenti alle esigenzedelle comunità ecclesiali, sulla identità

variegata delle persone, alla competenzanel servizio, al numero sempre da in-crementare;

d) messa a punto di strumenti atti a favorirenuovi itinerari formativi, sia per i ragazzistessi sia per i loro genitori: la realizza-zione di una sussidiazione appropriata(anche se imperfetta, ovviamente) com-porta sempre la rivisitazione del progettonei suoi tempi (ad esempio, gli anni dimistagogia passati da due a tre), nei suoicontenuti (ad esempio, l’ipotesi di un se-condo percorso formativo delle famiglie,in maggiore armonia con il cammino“contenutistico” dei ragazzi e attento alleforme ormai altamente differenziate di vi-ta familiare, per i genitori separati o di-vorziati risposati), nei suoi processi (adesempio, presenza di numerosi immigratisensibili, ritmi diversificati di crescitaumana e cristiana per i simpatizzanti, iconvinti, gli indifferenti, gli ostili).

I motivi dell’opportunità – meglio della ne-cessità – della “conversione pastorale“ in ri-ferimento al popolo di Dio soggetto e oggettodel rinnovamento, sono noti e risaputi, ri-proposti costantemente dai Vescovi oltre chedagli esperti di settore; altrettanto conosciuti,però, sono i timori, le resistenze, le fragilitàinevitabili quando si mette mano a cambia-menti di questa portata (per cui “l’Italia èlunga” si osa dire e non dire da parte nonsoltanto dei nostri presuli). Infatti, è asso-dato che non si tratta soltanto di ritocchi distrategia conveniente o aggiustamenti pas-seggeri di moda, con il ricorso a tecnichenuove magari prodigiose nei risultati di coin-volgimento immediato e duraturo delle per-sone: è in gioco la pastorale stessa nella suaglobalità, perché con mirati passi si tendepazientemente a ricostruire quel tessuto ec-clesiale che è andato dissolvendosi quanto

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a capillarità, quotidianità, stabilità, nelle casedelle nostre famiglie e nei nostri ambientiecclesiali educativi, in primis l’Oratorio.

Insomma, la Chiesa di Cremona – guidatadal proprio Vescovo, mite e rispettoso deiritmi e delle forze umane in campo ma ri-soluto nell’orientamento direzionale e nellaprogressività dei passi pur graduali – vuolecondividere l’impegno di tutta la Chiesa ita-liana nel tornare a trasmettere efficacementela fede alle nuove generazioni, concentran-dosi sulla comunità e sulla famiglia comenaturali grembi generatori. È poi convinzio-ne piena del Pastore che se, da una parte,le comunità ecclesiali vanno stimolate amuoversi con decisione sostenendo i rischie le fatiche inevitabili, dall’altra, è tuttaviala forza di emulazione (soprattutto grazie arisultati evidenti) che può sprigionare gli en-tusiasmi delle comunità ecclesiali nell’ab-bracciare il rinnovamento, superando i limitioggettivi presenti in un cambiamento radi-cale e globale come il nostro, dovuti a tantifattori endogeni ma anche influenze di undeterminato ambiente culturale e religioso.

Va subito detto, a questo punto, che la sceltadi avviare l’iniziazione cristiana secondo ilmodello catecumenale è stata accompagnatain diocesi da un’altra opzione correlata, as-solutamente fondamentale: non si può rin-novare l’iniziazione cristiana se non a partireda una rivisitazione della prassi di accessoal battesimo dei bambini e di accompagna-mento successivo dei loro genitori, quindirinnovando profondamente la pastorale dazero a sei anni (come sta avvenendo intante grandi diocesi italiane, e non solo alnord). Anche sul territorio cremonese, èun’eredità felice del passato la richiesta delbattesimo da parte della maggior parte dineogenitori, sia pur per motivi spesso pura-

mente sociologici di tradizione: se la doman-da richiede di essere certamente ri-educatamerita comunque di essere positivamenteaccolta e valorizzata. Di qui lo sforzo im-procrastinabile di rinnovare la prassi batte-simale non solo nei riti celebrativi del sacra-mento, ma nella preparazione seria dei ge-nitori e, ancora prima, nel coinvolgimentodella comunità ecclesiale, in particolare quel -la eucaristica domenicale.

In un progetto condiviso largamente dagliUffici pastorali che mette al centro la famigliacome soggetto della comunità ecclesiale e lacomunità come famiglia di famiglie, una rin-novata strategia pastorale pre-battesimale epost-battesimale vuole colmare il tradizio-nale vuoto tra la celebrazione del battesimoe l’inizio dell’iniziazione cristiana dei fan-ciulli, normalmente sei anni dopo. In questomodo, da una parte, si lega sempre più lafamiglia alla comunità e, dall’altra parte, lachiesa alla famiglia con momenti comunitariprogressivi, ben articolati e predisposti, inordine sia alla celebrazione del battesimo –si veda, ad esempio, la sollecitazione del-l’Ufficio Liturgico a favorire con celebrazionidistinte il rito del Battesimo dei bambini nelleassemblee eucaristiche domenicali – sia allapastorale delle famiglie giovani con i loro fi-gli piccoli – si vedano i suggerimenti pasto-rali dell’Ufficio Famiglia per le celebrazionianniversarie o le feste tradizionali, come pu-re le occasioni aggregative specifiche di ac-coglienza e accompagnamento nelle comu-nità parrocchiali (di propria appartenenza oalmeno localmente prossime), stanziate suun preciso territorio.

È in questa prospettiva formativa che vannolette tutte le proposte diocesane di avviaree sostenere per le famiglie itinerari globalidi risveglio alla fede, di riscoperta del sacra-

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mento del matrimonio, di ripresa dell’appar-tenenza alla chiesa dentro l’odierno oriz-zonte sociale-politico-economico-culturale,di crescita nella responsabilità educativa ver-so i figli, di apertura alle famiglie in situa-zione di svantaggio per fragilità congenite ocongiunturali oppure nel caso dei flussi mi-gratori consistenti e variegati: quanto maipreziose risultano, a questo proposito, le fi-gure ministeriali nuove dei catechisti batte-simali, operanti a livello domiciliare oppurecomunitario parrocchiale, dentro una colla-borazione stretta tra presbiteri e laici davveropromettente per passione e dedizione. Ed èproprio a seguito di un accompagnamentodi questo tipo, puntuale e adeguato, che lafamiglia accostata e accompagnata non fapiù fatica ad intraprendere – con l’iniziazionecristiana – un’altra tappa significativa dellacrescita propria e dei figli, dentro l’unico svi-luppo di maturazione della fede coniugale egenitoriale.

Sempre nel Convegno diocesano del settem-bre 2003, originante per così dire il rinno-vamento, il Vescovo di Cremona fu risolutonel richiedere – “obbligatoriamente”, perusare un’espressione antipatica – a tutti ipresbiteri ed operatori pastorali di metteresubito mano nelle proprie realtà ecclesiali alrinnovamento della prassi pastorale da zeroa sei anni. L’avvio degli itinerari di speri-mentazione catecumenale dell’iniziazionecristiana venne invece solo “calorosamentesuggerito” per allora, con l’adesione inizialedi una dozzina di parrocchie.

Aderendo alla proposta del Servizio Nazio-nale per il Catecumenato e seguendo la cor-rispondente Guida per l’itinerario catecu-menale dei ragazzi la diocesi di Cremona siimpegnò collegialmente ad elaborare uncompleto progetto diocesano anche sotto il

profilo editoriale, articolando tempi, obiettivi,contenuti, attività, celebrazioni, esperienzedi vita solidale e fraterna, sia per i genitorisia per i ragazzi. Non è necessario qui deli-neare l’intero impianto della sussidiazione:basta consultare lo schema generale del pro-getto ed i singoli schemi sintetici di ognifase; in questa sede, è preferibile accennarealla filosofia di fondo che accompagna ogniarticolazione.

Nella fase preparatoria (cosiddetto anno zero)si desidera puntare alla sensibilizzazione dellacomunità, alla formazione del gruppo dei ca-techisti/accompagnatori, alla preparazionedella famiglia all’itinerario catecumenale.

Nel Primo Tempo (Prima Evangelizzazione)della durata di due anni, ci si dedica alla for-mazione sia del gruppo educatori (catechi-sti/animatori dei ragazzi e accompagnatoridei genitori) sia del gruppo dei ragazzi (peraccogliersi e conoscersi reciprocamente). Do-po una celebrazione apposita per l’iniziodell’attività del gruppo – celebrazione prefe-ribilmente informale per mettersi in ascoltoreciproco e orientarsi al discepolato – il grup-po dei catechisti accompagnatori entra in unpercorso formativo di base mediante lo stu-dio preciso del progetto e dei documenti ma-gisteriali che vi stanno a monte, mentre ilgruppo dei ragazzi comincia a scoprire edincontrare Gesù attraverso il Vangelo di Mar-co e il catechismo Io sono con voi; a suavolta, il gruppo dei genitori avvia un per-corso formativo studiato appositamente percogliersi come coppia che riprende in manola propria fede, il proprio matrimonio, la pro-pria paternità-maternità educativa verso i fi-gli anche sotto il profilo morale-religioso.

Durante il secondo anno, mentre l’équipeaffina la sua preparazione di base e coltiva

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i nuovi contenuti con proposte adeguate,i ragazzi proseguono la lettura del Vangelodi Marco – insieme al catechismo Io sonocon voi – per andare incontro a Gesù chenasce, per imparare a seguirlo nell’amoreverso Lui e verso il prossimo, per conoscerela sua morte e risurrezione, per accogliereil dono dello Spirito. I genitori, invece, conschede apposite ed incontri a laboratorio,affrontano temi sempre più impegnativiche li riguardano direttamente circa la re-lazione sponsale (con attenzione alla co-municazione, alla corporeità, ecc.) e la spi-ritualità di coppia (in comunione con le al-tre famiglie).

Con il terzo anno inizia per i ragazzi e leloro famiglie il Secondo Tempo (Verso i sa-cramenti), della durata di almeno tre anni,con la Fase Biblica, la Fase Liturgico-Co-munitaria, la Fase Esistenziale, fino all’ini-zio dell’ultima Quaresima. Ogni fase con-templa obiettivi (che gradualmente vannodall’approccio alla storia della salvezza, allaprofessione di fede, alla conversione, allasequela del Signore, all’amore cristiano),contenuti (il Vangelo di Luca, gli Atti degliApostoli, la Prima Lettera di Giovanni, il li-bro di Giona, il decalogo, le parabole dellamisericordia, il discorso della Montagna,insieme ai catechismi Sarete miei testimonie Venite con me), attività (lettura dellaBibbia, esame di coscienza, preghiera in fa-miglia e nella comunità, prime celebrazioniparrocchiali, esperienze significative diamore, perdono, solidarietà), celebrazioni(Presentazione alla comunità, Traditio eRedditio del Credo, del Padre Nostro, delPrecetto del Signore, prima celebrazionedella Penitenza). Anche l’itinerario per lefamiglie si intensifica sempre di più di espe-rienze di preghiera, di educazione religiosae morale, di testimonianza sia in casa con

i propri figli sia nella comunità ecclesialecon i suoi ambienti aperti sul mondo.L’Ultima Quaresima coincide con il TerzoTempo (Elezione ai sacramenti) con la pre-parazione immediata dei ragazzi e delle lorofamiglie alla celebrazione unitaria dellaConfermazione e dell’Eucaristia nella So-lenne Veglia Pasquale o durante il TempoPasquale. Chiude l’itinerario il Quarto Tem-po della Mistagogia, non meno di tre anni,per fare spazio nell’età delicata della pre-adolescenza alla interiorizzazione del Gior-no del Signore con l’Eucarestia, della Ri-conciliazione e Direzione Spirituale, dellaTestimonianza nella chiesa e nel mondomediante il discepolato autentico, vale adire dentro lo stile permanente di vita se-condo il Vangelo.

In diocesi, ormai un terzo delle parrocchiesi è messo in cammino: quasi una decina diparrocchie è già giunta al Tempo della mi-stagogia, vero banco di prova di tutto il pro-getto. In questa linea, si sta intensamentelavorando con l’Ufficio di Pastorale Giova-nile e con la Federazione Oratori della Lom-bardia (Odielle) per promuovere un cammi-no integrato che permetta la continuità maanche la distinzione dell’iniziazione cristianacon l’educazione/formazione religiosa per-manente dei pre-adolescenti, degli adole-scenti e dei giovani. È presto fare una va-lutazione ponderata di quanto sta succeden-do nel cantiere aperto: è indubbio che il fattodi muoversi sempre più numerosi e semprepiù celermente nella direzione giusta è giàpositivo, sebbene qua e là i passi avanzatiappaiono ancora un po’ goffi. Ma proviamo ora a tentare qualche rifles-sione più articolata del “cammino com-piuto”, affrontando direttamente gli snodiessenziali della Nota che stiamo esami-nando.

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3. RILETTURA DELLA NOTAPER LA DIOCESI DI CREMONA,MA NON SOLO

Se qualche mese fa – evidentemente primadella proposta da parte dell’UCN di questonostro Seminario – ci avessero a sorpresachiesto a quando esattamente la secondaNota risaliva indietro nel tempo, penso cheavremmo fatto tutti un po’ di fatica a iden-tificare l’arco di dieci anni. E questo sia per-ché l’epoca che viviamo è davvero inesora-bilmente rapida nei suoi complessi cambia-menti sia perché siamo ultimamente sopraf-fatti da numerosi e solidi documenti magi-steri ali – peraltro invocati almeno sommes-samente perché indispensabili per stare alpasso dei tempi e per cogliere di questi ultimii “segni” autentici, per stare al Concilio. Qua-si senza tregua, i testi si susseguono, incal-zanti e robusti, normalmente più che ade-guati agli scopi: tutti noi, però, fatichiamoad assimilare la ricchezza, la lucidità, la pro-fondità e – perché no – anche la bellezza diquesto indubbio “profluvio” del magisteroecclesiale ordinario.

Stimolato allo studio da questa circostanza“romana”, sono rimasto piacevolmente sor-preso nel rileggere la Nota in maniera com-pleta, pacata, non funzionale a qualche sbri-gativa citazione per giustificare alcune lineedella nostra chiesa italiana nel rinnovamen-to più generale della prassi pastorale. Mi cisono ritrovato pienamente nel documentoche peraltro si amalgama bene con tanti altritesti magisteriali di questi anni pressochéunivoci nell’evidenziare gli orientamenti difondo per trasmettere la fede oggi, fondan-

doli criticamente a partire dal mutato con-testo socio-culturale: uno sguardo disincan-tato e onesto alla realtà non può che riman-dare alla medesima disanima lucida dei datioggettivi e alla condivisione dei nuovi in-tendimenti per promuovere in modo efficaceil Vangelo di sempre, verso tutti e conside-rando tutto. Tante volte, mi pare, dobbiamofelicitarci della rivisitazione (magari obbliga-ta) delle nostre esperienze che ci permetteuna migliore coscientizzazione dei percorsi insvolgimento e favorisce un dischiudersi di-sinteressato di orizzonti ampli di riferimento.

La Premessa del nostro documento apre conla “scelta qualificante” della Chiesa italianaal Convegno ecclesiale di Palermo2 del “pas-saggio” a una “pastorale di missione per-manente” e precisa immediatamente l’ “oriz-zonte” socio-culturale in cui va a collocarsiil “progetto” delle tre Note Pastorali sullaIniziazione cristiana del Consiglio Perma-nente della CEI per il suo inserimento nella“pastorale ordinaria” a favore:

1) delle persone adulte che chiedono i sa-cramenti;

2) dei fanciulli e i ragazzi dai 7 ai 14 anniche chiedono di essere iniziati al misterodi Cristo e alla vita della Chiesa;

3) di coloro che desiderano risvegliare la fe-de in Cristo, dopo aver ricevuto il Batte-simo ma non essendo mai stati evange-lizzati.

Infatti, con pennellate stringate ma dense,si delinea l’ambito di riferimento in cui ci siintende muovere: “una società caratterizza-ta dal pluralismo culturale e religioso e per-corsa da molteplici fenomeni di secolari-

2 Cf. CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 23 e, soprattutto: CEI, Evangelizzazione e testimonianzadella carità. Orientamenti pastorali per gli anni ’90.

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smo”. Con altrettanta concisione e chiarezzasi allude alla necessità-finalità di “ricercadelle forme più idonee per annunciare ilVangelo e promuovere una mentalità cri-stiana matura”: esigenza-obiettivo che altermine della Premessa coraggiosamente as-sume la connotazione di “conversione pa-storale che dia il primato all’evangelizza-zione e all’educazione della mentalità di fe-de”. A parte l’espressione “mentalità di fe-de” (espressione classica anzi “tecnica” pernoi, persino affettivamente cara, grazie alDocumento Base del 1970, ma ormai ob-soleta e anacronistica per l’accentuazionedella componente cognitiva nella trasmis-sione della fede), ci sono tutti gli elementiprincipali della questione che ci riguarda,per così dire proprio le chiavi di volta deldiscorso di rinnovamento della chiesa inItalia, a partire dall’iniziazione cristiana maper estendersi alla pastorale tout court. Esarà bene indugiare prossimamente sui ter-mini fondamentali del “primato dell’evan-gelizzazione” e della “educazione dellamentalità di fede”: in questo modo si riusciràmeglio a coscientizzare le esigenze fonda-mentali e urgenti del rinnovamento pasto-rale, cogliendone le motivazioni profonde eautentiche, deducendone gli sviluppi e gliesiti più adeguati ed incisivi.Volendo essere fedele alla griglia sapiente-mente suggerita, vorrei insieme confrontar-mi per accenni sui riscontri più importantidella Nota nello sviluppo/crescita pastoraledella mia diocesi di Cremona ma credo anchedi tante altre chiese sorelle: amo pedagogi-camente definirli elementi di “presenza, as-senza e trasformazione”, per servirmi di unatriade nota.3

1) Primo annuncioRiprendendo la magnifica espressione del-l’Esortazione Evangelii Nuntiandi, possia-mo affermare che anche per le nostre co-munità parrocchiali avanza la consapevo-lezza che “evangelizzare è la grazia e la vo-cazione propria della chiesa, la sua identitàpiù profonda”: semmai, sono le forme diispirazione e le modalità concrete di attua-zione di questo irrinunciabile impegno perla chiesa e per il mondo che fanno problema.Soprattutto, risulta ancora incompresa lapriorità che decisamente merita il primo an-nuncio in relazione alle successive articola-zioni della catechesi e della parenesi, tuttee tre dimensioni costitutive del servizio dellaParola. La centralità, l’urgenza, la significa-tività del primo annuncio è oggi ammessada tutti, come principio: in realtà, la sua va-lenza non ispira o impregna ancora estesa-mente e fino in fondo la comunicazione dellafede nelle nostre comunità ecclesiali, sia sulversante degli adulti (dove qualche sensibi-lità in questa direzione si avverte di più) siasul versante dei ragazzi (dove fatichiamo adarrenderci a questa consapevolezza del se-colarismo in cui si cresce fin da piccoli, per-ché ancora restii a recepire che l’habitat quo-tidiano pervasivo dei nostri bambini/ragazziè avulso dal Vangelo). A mio avviso, l’ori-ginalità ma anche l’ambivalenza del catto-licesimo popolare italiano (cf. Convegno ec-clesiale di Verona) ci condiziona in questo,positivamente e negativamente: come ha af-fermato bene nel suo discorso conclusivopapa Benedetto XVI questa eredità – deci-samente felice ma purtroppo fragile – rap-presenta un’autentica sfida anche per la fedecristiana in Europa, se si riesce a declinarla

3 Cf. P. Franco Imoda dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Potremmo anchescegliere il percorso “penitenziale” di Confessio laudis, vitae e fidei del Card. Carlo M. Martini. Più prosaicamente,si potrebbe ancora optare per i colori del semaforo, verde, rosso e giallo.

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fruttuosamente, senza ingenuità ma anchesenza preclusione. Aggrappandosi al vigoretradizionale del cattolicesimo popolare, è ve-ro che si potrebbe correre il rischio di lasciarsiancora cullare dall’onda lunga della socia-lizzazione religiosa tridentina, ormai stori-camente conclusa secondo gli osservatoripiù attenti e credibili: mi sembra, tuttavia,un rischio remoto o isolato, perché nessunooggi vuole eludere lucidamente la respon-sabilità di affrontare con determinazione laderiva dirompente o subdolamente striscian-te della rovinosa secolarizzazione, che pa-radossalmente lascia intravvedere ampisquarci di germinazione positiva della fede,soprattutto oltralpe.4

Fin da subito, non si tace sulla crescente do-manda del Battesimo per i fanciulli e i ra-gazzi anche nelle comunità ecclesiali di lun-ga tradizione: nella mia diocesi è ancora dilenta erosione il fenomeno della dilazione odel rifiuto, ma fino a quando? Inoltre, si ma-nifesta molto raramente il caso che sia il ra-gazzo a maturare autonomamente dall’am-biente familiare la decisione di farsi battez-zare, magari stimolato dall’esempio dei coe-tanei, dalle positive influenze associative op-pure per contagio di ambienti tradizional-mente fervidi sotto il profilo religioso. Nédeve passare inosservata la greve sottoli-neatura del documento che comunque nonè bene agire indiscriminatamente nel cele-brare i sacramenti.Con una trattazione sobria ma lineare delprofilo storico dell’iniziazione, la Nota ci in-segna a ridimensionare – in maniera salutare– le esperienze pur significative che viviamo,facendoci superare la tentazione di assolu-tizzarle con rigidità quasi ideologica. Il sanodistacco dal nostro pensare ed operare – cir-

coscritti per natura nel tempo e nello spa-zio –, ci aiuta a rinvenire equilibri certo fa-ticosi ma anche disincantati e, soprattutto,porta consolazione alle frustrazioni un po’inevitabili che insorgono quando il lavoropastorale ci consuma, facendoci dimenticareche ci dovremmo sempre meglio fidare delSignore e della sua Provvidenza.Richiamando l’autorità stessa del Concilionel ripristino del catecumenato, codificatopoi nel RICA, il nostro documento esplicitachiaramente la necessità di legare stretta-mente la conversione personale dei ragazzialla educazione richiesta dalla loro età dentroun cammino disteso nel tempo e caratteriz-zato per gradi e per riti. Viene contempora-neamente sottolineata l’importanza della te-stimonianza degli adulti educatori, la valen-za comunicativa dell’apprendistato nei pro-cessi educativi, il coinvolgimento della co-munità ecclesiale che “consegna” la fede“visibile” (traditio) perché a loro volta i ra-gazzi la riconsegnino (redditio) dopo averlainteriorizzata, in modo da partecipare e as-similare in pienezza il mistero pasquale neisacramenti del Battesimo, Confermazione edEucarestia. Così, il cammino articolato se-condo una sapiente pedagogia cristiana econ una propria originale fisionomia spiri-tuale, anche mediante segni liturgici, vienea coincidere con l’iniziazione cristiana intesacome processo globale col quale si diventacristiani, secondo l’azzeccata e fortunataespressione al nr. 7 della Nota dell’UCN del1991 Il catechismo per l’iniziazione cri-stiana dei fanciulli e dei ragazzi. Nota perl’accoglienza e l’utilizzo del catechismo del-la CEI.Tuttavia, è nel secondo capitolo del testoche indirettamente emerge il rimando al pri-

4 Sarebbe alquanto interessante potersi intrattenere sui tanti segnali che giungono da ogni parte sul cosiddetto“ritorno” di Dio o dell’Assoluto.

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mo annuncio anche per i ragazzi, laddovesi afferma che, a causa della scristianizza-zione sempre più estesa, i fanciulli e i ragazzibattezzati si distinguono nei riguardi dei coe-tanei che chiedono il Battesimo soltanto peril dono della grazia che portano in sé ma dicui non hanno coscienza. Questa esigenzaimprescindibile improcrastinabile anche peri ragazzi del primo annuncio pare chiarissi-ma nella mente di catechisti e catechiste cheaccompagnano i ragazzi in modo tradizio-nale e che lamentano l’infruttuosità di uncammino educativo alla fede spesso margi-nale nei confronti della vita reale, non certoispirata al Vangelo: appare giocoforza la pu-rificazione della richiesta usuale della meracelebrazione dei sacramenti. Gli esiti di unatrasmissione della fede così concepita o sem-plicemente tollerata sono sotto gli occhi ditutti, non soltanto nel momento eclatantedell’addio alla vita cristiana dopo la cresimama anche nella dolorosa disaffezione all’eu-carestia domenicale dopo la prima comunio-ne stessa.

2) Coinvolgimento dei genitoriLa Nota, diffusamente, chiama in causa igenitori come primi educatori della fede.L’indugiare sull’accesso ai sacramenti del-l’intera famiglia in età apostolica e nei primisecoli della chiesa e sulla formazione reli-giosa familiare nell’epoca medievale è elo-quente in questo senso. La stessa sensibilitàreligiosa tiepida o robusta vissuta in casaviene costantemente messa in luce e il ruolodella famiglia viene ampiamente precisato. Anche nella mia diocesi, sui principi ci sia-mo, nonostante qualche accenno preoccu-pato o persino risentito verso le tante e gravifragilità che oggi contraddistinguono la fa-miglia e che quindi scoraggerebbero la suacentralità: lo scoglio viene però superatodall’insistenza sul fatto che due però sono i

grembi generatori della fede, la chiesa e lafamiglia, l’uno non senza l’altro. Colto con realismo il panorama molto varie-gato dei destinatari (ostili, indifferenti, sim-patizzanti, tiepidi, convinti, ecc.), bisognaammettere senza paura i versanti della faticadel nostro procedere con le famiglie:a) il fronte della interazione e del confronto

con le persone, capace sì di accoglienzadisinteressata e paziente, ma anche diaccompagnamento autentico e fermo chesappia orientare, promuovere, far evol-vere verso orizzonti più alti, pur nel ri-spetto di base e nella gradualità;

b) il versante delle figure ministeriali forma-tive il cui numero e la cui qualificazioneancora non possediamo in maniera suf-ficiente, stabile, sicura, pur potendo con-tare, nelle nostre comunità, su testimonicredibili che sono davvero adulti maturinella fede;

c) l’aspetto concernente le tattiche/strategiedelle modalità operative, con il corollariodei mezzi, degli strumenti, delle tecniche,mai affinate ad abbastanza e mai cosìsolide da perdurare a lungo, fino ad al-largarsi ai luoghi e ai tempi per le attività,impropri a causa di fattori noti o impre-vedibili.

Coinvolgere i genitori nell’iniziazione cristia-na dei loro figli forse oggi appare tutto som-mato possibile, e forse neppure tanto diffi-cile: a questa età, i bambini sono ancoramolto seguiti (e magari anche un po’ soffo-cati) dai loro cari, fino ad essere purtroppo“mollati” nell’età critica della pre-adolescen-za e dell’adolescenza. Cooptare i genitorinell’educazione dei figli appare a loro stessiplausibile come impegno, anzi desiderabile,tanto più che la semplice socializzazione aiu-ta nell’orientarsi nelle scelte di fondo perchécondivise o almeno confrontate insieme tra

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famiglie omogenee per età e condizione. Esi avverte facilmente l’utilità del sostegnoreciproco e della solidarietà, soprattutto difronte a problematiche oggi complesse e ar-due.Il problema – che possiamo e dobbiamo fardiventare risorsa nella linea della resilienza,per usare un termine attuale fortunatamentericorrente a fronte di rimostranze o lamen-tazioni sterili – è il risveglio della fede persé, prima che per i propri figli: difficile è pro-muovere con i genitori un vero e propriocammino di fede, dentro un accompagna-mento serio e appropriato, che dalla ricercaporti fino alla conversione, nel rispetto dellestagioni di vita ma anche dei ritmi di vita dioggi, esili e contraddittori non solo per il la-voro ma anche per gli affetti. La perseveran-za in questi casi non è affatto scontata: lafedeltà a un cammino appare talvolta eroica,per i condizionamenti esterni infidi ma ancheper intrinseche debolezze e sfinimenti.

3) Unità dei sacramentiTutti i documenti magisteriali della SantaSede e di riflesso dell’episcopato italiano so-no concordi nel richiamarla e sottolinearlaripetutamente, distinguendola dalla questio-ne dell’ordine dei sacramenti. In realtà i dueaspetti sono strettamente collegati e dovel’ordine dei sacramenti non prevale, neppu-re l’unità dei sacramenti viene salvaguar-data di fatto. È persino scontato osservareche nessuno la contesta formalmente in li-nea di principio ma è altrettanto vero chese si sceglie un certo ordine dei sacramenticoncretamente la si accoglie o vi si rinun-cia.5 Non è questo lo snodo centrale, si suoleripetere da più parti, e non a torto del tutto.

Eppure questi aspetti dell’unità e dell’ordine,a mio avviso, si richiamano strettamente efanno emergere qualche contraddizione difondo del discorso iniziatico che è delicatoe complesso anche per le incrostazioni dinatura storica. Infatti, si allude qui a unapolarità sintetizzabile negli slogan “accessoalla fede mediante i sacramenti” – “accessoai sacramenti mediante la fede”, con l’ac-cento spostato ora sulla grazia divina orasulla disposizione umana. Questa dicotomiaè impropria e lesiva del significato sacra-mentale, se permane la volontà di non co-niugare equilibratamente insieme i dueaspetti teologico e antropologico, sia per ra-gioni biblico-liturgiche sia per motivazionipedagogico-pastorali.Sappiamo tutti che le due realtà devono con-vergere ed armonizzarsi in un unico mistero,di chiamata e risposta: non è così facile sa-pere fin dove arriva l’una e inizia l’altra oviceversa. Sappiamo tutti che dobbiamo farei conti con la storia, non esente da limiti oda parzialità. Sappiamo tutti che la sensibi-lità della nostra gente è fin troppo acuta suquesto versante, per pressioni sociali notealla tradizione cristiana. Eppure, come a fa-tica, ci teniamo a far gradualmente superarele scadenze automatiche, modulate sulla fre-quenza scolastica, proprio perché la fede ab-bisogna di un cammino serio e convinto,ugualmente dovremmo esigere maggior-mente da noi stessi l’abbandono di modellitradizionali di cui percepiamo oggi l’incon-sistenza e l’inefficacia.Nella mia diocesi – e credo in molte altre –molti parroci fanno davvero fatica a sman-tellare abitudini consuete in questa direzio-ne, pagando il caro prezzo della infecondità

5 Per essere espliciti a questo proposito, mi chiedo spesso come mai si fa tanta resistenza ad accettare l’anticipodella cresima rispetto alla prima comunione, se proprio si vuole distinguere pedagogicamente le tappe per educaregradualmente alla celebrazione dei sacramenti?

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nell’impegno pastorale (peraltro generoso)sia della propria persona, sia dei collaboratoripiù stretti come i catechisti: certo le sceltepastorali innovative devono essere oculatee ponderate, ma non rinviate all’infinito perirragionevoli irenismi o malcelate conve-nienze. La semina nel campo del Signoremerita coraggio e fiducia nei nostri sforzipersonali e comunitari: la lungimiranza nonè subito compresa da tutti e gratificata, per-ché c’è anche la proverbiale “profezia” dellafede in tutto questo. E comunque, diciamosubito a scanso di equivoci che neppure que-sti orientamenti attuali dovranno pretenderela definitività, l’assolutezza, la completezza:non sarà improbabile in futuro magari nep-pure tanto lontano dover ripensare e ripla-smare il modello di trasmissione della fede,a seconda delle cangianti stagioni epocali,della storia singolare e imprevedibile dellepersone, del profilo etnico-culturale differen-ziato dei gruppi umani, della vitalità persao ritrovata delle comunità ecclesiali.Se vogliamo tornare aderenti alla nostra No-ta, riscontriamo in più passi i riferimenti al-l’unità dei sacramenti e al loro ordine: nellaIntroduzione, si presenta con sobria com-pletezza il senso del Battesimo, della Con-fermazione e dell’Eucarestia e si cita espres-samente il RICA che nella sua Introduzionegenerale dichiara i tre sacramenti “intima-mente tra loro congiunti” e successivamentenel Capitolo quinto si illustra l’istituzione delcammino catecumenale per i bambini nonbattezzati che culmina “nella celebrazioneunitaria dei sacramenti”. Qui però si inne-stano gli itinerari differenziati dell’iniziazionecristiana per i coetanei già battezzati: na-scono allora due forme, un duplice sboccodel cammino in gruppo dell’iniziazione cri-stiana dei ragazzi. La prima forma avvienequando il bambino non battezzato si unisceal gruppo dei coetanei già battezzati, si pre-

para con loro e celebra unitariamente i tresacramenti della iniziazione cristiana – pos-sibilmente nella Veglia pasquale, si premuradi suggerire il nostro testo – mentre i coe-tanei già battezzati celebrano la Conferma-zione e la prima Eucarestia. La seconda for-ma viene assunta quando i fanciulli catecu-meni in senso proprio ricevono il Battesimoe l’Eucarestia mentre i loro coetanei battez-zati sono ammessi alla Prima Comunione,per accedere insieme almeno due anni dopoalla Confermazione. Legittime entrambe leforme, ma la prima oggi forse non è piùconfacente alle nostre esigenze di evange-lizzazione, nel contesto socio-culturale checi ospita dentro un disegno di Dio comunquesempre Provvidente?

4) Celebrazioni liturgicheÈ divenuta ormai pacifica la circolarità delledimensioni costitutive dell’iniziazione cri-stiana e della vita cristiana in genere, cate-chesi-liturgia-carità: la Nota quasi ad ogniparagrafo lo ribadisce. Nella premessa siparla di “corretta celebrazione dei sacra-menti”; nell’introduzione si precisa conchiarezza il significato dei tre sacramentidell’iniziazione cristiana; nel capitolo primosi illustrano i riti che hanno man mano con-trassegnato la storia bimillenaria della chie-sa, culminando nella celebrazione del mi-stero pasquale di Cristo; infine, nel capitolosecondo, dapprima, si enuncia che le cele-brazioni liturgiche sono “componente fon-damentale dell’itinerario dell’iniziazione,anche se non prima in ordine cronologico”,lungo tutto l’itinerario; in secondo luogo,una volta fatto emergere che “l’iniziazioneè opera di Dio, che salva l’uomo, suscita eattende la sua collaborazione”, ci si soffermacon precisione sui tempi (evangelizzazioneo precatecumenato, catecumenato, purifica-zione quaresimale, mistagogia) e sulle tappe

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o passaggi (ammissione al catecumenato,elezione o chiamata al Battesimo, celebra-zione dei sacramenti dell’iniziazione cristia-na, cioè Battesimo, Confermazione ed Eu-carestia), con l’illustrazione degli elementicelebrativi, delle disposizioni personali, deiriscontri comunitari, delle consegne impe-gnative (cf. celebrazione semplice di acco-glienza nel gruppo catecumenale, ammis-sione pubblica al catecumentato con pre-sentazione alla comunità, consegne dellaBibbia o del Simbolo della fede o del PadreNostro o delle Beatitudini o della Legge,scrutini per il giudizio di idoneità, celebra-zione solenne dei sacramenti nella Vegliapasquale o nel Tempo pasquale, periodoprolungato della mistagogia per familiariz-zare di più con la vita cristiana e i suoi im-pegni di testimonianza).Non stupisce pertanto l’importanza attribui-ta alle singole celebrazioni che numerose esignificative costellano il modello dell’ini-ziazione cristiana catecumenale. E impararea celebrare bene è un’educazione che arric-chisce il singolo ma pure la comunità, fa-cendo si che la forbice fra vita e culto si ri-duca a vantaggio del Vangelo vissuto, e benvissuto anche perché ben celebrato. Nonmeraviglia neppure l’attenzione alla gra-dualità, tanto che se, da una parte, si sot-tolinea la partecipazione progressiva del ca-tecumeno alle celebrazioni della comunità,specialmente all’Eucarestia e alle feste del-l’anno liturgico, dall’altra, si ipotizza la suapartecipazione alla liturgia della Parola e laconseguente dimissione. Inoltre, c’è l’espli-cito invito a considerare la possibilità pro-spettata dal Direttorio per le Messe con par-tecipazione di fanciulli a celebrare la litur-gia della Parola in un luogo a parte, percongiungersi poi – da parte dei bambini bat-tezzati – a tutta la comunità con la presen-tazione dei doni.

È noto che la partecipazione alla Messa siadei bambini battezzati sia dei catecumeni insenso proprio è un problema pastorale rile-vante: lo confermano i dati impietosi – pur-troppo destinati a peggiorare – della scarsapartecipazione alla messa domenicale daparte dei bambini con le loro famiglie, so-prattutto nelle zone urbane, mentre a con-fronto la frequenza al catechismo settima-nale registra quasi ovunque defezioni pocorilevanti. La mia Diocesi non fa eccezione:i tentativi comunque di inserimento graduale– come la celebrazione separata per i bam-bini della Parola di Dio la domenica – inco-raggiano senza dubbio e inducono alla spe-ranza. Non sfugge a nessuno la mera con-statazione che la non partecipazione allamessa domenicale è da attribuirsi alla sen-sibilità dei genitori che prima ancora di es-sere educatori dei propri figli anche nellafede sono coerenti o meno con la propriamaturità cristiana.Comunque vale la pena registrare positiva-mente quanto giovano le celebrazioni benpreparate e vissute, sia per i protagonististessi della iniziazione cristiana – bambini/ragazzi, genitori, catechisti/animatori/ac-compagnatori – sia per le comunità cristianedegli adulti: qui fa la differenza, da una par-te, la promozione della ministerialità laicalein tutta la sua gamma variegata, dall’altra,l’affinamento della capacità di presiedere cheva nella linea del decoro, dell’ordine, dellabellezza anche estetica, scongiurando lafreddezza, la sciatteria, l’anonimato non in-frequenti nelle assemblee eucaristiche do-menicali. Uno specchio assolutamente fedeleed eloquente in questa direzione è la cele-brazione unitaria dei sacramenti nella Vegliapasquale: la commozione di chi vi partecipanon può essere relegata ad effimera espe-rienza emotiva, esaltante ma circoscritta,promettente ma parziale.

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5. Inserimento del gruppo nella comunitàSenza osare scomodare l’assioma patristicoriproposto in epoca conciliare dal grandeteologo H. De Lubac “l’eucarestia fa la chie-sa e la chiesa fa l’eucarestia”, si deve rico-noscere che è la comunità ecclesiale degliadulti a modellare progressivamente i grup-pi catecumenali dei ragazzi e dei loro ge-nitori ma, contemporaneamente, sono igruppi a ri-plasmare la comunità degli adul-ti, rifluendovi con superiore maturità di fe-de, con accresciuta passione di testimo-nianza e di servizio. E se, abbastanza fre-quentemente, ci si lamenta nel gruppodell’assenza o perlomeno della distanza del-la comunità adulta dal cammino di inizia-zione in cammino, viceversa, anche la co-munità adulta può recriminare sulla chiu-sura protratta a lungo del gruppo in sé. Diqui l’osmosi reciproca salutare per tutti, siaall’inizio dell’itinerario sia al suo termine,per non parlare del durante. Infatti, il verogrande obiettivo del rinnovamento della ini-ziazione cristiana, dichiarato o meno, è larivitalizzazione del tessuto ecclesiale: losanno bene tutte quelle parrocchie cheavendo iniziato seriamente la sperimenta-zione – al di là dei limiti inevitabili maspesso positivamente contenuti – e aven-dola corretta e affinata man mano con de-dizione e passione – non senza grande fa-tica – si ritrovano a fruire provvidenzial-mente della testimonianza e del servizio diadulti risvegliati nella fede, corroborati nellasequela al Signore. Certo, non tutti i nostridestinatari ma comunque un buon numeroperviene a questo felice traguardo.Si vengono così a toccare i massimi sistemi,quelli della comunità ecclesiale chiamataad evolvere, secondo l’indovinata espres-sione di A. Fossion, dalla “pastorale di in-quadramento” verso la “pastorale di ac-compagnamento”.

6. MistagogiaSi tratta della sfida più grande per tuttal’iniziazione cristiana: e molti, anche nellamia chiesa locale, stanno a vedere gli esitidella sperimentazione, o per abbracciarlapiù compiutamente oppure per archiviarladefinitivamente. Per ora, solo pochissimeparrocchie l’hanno iniziata – proprio loscorso anno – per cui ci si sta interrogandoanche come commissione diocesana cen-trale, impegnata alacremente sul fronte del-la confezione della sussidiazione che sivuole condividere con la pastorale giova-nile. Delle parrocchie sperimentanti, si puòdire che il gruppo che ha camminato benetutto l’itinerario e ha vissuto bene la cele-brazione unitaria dei sacramenti – soprat-tutto la Veglia pasquale – tiene fondamen-talmente nel suo complesso: la defezione èmolto limitata fra i ragazzi che comunquefrequentano l’Oratorio, un poco più pro-nunciato è l’abbandono dei percorsi forma-tivi fra i genitori.L’impegno grande per tutti è completare sìl’iniziazione cristiana dei ragazzi – su cuieffettivamente si scommette, dato che l’etàadolescenziale in ogni caso comporta il fe-nomeno della desatellizzazione dai prece-denti riferimenti introiettati dagli adulti si-gnificativi, in casa o a scuola o in palestrao altrove – ma è cruciale il loro restare inambiti educativi ecclesiali, pur con altreesperienze connotate da obiettivi, tempi,modalità differenti. Più delicata è certamen-te la continuità per gli adulti del processodi formazione permanente alla fede, checomporta responsabilità, coerenza, fedeltàdi impegno cristiano, tanto nell’ambito ec-clesiale quanto in quello della vita sociale,economica, politica, culturale. Questo si-gnifica la “misura alta della santità” addi-tata da Giovanni Paolo II per il nostro nuo-vo millennio.

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Che dire di nuovo dal punto di vista teologicosull’IC dei fanciulli e dei ragazzi che non siagià stato detto? Da più parti e a più ripresesono state sottolineate e approfondite le di-mensioni teologiche fondamentali dell’IC,quali emergono dall’ordo rituale degli adulti(RICA):

– la globalità di un cammino organico, in-tegrale, graduale ed esperienziale, che in-serisce la celebrazione dei sacramenti inuna iniziazione complessiva alla vita cri-stiana;

– l’ecclesialità del cammino e l’importanzadella comunità quale soggetto e contestodell’IC;

– il coinvolgimento personale ed effettivodei soggetti, nell’attenzione antropologicaalla loro storia personale e sociale;

– il primato dell’iniziativa di Dio (che sitraduce nel primato della Parola e nelladecisività della celebrazione sacramenta-le);

– l’unitarietà dei tre sacramenti, intorno alprincipio eucaristico, fons et culmen dellavita sacramentale.

