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NOVEMBRE - DICEMBRE 2015 - Club Milano...4 Expo si è concluso da qualche settimana, ma i...

Date post: 10-Sep-2020
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CLUB MILANO N. 29 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro Mentre l’Apollo chiuderà i battenti, il Cinema Teatro Trieste riapre: la settima arte sopravvive in periferia. Millenaria, salutare e in costante evoluzione: la cucina coreana e i suoi profumi hanno conquistato Milano. La meta ideale della stagione è Innsbruck. Il capoluogo del Tirolo Settentrionale mette d’accordo proprio tutti. C’è un tesoro in piazza Santo Stefano: San Bernardino alle Ossa, la cui cappella è ricoperta di teschi e spoglie. NOVEMBRE - DICEMBRE 2015 Oliviero Toscani: “La tecnologia non mi entusiasma, è vecchia. Il futuro è immaginazione”. pagina 16
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Page 1: NOVEMBRE - DICEMBRE 2015 - Club Milano...4 Expo si è concluso da qualche settimana, ma i festeggiamenti non ancora. In prima fi la a esultare c’è Giuseppe Sala, che è la persona

club milano N. 29

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro

Mentre l’Apollo chiuderà i battenti, il Cinema Teatro Trieste riapre: la settima arte sopravvive in periferia.Millenaria, salutare e in costante evoluzione: la cucina coreana e i suoi profumi hanno conquistato Milano.

La meta ideale della stagione è Innsbruck. Il capoluogo del Tirolo Settentrionale mette d’accordo proprio tutti. C’è un tesoro in piazza Santo Stefano: San Bernardino alle Ossa, la cui cappella è ricoperta di teschi e spoglie.

NOVEMBRE - DICEMBRE 2015

Oliviero Toscani: “La tecnologia non mi entusiasma, è vecchia. Il futuro è immaginazione”. − pagina 16

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Expo si è concluso da qualche settimana, ma i festeggiamenti non ancora. In prima fi la a esultare c’è Giuseppe Sala, che è la persona che è uscita più vittoriosa da questi sei mesi, potendo vantare presenze superiori alle previsioni e già grande consenso per la sua sempre più plausibile candidatura a sindaco di Milano. Esultanti sono poi tutti gli expottimisti che dopo il tormentone “vedrete sarà un successo” e quello del “guar-date sta accadendo”, adesso possono campare altri sei mesi dicendo “ve l’avevamo detto”. Felici anche i ristoratori, che a settembre e ottobre – almeno in alcune zone di Milano – hanno lavorato meglio, molto meglio, rispetto allo scorso anno, servendo ogni sera decine di clienti stranieri. Ma a esultare sono soprattutto i cittadini, i “mila-nesi milanesi” e quelli d’adozione, che in questi mesi sono andati a pranzare al Merca-to Metropolitano, hanno assistito ai concerti all’Estathé Market Sound, hanno cenato al The Tank, sono andati a visitare la Fondazione Prada, il Mudec e l’Armani|Silos, e poi anche la mostra La grande madre e Arts & Foods alla Triennale, che noi in que-sti mesi vi abbiamo raccontato sulle nostre pagine. Esulteranno perché di alcune di queste iniziative e luoghi nuovi sorti in città potranno continuare a goderne anche in futuro. E se questa è la “Grande Bellezza” (eredità) che l’Esposizione Universale lascia a Milano, allora per una volta potremmo essere tutti d’accordo e ritrovarci in piazza Duomo per festeggiare insieme (organizzando un fl ash mob, perché no?). Certo ri-mane da chiedersi cosa ne siano stati dell’Energia della Vita e della Carta di Milano che, fi rmata o non fi rmata, è passata piuttosto inosservata rispetto all’Albero della Vita, al Padiglione Italia e a tutte le proposte di recupero dell’area di Rho. Per fortuna a Milano c’è chi di nutrizione se ne occupa già da ben prima di Expo, come Livia Pomodoro, dal 2014 presidente del Milano Center for Food Law and Policy, che ab-biamo intervistato su questo numero. La signora Pomodoro si augura che venga data sostanza alle cose di cui si è parlato in questi mesi, perché Expo non rimanga solo una “grande festa che ha fatto conoscere Milano e l’Italia al mondo”. Più polemico, ça va sans dire, nei confronti di Expo è Oliviero Toscani, la nostra covers tory, che abbiamo incontrato in occasione della pubblicazione del suo nuovo libro per farci raccontare la sua Milano e i suoi ricordi di infanzia (e il suo sogno di diventare presto direttore del Corriere della Sera!). Ma per rendere omaggio alla nostra (bella) città, che ha saputo accogliere turisti e cittadini da tutto il mondo, abbiamo deciso di pubblicare parte di un progetto che, un po’ in controtendenza rispetto alle chat di WhatsApp e i messag-gi di Facebook, racconta Milano per immagini e fi lastrocche seguendo l’alfabeto. Si chiama A-Z Milano e a ogni lettera corrisponde un aspetto caratteristico della città, rappresentato da una foto in formato cartolina. C’è la A di aperitivo, la B di balera, la C di calcio, la D di Duomo e lo trovate nello spazio 150UP nel quartiere Isola... Aspettando i festeggiamenti, buona lettura!

La grande bellezza

Stefano Ampollini

EDITORIAL

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CONTENTS

point of View 10Ora tocca a noi

di Roberto Perrone

inside 12Brevi dalla città

a cura di Elisa Zanetti

oUtside 14Brevi dal mondo

di Elisa Zanetti

portfolio 20Saluti da Milano

foto di Federico Ciamei

coVer story 16Oliviero Toscani

di Davide Rota

focUs 36Cinema che passione

di Marilena Roncarà

interView 32Livia Pomodoro

di Marilena Roncarà

focUs

Vocazione inebriante

di Marzia Nicolini

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interView 26Sergio Colantuoni

di Simone Zeni

interView 38Gialappa’s band

di Simone Sacco

oVerseas 42Le isole dell’arte

di Carolina Saporiti

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CONTENTS

In copertina

Oliviero Toscani.

Foto di Matteo

Cherubino.

food 60Filippo La Mantia

di Andrea Zappa

free time 62Da non perdere

a cura di Enrico S. Benincasa

secret milano 64I segreti di piazza Santo Stefano

di Elisa Zanetti

hi tech 46 I regali tech che vengono dall’Est

di Paolo Crespi

food 44Hansik, la cucina del futuro

di Filippo Spreafico

style 48Rainwear alla milanese

di Giuliano Deidda

style 50Craft quality

di Luigi Bruzzone

weekend 58Magico Mediterraneo

di Francesca Masotti

design 54 Relax in casa

di Davide Rota

wheels 52 Lost and found

di Elisa Zanetti

weekend 56La città dei cristalli

di Andrea Zappa

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POINT OF VIEW

roberto perroneGiornalista e scrittore dalle radici “zeneisi” si è occupato di sport, enogastronomia e viaggi al Corriere della Sera. Ora è freelance. Il suo sito è perrisbite.it. Ha da poco pubblicato Manuale del Viaggiatore Goloso (Mondadori): guida da leggere e consultare per mangiare e bere bene.

Cosa resterà di questi 184 giorni? L’Expo ha chiuso con la corsa all’ultimo bi-glietto, con file interminabili, con code ai padiglioni più richiesti, come quello del Giappone, con il Decumano più affollato di un outlet sotto Natale. In questo per-fettamente all’italiana. Nei mesi migliori per visitarla (maggio e giugno) il popolo l’ha guardata con diffidenza, poi si è incamminato sulla strada di Rho “tutto in-sieme appassionatamente”. Un grande classico, prima nessuno poi tutti di fretta a caccia dell’ultimo posto disponibile. Accompagnata da polemiche, da inchieste, da arresti, da ritardi, l’Expo ci lascia in eredità un progetto intrigante (ma solo sulla carta), l’Albero della Vita, qualche padiglione che non verrà smontato e, forse, un sindaco. Sono stati mesi interessanti, su e giù per la grande fiera in cui, diciamoce-lo, il tema centrale, cioè il cibo per il pianeta, è rimasto un po’ ai margini. Ha tirato di più il cibo per i visitatori, affascinati dalle diverse culture gastronomiche, la no-stra su tutte. L’organizzazione è stata quasi perfetta e la seduzione della kermesse crescente a tal punto che alla fine, mi raccontava un imprenditore con uno spazio in Expo, respingeva stuoli di aziende che gli chiedevano il posto per un “evento”. Fully booked, tutto prenotato. L’Expo ci ha lasciato anche una Milano più bella. O almeno a me sembra tale. Forse sarà questa estate di San Martino in cui scrivo, con questo autunno mite, ma la città mi pare abbellita dalle molte opere messe in piedi per la manifestazione. I grattacieli svettano sulle antiche case borghesi in una sorta di metaforica staffetta, dalla vecchia vitalità milanese alla nuova, sperando che la sfida regga all’esame dei tempi che verranno. L’Expo non c’è più, sento parlare di un nuovo polo tecnolo-gico, di investimenti. Ci sono cose che verranno, forse, ci sono cose che resteranno, nuovi luoghi, come piazza Gae Aulenti, la Darsena, i quartieri moderni. L’errore, ora, sarebbe quello di pensare che tutta l’eredità dell’Expo ricada sulle spalle degli amministratori, dei politici, insomma di tutti tranne che di noi cittadini. E invece anche noi abbiamo la nostra parte di eredità da preservare, anche noi abbiamo la nostra parte di responsabilità. L’Expo ha messo in mostra alcune grandi qualità di cui questo Paese è ricco: organizzazione, vitalità, solidarietà, eccellenza nella cucina, nei prodotti alimentari, nella tecnologia, nel design, nell’arte. Notare le magagne o gli errori non è reato, sottovalutare la creatività italiana emersa in que-sti 184 giorni sì. La vera eredità dell’Expo non sono i padiglioni, le opere, questa Milano che si è ammodernata, la vera eredità dell’Expo siamo noi, sono le persone che l’hanno costruita, riempita, visitata. La sostanza è questa. L’eredità dell’Expo siamo noi.

Ora tocca a noi

Roberto PerroneT I A S P E T T I A M O N E L P R I M O D S S T O R E D ' I T A L I A

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INSIDE

Non fatevi ingannare dall’insegna, è solo un omaggio alla storia del pa-lazzo che un tempo in quegli spazi ospitava una salumeria. Ora al civico 1 di piazza del Carmine si comprano i prodotti naturali per la cura di viso, corpo e capelli di Aesop, marchio australiano sbarcato per la prima volta in Italia. Progettato dall’architetto Vincenzo de Cotiis, il negozio si caratterizza per lo stile minimalista e i toni neutri, oltre che per alcuni arredi d’epoca e un ampio tavolo in memoria dell’antica bottega. www.aesop.com/it

Milano a matitaMilano si racconta in prima persona attraverso la matita di Carlo Stanga, architetto e illustra-tore, che insieme a Moleskine ha presentato il primo di una serie di libri dedicati ad alcune delle principali città del mondo. Scene di vita cittadina e luoghi simbolo del capoluogo meneghino prendono vita nel primo volume della collana, I am Milan, che mostra la vera essenza di una città sempre in movimento. www.carlostanga.com

Un etto di crema, grazie

La battaglia per le pari opportunitàImpegnata nella difesa dei diritti delle donne, l’onlus We Word ha presentato in anteprima a Milano Freeheld di Peter Sollett, per puntare i riflettori sulle disparità di trattamento nei con-fronti delle coppie gay. Basato su una storia vera, il film racconta quanto possa essere più difficile affrontare le avversità della vita se al contempo bisogna lottare per il riconoscimento dei propri diritti fondamentali.www.weworld.it

Ricette prezioseBeneaugurante e portatore di ricchezza, il cibo non poteva non essere abbinato ai gioielli. Nasce così Gioielli di gusto, racconti fantastici tra ornamenti golosi, una mostra dedicata alla storia del connubio fra preziosi e cucina. A Palazzo Moran-do fino all’8 dicembre, l’esposizione è stata ideata da Mara Cappelletti, insegnante di storia del gioiello, con allestimenti del designer argentino Alejandro Ruiz.www.mostragioiellidigusto.com

Spirit of the mountainSi è chiuso il 31 ottobre il Milano Mountain Festival, la cinque giorni che attraverso film, documentari e fotografie ogni anno cerca di raccontare le diverse sfaccettature del rapporto fra uomo e montagna. A vincere il concorso cinematografico promosso dalla rassegna Sedna, di Laurent Jamet, film francese del 2014 che racconta la storia di un gruppo di sciatori in viaggio nelle gelide acque della Groenlandia.www.montagnaitalia.com

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OUTSIDE

Il Mercato socialEventi e incontri sul tema del cibo: è la formula che Mercato Centrale Firenze propone fra i banchi di frutta e verdura una domenica al mese, dal 22 novembre. Accom-pagnerà il tutto un “mercato nel mercato”, una selezione di piccoli produttori e artigiani regionali fatta dall’esperto enogastronomico Leonardo Romanelli. Il mercoledì aperitivo e musica live, mentre la domenica tutti a tifare per la Viola. www.mercatocentrale.it

Una struttura accogliente e “parlante”, così Liliana Moro ha definito 29,88 KMQ, l’opera da lei creata per la settima edi-zione di All’aperto, la manifestazione a cura di Fondazione Zegna che ogni anno dona un’installazione al comune di Tri-vero, in provincia di Biella. L’artista ha mappato la città per trasformarla in una scultura. Due le parti principali di 29,88 KMQ: un inedito info-point collocato all’ingresso del paese e l’ufficio Pro Loco, che l’artista ha riallestito dotandolo di una speciale mappa interattiva. www.fondazionezegna.org

29,88 KMQ

Only for menVico 42 è un e-commerce interamente dedicato all’universo maschile. Non solo abbigliamento, ma anche servizi persona-lizzati: dalle proposte di outfit ai consigli su dettagli, accosta-menti e scelta di regali. Oltre alle migliori firme, Vico 42 ha lanciato una sua linea: Mr Ego, che per l’inverno propone cappotti e caban dalle linee classiche in tessuti doppiati e in lana bottonata. vico42.saldiprivati.com

La valle incantataUn itinerario speciale e un museo diffuso per perdersi fra i paesaggi della valle del Nera, in Umbria, alla scoperta degli scorci che ispirarono i Plenaristi. Noti per la loro pittura en plein air, anticiparono il movimento impressionista. Il pro-getto sarà affiancato da un archivio digitale che raccoglierà tutte le opere realizzate in loco e da un documentario dell’artista Franco Passalacqua.www.plenaristi.it

Herno scalda RomaPavimento in legno di rovere, pareti rivestite in ardesia e morbida flanella e un grande tavolo in pioppo. Sono gli elementi che, insieme agli immancabili trave cavalletto in acciaio satina-to e al gancio abbinato alla cinghia in cuoio, caratterizzano il nuovo store Herno di Roma, in via Borgognona. Uno spazio di 70 mq dove ammirare e acquistare tutte le collezioni del noto marchio di capispalla.www.herno.it

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COVER STORY COVER STORY

Chiamarlo fotografo è riduttivo. Personaggio poliedrico, è stato uno dei protagonisti degli ultimi 50 anni tra arte, fotografia, progetti editoriali e sociali. Un uomo che ha fatto del mondo la propria casa, ma che non ha problemi a parlare della sua città natale.

di Davide Rota - foto di Matteo Cherubino

OLIVIERO TOSCANI

50 ANNI E LE IDEE MOLTO CHIARE

Il titolo del suo nuovo libro, sintesi delle sue più importanti battaglie in giro per il mondo, è Più di 50 anni di magnifici fallimenti. Perché questa scelta?Questo libro è nato perché tutti mi hanno chiesto di farlo, i miei amici e le persone a me più vicine mi hanno con-vinto. E io l’ho fatto. Ma resto dell’idea che la fotografia non serva per fare libri o per le esposizioni fotografiche. La fo-tografia è semplicemente uno strumen-to utile ai mezzi di comunicazione di massa, è una cosa seria che non serve per il proprio compiacimento estetico. Non è un fine, ma un mezzo, per an-dare da qualche parte e dire qualcosa a qualcuno.Cosa si ricorda della Milano della sua infanzia?Mio padre è nato in via Cappellari, vicino a piazza del Duomo; da ragaz-zo, nel 1920 circa, vendeva le gazzose sul Duomo ed è diventato poi il pri-mo reporter del Corriere della Sera. Io sono nato sotto le bombe del ‘42, però, compiuti sette mesi, i miei decisero di scappare a causa dei bombardamenti e ci trasferimmo a Clusone (in provincia di Bergamo) in una casa di contadini. Lì sono rimasto fino ai sette anni, quan-

do ho iniziato ad andare a scuola. Mi ricordo che io e i miei amici eravamo ragazzi di strada: giocavamo ai tollini (un gioco con i tappi, NdR), alle biglie in mezzo alle macerie. Era tutto bellis-simo, Milano era bellissima. Un gran-de parco giochi per noi che eravamo piccoli. E per fortuna in quel periodo c’erano due cinematografi e io, la mat-tina alle otto, invece di andare a scuo-la andavo al cinema. Quindi Milano è dove mi sono formato sulla cultura ci-nematografica degli anni Cinquanta. E trovo che sia stato molto più istruttivo, e meno noioso, della scuola.Quali differenze e analogie con la Mi-lano odierna?Vivevamo in una zona che non rico-nosco più, che è radicalmente cambia-ta, all’angolo tra corso Como e piazza XXV Aprile. Andavo a scuola lì vicino e passavo i pomeriggi al 10 di corso Como che allora non era lo spazio del-la moda e del design, ma solo il primo centro di imbottigliamento della Coca Cola. Io e gli altri ragazzini andavamo armati di spazzoline a pulire le botti-glie che tornavano indietro sporche. La ricompensa? Una Coca Cola, che per noi era un lusso. E questa alla fine è stata un po’ la storia e la fortuna di

Milano: lo sfruttamento minorile, de-gli immigrati, della gente del Sud… E ricorderò sempre le parole di mia ma-dre, che fino alla fine mi ha ripetuto: “Oliviero, da quando Milano non è più generosa, ha perso la sua forza”. E aveva ragione, guarda cosa succede oggi per esempio.A Milano o in generale in Italia?Milano è fortunata. Ho seguito la cam-pagna di Giuliano Pisapia e sono mol-to soddisfatto dal lavoro che ha svolto come sindaco. Soprattutto consideran-do quanto sia difficile come città. Non so se ha fatto tanto o poco, non ho un metro per giudicare così bene le cose, ma so che è stato in grado di rimettere Milano su un binario per il futuro. Cer-to si potrebbe fare anche di più, perché resta una città fatta di eccellenze in di-versi campi, come poche altre al mon-do possono vantare. Ma il problema forse è proprio questo. Come l’Italia intera, anche Milano produce tantissi-mi individui che rappresentano l’eccel-lenza nel loro campo, ma che proprio per questo non sono in grado di fare sistema e i risultati si vedono.Si riferisce forse a Expo? Nei mesi scorsi non ha usato parole dolci nei confronti della manifestazione inter-

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COVER STORY COVER STORY

nazionale. Sempre della stessa idea?Io resto fedele alla mia idea. Tutti fan-no finta di niente, ma rimango convinto che sia stato interamente creato intor-no a un interesse privato e di accordi con le multinazionali. È stata una gran-de paninoteca a cielo aperto, ma non ho visto nessuna soluzione per nutrire il pianeta. Fin dall’inizio ho sostenuto che tutto questo sia servito a smuo-vere un po’ le cose, ha dato lavoro a tanta gente e comunque questo genere di iniziative funzionano. Ma quanto è costato? Il problema è molto semplice: quando Milano vinse con fatica il con-corso contro Smirne, insieme a Sgarbi e a una serie di persone pensai a un progetto ispirato alla mia milanesità. Un progetto per portare in città tutti i vari problemi che il mondo non ha il coraggio di guardare: immigrazione, razzismo, lavoro giovanile, discrimina-zione femminile… Quando portammo questa idea a chi allora era a capo di tutta la baracca, ci dissero che mostrare queste criticità a Milano non avrebbe mai funzionato.Nel 2007 però ha dato inizio al suo progetto Razza Umana. Tratta di te-matiche simili.Sì, certamente è un progetto legato a questo tipo di tematiche e da allora prosegue ininterrotto, tra poco infatti tornerò in Sud America e poi in Africa. Ha avuto un grande successo...In realtà io non lo faccio per avere un feedback da qualcuno, non è un lavoro

Flavio Lucchini è stato lo stesso, anda-vo a lavorare da lui ogni tanto quando non ero in redazione. E poi un giorno ci siamo detti: “Perché non prendiamo uno studio insieme in affitto?”. Si faceva già a Parigi e a Londra, a Milano invece si andava in quelli di altri fotografi o si faceva tutto in esterno. Cominciammo a cercare, e io trovai lo spazio dove ora sorge Superstudio. Mi piaceva quella zona, c’erano ancora le fabbriche fun-zionanti e di giorno era pieno di operai con la schiscetta, altro che fighetti del-la moda di oggi. Ci interessammo e ci accordammo per comprarlo. Un lunedì mi aspettavano a Milano per firmare il compromesso, ma c’era qualcosa che non mi tornava... Costava 80 milioni di lire a testa e la domenica prima mentre ero a cavallo con mia moglie in Tosca-na, dove già vivevo, passammo di fianco a un terreno di circa 10 ettari che mi aveva sempre fatto gola e c’era il con-tadino. Gli chiesi se si era deciso a ven-dermelo oppure no. La domenica chia-mai Lucchini, gli dissi che ero fuori e che avevo trovato quel terreno. Lui mi

che ho fatto per avere consenso. Anzi, se c’è consenso, ci si dovrebbe chiede-re se c’è qualcosa che non va. Quando tutti mi danno ragione forse vuol dire che ho sbagliato qualcosa.Una lezione da non dimenticare che l’ha sempre guidata nei suoi lavori?Assolutamente. Mi ricordo nitidamen-te di aver proposto un reportage sul primo concerto italiano dei Beatles circa 50 anni fa a L’Europeo, ma la re-dazione mi rispose che non sarebbero durati più di sei mesi e di non perderci tempo. Io andai comunque a seguire il concerto e per me fu un’opportunità unica per fotografare l’espressione del-la mia generazione. Poi una redattrice di Annabella mi propose di fare alcuni scatti di moda e io molto semplicemen-te scesi nel cortile della Rizzoli e foto-grafai i tanto famosi cappotti colorati. E da quel momento tutti iniziarono a chiedermi di fare fotografie di moda.Quindi un inizio casuale in questo mondo?Uno che fa solamente il fotografo di moda non può ritenersi un fotografo. Io non ero particolarmente interessato a questo genere di scatti. L’unica cosa che poteva interessarmi erano le ragaz-ze (ride, NdR).Domanda di rito che non posso evi-tare: con l’avvento del digitale come sono cambiate le cose?Non è cambiato granché, anzi mi dà un po’ fastidio parlarne, perché la tecno-logia non mi entusiasma, come non mi

disse: “Me l’aspettavo”. Da allora, quan-do vengo a Milano vado lì a lavorare.Lei è molto legato alla stampa e al mondo delle riviste…Sì e il mio sogno nel cassetto è diven-tare direttore de Il Corriere della Sera. E questo devi scriverlo (lo dice riden-do, NdR): finalmente il Corriere non avrebbe più problemi e farebbe il re-cord di copie. Farei un giornale fanta-stico.La proporremo certamente. Però ha già dato il via a un progetto editoriale, giusto?Ho creato la rivista Colors quasi trent’anni fa e ritengo che sia ancora un progetto attuale. Tutto è nato durante la mia collaborazione con Benetton, perché avevo una marea di fotografie che la stampa rifiutava perché troppo d’impatto e socialmente impegnate. Erano ritenute scandalose e scomode. E allora parlai con Luciano Benetton e gli proposi di investire su un house organ, lui capì subito e mi disse: “So già cosa farai...” e feci Colors. È nato come il giornale che parlava del resto

entusiasmano gli ultimi ritrovati tec-nologici. La tecnologia è sempre vec-chia, guarda sempre indietro e non ci può parlare del futuro. Il futuro è im-maginazione e basta, al contrario della tecnologia. Infatti abbiamo paura del futuro perché non abbiamo più il co-raggio di incontrarlo.Lei non ha avuto paura di incontrarlo, il futuro. Ha lavorato con alcuni dei nomi più illustri dell’eccellenza ita-liana, ad esempio con Elio Fiorucci, scomparso lo scorso 20 luglio.Elio Fiorucci è sempre stato un amico, fin dal principio degli anni Sessanta quando entrambi stavamo iniziando. Ci vedevamo molto spesso a Londra perché lui era interessatissimo a quella città e io vi ero legato perché ci avevo studiato per qualche mese nel ‘62 e ci tornavo spesso. Lavoravo sempre di più per i giornali e lui iniziava ad atti-rare sempre più simpatie da parte della stampa perché proponeva sempre cose nuove e di tendenza. E da lì tutto è co-minciato.Ha lavorato a stretto contatto anche con Flavio Lucchini di Superstudio, cosa ci può raccontare di quell’espe-rienza?Non ho mai avuto uno studio vera-mente mio. In realtà l’ho avuto per poco tempo in via Argelati di fronte a quello di Joe Colombo, ma è dura-to poco perché non mi piaceva l’idea di essere legato a qualcosa, a un luo-go. Non mi sentivo libero. E anche con

del mondo ed era un mio esperimento. Ora vorrei fare un quotidiano e spero che mi diano il Corriere.E per quanto riguarda Fabrica?È andata più o meno nello stesso modo: volevo creare un centro ricerche e le ho dato vita. Ma ora non la seguo più.È stato un incontro fortunato quello tra lei e Benetton.Come diceva Frank Lloyd Wright: “La qualità dell’architettura dipende dall’in-telligenza del committente”, se questo non è intelligente nessun artista può produrre qualcosa di magnifico. Benet-ton lo è sempre stato. E la rottura fra noi è avvenuta come una conseguenza inevitabile. Tre anni prima di quanto hanno scritto i giornali, ci siamo ac-cordati perché alla nascita di Fabrica io lasciassi, non volevo diventare un im-piegato che timbra il cartellino. Me ne sono andato dopo aver finito la serie sui detenuti nel braccio della morte negli Stati Uniti. Quello che hanno raccon-tato è stata una montatura perché la gente ha sempre bisogno di trovare una spiegazione alle cose.

“Quando tutti mi danno ragione vuol dire che forse ho sbagliato qualcosa. Se c’è consenso, c’è qualcosa che non va”

Oliviero Toscani

fotografato al Magna

Pars Suites Hotel di via

Forcella, accanto

a Superstudio.

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PORTFOLIO

Oggetto oggi desueto ma affascinante, la cartolina è stata scelta per raccontare la propria città da un fotografo, una photo editor, una copywriter e due designer. Il progetto fotografico si chiama A-Z Milano e racconta attraverso 21 immagini di Federico Ciamei e altrettante filastrocche in rima di Ilaria Russo la capitale meneghina. A ogni foto corrisponde una lettera, iniziale di una parola chiave che descrive un particolare della città: c’è la F di fretta, la G di grigio, la M di moda e la T di tram. Un racconto di Milano per immagini, ma anche una guida come un vecchio abbecedario: è questa l’idea del gruppo di lavoro 150UP curato da Sara Guerrini che ha “ridotto” la città in 21 soggetti emblematici ed evocativi.

A - Per esser milanese non servono pretese ma solo un distintivo: “fare l’aperitivo”.

M - A Milano fai la coda non per prendere la soda, o per fare un giro in Škoda: tutti quanti la si loda, dai, in breve: è la moda!

testo di Carolina Saporiti - foto di Federico Ciamei

SALUTI DA MILANO

PORTFOLIO

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PORTFOLIO PORTFOLIO

S - Mi ricordo, era una vera sciura proprio elegante, una bella gura, che make-up, che abbronzatura e non vi dico la capigliatura!

D - C’era una volta un uomo preso a colpi di Duomo: certo, era in miniatura ma che “rebelòt”, che paura!

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PORTFOLIO PORTFOLIO

IL TEAMFederico Ciamei, romano adottato da Milano, ama fotografare le persone con talenti insoliti e sogni impossibli. 150UP è uno studio di design fondato da Davide Colla che insieme a Silvia Lanza ha vinto l’IF Design Awards e Awwwards.

Sara Guerrini ha lavorato come photo editor e oggi insegna allo IED. Ilaria Russo è la mente dietro le filastrocche che spiegano le immagini: copywriter da oltre 20 anni, è una vera appassionata di italiano. azmilano.com

G - Grigio l’asfalto, grigio il piccione: oh Gesù, che preoccupazione! Niente paura, ci metto il coloree la vita si tinge d’ardore.

F - Dove andate in tutta fretta trascinando la valigetta? «Ma che dici, è un valigione: si sta scappando in Stazione, e poi a Milano si cammina veloce tanto è in pianura, mica è una croce».