L’impressione iniziale è quella di un discorsopiù bisognoso di una seria ed effettiva de-clinazione pratica che di un approfondimen-to teorico. Mai come in questo campo il cam-mino verso un nuovo modello sacramentalee pastorale passa attraverso la passione e ilrealismo degli esploratori (coloro che testi-moniano che “si può fare”), più che la teoriapur necessaria dei cartografi che traccianole rotte senza percorrerle (coloro che affer-mano “si deve fare”).E tuttavia, là dove a muoversi non è più

soltanto la singola comunità, ma l’interaChiesa locale, come evidenziano le analisiriportate nel presente seminario, abbiamo lapossibilità nuova di verificare concretamente– nel rapporto tra la teoria e la prassi – quelliche sono i punti fermi da ritenere acquisiti,i principi eventualmente ancora bisognosi diapprofondimento, i nodi da sciogliere e i col-legamenti necessari perché un elementodell’IC non prevalga a scapito del l’insieme.Rispetto alla griglia di interpretazione pro-posta per la lettura delle esperienze in corso(1. primo annuncio; 2. coinvolgimento fa-miglie; 3. unità e ordine dei sacramenti; 4.dimensione celebrativa; 5. inserimento nellacomunità; 6. mistagogia), mi pare di poterriflettere in modo particolare su quattro deisei punti, e precisamente sull’unitarietà deisacramenti dell’IC, sul rapporto tra IC e mo-dello di Chiesa, sul modello di IC da pro-muovere, sulla dimensione celebrativa e mi-stagogica.

1. L’ORDINAMENTO EUCARISTICODELL’IC

Il primo punto sul quale è utile fare il puntoriguarda l’unitarietà dei tre sacramentidell’IC, intorno al fondamento e al riferi-mento eucaristico. A distanza di 10 anni co-me valutare la titubanza con cui il principiodell’unità è da una parte proposto con forza(2,18,19), dall’altra è “spuntato” nella pos-sibilità della forma tradizionale (55)? Pa-zienza verso la storia recente (solo cente-naria, ma intanto quasi secolare, e ancoraben radicata nell’immaginario iniziatico dellareligione civile), oppure mancanza di corag-

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ALLA RICERCA DELL’INIZIAZIONE PERDUTADon Paolo Tomatis, Direttore ULD Torino

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gio? Flessibilità pastorale o saggezza teolo-gica di chi non intende decidere una voltaper tutte e per sempre la natura dei singolisacramenti, in modo particolare della Con-fermazione?Intanto il fatto che da qualche parte vi sianoteologie della Confermazione non semplice-mente funzionali al principio pedagogico del-la distensione temporale, ma plausibili dalpunto di vista teologico,1 è invito ad unacerta cautela nell’affermare: “Tutto sbaglia-to”, a proposito dell’ordine consueto (B-E-C), come se la recente storia della prassidell’IC – e l’attuale disposizione canonica ecatechistica della CEI – fosse il frutto di unmalinteso, da dimenticare in fretta. Una cer-ta flessibilità in questo senso è utile per duemotivi fondamentali:

– per non attribuire alla celebrazione unitariaun peso decisivo, che non può avere senon nell’insieme di un nuovo modellocomplessivo; non basta insomma ritrovarel’ordine tradizionale, perché l’IC effettiva-mente inizi alla vita cristiana e della co-munità;

– per “non strappare”, dare effettivamentespazio a differenti percorsi possibili, in li-nea con l’attuale varietà delle situazionipersonali, familiari, e soprattutto sociali,e nella prospettiva di un ascolto attentodi coloro che si avvicinano per i sacra-menti.

Detto ciò, possiamo contare su alcuni segnaliche incoraggiano verso una accoglienzasempre più condivisa e convinta del guada-

gno proveniente dalla prospettiva unitariaper la comprensione e la celebrazione deisingoli sacramenti. Il modo con cui ad esem-pio Sacramentum Caritatis 17 rilegge il bat-tesimo e la Confermazione in riferimento alMistero eucaristico è in questo senso oltre-modo significativo:

“Se davvero l’eucaristia è fonte e culmine della vitae della missione della Chiesa, ne consegue innanzitutto che il cammino di IC ha come suo punto diriferimento la possibilità di accedere a tale sacra-mento […] Non bisogna mai dimenticare, infatti,che veniamo battezzati e cresimati in ordine all’eu-caristia”.

“Veniamo battezzati e cresimati in ordineall’eucaristia”: la decisione con cui la tradi-zione occidentale ha da sempre custodito lacelebrazione unitaria per gli adulti, insiemealla sicurezza con cui la tradizione ortodossaha da un certo punto della storia in poi con-ferito i tre sacramenti dell’IC agli infanti, in-vitano a concentrare, anziché diluire; a cer-care l’optimum (che struttura l’intero cam-mino attorno al cuore dell’eucaristia dome-nicale), anziché accontentarsi del bonum;ad essere più coraggiosi e decisi, almeno perquel che riguarda i fanciulli e i ragazzi chericevono il battesimo (a quando un libro uf-ficiale dei catecumeni?).È evidente come tale scelta debba far partedi un tutto coerente, perché non appaia co-me il vino nuovo versato negli otri vecchidi una pastorale inadeguata. La storia deisacramenti ci ricorda a questo proposito co-me le pratiche sacramentali mutino nel ri-ferimento diretto e concreto al mutare dei

1 L’effusione speciale dello Spirito, nel rapporto tra Pasqua e Pentecoste (Chauvet); la novità della vita cristiana,in rapporto alle situazioni decisive e alle dimensioni fondamentali dell’esistenza antropologica, all’interno di unmodello sacramentale che sottolinea con vigore il significato del sacramento come “illuminazione dell’umano”(Lafont, Bourgeois).

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modelli ecclesiali, prima che dei modelli teo-logici.2 Nel nostro caso specifico, la questio-ne dell’ordine dei tre sacramenti dell’IC, edella giusta collocazione del sacramento del-la penitenza, è risolta nel riferimento essen-ziale alla civitas christiana, a quel modelloecclesiale che dando per scontata l’apparte-nenza alla fede e alla Chiesa sottolinea ledimensioni più personali del valore della“prima comunione” nel percorso di crescitadel fanciullo. Nell’immaginario civile e reli-gioso, il battesimo è cosa riguardante i bam-bini, l’Eucaristia nel percorso di IC è confusa(e lo sarà ancora per un po’ di tempo) conla “prima comunione”; quanto all’eucaristiadomenicale nel cammino ordinario degli ini-ziati, conosciamo la fatica di modellare lacoscienza e la forma pratica di un’effettivacomunità eucaristica (vale a dire un certomodo di percepire il senso della celebrazioneeucaristica, di vivere la domenica e l’annoliturgico…), così che la “coppa della sintesi”mostri il volto di una comunità di iniziati.Per iniziare alla fede eucaristica, occorre unaeffettiva comunità eucaristica: la cosa nonappare affatto scontata. Un circolo virtuosoincoraggia i nostri sforzi, perché una Chiesadi iniziati sappia iniziare, e perché generandonuovi figli la Chiesa possa realmente rige-nerare se stessa.3 L’invito ad una propostapiù coraggiosa relativa all’or dine dei sacra-menti deve pertanto accompagnarsi ad unaprogressiva riscoperta dell’identità eucaristi-ca della comunità cristiana, senza la qualeil perfezionamento iniziatico domenicale sca-de a buona abitudine, la prima comunione

rimane irrime diabilmente l’ultima, e la con-fessione una questione privata.La Veglia Pasquale, punto di riferimento es-senziale per l’IC di ogni età, costituisce inquesto senso il luogo simbolico-sacramen-tale per eccellenza, nel quale emerge l’evi-denza dell’identità eucaristica della Chiesa.Proprio la ricchezza e la complessità dellaVeglia pasquale, che non ammette improv-visazioni, ci ricorda che la questione pasto-rale dell’IC non è anzitutto una questione dicatechesi o di strategie educative, ma diidentità ecclesiale.

2. IC DEI FANCIULLI E MODELLODI CHIESA

In questa prospettiva, possiamo rileggere ildocumento CEI e le sperimentazioni dell’ICdei ragazzi in relazione all’identità del sog-getto ecclesiale all’origine del processo ini-ziatico e alla dimensione ecclesiale e co-munitaria dell’espe rienza della fede.Chi è la Chiesa che concretamente inizia allafede? Come si percepisce nei confronti di unmondo sempre più estraneo alla fede con-fessata, celebrata e vissuta? L’intentio dellanota 7 non va sovradeterminata (l’esigenzadi non dare i sacramenti in modo indiscri-minato), ma va considerata attentamentenella misura in cui rischia di metterci dallaparte di chi è a posto e deve mettere un po’di ordine e di serietà nel campo dei sacra-menti (magari facendo un po’ di giustizia:siamo mica una stazione di servizio del sa-

2 È il caso, ad esempio, del profilo individuale o comunitario del sacra mento della penitenza, che ha subito unforte mutamento di senso a partire dall’incontro con la forma monastica dell’esperienza cristiana. È il caso dellostesso battesimo dei bambini, che ha spostato considerevolmente l’asse del signi ficato teologico dalla novità divita nell’orizzonte della conversione, alla garanzia di salvezza nell’oriz zonte dell’affiliazione.3 Cf. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 8.

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cro!). Così facendo, “la conversione spiri-tuale” è per gli altri: a noi solo spetta allimite la “conversione pastorale”, per unacomunicazione della fede più seria ed effi-cace. In realtà, la prospettiva missionariadell’IC è kairos, segno del tempo e dello Spi-rito, che invita la comunità a rigenerarsi,generando “in un certo modo”.L’impressione generale è che la dimensioneecclesiale dell’IC sia ancora troppo presup-posta, data per scontata (26): si parla del-l’inserimento nel gruppo (27), delle figureministeriali implicate (28), del coinvolgi-mento della famiglia (29),4 della comunitàtutta chiamata ad intervenire e a partecipareal lavoro iniziatico, senza troppo soffermarsisulla dimensione problematica di tale pre-senza e di tale partecipazione. La pratica diquesti anni ci sta insegnando ad essere me-no preoccupati della risposta dei fanciulli edelle famiglie e più del profilo e dello stilerealmente comunitario della proposta! Difronte al compito che spetta alla comunitàcristiana, viene da chiedersi: dove è la co-munità? E quali caratteristiche deve avereper aprirsi ad una mentalità di tipo catecu-menale?Il valore ecclesiogenetico dei sacramentidell’IC è tale dove la “comunità” – qui con-cretamente intesa come il nucleo dei credentibattezzati che partecipano attivamente allavita della comunità – si lascia continuamenterigenerare dal modello globale, organico

dell’iniziazione. La capacità di iniziare allafede i fanciulli e i ragazzi suppone una co-munità parrocchiale in grado di offrire – pri-ma e dentro i necessari cammini – un voltoe una personalità, uno stile e un caratteredefiniti:

– una comunità capace di accogliere le per-sone all’insegna della gratuità (in un con-testo sociale nel quale generalmente le re-lazioni sono strettamente funzionali) e del-la libertà (in un contesto pluralistico e ten-denzialmente anti-istituzionale);

– una comunità appassionata del Vangelo,che sa “narrare” la propria esperienza difede con parole al contempo universali (lafede della Chiesa) e singolari (la fede comeesperienza viva), in un contesto nel qualeil primato dell’esperienza individuale ri-schia di implodere su se stesso;

– una comunità “mistagogica”, capace dipregare, celebrare e di affascinare al Van-gelo come Mistero (in un contesto apertoal versante “mistico” della fede);

– una comunità capace di fare “festa”, di of-frire una “casa” e di stare sulla “strada”,cioè di vivere nel mondo, senza rinunciarealla propria identità;

– una comunità “esperta in umanità”, edunque in grado di accompagnare edevangelizzare i luoghi effettivi della vita,nelle sue tappe e nelle sue situazioni fon-damentali.

4 A proposito del riferimento familiare, è interessante il fatto che il CJC non preveda la situazione particolare delfanciullo che necessita del consenso dei genitore, quando non di un accompagnamento concreto, assimilandodi fatto troppo in fretta la condizione del bambino giunto all’età della ragione alla condizione dell’adulto. Certorimane il diritto-dovere di educare alla fede da parte dei genitori (226). Più in generale, da più parti si rileva lasituazione inedita nella quale si trova ad essere la famiglia dei fanciulli che percorrono il cammino dell’IC. Dauna parte, si può contar sempre meno su famiglie “cristiane”; dall’atra, si tratta di rimotivarne l’impegno, rico-noscendo le possibilità-capacità da mettere a disposizione (proporre loro differenti modi di impegno); la propostadi reti di famiglie; renderle soggetti attivi di formazione anche religiosa… coinvolgere, non scaricare (no alla ca-techesi privatizzata nel santuario familiare: la catechesi è un fatto ecclesiale) né dare per scontato, tenere contoche l’edu cazione passa da lì.

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Da più parti, nelle sperimentazioni diocesa-ne, si avverte il fatto che il vero problemadell’IC dei nostri ragazzi non è tanto quellodi “convincere”, “motivare” genitori e ra-gazzi a fare un percorso nuovo, più affasci-nante e impegnativo: il vero problema èquello di aver fatto noi per primi questo per-corso. Da qui la necessità di reiniziare le no-stre comunità ai fondamentali della fede vis-suta, celebrata, confessata, testimoniata.Perché questo accada, è necessario che lacomunità sia anzitutto costituita da un “cuo-re pulsante”, vale a dire da un nucleo mi-nimo di “iniziati” ad un senso di identità eappartenenza tanto forte quanto aperto, ca-pace di sostenere la tensione tra la folla (ilcarattere popolare del cattolicesimo italiano)e i discepoli (il carattere esigente dell’Evan-gelo) che è tipica del compito missionarioche ci attende.È una tensione che può essere attraversatain modo fecondo solo sullo sfondo di unmodello di Chiesa, che dia forma ad unospecifico stile ecclesiale. Il Concilio VaticanoII ci ha consegnato a questo proposito l’im-magine di una Chiesa che si definisce come“sacramento” di comunione (“segno e stru-mento dell’unione intima con Dio e dell’uni-tà con tutto il genere umano”: LG 1), nelriferimento congiunto al Mistero di Dio ealla storia degli uomini (LG), in un atteg-giamento di ascolto, di rispetto della dignitàdell’altro (DH), incarnazione e dialogo at-tento con le istanze del mondo dal quale es-sa si riceve (GS). Da queste direttrici pro-vengono indicazioni preziose per una Chiesache si pone di fronte alle istanze pluraliste,secolariste e soggettivistiche della società,in modo non “debole” e scoraggiato, né “for-te” e settario, ma “umile”, nel custodire “ge-

losamente” la perla preziosa del Vangelo, enell’offrirLa al contempo con gene rosità,gratuità e libertà. Non rappresenta forsel’Eucaristia la figura perfetta, il sacramentodell’umiltà di Dio e della Chiesa, dove coin-cidono massima disponibilità e massimo im-pegno (accesso generoso, ma serio, non in-discriminato alla comunione)?Solo il volto di una Chiesa “umile” impedisceall’itinerario catecumenale di cadere nellatrappola del “rigorismo” (di volta in voltamorale o dogmatico) di fronte ad un mondosempre più lontano, così da accogliere real-mente l’altro, che si avvicina per mille motividiversi, nella sua capacità di provocare unmodo nuovo di dirsi e di proporsi: «ogniepoca ed ogni cultura costituiscono una oc-casione perché la Chiesa si “ridica”, in fe-deltà a se stessa e a ciò che essa è, in modonuovo ed inedito, in un modo, cioè, che laporti a riscoprire di se stessa qualcosa chesolo quella cultura e quella epoca le consen-tono di riscoprire».5 Il riferimento alla terra(humus) dell’humilitas esprime un trattofondamentale dell’economia salvifica, che siconcentra e si riassume nel Figlio di Dio chesi fa uomo e si china su quell’essere impa-stato di terra che è l’uomo, lasciandosi de-finire dalla relazione con Lui e definendo lostile della Chiesa. Al proposito, afferma lacostituzione conciliare Lumen gentium:

«E come Cristo ha compiuto la sua opera di reden-zione attraverso la povertà e le persecuzioni, cosìpure la chiesa è chiamata a prendere la stessa viaper comunicare agli uomini i frutti della salvezza.Gesù Cristo “sussistendo nella natura di Dio… spo-gliò se stesso, prendendo la natura di un servo” (Fil2,6-7) e per noi “da ricco che egli era si fece povero”(2 Cor 8,9): così anche la chiesa, quantunque perla sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non

5 Cf. R. REPOLE, Umiltà della Chiesa.

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è costituita per cercare la gloria della terra, bensìper far conoscere, anche col suo esempio, l’umiltàe l’abnegazione» (Lumen gentium, n. 8).6

Dalla forma umile del Verbo è l’invito per laChiesa a lasciarsi abitare dal soffio dello Spi-rito di Cristo (protagonista, secondo la nota,dell’IC: 22-23), che spinge ad un movimentoinsieme sintetico-comunionale (ad intra: viricorderà ogni cosa, vi guiderà alla veritàtutta intera; da qui la cura attenta per queiluoghi e quelle esperienze nelle quali tuttipossono e devono entrare) ed estatico-mis-sionario (ad extra: lo Spirito è il Signore chedà la vita, la suscita…; da qui la ricerca diquei passi che ciascuno può e deve fare peruscire da sé e far crescere la propria fede),in uno sguardo di “realistica fiducia” versotutte le epoche e tutte le situazioni in cui laChiesa si troverà a vivere, proprio perché siha la certezza che, nello Spirito, Cristo è pertutti. La consapevolezza di un aiuto nonsolo da offrire al mondo, ma anche da rice-vere, ascoltando e imparando (cf. Gaudiumet spes, 44), spinge la comunità a mettersiin un vero atteggiamento di ascolto e dialogocon i bambini e con gli adulti che si avvici-nano alla fede.Un tale stile, ovviamente, non si improvvisaed è frutto di tenace e appassionata dedizio-ne, oltre che di investimento concreto, benprima e al di là dei percorsi di IC: solo a que-

sta condizione l’opera dell’iniziazione, del-l’evangelizzazione, può risultare trasparente,nella sua natura testimoniale, e realmentecondivisa nelle diverse figure che interven-gono nel cammino di formazione.7

La domanda che sorge è perciò la seguente:come lavorare per questa opera di iniziazio-ne reciproca ad uno stile di Chiesa e ad unapassione evangelica? Come far sì che l’in-gresso nell’esperienza cristiana sia “un ba-gno di vita ecclesiale” (Testo nazionale perl’orientamento della catechesi in Francia)?L’appro fondimento della categoria di inizia-zione può a questo proposito offrirci alcunistimoli.

3. IL MODELLO INIZIATICO DELLAFEDE E LA PASTORALE DELLA“GENERAZIONE”

Come è risaputo, la progressiva affermazionedella categoria di IC quale figura sinteticadel processo attraverso cui si diventa cri-stiani non è avvenuta senza oscillazioni se-mantiche, che rinviano a loro volta a diffe-renti modelli interpretativi:

– la nozione patristico-misterica dell’inizia-zione attraverso i sacramenti, che pone alcentro l’atto rituale costitutivo dell’identitàcristiana;

6 Cfr. G. RUGGIERI, Evangelizzazione e stili ecclesiali: Lumen gentium 8,3 in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA,Annuncio del Vangelo, forma ecclesiae, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, pp. 225-256.7 Solo su questa base ha senso l’invito a non settorializzare e delegare troppo la pastorale dell’IC: la logica mi-nisteriale dell’iniziazione chiede di intrecciare l’impegno competente e generoso di alcuni (catechisti, animatoridel gruppo catecumenale) con la presenza di molti (tali dovrebbero essere!), che costituiscono la comunità deidiscepoli, sotto la presidenza attenta e fiduciosa di uno (il pastore della comunità). L’intreccio di queste figure(alcuni – molti – uno) è essenziale perché chi si avvicina alla Chiesa in occasione del cammino di IC incontridavvero i volti della comunità, riconoscendo in essa una dimora abitabile e desiderabile. Oggi più che mai, lapastorale dell’IC è chiamata ad essere insieme pastorale familiare e giovanile, ma pure caritativa e sociale, làdove si tratta di manifestare che il dono della vita nuova del Vangelo passa attraverso i gesti della cura, del-l’accoglienza e dell’educazione di un nuovo figlio e fratello più piccolo.

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– la nozione pedagogico-formativa dell’ini-ziazione ai sacramenti, che pone al centroil processo del divenire cristiano, colto nel-la globalità dei suoi elementi;

– la nozione antropologico-culturale di ini-ziazione, che invita a cogliere tale processonel quadro dei riti di passaggio.8

L’importanza di valorizzare e integrare glielementi portanti dei tre modelli è fuori di-scussione: l’iniziazione cristiana è in questosenso essenzialmente “atto sacra mentale”,all’interno di un processo globale disteso neltempo, che intercetta le dinamiche esistenzialipiù profonde dell’umano. L’impressione è chein questi anni si sia prestata molta attenzioneall’integrazione dei due primi profili (quellopiù liturgico e catechetico), piuttosto che al-l’integrazione del terzo, che ricorda all’IC lecondizioni perché la vita sia davvero iniziata.La condizione indispensabile è questa: che lavita sia toccata, illuminata, assunta, purificataed elevata nel “tocco di Dio”.Il modello iniziatico della fede e della pro-posta evangelizzatrice, in questo quadro,non è tanto chiamato a complicare l’itine-rario della fede attraverso tappe ancora trop-po estrinseche alla vita concreta delle per-sone (le tabelle riassuntive dei movimenti edegli obiettivi dei progetti pastorali hannotalvolta qualcosa di sospetto…), quanto asemplificare il cammino della fede nella stret-ta relazione con la vita, con l’umano da as-sumere ed illuminare, nella varietà delle suefigure. In tal senso, occorre vigilare sul pe-ricolo che la logica catecumenale sia perce-pita – gioco forza – più come una “gabbia”che rinchiude, che non una “finestra” che

si apre su un paesaggio attraente e tutto daesplo rare.L’invito è, a questo proposito, di declinarela categoria complessiva di iniziazione (cherimanda al tema della “generazione”) inchiave pratica, più precisamente estetica epoetica, perché tutta la vita possa entrarenel Mistero della salvezza. A questo propo-sito, il documento appare più preoccupatodi precisare i passi, le tappe e le dimensionidi cui tenere conto per un “vissuto cristianointegrale” (catechesi, vita, preghiera, rito,comunità, Paola…), piuttosto che di decli-nare quella grammatica della fede, che passaattraverso i luoghi della vita (la lezione diVerona, e il passo in avanti rispetto a Pa-lermo…), perché il vissuto cristiano sia dav-vero integrale.9

L’IC è un cammino che tocca la vita e cul-mina nel tocco di Dio: la via poietica edestetica dell’IC chiede di essere declinata nel-le diverse figure del vivere (e in modo par-ticolare della vita del fanciullo e del ragazzo:il gioco, l’apprendimento, lo sviluppo dellacoscienza…) che prendono la forma del le-game con Cristo, nella misura in cui “impa-rano” la grammatica e la sintassi della fedenel proprio corpo, attraverso la ginnasticaspirituale di quei gesti che danno alla vitala forma della fede.Nella misura in cui la fede è un lavoro deicinque sensi (e con essi degli affetti, dellamemoria..), essa è chiamata a rivisitare,ritrovare e approfondire quei luoghi, queigesti perduti che sono capaci di configurarela vita, e che rimandano in modo diversoalla figura del rito: ritualità che sospendonoe interrompono la sensibilità, nelle diverse

8 Cf. P. CASPANI, La pertinenza teologica della nozione di iniziazione cristiana, Glossa, Milano 1999, 11-101.9 Da questo punto di vista, occorre fare molta attenzione al linguaggio del primo annuncio (inevitabilmentetroppo didascalico?), da precisare bene perché appaia nel suo profilo testimoniale di “primi passi” coerenti conquello “stile” ecclesiale che rimanda allo stile evangelico della “santità ospitale” di Gesù (Theobald).

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figure dell’ascesi ordinaria e straordinaria;riti che integrano la sensibilità in una for-ma di vita (quella della fede vissuta nellacomunità) che dà forma alla fede; riti chetrasfigurano la vita, nel contatto con Dioche accende di luce i sensi. Ascesi, rito, fe-sta, sotto l’architesto della Parola, e nelcontesto della relazione comunitaria: que-sta la strada maestra per ridare consistenzae semplificazione al cammino iniziatico. Lafede come modo di mangiare, risvegliarsie andare a dormire, giocare e fare le va-canze, vivere la domenica e il tempo dellavoro…: la fede, come – secondo la bellaespressione della nota al numero 15 – una“liturgia della vita”.In questa via globale, che valorizza il corpoe il nesso con l’antropologico, e che guardaalla dimensione catecumenale all’interno diuna più ampia logica mistagogica si puòapplicare in modo più deciso il paradigmadella “generazione” alla situazione esi-stenziale dei fanciulli e dei ragazzi. Cosavuol dire per un fanciullo e un ragazzo chevive la stagione della crescita essere gene-rati alla nuova vita battesimale? Come fareemergere il teologico della vita nuova nel-l’antropologico dell’esistenza del fanciulloe del ragazzo? L’attenzione riflessiva adistruire la corrispondenza tra le due dimen-sioni ha privilegiato in questi decenni la si-

tuazione antropologica del lieto evento dellanascita e dell’accoglienza della vita in re-lazione alla Buona Novella dell’Evangelo:lo stesso lavoro appare promettente e ur-gente per la situazione – pur variegata –del fanciullo e del ragazzo, così che il rife-rimento alla soggettualità e al protagonismodei soggetti sia effettivo (e non solo accen-nato vagamente, come al numero 37).10

Carenza pedagogica, dunque, ma pure epiù in profondità, teologica: non si tratta diuna semplice strategia (conoscere il “reci-piente” per interessarlo), ma dell’effettivocompito di evangelizzare la vita. Il temadell’educazione, al cuor dell’IC del fanciulloe del ragazzo.

4. IC E IMPORTANZADELLA DIMENSIONELITURGICO-SIMBOLICA

L’attenzione portata sull’importanza delladimensione simbolico-rituale ci conduce adun’ultima sottolineatura, relativa alla di-mensione mistagogica e liturgica del-l’IC. La categoria mistagogica è qui utiliz-zata come metodo e come logica comples-siva, più che come tappa specifica. La mi-stagogia è coestensiva all’intero percorso,nella misura in cui il cammino iniziatico è

10 Il tempo del bambino, assimilato all’adulto, per la sua capacità di trattenere, di comprendere, fa leva sull’ap-propriazione personale della fede (la libertà, l’intelligenza); il suo essere dipendente fa leva sulla dimensionepassiva del dono da ricevere, dell’essere generati ad un’altra vita che non si riceve più dai genitori, ma da DioPadre e dalla Chiesa Madre, anche se tale generazione passa misteriosamente attraverso i gesti di amore, di per-dono, di preghiera, di esempio dei genitori… In tal modo l’essere continuamente generati alla vita per un ragazzopassa attraverso l’essere iniziati progressivamente all’amore che fa vivere… Sul nesso tra l’antropologico e ilteologico (l’acqua, il sangue, lo Spirito) nei luoghi teologici del figlio, del bambino (che dice sì, nell’aperturadella coscienza e nell’affidamento) e del ragazzo (nel divenire adulto…), cf: GUARDINI, Le età della vita; ANGELINI,Educare si può ma come?; BALTHASAR, Se non diventerete (il motivo per cui Gesù si attorniava di bambini…);MANZI, Gesù dodicenne… L’età della fanciullezza: la più felice, la più feconda: figura della vita buona, di unavita nel segno della fiducia e di un fondamentale disinteresse di sé (di me si occupano gli altri); il rafforzamentodella coscienza morale, la scoperta del mondo oggettivo.

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teso a condurre all’interno del mistero dellafede:– “mistagogia della vita”, nel senso in cui

Rah ner utilizza questa espressione,11 perindicare il coinvolgimento e l’illuminazionedell’umano;

– mistagogia rituale, intesa come la capacitàdella celebrazione liturgica di offrire a tutti(a chi è dentro, a chi si affaccia, a chi èpiccolo, a chi è grande…) un ambiente divita e di crescita spirituale.

Più in generale, si tratta di porre in eviden-za il carattere simbolico e sintetico dell’attoe del gesto rituale, dal punto di vista se-mantico (di ciò che esprime) e pragmatico(di ciò che opera, esprimendo). La capacitàdel rito di permettere l’accesso ad un livellopiù profondo e al contempo accessibile diesperienza e di comunicazione della fede(pragmatica, affettiva e simbolica…) è chia-mata ovviamente a misurarsi con tutti i ri-schi che la ritualità di ogni tempo corre(una concentrazione liturgica che si fa ri-duzione) e che in particolare la ritualità delnostro tempo è chiamata ad attraversare.Tra i principali:

– quello di uno scadimento del rito a lin-guaggio pedagogico della fede, per cui il

rito è continuamente da inventare, da ria-nimare e da modificare;

– quello di uno scadimento del rito a epifaniadell’io (in un’epoca di narcisismo), anzichéepifania di Dio: la sfida delle celebrazioniliturgico-sacramentali è quella di poter re-almente significare e realizzare il “tocco”del dito di Dio;

– quello di un deficit cerimoniale e mistago-gico, per cui non siamo educati al sensodelle forme e delle forze che provengonodal rito;

– quello di una forma rituale ancora incer-ta, a causa della riforma ancora in cam-mino, che non può contare su una formarituale sufficientemente condivisa e per-suasiva.12

In questo quadro, che rinvia ancora unavolta al problema di fondo di come le no-stre comunità celebrano, si può fare qual-che osservazione sui riti che più diretta-mente costellano e accompagnano il cam-mino dell’IC: in particolare, i riti delle con-segne sembrano essere troppi, troppoestrinsechi, costruiti un po’ a tavolino, at-torno al fulcro traditio-redditio, che correil rischio di lasciare in ombra il primatodell’iniziativa divina?13 Attenti al fatto che

11 Per “mistagogia della vita” Rahner intende l’arte di condurre dentro il vissuto umano per scoprirne l’aperturaal Vangelo, gli appelli alla grazia, la presenza operante dello Spirito. Cf. K. RAHNER, Sulla teologia del cultodivino, in: Nuovi saggi 8, 282.12 Cf. il confronto con la catechesi ortodossa, che può spiegare ai bambini il senso delle icone e degli inni litur-gici…13 Un occhio alla tradizione ci ricorda che a parte la consegna del credo e del pater, si parla di una consegna(porrectio, non traditio, di un libo datur non traditur) dei Vangeli (diversa dalla consegna dalla Bibbia): non delcredo lungo, del catechismo, tanto meno della domenica. Si tratta sempre di qualcosa da imparare a memoria(e senza scrivere), “par coeur”. Quanto ala ritualità, da sottolineare nella chiesa antica il fatto che la redditioavviene alla fine, immediatamente prima dei sacramenti dell’IC, accompagnato dall’effata. Le consegne alsacerdote o dalla comunità? (meglio…). Il carattere riservato e discreto…: mantenerlo in qualche modo (soprattuttonella redditio, più che nella traditio, che li vede più passivi), quasi a ricordare che la vera e propria riconsegnasi dà nel credo battesimale?

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tali consegne siano reali e non fittizie: co-me gli scouts ci insegnano, una tradizionenon si improvvisa ed è frutto di sedimen-tazioni plurime…Più in generale, l’attenzione a progettareuna iniziazione liturgica complessiva allagrammatica della preghiera:– come corpo,– come parola,– come spazio (casa, chiesa), come tempo

(anno liturgico:14 32, settimana, giorno):le dinamiche rituali…

14 Non solo come occasione, o come tema, ma come contenuto, forma di vita, itinerario dinamico. Cf. de tempsde catechesi communautaires pour l’année liturgique.

5. CONCLUSIONE

Se aspettiamo di essere pronti non partiremomai, ma se partiamo con l’illusione di unaricetta, non arriveremo mai. La quarta nota:Il volto missionario, ovvero “la reiniziazionedelle comunità”… Il prossimo segno: l’in-troduzione di un libro ufficiale dei catecu-meni/dei candidati al battesimo nei nostriuffici parrocchiali (42), varrà molto più chemille convegni, per la forza dei simboli...Dagens: 72.

RICERCA BIBLIOGRAFICA

LMD AMBROSIUS (SARTOR)

RL 1999 (Venturi).Sulla scia di Palermo, per una pastorale piùmissionaria. (l’orizzonte: la missione evan-gelizzatrice della Chiesa); L’IC riproduce la gradualità dello sviluppo delmistero della salvezza: nel processo educa-tivo, il compiersi progressivo di un mistero.La dinamica traditio-redditio.Il passo in avanti sull’ordine.La liminalità.

RL 2005 (Girardi)Cf documenti anni 2000 (comunicare, il vol-to missionario)Il dinamismo della fede e del rito: l’al di làdi noi, non senza di noi. Implicazione dellalibertà ed eccedenza del dono.La mistagogia della vita quotidiana.

CaspaniCf RL 1998, 547-554. IC degli adulti

Bacq - Theobald, Une nouvelle chancepour l’Evangile

Il modello della generazione: oltre una pa-storale di trasmissione e di inquadramentoin un sistema, una pastorale di accoglienzae di proposta, di iniziazione e di generazione:la via della generazione dice

– densità esistenziale– primato relazionale,– riferimento alla vita colta in tutte le sue

dimensioni– attitudine alla compassione

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– complementarietà dei generi– stile evangelico di libertà e gratuità– l’attenzione alle soglie che consentono il

passaggio ad un nuovo modo di percepirela vita

Lumen vitae2003/3 chiesa di popolo o di elite?2004: catechesi e liturgia (sul metodo mi-stagogico)2007/1: il bambino…

La nota pastorale (1999)L’orizzonte: la missione evangelizzatrice dellaChiesa (Palermo) e la prospettiva dell’inizia-zione (i due riferimenti, uniti nel n. 1).

Una scelta di campo: il modello dell’IC (dal-l’ordine tradizionale: 2, alle varie tappe egradi: 18-19) e il riferimento al cap. V delRICA (17).

Dalla storia: diverse forme (tra esigenza dellafede personale e peso fondamentale dellafamiglia). Nell’uno e nell’altro caso il mo-mento importante del sopraggiungere del-l’età della ragione: è il momento dell’appro-priazione personale del dono ricevuto, nellospirito del catecumenato antico (formazione,educazione, “iniziazione” a quella che è de-finita al n. 15 “una liturgia della vita”), delcompletamento dell’IC, o addirittura dell’ICvera e propria.

La sfida: un itinerario che rimandi per con-tenuti e modalità di fondo all’IC degli adultie tenga conto delle peculiarità dell’età (inquesto senso il n. 37 soffre di una certa va-ghezza: non segnala la mancanza di unaseria riflessone sull’infanzia quale luogo

evangelico), del legame familiare, del con-testo ambientale (20).

Scelte pastorali: il gruppo; la catechesi nar-rativa e il contesto orante; la “consegna”come elemento cardine delle celebrazioni (?).

Puntualizzazioni sul testo:

– buono il legame con la liturgia, anche sela distinzione: annuncio-liturgia (non pri-ma in ordine cronologico, ma accompagnatutto l’itinerario… 36) è un po’ fuorviante;iniziare ad ascoltare, a parlare di Dio, aparlare a Dio (il nesso preghiera e litur-gia)…: forse che la categoria di iniziazionee mistagogia va oltre (un tempo, o unostile)?

– Piccole sbavature: affidare ai piccoli la let-tura nelle celebrazioni? La penitenza primadell’IC (44: l’equilibrato “possono” e il ri-ferimento alla celebrazione comunitariasuccessiva: 49)

– I fanciulli catecumeni, dimessi dopo la li-turgia della Parola? (rischio di archeolo-gismo);

– Il problema della mancanza di coraggionel proporre la celebrazione unitaria (53)lasciando la porta aperta alla dilazione del-la confermazione (55)

– Il rischio di presupporre il modello dellacomunità (quale chiesa è capace di porreatti che generano alla fede alla vita cri-stiana?).

Puntualizzazione sulla guida (in particolarmodo le celebrazioni)?

(c’è un libro ufficiale dei catecumeni/dei can-didati al battesimo? 42).

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Distinguo due versanti: quello del catecu-menato in senso proprio e quello degli iti-nerari per ragazzi battezzati a ispirazionecatecumenale.

1. CIRCA IL CATECUMENATODEI RAGAZZI NON BATTEZZATI

In primo luogo – come sottolineava il diret-tore don Guido Benzi nel suo saluto iniziale– questo seminario di studio si occupa deiragazzi non battezzati in età scolare.

È un “caso” piuttosto inedito per la nostrarealtà socio-ecclesiale. Fino ad alcuni annifa la soluzione era presto trovata: i fanciullivenivano battezzati subito, così da poterentrare immediatamente nel cammino con-sueto senza creare particolari “problemi” aipastori e ai catechisti. Con il beneplacito,si intende, delle famiglie che a suo temponon avevano pensato di chiedere per loroil battesimo.

Oggi questa non è più la soluzione; semmaiè una tentazione in alcuni contesti (nonmolto esercitati sulla questione di cui ci oc-cupiamo) e in alcune situazioni che definirei“limite”: per esermpio quella dell’adozionedi bambini oltre i 6 anni non battezzati daparte di famiglie praticanti, questione chemi permetto di segnalare come meritevoledi approfondimento a livello pluridiscipli-nare.Se si escludono questi casi, ormai il riferi-mento alla Nota pastorale del 1999 (e magari,in concreto, in una diocesi, al Servizio per il

Catecumenato) è piuttosto diffuso. E, con laNota, l’utilizzo della Guida per l’itinerariocatecumenale dei ragazzi, accostata diretta-mente o mediante le sussidiazioni che sonostate realizzate in questi anni e che prendonola Guida come canovaccio di fondo.

Credo che a questo riguardo sia utile ricor-dare i nomi di coloro ai quali va la gratitu-dine di una Chiesa per l’apporto dato a livellodi riscoperta teologica e di tentativo di tra-duzione pastorale, in concreto coloro senzai quali la Nota e la Guida non ci sarebbero:mons. Walter Ruspi, don Andrea Fontana,don Gianfranco Venturi, padre Pietro Sorci,mons. Giuseppe Cavallotto.

Anche grazie a questi amici e al loro lavoro,come pure a tutti coloro che nelle diocesi inquesti anni si sono cimentati sulle vie delcatecumenato dei ragazzi, si deve se alcuneparole – e alcune idee, e alcune “cose” – inquesto periodo sono cominciate a diventarepatrimonio comune. Così non era dieci annifa, quando anche solo il riferimento ad uncatecumenato per i ragazzi battezzati appa-riva piuttosto velleitario. In parte da alloraè cambiato il contesto e sono cresciute – an-che se fortunatamente non in maniera espo-nenziale – le famiglie che non chiedono ilbattesimo per i loro bambini; in parte la rin-novata consapevolezza si deve al fatto chesi è cercato di orientare un cammino eun’esigenza in maniera non casuale.

Certo, così facendo, nascono anche necessitàulteriori: ci si rende conto di essere in qual-che modo solo agli inizi.

APPROFONDIMENTO PASTORALEMons. Paolo Sartor, Responsabile Servizio Catecumenato, Milano

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Mons. Ruspi suggeriva per esempio, nell’in-troduzione ai lavori, l’opportunità di una ri-scrittura del capitolo V del RICA, sulla basedi quanto richiesto dai ragazzi di oggi e sullabase di quanto sperimentato in svariate re-altà locali. Credo si tratti di un invito da ri-lanciare, soprattutto se un lavoro di con-fronto e ripensamento potesse coinvolgereanche alcune parti del capitolo I, dedicatoall’iniziazione cristiana degli adulti, che han-no probabilmente bisogno di un ripensa-mento a livello di simbolica e di linguaggi,pur nel rispetto di un itinerario sapiente lecui radici si collocano al cuore stesso dellapedagogia cristiana e che ha ispirato, almenoin parte, alcune connotazioni dell’anno li-turgico così come oggi lo conosciamo e loviviamo.

Anche il ripensamento del capitolo V del RI-CA potrebbe aiutare a proporre ai ragazzinon battezzati e alle loro famiglie itineraridi iniziazione cristiana sempre più coerentie adeguati. Cosa che è necessaria in se stes-sa, per l’esigenza che questi fanciulli hannodi un cammino pertinente, che risponda aidesideri della loro libertà e accompagni laloro maturazione cristiana all’incontro verocon il Signore; cosa che però è necessariaper le stesse comunità cristiane.

Come è stato sottolineato più volte in questidue giorni, infatti, non è irrilevante per unacomunità avviare con competenza e parte-cipazione itinerari di iniziazione per le per-sone non battezzate. Questo vale per gliadulti come nel caso dei ragazzi. E non miriferisco tanto alle diocesi e alle parrocchie– delle quali abbiamo avuto testimonianzasignificativa – che hanno fatto la scelta diproporre, in base alle sollecitazioni della CEI,cammini sperimentali per ragazzi battezzati.Mi riferisco anche alle realtà nelle quali al

presente si continua ad attivare anno dopoanno l’itinerario consueto.

Ebbene, anche in queste situazioni, il fattoche in parrocchia si accolga qualche bambinonon battezzato con le rispettive famiglie; sitentino percorsi di prima evangelizzazione; sipropongano esperienze di ascolto della Paro-la, celebrazione, vita fraterna; si vivano letappe fondamentali dell’iniziazione in un con-testo visibilmente comunitario; si valorizzi lasoggettività dei genitori e la libertà dei ragazzicatecumeni; si celebrino i sacramenti in fomaunitaria; si riproponga la dimensione mista-gogica del cammino nella Chiesa, e così via...fa sì che quella stessa comunità e in concretoi suoi ministri e operatori riscoprano alcuneleggi dell’esercizio della maternità quotidianadella Chiesa che non vanno più perdute.