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INTERVIEW INTERVIEW

Eclettico e inarrestabile, applica il suo gusto e la sua capacità di saper scegliere in ogni settore. Il creativo, milanese d’adozione, si racconta

tra moda, design, arte ed editoria.

di Simone Zeni

SERGIO COLANTUONI

MAKE YOUR LIFE(STYLE) YOUR MASTERPIECE

Lei viene definito un lifestyler. Come spiegherebbe a un profano la sua pro-fessione? Sono Sergio Colantuoni, un signore napoletano, e faccio di professione il lifestyler. Non so bene cosa sia, ma mi piace sempre osservare le facce che fanno le persone quando lo dico. C’è chi esclama: “Interessante!” e intuisco subito che non ha capito nulla e poi c’è chi domanda: “Cosa? Cosa fai? Cosa vuol dire?”.Ma allora in cosa consiste esattamen-te il suo lavoro?Sono più di 30 anni che mi occupo d’immagine in senso lato. Ho iniziato come redattore moda a L’uomo Vogue e da quel momento la curiosità mi ha sempre spinto a varcare nuove soglie. Mi sono interessato agli oggetti, al de-sign e alla cucina quando ancora, all’i-nizio degli anni Novanta, non era in voga come adesso. Poi ho cominciato a lavorare agli allestimenti e alle grandi produzioni per Pitti Immagine e per altri clienti. Ho realizzato campagne pubblicitarie, ho ideato negozi, allesti-to fiere e stand. Collaboro con Io donna per le pagine di cucina, che firmo da 20 anni. Sono stato coautore del libro Il pranzo è servito! edito da Baldini Ca-stoldi Dalai. Attualmente sono il diret-tore creativo di Caruso e ho disegnato la linea di cinture Spirituality Belt. In pratica ho seguito l’immagine da tanti punti di vista diversi. Maurizio Marsico mi ha definito un creativo a largo spet-tro e dice di me che sono come l’aspiri-na: vado bene in ogni occasione.Come si è evoluto l’ambiente creativo

milanese negli anni? A me piacciono i cambiamenti e le tra-sformazioni. Sono una continua sfida. Anche il modo di proporre un abito, un accessorio di moda o qualsiasi altro og-getto è cambiato. Con le nuove tecno-logie tutto è più istantaneo, forse non di grande qualità, ma di effetto imme-diato. Oggi siamo come nella preistoria: abbiamo dei mezzi ma non sappiamo come farli funzionare. È un periodo di grande energia ed effervescenza, pro-prio perché dobbiamo scoprire nuovi modelli esistenziali e di mercato. Che siamo in crisi già lo sappiamo, nessun media si astiene dal ricordarcelo. Ab-biamo bisogno, per questo, di nuove esperienze, di spiritualità intesa come esperienza. Siamo all’inizio, dobbiamo essere capaci di percepire le sfumature e le nuove aspirazioni. Sono un entu-siasta e, per fortuna, faccio un lavoro dove posso trasferire tutti gli stimoli che ricevo da fuori plasmandoli. Tut-to mi suggerisce qualcosa e mi sprona. Trovo solo noioso l’agitarsi moderno. La poca concentrazione sulle cose e la dispersione di energia. In cosa si differenzia il suo metodo la-vorativo nell’ambito della moda, della cucina o nel caso di un allestimento?Mi hanno sempre affascinato l’aspetto delle cose e la loro collocazione nello spazio. È questa la bellezza del mio la-voro. È come una serie di cantanti che interpretano, ognuno alla propria ma-niera, un brano. Il mio lavoro è un’in-terpretazione del bello. Non sono un artista, ma un creativo. Filtro tutto, tut-te le mie esperienze, per farne un pro-

getto personale, sia che io curi una foto, sia che disegni una collezione di moda o un oggetto, sia che prepari una tavola per una cena. Mi piace poi, essendo un perfezionista, entrare nelle cose. Non lascio mai nulla al caso. Che rapporto ha con Milano?Sono molto grato a Milano, una città meritocratica, che apre le sue porte e dà, ancora oggi, la possibilità di creare e rinnovare. Come per un milanese è dif-ficile immaginarsi di potersi trasferire a Napoli per lavorare, anche per un na-poletano lo è trasferirsi qui. Milano mi ha scelto e io mi sono lasciato scegliere volentieri. Dopo la Domus Academy, dove ho seguito un master con Gian-franco Ferré, ho sempre lavorato e non ho mai pensato di andare via. Se poi hai una casa che ti piace, Milano va bene: essendo circolare, tutto si raggiunge ve-locemente. Non è importante dove vivi in questa città, ma la casa che hai. Che posti frequenta in questa zona? Ha delle tappe fisse?Mi piace andare al cinema Colosseo, a cena da U Barba, che da vecchia boc-ciofila è diventata un’osteria ligure à la page, prendere l’aperitivo dall’Elet-trauto. Spesso ordino cibo d’asporto dalle sorelle de La Cucineria, una torta di Ernst Knam. Per mangiare un’otti-ma pizza mi sposto fino in via Orti da Gennaro Esposito. C’è un altro quartiere che le piace?Montenapoleone, il salotto di Milano, e sono entusiasta della nuova zona di Porta Nuova come della Darsena, dove finalmente a Milano si può dire: “An-diamo a fare una bella passeggiata!”.

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di Marzia Nicolini

VOCAZIONE INEBRIANTEMaterie prime rare, profumieri d’eccezione, ricerca, passione, lavoro di squadra.

Ecco gli ingredienti dell’alta profumeria, settore di nicchia che non smette di affascinare. E che oggi trova un pubblico più attento.

FOCUS FOCUS

In apertura,

un’immagine storica

dell’azienda Marvin,

fondata nel 1940 da

Vincenzo Martone.

01. L’alta profumeria è

un mercato di nicchia,

riservato a chi ha per

il profumo una vera

passione.

Chi sono i grandi maestri dell’alta profumeria? Provate a chiederlo a una cena con gli amici. A meno che non abbiate conoscenti esperti o amanti del settore, sarà difficile elencare più di dieci nomi. Non è questione di “snobberia”: l’alta profume-ria è rimasta negli anni un settore di nicchia. Lo conferma Celso Fadelli, presidente curatore delle fragranze di Intertrade Group insieme a Cristiano Seganfreddo, vice presidente e creative director del gruppo: “Le nicchie di mercato vengono percepite come settore esclusivo e per pochi esperti, riservate, nel nostro caso, a chi ha per il profumo una vera passione. Una vocazione”. Il pubblico, tuttavia, sta cambiando e oggi presta sempre più attenzione alla qualità: “I consumatori puntano alla ricerca, si informano e cercano emozioni oltre il prodotto”. Fac-ciamo un po’ di chiarezza: alta profumeria vuol dire “accesso a materie prime rare e altamente sele-zionate, collaborazione di profumieri d’eccezione e un team creativo selezionato”. Il risultato – inebriante – è una serie di fragranze “distintive a livello olfattivo e affascinanti a livello estetico”. Per chi non bazzica il settore, Celso spiega che a distinguere questi profumi da quelli “commerciali” è sì la qualità de-gli ingredienti, ma anche e soprattutto “il carattere sulla pelle quando sono indossati”. Per abbassare

i costi di produzione a favore del marketing, “le essenze commerciali hanno spesso predominante la presenza di alcool e acqua e questo ne mitiga l’inten-sità. Impiegare meno estratto penalizza il risultato e anche la persistenza del profumo, ovviamente”.Ma non è solo una questione di ingredienti: senza addentrarsi troppo nei dettagli tecnici, si può dire che fare alta profumeria è (anche) questione di ottimo lavoro di squadra. A sottolinearlo è un’altra protagonista del ramo, la bella e talentuosa Da-nielle Ryan. Cresciuta in una famiglia di impren-ditori irlandesi – il nonno Tony è stato il geniale fondatore di Ryanair – è proprietaria del Roads Luxury Group, società a tre rami – cinema, edito-ria, profumeria – che ha di recente lanciato al Pitti Fragranze 2015 una nuova, sofisticata collezione di fragranze. L’ambizioso obiettivo di Danielle è creare una nuova dimensione culturale del pro-fumo: “Per farlo occorre lavorare a stretto contatto con i diversi profumieri, con i quali c’è sempre un fitto dialogo. Le ispirazioni sono le più varie: luoghi, persone, ricordi, epoche storiche, emozioni, viaggi, arte. Mi piace pensare che l’essenza che si indossa esprima una visione, un modo di essere, un carattere. Penso che bisognerebbe essere più attenti nella ricerca del giusto profumo”.

01

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FOCUS

02. Come gli altri sensi,

anche l’olfatto può

essere educato alla

scoperta delle essenze.

03. Danielle Ryan è

proprietaria del Roads

Luxury Group che

si occupa di cinema,

editoria e profumi.

A proposito di nomi importanti e responsabilità ereditate, impossibile non citare il naso Romano Ricci. Ultimo pupillo della prestigiosa famiglia Ricci e pronipote della celebre couturier torinese Nina Ricci, Romano ha creato un suo brand dal nome evocativo: Juliette Has a Gun, che punta a rappresentare attraverso le sue fragranze una femminilità dinamica, moderna, sfrontata. Il suo concept store parigino, Nose, è nato da un’idea di “team”: pensato da Romano insieme a Nico-las Cloutier, ex consulente, e Marc Buxton, naso e profumiere inglese, è una lussuosa boutique in rue Bachaumont, nella quale è possibile acquistare oltre 50 marchi alternativi di profumi, tra i quali L’Artisan Parfumeur, Penhaligon’s, Miller Harris e molti altri. La particolarità (che dimostra l’amo-re per la “causa”)? Ognuno può trovare il proprio

profumo ideale. Quasi come in un sito di dating, ci si può sottoporre a una sorta di test in cinque domande per individuare le proprie, personalissi-me, preferenze olfattive. Non stupisce che ci siano voluti due anni per arrivare a questo risultato: uno spazio dove è racchiuso il meglio della profumeria artistica.Sfatiamo un falso mito sull’argomento: “In tanti ritengono che la profumeria non sia cultura. Niente di più falso”, sottolinea Celso Fardelli di Intertrade. “Si può educare chiunque alla scoperta del profumo, ognuno di noi può raggiungere una capacità di per-cezione degli odori, a patto che si appassioni e inizi a memorizzare con il naso le decine di realtà magni-fiche che sentiamo ogni giorno, dal profumo dell’au-rora a quello del pane fragrante”. Questione di at-tenzione. Questione di olfatto. Questione di naso.

APERITIVI PROFUMATICosa più di un profumo riesce a riportare alla memoria ricordi ed emozioni? Se volete provare questa sensazione passate da LabSolue, il Perfume Laboratory dell’Hotel à Parfum Magna Pars Suites Milano in via Forcella: un luogo affascinante che racconta la storia del noto marchio Marvin,

fortemente voluto dalle nipoti di Vincenzo Martone, Giorgia e Ambra. Il percorso olfattivo si snoda in quattro isole per un totale di 39 note olfattive suddivise tra legnose, fiorite e fruttate. Inaugu-rato lo scorso aprile, LabSolue è la realizzazione di un sogno per far conoscere il prestigioso passato dell’azienda farmaceutica che

aveva sede proprio dove ora sorge l’hotel e dove acquistare le essenze preferite, che vengono confeziona-te al momento. A partire da metà ottobre al LabSolue, ogni due set-timane il giovedì sera, si tengono gli aperitivi olfattivi, in cui vengono svelati di volta in volta Lab-Cocktail inediti. www.magnapars-suitesmilano.it

02

03

www.premiumexhibit ions.com

STATION-BERLIN

JANUARY 19–21 2016

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INTERVIEW INTERVIEW

La conosciamo tutti come un’importante protagonista della vita giudiziaria del nostro Paese, ma è anche direttore dello Spazio Teatro No’hma e dal 2014 è presidente del Milan Center for Food Law and Policy. Ci ha raccontato che Milano l’ha adottata felicemente e

senza pensarci un attimo, quando giovanissima è arrivata qui dalla Puglia.

di Marilena Roncarà

LIVIA POMODORO

UN’ADOZIONE FELICE

È stata la prima donna della storia a diventare nel 2007 presidente del Tri-bunale di Milano e ora, oltre a dirigere un teatro, guida il gruppo di esperti del Milan Center for Food Law and Policy che sta lavorando all’eredità dell’Espo-sizione Universale. L’abbiamo incon-trata nel suo teatro, ideato e fondato dalla sorella (gemella) Teresa e ricavato da un’ex stazione in disuso del sistema dell’acqua milanese.Com’è avvenuto il suo incontro con il teatro?L’ho scoperto grazie a mia sorella: è stato il più grande dono che potesse farmi. Quando lei è mancata ho deci-so di prendere in mano questo spazio e devo dire che da allora (era il 2008) ho fatto molta strada perché sono sì anche una teatrante, ma soprattutto sono sta-ta e forse sono ancora “un apprendista stregone” (ride, NdR). Il No’hma è un luogo speciale, dove non si paga il biglietto per entrare…Siamo una Onlus, è l’unica struttura di questo tipo. È una grande speciali-tà, ma non è niente di snob, piuttosto è una fatica perché dobbiamo riuscire a mantenerci. Però ho voluto tener fede all’idea di mia sorella per cui la cultura, la conoscenza e l’arte sono patrimonio di tutti e quindi vogliamo che tutti ne possano usufruire.Ma il teatro è ancora necessario?Il teatro è passione, ma soprattutto ha il fascino della verità, delle cose che si possono dire anche un po’ impu-nemente. Resta un rito importante, in genere finisce con l’essere elitario, ma qui senza l’obbligo del biglietto abbia-

mo creato un’esperienza unica. È uno spazio dove davvero si può mescolare chiunque: dall’homeless al generale, all’ambasciatore, a chi ha interesse a tenere vivo il proprio senso di umanità.Una parola sulla prossima stagione?La stagione 2015/2016 è dedicata alla bellezza: quella dei sentimenti, della natura, del difficile da comprendere, una bellezza tutta da scoprire perché è insieme la sintonia tra l’uomo e l’ester-no e degli uomini fra di loro. Oltre al teatro c’è anche il suo impe-gno alla guida del Milan Center for Food Law and Policy…Expo è stata una grande festa, un’espe-rienza importante e anche un successo dal punto di vista del business, ha fatto conoscere Milano e l’Italia al mondo. Ma non ci si può fermare all’imma-gine, bisogna dare sostanza alle cose e noi proviamo a farlo con la nostra. Vogliamo lasciare un segno indelebile, un’idea di futuro, di diritto e legalità, di rispetto e riconoscimento della dignità di tutti gli esseri umani.Ci spieghi meglio…Abbiamo proposto Milano come ca-pitale mondiale dell’alimentazione, il che significa sviluppare gli studi di ri-cerca nella filiera alimentare, nell’atti-vità di produzione e distribuzione del cibo, dalla lotta allo spreco all’obesità, dal tema della cattiva alimentazione al land grabbing, al problema dell’acqua. Il Milan Center è convenzionato con cinque ministeri, tantissime università italiane e straniere e altrettanti centri di ricerca: il nostro obiettivo è svilup-pare un’attività di advocacy per far co-

noscere al mondo questi problemi, an-che dando delle indicazioni esecutorie. Possiamo dire che Expo ha messo ra-dici fertili?Non ho la bacchetta magica. Però quando mia sorella ha fondato questo teatro ho pensato che fosse una follia e lei mi ha detto che “il teatrante non può che essere un folle” e aveva ragione. Allo stesso modo quando ho cominciato a parlare del Milan Center e dell’impor-tanza di affermare il principio che non c’è cibo senza diritto, grandi rappresen-tanti delle istituzioni mi hanno detto che era una bellissima utopia, ma “la-sciaci lavorare”. Ecco… Hanno dovuto ricredersi. Un pensiero su Milano.Milano mi ha accolta felicemente gio-vanissima e mi ha adottata, lo avverto tutti i giorni, per strada, dovunque. È un affetto antico, profondo e condiviso. Ho vissuto tutte le stagioni di questa città, gli anni bui: la strage di piazza Fontana, il terrorismo, le brigate rosse. Solo durante il periodo di Tangentopo-li ero a Roma (come capo di gabinetto del ministro della Giustizia) e quando sono tornata ho trovato una Milano sconcertata, chiusa in se stessa, anche un po’ egoista. Poi è passato il tempo e la città come ogni volta si è risollevata: qui si costruisce l’economia e la finanza del Paese, qui c’è questa forza propul-siva e poi nel contempo siamo la città più solidarista d’Italia. Milano ha un’e-nergia di fondo che non muore mai. In più questo è un momento magico: la città è piena di iniziative, di turisti, di vitalità, bisogna andare avanti.

“Il teatro è passione, ma soprattutto ha il fascino della verità, delle cose che si possono dire anche un po’ impunemente”

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Una volta al cinema si mangiava, si beveva, ci si accoppiava, ci andavano i fidanzati, adesso, vuoi per il modo diverso di fruire gli audiovisivi, vuoi per la differente gestione del tempo libero, la scelta di andarci è relegata a tempi più ristretti. E tuttavia, nonostante la convinzione diffusa che la capitolazione delle sale cinematografiche sia un finale non troppo remoto, qualcosa dal basso continua a remare in senso opposto: sono le sale di quartiere che resistono come piccoli baluar-di, luminosi esempi di presidi culturali, facendo talvolta entrare in campo il recupero di qualche immobile.“Oltre ai bambini a distanza, in Italia bisognerebbe adottare anche gli spazi”. Comincia pressappoco così la conversazione con Luigi Ardizzone, titola-re del Cinema Teatro Trieste, un’ultracentenaria sala di quartiere che sembrava condannata a un triste oblio trasformandosi in un deposito per va-ligie, salvo poi aprirsi a nuova vita: “Cercavo un

cinema per farne un locale in grado di reggersi sulle sue gambe, più che altro per questa mia passione per la settima arte” ci racconta l’autore della riqua-lificazione del locale di via Pacinotti, diventato un ristorante aperto da mattino a sera inoltrata e che, dallo scorso 7 ottobre, affianca alla proposta di musica e cabaret anche quella cinematografica del mercoledì sera. La programmazione è affidata a Lo Scrittoio: “Con il Cinema Teatro Trieste abbia-mo in qualche modo desacralizzato l’idea del buio”, continua la responsabile dell’associazione Cinzia Masótina. “Questo è un locale dove c’è buona cuci-na, dove ci si può intrattenere in più luoghi e dove si potrà anche gustare il cinema dal tavolo: è un tor-nare indietro per andare avanti. Il nostro obiettivo è attirare persone di cinema insieme a un pubblico diversificato e lavorare a sostegno di un locale che sta portando avanti una proposta culturale”. L’idea del presidio culturale è anche quella che anima il Palestrina, che nel 2016 festeggia nien-

FOCUS

01. Il Cinema

Palestrina, situato

nell’omonima via,

nel 2016 festeggerà

80 anni di attività.

indirizzi Cinema Beltradevia Nino Oxilia 10Cinema Mexicovia Savona 57Cinema Palestrinavia Giovanni Pierluigi da Palestrina 7 Cinema Teatro Triestevia Pacinotti 6

di Marilena Roncarà

Il 7 ottobre scorso è stata diffusa la notizia della chiusura del cinema Apollo, in quello stesso giorno, a più di un secolo dall’inaugurazione, ha riaperto il Cinema Teatro Trieste. I fatti non sono certo da mettere sullo stesso piano, eppure sono tante le sale di quartiere

che portano avanti la propria attività uscendo dagli schemi tracciati.

01

CINEMA CHE PASSIONE

FOCUS

02. Vista dell’interno

del Cinema

Teatro Trieste,

un’ultracentenaria sala

di quartiere che ha

riaperto i battenti lo

scorso ottobre.

temeno che gli 80 anni di attività: “La nostra idea non è essere gli ultimi dei mohicani, ma i primi del-la nuova specie”, dichiara Raul della Cecca che, con la società Progetto Lumière, da circa un anno gestisce la sala. Per lui questo al Palestrina è un ritorno lavorativo: “Arrivare qui 30 anni dopo (con in mezzo una carriera passata tra pane e cinema, NdR) è stato come atterrare su Marte, tanto le cose sono cambiate” ci racconta. “Milano continua ad aver bisogno di questi spazi: c’è fame di cultura, si vuole essere preparati alla visione perché il cinema è anche un’esperienza di crescita, e poi quando la gente si ferma perché vuole saperne di più, è una vera soddisfazione”.Altro caso emblematico è il cinema Mexico, re-altà unica nel panorama cittadino, che dal Rocky Horror Picture Show in poi si è costruito un’i-dentità sempre più forte. “Mi ritengo una persona fortunata”, dichiara il gestore Antonio Sancassani, “perché abbiamo fatto qualcosa di interessante che dura nel tempo”. E non a caso lo stesso Sancas-sani, già Ambrogino d’Oro nel 2013, quest’anno è stato insignito del premio Carlo Lizzani della Biennale di Venezia, come esercente italiano più coraggioso.

Il fatto che in Italia ci ritroviamo con una pro-grammazione spesso sclerotizzata, anche per la paura da parte di alcuni esercenti di uscire dagli schemi, ce lo conferma Monica Naldi che, assie-me a Paola Corti, gestisce la programmazione dei cinema Beltrade. A loro il coraggio non è certo mancato e, nel giro di un paio d’anni, hanno tra-sformato quello che era un anonimo cinema di periferia in un punto di riferimento per la città. “Abbiamo deciso di spingere l’acceleratore sul cine-ma indipendente, di fare multiprogrammazione e proporre anche film in lingua originale con i sottoti-toli”. Al Beltrade capita spesso di vedere non solo film che non trovano distribuzione altrove, ma anche di partecipare a incontri con registi e autori che con semplicità e acume sono a disposizione del pubblico. “Non sempre la sala è piena, ma pen-siamo che ci siano i margini per fare del Beltrade un’attività sostenibile”. E quando il pensiero va alla probabile prossima chiusura del cinema Apollo, ci sentiamo dire che “è un gran peccato, una perdita grave per tutta la città.” Tuttavia, incalza Monica: “la cosa più importante è continuare a fare e per noi che proiettiamo film, il cinema è una passione che non vogliamo smettere di condividere”.

03

IL CINEMA SU RUOTEA qualcuno sarà capitato di vederlo in occasione dei mercatini “Le pulci pettinate” organizzati dalla Salume-ria del Design: lui il Furgoncinema è un vero e proprio microcinema all’interno di un furgone, con pro-iettore, schermo e cinque sedute in legno come quelle di una volta. Nato dall’incontro dell’associazione culturale La Scheggia con la Salu-meria del Design, il Furgoncinema propone episodi visivi di 20 minuti legati alla città di Milano. www.lascheggia.org

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INTERVIEW

Il “signor Carlo” Taranto non c’è, ma a rappresentare la milanesità anticonformista della Gialappa’s Band abbiamo comunque gli altri due agitatori: Giorgio Gherarducci e Marco Santin. Il motivo dell’intervista

sarebbe il loro ritorno in tv con Quelli che il calcio su Rai 2, ma presto la conversazione diventa un allegro cazzeggio tra football e linguaggio mediatico. Argomenti tosti sui quali “essere pienamente d’accordo a metà”.

di Simone Sacco

GIALAPPA’S BAND

MAI DIRE ANNIVERSARIO

INTERVIEW

Sbaglio o quest’anno fanno trent’anni tondi di Gialappa’s Band?Marco Santin: Sbagli e assieme a te sbagliano tutti quei giornalisti che ci hanno fatto la festa nei mesi scorsi. La Gialappa’s esordisce ufficialmente sul-le frequenze di Radio Popolare com-mentando i Mondiali di Messico ’86. Anche se il vero successo mediatico lo centrammo con i campionati successi-vi, quelli di Italia ’90. Ah, la sfigatissi-ma semifinale con l’Argentina! Quanta amarezza quella notte…Giorgio Gherarducci: E poi basta con questa storia dei compleanni. Io, com-piuti trent’anni (è del 1963, NdR), ho chiuso con queste ricorrenze. Se mi parli di torta e candeline, comincio a sbadigliare...Celebrazioni o meno, avete pur sem-pre inventato un “linguaggio”...G.G.: Sì, ma non siamo mai stati né Umberto Eco, né Enzo Tortora. Erava-mo solo tre amici che hanno esporta-to in radio e tv il cazzeggio da divano. Prima di noi non ci aveva mai pensato nessuno: scherzare sul calcio era tabù. Eppure noi studiavamo i tempi comi-ci di Arbore e le cronache sarcastiche del grandissimo Beppe Viola pensando: “Dai, si può fare”.M.S.: Rivendico di aver inventato il ne-ologismo “gollonzo” che, nel frattempo, è pure finito nel vocabolario della lin-gua italiana. Tra l’altro io il dizionario me lo sono letto da cima a fondo! Den-tro ci ho trovato un’infinità di termini bellissimi – tra cui Gialappa, il nome di un purgante messicano per cavalli – che poi mi sono tornati utili con il gruppo.Perché la Gialappa’s Band è un grup-po? Di quelli belli litigiosi tipo i Clash, i Guns N’ Roses o i Police…

M.S.: Grandi i Police, li vidi da ragazzi-no al vecchio PalaLido! Comunque io ero più un tipo da Genesis, la mia band preferita di sempre: belli “cagacazzo” anche loro. Pensa solo a come andarono le cose con Peter Gabriel.G.G.: Per me è un falso mito l’equa-zione “grande divertimento dietro le quinte, programma di successo”. In te-levisione si discute come in qualsiasi altro mestiere. Negli anni Novanta pro-ducevamo circa 30 puntate stagionali di Mai Dire Gol: qualche frizione era inevitabile, ma alla fine siamo rimasti in buoni rapporti con tutti. Teo Teocoli compreso.Vi capita di discutere animatamente?M.S.: Mai. Siamo così diversi nella vita reale che, quando ci incontriamo, di-ventiamo un’unità indissolubile e per-fino telepatica.G.G.: Beh, io tifo Milan e il signor San-tin l’Inter. Calciatori da mettere sull’altare del football?G.G.: Gianni Rivera tutta la vita.M.S.: Te ne posso dire almeno tre? Karl-Heinz Rumenigge: una volta in nerazzurro fece un gol, annullato por-ca miseria, contro il Rangers Glasgow che mi parve un pallanuotista da come arpionò la sfera al volo. Poi Ronaldo il Fenomeno. E Walter Zenga che, per noi, è sempre stato più un amico. Infine Ro-berto Mancini. Ehm, mi sa che te ne ho citati quattro… Da Rivera al Mancio, non mi avete elencato un giocatore contempora-neo…G.G.: La contemporaneità non è mal-vagia: ai nostri tempi c’era l’ostico e l’a-gnostico di Sacchi, oggi c’è Klopp. Una volta c’era Garzya che diceva: “Sono

pienamente d’accordo a metà col mister”, ora abbiamo Cassano. E, a livello di pa-pere e strafalcioni, c’è troppa abbon-danza nel web. Per mostrare un liscio della Premier League, aspettavamo che Marco tornasse da Londra con qualche VHS carbonara. M.S.: Noi sottotitolavamo Sebastião Lazaroni, oggi potremmo fare altret-tanto con Mourinho. Lo Special One è intelligentissimo, capirebbe l’ironia. Avrebbe senso rifare oggi Mai Dire Gol? M.S.: Sì. Il successo di quel format fu che i calciatori facevano a gara per veni-re ospiti o per “sputtanare qualche col-lega, consci che la volta dopo sarebbe toccato a loro. Pensa a uno come Balo-telli: il 100% dei media lo dipinge come un bad boy scontroso quando magari lui avrebbe solo voglia di farsi una bella risata…C’è mai stato qualcuno che non ha de-cifrato il vostro bel giochino?G.G.: Giovanni Trapattoni. S’incazzò tantissimo per il famoso fuorionda di: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sac-co”. Diceva che quel filmato gli toglieva autorità in spogliatoio. Solo che a noi il potere è sempre stato antipatico.M.S.: E poi ha intitolato la sua recente autobiografia Non dire gatto!. Il tempo, talvolta, è galantuomo.L’intervista è terminata. Altri trenta (anzi, ventinove) di questi anni, Gia-lappa’s!G.G.: Grazie. Porteremo i tuoi saluti al signor Carlo. Lui non partecipa alle in-terviste di gruppo perché dice che non hai mai nulla di interessante da espri-mere.M.S.: E chi non legge Club Milano è un burfaldino!

“Abbiamo portato in tv il cazzeggio da divano. Prima di noi non ci aveva mai pensato nessuno”

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FAR EAST

SGUARDO A ESTCon Estremo Oriente si indica genericamente l’Asia orientale, un tempo territorio amministrativo dell’URSS: così vasto e abitato da popolazioni con tradizioni millenarie alle spalle, ogni Paese conserva le sue caratteristiche. Tra questi ci sono il Giappone e la Corea, due nazioni dalle quali arrivano molte delle migliori novità tecnologiche, ma che lontano dalle città e in cucina sono state capaci di mantenere intatti i loro segni distintivi.

illustrazione di Virassamy

4040

il cliente verso la scelta dell’auto mi-gliore identificando il finanziamento e la polizza più adatta. L’express service, un servizio professionale ma rapido e conveniente per interventi di manu-tenzione di piccola entità come con-trollo livelli e sostituzione lampadine. Il servizio auto sostitutive, che offre la possibilità di noleggiare un’auto a condizioni vantaggiose, per ridurre al minimo i disagi del fermo macchina. E infine quello di diagnosi che assicura il controllo costante e un quadro sempre aggiornato delle prestazioni della vet-tura, grazie all’uso di sofisticate appa-recchiature.

www.autorigoldi.it

Ricambi che si estende su una super-ficie di oltre 5mila metri quadrati a Mazzo di Rho, e soprattutto, con un organico di oltre 80 dipendenti.AutoRigoldi rappresenta, per dimen-sioni, numero clienti e capacità fi-nanziaria, una delle più importanti e consolidate realtà imprenditoriali, nel settore automobilistico, a Milano.Il motivo del successo? Da tre genera-zioni AutoRigoldi piace ai milanesi per la professionalità del suo personale, per l’ampia gamma di modelli nuovi e l’usato garantito, ma anche per tutti i servizi aggiuntivi che offre. Ecco, tra i tanti, quelli di maggior suc-cesso. Il servizio prevendita che ga-rantisce personale in grado di guidare

AutoRigoldi nasce nel 1906 a Milano, in corso Buenos Aires al civico 65, e da oltre 100 anni è al servizio dei milanesi per l’acquisto di auto di marca e per la loro assistenza. La storia e lo sviluppo di AutoRigoldi si intrecciano anche con il successo e l’esperienza nella gestione e nell’assistenza di marchi storici qua-li Audi, Volkswagen e Porsche. E oggi AutoRigoldi, grazie anche all’apertura del nuovo showroom Skoda, è sempre più il punto di riferimento per tutta la Milano che guida.AutoRigoldi ora ha tre sedi milanesi, che occupano un’area complessiva di oltre 10mila metri quadrati, in via In-ganni 81, via Pecchio 10 e via Andrea Doria 28 e un Centro Distribuzione

Una realtà imprenditoriale in continua evoluzione e alla costante ricerca dell’eccellenza. La cortesia, la competenza, la disponibilità e l’attenzione al cliente sono i motivi del suo successo. Entrare in uno show-room AutoRigoldi significa essere accolti con un sorriso da persone competenti e appassionate del proprio lavoro.

AutoRigoldi. Dal 1906, vicini a chi guida

ADVERTORIAL

Il fondatore Giovanni Rigoldi alla guida, 1904.

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01. Vista del Lee Ufan

Museum, dedicato

al lavoro dell’artista

coreano.

Foto di Tadasu

Yamamoto.