2. CIRCA I CAMMINI DIISPIRAZIONE CATECUMENALEDEI RAGAZZI BATTEZZATI

Vi è poi l’altro versante: quello del rinnova-mento degli itinerari ordinari di iniziazionecristiana dei ragazzi. Si tratta del secondointeresse- per così dire l’interesse indiretto,obiettivo – di questo seminario di studio,che, dando voce alle esperienze, si è resoconto che i cammini dei ragazzi non battez-zati avvengono in un gruppo catecumenale(come sappiamo bene dalla nota e dalla ri-lettura che ne ha dato in particolare donFontana) e come varie diocesi e parrocchieabbiano avviato cammini di ispirazione ca-tecumenale anche per gruppi composti in-teramente da ragazzi battezzati da infanti.

Utilizzo l’espressione “ispirazione catecume-nale” perché affiora di tanto in tanto in que-

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sti anni sia nella pubblicistica sia in qualcheintervento episcopale diocesano per segna-lare la consapevolezza che riferirsi al mo-dello proposto dal RICA è pertinente e ne-cessario ma nel contempo non è scontato.Altro è infatti lavorare con gli adulti e altrocon i ragazzi; altro è avere a che fare conpersone non battezzate altro occuparsi disoggetti battezzati. E d’altra parte, appunto,non si vuole perdere questo richiamo, questostile, questo paradigma. Anche perché sap-piamo come sono in realtà i ragazzi di oggi,sappiamo quali sono le loro condizioni divita, sappiamo la difficoltà a orientarsi travalori e criteri.

Al di là della terminologia, che cosa inten-diamo quando proponiamo un itinerario diimpostazione o ispirazione catecumenale co-me cammino ordinario di iniziazione cristia-na? Credo che la risposta si possa dare guar-dando in maniera complessiva alle esperien-ze esposte nel pomeriggio di ieri e questamattina e arricchite dagli interventi in as-semblea. A mio parere tali esperienze sonointeressanti, oltre che per ciò che dicono,per ciò che non dicono esplicitamente. O, sevolete, per ciò che ci è stato raccontato eper il modo in cui è stato raccontato da chile ha pensate e realizzate.

È importante ciò che si è realizzato perché:

– è suscettibile di trasformare il modo di rap-portarsi con i genitori, superando la sepa-ratezza che consegna la comunità alla pre-stazione di un servizio religioso;

– aiuta a uscire dalle pastoie di un camminoche appare ingessato perché propone tuttoin maniera uniforme e obbligatoria;

– ci si libera dalla necessità di illustrare quasia modo di piccola enciclopedia tutti i con-tenuti;

– si supera la dicotomia catechesi-liturgiache emargina la componente celebrativa aintegrazione accessoria e quindi di fattoeventualmente superflua;

– fa del gioco non più un semplice espedien-te per “tener buoni” i ragazzi dell’oratorio– dove esiste – qualcosa di diverso daun’area di parcheggio in attesa della cate-chesi;

– supera l’idea che senza un sacramento co-me termine obbligato dell’anno il camminonon trova il suo senso e ragazzi/famiglienon hanno uno stimolo e un richiamo va-lidamente operante (come le strade chenon hanno un punto sul quale far conver-gere gli sguardi: un monumento, un obe-lisco, una chiesa, un albero).

E così via...

Non è che le esperienze ascoltate siano ri-ferite senza capacità critica. Al contrario, chiparla sa bene che c’è ancora molto da faree che talune dichiarazioni vanno fatte se-guire da modelli praticabili e strumentazionidavvero adeguate.

Ma è come se chi relaziona sulle sperimen-tazioni ci consegnasse la convinzione che siè riusciti a superare finamente ciò che bloc-cava l’impostazione e lo sviluppo di un iti-nerario di fede per i ragazzi e le famiglie dioggi. Questi ragazzi, non quelli che sognia-mo; queste famiglie, non quelle con le qualimagari vorremo avere a che fare.Per dirlo in termini sintetici: in questo de-cennio il paradigma offerto dal RICA ha rap-presentato un utile contenitore entro il qualedisporre le istanze e gli esperimenti tesi alrinnovamento della catechesi parrocchiale.Il catecumenato – per utilizzare termini tor-nati in questi giorni – non ha offerto qualcheespediente metodologico o qualche stru-mentazione soprattutto a carattere liturgico:

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ha rappresentato un impianto, una gram-matica, un disegno di fondo, una formacomplessiva.

E ha permesso di abbandonare – o sta per-mettendo di abbandonare, o ci rende pen-sabile e possibile abbandonare – forme ri-strette, abitudini consolidate, elementi e stru-menti che paiono ormai piuttosto limitati elimitanti.

Così mi pare stia avvenendo di fatto. Questoè ciò che il riferimento catecumenale (ol’ispirazione catecumenale) sta consentendodi realizzare.

Non tutti forse sono d’accordo su taluniaspetti: sia in sede catechetica, sia in sedecanonistica sono stati fatti presenti – certoin maniera legittima – dei distinguo e delleriserve... Se ne dovrà discutere nelle sediopprtune: il dibattito è aperto.

Ma in questa sede, e nell’ambito di un in-tervento di problematizzazione pastorale, iomi chiedo una cosa sola: si sarebbe potutoottenere lo stesso risultato – quello se nonaltro di avviare in maniera chiara e forte unprocesso di revisione delle pratiche – con unaltro paradigma di riferimento? Provando a

dirlo con un occhio non al passato prossimoma al presente e all’immediato futuro: esistequalche altro orizzonte su cui puntare losguardo?

Esiste qualche altro apparato-regolatore,qualche altro contenitore di stimoli, attività,criteri, strumenti, da raccomandare alle no-stre comunità? Quale monumento, obelisco,chiesa o albero dobbiamo tener presente co-me meta del nostro camminare?

È probabile che la risposta non spetti al Ser-vizio nazionale per il Catecumenato, maeventualmente all’Ufficio Catechistico Na-zionale nel suo insieme, ora anche incre-mentato nel suo potenziale proprio in rife-rimento ai cammini ordinari di iniziazionecristiana.

Al Catecumenato nazionale va chiesto, cre-do, di continuare a esprimere in manieraautorevole ma soprattutto sostanziale, cor-posa e adeguata come il cammino del di-ventare cristiani possa costituire anche oggiun’impresa sensata e appassionante per mi-nistri, per operatori, per la Chiesa tutta.

Grazie.

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Premessa: CHI SIAMO?

Sud. Locri. Aspromonte. ‘Ndrangheta.Facile identificare il Sud con la Mafia. Ancorpiù facile identificare l’Aspromonte con landrangheta. Tutto tristemente famoso, tuttotristemente scontato. Locri: piccolo paesenella grande terra della Calabria, diventatotristemente famoso in questi anni per vicen-de criminose di vario genere. Un paese cheha dato il nome a tutta una zona, la Locrideappunto, che è sinonimo di Aspromonte,malavita, ‘ndrangheta. Ma la Locride è an-che una terra bellissima. Bovalino è dentroquesta terra. Ha vissuto una stagione felicefino all’inizio degli anni settanta. Poi è stata‘violentata’: 20 sequestri in 20 anni. Lavo-rare in questa terra è stato ed è bellis-simo; ma collocare la pastorale in questarealtà non è facile. Quando in Diocesi è ve-nuto D. Andrea Fontana a parlarci del Cam-mino, è entrata una luce nuova e abbiamodetto: È quello che stavamo cercando.

Abbiamo così iniziato, aiutati da D. AntonioBrugnara, con il consenso della Diocesi edel Consiglio Pastorale Parrocchiale. Presen-tato il progetto ai genitori di 2 elementare,abbiamo avuto la gioia di avere l’adesionedi 30 famiglie (su 75). Ci hanno dato fiducia,anche se non tutto era chiaro. Lungo il cam-mino tanti genitori hanno imparato ad as-saporare il gusto del Vangelo, della Eucari-stia Domenicale; hanno costruito nuoveamicizie, importanti per una famiglia. Quantigenitori hanno detto “Grazie, per averci fat-

to entrare in questo cammino”. “Veramentemi ha cambiato la vita.”Rischio del Cammino: le donne (mamme)che per prime intuiscono la validità si tro-vano a non essere comprese dai mariti. Solocon il tempo anche gli uomini capiscono.La proposta per un cammino biblico (al difuori del cammino catecumenale) trova ac-coglienza in diversi genitori. – Importante incontrare i ragazzi (e genitori)

in prima Elementare, perché si apre la stra-da al Cammino.

– Mamme-catechiste. È una scelta ‘obbliga-ta’. È un mondo troppo diverso dal cate-chismo tradizionale.

Unità dei sacramenti: Noi pensiamo chesia giusto e bello viverli insieme, anche sepoi qualcuno dei ragazzi non continuerà nel-la Mistagogia. Qualche osservazione: Positivo il coinvolgimento dei ‘padrini’, chespesso sono i genitori stessi.Non tutti i gruppi possono ricevere i Sacra-menti al termine dei 4 anni.Quando i genitori non rispondono in modoadeguato, ‘fermare’ il cammino per ri-moti-vare i genitori.

Celebrazioni Liturgiche Le Celebrazioni sono molto belle. Molte delleCelebrazioni sono state presiedute dal Ve-scovo, acquistando così un significato par-ticolare.

Inserimento del gruppo nella comunità:In verità non abbiamo ancora trovato la

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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ESPERIENZA DELLA PARROCCHIAS. NICOLA DI BARI - BOVALINO - RC

P. Giuseppe Castelli, Parroco

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 2

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strada perché tutto il movimento che si stacreando attorno al Cammino possa inciderenella vita della comunità. Però si avverte uncontesto parrocchiale che cresce. I ragazziche fanno parte dei vari gruppi, e la crescitapersonale e familiare per i genitori sonoaspetti certamente positivi. Il tempo e l’espe-rienza che piano piano stiamo accumulandoci aiuteranno a trovare soluzioni più ade-guate.

Mistagogia: Alla Parrocchia manca unastruttura di Oratorio. E questo non aiuta acompletare in modo pieno il Cammino. Primo anno della mistagogia: tutto relati-vamente facile; l’entusiasmo degli anni pre-cedenti ha portato i ragazzi a continuare, e

anche la presenza dei genitori negli incontrie nell’Eucaristia domenicale è stata costante.Il secondo anno ha visto la presenza di quasitutti i ragazzi, mentre non è stato così peri genitori. Comunque, siamo certi che quelloche lo Spirito ha seminato in loro non andràperduto. Una osservazione: crediamo che sia impor-tante tenere conto dei problemi che i ragazzivivono.Concludendo, possiamo dire che non abbia-mo raggiunto grandi traguardi, ma abbiamovisto dei piccoli segni, delle piccole luci chehanno aperto il cuore a noi e a tutta la co-munità. E questo ci basta per continuaresulla stessa strada con ancora tanto entu-siasmo e speranza. Grazie.

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L’esperienza vissuta in parrocchia come ani-matori della catechesi ai fanciulli, ma nonsolo, ha portato negli anni alcuni di noi ainterrogarsi sulle modalità dell’evangelizza-zione e della catechesi nel nostro tempo, os-servando come, anche in un ambiente comeil nostro, un tempo fortemente segnato dallafede e dalle tradizioni cristiane, si sia diffusauna “sordità” ed estraneità all’annuncioevangelico e alla sua radicazione nella vitadi ogni giorno. È qui inutile ripetere e commentare cose or-mai assunte da anni, efficacemente inter-pretate dai documenti ufficiali della Chiesadegli ultimi decenni: la società scristianizza-ta, un cristianesimo semplicemente anagra-fico, il formalismo dei riti, l’abitudinarietàdella pratica religiosa (là dove sopravvive)che si ripete uguale a se stessa avendo di-menticato il senso, l’essenza, la fede.In questo contesto, la catechesi, più che uncammino di fede, è percepita come doverein vista della “recezione” dei Sacramenti,considerati inconsciamente come tradizionaliriti di ingresso nella società o di passaggiodalla fanciullezza all’adolescenza; e si con-sidera compito esclusivo del parroco e deicatechisti “preparare” i ragazzi alla PrimaConfessione, alla Prima Comunione e allaCresima.

In conseguenza di queste considerazioni,con l’appoggio fortemente positivo del no-stro parroco, alcuni anni fa abbiamo matu-rato la decisione di tentare una sterzata nelleabitudini ormai consolidate della parrocchiae di proporre alle famiglie dei bimbi che siapprestavano ad iniziare il “catechismo” diintraprendere un cammino per la riscoperta,o la scoperta, delle ragioni dell’essere cri-stiani. Sono state invitate, cioè, come famiglie aimpegnarsi in un percorso di fede secondoil Cammino Catecumenale proposto già daalcuni anni dall’ Ufficio Catechistico Dioce-sano e dal Servizio Diocesano per il Cate-cumenato sulla scia delle dichiarazioni delMagistero della Chiesa, in particolare i do-cumenti della Conferenza Episcopale Italianadell’ultimo decennio – laddove è la famigliail soggetto dell’annuncio e della catechesi,e non più il solo ragazzo, e avendo comeobiettivo il vivere da cristiani, e non più lamera celebrazione dei Sacramenti.

1. PRIMO ANNUNCIO

La prima difficoltà è stata far comprenderealle famiglie il senso profondo del percorso

Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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IMPARARE A VIVERE DA CRISTIANI:LA PROPOSTA DEL CATECUMENATO

ALLE FAMIGLIE DI OGGI.IL CAMMINO COMPIUTO.

Diocesi di TorinoParrocchia del Patrocinio di San Giuseppe

Rossana Rosato, Catechista e membro del gruppo di lavoro diocesanoCatecumenato Ragazzi

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che si andava a intraprendere: lo sforzo èstato grande anche perché non c’era tra noiun’esperienza pregressa a cui fare riferimen-to ed è risultato difficile spiegare il camminoin modo teorico; l’esperienza ci ha poi inse-gnato che il cammino lo si “comprende” nelmomento in cui lo si realizza.Al primo gruppo, partito nell’autunno 2006,per cause strettamente legate all’organizza-zione della catechesi parrocchiale, il cammi-no catecumenale è stato offerto come unicapossibilità: un anno di Primo annuncio pertutti e dopo la possibilità di scegliere di con-tinuare con l’itinerario ordinario o con quellocatecumenale. Invece, ai gruppi formatisinegli anni successivi, fin dal primo anno èstato offerto il Cammino catecumenale in al-ternativa alla catechesi ordinaria. L’esperienza in questi anni ha, peraltro, di-mostrato che dare in qualche modo la pos-sibilità di provare concretamente il camminoper qualche tempo, come è stato fatto nelprimo anno, permette di sceglierlo successi-vamente con coscienza e responsabilità, eanche entusiasmo. La risposta da parte delle famiglie è statapositiva. Al primo momento di disagio, de-rivato dalla sforzo di comprendere ciò a cuierano chiamati genitori, bambini e animatoriin termini di tempo, volontà e impegno per-sonale, si è successivamente sostituito unclima di nascente amicizia e collaborazionetra animatori e famiglie.

L’anno dell’Accoglienza e del Primo annun-cio (e quelli successivi) è stato nel concretoarticolato in:• incontri infrasettimanali per i bambini,

seguiti nei gruppi da coppie di animatrici,sempre preceduti da momenti di gioco e

conclusi con la preghiera comune; gli in-contri sono fondati sulla scoperta dellaParola realizzata attraverso ascolto, con-fronto, gioco, attuazione di piccole espe-rienze concrete;

• incontri domenicali per le famiglie, strut-turati intorno alla lettura dei brani propostidal lezionario festivo, secondo un percorsodi catechesi attiva, con giochi, canti, atti-vità grafiche; hanno durata di circa un’orae coincidono con la celebrazione dellaMessa centrale della domenica. Gli adultisono liberi di intrattenersi con i figli e glianimatori o di partecipare alla Messa;

• incontri mensili per tutta la famiglia, inun pomeriggio domenicale, in cui ci siconfronta su un tema definito all’internodel percorso di catechesi dell’anno. Grandie piccoli lavorano in modo distinto e poisi ritrovano per il momento di preghierafinale. Nell’anno del primo annuncio coni bambini si sono approfonditi e portati acompimento i temi affrontati nella tappae offerti dal momento liturgico, mentre gliadulti sono partiti da questi per confron-tarsi maggiormente sulla scoperta del va-lore di sé come persona e come credente,appartenente ad un nucleo familiare, in-seriti in una comunità cristiana, nell’in-tento di approfondire le motivazioni allabase della scelta dell’itinerario catecume-nale e rafforzare la costituzione del grup-po. L’incontro si chiude sempre con unmomento di preghiera, strutturato in pre-ghiera di lode, lettura della Parola, medi-tazione. Il pomeriggio si conclude con untempo per chiacchiere e merenda.

A conclusione dell’anno del Primo annuncio1

– avendo richiamato l’impegno a misurarsi

1 I sussidi di riferimento utilizzati dal mio gruppo sono stati: “Numero Zero” e “Il tempo della prima evangeliz-zazione INCONTRARE GESÙ” Guida e Schede per i ragazzi – Collana Progetto Emmaus, Elledici, Torino.

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In questa “amicizia” che cresce, ognuno –genitore, animatore, parroco… – deve essereaccettato al di là delle divisioni e delle dif-ferenze, nell’accoglienza e nel servizio reci-proco, nel rispetto delle persone e della lorolibertà. Ognuno è accolto così come è.

3. UNITÀ DEI SACRAMENTI

Se l’itinerario catecumenale è una stradache, passo dopo passo, porta ad approfon-dire il rapporto con Cristo e con i fratelli e ascoprire il “vivere da cristiani”, la celebra-zione unitaria dei Sacramenti dell’iniziazionecristiana – durante la Veglia pasquale, o piùin generale durante il tempo pasquale chesegue l’ultimo periodo del catecumenato, sulfilo della tradizione della Chiesa primitiva –è la pietra miliare che segna l’acquisita con-sapevolezza dell’azione di grazia dei Sacra-menti, a significare la crescita permanentenella fede, nella partecipazione al Misterodella Salvezza. In questo senso l’unità deiSacramenti aiuta la comprensione perchéesprime un progetto di grazia, un disegnocontinuo d’Amore che accompagna, più cheun momento catalizzante ma a rischio diestemporaneità.Questo è il discrimine che sarà necessarioverificare con le nostre prime famiglie neimesi che verranno: questa che inizia è, in-fatti, già l’ultima fase del catecumenato. In linea con quanto sostenuto finora, abbia-mo, quindi, offerto alle nostre famiglie in-contri domenicali centrati sull’Eucaristia conl’intenzione di educare al senso e al valoredella Celebrazione Eucaristica e portare aduna partecipazione cosciente.

personalmente e in famiglia sul tema dellafede in Cristo, prima ancora che la respon-sabilità della partecipazione ai momenti co-munitari del gruppo – il 60% delle famiglieha deciso di continuare ad impegnarsi nelcatecumenato.

2. COINVOLGIMENTODEI GENITORI

Nell’iniziare il cammino, il timore più granderiguardava l’effettiva capacità di coinvolgi-mento e accompagnamento degli adulti daparte di noi animatori. Per questo motivosono stati inseriti nel gruppo singoli anima-tori e coppie che, per esperienze pregressee capacità personali o professionali fosseromaggiormente focalizzati sugli adulti.2

Le attenzioni maggiori sono state per la ri-cerca di un linguaggio corretto e adeguato,per le modalità di coinvolgimento delle cop-pie separate e soprattutto per l’elaborazionedi una sorta di catechesi familiare in cui lacoppia si riconoscesse come soggetto. Si è trattato di sviluppare un percorso rispet-toso del vissuto e di ogni esperienza fami-liare per rendere i genitori interlocutori attiviin un rapporto collaborativo tra famiglia ecomunità, attraverso un dialogo tra le partiche, necessariamente, deve tener conto dellaVerità che deve essere testimoniata e delleattese religiose della famiglia. Si tratta di fare un passo dopo l’altro: è, pri-ma di tutto, un incontro tra persone, è unoscambio reciproco tra una parola e un ascol-to attento in cui ognuno cresce, è un incon-tro sulle cose fondamentali della vita tra dueparti ognuna rispettosa dell’altra.

2 Suggerimenti in merito alla realizzazione degli incontri sono stati attinti dal volume “Accompagnare le famiglienell’itinerario catecumenale con i figli”, Collana Progetto Emmaus, Elledici, Torino.

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Fin qui il cammino è stato impegnativoma, sembra, fruttuoso; naturalmente nontutti i bimbi né tutte le famiglie hannoviaggiato allo stesso modo, ognuno haavuto un suo ritmo, ha conosciuto vittoriee arresti, ha incontrato difficoltà a “eserci-tarsi da cristiano” in un ambito piuttostoche in un altro. Questo è il tempo in cuisarà necessario discernere, tutti insieme,animatori, famiglie, sacerdoti, se e come lavita di questi piccoli e delle loro famigliesi è indirizzata ad una quotidiana coerenzacon il Vangelo, per decidere se e quandogiungere all’ammissione ai Sacramentidell’iniziazione.

4. CELEBRAZIONI LITURGICHE

Le celebrazioni che accompagnano e pun-teggiano il cammino sono state fin dal-l’inizio preparate insieme dalle famiglie edagli animatori e condivise anche nell’at-tesa, sia con gli adulti che con i bambini.Sono vissute come “momenti forti” e in-tensi, sempre più consapevolmente, e per-cepite, specie nel tempo del catecumenato,come passaggi significativi nel percorso divita cristiana, che segnano un progressivoapprofondimento della fede personale e delgruppo. Le celebrazioni liturgiche hanno anche rap-presentato il luogo e il tempo privilegiatoper l’incontro con la comunità parrocchiale,che, in queste occasioni, è stata necessa-riamente coinvolta nella vita del gruppocatecumenale. Così la comunità, negli anni,ha avuto modo di seguire lo svolgersi del-l’itinerario catecumenale e del percorso difede delle famiglie del gruppo e, approfon-dita la curiosità iniziale, ha dimostrato ap-prezzamento e simpatia.

5. INSERIMENTO DEL GRUPPONEL LA COMUNITÀ

Considerando la natura e la frequenza dellapresenza in parrocchia della maggior partedelle famiglie del cammino precedentementeall’esperienza catecumenale, il loro inseri-mento nella comunità parrocchiale è passatonecessariamente per la presentazione dellacomunità come tale (alcuni immaginavanoche la parrocchia funzionasse solo per le ce-lebrazioni eucaristiche, “il catechismo” el’espletamento di pratiche burocratiche; moltiaggiungevano a queste prerogative le atti-vità caritative e assistenziali; qualcuno eraanche a conoscenza di qualche gruppo chesi ritrova in parrocchia; quasi nessuno co-nosceva per intero la ricchezza di vita e at-tività generata all’interno della nostra co-munità parrocchiale).Successivamente, gli animatori impegnati inalcune di queste attività hanno invitato icomponenti delle famiglie (non solo genitorie ragazzi della catechesi ma anche fratelli esorelle, nonni…) a partecipare, seguendo ilmotto evangelico “vieni e vedi”, prima conun invito generale al gruppo e poi, in modopiù mirato, con inviti personali che, in alcunicasi, hanno dato buoni frutti.Buone opportunità di conoscenza e inseri-mento si sono rivelate le occasioni di festacomunitaria (inizio anno catechetico e ora-toriano, castagnata, carnevale, festa delletorte, banco natalizio per le opere parroc-chiali, rappresentazioni della filodrammatica,fine anno, gite sulla neve o al mare…) cuile famiglie sono state esortate a partecipare,anche per evitare un effetto di chiusura al-l’interno del gruppo. Ma, naturalmente, il momento comunitarioper eccellenza è la partecipazione alle cele-brazioni liturgiche. L’Eucaristia domenicalee le tante occasioni proposte dall’anno litur-

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gico sono stati i luoghi preferenziali in cuile famiglie, sostenute e coadiuvate, hannopotuto, passo dopo passo, approfondire ecrescere parallelamente nella fede personalee nel senso di appartenenza alla comunità.

6. MISTAGOGIA

Il tempo della mistagogia deve tendere a ra-dicare nella concretezza della vita quotidianaciò che si è esplorato, conosciuto e si è ac-colto nella propria vita attraverso la “con-versione” realizzata dentro di sé. È il mo-mento, per adulti e ragazzi, in cui la propriaadesione a Cristo viene verificata attraversola partecipazione abituale ai Sacramenti dellavita cristiana (Eucaristia e Riconciliazione),attraverso l’esercizio della coerenza tra vitae fede, attraverso la testimonianza della pro-

pria fede nell’impegno, nella comunità cri-stiana e nella società. In previsione di questo tempo, che per ilprimo gruppo del cammino giungerà nonprima di un anno, ci si è impegnati inun’opera di ancoraggio dei singoli, adulti obambini, e delle famiglie nella comunitàparrocchiale e, in senso più lato, nel quar-tiere attraverso una vicinanza “amicale” allefamiglie, con la creazione di piccole occa-sioni d’incontro extra-catechesi, e la pre-sentazione delle diverse attività operanti al-l’interno della parrocchia (dalle attività spor-tive per adulti e piccoli, alle opere sociali edi assistenza, all’animazione della liturgia,alla catechesi, all’animazione dei gruppi gio-vanili e dell’oratorio nonché del grupposcout ...), nella speranza che nel tempoognuno trovi il suo posto all’interno dellacomunità.

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La scelta di percorrere l’itinerario di tipo ca-tecumenale con i bambini e i ragazzi dellanostra comunità giunge dopo una lunga se-rie di riflessioni e di incontri. Tutto è stato“provocato” dalla richiesta di battezzare trebambini dell’età di sette anni e una di noveda parte dei loro genitori.

Importante è stata anche la richiesta di es-sere battezzato da parte di un adulto che hapercorso tutto l’itinerario previsto dal RICAe poi ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazionedal Patriarca in occasione della visita pasto-rale. Il percorso vissuto dall’adulto ha per-messo alla comunità e al gruppo degli edu-catori di fare esperienza diretta del percorso“adattato” poi per i più piccoli.

La richiesta di battezzare bambini di 7 e 9anni ci ha motivato a proporre con forzaalle famiglie e alle catechiste le indicazionidella Chiesa Italiana (presenti nella “nostra”Nota) in vista dei sacramenti dell’iniziazionechiesti per fanciulli di questa età.

Sono seguiti uno studio più particolareggiatodelle Note CEI e alcuni incontri con i respon-

sabili dell’Ufficio Catechistico diocesano. Èstata presentata alle catechiste la possibilitàdi questa “novità” nel cammino e c’è statasubito una buona accoglienza, anche se conqualche “paura”, per il grosso impegno dirinnovamento nella mentalità e nello stile.Per i bambini di 7 anni si è arrivati perciòalla decisione di procedere nella direzionedell’itinerario catecumenale completo secon-do la nota.

Il momento più delicato è giunto quando siè trattato di proporre “il percorso catecume-nale” alle famiglie dei coetanei dei non bat-tezzati.La lettera di convocazione è giunta nella se-conda metà dell’anno di seconda elementa-re. È interessante far notare che dieci fami-glie su 75 si sono disinteressate completa-mente degli incontri. La prospettiva che i non battezzati giunges-sero ai sacramenti vivendo il cammino coni gruppi dei loro coetanei è stata comunquemotivo di un duro dibattito (a volte addirit-tura segnato da aspri giudizi contro le fami-glie dei bambini non battezzati con acclusoinvito “ad arrangiarsi”).

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ASCOLTO DI ALCUNE ESPERIENZEPARROCCHIALI

Patriarcato di Venezia - Ufficio catechistico diocesanoParrocchia dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Don Danilo Barlese, Parroco

Presentazione dell’ “ITER” che ha portato alla sceltadell’itinerario catecumenale

per i bambini (7 anni) non battezzati con tutti i loro coetanei battezzatiL’esperienza compiuta e alcune considerazioni di fondo

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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Dopo cinque incontri (con una cinquantinadi famiglie presenti) le famiglie più interes-sate e coinvolte (i due terzi) hanno accoltola proposta e abbiamo deciso, dall’anno suc-cessivo, di avviare l’itinerario per tutti.I tre bambini non battezzati hanno perciòintrapreso “il percorso catecumenale” conuna settantina di loro coetanei di 7 anni econ le relative famiglie.Con la ragazzina di nove anni si è inveceapplicata la prima soluzione della Nota CEI:Battesimo/Eucarestia durante la Prima Co-munione dei compagni e Cresima con loroa 13 anni.

Una volta ratificata la decisione, è stato ne-cessario avviare uno studio della “Guida perl’itinerario catecumenale dei ragazzi” con leequipes delle catechiste e dei collaboratori. Abbiamo poi individuato la sussidiazionepiù adatta (a nostro parere). Abbiamo sceltoil lavoro della diocesi di Cremona, ovvia-mente da adattare alla nostra situazione.C’è stato anche un successivo inserimentodi giovanissimi come presenze di supportoal percorso di catechesi.L’avvio del primo anno di itinerario cate-cumenale è stato preceduto dall’incontrocon l’Ufficio Catechistico per l’approvazionefinale.

I primi mesi dell’anno pastorale successivosono stati dedicati alla formazione dell’equi-pe catechiste in particolare sul significato di“iniziazione cristiana e catecumenato” e allapreparazione a moduli del percorso annuale(aiutati dalla Guida Cei e dal sussidio delladiocesi di Cremona).

Dall’anno scorso, la Scuola di Teologia pa-storale diocesana supporta l’approfondi-mento sul piano teologico/liturgico del “ca-tecumenato”.

Altra attenzione formativa è stata data aigenitori con la presentazione del percorsodell’anno, con un confronto sull’esperienzadella fede in famiglia, con alcune giornatevissute insieme ai figli e all’equipe educatorie con occasioni di approfondimento di di-verse tematiche.L’attenzione nel far camminare sempre in-sieme i bambini con le loro famiglie ha vistoun coinvolgimento maggiore da parte deigenitori (almeno intorno al 50%).

Abbiamo cercato di avviare, anche attraver-so la novità del “percorso catecumenale”,l’azione congiunta di tutte le figure educativenella fede.In realtà, il cuore della novità proposta aqueste famiglie non è riconoscibile sempli-cemente in nuovi sussidi o in nuovi lin-guaggi. L’occasione dell’accompagnamentodi bambini non battezzati ai sacramenti hadato la spinta definitiva per “mettere in mo-to” la comunità, per renderla “comunità edu-cante”.Far vivere “il percorso catecumenale” a que-sti bambini non può limitarsi ad un cambiodi libri o di tecniche di animazione. È un’oc-casione preziosa per scuotere le famiglie egli operatori pastorali e smettere di trattarela parrocchia come un distributore di servizisenza nessun reale coinvolgimento.

SU CHE COSA HANNO INCISOLE “NO VITÀ” NECESSARIE PERAVVIA RE QUESTO CAMMINO?

Dover avviare un percorso come questo mo-tiva tutti a curare la conoscenza reciproca,ad essere veramente gruppo; chiede tempo

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dedicato allo studio della grande Tradizionedella Chiesa e cura nella preparazione degliincontri con la valorizzazione di tutti i canalidella comunicazione (gesti, parole, segni esimboli, giochi…).Incontrare gradualmente Gesù richiede curae amore nei gesti della preghiera e nel rife-rimento alla Parola, all’annuncio del Van-gelo.La comprensione del significato di “educarenella fede” si è ampliato e ha assunto ilvolto anche dei giochi in patronato, delleoccasioni di servizio, della cura nella liturgiadella Domenica, del canto e del suono deglistrumenti, delle proposte estive… ridonandoalla catechesi il suo ambito e il suo valorepreciso, vissuta spesso con maggiore gioiae disponibilità perché inserita in una espe-rienza di vita e non in un’ora quasi scola-stica isolata dal resto.È evidente che un’esperienza di questo tipoè possibile soltanto incontrandosi e stiman-dosi: anche da qui il recupero più pienodell’Eucarestia della Domenica e del temporimanente della mattinata; il desiderio di ri-trovarsi non venti minuti per veloci comu-nicazioni ma una giornata intera con tuttele famiglie.Dall’altra parte il percorso deve essere anchemolto personalizzato con una cura partico-lare per le famiglie dei non battezzati e persituazioni particolari.

In un tentativo di sintesi finale possiamoaffermare che l’attuazione di una propostanuova e autorevole come il percorso cate-cumenale per i bambini non battezzati in-sieme ai loro coetanei, può essere prezio-sa per:

– per rompere il legame Prima Comunio ne/grande emozione e Cresima/momento del -l’addio;

– per valorizzare il significato delle varie tap-pe presenti nel Catecumenato;

– per formare in modo più serio gli educatorialla fede delle nostre comunità;

– per crescere nell’attuazione della catechesiesperienziale, nella cura della preghiera evalorizzazione della Parola di Dio;

– per variare continuamente le modalitàdell’incontro inserendo l’educare nella fedeattraverso il gioco, l’approccio diretto conil Vangelo, la manualità, il servizio, i luo-ghi, i segni e i gesti della preghiera e dellaliturgia;

– per attuare la “prima evangelizzazione”anche per i bambini battezzati ma che, perla maggior parte, non erano stati educatiai gesti, ai luoghi, ai simboli della fede eall’annuncio del Vangelo in famiglia;

– per coinvolgere tutte le figure educativenella fede della comunità: la comunità edu-cante;

– per coinvolgere in particolare i genitori an-che in vista della ripresa del loro camminodi fede e della loro formazione: mettersitutti in gioco;

– per centrare il percorso sul significato delBattesimo e dell’essere cristiani piuttostoche su un tempo di “educazione morale ereligiosa che permette socializzazione”;

– per imparare ad avere uno sguardo apertoa 360° sulla situazione di oggi e accoglierecon sapienza ogni appello e valorizzare lenuove situazioni.

Non abbiamo in tasca la soluzione dei pro-blemi e tantomeno la presunzione di avertrovato l’unica soluzione o la migliore fratutte. Ma era necessario dare una rispostaa ciò che accadeva e soprattutto “mettere inmoto” la comunità su questo punto. Moltastrada c’è ancora da fare.I fatti che son capitati, le richieste dei genitoriper i battesimi, hanno avviato questo cam-

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mino. La riflessione, la ricerca e le relativescelte sono state realizzate in continuo pre-zioso contatto con l’Ufficio catechistico dio-cesano.Nei prossimi anni ci saranno ancora altribambini non battezzati: questo ci suggeriscedi continuare per tutti il cammino e di per-fezionarlo nei tempi e nei modi.

Certamente il grande nodo è il coinvolgi-mento delle famiglie nella vita della comu-nità cristiana e l’effettiva consapevolezzadel dono del Battesimo, della vocazione cri-stiana, con la relativa partecipazione allaEucarestia domenicale, ai gesti del “gratui-to”, alla quotidianità della preghiera.

È un po’ la traduzione di “iniziazione cri-stiana” nell’infanzia e nell’età evolutiva sug-gerita dal nostro Patriarca Angelo: “Comeintrodurre e accompagnare i bambini, ifanciulli e i ragazzi all’incontro personalecon Cristo nella comunità cristiana”.

Stiamo comunque raccogliendo i primi frutticon un sempre maggiore coinvolgimento(nuovi collaboratori tra i genitori) e i pareripositivi sulla novità del metodo, dello stile,dei contenuti.Anche il più piccolo segno in questo sensoè prezioso all’interno di una percezione di“vuoto” educativo nella fede attorno a moltibambini.

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CAPITOLO 5

Incontro dei Vescovie responsabili nazionali

della catechesi in Europa

La comunità cristianae il primo annuncio

Roma4-7 maggio 2009

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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I. CHIESA, DOVE VAI?

«Chiesa, dove vai?». Oggi, molti pongonoquesta domanda. Praticamente in tutti i cam-pi sono in corso rapidi e profondi cambia-menti. Già quarant’anni fa, il concilio Vati-cano II constatava: «L’umanità vive oggi unperiodo nuovo della sua storia, caratterizzatoda profondi e rapidi mutamenti che progres-sivamente si estendono all’intero universo»(Gaudium et spes, n. 4; EV 1/1325). Nelfrattempo il cambiamento si è accelerato.Tuttavia, a differenza degli anni Sessantadel XX secolo, esso non provoca più aspet-tative utopiche, ma piuttosto insicurezza eansie per il futuro. Mancano prospettive sulfuturo.È inevitabile una constatazione: l’Europa èdiventata terra di missione. Vescovi e teologi

«Il compito fondamentale della nuova evangelizzazione è quello di condurre sia i cristianipraticanti sia coloro che pongono domande su Dio e lo cercano a percepire la sua chiamatapersonale nella loro coscienza, a rispondersi, a dire a Dio “Abbà, Padre”». È tutta centratasulla priorità, per la Chiesa, dell’urgenza missionaria, cioè di un rinnovato annuncio del Van-gelo, questa relazione con cui il card. Kasper ha aperto il Congresso europeo dei vescovi eresponsabili delle conferenze episcopali per la catechesi in Europa, organizzato dal Consigliodelle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) a Roma dal 4 al 7 maggio sul tema: «Lacomunità cristiana e il primo annuncio». Il testo sottolinea dapprima come tale urgenza, in-dicata già da Paolo VI (Evangelii nuntiandi, 1975), abbia attraversato tutto il pontificatodi Giovanni Paolo II, fino al «testamento pastorale» della Novo millennio ineunte (2001);poi descrive cosa significa «nuova» evangelizzazione in rapporto al processo di secolarizzazionedell’Europa moderna; infine suggerisce alcune concretizzazioni pastorali, che il card. Kasperdice di offrire in veste di «parroco nel grande mondo», più che di «diplomatico ecumenico».

Stampa (12.5.2009) da sito web www.ccee.ch.Nostra traduzione dal tedesco.

lungimiranti lo hanno riconosciuto già primae durante la Seconda guerra mondiale e han-no parlato della Germania come paese dimissione. Ad esempio, Alfred Delp e DietrichBonhoeffer, due martiri della fede. In Franciasi parlava di «France, pays de mission». Laprofetica lettera pastorale del card. E.C. Su-hard Essor ou déclin de l’Église (1947) ri-svegliava le menti e i cuori e preparava ilconcilio Vaticano II.In una tale situazione di crisi e di mutamentooccorre soprattutto una visione. Ogni per-sona, ogni comunità e ogni popolo possonosopravvivere solo se sono animati da unavisione e se coltivano un sogno. Questo valeanche per la Chiesa.La Chiesa non ha bisogno di inventare lasua visione, perché essa si trova già nelVangelo della venuta del regno di Dio pro-

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Walter Kasper, Presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

Il card. Walter Kasper al Congresso del CCEE sulla catechesi in Europa

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clamata da Gesù (cf. Mc 1,14s). La speranzaappartiene per così dire alla storia della fon-dazione della Chiesa; è iscritta nel suo cuore.Ciò che manca è il fatto che oggi pratica-mente non si riesce a tradurre questa spe-ranza in una visione concreta e in una con-creta prospettiva pastorale. Al riguardo, gliultimi papi ci hanno offerto una chiara parolad’ordine per una pastorale presente e futura:nuova evangelizzazione, cioè nuova procla-mazione del messaggio di Gesù, che infondegioia e libera. Questo programma viene adot-tato da alcuni, specialmente dai nuovi mo-vimenti, con entusiasmo, mentre viene con-siderato da altri con diffidenza e definito rea-zionario. Essi temono che la nuova evange-lizzazione possa rivelarsi un nuovo indottri-namento. Chiediamoci: che cosa si intendecon nuova evangelizzazione?

II EVANGELIZZAZIONE E NUOVAEVANGELIZZAZIONE

Vangelo ed evangelizzazione sono terminifondamentali nella Bibbia. Si trovano giànei profeti dell’Antico Testamento; occupanoun posto centrale sia in Gesù sia in Paolo.Gesù definisce concisamente la sua missionecome evangelizare pauperibus (portare labuona novella ai poveri); (cf. Lc 4,18). Mar-co compendia l’intero messaggio di Gesù inquesta frase: «[Proclamava] il Vangelo diDio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regnodi Dio è vicino; convertitevi e credete nelVangelo”» (Mc 1,14s). Paolo si definisce«apostolo (…) scelto per annunciare il Van-gelo di Dio» (Rm 1,1; cf. 1Cor 1,17).

Il Vangelo non è un libro, è una Parola vivaed efficace, che opera ciò che dice. Così nelVangelo il regno di Dio si manifesta nel mon-do e opera nella storia. Il Vangelo è un mes-saggio di vita, di giustizia, di libertà e dipace di Dio. L’evangelizzazione è una forzache trasforma il presente, lo riconfigura e lospinge verso il futuro, una forza mediantela quale il regno di Dio si fa strada nel mon-do, in mezzo alle angustie e alle persecu-zioni, portando vita, giustizia, libertà e pace(shalom).Il Vangelo non è un sistema di articoli difede e precetti morali, e ancor meno un pro-gramma politico, neppure di politica eccle-siale, bensì una persona: Gesù Cristo comeParola definitiva di Dio, fatta uomo. Il Van-gelo è Vangelo di Gesù Cristo. Non solo hacome contenuto Gesù Cristo, ma quest’ulti-mo è, attraverso lo Spirito Santo, anche ilpromotore e il soggetto primario dell’evan-gelizzazione. L’obiettivo è la comunione el’amicizia con Gesù Cristo, l’entusiasmo el’impegno per lui e per la sua causa, il regnodi Dio.Tale è il «programma» che Giovanni PaoloII ha esposto nella Novo millennio ineunte(2001), che io considero il suo vero testa-mento pastorale. Lì affermava che dobbiamo«ripartire da Gesù Cristo». Questa preoccu-pazione sottende anche il libro Gesù di Na-zaret di Benedetto XVI.Purtroppo ben presto il Vangelo è diventatoun libro, perdendo così – a parte alcuneimportanti eccezioni – il significato originariodi Vangelo, quello di messaggio vivo e vi-vificante.1 Solo con i movimenti protestantidel Risveglio è ritornato a splendere il signi-

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1 Il termine è rimasto vivo soprattutto in IRENEO DI LIONE (Adv. haereses III, 4, 2), a partire dal quale ha sviluppatoun’influenza che si ritrova ancora in TOMMASO D’AQUINO (Summa th. I/II q. 106 a. 1 c. a.) e nel concilio diTrento (DENZ 1501). E si trova ancora in uno dei grandi precursori dei movimenti di rinnovamento del XXsecolo: Johann Adam Möhler. Lì si è potuto collegare con il Vaticano II (cf. Dei verbum, n. 7; EV 1/880s).

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ficato originario dell’evangelismo o evange-lizzazione. Per i movimenti del Risveglio sitrattava di risvegliare cristiani «morti», quin-di di quella che noi oggi chiamiamo nuovaevangelizzazione. Un’iniziativa corrispon-dente da parte cattolica è stata quella dellemissioni popolari organizzate a scadenze re-golari in ogni parrocchia. Purtroppo si è ingran parte abbandonata questa pratica, an-che se oggi vi sono segni di un ritorno. Re-centemente si sono organizzate missioni cit-tadine su larga scala a Lisbona, Parigi, Vien-na e in altre metropoli. Spero che questiesempi facciano scuola.Da parte cattolica troviamo nuovamente itermini «evangelizzare» ed «evangelizzazio-ne» nei documenti ufficiali del concilio Va-ticano II (1962-1965). La costituzionedogmatica Dei verbum sulla divina rivela-zione afferma chiaramente che l’evangeliz-zazione non è un indottrinamento, ma unatestimonianza, resa nello Spirito, mediantela parola e l’azione, nonché tutta la vitadella Chiesa (cf. nn. 7s). Essa è affidata inparticolare ai vescovi (cf. Lumen gentium,nn. 24s), ma anche i laici devono impre-gnare la realtà concreta del mondo con lospirito del Vangelo (cf. Lumen gentium, n.35; Apostolicam actuositatem, n. 2). Inquesto senso globale il Concilio può affer-mare: «La Chiesa peregrinante per sua na-tura è missionaria» (Ad gentes, n. 2; EV1/1090).Non si ripeterà mai abbastanza questa frase.Infatti, missione significa ripartire, oltrepas-sare i confini, allargare gli orizzonti. Perciò,la missione è il contrario dell’autosufficienzae del ripiegamento su sé stessi, della men-talità dello status quo e di una concezionepastorale che ritiene sufficiente continuarea fare come si è sempre fatto. Oggi il «bu-siness as usual» non basta più. Questa rin-novata comprensione dell’evangelizzazione

è stata esposta nell’esortazione apostolicaEvangelii nuntiandi di Paolo VI (8.12.1975).Questo documento proiettato sul futuro sispinge fino ad affermare: «Evangelizzare (…) è la grazia e la vocazione propria dellaChiesa, la sua identità più profonda» (n. 14;EV 5/1601). Era un primo sommovimentoe ha provocato una valanga. Subito il ter-mine evangelizzazione è stato ripreso inAmerica Latina, Africa e Filippine. È entratonel documento finale dell’Assemblea dei ve-scovi latinoamericani a Puebla, dedicata a«L’evangelizzazione nel presente e nel futurodell’America Latina» (1979), e ricorre nuo-vamente nel recente documento di Apareci-da (2007). A partire da Puebla, l’evange-lizzazione è stata collegata con l’opzionepreferenziale per i poveri e con i giovani. InGermania invece – duole dirlo – abbiamotrascurato a lungo l’Evangelii nuntiandi.Giovanni Paolo II ha trattato il tema in moltisuoi messaggi; nella forma più dettagliata,con l’ausilio del termine «missione», nel-l’enciclica missionaria Redemptoris missio(7.12.1990). L’enciclica sottolinea che oggila missione non può assolutamente essereconsiderata compiuta. Si trova a un nuovopunto di partenza. In fatti, oggi non riguardapiù soltanto determinati territori geografici,ma anche i nuovi mondi sociali, gli ambientidi vita, i campi della cultura, soprattutto imass media, che si sono estraniati dal cri-stianesimo.

Il papa distingue tre situazioni:1) la prima missione (missio ad gentes),

là dove il Vangelo non è ancora cono-sciuto;

2) la normale attività pastorale, là dove laChiesa vive in comunità cristiane e pos-siede solide strutture;

3) la nuova evangelizzazione nei paesi diantica tradizione cristiana, nei quali interi

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gruppi di battezzati hanno perso la fedeviva, non si considerano più membri dellaChiesa e si sono allontanati da Cristo edal Vangelo (cf. n. 33).

Sotto la voce evangelizzazione si tratta quin-di della missione fondamentale della Chiesa,della sua identità e della sua ragion d’essere.Evangelizzazione non è quindi qualcosa cheriguarda determinate regioni ben definite,ma è la strada che permette di spiegare etradurre in pratica l’eredità apostolica nel eper il nostro tempo. Con il «programma»della nuova evangelizzazione la Chiesa vuo-le introdurre nel mondo di oggi e nell’odiernadiscussione la sua tematica più originaria especifica: l’annuncio del regno di Dio, ini-ziato in Gesù Cristo.

III NUOVA EVANGELIZZAZIONEIN RISPOSTAA UNA NUOVA SITUAZIONE

Parlando non solo di evangelizzazione madi «nuova evangelizzazione» si vuole indi-care che oggi l’evangelizzazione deve tenerconto di una nuova situazione. In molteparti dell’Africa e soprattutto dell’Asia si trat-ta di prima evangelizzazione, quindi di aprirequelle culture al primo ascolto e alla primaaccoglienza del Vangelo.Da noi in Europa la situazione è diversa.Noi abbiamo alle spalle una ricca, plurise-colare storia cristiana. L’Europa è inconce-pibile senza l’opera evangelizzatrice del-l’apostolo Paolo, senza il martirio di Pietroe di Paolo a Roma, senza grandi papi comeLeone e Gregorio, senza uomini e donne co-me Martino, Benedetto e Scolastica, Metodioe Cirillo, Bonifacio e Walburga, Ulrico, Adal-berto, Anscario, Brigida di Svezia, Elisabetta di Ungheria e Turingia, senza Martin Lu-tero e i riformatori e molti altri. Senza di loro

la casa Europa non sarebbe mai stata co-struita.Tuttavia la storia dell’Europa non è solo unastoria di santi, ma anche una storia di colpe.Spesso l’Europa ha tradito la sua eredità:con le crociate, con le guerre di religione,durante le quali si sono combattuti luteranie cattolici, spingendo l’Europa sull’orlo delprecipizio, con il colonialismo, che è statoanche un’impresa di sfruttamento, con ledue guerre mondiali, che hanno seminatodolore e rovine in tutto il mondo, con i duesistemi totalitari del XX secolo, sprezzantidi Dio e dell’uomo: il nazismo e il comuni-smo sovietico, infine con la Shoah, l’ucci-sione programmata e attuata, nel cuoredell’Europa, di sei milioni di ebrei per manodel regime nazionalsocialista. La secolariz-zazione è una reazione a questa storia dicolpe, è soprattutto una reazione alle guerredi religione. Dopo che le controversie reli-giose avevano spinto l’Europa sull’orlo delprecipizio, bisognava per sopravvivereespellere la religione dall’ambito pubblico edichiararla una questione privata. Così si èfondata la pace pubblica sulla ragione co-mune a tutti, prescindendo dalla fede. Que-sto ha comportato una perdita di importanzadella Chiesa; ampi settori della cultura edell’economia e molti ambienti di vita si so-no estraniati dalla fede cristiana.Bisogna naturalmente evitare slogan sem-plicistici. Ora è troppo facile parlare di ab-bandono della Chiesa, di scristianizzazione,di crollo della religione e di assenza di Dio.La secolarizzazione è un processo di distin-zione, nel quale i succitati ambiti profani sisono emancipati dal predominio della reli-gione, che prima inglobava e disciplinavatutto, e resi autonomi. Il concilio Vaticano IIha riconosciuto questa legittima autonomia(cf. Gaudium et spes, nn. 36, 41, 56 e 76).La dichiarazione Dignitatis humanae sulla

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libertà religiosa afferma: «In questa nostraetà gli uomini diventano sempre più consa-pevoli della dignità della persona umana»(n. 1; EV 1/1042).Noi cristiani non siamo per principio pessi-misti riguardo alla cultura. Non abbiamo al-cun motivo per giudicare in modo unilate-ralmente negativo lo sviluppo moderno. LaChiesa ha certamente perso potere esterioree influenza diretta, ma ha riconquistato cosìla sua libertà esteriore e interiore e accre-sciuto la sua autorità morale. Come la Chiesaafferma e accetta tutto ciò che c’è di vero,buono e bello nelle altre religioni, così puòriconoscere anche ciò che c’è di buono nellosviluppo moderno.Ovviamente non dobbiamo cadere nell’estre-mo opposto e santificare, per così dire, l’epo-ca moderna. Nel processo della secolarizza-zione i frutti dell’epoca moderna si sono se-parati dalle loro radici cristiane e dal troncocristiano; come frutti caduti dall’albero, ri-schiano di marcire e diventare velenosi. Ciòè effettivamente accaduto. La libertà indivi-duale si è trasformata in individualismo, peril quale non esistono più valori e norme ge-nerali vincolanti. Spesso la secolarizzazionesi è trasformata nell’ideologia di un secola-rismo intollerante. Oggi è rispuntato un atei-smo e laicismo ostile alla Chiesa, intransi-gente e militante,2 che si esprime anche alivello politico, ad esempio nel categorico ri-fiuto di citare Dio e le radici ebraico-cristianedell’Europa nel primo abbozzo di Costituzio-ne europea.

Nel frattempo si è riconosciuta la «dialetticadell’Illuminismo» (Th.W. Adorno); il prezzoche dobbiamo pagare per il progresso è or-mai chiaro. Il dramma dell’umanesimo senzaDio (H. de Lubac) è che esso mette in di-scussione, con la fede cristiana, anche l’idea-le positivo dell’Illuminismo. Così la moder-nità rischia l’autodistruzione. La ragione au-tonoma rischia di diventare una ragione pu-ramente strumentale, di cui si può usare eabusare. Con la tecnica moderna si possonocostruire ospedali attrezzati e funzionali, maanche bombe atomiche. Si può coltivare lanatura, ma la si può anche sfruttare e cosìdistruggere l’habitat naturale delle specieviventi. La ragione può diventare ragioneprostituta (Martin Lutero).In definitiva, l’emancipazione radicale privail mondo del suo significato ultimo. Gli man-ca il collegamento vincolante. È proprio cosìche F. Nietzsche ha descritto le conseguenzedella morte di Dio: «Che cosa facemmoquando sciogliemmo questa Terra dal suoSole? Dove sta andando ora? Dove stiamoandando noi?... Esiste ancora un Sopra e unSotto? Non stiamo vagando come in un in-finito Nulla? Non respira su di noi lo Spaziovuoto? Non è diventato più freddo? Nonviene continuamente la notte e più notte?».3

L’uomo può non ritrovarsi in un mondo delgenere, privo di senso. Così si è giunti a unadialettica della secolarizzazione.4 L’aspetta-tiva che la religione scomparisse non si èrealizzata. Non la religione, ma la tesi dellasecolarizzazione si è dimostrata superstizio-

2 Cf. il recente best-seller, molto polemico, di R. DAWKINS, The God Delusion, Bantam Books, Oxford 2006 (trad.it. L’illusione di Dio, Mondadori, Milano 2007). Best-seller di questo tipo dimostrano che oggi si assiste nonsolo a un ritorno della religione, ma anche a una rinascita di correnti atee, anticristiane e anticlericali.3 F. NIETZSCHE, Die fröhliche Wissenschaft, in Werke (ed. Schlechta), vol. 2, München 1955, 127 (trad. it. Lagaia scienza e idilli di Messina, Adelphi, Milano 1977).4 J. HABERMAS, J. RATZINGER, Dialektik der Säkularisierung. Über Vernunft und Religion, Freiburg i. Br. 2005(trad. it. Ragione e fede in dialogo, Marsilio, Venezia 2005).

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ne. La domanda di senso e di orientamento,la nostalgia, espressa o inespressa, di Dio ela domanda su Dio è ritornata di attualità inmolti. Anche pensatori non provenienti daalcuna tradizione religiosa, come J. Haber-mas, scoprono che la religione contiene unpotenziale di modelli di linguaggio e di si-gnificato per nominare e interpretare espe-rienze che altrimenti restano inespresse esconcertanti. Così si parla di un ritorno dellareligione e anche di un ritorno di Dio. Dio èritornato per così dire nei salotti ed è statoriammesso nelle conversazioni della buonasocietà.Ma occorre prudenza. Il ritorno della religio-ne è processo ambivalente. Non riconducesenz’altro alla fede nel Dio cristiano e nontorna automaticamente a riempire i banchivuoti delle chiese. Spesso conduce a una re-ligiosità vaga, diffusa, fluttuante, a una re-ligiosità basata sul gusto individuale e suun fai da te sincretistico.Questa religiosità piuttosto caotica si rivolgeal mito, allo spiritismo e all’occultismo, per-sino al satanismo e finisce in un «ateismodi stampo religioso» (J.B. Metz).Tutto questo induce a chiedersi: sta tornandoveramente Dio o stanno tornando, in realtà,gli dèi o gli idoli? Non si tratta forse sem-plicemente di un narcisistico innamoramentodi sé stessi, che cerca il divino in noi manon Dio al di sopra di noi? Già Nietzscheaveva parlato di un crepuscolo degli dèi.I sentimenti religiosi possono collegarsi aicampi più diversi e condurre a una diviniz-zazione di valori terreni come lo stato, l’arte,lo sport ecc. Si può giungere addirittura alterrorismo ammantato di religione, anche se

è difficile pensare a uno stravolgimento dellareligione peggiore della sua riduzione a stru-mento per azioni terroristiche. D’altra parte,c’è la tentazione di una religione civile con-servatrice o neo-conservatrice, che avalla lostatus quo o giustifica il suo mantenimentocon la forza e la sua imposizione ad altricon la guerra.Così abbiamo a che fare, da una parte, conun mondo profondamente secolarizzato, tec-nicamente molto avanzato, orientato al pro-fitto nonché alla difesa di interessi personali,economici e politici e, dall’altra, con una re-ligiosità diffusa, emotiva e vissuta come pas-satempo e hobby. Alla patologia della ra-gione corrisponde una religiosità patologica.Si è giunti a uno scisma fra Dio e il mondo,fra la fede e il pensiero, la cui eliminazionecostituisce una sfida fondamentale nell’in-teresse sia della religione sia del mondo.5

La nuova evangelizzazione si trova quindidavanti a una situazione complessa e con-fusa. Data questa difficile situazione, nonpuò essere un programma a breve termine,realizzabile con un paio di azioni mirate ol’ausilio di alcune proposte di riforma piut-tosto note come la democratizzazione dellaChiesa, il cambiamento della disciplina delcelibato ecc. Questo è troppo sbrigativo. Sitratta invece di un compito fondamentale alungo termine. Si tratta della questione diDio e del compito basilare della missione:appello alla conversione dagli idoli all’unicoe vero Dio (1Ts 1,9).Già i padri della Chiesa sapevano che la se-conda conversione è più difficile della prima.Dicevano che la prima conversione avvienemediante l’acqua del battesimo, mentre la

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5 Questo problema è stato affrontato già da GIOVANNI PAOLO II nell’enciclica Fides et ratio sui rapporti tra fede eragione, 14.9.1998; EV 17/1175ss. BENEDETTO XVI ha intrepidamente continuato la riflessione sul tema nellasua lezione di Regensburg Fede, ragione e università, 12.9.2006 (Regno-doc. 17,2006,540ss), ora in Glaubeund Vernunft. Commenti di G. Schwan, A. Th. Khoury, K. Lehmann, Freiburg i. Br. 2007.

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seconda richiede le lacrime del pentimentoe della penitenza. Ciò vale anche per la nuo-va, cioè seconda, evangelizzazione. Essaesige anzitutto una paziente rimozione delleincrostazioni, degli irrigidimenti e delle osti-nazioni e la guarigione delle ferite che si so-no formate sia sul versante della Chiesa siasu quello del mondo moderno. Sul versantedella Chiesa, occorre superare un atteggia-mento unicamente difensivo nei riguardi delmondo, liberarsi dall’isolamento imputabilein parte a sé stessi, rinnovare la fede e lagioia di credere e riprendere lo slancio mis-sionario. Sul versante del mondo modernosi tratta di eliminare il veleno che si è ac-cumulato contro il cristianesimo a causa diriserve, pregiudizi e ostilità. Mentre la primaevangelizzazione poteva presupporre la di-mensione religiosa e ricollegarsi a essa, laseconda deve anzitutto scoprire le domandereligiose sepolte e riportarle alla coscienza.Al riguardo non si può cedere all’illusionedi una possibile futura convivenza pacificae sintesi armoniosa di Chiesa e mondo, fedee cultura. Non si è verificato neppure nelpassato e non è semplicemente possibile. Leforze ostili al Vangelo opereranno anche inavvenire e gli si contrapporranno con forza.Anche la nuova evangelizzazione resta sottoil segno della croce e non può procederesenza conflitti.Tuttavia mostrerà alle persone di buona vo-lontà una via di uscita da un vicolo cieco eun percorso verso il futuro. Mostrerà la stra-da verso un nuovo umanesimo e verso unanuova civiltà della vita e dell’amore. Da que-sta prospettiva generale scaturiscono dellepriorità pastorali per una fase caratterizzatadalla nuova evangelizzazione.

6 M. BUBER, Begegnung. Autobiographische Fragmente, Stuttgart 1961, 43 (trad. it. Incontro. Frammenti au-tobiografici, Città Nuova, Roma 1998).

IV. CONCRETIZZAZIONI PASTORALI

Qui non dovete aspettarvi un programmapastorale completo. Posso evidenziare soloalcune prospettive che mi sembrano impor-tanti. Quello che vorrei comunicarvi non èstato pensato a tavolino; è frutto dell’espe-rienza che ho fatto in oltre cinquant’anni diservizio sacerdotale, fra cui dieci anni diesperienza pastorale come vescovo di unagrande diocesi, molti viaggi nel cosiddettoterzo mondo, dove ho conosciuto molte si-tuazioni di miseria, e l’esperienza degli ultimidieci anni a Roma, con ancora molti altriviaggi in tutto il mondo, nei quali non misono mai considerato (come alcuni pensano)un diplomatico ecumenico, bensì un parroconel grande mondo.

1. Parlare in modo nuovo di Dio

Il compito fondamentale e più importantedella nuova evangelizzazione è quello diparlare in modo nuovo di Dio e di introdurlonella conversazione. Non è un compito facilee soprattutto non è un compito che uno pos-sa semplicemente proporsi e poi realizzare.Il termine Dio è uno dei termini più abusati.È la parola più appesantita fra tutte le paroleumane; non ve n’è altra che sia stata cosìimbrattata, così lacerata.6 Avendo dimenti-cato Dio, noi europei abbiamo contro nonsolo la nostra storia, ma tutta la storia reli-giosa e culturale dell’umanità. Essa conosceil fenomeno del Santo, del totalmente Altro,che supera infinitamente le capacità dellanostra conoscenza e del nostro linguaggioed è tuttavia onnipresente. Lo descrive comeil mysterium tremendum et fascinosum, co-

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me ciò che incute timore e rispetto e al tempostesso attira e affascina (R. Otto). Gli antichisapevano che lo stupore è l’inizio della ri-flessione, come la Bibbia sapeva che il ti-more di Dio è l’inizio della sapienza (cf. Gb28,28; Sal 111,10; Pr 1,17; 9,10).La nuova evangelizzazione deve partire diqui. La sua prima preoccupazione deve es-sere quella che Karl Rahner ha chiamatomistagogia e considerato l’idea guida dellapastorale. Mistagogia significa accompagna-mento a scoprire il mistero già presente inogni esperienza di vita, per cercare Dio, chesi aggiunge per così dire dall’esterno e comecomplemento alla nostra vita, ma è già pre-sente in essa, pur restando sempre colui chedeve venire. Si tratta quindi di introdurre aun’interiorità e alla percezione di «qualcosa»che è meraviglioso, venerando e santo, cheè in definitiva incomprensibile e inesprimi-bile in e «dietro» tutto ciò che si può com-prendere ed esprimere, che quindi è trascen-dente nel cuore della vita. Così noi possiamotrasmettere un’intuizione di ciò che in ultimaanalisi intendiamo quando diciamo «Dio».7

La grande teologia cristiana ha sempre sa-puto che non si può esprimere esattamentechi è Dio, ma che in tutti i nostri concetti cisi rivolge a lui, che in questo caso la diffe-renza supera la somiglianza (DENZ 806),che Dio è sempre maggiore e sempre piùmisterioso di tutto ciò che noi pensiamo dipoter dire di lui. Già Tommaso d’Aquino di-ceva che, riguardo a Dio, sappiamo più ciòche non è di ciò che è (cf. Summa theol. I,q. 1, a. 7, ad 1; a. 9, ad 3).La conoscenza dei propri limiti è la veraumanità dell’uomo. Lo preserva dalla hybris

e dalla gigantomachia, dall’illusione di essereDio, dal giocare al piccolo dio, trattando esottomettendo senza alcun rispetto la naturae le altre persone. La convinzione di essereuomini e non Dio ci preserva anche dal pre-tendere troppo da noi stessi e dall’esaurirci.Ci avverte che non possiamo farci da soli,non possiamo «fare» la nostra vita, non pos-siamo salvare il mondo intero e non dob-biamo neppure pretenderlo da nessun altro.Nella tradizione spirituale quest’atteggia-mento si chiama umiltà. In genere, oggi que-sta parola non gode di buona stampa, perchésa di umiliazione e sottomissione. Purtroppo,in realtà, se ne è spesso abusato. Ma la veraumiltà è ciò che si chiamava in origine de-vozione (eusebeia, pietas), cioè timore re-verenziale per ciò che è santo. Dove nonesiste più nulla di santo, la vita diventa in-sopportabilmente priva di distanza, diventabrutale e anche terribilmente banale. L’umiltàinvece riconosce sia la verità sia la dignitàcreaturale della vita. Teresa d’Avila chiama-va la vera umiltà «camminare nella verità».8

Dobbiamo riscoprire questa verità della no-stra esistenza e apprenderla di nuovo.La proclamazione e la teologia cristiana nonpossono tacere davanti all’impenetrabile mi-stero della realtà del mondo e al presenti-mento del mistero di Dio. Diversamente dagliidoli muti (cf. Sal 115,4s) il Dio biblico è unDio che parla e un Dio vivente (cf. Dt 5,26;Mt 16,16). È la maggiore differenza fra lareligione cristiana e la religiosità orientale,come si presenta soprattutto nel buddhismo.Il passo che conduce oltre la silenziosa in-teriorizzazione del mistero della nostra vitaè quindi la fiduciosa conoscenza di fede che

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7 K. RAHNER, «Über den Begriff des Geheimnisses in der katholischen Theologie», in Schriften IV, 51-99; trad.it. Sul concetto di mistero nella teologia cattolica, in Saggi teologici, Paoline, Roma 1965, 391-465. Cf. W.KASPER, Der Gott Jesu Christi, Herder, Freiburg i. Br. - Basel - Wien 22008, 216-225 (trad. it. Il Dio di GesùCristo, Queriniana, Brescia 1984).8 TERESA D’AVILA, Il castello interiore. Seste mansioni, 10, 6, Sellerio, Palermo 1999.

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c’è «Uno» che mi «accetta», che io non sonoun prodotto del caso e uno scherzo del de-stino, ma che Qualcuno si rivolge a me, michiama per nome e mi accetta. È la certezzadell’esistenza di un Uno che mi sta di fronte,che io posso invocare, verso il quale possogridare, e che ascolta questo appello e questogrido anche quando nessuno più mi ascolta,che posso ringraziare per la mia esistenza eper l’esistenza di altri, che posso ammirare,lodare ed esaltare.Questa concezione personale di Dio raggiun-ge il suo punto più alto in Gesù. Nel cuoredella sua vita terrena e al centro del suomessaggio c’è la sua relazione personale,intima e assolutamente unica, con colui cheegli chiamava suo Padre (abbà) (cf. Mc14,36). I discepoli, sentendolo pregare inquel modo, gli chiesero: «Signore, insegnacia pregare», ed egli insegnò loro la preghieradel Padre nostro (cf. Mt 6,9; Lc 12,30). PerGesù la buona novella liberatrice è quella diessere introdotti in questa comunione per-sonale e in questo dare del tu a Dio, che cilibera dalla paura di essere in balìa di un de-stino senza volto e ci permette di sentirci alsicuro nella vita e nella morte in Dio.Perciò il compito fondamentale della nuovaevangelizzazione è quello di condurre, sia icristiani praticanti sia coloro che pongonodomande su Dio e lo cercano, a percepire lasua chiamata personale nella loro coscienza,a rispondersi, a dire a Dio «Abbà, Padre» ea recitare il Padre nostro. All’inizio questarisposta può essere difficile, balbettante esolo lentamente trovare la strada che con-duce a una relazione personale con Dio e auna preghiera personale. Forse vi sono moltepiù persone di quanto crediamo che aperta-mente o tacitamente ci interpellano e ci chie-dono: «Insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Per-ciò la nuova evangelizzazione sarà sempree soprattutto una scuola di preghiera.

2. Ripartire da Gesù Cristo

Il Vangelo non è un programma per il mi-glioramento del mondo. È il Vangelo di GesùCristo, sul cui volto risplende per noi il voltodel Dio vivente, amico degli uomini, del Dioche si spinge fino alla croce e che proprioper questo è con noi e accanto a noi anchenelle ore più buie della vita. Perciò la nuovaevangelizzazione è condurre a Gesù Cristoe introdurre nell’amicizia con Gesù. Nuovaevangelizzazione significa ricominciare daGesù Cristo, ritornare a scuola da lui per im-parare attraverso di lui a conoscere Dio el’uomo, a conoscerlo meglio e amarlo di piùper deciderci a seguirlo con più impegno.Per i cristiani questo cammino non è maiconcluso, ma dura tutta la vita. Il Nuovo Te-stamento definisce globalmente l’essere cri-stiano la «via», o la «nuova via» (cf. At 9,2;19,9). Questa memoria del fondamento per-manente e del centro della fede cristiana èla preoccupazione che sottende anche il vo-lume Gesù di Nazaret di Benedetto XVI.L’annuncio di Gesù Cristo non giunge al-l’uomo come qualcosa di estraneo dal difuori; non viene per così dire rovesciatosull’uomo. È il Logos nel quale tutto è statofatto, la luce e la vita in tutte le cose, la luceche illumina ogni uomo che viene nel mon-do. Non viene quindi come un estraneo, maviene nella sua proprietà (cf. Gv 1,1-14).Egli è la luce del mondo; chi lo segue noncammina nelle tenebre, ma ha la luce dellavita (cf. Gv 8,12). Perciò il messaggio diGesù Cristo deve essere presentato comespiegazione della vita; esso è il senso del-l’esistenza, della vita e del mondo.Tutto questo non è per nulla innocuo. Il Van-gelo di Giovanni conosce l’incomprensibileparadosso degli uomini che non accolgonoquesta luce (cf. Gv 1,5.10s), ma preferisco-no le tenebre alla luce (cf. Gv 3,19). Inquanto messaggio di liberazione il Vangelo

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di Gesù è sempre anche messaggio critico.Non si può tradurre in pratica senza la di-sponibilità alla conversione e al cambia-mento di mentalità. Lo attesta il messaggiodi tutti i profeti, oltre a quello di Gesù. Lavita di tutti quei «grandi» cristiani che noichiamiamo santi è stata una vita di continuaconversione. La nuova evangelizzazionenon può evitare di parlare di questo aspetto.Dovrà dire: tu devi cambiare vita. In basea ciò che abbiamo detto, la priorità per lanuova evangelizzazione è la concentrazionesu Cristo. Ha poco senso ed è anzi piuttostocontroproducente discutere con persone chesono lontane dalla fede, o hanno difficoltànei riguardi della fede, della verginità diMaria, del purgatorio, delle indulgenze o ditemi del genere che sono ben lontani dallaloro vita e dalle loro preoccupazioni. Nonche non siano contenuti della fede, che nelloro contesto sono legittimi e non devonoessere trascurati o addirittura omessi. Ma alivello esistenziale queste verità si possonocomprendere solo quando si possono vederea partire dal fondamento e dal centro dellafede, cioè a partire da Gesù Cristo. Non dob-biamo quindi perderci in tali questioni, machiarire anzitutto il fondamento e il centro.In altri termini: dobbiamo tener presente la«gerarchia delle verità» (cf. Unitatis redin-tegratio, n. 11; EV 1/536).Da questa concentrazione su Cristo derivaun cambiamento di paradigma in campo pa-storale. In epoca post-tridentina si dava la

priorità a una distribuzione a tappeto dei sa-cramenti. I sacramenti sono sacramenti dellafede; essi presuppongono la fede e possonoessere impartiti solo in presenza di una fedeperlomeno presunta. Oggi, in molti casi nonla si può presupporre: molti non conosconoveramente Gesù Cristo; ne hanno in qualchemodo sentito parlare; lo conoscono o lo mi-sconoscono per sentito dire; sanno questa oquella cosa riguardo a lui, ma non hannomai veramente incontrato in modo personalelui e il suo messaggio. Perciò dobbiamo chie-derci se spesso non meriteremmo il rimpro-vero di Dietrich Bonhoeffer: scialacquiamo isacramenti e li trasformiamo in grazia abuon mercato.9

Normalmente lo scossone prodotto dalle pre-diche tenute in occasione di missioni stra-ordinarie si esaurisce in fretta se non è pre-ceduto o seguito da un corso catechetico si-stematico. Anche Gesù, come i rabbi delsuo tempo, ha fatto scuola ai suoi discepoli.Fin dai tempi apostolici la catechesi è con-siderata un dovere fondamentale special-mente dei vescovi e poi dei parroci.10 Padridella Chiesa che erano grandi teologi, comeAgostino, e teologi come Tommaso d’Aquinonon si tiravano certamente indietro in que-sto. Le Chiese di missione hanno conservatola tradizione della Chiesa antica e traggonoproprio di lì la maggior parte del loro suc-cesso missionario. Ma da noi dove si puòtrovare un’introduzione alla fede e alla vitadi fede? Da noi dove si può imparare la

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9 D. BONHOEFFER, «Die teure Gnade», in Nachfolge, München 1971, 13-27 (trad. it. Sequela, Queriniana, Brescia1971).10 Cf. Sacrosanctum concilium, n. 64; EV 1/115; Dei verbum, n. 24; EV 1/907; Ad gentes, nn. 13s; EV1/1117ss; Christus Dominus, n. 14; EV 1/602ss; Apostolicam actuositatem, n. 10; EV 1/949ss; GIOVANNI PAOLO

II, esort. ap. Catechesi tradendae sulla catechesi nel nostro tempo, 16.10.1979; EV 6/1764ss. Al riguardo,J. RATZINGER, Die Krise der Katechese und ihre Überwindung, Johannes Verlag, Einsiedeln 1983; W. KASPER (acura di), Einführung in den katholischen Erwachsenen-katechismus, Patmos-Verlag, Düsseldorf 1985; W.KASPER, A. BIESINGER, A. KOTHGASSER, Weil Sakramente Zukunft haben. Neue Wege der Initiation in Gemeinden,Matthias-Grünewald, Ostfildern 2008.

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fede? Non mancano certamente nuove ini-ziative meritevoli e lodevoli per una nuovae viva trasmissione della fede (cursillos,neo-catecumenali, corsi Alfa, corsi teologiciper corrispondenza ecc.), ma purtroppo sonoper lo più iniziative parallele alle forme par-rocchiali ufficiali della catechesi.Nell’attuale situazione scolastica l’insegna-mento della religione, che un tempo contri-buiva alla realizzazione del compito cate-chetico, non può più assicurare quest’intro-duzione, anche nel caso in cui venga ac-compagnato da un’intensa pastorale scola-stica. La catechesi non può essere un meroprocesso di apprendimento scolastico; essaè sempre anche introduzione alla vita cri-stiana e alla vita della Chiesa. Deve esserevicina alla vita, partire da esperienze, inter-pretare esperienze e permettere di fare nuoveesperienze.Più che di insegnanti ha bisogno di maestridi vita (Meister Eckhart). Questo è possibilesolo con una vicinanza ambientale e perso-nale alla Chiesa e alla comunità cristiana.Si è giustamente introdotta, accanto all’in-segnamento della religione, la catechesi co-munitaria come preparazione alla prima co-munione e alla cresima. Per lo più viene af-fidata a una persona poco o punto formata.Così, a parte alcune lodevoli eccezioni, essaoffre nella migliore delle ipotesi una sorta dipre-evangelizzazione, rimane cioè a livellodi un semplice tirocinio religioso. La cate-chesi di base per il battesimo (nel senso diuna catechesi per i genitori o la famiglia inoccasione del battesimo dei figli) è in genereminima; così pure la catechesi degli adulti,che sarebbe invece molto importante per cri-stiani battezzati solo di nome, che nell’etàadulta vogliono ritornare a una fede viva, oper non battezzati che chiedono il battesimo.Nessuna meraviglia che una tale mancanzadi nutrimento religioso produca solo una fe-

de anemica. Oggi, la conoscenza della fedeha raggiunto veramente il suo punto piùbasso. Bisogna parlare di analfabetismo re-ligioso. E tuttavia si può amare solo ciò chesi conosce e ciò che si ama si vuole cono-scere ancor meglio e più in profondità.Occorre un percorso catechetico sistematicointegrale, cioè non solo conoscitivo, ma an-che emotivo e orientato alla pratica, checonduca persone giovani e adulte con cuore,mano e ragione a Gesù Cristo e le introducanella fede e nella vita della Chiesa, che liaiuti a essere cristiani adulti, cioè cristianiche possono aprire la bocca e rendere ragio-ne della loro fede. La carenza di questa ca-techesi è una delle mancanze più gravi dellaChiesa in Germania.Nessuna meraviglia che molti, che si riten-gono maggiorenni, ripetano solo slogan bennoti e siano vittime della presentazione su-perficiale della religione che si fa attraversoi grandi mezzi di comunicazione sociale ola propaganda dei nuovi movimenti religiosi.Dobbiamo tornare a imparare dalla Chiesaantica e dalle Chiese di missione, nonchédalla prassi catechetica di altri paesi occi-dentali.

3. Essere un nuovo tipo di Chiesa

Comunità cristiane missionarie. L’introdu-zione nell’amicizia con Gesù Cristo e l’intro-duzione nella vita della comunità della Chie-sa sono strettamente collegate. La Chiesa èil corpo di Cristo; in essa e attraverso diessa, Gesù Cristo è continuamente presentenella storia e nel mondo. Normalmente sipuò sperimentare concretamente la Chiesanella comunità cristiana. Le comunità cri-stiane sono la Chiesa in loco, sono cellulevive della Chiesa e dovrebbero essere percosì dire un biotopo della fede. Perciò le co-munità cristiane sono anche i luoghi di ini-

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ziazione alla fede. Di questo sono respon-sabili tutti i membri della comunità cristiana,ciascuno a suo modo, in forza del battesimoe della cresima. Il rinnovamento missionariodella comunità cristiana è un imperativo delnostro tempo.Naturalmente ognuno sa che le comunitàcristiane hanno attualmente dei problemi.Le ragioni sono molteplici. Una è la man-canza di sacerdoti, ma non è la sola. Visono anche ragioni che attengono al cam-biamento sociologico: separazione fra il luo-go di residenza, il luogo di lavoro e l’am-biente familiare; flessibilità dei membri dellacomunità cristiana, per cui le comunità sta-bili vecchio stile non esistono quasi più; lenote ragioni demografiche, che in avvenirecondurranno a comunità cristiane con mem-bri sempre più anziani e numeri sempre piùridotti. L’accorpamento di parrocchie in co-munità o unità pastorali è una misura ne-cessaria, ma non ha mai veramente accon-tentato nessuno, per cui può essere solouna soluzione transitoria. Guardando le cosesu un lasso di tempo più lungo, bisogneràprendere le distanze da una forma di pre-senza della Chiesa «a pioggia», che lasciapiù o meno tutto immutato ma porta anchea numeri sempre più ridotti, e passare in-vece a un’unione delle forze nelle Chieseche si trovano al centro. Così nei giorni do-menicali e festivi vi si potrebbe sperimentareuna vita ecclesiale piena invece di una vitasempre più ridotta e rarefatta.11

Questo corrisponde al metodo missionariodell’apostolo delle genti, Paolo, il quale pre-dicava e operava nelle grandi città del tem-po, dalle quali poi il cristianesimo si irradiavanelle campagne attorno. Questo è stato an-che il percorso della prima evangelizzazione

delle nostre terre, che partiva dai monasterie dalle chiese urbane. Nelle Chiese di mis-sione questo «sistema» delle chiese centralio delle stazioni missionarie è tuttora ovvio.Per la nuova evangelizzazione io non vedoaltra strada. Non possiamo affidarla a unastruttura parrocchiale sorta nel primo o altoMedioevo. Se vogliamo essere veramenteuna Chiesa missionaria oggi e domani, dob-biamo procedere a profonde riforme struttu-rali.Questo non significa centralizzare la vita co-munitaria nei grandi centri e lasciare che learee circostanti diventino deserti e steppesul piano pastorale e spirituale. La fede vivedel contatto gomito a gomito. Perciò la par-rocchia deve essere una comunità di comu-nità. Biblicamente parlando, oggi occorronole Chiese domestiche: le piccole comunità ole comunità di base. In America Latina e inAfrica si sono fatte buone esperienze al ri-guardo. In queste piccole comunità si puòsperimentare ed esercitare la comunità di fe-de; di lì essa può irradiare missionariamentele aree circostanti. Grazie a essa, le personepossono sentirsi a casa o ritrovare la stradadi casa. Al riguardo finora le donne hannosvolto un ruolo importante e continuerannoa svolgerlo sempre più.E c’è anche un secondo aspetto. Lo stessoSignore Gesù Cristo è presente in ogni co-munità cristiana e in ogni congregazione;perciò nessuna comunità cristiana o congre-gazione può isolarsi e assolutizzarsi. Ognicomunità cristiana e ogni congregazione èChiesa solo in quanto membro della Chiesauna, santa, cattolica e apostolica. Essa deverestare in comunione con la comunità piùampia della Chiesa, concretamente deve re-stare in comunione con il vescovo. Un cri-

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11 W. KASPER, Diener der Freude. Priesterliche Existenz - priesterlicher Dienst, Herder, Freiburg i. Br. 2007,143-150 (trad. it. Servitori della gioia: esistenza sacerdotale, servizio sacerdotale, Queriniana, Brescia 2007).

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stianesimo formato da comunità asociali,campanilistiche, che a volte non si estendonooltre i confini di una fattoria, non è all’altezzadel tempo e neppure dell’attuale ecclesiologiadi communio. Specialmente nell’attuale si-tuazione missionaria occorre essere cristianiin prospettiva mondiale e in formato mon-diale, occorrono comunità a dimensione ec-clesiale universale, cioè cattolica.Il compito missionario con cui si chiude ilVangelo (cf. Mc 16,15s; Mt 28,19s; Lc24,48s; At 1,8) è ben lungi dall’essere con-cluso; è entrato in una nuova fase. La mis-sione non è più un movimento Nord-sud odOvest-est; occorre oltrepassare il confinemissionario anche da noi nel Nord e nel-l’Occidente; da noi occorre oltrepassarlo an-dando verso settori e ambienti che sonoestranei alla fede. Oggi la missione si trovain tutti e cinque i continenti.L’essere cristiano e la Chiesa o sono missio-nari o non sono. Chi non cresce, diminuisce.Chi non cresce perlomeno in proporzionealla popolazione mondiale in crescita diventaminoranza. Chi ama la propria fede si pre-occuperà anche di testimoniarla e portarlaad altri e permettere ad altri di parteciparvi.La mancanza di zelo missionario è mancan-za di zelo per la fede; al contrario, la fedesi irrobustisce trasmettendola. La domandacritica che dobbiamo porci è ovviamentequesta: siamo interessati a trasmettere la fe-de e a guadagnare alla fede i non cristiani?Abbiamo veramente a cuore la missione?Domanda: come ci comportiamo con i mu-sulmani che nel frattempo sono venuti a vi-vere in gran numero in mezzo a noi? Certo,noi rispetteremo la loro religione. Da noi,essi godono della libertà religiosa anchequando nei paesi a maggioranza musulmanai cristiani non ne godono. Noi cerchiamo diintegrarli. Non vogliamo imporre loro la no-stra fede. Ma se ci inchiniamo troppo in fret-

ta, non otteniamo rispetto bensì giustamentedisprezzo, perché dimostriamo che per noila fede non è molto importante. Penso cheanche da questo punto di vista dobbiamoriflettere sul nostro impegno nei riguardi del-la testimonianza cristiana.

CONCLUSIONE

Ancora una parola per terminare. È più diuna semplice conclusione. Può evangelizza-re solo una Chiesa che è evangelizzata, unaChiesa che si preoccupa di rinnovarsi spiri-tualmente all’interno e all’esterno. Può tra-smettere la fede solo chi è personalmenteforte nella fede. In 2Cor 4,13 Paolo cita ilSal 116,10: «Ho creduto, perciò ho parlato».Solo quando il nostro cuore è pieno, la no-stra bocca può traboccare. Non si tratta quin-di di introdurre nuove organizzazioni e isti-tuzioni, elaborare nuovi piani, accordarenuovi finanziamenti, convocare nuove as-semblee e simposi, organizzare nuove ini-ziative di sensibilizzazione dell’opinionepubblica. Sono tutte cose che abbiamo giàin abbondanza.Il mandato missionario parla di testimonipieni di Spirito Santo (martyres); (Lc24,48s, At 1,8). Il testimone ripieno delloSpirito di Dio non parla solo con la boccama con tutta la sua vita, rischiando persinola sua esistenza terrena. Perciò la nuovaevangelizzazione è soprattutto un compitoe una sfida spirituale; è un compito di cri-stiani che perseguono la santità. Le ricetteliberali sono controproducenti.La visione di una Chiesa evangelizzante,da cui siamo partiti, deve mettere radici neinostri cuori. Questa nuova realtà è comin-ciata a Pentecoste e con il discorso di Pietroha trovato ascolto e comprensione al di làdi tutti i confini culturali e linguistici. Dob-

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biamo impossessarci nuovamente del fuocoe dell’entusiasmo della Pentecoste. Una vol-ta ripieni di questo fuoco, esso si propagheràirresistibilmente quasi da sé come un in-cendio nella boscaglia. Allora si realizzerà

ciò che dice Paolo: «La parola di Dio corre»(2Ts 3,1).La nuova evangelizzazione dell’Europa co-mincia con una nuova Pentecoste; cominciada noi stessi.