In Giappone esiste un posto speciale che rientra nella categoria di “hidden place”, dove i locali vi-vono ancora secondo le antiche tradizioni del loro Paese, a contatto con la natura e... con l’arte. Per raggiungerlo, ammesso che già ci si trovi nella ter-ra del Sol Levante, occorre un viaggio di qualche ora su diversi mezzi di trasporto che contribuirà ad arrivare alla meta, l’isola di Naoshima, con il giusto spirito.Oltre a custodire una natura incontaminata dove i pochi abitanti rimasti vivono secondo le antiche tradizioni, questo luogo ospita anche alcune ope-re d’arte, architetture e installazioni create ad hoc da artisti di fama internazionale. Esiste un unico albergo, rigorosamente senza televisori e con con-nessione Internet solo nelle stanze, e il traffico del-le automobili è quasi inesistente. Naoshima è stata

trasformata nell’arco di 20 anni in un’isola d’ar-te contrapposta alle grandi metropoli giapponesi come Tokyo, Kyoto e Osaka, tanto che da molti è considerata un santuario per la meditazione. Un soggiorno qui è un vero tuffo nel passato. E a ogni cambio di mezzo di trasporto si avverte la sensa-zione di lasciare il mondo “civilizzato” alle spalle per addentrarsi nella natura. Il nome esatto del complesso che raggruppa più siti artistici è Benesse Art Site Naoshima ed è stato creato per volontà di un imprenditore illuminato, Soichiro Fukutake, a capo della Benesse Holding, Inc., specializzata in insegnamento a distanza ed editrice di testi scolastici, con l’obiettivo di creare spazi creativi sull’isola (e ampliando poi il progetto anche su Teshima e Inujima) che si trova nel mare interno di Seto, nel sud del Giappone. L’acquisto

01

02. Una delle

abitazioni dell’Art

House Project, di

Tatsuo Miyajima, Sea

of Time ’98.

Foto di Ken’ichi

Suzuki.

03. Il Chichu Art

Museum è una

struttura, interrata,

costruita in cima a una

collina.

Foto di Mitsuo

Matsuoka.

di una parte dell’isola risale al 1987 e nel 1992 ha aperto il Benesse House Museum che oltre a esse-re un museo è anche un albergo. Le uniche altre soluzioni per dormire a Naoshima sono le yurte abitazioni mobili tipiche mongole sulla spiaggia e alcuni minsjuku, camere di abitazioni private in affitto, ma soggiornare nella Benesse House ga-rantisce l’accesso agli spazi museali oltre l’orario di chiusura, per potere aggirarsi nel silenzio tra le sale, ammirando l’installazione One Hundred Live and Die di Bruce Nauman, White Alphabets di Ja-sper Johns o Pool With Reflection of Trees & Sky di David Hockney. Alcune camere dell’albergo si raggiungono invece con una monorotaia che sale in cima a una collina boscosa e che conduce alla vasca ovale di Tadao Ando (dove hanno accesso solo gli ospiti dell’albergo). La collaborazione con l’archistar giapponese si è via via consolidata negli anni e fino a oggi ha portato alla realizzazione di sette strutture a Naoshima, tra cui anche il Chi-chu Art Museum (chichu significa sotto terra): una struttura costruita in cima alla collina e ap-punto interrata, con grandi cortili e lucernari sui soffitti. Al livello più basso si ammira un’installa-zione dello scultore americano Walter De Maria composta da una grande sfera di granito, mentre al piano superiore tre composizioni di James Turrell culminano con l’opera Open Sky, dove i visitatori possono sedersi su panchine di pietra per ammira-re il cielo incorniciato dall’architettura. Ma il vero

tesoro del Chichu Art Museum sono i cinque di-pinti della serie Water Lilies di Claude Monet. Uno dei migliori esperimenti di integrazione tra architettura e natura è rappresentato dal Lee Ufan Museum che alle pendici di una collina, con vi-sta mare, è dedicato al lavoro dell’artista coreano dagli anni Settanta in poi. Con una passeggiata si arriva nel quartiere di Honmura, sulla costa orien-tale dell’isola, dove è in corso l’Art House Project: gli artisti chiamati scelgono una delle case abban-donate e la rendono un luogo d’arte in dialogo con il quartiere; i visitatori, passando dall’una all’altra, sono obbligati a mescolarsi con i locali e a condi-videre con loro alcuni momenti. Prima di lasciare Naoshima meritano una visita (e un “tuffo”) anche i bagni I love 湯 dell’artista Shinro Ohtake, ispirati ai tipici bagni pubblici giapponesi. Per visitare le altre due isole del sito bisogna prendere il traghet-to: su Teshima le visioni creative degli artisti Rei Naito e Ryue Nishizawan sono riunite nel Teshi-ma Art Museum, una struttura a forma di goccia d’acqua, costruita sul terrazzamento di una col-tivazione di riso che affaccia sul Mare interno di Seto.Solo quando avrete riempito gli occhi del verde degli alberi, dell’azzurro dell’acqua e del grigio del cemento e avrete soddisfatto la vostra voglia di isolarvi dalla città potrete fare ritorno verso il Giappone dei treni ad alta velocità e ricollegarvi al Wi-Fi.

di Carolina Saporiti

Paese con una storia e una cultura ricchissime alle spalle, oggi il Giappone è tra le nazioni più tecnologiche al mondo. Ma esistono tre piccole isole dove i visitatori sono pochi, le opere d’arte numerose e la la popolazione locale vive ancora di pesca come decenni fa. Lasciate a casa il cellulare e godetevi il magnifico spettacolo del Benesse Art Site Naoshima con vista sul mare interno di Seto.

LE ISOLE DELL’ARTE

OVERSEAS OVERSEAS

02

03

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01. I Kimbab sono

rotolini di riso bianco,

nero o integrale avvolti

da un’alga e ripieni di

carne, pollo, tonno e

verdure. Il ristorante

Bab propone anche la

variante vegetariana.

Non sarà questa l’eredità più importante che l’Ex-po appena concluso ha lasciato a Milano e all’I-talia, ma sicuramente tra i suoi meriti c’è anche quello di aver permesso a milioni di visitatori di scoprire una complessa varietà di Paesi e culture lontane e, perché no, di aver messo a portata di forchetta e coltello tanti sapori pressoché scono-sciuti. Tra le esperienze gastronomiche più rive-latrici dei sei mesi di Esposizione Universale c’è senza dubbio quella offerta dal Padiglione della Corea, uno dei più tecnologicamente innovativi e con uno dei ristoranti più celebrati. Del resto la cucina coreana sta vivendo nel nostro Paese un’a-tipica primavera in ritardo: se all’estero i ristoranti coreani rientrano tra le scelte più diffuse e ap-prezzate, da noi l’innegabile “strapotere” di Cina e Giappone ha cominciato solo in questi ultimi anni a lasciare spazio ad altri profumi e sapori d’Oriente.Una cucina con più di duemila anni di storia ha ovviamente molto da raccontare: riso, verdure, pesce e carne, ingredienti alla base della maggior parte delle cucine orientali, trovano una fortissi-

ma identità nazionale grazie all’utilizzo di tecni-che secolari, come la cottura in pentola d’argilla (il cosiddetto tukbaege) o l’adozione della fermenta-zione, vero e proprio cardine della gastronomia coreana. Antiche metodologie che sembrano (per ora) resistere ai venti di cambiamento perfino a Milano, da sempre città di contaminazioni e reinterpretazioni quando si parla di cibo. Attivo in zona Città Studi dal 1986, Ginmi è il primo ristorante coreano aperto a Milano: una vera e propria trattoria dove non è difficile ritrovarsi a essere gli unici italiani presenti in sala, segno di una qualità autentica invariata da quasi trent’anni. Portata simbolo del ristorante è il Ginmi Bulgogi, ricchissimo piatto (da dividere in due o tre perso-ne) composto da manzo, maiale e pollo marinati, accompagnato da una ricca porzione di kimchi, il cavolo fermentato che è anche il contorno più ce-lebre e consumato in tutta la Corea. Che la cucina coreana sia un’evoluzione diretta della sua storia politica e sociale lo si capisce anche da un altro piatto tipico, il kimbab, involtino di riso stufato e verdure avvolto esternamente da una morbida

01

02. Il Bibimbap

viene preparato

mescolando riso,

verdure di stagione,

carne, uova e salsa

piccante in una grande

ciotola: è considerato

un pasto completo

ed equilibrato. Al

Ristorante Coreano

Hana lo si può trovare

in 3 diverse tipologie.

alga. Se questo roll vi ricorda i maki giapponesi non siete poi tanto lontani dalla verità: il kimbab nasce in seguito all’occupazione nipponica del Paese di inizio Novecento e oggi è una delle pre-parazioni tipiche quando si organizzano i picnic all’aperto. Dedicato a questo piatto, vero cibo di strada, il ristorante Bab è un piccolissimo locale in zona Moscova che propone tante versioni del roll coreano, tra cui spiccano, oltre ai tradizionali con verdure o tonno, anche quelli con carne piemon-tese selezionata. Ha un appeal molto più euro-peo e continentale Hana Restaurant, che nella sua nuova centralissima sede di via Mazzini presenta una cucina tipica per tutti i pasti della giornata: tra le specialità del locale c’è infatti la proposta a pranzo del Dosirak, una vaschetta, simile al bento giapponese, che è possibile riempire scegliendo tra i cibi disponibili, tutti freschi e veloci. Il risto-rante dispone anche di un lungo bancone dove si servono i tipici tè allo zenzero o alle arachidi, ma anche cocktail coreani e dolci di produzione pro-pria. La dieta coreana non può ovviamente pre-scindere dal riso: il bibimbap è uno dei piatti più

famosi e consumati, tanto che in patria ogni città lo reinterpreta in maniera originale. Il bibimbap, letteralmente “riso mescolato”, è un piatto di riso bianco, condito con salse a base di impasto di soia fermentata al quale vengono aggiunti numerosi ingredienti, come verdure, frittata, straccetti di carne e un lucido tuorlo d’uovo a decorare il tutto. A Milano il ristorante Lee’s offre una vasta scel-ta di queste ciotole di riso, in un ambiente molto pop (anzi, k-pop) dove a dominare sono gli inter-ni colorati e la gentilezza orientale dei proprietari. Si chiama invece Noodle House il ristorante che ci introduce a due capisaldi dei pasti rapidi della tradizione povera coreana: la pasta e le zuppe. Il menu del locale comprende la piccante jjamp-pong, zuppa con frutti di mare e spaghetti freschi, il ramyun con uova e il jajangmyeon, spaghetti freschi accompagnati da lonza di maiale e salsa di soia nera. Il cibo coreano implica sempre qualcosa di “altro”: è simbolo, armonia, perfino guarigione, concetti che nella lingua locale sono riassunti dal termine “hansik”. Il futuro dell’alimentazione pas-sa proprio da qui.

di Filippo Spreafico

Millenaria, salutare e in costante evoluzione: la Corea sfodera una tradizione gastronomica antica di duemila anni, ma modernissima nella sua ricerca di armonia ed equilibrio. I suoi profumi arrivano finalmente anche a Milano.

HANSIK, LA CUCINA DEL FUTURO

FOOD FOOD

02

la fermentazioneConcetto alla base della cucina coreana, la fermentazione è una tecnica che consente di trasfor-mare gli zuccheri presenti negli alimenti, che diventano più saporiti ma anche più nutrienti, facili da digerire e a lunga conservazione. La fermentazione viene effettuata all’interno di giare di terracotta gra-zie all’azione combinata di diversi alimenti: il kimchi ad esempio viene realizzato con aglio, sale, frutti di mare e peperoncino.

indirizzi Ginmivia Giovanni Paisiello 7Babvia San Marco 34Ristorante Coreano Hanavia Giuseppe Mazzini 12Lee’sviale Lombardia 32Noodle Housevia Nicola Antonio Porpora 167

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HI TECH

Cuffie #hearon da

scegliere e indossare in

sintonia con il mood e

la personalità. Da Sony.

Estremamente hi-tech. Come “estrema”, dal pun-to di vista geografico, è per noi quell’area del mondo da cui proviene l’elettronica di consumo più innovativa degli ultimi anni. E non solo. Chi ha qualche anno sulle spalle, ricorderà forse i pri-mi viaggi turistici di qualche parente un po’ più libero e avventuroso, che già nei primi anni Set-tanta tornava a casa con qualche acquisto per sé (o regalo su commissione) di meraviglie tecnolo-giche, in particolare “made in Japan”, in Italia an-cora difficili da trovare o molto costose. La tecno-logia digitale era ancora di là a venire, ma ricordo ancora l’emozione da unico nipotino maschio nel ricevere una fotocamera Yashica semiautomatica, comprata nel Paese del Sol Levante. Oltre al Nord America, infatti, è il Far East il luo-go del pianeta da cui ci sono arrivate le maggiori soddisfazioni in termini di tecnologia avanzata, innovativa, in molti settori produttivi, dall’auto all’audio/video, per citare solo due casi emblema-tici. Alle spalle, spesso, c’è un’importante tradi-zione industriale, almeno per ciò che riguarda i colossi nipponici.

Il boom, naturalmente, è soprattutto degli ultimi due decenni, quando Giappone e Corea del Sud hanno conquistato importanti quote del mercato europeo, a suon di brevetti e prodotti “disruptive” nella consumer electronics e nelle novità per il mercato professionale. Marchi come Sony, Canon, Nikon, Panasonic, Nec, e naturalmente Samsung e LG, hanno fatto scuola, affiancati nelle ultime sta-gioni dalla parte più creativa dell’industria cinese, emencipata dal suo ruolo di “fabbrica del mondo” per assumere quello più impegnativo di leader dell’innovazione in alcuni settori strategici (vedi ad esempio Huawei nella telefonia mobile).Esiste uno specifico della tecnologia che viene dall’Estremo Oriente? In un mondo globalizzato, in cui tutti i player giocano contemporaneamente su tutte le scacchiere, la risposta è inevitabilmente “no”. Se proprio un tratto comune lo si vuole evi-denziare, va cercato forse nella grande determina-zione che caratterizza (e premia) molti progetti industriali nati all’ombra del continente asiatico. Da questo punto di vista, è altamente probabile, ne vedremo ancora delle belle…

di Paolo Crespi

Schermi OLED, computer convertibili, smartwatch, fotocamere mirrorless, cuffie urban cool... Sotto l’albero sono molte, anche quest’anno, le novità made in Giappone e Corea. Ecco perché.

I REGALI TECH CHE VENGONO DALL’EST

Xmas techIdee regalo dall’Estremo Oriente da mettere sotto l’albero.

Panasonic - HC-WX970

Progettata per registrare immagini in 4K, la nuova

cam giapponese ha una piccola videocamera

aggiuntiva accanto al display: serve a riprendere da

più punti di vista o associare una narrazione.

www.panasonic.com

LG - 55EG920V

È il primo smart tv OLED, curvo, da 55”, con risoluzione 4K.