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Cari Fratelli, Vescovi e Responsabili Nazio-nali della Catechesi nel Consiglio delle Con-ferenze Episcopali Europee,

Siete venuti a Roma per confrontarvi sul te-ma “La comunità cristiana e il primo an-nunzio”. È molto significativa la scelta com-piuta, considerando che oggi, veramente,bisogna decidersi per una evangelizzazionefondamentale, anche all’interno della Chiesagià costituita, cioè all’interno dello stessogregge dei battezzati. Sono moltissimi i cri-stiani che si sono allontanati dalla parteci-pazione alle nostre comunità ecclesiali. Ilmotivo di quest’allontanamento, ha detto ilPapa in Brasile, è normalmente perché nonsono stati sufficientemente o per nienteevangelizzati. Nessuno ha annunziato lorola persona di Gesù Cristo, morto e risorto, eil suo Regno, per portarli in seguito ad unincontro forte, personale e comunitario conil Signore risorto. È in un tale incontro cheaccadde realmente la grande trasformazionedell’evangelizzato, ossia, accadde in lui lanascita della fede attraverso una salda ade-sione a Gesù Cristo, adesione incondiziona-ta, gioiosa, illuminante e pronta ad investirein Lui tutta la propria vita e a seguirLo,ovunque conduca.

Il vero discepolo nasce da quest’incontro.Tuttavia, in sé il primo annunzio, il cosidettoKerigma, dovrebbe precedere la catechesi.È vero, in principio. Sappiamo, nondimeno,

che la situazione pastorale odierna non per-mette la netta separazione tra evangelizza-zione e catechesi. Il Papa Giovanni PaoloII, nell’Esortazione Apostolica “CatechesiTradendae” (1979), giustamente disse:“Nella pratica catechetica, questo ordineesemplare [prima l’evangelizzazione e poila catechesi] deve tener conto del fatto chespesso la prima evangelizzazione non c'èstata. Un certo numero di bambini, battez-zati nella prima infanzia, vengono alla ca-techesi parrocchiale senza aver ricevutonessun'altra iniziazione alla fede, e senzaaver ancora nessun attaccamento esplicitoe personale con Gesù Cristo, ma avendosoltanto la capacità di credere, infusa nelloro cuore dal battesimo e dalla presenzadello Spirito santo; e i pregiudizi dell'am-biente familiare poco cristiano o dello spiritopositivista dell'educazione creano subito uncerto numero di riserve. E bisogna aggiun-gere altri bambini non battezzati, per i qualii genitori non accettano che tardivamentel'educazione religiosa: per certe ragioni pra-tiche, la loro tappa catecumenale si svolgeràspesso, in gran parte, nel corso della cate-chesi ordinaria. Inoltre, molti pre-adolescen-ti e adolescenti, battezzati e partecipi sia diuna catechesi sistematica, sia dei sacramen-ti, rimangono ancora per lungo tempo esi-tanti nell'impegnare la loro vita per GesùCristo, quando addirittura non cercano dievitare una formazione religiosa in nomedella loro libertà. Infine, gli adulti medesimi

OMELIA DEL 5 MAGGIO 2009Omelia del Cardinale Claudio Hummesnella Santa messa del 5 maggio 2009

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non sono al riparo dalle tentazioni del dub-bio e dell'abbandono della fede, in conse-guenza dell'ambiente incredulo. Ciò vuol di-re che la «catechesi» deve spesso sforzarsinon soltanto di nutrire e di insegnare la fe-de, ma di suscitarla incessantemente conl'aiuto della grazia, di aprire i cuori, di con-vertire, di preparare un'adesione globale aGesù Cristo per coloro che sono ancora allesoglie della fede” (n. 19). Ricordo che, per-ciò, già nel 1992, la IV Conferenza Generaledell’Episcopato latino-americano, in SantoDomingo, parlò del bisogno di una catechesikerigmatica e missionaria.

Il primo annunzio e la catechesi sempre sonostati considerati doveri fondamentali dellaChiesa, poiché sono inclusi nel mandato ri-cevuto dal Signore risorto, prima del suo ri-torno al Padre, quando comandò ai suoi di-scepoli di andare ed evangelizzare tutte legenti. “In tal modo, Egli affidava loro lamissione ed il potere di annunciare agli uo-mini ciò che essi stessi avevano udito, vistocon i loro occhi, contemplato e toccato conle loro mani riguardo al Verbo della vita”(Cat.Trad., n.1).

Nella prima lettura di questa nostra liturgia,abbiamo ascoltato, nel brano degli Atti degliApostoli (At 11,19-26), come nella primi-tiva Chiesa degli apostoli in Gerusalemme,i discepoli si sono dispersi, dopo la persecu-zione scoppiata al tempo di Stefano, e sonoandati a predicare il primo annunzio nellaFenicia, a Cipro e ad Antiòchia, inizialmentesoltanto ai Giudei che lì vivevano, ma dopoanche ai Greci. Questo ricordo può aiutarevoi, cari Fratelli, nel lavoro in questi giornia Roma. Può darvi quella gioia e quel sti-molo con cui lo Spirito Santo ha mosso tantiveri evangelizzatori, che nell’storia dellaChiesa, fin dall’origini, hanno investito tutta

la loro vita, senza riserve, nell’opera del-l’annunzio di Gesù Cristo e del suo Regno,anche spesso con il sacrificio della loro vita.Oggi, il mondo e, in modo particolare, l’Eu-ropa secolarizzata e laicizzata, hanno biso-gno di tali evangelizzatori. Non c’è dubbioche anche quelli che sono post-moderni e sidicono perfino post-cristiani possono esseretoccati di nuovo, inizialmente forse non dauna formulazione dottrinaria o da un codicedi morale, ma dall’esperienza reale di unvero e forte incontro personale e comunitariocon la persona di Gesù, morto e risorto. Untale incontro sarebbe fondamentale per loro.L’ha detto, in altre parole, Benedetto XVInella “Deus caritas est”, cioè: “All’iniziodell’essere cristiano non c’è una decisioneetica o una grande idea, bensì l’incontro conun avvenimento, con una Persona, che dàalla vita un nuovo orizzonte e con ciò la di-rezione decisiva” (n. 1). E noi, troveremola strada missionaria per raggiungere tutti,perfino i cosiddetti post-cristiani di Europa?Riusciremo a fare loro, in un modo incultu-rato, questo primo annunzio e a condurli aquell’incontro speciale con il Signore Gesù,morto e risorto? Sappiamo che il futuro dellaChiesa in Europa dipenderà in grande partedel buon esito di un tale impegno. Voi, cariFratelli, nel servizio della catechesi e del-l’evangelizzazione, potete essere un fattoreimportante in questa sfida.

La forza del Vangelo non si è esaurita, findai tempi dell’origini della Chiesa. Quel chepurtroppo si indebolisce, in certe circostanzestoriche, è la nostra fede in questa forza oil nostro impegno evangelizzatore. Il branodegli Atti degli Apostoli che abbiamo appenaascoltato, ci parla del impegno missionariodei primi cristiani di Gerusalemme tra i pa-gani. La persecuzione non aveva indebolitoquell’impegno. Anzi. Perciò, “la mano del

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Signore era con loro e così gran numero cre-dette e si convertì al Signore. […]Una follaconsiderevole fu condotta al Signore” (At11, 21 e 24). L’espressione del testo: “unafolla […] condotta al Signore”, indica giu-stamente che non si trattava soltanto di uninsegnamento dottrinale, ma di condurre lepersone concretamente ad un incontro conGesù Cristo, morto e risorto.

Nel Vangelo, che abbiamo ascoltato pocanzi(Gv 10,22-30), Gesù dice: “le mie pecoreascoltano la mia voce, io le conosco ed essemi seguono” (Gv 10,28). Questa voce diGesù, oggi, è ascoltata attraverso la paroladei predicatori. Senza predicatori, la gentenon può ascoltarla. L’apostolo Paolo confer-ma ciò, nello scrivere ai Romani: “Ora, comepotranno invocare Gesù Cristo senza averprima creduto in lui? E come potranno cre-dere, senza averne sentito parlare? E comepotranno sentirne parlare senza uno che loannunzi? E come lo annunzieranno, senzaessere prima inviati? […] La fede dipendedunque dalla predicazione e la predicazionea sua volta si attua per la parola di Cristo”(Rm 10, 14-15 e 17).

Riguardo alle indicazioni specifiche dellaCongregazione per il Clero, permettetemi disottolineare le seguenti:

1) c’è il Direttorio Generale per la Catechesi:sono direttive della Santa Sede per il la-voro catechistico in tutto il mondo; co-noscerle e metterle in pratica crea unapiù grande comunione ecclesiale in que-sto importante campo di apostolato;

2) la formazione dei catechisti richiede unosforzo costante e lucido, perché oggi simoltiplica, provvidenzialmente, in tuttoil mondo, la collaborazione dei laici nella

catechesi, ma hanno bisogno di una for-mazione specifica per fare un lavoro qua-lificato; ovviamente, i catechisti, e nonpossono essere improvvisati;

3) spesso, si constata che nelle parrocchieil catechismo è offerto ai bambini ed agliadolescenti non integralmente, ma sol-tanto in quelle parti che interessano laPrima Eucaristia e la Confermazione; ladomanda resta: quando riceveranno leparti mancanti? Probabilmente, mai più;allora, bisogna trovare una forma per por-gere integralmente il contenuto del Cate-chismo della Chiesa Cattolica, anche sein modo sintetico;

4) sarebbe molto efficace se i parroci ac-compagnassero bene, da vicino, sia laformazione dei catechisti sia il loro ser-vizio nella catechesi; non di rado, il par-roco consegna la catechesi ai laici e poisi allontana troppo da questo settore fon-damentale della parrocchia.

Torniamo alla nostra celebrazione eucari-stica. Giovanni Paolo II ci ha ricordato chela Chiesa vive dell’Eucaristia. Così anchetutta la predicazione e tutta la catechesi de-ve condurre all’Eucaristia. Gli stessi predi-catori ed i catechisti devono vivere dell’Eu-caristia. Essa è la sorgente più ricca dellavita nuova che Cristo risorto offre all’uma-nità. Una vita che porta amore, riconcilia-zione, fraternità e pace. Seduti alla mensadel Signore, prendendo parte dello stessopane e dello stesso calice, corpo e sanguedi Cristo, ha inizio la nuova umanità, eognuno di noi è confermato e rinvigorito,anche singolarmente, in ciò che è statoiniziato nel nostro Battesimo, ossia, nellacondizione di nuove creature e di veri figlidi Dio.

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Perciò, l’Eucaristia è l’espressione suprema,qui in terra, del grande rendimento di graziedella Chiesa al Padre, per Cristo, nello SpiritoSanto, il rendimento di grazie per l’amorecon cui Dio ci ha amati e non cessa di amar-ci, senza riserve. Cantiamo, allora, e rendia-mo grazie a Dio. Lodiamo il Signore con uncanto nuovo. Lasciamoci, infine, invitare einviare da Lui, ancora una volta, alla pre-dicazione della sua Persona, della sua Pa-

rola, della sua Morte e Risurrezione, comesuoi testimoni, fino ai confini della terra e,urgentemente di nuovo, all’interno dellostesso gregge della Chiesa già costituita intanti Paesi di antica conversione. Amen.

Cardinale Cláudio HummesArcivescovo Emerito di São Paulo

Prefetto della Congregazione per il Clero

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

La comunità cristiana e il primo annuncio 293

PREMESSA

La nostra società sta vivendo una radicaletrasformazione culturale, che ha messo incrisi i valori umani e religiosi, un tempo pa-cifi camente condivisi e vissuti. Non si trattadi un cambiamento ordinato, ma di una tra-sformazione complessa, che avviene conuna accelerazione impressionante. Viviamonella complessità e nella fragilità. In questocontesto culturale è andato crescendo pro-gressivamente il secolarismo e l’indifferenzareligiosa.La Chiesa, che si trova a svolgere la mis-sione di annunciare il Vangelo in questocontesto culturale, segnato dalla complessi-tà, dalla fragilità, dal secolarismo, a partiredal Concilio Vaticano II, si è chiesta comesvolgere la sua missione oggi e, in partico-lare, come portare il primo annuncio delVangelo al numero crescente di non credentie di non praticanti.Anche l’episcopato italiano già all’indomanidel Concilio Vaticano II ha affrontato questoproblema e ha dato una prima risposta, apartire dagli anni ‘70, con gli orientamentipastorali decennali incentrati sull’evangeliz-zazione.Ma il documento che ha avviato un rinno-vamento radicale nel modo di annunciare il

Vangelo è stato il Documento di base “Il rin-novamento della catechesi” (DB, 1970).Anche se esso è incentrato sul modo di edu-care la vita di fede dei credenti, ha aperto ilproblema del “primo annuncio” da portareai non credenti.

«L’evangelizzazione propriamente detta è il primoannuncio della salvezza a chi, per ragioni varie,non ne è a conoscenza o ancora non crede. Questoministero è essenziale per la Chiesa oggi come neiprimi secoli della sua storia, non soltanto per i po-poli non cristiani, ma per gli stessi credenti. L’espe-rienza pastorale attesta, infatti, che non si puòsempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ri-destarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla incoloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprirecon impegno personale alle nuove generazioni econtinuamente rinnovarla in quelli che la profes-sano senza sufficiente convinzione o la espongonoa grave pericolo. Anche i cristiani ferventi, del resto,hanno sempre bisogno di ascoltare l’annuncio delleverità e dei fatti fondamentali della salvezza e diconoscerne il senso radicale, che è la “lieta novella”dell’amore di Dio» (RdC 25).

Negli anni successivi i documenti che hannorichiamato l’attenzione della Chiesa italianasull’esigenza di portare all’uomo d’oggi ilprimo annuncio sono stati: “Il rito della ini-ziazione cristiana degli adulti” (RICA),pubblicato nell’edizione italiana nel 1978,1

“Il Direttorio generale per la catechesi

Colloquio Europeo sul primo annuncioLa Comunità Cristiana e il Primo Annuncio

IL PRIMO ANNUNCIO NELLA CHIESA ITALIANAOrientamenti pastorali

Mons. Lucio Soravito, Vescovo di Adria-Rovigo

1 Si vedano in particolare i nn. 9-13 della presentazione dell’“Iniziazione cristiana degli adulti”, incentrati sul-l’e-vangelizzazione, intesa come primo annuncio.

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(1997)2 e le prime due Note sull’iniziazionecristiana degli adulti (1997)3 e dei fanciullie ragazzi (1999).4

Ma il problema del primo annuncio, come“intervento istituzionalizzato” (DGC n. 62),viene affrontato in forma sistematica dallaChiesa italiana soprattutto nel primo decen-nio del 2000.

1°– «COMUNICARE IL VANGELOIN UN MONDO CHE CAMBIA»(2001)

I Vescovi italiani hanno scelto come obiettivopastorale prioritario per i primi 10 anni del2000 la “comunicazione della fede”, cioè«comunicare il Vangelo ai fedeli, a quanti vi-vono nell’indifferenza e ai non cristiani, quinelle nostre terre e in terra di missione».«Il Vangelo è il grande dono di cui dispon-gono i cristiani. Perciò essi devono condi-viderlo con tutti gli uomini e le donne chesono alla ricerca di ragioni per vivere, diuna pienezza di vita» (CV 32; RM 20).«Ci pare che compito assolutamente pri-mario per la Chiesa, in un mondo che cam-bia e che cerca ragioni per gioire e sperare,sia e resti sempre la comunicazione dellafede, della vita in Cristo sotto la guida delloSpirito, della perla preziosa del Vangelo»(CV 4).Questo obiettivo richiede che si ponga ma-no a un primo annuncio del Vangelo,

perché:– molti praticanti non dimostrano un’auten-

tica e concreta adesione alla persona diGesù;

– molti battezzati vivono come se Cristo nonesistesse;

– cresce il numero di coloro che devonocompletare l’iniziazione cristiana;

– cresce il numero delle persone non battez-zate.

1. A chi portare il primo annuncio?– Prima di tutto alla comunità “eucaristica”

(CV 47-50): è assurdo pretendere di evan-gelizzare [i non credenti], se per primi nonsi desidera essere costantemente evange-lizzati (cf. CV 47).

– Ai giovani: per rispondere con l’annunciodella Parola alla loro “sete di senso” (CV51).

– Alle famiglie: sono le prime responsabilidell’“introduzione” all’esperienza cristiana(CV 52).

– Ai cosiddetti “non praticanti”, ossia a«quel gran numero di battezzati che, purnon avendo rinnegato formalmente il lorobattesimo, spesso non ne vivono la forzadi trasformazione e di speranza e stannoai margini della comunità ecclesiale» (CV57).

«Al centro della nostra preoccupazione mis-sionaria ci sono anche tutti quegli uomini equelle donne che, pur avendo ricevuto ilbattesimo, non vivono legami di piena e

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La comunità cristiana e il primo annuncio294

2 Si vedano in particolare i nn. 61 e 62 su “Primo annuncio e catechesi”, dove si legge tra l’altro: «Il fatto chela catechesi, in un primo momento, assuma questi compiti missionari non dispensa una Chiesa particolare dalpromuovere un intervento istituzionalizzato di primo annuncio, come attuazione diretta del mandato missionariodi Gesù» (DGC n. 62).3 Consiglio Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti.Nota pastorale, Roma 1997; si vedano in particolare i nn. 28-29 sul “tempo della prima evangelizzazione”.4 Consiglio Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e deiragazzi dai 7 ai 14 anni. Nota pastorale, Roma 1999; si vedano in particolare i nn. 31-35 sul “primo an-nuncio”.

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La comunità cristiana e il primo annuncio 295

stabile comunione con le nostre Chiese lo-cali» (CV 56), come i genitori che chiedonol’iniziazione cristiana dei figli, le coppie diadulti che chiedono il matrimonio, le personeprovate da malattie e lutti… Gli stessi fan-ciulli battezzati hanno bisogno di essereinterpellati dall’annuncio del Vangelo nelmomento in cui iniziano il loro cammino ca-techistico» (CV 57).Pertanto è urgente un rinnovamento pasto-rale: «un’attenzione ai battezzati che vivo-no un fragile rapporto con la Chiesa e unimpegno di primo annuncio, su cui inne-stare un vero e proprio itinerario di inizia-zione o di ripresa della loro vita cristiana»(CV 57).

2. Chi ha il compito di portare il primoannuncio?La comunità cristiana nel suo insieme haquesto compito. Ma per questa opera di rie-vangelizzazione è necessaria la mobilitazio-ne di tutti i credenti. «I cristiani più consa-pevoli della loro fede, insieme con le lorocomunità, non si stanchino di pensare a for-me di dialogo e di incontro con tutti coloroche non sono partecipi degli ordinari cam-mini della pastorale.Nella vita quotidiana, nel contatto giorna-liero nei luoghi di lavoro e di vita sociale sicreano occasioni di testimonianza e di co-municazione del Vangelo. Qui si incontranobattezzati da risvegliare alla fede, ma anchesempre più numerosi uomini e donne, gio-vani e fanciulli non battezzati, eredi di si-tuazioni di ateismo o agnosticismo, seguacidi altre religioni. Diventa difficile stabilire iconfini tra impegno di rivitalizzazione dellasperanza e della fede in coloro che, pur bat-tezzati, vivono lontani dalla Chiesa, e unvero e proprio primo annuncio del Vangelo.Su questi terreni di frontiera va incoraggiatal’opera di associazioni e movimenti che si

spendono sul versante dell’evangelizzazio-ne» (CV 58).

3. Come svolgere questa missione?I Vescovi italiani, per aprire le nostre Chiesealle diverse situazioni spirituali dei non cre-denti, degli indifferenti e di quanti si acco-stano o si riaccostano al Vangelo, propon-gono queste scelte pastorali:– dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa

una chiara connotazione missionaria;- fondare tale scelta su un forte impegno in

ordine alla qualità formativa (cf. ChL 57-63);

– favorire una più adeguata ed efficace co-municazione del mistero del Dio vivo evero, fonte di gioia e di speranza perl’umanità intera (CV 44);

– configurare la pastorale secondo il modellodella iniziazione cristiana, intessendo traloro testimonianza e annuncio, itinerariocatecumenale, sostegno permanente dellafede mediante la catechesi, vita sacramen-tale, mistagogia e testimonianza della ca-rità (CV 59).

2°– L’INIZIAZIONE CRISTIANA. ORIENTAMENTI PER ILRISVEGLIO DELLA FEDE.IL COMPLETAMENTODELL’INIZIAZIONE CRISTIANAIN ETÀ ADULTA (2003)

Nel 2003 il Consiglio Permanente della CEIha pubblicato la terza Nota pastorale ri-guardante l’iniziazione cristiana, rivolta al«risveglio della fede dei giovani e degliadulti», nonché al completamento dell’ini-ziazione cristiana di quei giovani e di quegliadulti che non l’hanno portata a compimen-to. La Nota si articola in quattro capitoli,preceduti da un’introduzione.

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Introduzione – LA SETE DI CRISTO (nn. 1-4)– Partendo dall’icona dell’incontro di Gesùcon la Samaritana (Gv 4,1-42), si affermache l’uomo è alla ricerca della felicità, in unanelito profondo di essere amato e di amare.L’incontro con Cristo e con il suo Vangelosuscita e ad un tempo placa la sete profondadi Dio che l’uomo si porta nel cuore. Da quiil dovere della Chiesa di evangelizzare e ildiritto di ogni uomo di venire in contattocon il Vangelo della salvezza.

Capitolo primo – L’ASCOLTO (nn. 5-18) – Lacomunità cristiana è chiamata ad ascoltareed accogliere con amore e attenzione le do-mande religiose di ogni uomo, da qualunqueparte vengano, anche se bisognose di chia-rezza e purificazione. Da parte loro i cristianidevono essere in grado di porsi come inter-locutori credibili e convincenti nei confrontidi chi pone una domanda di fede. Le personee le situazioni esistenziali in cui può nascereuna domanda di fede sono varie. A tutti laChiesa è chiamata ad offrire una risposta eun accompagnamento adeguati.

Capitolo secondo – L’ANNUNCIO (nn. 19-28)– Il Vangelo è innanzitutto una persona: Ge-sù Cristo, che va annunciato e fatto incon-trare. «Al centro del kerygma di Gesù nonc’è il comportamento dell’uomo, ma Dio ela sua regalità. La conversione dell’uomonon è quindi la condizione della sovrana ebenevola vicinanza di Dio, ma la sua con-seguenza» (IC/3, n. 29).Il nucleo del primo annuncio si compone ditre elementi: la rievocazione degli avveni-menti riguardanti Gesù e in particolare lasua morte e risurrezione; un’interpretazionedi questo evento alla luce delle Scritture; unappello alla conversione.«In sintesi, l’annuncio ha per oggetto il Cri-sto crocifisso, morto e risorto: in lui si compie

la piena e autentica liberazione dal male,dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la“vita nuova”, divina ed eterna. È questa la“buona notizia” che cambia l’uomo e la sto-ria dell’umanità e che tutti i popoli hanno ildiritto di conoscere. Tale annuncio va fattonel contesto della vita dell’uomo e dei popoliche lo ricevono» (IC/3, n. 22; RM 44).L’evangelizzazione consiste in questo primoannuncio della salvezza a chi non crede, maquesta azione della Chiesa è necessaria e in-sostituibile anche per chi necessita di ridestareo di ravvivare una fede spenta o soffocatadall’indifferenza e dall’oblio (cf. RdC 25).

Capitolo terzo – L’ACCOMPAGNAMENTO (nn. 29-40) – La comunità cristiana, in tutta la suamolteplice varietà di doni e di ministeri, èsoggetto primario di accompagnamento nelcammino di iniziazione alla fede e alla vitacristiana. Alla parrocchia si chiede di esseresempre di più «luogo di accoglienza, di dia-logo, di discernimento e di iniziazione» (cf.n. 32). Da parte sua, il “gruppo di ricercanella fede” non deve chiudersi in se stesso,ma «allargarsi ad un continuo contatto e aun aperto confronto con altre esperienze» divita cristiana (cf. n. 33).Il modo più ordinario per seguire un itine-rario di fede è l’Anno liturgico: esso permetteun graduale e crescente inserimento nel mi-stero di Cristo e un reale incontro con lui at-traverso la preghiera e la celebrazione litur-gica (cf. nn. 36-40).

Capitolo quarto – GLI ITINERARI (nn. 41-61)– L’ultimo capitolo della Nota si sofferma suipossibili itinerari per chi, battezzato, si ponein un cammino di fede per completare l’ini-ziazione o per rimotivare la sua appartenen-za ecclesiale.La Nota propone l’istituzione nelle comunitàcristiane di luoghi di confronto e di accom-

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A 10 anni dalla seconda nota sull’iniziazione cristiana

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A 10 anni dalla seconda nota sull’iniziazione cristiana 297

pagnamento che offrano spazi di dialogo edi ricerca per coloro che, in circostanze par-ticolari della loro vita, cercano risposte a in-terrogativi e speranza nelle angosce esisten-ziali. Il primo annuncio sarà tanto più effi-cace quanto più le comunità cristiane sa-pranno esprimere accoglienza disinteressata,rispetto, delicatezza, fiducia, assenza di giu-dizio e soprattutto la gioia della loro fede.Certo, anche questa Nota pastorale chiamain causa le nostre parrocchie: “Le comunitàcristiane sono capaci di evangelizzazioneautentica e di percorsi comunitari per in-trodurre nella fede cristiana?”. Alcune lostanno facendo; è certo comunque che ci simuove ancora con difficoltà in questo mon-do in rapido cambiamento. Sono ancoratroppo ancorate alla pastorale dei sacramen-ti. Le comunità cristiane esistono per offrireGesù Cristo e non un rito. A chi chiede unsacramento esse devono dare Gesù Cristo.

3°– «IL VOLTO MISSIONARIODELLE PARROCCHIEIN UN MONDO CHE CAMBIA» (2004)

Facendo seguito agli Orientamenti pastoralidei primi 10 anni del 2000, “Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia”, i Ve-scovi italiani hanno voluto offrire alla Chiesache è in Italia alcuni indirizzi pastorali perpromuovere il rinnovamento delle parrocchiein senso missionario, in un contesto cultu-rale in rapido cambiamento.Questi orientamenti li hanno riassunti nellaNota pastorale: “Il volto missionario delleparrocchie in un mondo che cambia”, pub-blicata nel 2004. La Nota è articolata in dueparti. Nella prima parte si sottolinea il ruolo dellaparrocchia nella comunicazione del Vangelo.

La parrocchia viene presentata come formastorica che dà concretezza alla dimensioneterritoriale della Chiesa particolare. Anche leparrocchie devono essere coinvolte nel rin-novamento missionario chiesto oggi alle dio-cesi (n. 4). È un impegno che esige discer-nimento, valorizzazione dell’esistente, co-raggio nel promuovere alcune scelte inno-vative (n. 5).Nella seconda parte la Nota offre alcune in-dicazioni significative per la missionarietàdelle parrocchie. La prima azione pastoraleche la parrocchia deve realizzare è il primoannuncio del Vangelo (n. 6). Questo primoannuncio in una società sempre più scristia-nizzata, è più urgente che mai.

1. Viene ribadita la necessità del primoannuncio«Non si può più dare per scontato che sisappia chi è Gesù Cristo, che si conosca ilVangelo, che si abbia una qualche esperien-za di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, gio-vani e adulti; vale per la nostra gente e, ov-viamente, per tanti immigrati, provenientida altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annunciodella fede. È compito della Chiesa in quantotale, e ricade su ogni cristiano, discepolo equindi testimone di Cristo; tocca in modo par-ticolare le parrocchie. Di primo annuncio van-no innervate tutte le azioni pastorali» (n. 6).

2. Viene suggerito il metodo del primoannuncioa) Occorre incrementare la dimensione del-l’accoglienza. L’accoglienza, cordiale e gra-tuita, è la condizione prima di ogni evange-lizzazione. b) Su di essa deve innestarsi l’annuncio,cioè l’esplicita presentazione di Cristo, Sal-vatore del mondo; esso va fatto con paroleamichevoli, in tempi e modi opportuni.

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c) Per l’evangelizzazione è essenziale la co-municazione della fede da persona a per-sona. È dovere primario della parrocchiapreparare ogni cristiano a questo compito,educando all’ascolto della parola di Dio, conl’assidua lettura della Bibbia nella fede dellaChiesa.d) Sono necessarie iniziative organichedi proposta del messaggio cristiano,dei suoi contenuti, della sua validità e dellasua plausibilità. Vanno affrontate le doman-de di fondo che il cuore e l’intelligenza sipongono sul senso religioso, su Cristo, sullaChiesa…3. Viene raccomandato il dialogo tra fe-de e cultura«Non si deve dimenticare la risorsa costituitadalle ricchezze di arte e di storia custoditein tante parrocchie: edifici, dipinti, sculture,archivi e biblioteche: terreno di incontro contutti».Si tratta di continuare a intessere il dialogotra fede e cultura e a incidere sulla culturacomplessiva della nostra società, valorizzan-do l’eredità cristiana in essa presente. Sba-glierebbe chi desse per scontato un destinodi marginalità per il cattolicesimo italiano.Questa presenza e questa azione culturalerappresentano un terreno importante perchéil primo annuncio non cada in un’atmosferaestranea o anche ostile.L’attenzione all’annuncio va inserito nelcontesto del pluralismo religioso, che nelnostro Paese cresce con l’immigrazione. Lapredicazione, come pure il servizio della ca-rità, uniscono la fermezza sulla verità evan-gelica da proporre a tutti, con il rispetto dellealtre religioni e con la valorizzazione dei“semi di verità” che portano con sé.La “sfida missionaria” chiede di proporrecon coraggio la fede cristiana e di mostrareche proprio l’evento di Cristo apre lo spazioalla libertà religiosa, al dialogo tra le religio-

ni, alla loro cooperazione per il bene d’ogniuomo e per la pace.

4. Viene richiamato il dovere della mis-sione “ad gentes”«Tanto più la parrocchia sarà capace di ri-definire il proprio compito missionario nelsuo territorio quanto più saprà proiettarsisull’orizzonte del mondo, senza delegare so-lo ad alcuni la responsabilità dell’evangeliz-zazione dei popoli. Non poche esperienze sono state felicementeavviate in questi anni: scambio di personaleapostolico, viaggi di cooperazione fra leChiese, sostegno a progetti di solidarietà esviluppo, gemellaggi di speranza sulle diffi-cili frontiere della pace...Più che ulteriore impegno, la missione adgentes è una risorsa per la pastorale, un so-stegno alle comunità nella conversione diobiettivi, metodi, organizzazioni, e nel ri-spondere con la fiducia al disagio che spessoesse avvertono.

4°– «QUESTA È LA NOSTRA FEDE»Nota pastorale sul primo annunciodel Vangelo (2005)

In coerenza con le indicazioni pastorali dellaNota “Il volto missionario delle parrocchie”del 2004, sopra richiamate, la Commissioneepiscopale della CEI per la dottrina della fede,l’annuncio e la catechesi, ha voluto appro-fondire la riflessione sul primo annuncio enel 2005 ha pubblicato la prima Nota pa-storale sul primo annuncio del Vangelo:“Questa è la nostra fede”.In un contesto obiettivamente missionariocome il nostro – si legge nella Nota – occorreriportare al centro di ogni Chiesa diocesanae di tutte le comunità parrocchiali il primoannuncio della fede. «C’è bisogno di un rin-

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

La comunità cristiana e il primo annuncio 299

novato primo annuncio della fede. È com-pito della Chiesa in quanto tale e ricade suogni cristiano, discepolo e quindi testimonedi Cristo» (VM 6).È questa la meta della presente Nota pasto-rale: aiutare a riscoprire il valore, l’urgenza,le condizioni di possibilità e le modalità con-crete per comunicare a tutti il primo annun-cio della lieta notizia della salvezza» (QNF,n. 1). Ecco l’articolazione dei suoi conte-nuti.

Introduzione: Comunicare a tutti l’an-nuncio della salvezza (n. 1)Anche oggi, come duemila anni fa, gli uo-mini e le donne continuano a chiedersi suchi e su che cosa sia possibile riporre le pro-prie speranze. La fede cristiana risponde consan Paolo: chi si affida a Gesù di Nazaretnon resta deluso (cf. Rm 10,11). Ancheoggi c’è:- chi cerca Gesù con sincerità di cuore, per

trovare la luce della vita, come Nicodemo;- chi cerca Gesù, mosso da nostalgia o cu-

riosità o desiderio acuto, come Zaccheo;- chi si dichiara indifferente, ma se si imbatte

in Gesù rimane conquistato, come la Sa-maritana.

Primo capitolo: Alle sorgenti dell’evan-gelizzazione (nn. 2-6)Si descrivono le finalità, il contenuto, ilinguaggi del primo annuncio del Vangelo,inquadrandolo nel vasto orizzonte dell’evan-gelizzazione. Esso deve essere portato agliuomini di oggi con lo stile di Gesù.Il contenuto essenziale di questo annuncioè: “Gesù Cristo, crocifisso e risorto, è il Si-gnore e l’unico salvatore del mondo”.L’evento della Pasqua rimane il nucleo ger-minale di tutto il processo di trasmissionedel Vangelo e del successivo sviluppo deldogma.

Questo contenuto è espresso in diversi lin-guaggi e generi letterari: proclamazioni difede, inni o cantici, racconti e testimonianze,ma sempre come “lieto messaggio”.

«Il primo annuncio si può descrivere sin-teticamente così: ha per oggetto il Cristo cro-cifisso, morto e risorto, in cui si compie lapiena e autentica liberazione dal male, dalpeccato e dalla morte; ha per obiettivo lascelta fondamentale di aderire a Cristo e allasua Chiesa; quanto alle modalità deve essereproposto con la testimonianza della vita econ la parola e attraverso tutti i canaliespressivi adeguati, nel contesto della cul-tura dei popoli e della vita delle persone»(QNF n. 6).

Secondo capitolo: Comunicare il Vangelooggi (nn. 7-10)Il primo annuncio del Vangelo va calatonell’attuale contesto culturale, segnatodalla secolarizzazione, ma anche da undiffuso, seppure fragile e ambiguo, bisognoreligioso.La comunità cristiana deve esprimere il mes-saggio cristiano con i suoi caratteri fonda-mentali: assolutezza, aspetto salvifico, di-mensione storica, aspetto paradossale e sor-prendente. Grande attenzione va dedicata allo stile dellacomunicazione, che deve essere testimonia-le e dialogico, testimonianza e annuncioesplicito.

Terzo capitolo: Gesù risorto è la nostrasalvezza (nn. 11-17)Questo capitolo offre una esemplificazionedi primo annuncio della fede, ripercorrendo-ne la struttura portante, così come avvienenella liturgia della veglia pasquale: la solen-ne professione della fede in Dio, Padre e Fi-glio e Spirito Santo.

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Il segno della croce è la formula-base dellanostra fede, in quanto ne esprime i due mi-steri principali: la santa Pasqua del Signoree la santa unità e trinità di Dio.

«Il primo annuncio deve saper unire corret-tamente la professione di fede cristologica:“Gesù è il Signore”, con la confessione trini-taria: “Credo nel Padre e nel Figlio e nelloSpirito Santo”, «poiché non sono che duemodalità di esprimere la medesima fede cri-stiana. Chi per il primo annuncio si convertea Gesù Cristo e lo riconosce come Signore,inizia un processo che sbocca necessariamen-te nella confessione esplicita della Trinità».Questa fede è racchiusa nel segno della croce,il segno distintivo del cristiano» (QNF, n. 16).

Quarto capitolo: Noi lo annunciamo a voi(nn. 18-23)Propone indicazioni operative per attuareuna pastorale di primo annuncio. Esse ri-guardano i soggetti, la pedagogia, i destina-tari, le forme occasionali e quelle organiche.

1) Chi annuncia?«Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto diimpegnarsi perché l’annuncio divino dellasalvezza si diffonda sempre più fra gli uominidi ogni tempo e di ogni luogo» (CDC can211). «Per l’evangelizzazione rimane sempreindispensabile la comunicazione interperso-nale da parte di un credente nei confronti diun non credente… Ma l’annuncio non è maiun atto esclusivamente individuale: tutta laChiesa ne è coinvolta» (QNF, n. 18).

2) Quando si annuncia?La pastorale cosiddetta occasionale rimanela via comune e la più ordinaria per l’an-nuncio del Vangelo. Anche nella comunica-zione in forma pubblica e collettiva, non sipuò mai prescindere dal contatto da personaa persona.

3) In che modo si annuncia?– la testimonianza della carità, come via

privilegiata per l’evangelizzazione;– il dialogo schietto e cordiale con le perso-

ne, per far emergere interessi, interrogativi,speranze;

– la narrazione dell’evento pasquale comela vera, efficace “buona notizia” per l’uo-mo di oggi;

– la promessa del dono dello Spirito e dellasicura efficacia del messaggio della Pa-squa;

– l’esortazione ad aderire al messaggio cri-stiano consegnandosi a Cristo totalmente;

– l’indicazione della via da seguire fino adarrivare al battesimo o alla sua riscoperta.

4) La parrocchia come annuncia?La parrocchia assolve questo compito, in-nervando di primo annuncio tutte le azionipastorali: la catechesi, che deve sempre ri-condurre al cuore vitale del messaggio cri-stiano; la celebrazione eucaristica, in cui siannuncia la morte del Signore, si proclamala sua risurrezione, nell’attesa della sua ve-nuta; l’omelia; la testimonianza della carità;gli eventi straordinari.

5) Quali sono le occasioni particolariper il primo annuncio ai giovani e agliadulti?– la preparazione delle coppie al matrimonio

e alla famiglia;– l’attesa e la nascita dei figli e la richiesta

del battesimo;– la richiesta della catechesi e degli altri sa-

cramenti per i figli;– le situazioni di difficoltà delle famiglie, per

malattie, lutti, divisioni…;– le migrazioni in Italia di tante persone di

altre religioni;– gli strumenti mediatici e informatici, i sus-

sidi audiovisivi, musicali, cinematografici;

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– il patrimonio storico e artistico del nostroPaese;

– le relazioni vissute dai giovani nel tempolibero (evangelizzatori di strada).

5° – LETTERA AI CERCATORI DI DIO

L’annuncio del kerygma pasquale è l’an-nuncio di un evento di salvezza per tutti gliuomini. Ma gli uomini d’oggi sentono il bi-sogno di essere “salvati”? Da chi e da checosa? A quale “ricerca di salvezza” rispondequesto annuncio? La Bibbia usa un’am pia gamma di terminie interpella esperienze molto diverse, perevocare il problema della “salvezza dell’uo-mo”: esodo/libertà (Dio liberatore), alleanza(Dio alleato, Dio sposo: Os 2,26), popolo diDio, paternità e maternità di Dio (Os 11,1-11), amore di Dio, regno di Dio, piano diDio, riconciliazione con Dio, avere la vita,vita eterna, vincere la morte, per dono deipeccati, e simili.Quando Gesù annuncia la “salvezza” agliebrei dice: “Il tempo è compiuto e il regnodi Dio è vicino: convertitevi e credete alvangelo” (Mc 1,15); il concetto di “regnodi Dio” è vivo nell’ambiente ebraico; moltine aspettano la venuta.Questa sostanziale diversità di immagini,con cui l’unico messaggio cristiano è an-nunciato, ci invita ad attualizzare in diversimodi l’annuncio della salvezza, a secondadei diversi contesti culturali e delle esperien-ze vitali vissute dai nostri interlocutori. Anzi

ci invita a portare il primo annuncio, dicendoinnanzitutto che cosa significa per noi “es-sere cristiani”.Per portare il primo annuncio in terminicomprensibili e significativi agli uomini dioggi e per suscitare la loro conversione, oc-corre riformulare il kerygma apostolico inbase alle odierne categorie culturali. Bisogna“dire Dio” con le “metafore” desunte dal vis-suto delle persone, che evocano una realtàche trascende le nostre parole: l’amore didue sposi, l’accoglienza del bambino da par-te della mamma, l’esperienza della solida-rietà verso i poveri, l’esperienza liturgica,ecc. L’importante è trovare una “porta” at-traverso la quale far entrare l’uomo d’ogginel Vangelo. L’importante è trovare il “puntodi partenza” o la prospettiva da cui partire,per incontrare in modo autentico e signifi-cativo il Vangelo e accedere all’intero mes-saggio evangelico.5

È quello che ha tentato di fare l’attuale Com-missione Episcopale della CEI per la dottrinadella fede, l’annuncio e la catechesi. Essa, incontinuità con le indicazioni pastorali e peda-gogiche suggerite dalla Commissione Episco-pale precedente con la Nota pastorale “Questaè la nostra fede”, ha elaborato uno strumentoper il primo annuncio, che si intitola: “Letteraai cercatori di Dio” (2009).Questa “Lettera” è un sussidio offerto achiunque voglia farne oggetto di lettura per-sonale, oltre che un punto di partenza perdialoghi destinati al primo annuncio dellafede in Gesù Cristo, all’interno di un itine-rario che possa introdurre all’esperienza del-la vita cristiana.

5 A questo riguardo ci offre un esempio significativo il catechismo dei giovani, I volume, “Io ho scelto voi”. Essoguida gli adolescenti all’incontro con Cristo, a partire da alcune esperienze di fondo che essi vivono e che co-stituiscono altrettanti “temi generatori”: il bisogno di delineare la propria identità, l’esperienza dell’amicizia edell’amore, la crescita del senso di responsabilità, l’esigenza di libertà, la ricerca della propria vocazione.

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Il “soggetto” che scrive la Lettera e la pro-pone ai “cercatori” è costituito dai “discepolidi Gesù”: un gruppo di credenti, in una ca-tena di narratori – dagli Atti degli Apostoliad oggi – che comunicano la propria fede,ripensandola nel segreto della propria inte-riorità e sulle sfide dell’oggi, rappresentatesoprattutto dalle domande sul senso e dalbisogno di speranza.

1. A chi è destinata?La Lettera si rivolge ai “cercatori di Dio”,a tutti coloro, cioè, che sono alla ricercadel volto del Dio. 1) Lo sono i credenti,che crescono nella conoscenza della fedeproprio a partire da domande sempre nuo-ve. 2) Lo sono quanti – pur non credendo– avvertono la profondità degli interroga-tivi su Dio e sulle cose ultime. 3) La Letteravorrebbe suscitare attenzione e interesseanche in chi non si sente in ricerca, nelpieno rispetto della coscienza di ciascuno.La Lettera, però, non è pensata come un te-sto da leggere tutto di seguito e unicamentea livello personale: l’esperienza di senso, disperanza e di fede, che la Lettera vorrebbeincoraggiare e sostenere, richiede sempre un“grembo ecclesiale” di riferimento, cioè unpiccolo gruppo che accoglie persone con di-versi livelli di maturazione di fede.