Dal design elegante e super sottile (4,8 mm nel punto più sottile), ha base

trasparente e cornici quasi invisibili.

www.lg.com

Canon - EOS M10

Il meglio della fotografia senza specchio, in un

corpo macchina ridotto, con funzionalità Wi-Fi e

obiettivo standard stabilizzato.

www.canon.it

Samsung - Gear S2

Look moderno e minimalista per la

versione Silver White o per quella

Dark Grey del nuovo smartwatch

Samsung. Con facile accesso ad

app (meteo, agenda, musica…) e

notifiche.

www.samsung.com

Toshiba - Satellite Radius 12

Il primo notebook convertibile da 12,5” con schermo 4K Ultra

HD. Le innovative cerniere ruotano a 360°, permettendo di

scegliere tra cinque diverse inclinazioni del display.

www.toshiba.it

HI TECH

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STYLE

Compie ottant’anni Sealup, il marchio di impermeabili e capispalla simbolo della sobria eleganza del capoluogo lombardo, che può vantare tra i testimonial spontanei persino la first lady Jacqueline Kennedy nei primi anni Sessanta. Abbiamo incontrato il CEO Filippo Chiesa, terza generazione di quest’azienda di famiglia.

di Giuliano Deidda - foto di Fabrizio Scarpa

FILIPPO CHIESA

RAINWEAR ALLA MILANESE

STYLE

Dagli anni Novanta, Sealup si è confer-mata azienda leader nella realizzazione di rainwear e outerwear di lusso, pro-ducendo per le migliori griffe mondiali e continuando a consolidare la propria collezione grazie a un design moderno e pulito, unito a innovazioni tecnologi-che, come il taglio al laser e il termoa-desivato, in grado di rendere eccellenti le performance dei capi. Non è un caso che l’ultima partnership d’eccezione, tuttora in corso, sia con Comme Des Garçons, per una capsule in vendita in selezionatissimi negozi della griffe. Come definirebbe lo stile milanese, nel quale Sealup si identifica orgogliosa-mente?Sealup nasce nel cuore di Milano, in via Bronzetti. Oggi la sede non è più in città, ma siamo comunque radicati in Lombardia. Il nostro quartier generale è a Lomazzo in provincia di Como e la fabbrica a Calusco d’Adda, nel berga-masco. La nostra tradizione è dunque milanese al 100%, il che significa che il nostro DNA è nel design, moderno e pulito, ma molto individuabile. Da sempre in città si respirano un’estetica e una cultura, che vengono facilmente assorbite anche da chi non è nato qui, ma ha scelto di viverci. Del resto anche lo spirito di accoglienza fa parte del-la nostra città. L’aspetto più evidente dell’estetica meneghina è la sobrietà, che nasconde al suo interno alcune ric-chezze segrete, basti pensare ai bellis-simi giardini interni di alcuni palazzi. In ciò l’estetica di Sealup si rispecchia perfettamente. L’estrema linearità este-riore dei nostri capispalla racchiude infatti preziosi dettagli legati all’inno-vazione, come il termoadesivato.La vostra storia è stata caratterizza-

ta da un’evoluzione solida e costante che vi ha permesso di superare senza difficoltà la recente crisi. Come ci siete riusciti?Sealup realizza capi di qualità, quindi non ci siamo mai mossi dall’Italia. Il lusso si produce nel nostro Paese, così come gli orologi si fanno in Svizzera, non c’è molto da aggiungere. Sappia-mo creare capi il cui valore è ricono-scibile a distanza. Dal 2013 abbiamo reintegrato la parte industriale della produzione, grazie all’apertura del-la fabbrica a Calusco d’Adda. È stata una scelta felice e fondamentale per il controllo della qualità. Abbiamo fatto questa mossa in un momento nel quale molti produttori chiudevano, e questo ha fatto sì che riuscissimo a reclutare la manodopera migliore della zona. In questo momento c’è una tendenza da parte delle griffe a tornare a produrre nel nostro Paese, ma i nostri distretti sono stati decimati. L’export pesa per l’80% sul vostro bu-siness. Quali sono i Paesi sui quali puntate maggiormente? Conformemente alla nostra strategia, che punta su un tipo di espansione dal-la velocità trattenuta, ma che garantisca sostenibilità qualitativa e continuità, abbiamo investito soprattutto sui mer-cati maturi, che sono più difficili ma più stabili. Quelli che ci danno maggio-ri soddisfazioni sono Stati Uniti, Giap-pone, Germania e Paesi nordici. Sull’I-talia e la Gran Bretagna, invece, c’è da combattere al momento: nel primo caso stiamo ancora subendo i postumi della crisi, nel secondo c’è un problema di diffidenza del mercato inglese, che privilegia i brand storici locali.Come mai non esiste ancora una bou-

tique monomarca Sealup?Aprire un flagship store è qualcosa su cui, ovviamente, stiamo lavorando. Ci sono parecchi elementi sui quali ragionare prima di avviare un’iniziati-va del genere, perché il negozio deve avere qualcosa da dire, ma deve an-che vendere. Cominciare da Milano in questo momento vorrebbe dire avere un’importante vetrina, ma il ritorno economico immediato sarebbe incer-to. Dovessi aprire un monomarca oggi sceglierei Londra, che vanta un bacino d’utenza strepitoso. Per quanto riguar-da l’e-commerce, invece, sempre più rilevante, abbiamo deciso di affrontarlo esclusivamente attraverso il nostro sito, anche se potremmo fare un’eccezione con Mr Porter.La ricerca è ciò che fa la differenza nelle vostre collezioni. Come la svi-luppate?Il nostro centro ricerche lavora esatta-mente come le case automobilistiche, realizzando prototipi e concept, in si-nergia con i nostri fornitori di tessuti, perché i nostri capi devono essere ap-prezzati e capiti dal consumatore. Di recente abbiamo iniziato a lavorare con dei produttori di tessuti giapponesi, i quali, oltre a essere tecnologicamente avanzati, utilizzano vecchi telai che permettono dei risultati unici.Ci sono all’orizzonte delle novità per Sealup?Stiamo ragionando sullo sviluppo indi-pendente della collezione femminile, in modo che non sia un semplice adat-tamento di quella uomo. Si tratta di un mercato da riesplorare. Vorremmo coinvolgere un grande giovane talento e lasciargli spazio e questo potrebbe essere il momento giusto.

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Lo zaino in versione premium? Realizzato in pelle, con dettagli pratici e adatti a ogni momento della giornata.

Serapian

Zaino in vitello cachemire.

it.serapian.com

STYLE

CRAFT QUALITY

di Luigi Bruzzone

Lo straordinario lavoro degli artigiani Berluti al servizio del designer Alessandro Sartori: il risultato è una collezione moderna e innovativa proposta per l’inverno 2015 dalla maison di calzature, che quest’anno ha compiuto 120 anni.

On shoulders

STYLE

moreschiBeatle in vitello anticato con fori ornamentali e suola extralight.

berwichPantaloni con tasca americana in lana fantasia check.

c.p. companySciarpa fantasia jaquard.

at.p.co.Dolcevita in lana bicolore.

Almala

Zaino in pelle con rifiniture in canna di fucile.

www.almala.it

Campomaggi

Zaino in pelle tinta in capo.

www.campomaggi.it

Brunello Cucinelli

Zaino in pelle con spallacci imbottiti.

www.brunellocucinelli.com

Timberland

Zaino in pelle con borchiette in metallo.

www.timberland.it

Calvin Klein Jeans

Zaino in pelle martellata.

www.calvinklein.com

Marc by Marc Jacobs

Zaino in pelle con spallacci regolabili.

www.marcjacobs.com

Jil Sander

Zaino in vitello stampato con chiusura zip.

www.jilsander.com

Eastpak

Zaino in pelle con dettagli metallici.

www.eastpak.com/it-it

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la zona nord e lo show-room di corso Sempione angolo Ferrucci, che è il bi-glietto da visita più prestigioso con cui ci rivolgiamo alla città. In primavera, in occasione del lancio del primo SUV Jaguar la F_Pace, apriremo un nuovo impianto nei pressi di p.le Firenze.E la gamma Jaguar Land Rover ?Potremmo parlarne a lungo... Land Rover è oggi il marchio 4x4 leader nel segmento premium, senza perde-re un grammo delle capacità off-road dei suoi veicoli. Il design di Evoque ha fatto scuola ed è l’auto più imitata e desiderata del segmento. Jaguar incar-na invece la britishness più pura, con un carattere sportivo, che oggi si apre anche agli utenti business con le nuo-ve XE ed XF, anche grazie alle formule finanziarie e di renting innovative. Ba-sti pensare che sulla nostra berlinetta 2.0 ds, la Jaguar XE, offriamo di serie la manutenzione completa per tre anni senza alcun limite chilometrico, unica azienda nel settore. Senza escludere i rabbocchi di AD blue e le spazzole dei tergicristalli.

luci LED, sedute confortevoli dove po-ter lavorare nell’attesa di un tagliando, e spazi ariosi. Tutto ruota intorno al cliente per farlo sentire a suo agio.Sembra di capire che la soddisfazione del cliente sia un tema molto impor-tante...Il nostro gruppo rappresenta nove case automobilistiche e gestisce 12 filiali, sotto l’egida mobility.it, ma al di là dei numeri per noi sono fondamentali le persone. Quando parliamo di persone intendiamo i nostri clienti ma anche i nostri collaboratori, che ogni giorno infondono energie e passione per cre-are esperienze positive in chi ha scelto di servirsi da noi. Misuriamo la sod-disfazione dei clienti tutti i giorni sia in modo “numerico”, con questionari erogati tutti i giorni, ma anche con il costante dialogo e confronto. Ci parli un po’ della città di Milano e della vostra organizzazioneIn città siamo presenti con tre impianti: la sede di Via Mecenate, che si estende su oltre 5mila mq, la Filiale di via La-rio 34, storico punto Land Rover nel-

Sappiamo che è in corso una nuova iniziativa. Ce la può raccontare?La nostra azienda ha ricevuto un for-te mandato dalla casa madre, Jaguar Land Rover Italia SpA, con la richie-sta di presidiare e servire in esclusiva il territorio di Milano: per noi è una grande opportunità e anche una grande responsabilità. Si tratta della città – au-tomobilisticamente parlando – più im-portante d’Italia, dove si detta legge in termini di tendenze e sperimentazioni. Per poter interpretare al meglio questo mandato abbiamo deciso di partire con un profondo rinnovamento del nostro impianto di via Mecenate che è stato riprogettato interamente, con una vi-sione incentrata sul cliente e le sue ne-cessità.Oltre alla nuova corporate image della casa avete anche innovato altri aspetti?Certo, l’involucro è importante e rap-presenta il biglietto da visita più evi-dente, ma solo approfondendo si coglie l’essenza del lusso in chiave british: nulla di gridato, ma materiali pregiati,

Abbiamo intervistato Saul Mariani, amministratore delegato della concessionaria esclusiva Jaguar e Land Rover per la città di Milano.

LARIO MI AUTO, ambasciatore Jaguar e Land Rover per Milano

indirizzi LARIO MI AUTOcorso Sempione ang. Via Ferrucci 2 via Lario 34via Mecenate 77

ADVERTORIAL

Per più di 20 anni

Schedoni ha realizzato

gli interni della

monoposto da corsa

Ferrari. L’uso della pelle

per il rivestimento del

sedile crea un effetto

grip che aumenta la

sensibilità di guida.

Delle loro valigie la casa del cavallino rampante se ne innamorò perdutamente nel 1977, quando per aiutare il cognato in partenza per un viaggio e disperato per l’impossibilità di trovare dei bagagli che stessero nella sua nuova Ferrari 308, Mauro Schedoni realizzò il primo set di valigie su mi-sura. Entusiasta, il cognato di Schedoni mostrò il risultato a un suo amico speciale, il direttore commerciale dell’azienda di Maranello, e così tut-to ebbe inizio. Da quel primo fortunato esperi-mento di borse su misura ne sono passate parec-chie: non solo per Ferrari, ma anche per Bentley, Lamborghini, Rolls-Royce, Pagani… E pensare che le radici dell’azienda affondano in un piccolo laboratorio di scarpe aperto nel 1880. Ma come si lavora in tandem con marchi come questi? “C’è una collaborazione stretta con i reparti design delle varie case – spiega Simone, figlio di Mauro, quarta generazione in azienda – Spesso veniamo coinvolti quando la vettura è ancora in fase di sviluppo. Ve-diamo il bagagliaio e cerchiamo di capire come sud-dividere lo spazio, quanti e quali pezzi inserire. Dopo di che facciamo delle proposte di caratterizzazione che vanno dalla scelta dei materiali, al posiziona-mento del logo, di una tasca o di una cucitura”. Una

volta approvato tutto si parte con la creazione del campione, che verrà presentato insieme all’auto-mobile. “La valigeria è un’arte in via di estinzione”, racconta Simone. “Fino a 30 anni fa in questa zona eravamo in tantissimi, oggi siamo rimasti 4 o 5. La nostra è una produzione artigianale su larga scala: ogni anno realizziamo circa 600 set di valigie, ognu-no diverso dall’altro. Essere artigiani ci permette di essere flessibili e di gestire ogni richiesta”. E i deside-ri dei clienti possono essere davvero bizzarri: c’è chi vuole personalizzare gli interni della propria auto usando cashmere, chi denim, o ancora pel-li di alligatore e squalo. Pur avendo realizzato gli interni per alcuni modelli, come la Pagani Zon-da e, dal 1983 al 2005, per la monoposto Ferrari, tendenzialmente Schedoni si occupa della scelta e del taglio delle pelli, che poi vengono trattate da aziende specializzate. Con poco meno di 50 dipendenti, Schedoni è un’azienda “rosa”: “Da noi lavorano molte donne, hanno maggiore attenzione al dettaglio, per noi fondamentale: non possiamo sba-gliare il colore di un filo o un ricamo. Per questo pro-duciamo in Italia, ci piace avere tutto sotto controllo e ci rende orgogliosi: saper lavorare la pelle un tempo rendeva il nostro Paese unico al mondo”.

di Elisa Zanetti

Un tempo fiore all’occhiello del made in Italy, oggi la valigeria rischia di scomparire, ma non a Modena, dove l’azienda Schedoni si è specializzata nella produzione di valigie per automobili di prestigio.

LOST AND FOUND

WHEELS

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Il salotto secondo

Zanotta: uno spazio

dove convivono pezzi

di design di tutti i

tempi, dallo sgabello

Mezzadro di Castiglioni

fino alle ultime

proposte del celebre

brand italiano.

Con l’arrivo della stagione fredda la casa ridiven-ta la vera protagonista della vita di tutti i giorni. Dopo il lavoro, in una giornata uggiosa o in un gelido weekend invernale, la propria abitazione è il luogo in cui godersi la compagnia di amici e pa-renti o semplicemente rilassarsi, magari leggendo un buon libro. E qual è il posto migliore per farlo? Qual è il centro della casa in queste occasioni? Per i sempre più numerosi cuochi in erba sarà cer-tamente la cucina o la sala da pranzo, ma per la maggior parte delle persone il cuore della casa è – e sempre sarà – il salotto. Moderno, contem-poraneo, shabby chic o nordico che sia, ciascuno ha una sua personalità dettata principalmente da forme, stili e colori degli oggetti presenti e dal proprio gusto personale. E seppure non esista una ricetta universale per comporre una zona living partendo da zero, esistono alcuni oggetti che sono legati a stretto giro con questa stanza e che ne incarnano perfettamente l’archetipo. Il divano è il protagonista assoluto: comodo, morbido e acco-gliente, perfetto per rilassarsi e passare ore a sol-lazzarsi di fronte al suo alter ego tecnologico per eccellenza. Parliamo proprio del televisore e sep-pure molti possano storcere il naso, è entrato di prepotenza nella vita “casalinga”. Se da un lato si

è evoluto dal punto di vista tecnologico, dall’altro anche l’estetica è radicalmente cambiata negli ul-timi anni, come nel caso del nuovo televisore pro-gettato dai fratelli Bouroullec per Samsung, che unisce a un cuore altamente tecnologico un de-sign raffinato e tipico dello stile del duo francese. Immancabili in un salotto che possa definirsi tale, poi, sono una poltrona confortevole, come la Egg Chair progettata da Arne Jacobsen per Fritz Han-sen o iconica come la D.153.1 di Gio Ponti per Molteni e la lampada, sua fidata compagna che, con molteplici forme e dimensioni, da pavimento o a soffitto, da tavolo o a parete accompagna ogni buon libro. Collegamento ideale tra questi oggetti è un articolo sempre più spesso assente, ma che dovrebbe invece rappresentare un must-have in ogni casa contemporanea: il tappeto. Esistono tan-te proposte interessanti per ogni gusto, da quelli coloratissimi in lana della danese Hay, ai più clas-sici – seppur rivisitati – tappeti creati dagli artigia-ni di Golran che quest’anno si sono aggiudicati il prestigioso Wallpaper* Design Award con la col-lezione Lake. E dove appoggiare il proprio libro preferito? Non può certo mancare una libreria. Magari modulare e di design, che faccia da corni-ce al momento più atteso della giornata. Il relax.

di Davide Rota

Il salotto è il vero cuore della casa, soprattutto quando fuori il tempo non è clemente. Ma come si può creare un buon soggiorno, confortevole e accogliente? Bastano pochi semplici elementi e il gioco è fatto.

RELAX IN CASA

DESIGN

A ognuno il suoSei elementi indispensabili, ma un’infinità di possibilità.

Golran - Lake

Lake è la nuova collezione di tappeti Golran che ha

ricevuto numerosi premi in giro per il mondo.

www.golran.com

Fritz Hansen - Egg Chair

La celebre poltrona nata negli anni Cinquanta

per mano del designer Arne Jacobsen.

www.fritzhansen.com

Samsung - Serif TV

La collezione di schermi e televisori progettati dai fratelli Bouroullec per essere

appoggiati ovunque, anche sul pavimento.

www.samsung.com

Moroso - Bold

Il nuovo divano di Patricia Urquiola caratterizzato da linee

semplici ed equilibrate.

www.moroso.it

Foscarini - Colibrì

Una lampada da terra con corpo

illuminante mobile, che il designer

Odoardo Fioravanti ha progettato

per facilitare la lettura dei libri.

www.foscarini.com

Cassina - Infinito

Una libreria progettata nel 1956 da Franco Albini,

componibile e modulare, costituita da montanti e

moduli contenitore.

www.cassina.com

DESIGN

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01. Le casette colorate

sono uno degli elementi

più caratteristici del

centro della città.

Quando si giunge a Innsbruck ci si rende conto del vero valore dei cosiddetti “rigore e precisione austriaci”: il capoluogo del Tirolo Settentrionale è infatti un piccolo gioiello di antico e moder-no incastonato tra l’imponente catena montuosa Nordkette, posizione che gli è valsa in passato la possibilità di essere il cuore pulsante di ben due Olimpiadi Invernali. Se il suggestivo paesaggio naturale è una garanzia di divertimento per gli amanti degli sport outdoor, la vera sorpresa è tut-to ciò che offre la città stessa. Nata inizialmen-te come colonia romana, è stata poi sede degli Asburgo del Tirolo dal XIV al XV secolo, scelta che ha condizionato l’accuratezza dello sviluppo cittadino anche nei secoli successivi. Fiore all’oc-chiello della città è tutto il centro storico, con i

suoi palazzi colorati dallo stile Tardo Gotico e Ro-cocò, dalle cui facciate spuntano spesso le insegne in ferro battuto dei negozi, quasi a ricordare un antico passato.Una volta raggiunta la centralissima e ciottolosa Herzog-Friedrich-Strasse, la tendenza è quella di passeggiare per Innsbruck con il naso all’insù. Lo scopo? Ammirare non solo le montagne che sembrano spuntare da dietro ai palazzi ma anche, per esempio, i 56 metri della torre civica dell’Al-tes Rethaus, l’antico municipio risalente al 1442, come pure i leggeri stucchi rococò a colori pastel-lo della Casa Helbling, o il palazzo Hofburg, scel-to non a caso come residenza estiva della famiglia imperiale austriaca e circondato da un bellissimo parco-giardino. Si dice che uno dei simboli più

01

02. Il trampolino

Bergisel dell’archistar

Zaha Hadid, utilizzato

durante le Olimpiadi

invernali.

rappresentativi della città sia il Goldenes Dachl, il Tettuccio d’oro (struttura dotata di un tetto co-perto da 2657 tegole di rame dorato a fuoco), bal-cone-finestra del palazzo residenziale di Massimi-liano I d’Asburgo, fatto costruire dal sovrano per celebrare le seconde nozze con la milanese Bianca Sforza. Senza nulla togliere all’opera di Niklas Türing, sicuramente un altro luogo può catturare l’attenzione e l’olfatto di un visitatore: la più an-tica locanda d’Austria, l’Aquila d’oro, aperta nel 1390. Passarono da qui nomi illustri come Mo-zart e Goethe per gustare il Tiroler Zopfbraten, un piatto della tradizione austriaca che sembra non trovarsi da nessun’altra parte, fatto di carne di vitello presentata sotto forma di trecce e condi-ta con una salsa alle erbette. Rimanendo in tema culinario ma cercando di soddisfare i palati più raffinati, la famosa guida Gault Millau 2015 se-gnala come tempio gourmet cittadino la trattoria Alfred Miller’s Schöneck. Una volta appagata la gola è il momento di soddisfare anche lo sguardo osservando il capoluogo tirolese dall’alto: lo si può fare salendo in quota grazie alla Nordkettenbahn, la funicolare dal design ultra moderno realizzata dall’archistar anglo-irachena Zaha Hadid, la stes-sa che sta operando nel nuovo progetto CityLife di Milano. Prima di toccare quota 1905 metri, la

funicolare compie fermate intermedie all’Alpen-zoo, lo zoo tematico più alto d’Europa, e al mer-catino di Natale panoramico di Hungerburg. La vista migliore però si ha a fine corsa sulla terrazza dell’Alpenlounge Seegrube, locale che alla sera si trasforma in un suggestivo rifugio per l’aperitivo con vista sulle Alpi.Ma Innsbruck è famosa anche per il suo Swa-rovski Kristallwelten, il museo dei cristalli situato nella vicina Wattens. Nato nel 1995 per celebrare i cento anni del noto marchio austriaco, è stato da poco rinnovato. Una volta entrati nelle cinque Camere delle Meraviglie si verrà letteralmente incantati dai luccichii, dai riflessi e dalle forme delle opere realizzate utilizzando spesso miglia-ia di cristalli. Degna di nota l’opera chiamata la Nuvola di Cristallo, creata dallo studio artistico Cao-Perrot, con i suoi 800 mila cristalli inseriti a mano. Se non si è trovato al museo però nessun souvenir da portare a casa, non bisogna disperare: a partire dal 15 di novembre il centro storico di Innsbruck si trasforma in un enorme villaggio di Natale, con un’infinità di bancarelle piene di pro-dotti di artigianato locale, candele di ogni forma e qualsivoglia leccornia. Pare, infatti, che lo stesso Babbo Natale sia stato avvistato da queste parti per le dimenticanze dell’ultimo minuto.

di Andrea Zappa

A circa quattro ore di macchina da Milano, Innsbruck rappresenta una meta ideale per gli amanti della montagna, della cultura e dello shopping, soprattutto quello natalizio, fatto di mercatini e prodotti artigianali. Da metà novembre il centro cittadino si trasforma in un enorme villaggio di Natale, sotto il luccichio di un albero addobbato da 170 mila Swarovski.

LA CITTÀ DEI CRISTALLI

WEEKEND WEEKEND

sul webwww.tirolo.comwww.innsbruck.info/itwww.kristallwelten.swarovski.com

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01. Nel 2017 Paphos

sarà capitale della

cultura. La città

ospita importanti siti

archeologici. Nella foto

un colonnato ionico.

A sole tre ore di distanza dall’Italia, grazie ai voli in partenza ogni settimana da Milano, Bologna e Roma, anche nei mesi invernali, complice la mite temperatura, Cipro è la meta perfetta per chi ha voglia di rilassarsi, scappare dal freddo, godersi il sole e qualche tuffo in mare anche in inverno. L’isola è nascosta in un angolo di Mediterraneo ancora poco conosciuto dal turismo e merita di essere visitata prima che orde di turisti affollino le sue spiagge incontaminate. Narra una leggenda che la dea Afrodite nacque nelle acque vicino a Paphos e scelse come culla lo scoglio di Petra Tou Romiou, una grossa roccia circondata da una baia a forma di mezzaluna. Paphos, che nel 2017 sarà capitale europea della cultura, sorge sulla costa occidentale di Cipro e ospita alcuni tra i princi-pali siti archeologici del Paese, inseriti nelle liste dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco. Prende-tevi mezza giornata per visitare le Tombe dei Re, a nord della città, una grande necropoli ellenistica

e romana scavata nella roccia, un tempo luogo di sepoltura di aristocratici e alti funzionari. Rien-trati in centro, prima di proseguire con le visite, non potete non provare l’ottima cucina locale. Se siete indecisi su cosa scegliere, toglietevi il dubbio e ordinate un mezè: una selezione di diverse por-tate che vi permetteranno di apprezzare fino in fondo la varietà della cucina cipriota. Sul lungo-mare ci sono numerosi locali per lo più turistici, perciò se avete voglia di assaggiare qualcosa di ve-ramente autentico, spostatevi dalla zona portuale e addentratevi nel cuore della vera Paphos per provare il 7 St. George o il Laona, entrambi fre-quentati dalla popolazione locale. Dopo esservi rifocillati, non c’è niente di meglio che smaltire il pranzo passeggiando nel Parco archeologico di Kato Paphos, dove si trovano importanti ville pa-trizie che conservano alcuni tra i più affascinanti mosaici del Mediterraneo. L’area comprende an-che il palazzo delle Quaranta Colonne e l’antico

01

di Francesca Masotti - foto di Cyprus Tourism Organization

Divisa tra un'anima cristiana e una musulmana, crocevia di culture, Cipro, con le sue testimonianze storiche, i paesaggi mozzafiato e la vivace vita notturna, è il luogo ideale per chi vuole scoprire un Paese europeo dal fascino tutto mediorientale.

MAGICO MEDITERRANEO

WEEKEND

02. Una casa nel

centro di Nicosia. La

capitale si caratterizza

per il suo fascino

arabeggiante e

allo stesso tempo

europeo.

Foto di Alfonso

Lorenzetto.

Odeon che ancora oggi viene usato per concerti e festival estivi. Anche nel mese di novembre in città si tengono festival musicali, come l’Apollon International Chamber Music Festival, un evento imperdibile per gli amanti della musica classica che va in scena dal 12 al 15 novembre. Simbolo di Paphos è la sua Fortezza che, fino al 20 dicembre, tutte le domeniche, ospita le Musical Sundays, concerti di musica greca e classica. La calma che caratterizza di giorno la città, di notte si trasforma in divertimento e voglia di fare festa. Ayiou Anto-niou, chiamata Nightlife Street, è l'area più vivace di Paphos. Una volta qui avrete solo l'imbarazzo della scelta tra i numerosi pub dove gustare coc-ktail esotici. Se, invece, preferite qualcosa di più sofisticato il Rojo Lounge o l’Alea Cafe-Lounge Bar, entrambi in Poseidonos Avenue, sono ciò che fa per voi. Al contrario di Paphos, che si sviluppa lungo la costa, la capitale Nicosia si trova al cen-tro del Paese. In questa città spuntano minareti e palme, che le conferiscono un’aria arabeggiante, ma anche chiese ortodosse e antiche mura che le danno un tocco europeo. L’imponente cinta muraria, costruita dai veneziani nel XVI secolo, costituisce indubbiamente il monumento di mag-gior interesse della città. Al suo interno si snoda

un dedalo di viuzze dove caratteristici negozietti vendono di tutto: è il famoso quartiere di Laiki Geitonia, un tempo zona malfamata, oggi prin-cipale punto di riferimento per turisti e non solo. La vita artistica e culturale di Nicosia è molto vivace. Emblema di questo fermento culturale è il Lefkosia Municipal Cultural Center all’interno della Porta di Famagosta. Nella galleria principale si tengono concerti e spettacoli teatrali, mentre nella sala laterale vengono allestite rassegne d’arte moderna. Questo centro e le vicine gallerie han-no fatto sì che in zona siano sorti molti caffè e ristoranti alla moda, come il Bastione, costruito nelle mura veneziane, frequentato soprattutto dagli amanti della vita notturna. Per gli appassio-nati dell'arte bizantina, da non perdere il Museo Bizantino nel quartiere dell’Arcivescovado, che vanta una superba collezione di icone e mosai-ci. La capitale, come il resto dell’isola, è divisa in due. La sottile striscia di confine che taglia la città è “terra di nessuno”, gli abitanti l'hanno ribattez-zata Berlino, in ricordo del muro che divideva in due la città tedesca. Ora, però, come rammentano anche gli stemmi infissi sulle mura vicine al check point, è rimasta solo Nicosia a essere “the last di-vided capital”.

WEEKEND

02

relax in hammamDopo un’accurata restaurazione durata due anni, ha riaperto i battenti l’Omeriye Hamam, un lussuoso bagno turco, situato tra la moschea omonima e il palazzo dell’Arcivescovado, dove è possibi-le prenotare saune, massaggi, body scrub e trattamenti per il corpo.www.hamamomerye.com

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FOOD

Ingredienti per quattro persone: 4 melanzane, 2 kg di pomodori rossi maturi, 2 mazzetti di basilico, 100 gr di pinoli, 200 gr di mandorle pelate, 100 gr di capperi sotto sale, origano, 50 cl di aceto di vino bianco, 50 gr di zucchero, olio evo.

Caponata

Mondare e lavare le melanzane, taglian-dole a cubetti, e poi immergerle in ac-qua e sale per circa 15 minuti. Lavare e tagliare i pomodori a quarti e metterli in un pentolone aggiungendo basilico, origano, qualche cappero dissalato e un cucchiaio di olio extravergine di oliva. Quando il tutto è ben cotto, trasferire il composto nel passaverdura e ricavarne una salsa abbastanza densa. Porre in un frullatore la salsa e aggiungere qualche foglia di basilico. Frullare il tutto, trasfe-rire in una pentola e far cuocere la salsa a fiamma dolce per circa 15 minuti. A

questo punto risciacquare le melanza-ne in un tegame e scaldare dell’olio per poterle friggere a tocchetti. Quando sono pronte, raccoglierle con la schiumarola e metterle su un piatto foderato di carta assorbente da cucina per scolare l’unto. Trasferire le melan-zane in una casseruola capiente, ag-giungere tutti gli ingredienti, compresa la salsa di pomodoro e mescolare mol-to dolcemente in modo che si amalga-mino bene. Servire come antipasto con dell’ottimo pane.