2. Com’è strutturata?La Lettera si articola in tre parti: ciascunaha una sua logica distinta:– parte da alcune domande che ci sembrano

diffuse nel vissuto di molti;– propone l’annuncio cristiano, con cui vo-

gliamo “rendere ragione della speranza cheè in noi”;

– offre una proposta a chi cerca la via di unincontro possibile con il Dio di Gesù Cristo.

La preoccupazione che anima la ricerca e laproposta è la “significatività”, ossia il de-

siderio di restituire alla fede la sua funzionedi “buona notizia” concreta e condivisibile,accogliendo il contributo di tutti e aiutandosireciprocamente a comprendere in modo au-tentico sfide e inquietudini. Aiutare a for-mulare bene le domande è già un gesto diamore verso tutti e un contributo preziosoper ridire la propria fede, condividendola coni “cercatori”.

1) Prima parte: Le domande che uni-sconoLa prima parte cerca di rileggere le domandefondamentali che salgano dall’esistenza diogni persona che pensa, ama la sua esisten-za, si lascia interpellare da essa, cerca discavare dentro per cogliere interrogativi, col-legamenti, attese e inquietudini.Una scelta precisa anima questa parte: l’in-dicazione e lo sviluppo delle domande partesempre dalla constatazione del positivo dellavita quotidiana e, di conseguenza, dalla fortecertezza (“teologica”, per chi scrive la Let-tera) che la vita è la prima fondamentalerisorsa da accogliere e amare. Gli interro-gativi nascono dal limite sperimentato in sestessi e in uno sguardo di sincera solidarietà.Queste sono le domande analizzate:1. Felicità e sofferenza2. Amore e fallimenti3. Lavoro e festa4. Giustizia e pace5. La sfida di Dio

Non ci sono risposte e le domande sonoespresse sempre in atteggiamento di condi-visione, perché l’intenzione ripetutamenteespressa è quella di una sincera e profondacompagnia in umanità. È evidente però chechi guida il cammino ha una sua ispirazionedi fondo, che non può far finta di ignoraresolo per gioco letterario. Per questo, la sceltadegli ambiti da cui salgono le domande e un

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iniziale tentativo di organizzazione e di in-terpretazione risente necessariamente delcammino dei cristiani. All’interno di tutte ledomande, quasi come principio ispiratore, c’èuna richiesta di senso e di speranza. Le do-mande di speranza ci riguardano tutti e in-dicano un orizzonte che va molto oltre l’espe-rienza soggettiva. I credenti interpretano tuttoquesto come una domanda su Dio, autenticaanche se implicita e non consapevole.

2) Seconda parte: La speranza che è innoi La piccola introduzione che apre la secondaparte, dichiara il senso delle pagine che se-guono e la loro collocazione nella logica glo-bale del progetto. La riflessione attorno alledomande di senso e di speranza è immagi-nata come un atteggiamento di attesa invo-cante, come la ricerca di qualcosa o di qual-cuno che sia capace di dare una risposta allenostre domande di senso. A queste domandeè dovere di amore “offrire una risposta”. I credenti riconoscono di avere qualcosa dacondividere, che è andato progressivamentematurando nella consapevolezza ecclesiale.Per questo non possono rinunciare a direcon amore e rispetto: “questa è la nostra fe-de”, almeno nelle sue linee fondamentali.Non hanno la pretesa di dire tutto con com-pletezza: non è una catechesi, ma la condi-visione di un orizzonte rivelato, che fonda egiustifica la speranza. Per questo, sono statiscelti solo alcuni temi ed è stata privilegiatala modalità narrativa, per collocare anche i“cercatori di Dio” di oggi in una catena dinarratori in ricerca. Con questa prospettivasono stati scelti i temi teologici seguenti: 6. Gesù 7. Il Cristo 8. Dio Padre, Figlio e Spirito 9. La Chiesa di Dio10. La vita secondo lo Spirito

La scelta è richiamata esplicitamente nellaintroduzione: “Non abbiamo la pretesa di co-municare tutto quello che si può dire dellafede cristiana. Per intraprendere un possibilepercorso di fede, la comunità ecclesiale pos-siede testi autorevoli, ben elaborati e speri-mentati, tra cui spiccano il Catechismo dellaChiesa Cattolica ed i Catechismi della Con-ferenza Episcopale Italiana. Sarebbe inutileripetere qui quello che si può trovare in essi.Desideriamo invece suscitare interesse o al-meno curiosità in ogni persona che è alla ri-cerca di Dio, perché possa ripensare la figurae il messaggio di Gesù e approfondirli nel-l’ascolto delle testimonianze che ne parlano.

3) Terza parte: Un cammino per l’in-contro con DioLa terza parte cambia ancora prospettiva.Alla radice del testo sta quell’interrogativoforte, che il cammino percorso potrebbe farsorgere. «In quest’ultima parte, dunque,tentiamo di proporre la “mappa” di unaesistenza vissuta secondo lo Spirito di Ge-sù, per restituire fiducia alla vita quotidianae ricordare le condizioni per la sua auten-ticità. Chi sosterrà il nostro sforzo? Propriodal vissuto dei nostri fratelli e sorelle nellafede affiora la risposta: la preghiera, la pa-rola di Dio, i sacramenti, il servizio, l’attesadella casa futura, sono le esperienze con-crete in cui è possibile incontrare il Dio diGesù Cristo».Pertanto in questa terza parte sono formulatii temi seguenti:11. Preghiera12. L’ascolto della Parola di Dio 13. I “segni” in cui si attua l’incontrocon Cristo 14. Il servizio15. La vita eternaA monte stanno alcune constatazioni. Gli in-terrogativi della prima parte nascono dalla

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vita quotidiana, quando riusciamo a viverlaseriamente, come risorsa e provocazione.L’incontro con Gesù ci restituisce alla vitaquotidiana: dà senso e speranza per unaqualità nuova di vita. Ora ci chiediamo comevivere questa vita, nella novità di senso e disperanza che il Crocifisso risorto ci consegna. Nello stesso tempo, siamo sollecitati ad in-ventare quella qualità di vita a cui siamochiamati e ci preoccupano le difficoltà di re-stare fedeli al progetto di vita nuova. Ab-biamo bisogno di conoscere quali “strumen-tazioni” possono sostenere la nostra fedeltà.La terza parte suggerisce lo stile di esistenzarinnovata e propone i sostegni a questo co-raggioso progetto, rilanciandoli dalla tradi-zione formativa cristiana.

ALCUNE CONCLUSIONI

L’analisi dei documenti pastorali elaboratidai Vescovi italiani in questo decennio atte-sta chiaramente la loro volontà di promuo-vere un rinnovato primo annuncio e offreper questo alle comunità ecclesiali alcuni si-gnificativi indirizzi pastorali, per “inquie-tare” gli adulti che hanno rimosso dalla lorovita la domanda religiosa e per intercettarela ricerca religiosa degli adulti che si inter-rogano sul senso della loro vita.Il Signore chiede alle nostre comunità e aciascuno di noi di testimoniare l’amore diDio per l’uomo e di prolungare nel tempo –come ci dice la Nota pastorale dopo Verona– la manifestazione di quel grande ‘sì’ cheDio «ha detto all’uomo, alla sua vita, al-l’amore umano, alla nostra libertà e alla no-stra intelligenza» (Nota CEI, 10). Egli cichiama a testimoniare che lui è dalla partedell’uomo, alleato dell’uomo.Ebbene, noi testimoniamo l’amore di Dioprima di tutto con l’attenzione alle perso-

ne, con le opere dell’amore e le scelte di vitain favore delle persone. Come scrivono i Ve-scovi italiani nella Nota pastorale dopo Ve-rona, «il nostro unico interesse è mettercia servizio dell’uomo, perché l’amore di Diopossa manifestarsi in tutto il suo splendo-re» (Nota CEI, n. 19).Quali scelte pastorali fare, per far risuonareil primo annuncio e perché gli uomini d’og-gi lo percepiscano come una “risposta” alleloro attese di speranza? Riassumo le prin-cipali proposte dei Vescovi italiani nel se-guente “decalogo della pastorale mis-sionaria”.

11) È necessario innanzitutto che le nostrecomunità cristiane ed i singoli cristianioffrano una testimonianza gioiosa esignificativa della fede e mostrino comela fede cristiana rende più vera, più giu-sta e più bella la vita personale, familiaree sociale, rinnova i rapporti di amicizia,dà senso alla fatica del lavoro, all’im-pegno educativo e all’azione sociale.

12) È necessario che le nostre comunità cri-stiane offrano una testimonianza dicomunione attraente e convincente, incui i credenti (preti, religiosi e laici) vi-vono e testimoniano rapporti sereni,“freschi”, liberi e gratuiti; comunità cheaccolgono le persone come sono e chepermettono loro di vivere esperienze si-gnificative di fraternità; comunità di par-tecipazione, dove i laici assumono pre-cise responsabilità ministeriali.

13) Inoltre è necessario che esse diventinocomunità accoglienti, che assicuranol’adozione spirituale di coloro che bus-sano alla loro porta e dove ognuno sisente a suo agio; comunità dove l’ultimo

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– il disabile, il vecchio, il malato, l’igno-rante, il disadattato – è tenuto in mag-giore considerazione, perché ha più bi-sogno degli altri (cf. 1 Cor 12,15-27).

14) È necessario che le nostre comunitàvalorizzino il ruolo profetico della ca-rità. La prima evangelizzazione è quel-la che la comunità fa con la testimo-nianza di carità, di condi visione e diservizio. È necessario che le comunitàecclesiali pongano gesti profetici incampo sociale e caritativo e prestinoattenzione agli ulti mi.

15) Occorre che le nostre comunità abbianouna tensione missionaria, progetti-no la loro azione pastorale in funzionedella missione, intesa come “condivi-sione della salvezza”. Solo una comu-nità missionaria è in grado di affron-tare il problema della prima evange-lizzazione, rivolta ai non credenti eagli indifferenti; solo una comunitàmissionaria è in grado di far risuonareil Vangelo nei nuovi areopaghi del no-stro tempo: nel mondo del lavoro, dellascuola, nelle nuove povertà (handicap,ma lattia, solitu dine, ecc.), nei problemisociali e politici e nei mass media.

16) Per adempiere questo compito missio-nario, bisogna che i pastori e i cristianipraticanti escano dall’ovile e si faccia-no prossimi di chi non crede e non“pratica”; occorre che escano dal tempioe vadano incontro ai “lontani”; occorreche si incarnino nel territorio, stiano inmezzo alla gente e, prima di tutto, in

mezzo agli ultimi; occorre che si lascinoin terpellare dai problemi del territorio,in dialogo con gli uomini, al loro servi-zio. Non per conquistare, ma per con-dividere e per proporre.

17) Per questo è urgente curare la forma-zione di cristiani adulti nella fede,ca paci di incontrare i non credenti làdove questi vivono, di stabilire con lororapporti di amicizia e di dialogo e di co-municare loro la propria esperienza difede, di “dire” la propria fede, di porredomande che provochino la ricerca el’attitudine ad in terpretare il quotidianoalla luce della fede. Oggi più che mai sirende necessario un accostamento indi-vidualizzato, capillare, al mes saggio cri-stiano.

18) Le comunità ecclesiali sono chiamate adiventare “centri di evangelizzazio-ne” e a dar vita a tutte le iniziative dievangelizzazione che servono a pro-porre il Vangelo ai non cre denti ed agliindifferenti, a partire dalla valorizzazio-ne delle occasioni offerte dalla vita diciascuno e soprattutto dei momenti “for-ti” dell’esistenza (nascita, scelte di vita,malattia, morte, ecc.). Si suggerisce inol-tre di creare in parrocchia luoghi di ac-coglienza, di moltiplicare le occasioni diin contro, di costituire piccoli “centri diascolto”, di fare della parrocchia una“comunità di co munità”.

19) Occorre che favoriamo l’apertura dellepersone al Trascendente e che “ripartia-mo” dall’annuncio di Dio Creatore e Pa-dre. Ma che cosa significa “ripartire daDio”?6 «Ripartire da Dio vuol dire tor-

6 Il titolo è quello usato dal card. C. M. Martini, Ripartiamo da Dio! Lettera pastorale per l’anno 1995-1996,Centro Ambrosiano, Milano 1995.

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nare alla verità di noi stessi, rinuncian-do a farci misura di tutto, per ricono-scere che Lui soltanto è la misura delvero, del giusto e del bene, l’ancora chedà fondamento, la ragione ultima pervivere, amare, morire. […] Ripartire daDio vuol dire misurarsi su Gesù Cristoe quindi ispirarsi continuamente allasua parola, ai suoi esempi, così comece li presenta il Vangelo. Vuol dire en-trare nel cuore di Cristo che chiama Dio“Padre”».7

10) Per svolgere la missione evangelizzatri-ce, è necessario che le nostre comunitàecclesiali va lorizzino meglio la liturgia,celebrata “come si deve”, polo di inter-rogazione e di attrazione, fonte di cate-chesi. È necessario che rendiamo acco-glienti le liturgie eucaristiche e le faccia-mo riscoprire quali esse sono: culminedella vita cristiana, “momento di grazia”che costruisce la Chiesa e che dà sensoe fondamento all’essere cristiani.

Roma, 5 maggio 2009

+ Lucio Soravito de Franceschi, vescovo di Adria-Rovigo

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7 Martini C.M., Ripartiamo… cit, p. 27.

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PENSIERO INTRODUTTIVO

La Chiesa in Croazia, rispetto alla propriastoria millenaria, è sempre stata consapevoleche il proprio territorio fosse considerato“antemurale christianitatis”. Questa caratte-ristica ha fatto assumere alla Chiesa stessaun ruolo speciale ed importante a livello eu-ropeo. Anche se la stessa espressione fucreata in circostanze storiche diverse (cioènella corrispondenza tra papa Adriano VI ei capi nazionali croati della prima metà delSeicento, 1513), in questa relazione l’e -spres sione “antemurale christianitatis” facomprendere come la Chiesa in Croazia, nelcontesto della moderna società croata, staaffrontando il rischio di diluire l’identità cat-tolica, anzi della marginalizzazione del con-cetto di Dio, che è del resto un moderno fe-nomeno europeo.La Chiesa in Croazia negli ultimi vent’anniha affrontato delle grandi sfide, che si sonoverificate dopo il crollo del regime comuni-sta, cioè nei primi anni novanta con l’arrivodei cambiamenti democratici e soprattuttodopo l’ultima aggressione all’indipendenzaottenuta, portando anche le terribili conse-guenze della guerra e infine il ristabilirsi del

nuovo sistema politico ed economico. C’erabisogno di cambiare l’ereditata mentalità atutti i livelli. Ma in questo processo di tran-sizione e postbellico ci sono state le primedelusioni e si sono visti i segni della dispe-razione. Evidentemente essi sono stati anchel’effetto delle attese troppo grandi e dall’altraparte dell’impreparazione ad una vita de-mocratica con tutte le sfide che essa portacon sé. Papa Benedetto XVI, all’epoca car-dinale, ha percepito molto bene questo pro-blema, mettendo in rilievo il fatto che alcrollo del comunismo e delle ideologie pre-cedenti, non era seguito un contemporaneorinnovamento cristiano. Invece, si eranoaperti gli spazi per lo scoraggiamento e ladisperazione. Questo si è avvertito ancheall’incontro dei cardinali e presidenti delleConferenze episcopali dell’Europa centraleed orientale, dove è stato constatato che,sebbene il comunismo sia crollato, sono ri-masti i suoi frammenti – nascosti nelle men-talità e nei modelli di vita, i quali ultima-mente sono sempre più evidenti. Però, con-temporaneamente, come diceva il Papaodierno, si aprono delle possibilità “che laforza della dottrina cristiana tocchi la gentee che così si apra la via verso il rinnova-mento”.1

“ANTEMURALE CHRISTIANITATIS”FRA LA TRADIZIONE CATTOLICA

E L'INDIFFERENTISMONEL CONTESTO CROATO ODIERNO

Msgr. Ðuro Hranicvescovo ausiliare di Djakovo-Osijek (Croazia)

presidente del Consiglio per la catechesi della Conferenza episcopale croata

1 JOSEF kard. RATZINGER, Sol zemlje. Kršćanstvo i Katolićka Crkva na prijelazu tisućljeća, Mozaik knjiga, Zagreb1997, p. 232 (Salz der Erde. Christentum und Katolische Kirche an der Jahrtausendwende; ein Gespräch mitPeter Seewald, Deutsche Verlag Anstalt GMBh, Stuttgart, 1996).

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pendo che cosa è veramente centrale ed es-senziale nella fede cristiana. Si ha l’impres-sione che difficilmente si trovi il linguaggioadatto per l’annuncio del messaggio centralea colui che sempre di meno accetta i certi“discorsi della fede” ancora in vigore, es-sendo concentrati principalmente sui conte-nuti dottrinali. La tradizione molto ricca, leusanze e le devozioni coinvolgono sempremeno la popolazione giovanile la quale faparte di un’altra cultura. Perciò non ci devestupire se questa eredità cristiana non li toc-ca, anzi rimangono indifferenti. D’altra partenon si può dire che i valori cristiani venganocompletamente abbandonati, poiché si puòscorgere una nuova sete di religiosità e sinota il sorgere di alcuni nuovi movimentispirituali, benché abbiano dei contenuti dub-biosi. La Chiesa, però, ha sentito le sfide edi segni del tempo, riconoscendo alcune nuo-ve occasioni per l’evangelizzare. Tra l’altrosi tratta dei seguenti impegni:

1.1. La messa in gioco dell’insegnamen-to religioso scolastico La maggior parte delle forze (sacerdoti, mo-naci, monache e anche i laici) e delle sueriflessioni teologico-catechetiche, la Chiesale ha indirizzate verso il pubblico terrenoscolastico, che è stata “zona vietata” percinquanta anni. Sono state formate le strut-ture a livello della Conferenza EpiscopaleCroata (CEC) e delle singole diocesi, le qualihanno fatto tutti gli sforzi possibili per otte-nere un nuovo approccio nell’educazione re-ligiosa in un nuovo contesto sociale. Eranecessario dimostrare come il cristianesimo,prima presentato dalla ideologia marxistacome “oppio per il popolo” e come qualcosache appartiene al passato, sia tuttavia labuona novella – sempre moderna ed oggialtrettanto capace di rispondere alle doman-de più profonde dell’uomo nonché di con-

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1. LA CHIESA IN CROAZIACHIAMATA ALLA “CONVERSIONEPASTORALE” SUL COMPLETOITINERARIO DELL’ANNUNCIO

La viva tradizione cristiana e la forza dellafede cristiana nella vita quotidiana attraver-so i secoli, hanno rappresentato la più im-portante caratteristica dell’evangelizzazionee il segno della vitalità della Chiesa sul ter-ritorio croato. Però, nella Chiesa in Croaziasta crescendo la consapevolezza che la tra-dizione e il modo di vivere cristiano, preva-lentemente appoggiato su tale tradizione,(manifestato anche nella maggioranza cat-tolica della popolazione totale) non può es-sere la risposta principale alle sfide della mo-derna società croata. Anzi, si nota che “ilparadigma dell’evangelizzazione” viene con-siderevolmente cambiato, che vengono cam-biati gli schemi per diventare ed essere cri-stiano e che è in atto una situazione fon-damentalmente nuova, cioè quella missio-naria. È noto come la società – attraverso ilcontatto diretto con le correnti spirituali e diidee, ed attraverso lo sviluppo culturaledell’Europa occidentale – si sia sempre dipiù secolarizzata e decristianizzata, già an-cora prima della guerra. Sono diventate ov-vie anche le conseguenze del comunismo edell’ateismo sistematico. Comincia cosìl’epoca della vita ecclesiale selettiva e delpluralismo religioso. Aumenta il numero del-le persone che non conoscono e non seguo-no la via di Cristo che guida l’uomo allasalvezza. Tutto questo è diretto verso l’in-debolimento dei tradizionali punti d’appog-gio per l’annuncio della fede, particolarmen-te nella vita pubblica della società e nellafamiglia, soprattutto perché sta scomparendoil (cosìddetto) catecumenato sociale.I cristiani si trovano in una situazione in cuisempre di più vengono disorientati, non sa-

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A 10 anni dalla seconda nota sull’iniziazione cristiana 309

durre verso la pienezza della vita. Dopo igrandi passi fatti nel progetto dell’insegna-mento religioso scolastico (i programmi, iprogetti, i manuali, l’educazione dei cate-chisti, la riforma permanente armonizzatacon la completa riforma del sistema educa-tivo e d’istruzione nella Repubblica di Croa-zia) non sono stati ottenuti i risultati previsti,secondo gli indici dei determinati circoli ec-clesiastici e sociali. Qui si pensa prima ditutto all’inserimento dei bambini e dei gio-vani, insieme ai loro genitori, nella comunitàparrocchiale, come d’altra parte  alle attesedella società in generale che spera che il ca-techismo scolastico possa contribuire allosviluppo di un maggior grado dell’etica edella morale nella società. Però, non ci sirende conto del fatto che alcuni risultati at-tesi non sono stati ottenuti – per lo più –per il sostegno insufficiente degli altri fattoridell’iniziazione cristiana ed anche per il ne-gativo approccio dei mezzi di comunicazionee degli altri influssi sul processo educativoin totale. Però non si deve dimenticare che,con la presenza della Chiesa nella scuola at-travesro l’insegnamento religioso, migliaiadi giovani hanno incontrato, per la primavolta, il messaggio evangelico.

1.2. Catecumenato in primo pianoLa Chiesa in Croazia ha dato grande atten-zione al catecumenato. Questo può esserevisto nel documento specifico della Confe-renza Episcopale Croata “L’accesso degliadulti al cristianesimo. Le istruzioni per larealizzazione del catecumenato nel nostro

contesto”,2 fatto secondo Ordo initiationischristianae adultorum (OICA).3 Occorre direche le mutate circostanze sociali hanno of-ferto alla Chiesa la possibilità della nuovaevangelizzazione, cioè del primo annuncio,ad un gran numero di persone non battez-zate. D’altra parte, si è aperta anche la pos-sibilità per la nuova evangelizzazione di co-loro che erano battezzati ma, a causa dellepressioni del sistema comunista, non ave-vano l’occasione per una successiva inizia-zione e soprattutto per una vita sacramen-tale più esplicita. Adesso si offre la possibilitàper un vero primo annuncio del Vangelo diGesù Cristo, in vista dell’attuazione dellaprima conversione. Infatti, il tempo preca-tecumenale è proprio quello che ha il com-pito di “provocare” il cambiamento fonda-mentale della vita. Però, dopo le prime esperienze sono stateevidenziate alcune omissioni, soprattutto perciò che riguarda il precatecumenato4 (cf. OI-CA 9-11), che spesse volte è stato mancato.Allo stesso modo il gioioso annuncio durantelo stesso catecumenato spesso cede il postoalla catechesi dottrinale, talvolta priva di unlinguaggio adatto. Il fatto ancora più pro-blematico è che dopo la celebrazione dei sa-cramenti dell’iniziazzione, spesso non eraseguito il processo della mistagogia, cioé del-l’iniziazione all’esperienza dell’incontro conCristo nei misteri della fede, in particolarmodo nell’eucaristia. Qui viene meno anchela comunità parrocchiale, la quale spessonon è in grado di saper accettare dei nuovimembri ed in particolare quando non puòoffrire l’esperienza comunitaria della fede. 

2 HRVATSKA BISKUPSKA KONFERENCIJA, Pristup odraslih u kršćanstvo. Upute za ostvarivanje katekumenata unašim prilikama, Zagreb, 1993. 3 RITUALE ROMANUM...Ordo initiationis christianae adultorum. Editio typica (1972), reimpressio emendata (1974)Variationes in libros liturgicos ad normam Codicis iuris canonici nuper promulgati introducendae (1983). Inte-pretatio croatica (Conferenza episcopale croata 1973. Nuova edizione 1998., KS, Zagreb 1998.4 OICA, no. 9-11

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1.3. La preparazione per il matrimonioAvendo capito l’importanza dell’appropriatapreparazione per il matrimonio sacramentalee della famiglia come circostanza speciale peril primo annuncio della fede, la Chiesa ha di-mostrato una massima attenzione ai corsiprematrimoniali, i quali furono introdotti nellesingole diocesi ancor prima dei cambiamentidemocratici. Qui si è offerta la possibilità pergli incontri con molte persone che vivevanoalle “soglie del cristianesimo” (nonostantefossero sacramentalizzati ma non fossero de-cisi per lo stile di vita di Cristo, oppure nonerano neanche battezzati prima), con moltepersone adulte alla soglia della maturità cri-stiana (quando la loro età richiede la deci-sione fondamentale per la vita con Cristo ba-sata sul matrimonio cristiano). Accanto a tuttii risultati positivi, con il passar del tempo,siamo sempre più convinti che sia necessarioimpiegare questo tempo per il primo annun-cio, cioè per la scelta iniziale più forte per Cri-sto. Cosí, l’incontro vero con Cristo diventeràla caratteristica più importante del primo an-nuncio, e non sarà fondamentale invece con-centrare l’interesse prevalentemente sullequestioni morali, giuridiche e di medicina le-gati al matrimonio e alla famiglia. Si deveaggiungere che la pastorale in Croazia in di-versi ambiti aveva delle esperienze positivedel primo annuncio, in particolar modo coni genitori nell’occasione del battesimo dei lorofigli e in questo senso sono state sviluppatele cosiddette catechesi prebattesimali.

1.4. La presenza e le attività nella sferasocialeDopo i cambiamenti democratici dovevanoessere fatti dei grandi passi per poter risve-

gliare la coscienza della Chiesa per ciò cheriguarda la dimensione sociale della fede cri-stiana, che era stata messa in margine nelsistema precedente. La dottrina sociale, pre-sente nei documenti ecclesiali, è diventatanell’attività della Chiesa una parte molto im-portante del suo sevizio evangelico. Questoha contribuito al superamento della menta-lità ereditata della passività sociale e politicae contemporaneamente all’interessamentodei fedeli per portare il lievito evangeliconella vita sociale, culturale e politica.5 Pen-siamo che proprio attraverso l’impegno so-ciale della Chiesa un grande numero di per-sone ha avuto la possibilità d’incontrarsicon il Vangelo. Questo si manifesta nell’at-tività caritatevole (Caritas) e nell’azione pa-storale per tutti coloro che erano e riman-gono colpiti dalle conseguenze dell’agres-sione contro l’indipendenza croata.

1.5. L’annuncio attraverso i mezzi di co-municazioneIl compito in special modo delicato era e ri-mane il primo annuncio attraverso i mezzidi comunicazione. È davvero un “areopago”completamente nuovo, cioè la possibilitàper l’attività della Chiesa “ad extra”. Si puòdire che sono stati fatti in questa direzionediversi passi positivi. Però, dobbiamo rico-noscere che esiste un certo grado di man-canza d’orientamento per quanto riguardail dilemma tra l’annuncio attraverso gli esi-stenti mezzi di comunicazione già in pos-sesso della società (degli enti sociali) oppureattraverso la creazione di propri mezzi in-formatici. Il problema costante rimane laquestione del nuovo linguaggio della fede,il quale deve rispettare le regole dei moderni

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5 Questo promuove particolarmente il Centro della Conferenza Episcopale Croata per la promozione della dotttrinasociale della Chiesa.

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mezzi di comunicazione, senza perdere divista la verità del messaggio cristiano, af-finché lo possano capire soprattutto i fedeliai margini della Chiesa, cioè coloro che sisono allontanati.

2. ALCUNE SVOLTE IMPORTANTIALL’INIZIO DEL TERZOMILLENNIO

2.1. La nuova concezione della comu-nità parrocchiale e della catechesiLa Chiesa è convinta sempre di più che tuttele imprese non avranno successo se non ac-cade la ricostruzione della comunità cristianabasilare, cioè della parrocchia come porta-trice basilare dell’evangelizzazione. Essanon può rimanere perciò prevalentementeun posto di sacramentalizzazione, talvoltaprivo della fede risvegliata e radicata. Con-seguentemente la Conferenza EpiscopaleCroata (CEC) ha edito un documento spe-ciale: Catechesi parrochiale nel rinnovmentodella comunità parrocchiale.6 Questo docu-mento mette l’accento:– sulla dimensione missionaria della comu-

nità parrocchiale;– sulla creazione delle comunità particolari

(gruppi) oppure dei “vivi circoli parroc-chiali” all’interno della comunità parroc-chiale, nei quali può essere realizzato illieto annuncio, fondamentale nell’espe-rienza cristiana. Si apre l’ambito per il ra-dunarsi di coloro che cercano il Signore,cioè per le particolari comunità di evan-gelizzazione (per i cristiani della soglia);

– sul ritorno alla famiglia, perché se la fa-miglia continua con il proprio stile dellainiziazione, aspettando solo la tradizionalecelebrazione dei sacramenti, tutti gli sforzidell’evangelizzazione e della catechesi di-ventano vani.

2.2. Riflessioni sull’annuncio secondo ildocumento “Chiamati alla santità“Nella situazione cambiata, in cui prevale ilrelativismo, nascono degli ostacoli all’an-nuncio cristiano, ma contemporaneamentenasce anche l’ambito in cui il primo annun-cio del Vangelo può risplendere nella luce enella potenza nuova, naturalmente attraver-so un ascolto del tutto nuovo e originaledelle domande e delle necessità dell’uomomoderno.I vescovi pubblicando il documento “Chia-mati alla santità”,7 si richiamano alla letteradi Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte:“E in primo luogo non esito a dire che laprospettiva in cui deve porsi tutto il cammi-no pastorale è quella della santità”.8 LaChiesa in Croazia chiede a se stessa la qua-lità dell’annuncio che dovrebbe abbracciarel’uomo moderno, affinché possa risvegliarela fede dell’individuo e della comunità, siacon un forte stimolo (impulso) iniziale (conil primo annuncio), che con una permanentee sistematica predicazione. “Senza un au-tentico annuncio e la disponibilità che essodeve creare nei cuori degli ascoltatori, i sa-cramenti non possono essere né celebrati néricevuti in modo autentico, cioé come in-contro misterioso e salvifico con Gesù Cri-

6 HRVATSKA BISKUPSKA KONFERENCIJA, Župna kateheza u obnovi župne zajednice. Plan i program, (CONFERENZA

EPISCOPALE CROATA, Catechesi parrocchiale nel rinnovamento della comunità parrocchiale. Piano e programma,Zagreb-Zadar, 2000.)7 HRVATSKA BISKUPSKA KONFERENCIJA, Na svetost pozvani. Pastoralne smjernice na poćetku trećega tisućljeća,Glas Koncila, Zagreb 2002 (CONFERENZA EPISCOPALE CROATA, Chiamati alla santità. Orientamenti pastoraliall’inizio del terzo millennio, Glas Koncila, Zagreb, 2002). 8 Ibid., n. 1; Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, nr. 30.

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sto”.9 In questo senso i vescovi croati cer-cano di cambiare radicalmente l’annuncio,soprattutto quello dell’omelia domenicale edella catechesi parrocchiale, accentuando ladimensione catecumenale.

2.3. Ripensamenti teologico-pastoralisul primo annuncioI corsi della formazione permanente del cleroe dei laici rappresentava il grande passodella Chiesa in Croazia, ancora prima deicambiametni democratici e, sia a livello dellaConferenza episcopale croata, come pure sulpiano diocesano, grazie soprattutto alle Fa-coltà teologiche ed Istituti filosofico-teologici.Sul piano dell’attualizzazione del primo an-nuncio occorre sottolineare il grande contri-buto delle scuole catechistiche, fondate giànegli anni settanta. La prima evangelizza-zione, cioè il primo annuncio, è stato l’orien-tamento dei sinodi diocesani, di quello giàrealizzato nell’arcidiocesi Akovo-Osijek, co-me dell’altro in atto nell’arcidiocesi di Za-greb. Il Sinodo già realizzato nell’arcidiocesiAkovo-Osijek è stato tutto permeato del bi-sogno di un nuovo slancio nel campo dellanuova evangelizzazione.10

3. LE NOSTRE DOMANDEE I SUGGERIMENTISUL PRIMO ANNUNCIO

3.1. La necessità di strutturare l’ideadel primo annuncioSi pone la domanda: il primo annuncio èqualcosa che si fa occasionalmente con la

parola e la testimonianza della vita, oppurele cose sono giunte a tal punto che si deveorganizzare un itinerario strutturato? Moltiindicatori ci parlano della necessità di orien-tamenti più precisi per il primo annuncio,sia per quello iniziale sia per quello nell’am-bito del catecumenato, della catechesi par-rocchiale, dell’omelie e cosí via. Mi riferiscoal Direttorio generale per la catechesi, ilquale afferma la necessità di “un interventoistituzionalizzato di un primo annuncio co-me attuazione più diretta del mandato mis-sionario di Gesù”.11 Questo lavoro sarebbein corrispondenza di ciò che diceva GiovanniPaolo II, all’inizio degli anni ottanta, pun-tando sulla nuova evangelizzazione, che de-ve essere nuova per “espressione”, per “me-todo” e per “ardore”. Allora, non si può direche i catechisti e tutti coloro che sono im-pegnati nella pastorale e nella catechesi nonfacciano tutto per sensibilizzare e condurrealla fede i ragazzi, in particolar modo i gio-vani e gli adulti. Però ci si deve domandaresu che cosa si pone l’accento. Davanti a noiè un compito assai importante, cioè comemostrare la perenne novità e vitalità delVangelo. Occorre soprattutto sottolineare ilproblema del discorso sul primo annuncioall’uomo d’oggi che dimostra la saturazionereligiosa. In ogni modo oserei proporre un‘itinerario specifico’ (vade mecum) sul primoannuncio nei diversi settori della pastorale,sulla scia d’una più coraggiosa missionarie-tà. A questo compito devono contribuire iteologi odierni che sono nuovamente chia-mati a ripensare il messaggio cristiano in vi-sta del primo annuncio.

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9 Ibid., n. 38.10 Ti si Krist – za nas i za sve ljude. Izjave i odluke Druge biskupijske sinode d–akovacke i srijemske, (Tu seiil Cristo – per noi e per tutta la gente. Dichiarazioni e decisioni del Secondo sinodo diocesano di Ðakovo-Srijem) Nadbiskupski ordinarijat Ðakovo, 2008. 11 CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale per la catechesi, Città del Vaticano 1997, nr. 62.

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3.2. Il primo annuncio: il compito ini-ziale o permanente?È chiaro che il primo annuncio cerchi di aiu-tare l’ascoltatore a credere in un Dio vero eunico e in Gesù Cristo morto e risorto. Lacatechesi dell’iniziazzione cristiana aiutaquesta prima conversione che viene conso-lidata in una comunità cristiana. Però il pro-blema nasce quando la catechesi cominciaa perdere di vista quel carattere d’annunciogioioso della salvezza e si trasforma nella“pura dottrina”, convinta che deve rispettaredefinizioni e formule ufficiali con una espo-sizione sistematica. Nella convinzione cheoccorre puntare sempre di più sul primo an-nuncio, nel movimento catechistico croatocomincia a prevalere l’opinione che il primoannuncio e la catechesi devono essere visticome i due poli dialettici entro la stessa re-altà. La catechesi nasce e torna sempre alVangelo. Altrimenti diventa solo l’insegna-mento delle verità di fede. Si deve metterein rilievo che lo scopo del primo annuncio– la conversione – rimane presente in tuttala catechesi. È noto che questa direzione siera messa in evidenza all’Incontro dellaequipe catechistica europea (Lisbona, dal 28maggio al 2 giugno 2008). In quella occa-sione si è messo in rilievo che il primo an-nuncio e la catechesi devono essere presenticontemporaneamente, nel senso che ognisituazione e diversi periodi della vita, anchequello dopo la conversione, hanno bisognodel primo annuncio. Tenendo conto dell’indifferenza delle nuovegenerazioni nei confronti di alcuni elementidell’eredità cristiana, particolarmente per ciòche riguarda la fede e la sua pratica, proprioil primo annuncio ha la possbilità di rispon-dere a queste aspettative. Il cristiano ipote-tico (il cristiano di domani) evidentementenon diventerà tale solo per tradizione oppureperché già dalla nascita fa parte della con-

fessione cristiana, ma lo sarà perché troverànel cristianesimo quello che può dare allasua vita il senso pieno di gioia. A questo fat -to contribuisce soprattutto la predicazionemissionaria sotto l’aspetto della conversionee della fede. Questo necessariamente pre-suppone l’impostazione catecumenale del-l’iniziazzione cristiana.Tutto questo presuppone il passaggio dallapura sacramentalizzazione all’evangelizza-zione, cioè lo sforzo in vista della conver-sione. Il problema nasce se la pastorale nonporta come suo frutto la conversione cioè“diventare il cristiano”. In questo senso an-che la futura catechesi dovrà interrogarsi seprepara le persone prima di tutto per i sa-cramenti oppure per la fede. Riteniamo che il primo annuncio avrà suc-cesso solamente nella misura in cui potràaiutare il passaggio dalla “notizia“ alla “co-scienza“ della fede, cioè all’interiorizzazionedella coscienza che Gesù Cristo è veramenteil Messia, che in Lui possiamo avere la vitaeterna. Solo Lui ha ragione e vale la penavivere così come viveva lui. Bisogna ricor-dare il fatto che i cristiani dei primi secolisono riusciti a rappresentare il cristianesimoprima di tutto come ‘buona novella’, vuoldire che l’uomo e il mondo intero possonoriuscire solo se sono aperti all’amore divinooffertoci in Gesù Cristo. Questo è il Vangelodella speranza nella situazione di dispera-zione, tuttora in atto. È vero allora che nelprimo annuncio la pienezza della vita offertada Gesù Cristo deve essere più manifesta(v. Gv 10,10)?

3.3. La conversione pastorale deglievangelizzatoriIl compito più importante è come aiutare glievangelizzatori (sacerdoti, catechisti ed altri)per poter realizzare il primo annuncio. Spes-so, cioè, accanto alle esperienze positive sia

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nelle parrocchie che in altri movimenti spi-rituali, si osserva che: 1. Gli operatori pastorali qualche volta ven-

gono condotti da cosìddetti calcoli nega-tivi12 poiché non si vedono i risultati im-mediati delle iniziative catechetico-evan-gelizzatrici;

2. Si osservano anche dei processi reversi-bili, nel senso che alcuni operatori pasto-rali, non sapendo reagire in modo mis-sionario alle nuove sfide del paganesimo,cominciano a sentire la nostalgia per imodelli pastorali del passato – cioè, perla tradizionale pastorale direttiva;

3. Il problema di concentrarsi esclusivamen-te ai fedeli ‘devoti’ cioè ai ‘praticanti“,senza pensare al fatto che c’è bisognodella svolta missionaria verso le personelontane e quelle che si trovano in marginedella vita ecclesiale;

4. L’incapacità per l’annuncio della via diCristo come ‘offerta/proposta’, cioè peruna pastorale dialogale.

Infine occorre dire che tutto lo sforzo per ilprimo annuncio non ha futuro se tutta lacomunità cristiana non viene sensibilizzataa che questo sia il compito elementare ditutto il popolo di Dio, cioè che i fedeli devonopartecipare sempre di più alla nuova impresamissionaria. In questo senso la particolaritàdella Chiesa in Croazia si manifesta nel fattoche esiste un grande numero di credentiaderenti alla Chiesa Cattolica, la partecipa-zione dei quali nella liturgia è ovvia. Mad’altra parte non pochi credenti adulti dimo-strano una educazione insufficiente e di pocovalore per ciò che riguarda le questioni es-senziali di fede, e perciò si fermano a livellodi tradizione. In questo senso non si può ri-

spondere facilmente alle sfide della vita mo-derna.

4. ConclusioneForse la situazione nella Chiesa in Croaziapotrebbe essere descritta con le parole di pa-pa Giovanni Paolo II alla conclusione delsuo secondo viaggio apostolico: “In Croaziaho potuto incontrare una Chiesa molto viva,ricca dell’entusiasmo e della forza, nono-stante le avversità e le violenze subite; laChiesa che sta cercando le forme nuove dellatestimonianza di Cristo e del suo Vangeloaffinché possa, in modo appropriato, rispon-dere alle sfide di questo tempo”.13

Noi, in Croazia, allora, non siamo più “an-temurale christianitatis” come in quell’epocalontana, ma dobbiamo dire che da noi esisteancora una forte tradizione cristiana. Adessooccorre sfruttare il potenziale della grandetradizione e della percentuale ancora relati-vamente alta dei fedeli che frequentano lamessa domenicale. Questo potenziale è unabase solida per un rinnovamento della fedein vista del primo annuncio.In questo senso bisogna valorizzare ancoradi più la preparazione teologica e i diversicarismi dei fedeli laici, dei catechisti e deglialtri fedeli. Le loro competenze e l’esperienzadi fede contribuiranno all’educazione cristia-na di tutti i fedeli e alla loro partecipazionepiù impegnata nella impresa missionaria del-la Chiesa.Quanto detto per la Chiesa in Croazia puòvalere, in un certo senso, anche per la Chiesain Bosnia ed Erzegovina, ossia per la popo-lazione croata e cattolica. Però la Chiesa inBosnia ed Erzegovina dovrà fare degli sforziancora più grandi, perché l’ambiente in cui

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12 Cfr. JOSEPH CARD. RATZINGER, Sol zemlje (Il sale della terra) ....., p. 236.13 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’aeroporto di Spalato alla fine della seconda visita apostolica in Croazia, il 4ottobre 1998.

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essa vive è ancora più multiconfessionale emultietnico. Date le molte somiglianze stia-mo collaborando a livello delle conferenze

episcopali dei due paesi, attraverso i diversiprogetti comuni, in particolar modo nell’am-bito catechistico.

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Nella catechesi contemporanea il “primo an-nuncio” è ormai un “hot item”.

Annotiamo anzitutto che il significato deltermine ‘catechesi’ si allontana sempre piùda quello abituale – cioè sostanziale inizia-zione nella fede e nella Chiesa – muovendosiverso una definizione più ampia in cui sonoassunti anche sia il primo annuncio che ele-menti di evangelizzazione. Tale allargamen-to fu già avviato dal documento Evangeliinuntiandi di Paolo VI (1975), che è fre-quentemente citato. Nel nostro tempo cate-chesi ed evangelizzazione sono sempre piùintrecciate tra loro, per il fatto che per unnumero crescente di persone il contatto conla Chiesa e con la fede assume il caratteredi un “primo annuncio”.

Che cosa s’intende per “primo annuncio”?Il Direttorio generale per la catechesi(1997), riferendosi al primo annuncio, af-ferma: «Il Vangelo sollecita una catechesiaperta, generosa e coraggiosa nel raggiun-gere le persone dove vivono, in particolareincontrando quegli snodi dell’esistenza doveavvengono gli scambi culturali elementari efondamentali, come la famiglia, la scuola,l’ambiente di lavoro, il tempo libero» DGC1997, n. 211).Il primo annuncio nella catechesi è un ten-tativo di esprimere la fede usando paroleche anche le persone praticamente sprovvi-ste di qualsiasi conoscenza della fede pos-sono comprendere. Alludendo al termineGreco “katechein” – da cui deriva la nostraparola “catechesi”, il primo annuncio inten-

de fare “risuonare” il Vangelo. Nel primoannuncio la testimonianza e l’informazioneprocedono di pari passo. Anche l’informa-zione è molto essenziale. Lo constatiamonella pratica quotidiana e anche nei media:tante volte la conoscenza della fede cristianaè a un livello minimo. Inoltre incontriamouna serie di tenaci fraintendimenti e ridu-zioni riguardanti la fede cristiana. È quindi importante che nella forma di unprimo annuncio sia pure presente, in modofresco e contemporaneo, la necessaria infor-mazione circa la fede; soprattutto è neces-sario fare riferimento ai momenti di transi-zione della vita umana, quali: la nascita, lamorte, le relazioni, la sofferenza... Ancheper ciò che riguarda il nucleo e le grandi te-matiche della fede cristiana c’è necessità diinformazione accessibile.

I sussidi che noi adoperiamo a questo finerichiedono una diffusione di massa. Ma nellostesso tempo è importante che siano ancheeffettivamente usati nei processi di evange-lizzazione e di catechesi. Questi sussidi for-niscono alla gente, in maniera attraente einvitante, la necessaria informazione circala nostra fede.È essenziale cercare di raggiungere anchegruppi umani che, pur non facendo il passoverso la fede, si confrontano comunque coni grandi problemi della vita e sono alla ri-cerca di qualche risposta.

Portare il discorso sui problemi del sensoPer rendere possibile l’incontro tra i grandiproblemi della vita e la nostra fede nel Cristo

PER I MOMENTI CRUCIALI DELLA VITAFascicoli illustrati a colori per il primo annuncio

Dr. Johan Van der Vloet, Direttore nazionale della catechesi Paesi BassiDrs. Ilse Cornu, Caporedattrice della collezione

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Risorto, noi abbiamo bisogno di una nuovamentalità. In quanto comunità ecclesiale noisiamo sfidati a guardare attorno a noi, cer-cando di raggiungere uomini e donne delnostro tempo. La grande sfida di oggi è tro-vare delle modalità concrete in cui le personeche sono alla ricerca di un senso per la lorovita possano incontrare la potente offerta disenso che emana dalla nostra fede. Tale in-contro potrà riuscire soltanto se noi stessisaremo in grado di cogliere e di apprezzareil loro mondo vitale e nello stesso tempo ar-riveremo a stimolare ad un dialogo interes-sato con la fede cristiana. E ciò rimane an-cora sovente un punto dolente...Nelle circostanze attuali la pastorale stentagià notevolmente a organizzare e a realizzareil “normale servizio”. Perciò diverse personeassumono un atteggiamento scettico di fron-te alla possibilità di praticare anche il primoannuncio. Ad ogni modo di fronte all’attualesituazione l’unica risposta possibile è quelladi una Chiesa missionaria. Oggi non mancal’interesse per i problemi religiosi; ciò chepurtroppo manca talvolta in noi, in quantocomunità ecclesiale, è il dinamismo neces-sario per offrire una risposta a tale ricerca.

I fascicoli illustratiIn un rapporto di collaborazione tra VescoviOlandesi e Fiamminghi (Belgio Nord), e conlo scopo di incrementare il dinamismo dellecomunità ecclesiali, sono nati una serie difascicoli illustrati che appunto mirano a ren-dere possibile il dinamismo verso l’esterno.Il formato del fascicolo illustrato incrementail dinamismo con una veste tipografica a co-lori, una impostazione grafica attraente, econtributi brevi e facilmente leggibili; conattenzione alle domande poste frequente-mente (FAQ = Frequently Asked Questions)e con interviste a personalità importanti delBelgio e dell’Olanda.

La preferenza per uno stile molto fresco eper un approccio a scala molto larga – anchenell’impostazione grafica – è una scelta con-sapevole. Gli inviti rivolti ai lettori si tengonoa soglia bassa, con abbondanza di testimo-nianze e di interviste, che rendono possibileuna forma dialogale nella comunicazionedella fede. La gente oggi è alla ricerca diqualcosa, ma in maniera più individuale etenendosi a distanza dai “grandi” sistemi disenso. Molti sono comunque aperti a stimolied elementi della fede cristiana. Piuttosto “fuori serie” abbiamo anche rea-lizzato il fascicolo: Katholieken. Wat ze ge-loven. (I cattolici. Ciò che credono). Si trattadi una sintesi della fede cattolica, di tipo in-formativo, che però termina con un invito.

Non (solo) per uso interno !Gli illustrati di cui stiamo parlando esprimo-no un nuovo tipo di approccio. Intendonoraggiungere in primo luogo persone chehanno scarso o nessun contatto con il mes-saggio cristiano. Ogni illustrato è costruitoattorno a un grande momento della vitaumana. Il lettore, alle prese con questo nodoesistenziale della vita, è invitato – in manierafresca e informativa – a un assaggio dellafede cristiana. Essendo destinati a una dif-fusione di massa, il prezzo degli illustrati ètenuto volutamente molto basso. Alle persone che si confrontano con i pas-saggi cruciali della vita questi illustrati inten-dono permettere il contatto con la ricchezzadi significato offerta dalla fede cristiana. A livello pratico risulta che questi illustratitrovano una diffusione sufficientemente am-pia, restando tuttavia in gran parte “dentro”il circuito cristiano. Raggiungono quindi solouna parte della loro missione. Gli illustrativengono solitamente offerti alle persone cheaspettano un bambino (anche se – per ora– non chiedono il battesimo), oppure ai fa-

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miliari dei defunti (a un funerale in chiesapartecipano molte persone che non vengonopraticamente mai a contatto con la fede cri-stiana), a giovani e a persone che abitanoinsieme (anche se finalmente non decide-ranno di sposarsi in chiesa), ai malati e sof-ferenti. Questi illustrati vengono offerti atutti i cristiani come aiuto per il loro servizioal mondo: per esempio per aiutare personea dare un senso alla propria vita. Su questopiano c’è bisogno di una nuova e più ac-centuata mentalità missionaria.

... ma anche per l’uso interno...All’interno delle nostre comunità ecclesialic’è una grande necessità di migliorare la co-noscenza e la consapevolezza attorno ai nu-clei della nostra fede. Pertanto questi fasci-coli illustrati possono anche essere di aiutoa molti credenti per approfondire la visionecristiana sui grandi problemi della vita. In ogni illustrato c’è un inserto staccabilesul sacramento o sul rituale che corrispondeal problema vitale di cui tratta il fascicolo il-lustrato. Perciò questi fascicoli sono eccel-lenti sussidi per la preparazione al battesimo,ai funerali, all’unzione degli infermi, al ma-trimonio, alla cresima... Oltre a tutto ciò ogni illustrato offre una no-tevole abbondanza di splendide fotografiemeditative, molto indicate per l’uso all’in-terno della catechesi.

Nelle scuoleSi è visto che in Olanda soprattutto i fascicoliillustrati sulla vita dopo la morte e il fascicoloKatholieken (I cattolici), trattandosi di sus-sidi didattici ben confezionati, sono ancheampiamente diffusi nelle scuole. Soprattuttonelle ultime classi delle scuole secondariecome pure nel corso “visioni della vita, re-ligione e problemi di senso” delle scuole su-periori, questi fascicoli illustrati e i dvd di

accompagnamento risultano essere sussidimolto adatti. L’impostazione grafica e l’ap-proccio ai problemi si addice anche bene almondo vitale dei giovani.

OPNIEUW GEBOREN.WAAROM JE KIND LATEN DOPEN?[LA NUOVA NASCITA.PERCHÉ FARE BATTEZZAREIL TUO BAMBINO]

Questo fascicolo illustrato si rivolge a tuttele persone che aspettano un bambino o vi-vono da vicino la nascita di un bambino(genitori, nonni, famiglia...). Impostato co-me un illustrato di tipo informativo, invitaogni lettore a sollevare alcuni interrogativiattorno alla vita e al senso della vita. Pro-pone anche di prendere in considerazione ilbattesimo come un modo di dare un sensoa questa esperienza molto intensa.

Contenuto: una nuova vita – origine del bat-tesimo – la celebrazione del battesimo – ledomande frequentemente poste attorno albattesimo – spunti e consigli per l’educazio-ne della fede. Seguono interviste con il Card.Danneels e altri, e testimonianze di notepersonalità Fiamminghe e Olandesi.Questo illustrato si diffonde soprattutto trale persone che aspettano un bambino. Puòanche essere utile per la preparazione al bat-tesimo.

SUGGERIMENTI• Chiedere ai medici di casa o ai centri di

consultazione ginecologica e di ostetriciadi mettere il fascicolo illustrato sul tavolodelle riviste nelle sale d’attesa.

• Offrirlo come regalo a tutti i genitori dellaparrocchia che celebrano una nascita. Èun invito perché anche il battesimo siapreso in considerazione.

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A 10 anni dalla seconda nota sull’iniziazione cristiana318

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

A 10 anni dalla seconda nota sull’iniziazione cristiana 319

• Mettere il fascicolo illustrato a disposizio-ne sul tavolo delle riviste in fondo allachiesa, con possibilità di comprarlo.

• Capita che soprattutto i nonni cercanoqualche opportunità per raccomandare aigenitori il battesimo del bambino o dellabambina. Il fascicolo illustrato può essereutile a questo fine.

• Per la preparazione al battesimo: quandoi genitori si rivolgono al parroco per chie-dere il battesimo, si può offrire loro il fa-scicolo illustrato con la preghiera di ana-lizzarlo insieme. Successivamente il fasci-colo può servire per strutturare la celebra-zione del battesimo o la preparazione delmedesimo.

«LICHT AAN DE HORIZON.OVER LEVEN NA DE DOOD»[LUCE ALL’ORIZZONTE.SULLA VITA DOPO LA MORTE]

Non di rado nel nostro mondo la morte vienerimossa. Ciononostante capita frequente-mente di imbatterci nel problema della mortee della vita al di là della morte. Il fascicoloillustrato: “Luce all’orizzonte. Sulla vita dopola morte” si occupa di questo problema.Il fascicolo tematico esamina i diversi modicon cui l’uomo d’oggi pensa riguardo allamorte e alla vita dopo la morte, e in riferi-mento a questi interrogativi cerca di scoprire“una luce all’orizzonte”, cioè il messaggiocristiano. Il sussidio può offrire una prospet-tiva di speranza ed essere di sostegno a tutticoloro che si confrontano con la morte diuna persona amata.

Contenuto: articoli su cristiani e la vita dopola morte; i bambini e la morte; come conti-nuare a vivere dopo il suicidio di una per-sona amata; esperienze di morte; contributi,

fra altri, del Card. Godfried Danneels, HildeKieboom, Anselmo Grün; testimonianze diMark Eyskens, Jean-Luc Dehaene, MichelFollet e altre note personalità Fiamminghee Olandesi; un inserto staccabile per la pre-parazione di un funerale.

SUGGERIMENTI• Anche per questo fascicolo l’uso interno

ed esterno è essenziale. Le persone che siconfrontano con la morte di una personaamata possono trovare in questo illustratoun orientamento sicuro. Perciò regalateloa tutti coloro che vivono un processo dilutto, anche a coloro che non richiedonoil funerale in chiesa.

• Per la liturgia del funerale: la famiglia puòscoprire nel fascicolo tanti utili suggeri-menti per la preparazione del funerale, eanche per attraversare positivamente ilprocesso del lutto. Regalate il fascicolocome regalo di consolazione.

• Usate il fascicolo per il ricordo in gruppidi congiunti.

• Mettetelo a disposizione nei centri di luttoe presso le agenzie funebri.

• Mettete il fascicolo illustrato a disposizionesul tavolo delle riviste in fondo alla chiesa,con possibilità di comprarlo.

• Nelle ultime classi della scuola secondariae nelle scuole superiori il fascicolo illu-strato serve come un progetto didatticoben equilibrato per discutere sul tema dellamorte e della vita dopo la morte, soprat-tutto in combinazione con il dvd che l’ac-compagna.

Una parola sul dvdIl fascicolo illustrato è corredato di un dvdche affronta la medesima problematica. Èdiviso in tre parti, ciascuna della durata di10 minuti. I frammenti cinematografici aiu-tano per organizzare una riflessione sulla

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morte e la vita dopo la morte nelle parroc-chie, in serate di formazione e anche nellescuole.

«SAMEN DOOR HET LEVEN».OVER RELATIES MET TOEKOMST[INSIEME ATTRAVERSO LA VITA.INTRECCIARE RELAZIONICHE HANNO UN FUTURO]

Chi oserebbe negarlo: non c’è esperienza in-tensa di felicità che non abbia a che fare conl’amore.Questo fascicolo illustrato intende raggiun-gere diversi gruppi di destinatari: personeinnamorate che intendono proseguire pertutta la via; persone che forse hanno qualchepaura di fare un passo così importante; per-sone che forse vorrebbero sposarsi in chiesa,ma per ora dubitano se sia proprio per loro.

Contenuto:Innamoramento – scelta del partner – insie-me per tutta la vita? – Dio sorgente del-l’amore – sessualità – figli.Interviste con note personalità dell’Olandae delle Fiandre. artisti e psicologi.Un inserto staccabile sulla celebrazione delmatrimonio in chiesa. Le domande più fre-quenti (FAQ) riguardo al matrimonio eccle-siastico.L’origine di alcune usanze attorno al matri-monio, quali lo scambio degli anelli, gettareil riso sulla coppia sposata...

SUGGERIMENTIDiminuisce il numero dei matrimoni in chie-sa. Il fascicolo illustrato può essere un aiutoper prendere in considerazione, in una ma-niera fresca, la possibilità di sposarsi in chie-sa. Di conseguenza il gruppo principale deidestinatari è esterno: persone innamorateche invitiamo a riflettere qualche istante per

vedere se il matrimonio in chiesa si addicea loro. Perciò si raccomanda la diffusionedel fascicolo:• nell’ultimo anno della scuola secondaria• nelle scuole superiori e nelle università• nei club giovanili e nei caffè per giovani• sul tavolo delle riviste in sale d’attesa di

vario genere• sul tavolo delle riviste in fondo alla chiesa• tra i genitori e nonni di possibili candidati

al matrimonio • nella preparazione alla celebrazione del ma-

trimonio (soprattutto l’inserto staccabile)• nei gruppi familiari.

Una parola sul dvd “insieme attraverso lavita”Il dvd è diviso in tre parti, ciascuna di circa15 minuti. I frammenti cinematografici com-pletano con impulsi visivi le interviste delfascicolo illustrato. Al dvd è aggiunto un in-dice didattico. L’insieme costituisce un sus-sidio ideale per la preparazione al matrimo-nio e per i gruppi familiari.

«KATHOLIEKEN.WAT ZE GELOVEN»[I CATTOLICI. CIÒ CHE CREDONO]

Oltre ai fascicoli illustrati che si riferisconoai momenti cruciali della vita, c’è anche unfascicolo illustrato che presenta in sintesi,usando un linguaggio facilmente compren-sibile, la fede cristiana. Il fascicolo “I cattolici.Ciò che credono” presenta in maniera chiarae lucida il nucleo della fede cattolica. Moltepersone oggi desiderano sapere chiaramenteciò che credono i cattolici. Perciò necessitia-mo di un compendio della fede. Il fascicolodi 32 pagine intende proprio rispondere atale bisogno, offrendo una breve spiegazionedei nuclei della fede.

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La comunità cristiana e il primo annuncio320

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Notiziario n. 2 Ufficio Catechistico Nazionale

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Il fascicolo parte dalla comunità della Chiesaper sollevare in seguito la domanda: Chi èGesù Cristo per i cattolici? La seconda partefocalizza l’agire di Dio nel mondo e il pro-blema del male. La terza parte parla dellapresenza di Dio nei sacramenti. L’ultimo ca-pitolo porta come titolo: “Appello alla vita”e tratta il problema dell’etica. Il fascicolo il-lustrato termina offrendo una specie di les-sico della fede cattolica; inoltre un calendarioliturgico.Anche questo fascicolo si presenta in formaattraente, a quattro colori. È un sussidioideale per l’evangelizzazione e per una ri-presa del contatto con la fede.

SUGGERIMENTIMolte persone sono alla ricerca di una brevepresentazione della fede. Perciò cercate diraggiungere quei gruppi:• Depositate un fascicolo sul tavolo delle ri-

viste nelle sale d’attesa• Offrite la possibilità di comprare il fascicolo

nella chiesa• Fatene omaggio ai vostri volontari• Nelle scuole superiori e anche nelle secon -

darie il fascicolo può servire come librettopratico di riferimento.

• Sussidio ideale per la catechesi e per leserate con i genitori.

«WAAROM TOCH? OMGAANMET KWETSBAARHEID EN LIJDEN»[MA PERCHÉ? COME COMPORTARSIDI FRONTE ALLA VULNERABILITÀE LA SOFFERENZA]

Un’esperienza universale.Ognuno ha fatto l’esperienza della sofferen-za che ci mette a confronto con la nostravulnerabilità. La malattia, il deperimento, lesofferenze psichiche, gli incidenti, i disastri

naturali: sopravvengono senza che noi pos-siamo sottrarci: come si potrà dare un sensoa tali esperienze? In questa cornice soventele parole possono essere nocive. Possonomascherare la sofferenza o cercare di razio-nalizzarla. Soprattutto possono ferire le per-sone sofferenti. Parlando della sofferenzainnocente, questo fascicolo illustrato usa pa-role molto prudenti.

ContenutoTanti generi di tristezza – la freddezza delcosmo? – spiritualità e sofferenza – la sof-ferenza e il buon Dio – l’abisso della soffe-renza – sofferenza e immagini di Dio – spe-ranza in mezzo alla sofferenza – un pelle-grinaggio con i malati – sollecitudine e so-lidarietà per chi soffre, il processo del lutto– suggerimenti per la visita ai malati.Inserto staccabile sull’unzione degli infermi+ meditazioni su racconti di guarigioni mi-racolose.Interviste a note personalità Fiamminghe eOlandesi sulle loro esperienze di sofferenzae gli atteggiamenti che essi hanno saputoassumere di fronte ad esse; interviste conAnselmo Grün, Maurice Bellet, Frère Em-manuel di Taizé.

Una parola sul dvdNel dvd, di cui il fascicolo illustrato è corre-dato, si alternano frammenti delle intervistecon immagini meditative. Negli “extra” ampispezzoni delle interviste.

SUGGERIMENTIIl fascicolo e il dvd di accompagnamento sirivolgono a qualsiasi persona che lotta perdare un senso alla sofferenza. Perciò questisussidi servono ottimamente ovunque s’in-contrano persone che si confrontano con lasofferenza:

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– In primo luogo le persone malate e soffe-renti, a casa o all’ospedale.

– Le persone che rendono visita ai malati,gli operatori del lutto, i familiari e amicidei malati e sofferenti possono regalare ilfascicolo con il dvd come segno di atten-zione. Non vi è dubbio che essi personal-

mente ne ricaveranno grande vantaggio.– Il sussidio è ugualmente un mezzo eccel-

lente per mettersi a confronto sulla vul-nerabilità e sulla sofferenza nel contestodella scuola.

(traduzione del Neerlandese: Joseph Geva-ert, sdb)

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 2

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La comunità cristiana e il primo annuncio 323

Mi sono chiesto a lungo come avrei impo-stato questo incontro, da cosa sarei partito;alla fine ho deciso di prendere come puntodi partenza il testo di At 8,26-40, cioè il rac-conto della evangelizzazione e del battesimodell’eunuco etiope, funzionario della reginaCandace. Un brano di Isaia (Is 56,3-5) in-quadra gli eunuchi nella complessa relazionedi Israele con gli stranieri cui rivolge questaparola di speranza:

non dica lo straniero che ha aderito al Signore:«Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!».Non dica l’eunuco: «Ecco sono un albero secco».Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi che os-servano i miei sabati, preferiscono quello che mipiace e restano fermi nella mia alleanza, io conce-derò nella mia casa e dentro le mie mura un postoe un nome più prezioso che figli e figlie; darò loroun nome eterno che non sarà mai cancellato».

Questo messaggio toglie la restrizione chetroviamo in Dt 23,3 e che proibisce all’eu-nuco l’ingresso nella comunità del Signorema pone come condizione che osservi il sa-bato, cerchi la volontà di Dio e stia fermonella sua alleanza. In poche parole, l’eunucoè un personaggio che, per la sua connota-zione etnica, sociale e religiosa, risulta esclu-so dal popolo di Dio e da coloro a cui nor-malmente ci si indirizzava. In effetti, nono-stante Isaia e Luca testimonino loro stessiche personaggi stranieri colti e ricchi si eranogià avvicinati al popolo di Dio, questo fun-zionario statale non comprende quello chelegge e la Parola di Dio gli resta oscura.Gli esegeti hanno notato che questo raccontosegue il modello che Luca aveva già pre-

sentato nel suo vangelo con il racconto dellaapparizione del Risorto ai due discepoli diEmmaus (Lc 24,13-35); qui, come in quelcaso, la narrazione è costituita da un incon-tro, un dialogo catechetico in forma di evan-gelizzazione ed un gesto sacramentario con-clusivo. La differenza sta nel fatto che il ge-sto conclusivo, in questo racconto, non è lospezzare il pane ma il battesimo. Il vantaggiodi questo parallelo sta nel fatto che l’insiemedei due racconti mostra come l’evangelizza-zione non riguardi solo lo “straniero” o il“lontano” ma anche il discepolo di Cristo;come lo straniero, anche il discepolo ha mo-menti di crisi e di incomprensione che vannoevangelizzati.

1. L’EVANGELIZZAZIONEIN CONTESTI MUTATI:UNA DIFFICILE OBBEDIENZA

Il racconto comincia con un ordine di Dioche, nonostante la sua origine, resta almenostrano:

un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Alzatie va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scendeda Gerusalemme a Gaza: essa è deserta». Egli sialzò e si mise in cammino» (vv. 26-27).

Con questo ordine, a Filippo non viene in-dicata una meta od uno scopo ma vienesemplicemente dato un comando – va’ sullastrada – con l’aggiunta di una indicazionesconcertante: essa è deserta. Cosa debba fareFilippo in una strada deserta non viene in-

Comunità Cristiana e Primo Annuncio

LA FORMAZIONEDI UNA COMUNITÀ MISSIONARIA

Don Gianni Colzani, Docente di Missionologia presso la Pontificia Università Urbaniana

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dicato e, se confrontiamo questo passaggiocon il brano precedente e con quello seguen-te, il nostro stupore aumenta ancora di più;la strada deserta è inquadrata in mezzo adue vicende apostoliche di un certo rilievo:l’evangelizzazione della Samaria, prima, equella ad Azoto e Cesarea, poi. In mezzo aidue vi è una strada deserta.Questa situazione che possiamo immaginareaccompagnata da un comprensibile scorag-giamento, da un comprensibile interrogarsisu quanto sta avvenendo, mi sembra parti-colarmente adatta a richiamare sia il cam-biamento che le comunità cristiane trovanoin Europa sia il modo con cui lo vivono. Sia-mo passati da un clima di cristianità, doveil linguaggio religioso e alcuni valori cristianiavevano un pacifico radicamento culturalee sociale, ad una società postmoderna se-gnata dalla complessità e dalla pluralità deilinguaggi e delle espressioni culturali. La si-tuazione di fatica e di disagio delle nostrecomunità somiglia molto al cammino di Fi-lippo su una strada deserta. Di sicuro, unmodello di cristianesimo è ormai alle spallee siamo sulla soglia di un millennio chel’anima profetica di Giovanni Paolo II vedevacome una nuova primavera della Chiesa edella sua missione ma che, certo, pone unaserie di problemi.Questo disagio spiega nostalgie, paure, bi-sogno di sicurezze, ricerca di identità fortiche riaffiorano qua e là all’interno delle co-munità cristiane. Ci si deve chiedere se que-sti atteggiamenti di timore e di difesa di fron-te ad una situazione complessa e problema-tica siano davvero corretti, siano davvero larisposta che il Risorto attende oggi da noi.Andare per una strada deserta equivale allafine di un mondo sacrale, dominato da isti-tuzioni e linguaggi propri e di cui Gerusa-lemme era – forse – l’immagine plastica; an-dare per una strada deserta è uscire dal tem-

pio per stare là dove la gente vive e maturaconvinzioni non direttamente religiose, dovediscute i problemi che “essa” reputa impor-tanti nella propria vita; andare per una stra-da deserta è un collocarsi della Chiesa “al-trove”. È accettare di stare là dove i centridi interesse sono diversi da quelli degli am-bienti protetti delle nostre istituzioni; è ac-cettare di stare là dove la domanda religiosaè sepolta sotto altri interessi; è sopportareun senso di smarrimento e di provvisorietàin un clima di confronto con una pluralitàdi soluzioni spesso proposte in modo più ac-cattivante o più aggressivo di quanto fac-ciamo noi.Se usciamo fuor di metafora e trasformiamoil cammino di Filippo su una strada desertain quello triste e rassegnato dei due discepolidi Emmaus, allora ci imbattiamo in un cri-stianesimo “dal volto triste”, ormai rinun-ciatario, che anche quando parla di Gesùnon riesce ad entusiasmarsi.

Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesùin persona si avvicinò e camminava con loro. Mai loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed eglidisse loro: «Che cosa sono questi discorsi che statefacendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono,col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli ri-spose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme? Nonsai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Do-mandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò cheriguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potentein opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo;come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lohanno consegnato per farlo condannare a morte elo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fossecolui che avrebbe liberato Israele…

Abbiamo qui una sequela stanca e rasse-gnata; abbiamo qui un modello di vita cri-stiana che ha rinunciato a comunicare ilvangelo. Abbiamo qui un modello di vitacristiana e comunitaria contrassegnato daun «blocco della evangelizzazione»; indico

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A 10 anni dalla seconda nota sull’iniziazione cristiana 325

con questo termine quella concezione dellafede per cui un credente adempie i suoi ob-blighi ma non si assume la responsabilitàdel vangelo per la società in cui vive. Neviene una strana interpretazione della vitaecclesiale: le celebrazioni si esauriscono inuna prassi cultuale-liturgica ben lontana daquel culmen et fons di cui parlava il concilio1

mentre l’impegno di vita si attesta attornoad una concezione doveristica, di stampominimalista, che si accontenta di evitare pec-cati mortali. Per quanto sia comunque serioevitare peccati mortali, questo mette al cen-tro della vita cristiana l’amartiologia, la dot-trina del peccato, più che la gioia del regno.Questo genere di testimonianza cristiananon è missionario e, soprattutto, non entu-siasma e non comunica quanto vive.Bisogna dire che questo “blocco della evan-gelizzazione” non si è imposto di colpo maè cresciuto a poco a poco, in base alla tra-sformazione ed alla crisi dei tradizionali sog-getti cristiani; la famiglia cristiana in primoluogo. Sulla famiglia pesava il compito dirappresentare una sorta di catecumenatocapillare: era la famiglia ad introdurre i ra-gazzi alla preghiera e gli adolescenti allavita morale mentre spettava alla parrocchiaverificare e completare questo impianto conil catechismo parrocchiale. Oggi questo mo-dello di comunicazione della vita cristianasi è in gran parte dissolto: la maggioranzadelle famiglie non rappresentano una scuoladi fede e la catechesi scolastica o parroc-chiale risulta inadeguata e insufficiente ad

una società cambiata così in profondità. Inquesto contesto si può e si deve puntaresulle famiglie coinvolgendo meglio i geni-tori; si può e si deve operare per ripararnei guasti e le fragilità riprendendo il battesimodegli adulti e la problematica dei “ricomin-cianti” ma, forse, è venuto il momento diinterrogarsi se non occorrano oggi più pre-cisi cammini catecumenali.Questi interrogativi riguardano tutta la Chie-sa e non solo alcuni suoi membri ma tro-vano una particolare forza nella pastoraledel primo annuncio. Al riguardo, con ragio-ne, la teologia della iniziazione cristiana ri-corda che la fede è un dono e che l’intro-duzione nel mistero pasquale poggia sullagrazia e non sulla psicologia umana; ugual-mente, anche quando la fede è il mistero in-sondabile dell’incontro tra Dio ed una per-sona, spetta alla Chiesa creare quel contestodi trasparenza e di franchezza in cui ven-gono rimosse forme di timore o di apriori-stico rifiuto del trascendente e diventa pos-sibile una scelta in libertà e verità. In altreparole, anche se il dono della fede spetta aDio, spetta però alle chiese costruire una li-nea teologica ed una prassi pastorale in gra-do di integrare la comunicazione del vangelocon la maturazione delle persone ed i pro-blemi della loro identità e capace di accom-pagnarne il cammino.La comunicazione autoritaria del vangelocome verità indiscutibile e l’insistenza sulladecisività dei valori non è sempre adeguataa questo nostro tempo, vuoi perché non va-

1 Lumen Gentium 11. Questo linguaggio del culmen et fons si ritrova anche in Sacrosanctum Concilium 10;Presbyterorum Ordinis 5. Forme simili si ritrovano pure in altri testi; Presbyterorum Ordinis 14 parla della eu-caristia come centrum et radix di tutta la vita del presbiterio mentre Lumen Gentium 26 usa una formula piùampia e parla dell’eucaristia qua continuo vivit et crescit Ecclesia. Infine Ad Gentes 39 presenta l’eucaristiacome la realtà quae Ecclesiam perficit cioè come la forza perfezionatrice della chiesa ed Unitatis Redintegratio15 la presenta come fons vitae Ecclesiae et pignus futurae gloriae, fonte della vita della chiesa e pegno dellagloria futura.

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lorizza le esperienze delle persone e nonprende in considerazione quanto questehanno costruito, vuoi perché non coglie ab-bastanza la possibilità di essere avvicinataal modo con cui questa società manipola lepersone e il loro consenso. Di fatto, la com-plessità dei processi di identità personale edil moltiplicarsi di esperienze spesso negativeportano in primo piano una sete non paci-ficata ed un bisogno di senso non soddisfattoche, pur nella loro problematicità, vanno as-sunti come legittimi punti di partenza. Que-sto nesso tra comunicazione della fede equestione antropologica fa sì che la comu-nicazione della fede non possa rinunciarealla critica del carattere frammentario e con-sumista di questa vita: è condizione indi-spensabile per poterla aprire ad esperienzesignificative.

L’antropologia postmoderna richiama oggi ilprofondo disagio delle persone, il loro sensodi vuoto interiore, di solitudine e di man-canza di autenticità che la società si sforzadi compensare in vari modi.2 La denunciaecclesiale di queste situazioni non equivalead incamerare un disagio a cui non si offrealtro sbocco che il riparo di una soluzionedi autorità; equivale invece sia a segnalarequei drammi antropologici che rimandanoad una esperienza della “persona divisa”, il-lusa di una libertà presentata come “facileonnipotenza”, come un vivere a proprio pia-cimento in un quadro sociale di “lacerazionie contrapposizioni” sia ad operare per offrireuna effettiva soluzione.3 Questa drammaticascissione tra razionalità calcolante e vissutoemotivo incide sulla libertà che, in questomodo, è separata dalla verità4 ed incammi-

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La comunità cristiana e il primo annuncio326

2 Per la cosiddetta cultura del narcisismo si veda Ch. Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dalsociale in un’età di disillusioni collettive, Bompiani, Milano 1981. Per il postmoderno, mi limito a due autori:Z. Baumann e A. Giddens. Per il primo si veda Z. Baumann, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli,Milano 2000; Id., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 2001; Id., Lalibertà, Città aperta, Troina (EN) 2002. Per il secondo rimando a A. Giddens, Conseguenze della modernità.Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna 1993; Id., Modernità ed identità di sé, Il Mulino,Bologna 1995; Id., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna2000.3 La libertà è qui una “relazione sociale”, una apertura a molte, diverse possibilità: «essere liberi non significanon credere in nulla ma riporre la propria fiducia in molte cose[...]; significa essere consapevoli che vi sonotroppe credenze e convinzioni ugualmente importanti e convincenti; [...]che perciò scegliere non significa averrisolto il problema della scelta una volta per sempre e neppure il diritto a mettere a riposo la propria coscienza»(Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999, 15). Da questa concezione scaturisce una no-zione di autorità ridotta a potere obbligante, totalmente estranea alla persona a cui si rivolge.4 Più volte Giovanni Paolo II ha deplorato che «in alcune correnti del pensiero moderno si è giunti a esaltare lalibertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori» (Veritatis Splendor 32). Cercandonele ragioni, il pontefice ricorda che queste tendenze «si ritrovano nel fatto di indebolire o addirittura di negare ladipendenza della libertà dalla verità» (Veritatis Splendor 34). Si tratta di un punto caro a Giovanni Paolo II chenon manca di richiamarlo continuamente: «la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione dellaverità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l’uomo è esposto alla violenza dellepassioni e dei condizionamenti aperti od occulti. Il cristiano vive la libertà (cf. Gv 8,31-32) e la serve proponendocontinuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo congli altri uomini egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell’esperienza di vita e nella cultura deisingoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed ilcorretto esercizio della ragione» (Centesimus Annus 46). Insieme a questi testi, si può richiamare la secondaistruzione sulla teologia della liberazione, edita a cura della S. Congregazione per la dottrina della fede e totalmentededicata alla libertà – Libertatis Conscientia – dove la verità è indicata come «la radice e la regola della libertà,il fondamento e la misura di ogni azione liberatrice» (n. 3).

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nata verso forme di arbitrio: vi è una cen-tralità dell’io dove la felicità – spesso felicitàda consumo – è cercata ed inseguita comel’istanza etica che giustifica ogni cosa. Areefinora poco considerate come il corpo e ilsesso, i sentimenti e la forzatura dei limitidella psiche, la mobilità e la moltiplicazionedelle esperienze hanno trasformato gli indi-vidui non solo in consumatori ma anche inesploratori alla ricerca di nuove sensazionie di nuove emozioni. Una simile antropolo-gia non ha direttamente escluso la fede mane fa a meno.

2. IL CUORE DELL’ANNUNCIO

Nel racconto della evangelizzazione dell’eu-nuco, il centro del discorso è il passo di At8,35 dove si dice che Filippo, preso lo spuntodal passo di Isaia che l’Etiope stava leggen-do, «eue-ggelísato auto- ton Ie-sùn», cioè “glievangelizzò Gesù”. Nel suo senso letterale,questo passo di Luca ha il pregio di precisareche l’annuncio non è una dottrina ma unapersona ed una persona che ci infonde unasorprendente certezza: «io sono con voi, tuttii giorni, fino alla fine del mondo» (Mt28,20). Questa predicazione di Gesù dovevaessere familiare a Filippo dato che la ritro-viamo anche in At 8,5 dove sintetizza lasua predicazione in Samaria; a dir la verità,la sintesi della predicazione di Filippo a Sa-maria dice che Filippo predicava “Cristo”mentre il racconto degli Atti parla di Gesù.Anche trascurando una missione di Gesù inSamaria (Gv 4,4-42), si può ipotizzare – emolti l’hanno fatto – che i samaritani, a dif-ferenza dell’Etiope, erano già a conoscenzadegli episodi principali della vita di Gesù; iocredo però che, per quanto questa supposi-zione sia legittima, occorra ipotizzare quidue diverse fasi della missione. Se la cate-

goria “Cristo” rimanda ad una prima elabo-razione teologica della fede, il termine “Ge-sù” introduce invece una storia personale;si tratta di una storia che attribuisce allapersona di Gesù ed alla sua attività un si-gnificato escatologico: la sua vita svela lavenuta del regno ed indica nella lotta controle forze del male, nella pratica del perdonocome imperativo della grazia e nella guari-gione dalle malattie i segni della presenzadel regno. Questa decisività escatologica del-la figura storica di Gesù è basilare; senza ri-prendere la questione del rapporto tra il Gesùstorico ed il Cristo della fede, resta evidenteche la storia di Gesù – di cui la fede è com-prensione – è inseparabile dal dato escato-logico del regno e dal legame del regno conla sua risurrezione. Senza questo ancora-mento storico-escatologico, la presentazionedi Gesù come centro della evangelizzazionesarebbe del tutto discutibile; su questa basepossono instaurarsi le diverse teologie chevanno da quella primitiva del Cristo a quellapaolina della giustizia di Dio a quella gio-vannea del Verbo. Queste determinazioniteologiche vengono dopo ma devono potersirichiamare al significato decisivo, insupera-bile e definitivo – in una parola escatologico– della persona di Gesù.Il cuore del primo annuncio è quindi il rap-porto tra l’evento-Gesù e la sua perenne at-tualità che la teologia fonda nella valenzaescatologica della sua persona; inteso nellasua pienezza, l’evento-Gesù appare il con-tenuto di quella fede e di quella testimo-nianza che le comunità cristiane servono.Per procedere occorre precisare il nesso tral’evento-Gesù e la proclamazione ecclesiale:infatti, affermare che l’evento-Gesù è esca-tologico, e cioè pieno di senso, non equivalea garantire che lo sia anche la proclamazionedella Chiesa. Per chiarire questo nesso mirifarò alla teologia ed alla terminologia di

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Balthasar, l’autore che forse più di ogni altroha fermato su questo la sua attenzione;5 eglipresenta il nostro tema stabilendo un legametra l’evento salvifico e la “forma” ecclesialein cui viene pensato, espresso e testimonia-to.6 Questo rapporto è tale per cui la Chiesache lo proclama nella sua verità viene nelcontempo ad essere strettamente determi-nata da esso; la fede ecclesiale guidata dalloSpirito è la “forma” in cui l’evento-Gesù,comprensivo del senso e del valore della av-ventura umana, viene lasciato esprimersi inpienezza. In questa linea l’unicità irripetibilee singolare di Gesù include anche la comu-nità credente che si trova così ad essere de-terminata come accoglienza del suo misterosalvifico “prima” ancora della sua disponi-bilità a riflettere ed aderire al mistero di Gesù.Nella sua obiettiva struttura, la Chiesa è, pergrazia, accoglienza e partecipazione al mi-stero salvifico di Gesù così da essere da que-sto chiamata a condividerne gli orientamentidi vita.In altre parole la fede in Cristo comporta, perla sua stessa struttura cristologica, la suacomunicazione a tutta l’umanità così che lanatura della Chiesa è strutturalmente mis-sionaria; è il mistero salvifico della personadi Gesù a rendere la Chiesa missionaria enon la buona volontà dei credenti. In forzadella sua struttura cristologica, per un verso

la fede della comunità risale a quelle personedivine che, in Gesù fatto uomo, si comuni-cano all’intera umanità e per un altro questastessa fede, determinata dall’amore trinitarioe pasquale, comprende il comunicarsi comesua irrinunciabile componente. In questomodo il nesso tra evento-Gesù e problema-tica antropologica viene completato con illoro nesso con la fede e la fedeltà ecclesiale:nesso costitutivo quello che lega la Chiesaa Cristo, nesso apostolico e missionario quel-lo che la lega all’umanità. Si comprende cosìcome «nel mistero del Verbo incarnato trovavera luce il mistero dell’uomo»7 e come «lafede si rafforza donandola».8 Questa riven-dicazione del carattere cristologico della an-tropologia comporta necessariamente unacritica ad ogni antropologia costruita su no-zioni filosofiche: per chi crede in Gesù è im-possibile leggere la persona umana al difuori di questo evento senza estrometterlo –per questo stesso – dalla costituzione delproprio progetto antropologico.Nonostante questo sforzo, attento ad affer-mare la natura comunionale e missionariadella fede della Chiesa,9 non si è semprepervenuti ad una pratica coerente. Come hodetto in precedenza, le ragioni possono es-sere molteplici ma il risultato di una lungae tormentata evoluzione sono comunità chela teologia descrive nella loro bellezza trini-

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5 Il lavoro fondamentale al riguardo resta il primo volume della sua teologia estetica: H.U. von Balthasar, Gloria.Una estetica teologica. I: La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1994. Su questi temi si veda M. Tibaldi,Kerygma e atto di fede nella teologia di Hans Urs von Balthasar, Editrice Pontificia Università Gregoriana,Roma 2005; R. Vignolo, H.U. von Balthasar: Estetica e singolarità, Istituto di Propaganda Libraria, Milano1982. 6 A questo riguardo si veda M. Tibaldi, Kerygma e atto di fede, 132-140 con particolare attenzione alla nota49 in cui si precisa l’uso che Balthasar fa dei termini form e gestalt rifacendosi alla traduzione francese inveceche a quella italiana. Su questo si veda anche R. Vignolo, H.U. von Balthasar, 191. 7 Gaudium et Spes 22.8 Redemptoris Missio 2.9 Parlando di un influsso causale dell’Eucaristia sul formarsi della Chiesa, Benedetto XVI ha ricordato che «l’Eu-caristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo» (Esortazione apostolica “Sa-cramentum Caritatis” 14). Questi temi sono comuni all’ultimo magistero; basta richiamare la lettera enciclica

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taria, cristologica e pneumatologica, solennie maestose, ma che – nei fatti – appaionosegnate dalla fatica della fede, da una silen-ziosa apostasia rispetto alle indicazioni ma-gisteriali su molte questioni etiche e da undebole impegno missionario. Sono comunitàsegnate da una obiettiva debolezza e da unacomplessa e difficile situazione storica. In-dubbiamente questa fragilità non ci porta adiminuire l’orizzonte apostolico per ridise-gnarlo a loro misura; probabilmente, anzi,saranno queste comunità a vivere la sfidaper il futuro dell’umanità, una sfida che sigioca qui, in Europa, nell’incontro con unaumanità orgogliosa dei suoi risultati e delsuo cammino e che ha fatto della personaumana il suo fondamentale e, spesso, unicoorizzonte. Numericamente e culturalmenteminoranza, queste piccole comunità riven-dicano l’orizzonte totalizzante ed universaledella loro fede.Centrate su Cristo, Verbo di verità e di amorenella concretezza della sua carne, esse han-no con questo Figlio divino una decisivacomunione apostolica; da questo sono chia-mate a ricavare una forte coscienza dellaloro ministerialità: la loro identità è di essereal servizio del Signore perché l’unità del mi-stero salvifico con la forma storica che lomanifesta si rende presente nel camminoministeriale della Chiesa. Con tutta la lorofede, queste comunità sanno di non disporredei contenuti e delle dinamiche dell’agapepasquale a piacer loro; per questo devono

badare ad evitare ogni pretesa ed ogni equi-voco, ogni lassismo ed ogni orgoglio. Conuna certa sorpresa dobbiamo registrare ilfatto che questa ministerialità sembra oggifunzionare meglio in piccoli gruppi che, ri-salendo direttamente alle Scritture ed allaliturgia, ne fanno la radice di un impegnopreciso sia ecclesiale sia sociale che nonnelle figure classiche del ministero ordinatoe della istituzione ecclesiale.Vi è qui una parola, un monito che Cristovuole rivolgerci? Non lo so; vedo però che,mentre la Chiesa si prende cura di una fluidasituazione sociale impegnandosi a ridefinirei confini ed il senso di una sua presenza,questi gruppi riescono meglio ad intercettarela fatica e la durezza dei problemi di identitàpersonale. Non può sfuggirci che è l’ispira-zione cristiana di una presenza socio-cul-turale il punto critico della proposta cristia-na; resta da capire se queste piccole comu-nità e la loro significativa azione nel campodella ricerca e del recupero della identitàpersonale è una azione profetica che anti-cipa il cammino futuro della Chiesa o è sem-plicemente il terreno naturale di piccoligruppi strutturalmente inadatti ad una azio-ne diversa. In ogni caso andrà ricordato cheCristo non garantisce il trionfo terreno delvangelo ma chiede di operare per fare del-l’amore e del servizio il fondamento di unabase sociale autenticamente umana: «fravoi però non è così; ma chi vuol esseregrande tra voi si farà vostro servitore e chi

Ecclesia de Eucharistia 60 di Giovanni Paolo II là dove richiama che «ogni azione tesa a realizzare la missionedella Chiesa, […] deve trarre la necessaria forza dal Mistero eucaristico». Del resto non si può non notare l’utilizzodi una terminologia missionaria là dove questa enciclica intitola il secondo capitolo (nn, 21-25) come L’Eucaristiaedifica la Chiesa ed il terzo (nn. 26-33) come L’apostolicità dell’Eucaristia e della Chiesa. Poco dopo, il 7ottobre 2004, la lettera apostolica Mane nobiscum Domine dedicherà la quarta parte – L’Eucaristia principio eprogetto di missione – a sostenere che l’Eucaristia «non fornisce solo la forza interiore della missione ma anche– in un certo senso – il progetto. Essa, infatti, è un modo di essere che da Gesù passa nel cristiano e, attraversola sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura» (n. 25).

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vuol essere il primo tra voi sarà il servo ditutti» (Mt 10,43. 44).In ogni caso, chi lavora con gli adulti perreintrodurli alla fede, accompagna personein ricerca e vive il ministero del primo an-nuncio è istintivamente vicino a questi pic-coli gruppi ed al loro tipo di impegno; nonsi preoccupa di tracciare linee pastorali illu-minanti e definitive ma semplicemente siimpegna a testimoniare l’amore ricevutonella accoglienza e nell’accompagnamentodei fratelli. Io credo che, in questo servizio,vi sia anche un valore profetico per la Chie-sa, una sua luminosa anticipazione: proprioperché partecipazione al cammino aposto-lico della Chiesa, questo sentire cum Eccle-sia vivendo il primo annuncio esprime unatestimonianza dei caratteri profetico-sacer-dotali del popolo di Dio che, in qualche mi-sura, anticipa la Chiesa che verrà ed apronoil cuore alla fiducia verso il domani. In que-sta nostra Europa il prestigio terreno di unarappresentanza ecclesiale degli uomini e del-le donne di oggi è forse perduto non soloper il mondo della cultura e del lavoro maanche per quello giovanile e delle famiglie;in questo contesto mantiene tutta la suaimportanza questo ritrovato amore per laChiesa. Come ricorda At 1,8, ai discepolinon è dato di sapere se, come e quandoverrà il regno di Dio ma a loro è chiesto diaccogliere la forza che viene dallo Spiritoe di portare ovunque la testimonianza chene scaturisce. È questa Chiesa quella chesogno.Una piccola conclusione mi pare comunquedi poterla tirare ed è quella che, nella lineadi una ministerialità apostolica, rifiuta ogniseparazione tra vita attiva e vita contempla-

tiva; per quanto questo tema sia teologica-mente pacifico, non lo è affatto sotto il pro-filo educativo e pastorale. È venuto il tempodi affermare l’unità della vita cristiana primadelle sue distinzioni carismatiche; per questoprendere sul serio la ministerialità apostolicadella intera Chiesa significa riconsiderare lavita contemplativa anche in termini aposto-lici: mentre vive la differenza cristiana inuna differenza di orario, di ambiente, di la-voro e di relazioni, la vita contemplativa de-ve chiedersi come fare di questa testimo-nianza della differenza di una vita evange-lica un principio di accompagnamento e disostegno per persone dubbiose, logore, an-siose e via dicendo. La preghiera per la Chie-sa non basta; occorre che i monasteri torninoad essere scuole di vita cristiana; per contro,occorre che la vita apostolica sappia testi-moniare che la sua attività nasce dalla pre-ghiera e dalla comunione con il Signore. Lacomunione con Cristo, cuore di ogni espe-rienza ecclesiale, è sempre apostolica: fa diquel gruppo o di quella comunità la città sulmonte o la lucerna che spande luce a tutticoloro che sono nella casa, come scrive Mt5,14-16. Il relativo appannamento dellasantità, che oggi viviamo, mette in questionetutta la testimonianza della Chiesa e colpiscela serietà della nostra sequela.10

In questo itinerario il ministero del primoannuncio è di sicuro coinvolto. La concezio-ne liberale di un intimismo cristiano, di unaprivatizzazione della fede non è accettabile;prima ancora che con la teologia politica diMetz, cozzerebbe con il carattere cristologicodi una fede essenzialmente incarnatoria edescatologica: «la salvezza verso la quale lafede cristiana tende nella speranza, non è

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10 Anche la gerarchia, che comunque non è un semplice dato sociale ma – nello Spirito – è strettamente connessacon il mistero della Chiesa, è chiamata allo stesso cammino.

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affatto una salvezza privata. La proclama-zione di questa salvezza ha trascinato Gesùin un conflitto mortale con i poteri pubblicidel suo tempo. La sua croce viene innalzatanon nel “privatissimum” dello spazio indi-viduale e nemmeno nel “sanctissimum” del-lo spazio unicamente religioso; ma al di làdelle barriere protettrici del privato o fuoridel recinto del puro religioso, essa si estende“fuori”, secondo la formula della lettera agliEbrei. Il velo del Tempio è squarciato persempre».11 Il primo annuncio deve chiederedi completarsi in una Chiesa all’altezza dellesfide di questo tempo.Sta in questo il carattere profetico del primoannuncio: mentre rimanda ad una comunitàattenta ai cammini delle persone e pronta adaccompagnarli con la parola della misericor-dia e con il vangelo della speranza, la esigementre la costruisce. La dimensione eccle-siale del primo annuncio non può acconten-tarsi di una comunità serena e tranquilla perl’“azione compiuta” ma intende metterla inmoto lungo un cammino che va dalla inte-riorità della comunione con Cristo ai valoridel regno. Questo sentire cum evangelio ge-nera un sentire cum Ecclesia e ne è in qual-che modo una prima germinazione: emana-zione della pienezza di Cristo, il primo an-nuncio istituisce una tale circolarità tra Cristo

e la Chiesa che questa è sempre più in Cristose, come Cristo, è sempre più segno del regnoper l’intera umanità. Per questo il ministerodel primo annuncio non avrà terminato ilsuo compito quando avrà accompagnatoqualche persona fino alla fede ma quandoavrà svolto con passione la sua parte peruna Chiesa all’altezza dell’oggi.

3. L’ATTENZIONE ALLECONDIZIONI DELL’ANNUNCIO

Il testo di At 8,29-34 appare, infine, segnatoda una fine pedagogia modellata su quellautilizzata dal Risorto con i discepoli di Em-maus (Lc 24,15-24); questa consiste nelladisponibilità ad accompagnare la ricercadell’eunuco, rispettandone i tempi e senzaimporre forzature. Infatti Filippo raggiunge1’eunuco ma si siede sul carro accanto a luisolo quando è invitato e gli fornisce dellespiegazioni solo quando è richiesto. Questarispettosa pedagogia è però attenta a far pro-gredire la ricerca con interrogativi di senso:«comprendi ciò che leggi?»; in questo modo,Luca pone in risalto l’inadeguatezza di uncammino individuale ed isolato ed il bisognodi una guida autorevole: «come potrei com-prendere, se nessuno mi guida?».

11 J.B. Metz, «I rapporti tra la Chiesa e il mondo alla luce di una teologia politica», in Aa. Vv., Teologia del rin-novamento, Cittadella, Assisi 1969, 267. In realtà una certa privatizzazione è in atto nelle stesse dinamicheculturali oltre che nella teologia. Abbandonando la prospettiva comunitaria del Medioevo, l’epoca modernaporterà la sua attenzione sull’individuo. All’origine di questa sta, probabilmente, una linea che salda il temaagostiniano dell’anima con la pietà penitenziale del medioevo e la giustificazione individuale della riforma conil pietismo. Sotto il profilo religioso, questo individualismo condurrà ad una neutralità sociale della fede: ancheper difendersi dalle ingerenze dei principi e per non avallare le guerre di religione si sosterrà che la fede è affareprivato. Nasce così quella privatizzazione della fede denunciata da J.B. Metz; separata e contrapposta alledinamiche sociali della economia e della politica, la fede si pensa come pietà del cuore e si rinchiude in quellospazio privato, non ancora invaso dalla società moderna, cioè nell’intimo della persona. In una parola, la federinuncia a misurarsi con la cultura moderna. Facendo di questo ripiegamento sull’interiorità una virtù, la teologiacercherà di mostrare sia la sua validità universale sia il suo orientamento etico ma si scontrerà con la moralitàrazionale di I. Kant e con la autocoscienza privata del borghese. Si veda J.B. Metz, La fede nella storia e nellasocietà. Studi per una teologia fondamentale pratica, Queriniana, Brescia 1978.

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Sono indicazioni ricche di suggestioni che lanarrazione dei discepoli di Emmaus arric-chisce di ulteriori annotazioni psico-peda-gogiche come il passaggio dalla tristezza delvolto (v. 17) all’ardore del cuore (v. 32)sotto la spinta della Parola (v. 27).In un contesto postmoderno, l’accompagna-mento richiede la capacità di affiancarsi conrispetto a chi sta interrogandosi; i modi e itempi di questa ricerca non vanno prefissatirigidamente o addirittura imposti da coluiche accompagna questo cammino ma sonodettati a chi cerca ed al suo accompagnatoredal cammino interiore di chi è in ricerca edal progressivo dischiudersi del suo cuore.Servitore dell’azione dello Spirito e rispettosodella libertà altrui, l’evangelizzatore non hapotere sulla fede dell’altro ma lo accompagnacon pazienza, disponibilità ed intelligenza.Questa pedagogia non direttiva, dialogica erispettosa della condizione adulta dell’altro,è particolarmente significativa per il tempoche stiamo vivendo.In un clima che soffoca la ricerca e vuolecertezze immediate e semplificatrici, spettaall’evangelizzatore mantenere aperte le do-mande che nascono dall’esistenza o dallastoria ed orientarle con dolce fermezza. Que-sto implica un discernimento12 dei fatti eduna verifica della vita di chi viene accom-pagnato: rimuovendo la sottile violenza delleapparenze e, richiamando Dio come segretoultimo della vita, si tratta di illuminare la

differenza tra quanto è provvisorio e quantoè definitivo fino a mostrare come Dio vadaservito con gesti e scelte concrete. Non è uncompito facile e nemmeno sempre e soloprogressivo; occorre far emergere gli inter-rogativi e i desideri profondi e mascheratisottesi a molte ricerche per provare a rifor-mularli in dialogo con il cammino di veritàe di libertà dell’individuo.Nelle scritture un cuore retto e docile è sem-pre frutto della Sapienza ed è sempre donodello Spirito; in altre parole, è Dio stessoad introdurci nella comprensione della vo-lontà divina e del cammino che la serve.13

Il vero direttore di ogni cammino spiritualeè sempre quel Dio che apre i cuori alla con-versione e all’ascolto della Parola; noi sia-mo solo collaboratori e lo siamo quando eperché viviamo di quella interiorità e doci-lità che solo lo Spirito suscita. In questocammino, nessuna ricerca può dimenticarela priorità di Dio: come ricorda 1Gv 4,19,è Dio ad averci amato per primo. La nostraricerca deve, perciò, riconoscere che siamonoi ad essere cercati da Lui e che il nostrocammino è sempre e solo accoglienza dellasua presenza: chi lo dimentica è destinatoall’insuccesso; per questo la ricerca spiri-tuale implica sempre una conversione, unmutamento dei propri criteri, un andare aldi là delle apparenze.Questo non equivale ad una rottura con ogniumanesimo ma ad una sua riassunzione

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12 A questo proposito mi accontento di rimandare a Gaudium et Spes che, più volte, si interroga al riguardo;insieme a Gaudium et Spes 4. 11. il testo più vigile e più completo mi sembra Gaudium et Spes 44: «è doveredi tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito santo, di ascoltareattentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla lucedella parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venirepresentata in forma più adatta». Se ne ricava un impegno di tutto il popolo di Dio, in un clima religioso sostenutodallo Spirito e dalla preghiera e, soprattutto, illuminato dalla Parola di Dio: sono questi i dati principali di ognidiscernimento.13 Mi piace richiamare qui la preghiera con cui Salomone chiede a Dio la Sapienza per discernere cuori e persone:Sap 9,1-18.

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sotto il segno di Cristo: «in conclusione, fra-telli, quello che è vero, quello che è nobile,quello che è giusto, quello che è puro, quelloche è amabile, quello che è onorato, ciò cheè virtù e ciò che merita lode, questo sia og-getto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Si dovràpure ricordare che il cammino spirituale dellepersone è una storia aperta, continuamentemodificabile, in cui ognuno porta con sé tut-ta la sua vita, con i suoi limiti e le sue de-bolezze, la ripercorre e la trasforma in basealla forza di quello Spirito che è per tutti mo-tivo di speranza e di fiducia.Collaboratore dello Spirito, l’evangelizzatoreè una guida a cui è chiesta una competenzache nasca sia dallo studio che dall’esperien-za, una preparazione in grado di ridire la fe-de in un mutato contesto culturale ed inrapporto con il vissuto delle persone. La re-lazione che si instaura tra chi cerca Dio echi gli annuncia il vangelo non può essereuna relazione di dipendenza ma deve rispet-tare e favorire il cammino di chi è in ricerca.Per questo non può appoggiarsi su una man-canza di autonomia o su un bisogno di si-curezze ma mira a svuotare ogni pretesa diautosufficienza per aiutare a poggiare la pro-pria vita su Cristo riconoscendo che tuttoviene da Lui ed a Lui conduce. Per questorifiuta l’orgoglio e l’entusiasmo infantile dicui parla 1Cor 13,11.Queste indicazioni hanno una loro forza mavanno completate con quelle riguardanti lecomunità; un esercizio del primo annuncioche non fosse sostenuto da una comunitàin linea con gli atteggiamenti che animanoquesto ministero verrebbe inevitabilmentesmentito. Per questo occorre completare lapedagogia del primo annuncio con qualchenota sulle comunità che praticano questo ti-po di annuncio, su quanto è loro richiesto.Dobbiamo dire che, in questa nostra Europa,le comunità non hanno di fronte semplice-

mente – come si suole dire – il mondo ma,più precisamente, un mondo che si è stac-cato dalla fede cristiana e che, per questo,è attraversato da una ferita che lo rende so-spettoso di Cristo. Quello che mi sembra im-portante rilevare è che questa frattura è lamanifestazione storica di una problematicache inizia all’interno della Chiesa stessa eche, anche oggi, interpella una Chiesa chenon è immune da una mentalità e da unacultura nella quale è obiettivamente inserita.Una comunità che accetti di ripensarsi comecomunità di annuncio deve lasciarsi plasma-re dalla forza evangelica ed eucaristica delsuo Signore. Come ricordava Paolo VI, solouna comunità evangelizzata può diventareevangelizzatrice (Evangelii Nuntiandi 15);per questo una comunità sostiene l’evange-lizzazione ed il primo annuncio mettendo alcentro della sua vita quelle dinamiche “spi-rituali” – la Parola, l’Eucaristia, lo Spirito –che, sole, formano i credenti alla sequela edalla libertà dei discepoli. In questo modo, vi-ve quel nesso che abbiamo indicato tra co-municazione della fede e cristologia.Quanto al nesso che abbiamo riconosciutotra comunicazione della fede e questione an-tropologica, va detto che la sua applicazioneporta a vedere la comunità del primo an-nuncio ed il ministero di coloro che lo eser-citano come un servizio posto sulla frontieratra la fede e l’umano. Problematico sempre,questo è particolarmente difficile in Europadove prevale una interpretazione della vitalegata ad un benessere consumista, chiusoal soprannaturale ma con qualche sussultodi solidarietà sotto la spinta emotiva di al-cuni eventi; in una situazione di minoranzanumerica e culturale, occorre prendere attoche l’interrogativo su Dio e la problematicadella fede non è cosa che vada da sé; in unasocietà in cui Dio non è evidente, la fede èuna scelta che può arrivare solo al termine

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di un complesso itinerario. Il disagio e l’an-goscia, presenti anche e forse soprattutto inquesta società orgogliosa dei suoi successi,non sono automaticamente “bisogno di Cri-sto”, anche se possono condurre a Lui; sono,più semplicemente, la testimonianza di unprofondo mutamento che, avendo eliminatonel postmoderno ogni ideologia totalizzante,scopre la perdita di ogni punto di riferimentoed il rischio del vuoto.Vivere evangelicamente in una simile societào mondo non è facile; ancor meno lo è im-parare a guardare i problemi con spirito mis-sionario, cioè discernendoli e interpretandoliin vista di una testimonianza. Si fa fatica achiamare in causa i dinamismi concreti dellavita di una comunità che dovrebbe collocarsinella storia e crescere attraverso la storia; latentazione di gestire l’esistente, invece diguardare con fiducia e creatività al futuro eal nuovo, è sempre grande. Senza rinunciarealla comunicazione della verità e dei valorievangelici, occorre portare l’attenzione suisoggetti – i credenti e le comunità – invi-tandoli e guidandoli ad una progettualitàapostolica. La convinzione che, alla lunga,presto o tardi, la verità finirà comunque perimporsi, non riflette a sufficienza sulla at-tuale manipolazione del consenso e rischiadi rimanere prigioniera di un quadro plato-nico di scelte pedagogiche.In pratica il nesso tra comunicazione dellafede e questione antropologica si svela con-cretamente come annuncio del vangelo inuna situazione di “conflitto di antropologie”che non corrisponde al tradizionale ambiente

catechetico. In un simile contesto, la forma-zione del discepolo deve mirare alla forma-zione di una coscienza personale adulta. Inuna situazione culturale in cui le condizionisoggettive della autocoscienza moderna so-no entrate a determinare la decisione eticae, quindi, il bene e il male, spetta a chi eser-cita il ministero del primo annuncio eviden-ziare che il processo di autocoscienza vaampliato fino a che la sua apertura inten-zionale ultima coincida con la “verità”; spet-ta all’educatore cristiano presentare la veritànon come un insieme di nozioni ma comeuna persona – Gesù – in grado di istituire eaccompagnare il cammino della libertà, sti-molandola e non opprimendola. Si imponeun accompagnamento personale che, insie-me ad una coscienza retta, miri a formareuna coscienza “vera”. Introdurre nella fedenon è difesa di certezze dogmatiche o apo-logia di scelte etiche ma è semina del van-gelo di Gesù con l’atteggiamento fiduciosodel seminatore di Mt 13,3-9; resta vero, co-me ricorda Gv 4,37-38, che non sempre lafatica della semina coincide con la gioia dellamietitura.Portate fino in fondo, queste indicazioniimplicherebbero una qualche ripresa dellamistagogia; non a caso l’epoca patristicasviluppava la formazione dei catecumenicon la catechesi ma, una volta che questierano resi neofiti per la rinascita battesi-male, la completava con la mistagogia.14

Comunque si indichi questa seconda fase,il primo annuncio non dovrebbe terminarecon il battesimo; mi sia permesso citare al

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14 Il termine “catechesi” viene da due parole greche: la preposizione katá che significa sopra ed il verbo êchôche rimanda ad un suono che echeggia; per questo catechesi significa “far sentire la voce da sopra, dall’alto”o, altrimenti, insegnare con autorità. Da qui il suo sviluppo ad indicare il far risuonare la voce di Dio, il vangelodi Gesù, unico vero Maestro. Il termine “mistagogia” è esso pure il risultato di due parole greche: il verbo myéôche indica l’insegnare una dottrina nascosta ed il sostantivo agôgê che indica l’atto con cui si conduce unapersona in un luogo. Di conseguenza “mistagogia” ha finito per indicare la pedagogia con cui si guida un credente

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riguardo l’episcopato italiano che chiedeuna “conversione pastorale” che metta inrapporto la comunità battesimale e quellaeucaristica, oggi purtroppo spesso separa-te.15 Spetterebbe a questo momento mista-gogico intercettare i fermenti religiosi delnostro tempo ed inserirli nel cammino difede delle persone. Passa da questo divenirela credibilità della chiesa e della sua testi-monianza.Una simile ampiezza di compiti non sarebbenemmeno pensabile senza una molteplicitàdi vocazioni e di compiti ecclesiali; queste

maniere diverse e complementari di riferirsial vangelo e di partecipare alla eucaristiavanno valorizzate e messe in collaborazioneattraverso un organico progetto pastorale.In questo modo non si avrebbe solo un so-stegno carismatico dei christifideles ad unaChiesa impoverita di sacerdoti ma si valo-rizzerebbe meglio quel popolo sacerdotale,profetico, carismatico e cattolico di cui parlaLumen Gentium 10-13. Questa chiesa, sen-za inutili lamenti sulla difficoltà dei tempi,è quella che – a mio parere – lo Spirito cichiama oggi a realizzare.

a comprendere i misteri di Dio e dell’uomo presenti nella liturgia, la pedagogia con cui si introduce il discepolonella logica dell’agire di Dio; nel suo senso più profondo, è Dio stesso il mistagogo, è la stessa Chiesa la madreche guida i suoi figli a Dio. A questo punto è facile cogliere sia la differenza sia il nesso tra catechesi e mista-gogia.15 Mi sia lecito riportare il n. 46 del documento della Conferenza Episcopale Italiana (29 giugno 2001) dal titoloComunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primodecennio del 2000. Questo è il passo che mi interessa: «Per dare concretezza alle decisioni che abbiamo indicato– e che, ne siamo consapevoli, richiedono «una conversione pastorale» – per imprimere un dinamismo missionario,vogliamo delineare i due livelli specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunitàlocali. Parleremo anzitutto di quella che potremmo chiamare «comunità eucaristica», cioè coloro che si riunisconocon assiduità nella eucaristia domenicale, e in particolare quanti collaborano regolarmente alla vita delle nostreparrocchie; passeremo quindi ad affrontare la vasta realtà di coloro che, pur essendo battezzati, hanno unrapporto con la comunità ecclesiale che si limita a qualche incontro più o meno sporadico, in occasioni particolaridella vita, o rischiano di dimenticare il loro battesimo e vivono nell’indifferenza religiosa» (n. 46).

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1. IL PRIMO ANNUNCIO: IL CONSENSUS DEL SIMPOSIOO LA CONVERGENZAE LE PROSPETTIVE

Premesse

• La situazione di secolarizzazione e scri-stianizzazione ci obbliga a riscoprire inmodo nuovo la identità e la forza gene-ratrice del primo annunzio del Vangelo(kerigma).

• Intendiamo il primo annunzio come unodei sette elementi del complesso processodella evangelizzazione così come sonostati descritti da Paolo VI nell’esortazioneapostolica Evangelii Nuntiandi (n. 24) ecome ricorda ripetutamente il DirettorioGenerale per la Catechesi (nn. 47-49):testimonianza con le opere, primo annun-zio, fede e conversione iniziale, catechesibasica e entrata nella comunità, recezionedei sacramenti, apostolato organizzato erinnovamento dell’umanità. “Questi ele-menti possono sembrare contrastanti, anziesclusivi. In realtà sono complementari esi arricchiscono a vicenda. Bisogna guar-dare sempre ognuno integrato con gli al-tri” (EN 24).

• Il primo annunzio pur essendo solamenteun momento del processo globale del-l’evangelizzazione ha la sua importanzacome porta di accesso e come fondamen-to permanente dell’esperienza cristiana:“Non si comincia a essere cristiano peruna decisione etica o una grande idea,ma per un incontro con un evento, conuna Persona che dà un nuovo orizzontealla vita e, con questo, la direzione de-

cisiva” Benedetto XVI, Deus caritas est,n. 1.

• Il primo annunzio si può intendere anchein due grande accezioni: a) Come atteggiamento collettivo e istitu-

zionale della Chiesa in tutte le sue ma-nifestazioni pubbliche che, pur non vo-lendo, sono l’immagine e il “primo an-nunzio” che il mondo riceve, e chedebbono essere curate specialmente insituazioni di frontiera e d’incontro conrealtà, persone e situazioni esterne aicircuiti abituali;

b) Come azione pastorale concreta nellapratica quotidiana con persone o gruppisingolari.

Senza perdere di vista il primo senso –che condiziona a sua maniera il lavoroquotidiano – noi intendiamo riferirci ades-so al secondo aspetto.

• Si rende necessario nell’attuale momentodi ricerca, per un rilancio della evangeliz-zazione in Europa, avere un minimo vo-cabolario comune per sapere di cosa stia-mo parlando in questo momento.

• Siamo coscienti che questa descrizionescritta parla di cose che devono esseredette e comunicate in un atto vivo checome tale qui non può essere riprodotto.Queste note sono come una partitura mu-sicale che dovrà essere interpretata conun tempo, uno stile e una sensibilità chesoltanto lo Spirito santo può marcare. Toc-ca a noi però precisare al massimo la “par-titura” perché molti esecutori possano es-sere strumenti quanto più efficaci dellostesso Spirito di Gesù.

CONCLUSIONIXavier Morlans, Esperto invitato dal CCEE, Spagna

Walther Ruspi, Responsabile Servizio Catecumenato UCN

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IL PRIMO ANNUNZIOIN DIECI DOMANDE

1.Chi fa il primo annunzio? (Soggetto)• Il primo annunzio è una azione della Chie-

sa che riceve il mandato missionario diGesù.

• Nello svolgersi della missione sul terrenoconcreto, il soggetto del primo annunzio èla comunità cristiana come tale tramite isuoi membri. In questo senso ogni credentenel suo ambiente quotidiano può e deveessere un soggetto di primo annunzio.

• In più ci sono membri della parrocchia aiquali si affida questa missione in un modospecifico.

2.A chi si fa il primo annunzio?(Destinatari)

• A chi non conosce Dio: all’ateo in ricercasincera oppure in ostilità, all’agnostico eall’ indifferente

• A chi nella sua ricerca religiosa o spirituale(anche nelle nuove forme di religiosità,spiritualità senza Dio, new age,…) non siè trovato tuttavia con Gesù

• A chi pur essendo battezzato se ne è al-lontanato

• A chi è battezzato, ma vive un cristiane-simo culturale e sociologico

• A chi pratica la fede cristiana occasional-mente in occasione dei sacramenti di pas-saggio o di atti di religiosità popolare; epure a chi pratica la fede abitualmente,quando ci sono indici che malgrado la suapratica ancora non ha incontrato perso-nalmente Cristo come salvatore personale.

3. Che cosa si annunzia? (Contenuto)Il racconto breve, gioioso e coinvolgente diGesù che per la sua morte in croce, per lasua risurrezione e per la donazione dello

Spirito Santo ha risposto alle attese e allesperanze delle donne e degli uomini di tuttii tempi e alle domande sul senso della vitae della storia; cioè, ha salvato tutta l’umanitàdal male e dalla morte e ha fatto possibilela comunione vitale con Dio, di modo cheLui, Gesù, è per tutti il Signore, il Cristo,l’unico Salvatore e la Parola definitiva e ir-revocabile di Dio.

4.Con quale finalità? (Obiettivo)

a)Finalità immediata: Suscitare nel destina-tario una curiosità e un interesse per Gesùche possa portarlo ad una adesione vitalea Lui, e ad una vera conversione e op-zione di fede riconoscendoLo per la primavolta come il suo Salvatore personale.

b)Finalità ultima: Invitare chi ha già mani-festato la prima adesione di fede a Gesùa percorrere l’itinerario della (re-)inizia-zione cristiana con l’ingresso pieno nellacomunità ecclesiale, la sequela come di-scepolo di Gesù e l’impegno per la vitadel mondo.

5. Come si fa il primo annunzio?(Modalità)

a) Riguardo all’atteggiamento di chi an-nunzia

• Credendo fermamente in quello che an-nunzia

• Con una testimonianza di vita il più coe-rente possibile

• Con amore, gratuità, bellezza e stile dia-logale

• Rispettando la libertà del destinatario • Camminando con lui e condividendo le

stesse domande vitali• Discernendo in preghiera quando è arri-

vato il momento di Primo Annuncio• Scegliendo il linguaggio e l’immagine più

adatti al destinatario

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• Proponendo apertamente e chiaramente ilprimo annunzio con l’unzione dello Spiritosanto che dà coraggio e umiltà

• Con la testimonianza gioiosa e umile dellaesperienza di incontro personale con GesùCristo nella propria storia di ricerca e avolte di smarrimento

b) Per quanto riguarda le forme con cuiproporre l’annunzio a seconda del contestoe delle caratteristiche diverse dei destinatari • PA nel dialogo da persona a persona• PA in incontri ridotti convocati ex pro-

fesso in case private• PA in incontri pubblici per dare risposta

a qualche evento mediatico (film, libro,dibattito in TV) in rapporto con la fede ola religione

• PA a gruppi di destinatari in ambito par-rocchiale (bambini, giovani, fidanzati, ge-nitori, malati, disoccupati, handicappati,carcerati, emigrati, emarginati…)

• PA nell’impegno dell’Azione Cattolica, co-munità e movimenti

• PA nella scuola• PA nel tempo libero, sport, turismo, pel-

legrinaggi, spazi aperti• PA come missione in città• La cultura e l’arte come vie del PA• PA tramite i cantautori, artisti e comuni-

catori cristiani e i loro CD, e DVD• PA in mass media e internet* Per ognuna di queste modalità sarà moltoutile dotarsi degli strumenti pratici (schemi,protocolli) per sviluppare il primo annunziod’accordo con la situazione e le caratteristi-che dei destinatari.

6. Quale risposta? (Recezione dal PA)• L’adesione di fede personale a Gesù come

Salvatore• L’ingresso nell’itinerario di (re-)iniziazione

cristiana per proseguire la sequela di Cristoin gruppo e con tutta la Chiesa

• L’opzione fondamentale di lasciare tuttaaltra ricerca di “salvezza” come l’amplia-mento della cogenza o altre pratiche newage, le pratiche esoteriche, perché formedi vita non concordi col Vangelo (infedeltàmatrimoniale, urto, sfruttamento degli al-tri – emigrati, emarginati – …)

• L’opzione fondamentale di cambiare pro-gressivamente sentimenti, abiti e condottamorale d’accordo col Vangelo

• Non si tratta di una adesione pratica perinteressi, neanche di una adesione emo-zionale passeggera

7.Come si sa che qualcuno ha accettatoil primo annunzio? (Verifica)

• L’accettazione del PA non ha una visibilitàformale (liturgica per esempio) ma è qual-cosa che accade fondamentalmente nellacoscienza o nell’interiorità del destinatario,così a volte è difficile per chi fa l’annunzioaverne la verifica. Anzi è parte dell’atteg-giamento di chi fa l’annunzio non cercarela certezza immediata dei risultati.

• Un momento adeguato per una naturaleverifica dell’autenticità della recezione delPA può darsi quando il destinatario chiedel’ingresso nell’itinerario della (re-) inizia-zione cristiana. Tocca allora al pastore oal catechista comprovare con discrezionee tatto pastorale, in un dialogo persona apersona, il fatto della prima conversionea Gesù.

8.Per quanto tempo si deve fare il primoannunzio? (Temporalità)a) Dal punto di vista della comunità che

fa l’annunzio, questo è sempre da pro-porre in ogni occasione a quei destina-tari che vogliano ascoltare, sempre di-scernendo i tempi e le modalità piùadeguate (vedi n. 5).

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b) Dal punto di vista dal destinatario sipuò dire che lui è in situazione di primoannunzio finché non prende la deci-sione di accettare Gesù o di declinarel’opzione.

9. Che rapporto c’è tra il primo annun-zio e la catechesi? (L’articolazionetra i due momenti verbali dell’evan-gelizzazione)• Il primo annunzio ha come finalità far

nascere la prima fede in Gesù (n. 4);il tempo del primo annunzio è, dunque,previo al tempo della iniziazione cri-stiana come itinerario formale

• La catechesi ha come finalità far cre-scere e maturare la fede fino alla co-munione con Gesù (DGC n. 80-81). Sioffre la catechesi nel tempo della ini-ziazione cristiana formale, cioè quandoil destinatario decide di partecipare re-golarmente all’itinerario d’iniziazione

• “Nella pratica pastorale, tuttavia, lefrontiere tra le due azioni non sono fa-cilmente delimitabili. Frequentementele persone che accedono alla catechesinecessitano, difatto, di una vera con-versione. Perciò, la Chiesa desiderache, ordinariamente, una prima tappadel processo catechistico sia dedicataad assicurare la conversione. Nella“missio ad gentes”, questo compito sirealizza nel “pre-catecumenato”. Nellasituazione richiesta dalla “nuova evan-gelizzazione” esso si realizza per mez-zo della “catechesi kerigmatica”, chetaluni chiamano “precatechesi”, per-ché, ispirata al precatecumenato: è unaproposta della Buona Novella in ordinead una opzione salda di fede. Solo apartire dalla conversione, e, cioè, fa-cendo assegnamento sull’attitudine in-teriore di “chi crederà”, la catechesi

propriamente detta potrà sviluppare ilsuo compito specifico di educazionedella fede” (DGC, n. 62)

10.C’è qualcosa di più? (L’ineffabile) • Il PA come evento è più che qualcosa

di scritto, è qualcosa che ci supera• Prima, durante e dopo il PA, c’è l’azio-

ne silenziosa dello Spirito• Parliamo di qualcosa che non posse-

diamo

Saggio di definizioni

• Una definizione molto breve:Il primo annunzio è quella azione pasto-rale che intende proporre il “cuore” delVangelo – Cristo risorto mediatore dellacomunione con Dio – al cuore delle per-sone.

• Una definizione più completaCon l’espressione primo annunzio ci ri-feriamo a quelle azioni evangelizzatricispecifiche, spontanee o organizzate, rea-lizzate da individui o da gruppi, con lafinalità di proporre il messaggio nuclearedal Vangelo – Cristo risorto mediatore del-la comunione con Dio – a chi non cono-sce Gesù, a chi, avendolo conosciuto, sene è allontanato e a chi, pensando di co-noscerlo, vive una fede superficiale, conl’intenzione di suscitare in lui un interesseper Gesù Cristo che possa portarlo ad unaprima conversione e adesione di fede oad un risveglio e ad un rinnovamentodella fede viva in Lui.

2. CONVERGENZE RILEVATE

Tutte le nostre chiese, descrivendo la loroprogettazione pastorale, hanno espresso lapiena consapevolezza di dover entrare in

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una nuova dimensione missionaria ponendoin primo piano la via del primo annuncio,perché tutte vivono in una situazione di po-stmodernità ed in una società postcristiana,che necessita una nuova evangelizzazione.Questo nuovo indirizzo pastorale si caratte-rizza in capacità di accoglienza, di accom-pagnamento e di accostamento al cuore dellafede.

Sono stati descritti campi di rinnovamentopastorale che coinvolgono:la pastorale chiamata “tradizionale” (cele-brazione di sacramenti, battesimo dei figli,richiesta di matrimonio cristiano, pellegri-naggi …);l’attenzione alle nuove presenze (migrazio-ni, pluriculturalità e plurireligiosità) e a nuo-ve situazioni spirituali che caratterizzano ilnostro cambiamento culturale (individuali-smo, fluidità, visione secolaristica…);la scelta di una proposta di fede agli adultiattuando gli itinerari del catecumenato, cam-mino progressivo alla fede e modello ispira-tore di tutta la catechesi;il potenziamento di una “fantasia comuni-cazionale” per imparare ad esprimersi innuovi linguaggi (es. multimedia, ecc…) econ parole semplici attraverso le quali rifor-mulare i punti fondamentali per annunciarela fede in Gesù.

I passi di un cammino

Obbedienza ad un mandato del Si-gnore.L’omelia del Card. Hummes, nell’ ascoltoorante e meditativo della liturgia eucaristica,ha posto a tema dei nostri lavori la paroladi Papa Benedetto XVI “All’inizio dell’esserecristiano non c’è una decisione etica o unagrande idea, bensì l’incontro con un avve-nimento, con una persona, che dà alla vita

un nuovo orizzonte e con ciò la direzionedecisiva” (Deus Caritas Est, n.1). Troveremola strada missionaria per raggiungere tutti,perfino i cosiddetti post-cristiani di Europa?Riusciremo a fare loro, in un mondo incul-turato, questo primo annunzio e a condurlia quell’incontro speciale con il Signore Gesù,morto e risorto? La forze del Vangelo nonsi è esaurita.Con questa consapevolezza per un totaleservizio missionario si sono evidenziati dueprospettive: la seria formazione degli evan-gelizzatori e il ripensamento dell’Iniziazionecristiana in un progressivo progetto di edu-cazione alla fede (“la pedagogia d’iniziazio-ne”, come dicono i vescovi francesi) perchéla catechesi non sia un percorso frammen-tato e limitato ai soli sacramenti della PrimaEucaristia e della Confermazione.

Nella gioia dello Spirito.La missione evangelizzatrice della Chiesa –seguendo la riflessione del Card. Kasper –non è un insieme di organizzazione e di tec-niche, ma uno stile gioioso e consapevoledi vita cristiana che, nel suo quotidiano at-tuarsi e mostrarsi, è in se stessa trasformatadallo Spirito in “luce per le genti e sale dellaterra”. Nella piena partecipazione alle aspi-razioni e alle trasformazioni della culturaeuropea, la Chiesa porta con sè la sapienzadella tradizione credente e le nuove doman-de, inquietudini e progetti degli uomini edelle donne che vivono nelle nostre Comu-nità e paesi.

In particolare:la Chiesa è chiamata a far risuonare nel cuo-re dell’uomo il nome di Dio, guarda al Padrecome al donatore di vita, l’amante della vitavero futuro per l’uomo;i cristiani che hanno ricevuto il dono di es-sere “figli” sono chiamati ad essere portatori

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di una conoscenza che permea tutta la vita:“non so altro che Cristo e Cristo crocifisso erisorto”. Gesù è il centro e paradigma ditutta l’azione pastorale;la fraternità cristiana è quotidiana esperienzadi vicinanza, compassione, accoglienza ver-so tutti gli uomini che camminano sulla stes-sa strada.

Con un passo paziente ed ordinato.La condivisione del cammino di vita degliuomini d’oggi, il rispetto per la loro libertà,la gradualità paziente nell’entrare nel sensoprofondo del progetto di Dio, chiede di adot-tare il cammino pedagogico di Cristo sullavia di Emmaus, che nell’azione pastorale havisto un concreto itinerario nel modello del-l’iniziazione cristiana che intesse tra loro“testimonianza e annuncio, itinerario cate-cumenale, sostegno permanete della fedemediante la catechesi, vita sacramentale,mistagogia e testimonianza della carità”.

Attenti alle condizioni dell’annuncioCollaboratore dello Spirito, l’evangelizzatoreè una guida a cui è chiesta una competenzache nasca sia dallo studio che dall’esperien-za, una preparazione in grado di ridire la fe-de in un mutato contesto culturale ed inrapporto con il vissuto delle persone, comesuggeriva il prof. Colzani. Un esercizio delprimo annuncio che non fosse sostenuto dauna comunità in linea con gli atteggiamentiche animano questo ministero verrebbe ine-vitabilmente smentito. Una comunità cheaccetti di ripensarsi come comunità di an-nuncio deve lasciarsi plasmare dalla forza

evangelica ed eucaristica del suo Signore.Come ricordava Paolo VI, solo una comunitàevangelizzata può diventare evangelizzatrice(Evangelii Nuntiandi 15); per questo unacomunità sostiene l’evangelizzazione ed ilprimo annuncio mettendo al centro della suavita quelle dinamiche “spirituali” – la Parola,l’Eucaristia, lo Spirito – che, sole, formanoi credenti alla sequela ed alla libertà dei di-scepoli.

Con immaginazione creativa e cuoreaperto.Un orizzonte luminoso è stato prospettato –dalla parola del Prof. Gallagher – nel guar-dare al futuro missionario della Chiesa inquesto profondo cambiamento di cultura.Non il disgusto ma l’empatia, la simpatianel comune vivere la propria cultura con glialtri uomini. Si tratta di saper stare con po-sitività nella cultura perché essa è vita eprogetto, e la fede si incarna nella culturadei popoli. Si richiede di passare ai linguaggidella immaginazione e del cuore, perché at-traverso di essi si giunge a percepire il tra-scendente e ci si mette in relazione con Dioin un rapporto personale. La fede si collocanell’amore. La fede è un “Sì “di amore a Dioche si è rivelato e noi lo abbiamo accoltocome un “Sì” che ci ama.Il vangelo diventa così sorpresa, vita pienae può essere trasmesso con molteplici lin-guaggi: la Parola, l’invocazione, la comu-nione fraterna, la memoria di Cristo, la con-divisione di una storia di fede, ma soprat-tutto l’accoglienza dello Spirito che dà nuoveparole e dinamismo vitale alla Chiesa chia-mata al primo annuncio.


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