La ricetta dello chefUn piatto che, indipendentemente dalla stagione, è sempre presente nel menu del nuovo ristorante di Filippo La Mantia.

oste e cuocoNel progetto milanese di Filippo La Mantia c’è tutto il suo mondo, compresa l’amata Sicilia che porta sempre con sé. Più che un risto-rante è un'enorme lounge di 1.800 mq che apre alle 8 della mattina e chiude all’una. Qui la clientela oltre al cibo trova le passioni del fondatore: macchine, motociclette e fotografie. Uno spazio dove venire a qualsiasi ora del giorno e della notte in cui, come dichiara lo stesso La Mantia “potersi confrontare e configurare”.piazza Risorgimento angolo via Poerio 2/A, Milanowww.filippolamantia.com

FOOD

Palermitano DOC, nella sua prima vita è stato fotoreporter di cronaca nera, poi l’amore per la cucina ereditato dalla famiglia l’ha spinto altrove. A quella di chef, preferisce la definizione di oste, ereditando dalla nonna l’ospitalità che lo ha reso famoso a Roma nella gestione del ristorante La Trattoria e, successivamente, in quella del Grand Hotel Majestic. Quest’anno si è trasferito a Milano dove ha aperto Filippo La Mantia, Oste e Cuoco.

di Andrea Zappa

FILIPPO LA MANTIA

Un insolito percorso per un “non chef” di così grande successo...Per me è iniziato tutto molto tardi e un po’ anche come una sorta di gioco. Sono un autodidatta, non ho le tecniche di chi ha fatto studi specifici o percorsi ac-cademici, mi proponevo e facevo quel-lo che avevo imparato a casa o in giro. Dopo il cous cous bar di San Vito Lo Capo, è però a Roma che ho iniziato a rendermi conto delle mie capacità con La Trattoria prima, ma soprattutto con l’esperienza al Grand Hotel Majestic, dove i numeri dei coperti iniziavano a essere importanti. Il mio successo non è legato solo alla cucina, che definirei “di casa”, ma a un mix di fattori, tra i quali anche la capacità di accogliere le persone.Qual è dunque la sue idea di ristoran-te?Oggi sono consapevole del fatto che un ristorante deve essere un insieme di tantissime cose: è un posto dove devi mangiare bene, ma attorno a un piatto, che sia uno spaghetto al pomodoro o un secondo fatto con grande maestria, occorre metterci anche un’ambienta-zione pensata, accogliente, un servizio conviviale, fatto con il sorriso. La gente ha ormai mangiato di tutto, non ha più bisogno di nutrirsi e basta, cerca altro. Prima la capitale e ora Milano. Quali

alle cinque vuole mangiarsi uno spa-ghetto, perché non glielo devo prepa-rare? La mia brigata è operativa dalla mattina alla sera.Sembra che il frullatore sia un oggetto indivisibile dalla sua persona.Sono della filosofia che non si butta via niente, odio gli sprechi e in cucina il cibo è sacro: il frullatore ti permette di utilizzare gli ingredienti che ti sono avanzati e con i quali, da soli, ci fai poco. Si può frullare tutto e realizzare, per esempio, fantastici pesti.Profumi in cucina: quale ha maggiore fascino o stimola maggiormente il suo interesse? L’agrume con il suo profumo è un ele-mento, anche culturalmente, di grande valore. Non a caso il pesto agli agrumi è uno dei miei successi. L’arancia è un frutto invernale, ma quando la mangi, la sua freschezza ti fa pensare all’esta-te. Per esempio il tè all’arancia unisce inverno e estate insieme. Con il cibo si possono generare ricordi e questa è un’ulteriore forma di dialogo attraver-so il piatto.Com’è pensato il menu?Segue le stagioni, gli unici due piatti però che non mancano mai sono la ca-ponata e la pasta alla Norma: una volta provai a toglierli dalla carta e venne giù il mondo, la clientela li reclamava.

sono le differenze tra romani e mila-nesi attorno a un tavolo? Sono due clientele completamente diverse, anche se mi hanno detto che Roma sia molto cambiata ultimamente. Il romano attorno al cibo fa tutto: un po’ come nei tempi antichi, attorno a un banchetto si organizzavano guerre, si stringevano affari commerciali e ac-cordi politici, in un’atmosfera sempre molto conviviale. Il milanese invece è più tecnico, raffinato e razionale. Si av-vicina con curiosità distaccata ai pro-getti nuovi e quindi lo devi conquista-re attraverso il cibo, ma non solo, con il design e l’ambientazione del luogo dove mangia. Come definirebbe il suo rapporto con la cucina?Totalmente sentimentale, non ci sono altri modi, non sono diventato ricco con la cucina e ho cominciato tardi, a 42 anni, ora ne ho 55. Quello che fac-cio, lo faccio ogni sera come se fosse il primo giorno e provo un vero piacere in tutto questo.Lei dice che “non bisogna mai dotare di orari chi ha fame”…Questa è la mia legge. Credo che una persona debba avere la possibilità di mangiare quando vuole e non secondo gli orari prefissati di una cucina. Da me la gente viene a qualsiasi ora. Se uno

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Quasi quarant’anni di attività, oltre 60 milioni di dischi venduti, tanti, tantissi-mi concerti in giro per il mondo e nes-suna voglia apparente di smettere con l’attività live. I Simple Minds si pre-parano così al loro tour autunnale che toccherà 13 città europee, tra cui anche Milano che sarà la loro unica data ita-liana. I numerosi fan della band scoz-zese capitanata da Jim Kerr e Charlie Burchill aspettano con ansia questa occasione, che giunge a poco più di un anno di distanza dall’Italy Summer Tour 2014 che ha visto i Simple Min-ds girare in lungo e in largo per l’Italia (sono stati a Taormina, Roma, Molfet-ta, Lignano Sabbiadoro e Ferrara) senza però fermarsi nel capoluogo lombardo.

La pubblicazione di un nuovo disco, Big Music, uscito alla fine dell’anno scorso, è il “pretesto” per tornare sui palchi dei palasport e proporre, oltre ai nuovi brani, quelli che sono i loro più grandi successi come Don’t You Forget (About Me), Alive and Kicking e Belfast Child. Il Mediolanum Forum è pronto a ospi-tare il loro nuovo show, a distanza di tre anni dalla tappa del 5x5 tour, occa-sione nella quale Jim Kerr e compagni riproposero dal vivo cinque pezzi per ciascuno dei cinque album più famosi dei Simple Minds. Un concerto entrato nel cassetto dei bei ricordi per moltis-simi appassionati del gruppo scozzese, andato sold out come probabilmente lo sarà anche questa data.

FREE TIME

Simple Minds

Mediolanum Forum - Assagoil 21 novembre www.vivoconcerti.com

Quest’estate, poco prima di partire per le vacanze, ci ha salutato dalle pubbli-cità sui tram milanesi con un “Ci vedia-mo a ottobre” e il 28 del mese scorso Barbie ha mantenuto la promessa. La campagna di promozione di Barbie. The Icon è tra quelle che rimangono facil-mente in mente, ma la mostra dedicata alla bambola più famosa del mondo e organizzata da 24 Ore Cultura – Grup-po 24 Ore presso il Mudec è un even-to al quale, a prescindere da ogni cosa, tutti gli amanti della pop culture non possono certo rinunciare. La Barbie, prodotta dalla francese Mattel sin dal lontano 1959, è un’icona globale che è diventata sinonimo di bambola per

tante generazioni di bambine in tutto il mondo (sono ben 50 le nazionalità che ha “assunto” nella sua vita), riuscendo a interpretare come pochi i cambiamenti sociali e antropologici della contempo-raneità. La mostra permette di scoprire tante curiosità sul mondo Barbie, a co-minciare dal suo vero nome (Barbara Millicent Robert, chi l’avrebbe detto?), ed è articolata in cinque sezioni pre-cedute da una sala introduttiva nella quale si potranno ammirare sette pez-zi iconici dalla sua creazione ai giorni nostri. C’è tempo fino all’inizio della primavera per gustarsi la mostra e farsi conquistare da uno dei giocattoli più famosi di sempre.

Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città nei prossimi mesi.

Da non perdere...

a cura di Enrico S. Benincasa

Barbie. The Icon

Mudec - Milanofino al 13 marzo 2016www.mudec.it

FREE TIME

Ludovico EinaudiDa poco è uscito l'ultimo album di Ludovico Einaudi, Elements, che segue a distanza di due anni il fortunato In a Time Lapse, uno dei suoi tanti successi discografici. Il tour del musicista torinese parte proprio questo mese da Parma e toccherà Milano agli inizi di dicembre, per tre date di cui le prime due – 8 e 9 dicembre – già andate sold out. Resta il 10 come unica possibilità per vederlo dal vivo in città. Teatro degli Arcimboldi - Milanol’8, il 9 e il 10 dicembrewww.teatroarcimboldi.it

Il Malato Immaginario Dopo il successo della scorsa stagione, torna al teatro di via Pier Lombardo Il Malato Immaginario di Molière per la regia di Andrée Ruth Shammah. Protagonisti della celebre pièce, voluta lo scorso anno per ricordare i 25 anni dalla scomparsa di Franco Parenti, sono sempre Gioele Dix e Anna Della Rosa, pronti a replicare gli applausi e i sold out di 12 mesi fa. Teatro Franco Parenti - Milanodal 24 novembre al 20 dicembrewww.teatrofrancoparenti.it

Daido Moriyama in ColorAlla Galleria Carla Sozzani arriva una mostra dedicata al grande maestro giapponese della fotografia in bianco e nero, Daido Moriyama. Questa volta però saranno pro-tagonisti i suoi scatti a colori: 130 fotografie tutte risalenti al periodo che va dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, dedicate per lo più a quello che è uno dei suoi temi, la strada, e che ritraggono un Giappone diverso da quello che conosciamo ora. Galleria Carla Sozzani - Milanofino al 10 gennaio 2016 www.galleriacarlasozzani.org

Nicola Evangelisti Beware è il titolo della nuova personale di Nicola Evangelisti, che arriva agli inizi di dicembre presso Area 35 Art Gallery. Curata da Arianna Grava e Olivia Spatola, la mostra è composta da opere, in parte tangibili in parte immateriali, che indagano su come morte e violenza causati dal terrorismo di matrice islamica siano veicolati dai mezzi di comunicazione. Area 35 Art Gallery - Milanodal 2 dicembre al 28 gennaio 2016www.area35artgallery.com

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NETWORK

Puoi trovare Club Milano in oltre 200 location selezionate a Milano

night & restaurant: Al fresco Via Savona 50 Angolomilano Via Boltraffio18 Antica Trattoria della Pesa V.le Pasubio 10 Bar Magenta Largo D’Ancona Beda House Via Murat 2 Bento Bar C.so Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2 Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Caffè Savona Via Montevideo 4 Cape Town Via Vigevano 3 Capo Verde Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9 Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 Dada Cafè / Superstudio Più Via Tortona 27 Deseo C.so Sempione 2 Design Library Via Savona 11 Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save The Food Via Tortona 34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 HB Bistrot Hangar Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso 11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La Tradizionale Via Bergognone 16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13 Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda 43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34 MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 - V.le Certosa 63 N’ombra de Vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina 4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Ozium t7 café - via Tortona 7 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis 33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia 28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera 37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29 - Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15 Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 Tasca C.so Porta Ticinese 14 That’s Wine P.zza Velasca 5 Timè Via S.Marco 5 Tortona 36 Via Tortona 36 Trattoria Toscana C.so di Porta Ticinese 58 Union Club Via Moretto da Brescia 36 Van Gogh Cafè Via Bertani 2 Volo Via Torricelli 16 Zerodue_Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 3Jolie Via Induno 1

stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11 Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova 6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so Venezia 1 Buscemi Dischi C.so Magenta 31 Centro Porsche Milano Nord Via

Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est Via Rubattino 94 C.P. Company C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte Dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 Fgf store Piazza xxv Aprile1 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria Verga Via Mazzini 1 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1 Le Moustache Via Amadeo 24 Le Vintage Via Garigliano 4 Libreria Hoepli Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36 Open viale Monte Nero 6 Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 The Store Via Solferino 11 Valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99

showroom: Alberta Ferretti Via Donizetti 48 Alessandro Falconieri Via Uberti 6 And’s Studio Via Colletta 69 Bagutta Via Tortona 35 Casile&Casile Via Mascheroni 19 Damiano Boiocchi Via San Primo 4 Daniela Gerini Via Sant’Andrea 8 Gap Studio C.so P.ta Romana 98 Gallo Evolution Via Andegari 15 ang. Via Manzoni Gruppo Moda Via Ferrini 3 Guess Via Lambro 5 Guffanti Concept Via Corridoni 37 IF Italian Fashion Via Vittadini 11 In Style Via Cola Montano 36 Interga V.le Faenza 12/13 Jean’s Paul Gaultier Via Montebello 30 Love Sex Money Via Giovan Battista Morgagni 33 Massimo Bonini Via Montenapoleone 2 Miroglio Via Burlamacc hi 4 Missoni Via Solferino 9 Moschino Via San Gregorio 28 Parini 11 Via Parini 11 Red Fish Lab Via Malpighi 4 Sapi C.so Plebisciti 12 Spazio + Meet2Biz Alzaia Naviglio Grande 14 Studio Zeta Via Friuli 26 Who’s Who Via Serbelloni 7

beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24 Adorè C.so XXII Marzo 48 Caroli Health Club Via Senato 11 Centro Sportivo San Carlo Via Zenale 6 Damasco Via Tortona 19 Palestre Downtown P.za Diaz 6 - P.za Cavour 2 Fitness First V.le Cassala 22 - V.le Certosa 21/a - Foro Bonaparte 71 - Via S.Paolo 7 Get Fit Via Lambrate 20 - Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda 52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera 18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy Hair Via Palermo 1 Tennis Club Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 Terme Milano P.zza Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti Tony&Guy Gall. Passerella 1

art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni 8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31

hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le Piave 42

inoltre: Bagni Vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) Terme di Pre-Saint-Didier (AO)

Se passeggiando per il centro vi doveste trovare ad attraversare vicolo Laghetto chiedendovi il perché di tale toponimo, sappiate che un tempo, proprio sotto ai vostri piedi, c’era l’acqua e che quel-la non era piazza Santo Stefano, bensì il Laghetto di Santo Stefano, punto di arrivo dei barconi che trasportavano il marmo per costruire il Duomo. Os-servate ai margini della piazza quel-lo che rimane di un antico porticato scomparso: la colonna sotto la quale nel 1476 venne ucciso Galeazzo Ma-ria Sforza, duca di Milano. Entrate poi a Santo Stefano, dove lo stesso Sforza si stava recando prima di trovare la morte, ammiratene le navate solenni, ma mi raccomando, non fermatevi lì. Quelli che vi abbiamo appena raccon-tato sono solo un paio dei segreti che questa piazza insolitamente silenziosa nasconde. Giusto a lato troverete San Bernardino alle Ossa. Forse offuscata dalla più celebre vicina, o forse sempli-

cemente meno appariscente per il suo aspetto da edificio civile e l’assenza di un sagrato, questa chiesa merita invece un’attenzione particolare. Strettamente legata ai Disciplini, ordi-ne laico dedito al culto di San Bernar-dino, la costruzione è il frutto di diversi interventi (iniziata nel XIII secolo fu completata nel XVIII) ed è composta da tre corpi distinti: la struttura cen-trale, ovvero la chiesa vera e propria, l’ambulacro e la cappella. Dalla ca-ratteristica pianta ottagonale, la chie-sa, oltre al sepolcreto dei Disciplini, ospita al suo interno la tomba di alcu-ni discendenti di Cristoforo Colombo, come ricorda la scritta: “Colon diede il nuovo mondo alla Castiglia e al Leon”. Le numerose finestre la rendono ario-sa e luminosa, in forte contrasto con l’ambulacro, il corridoio coperto che la collega alla cappella. Questa seconda parte corrisponde al nucleo origina-rio della chiesa. Numerosi ex voto ne

adornano le pareti, accompagnando il visitatore sino al cuore di San Bernar-dino: la cappella.Entratevi e non stupitevi se vi sentirete osservati. Angusta e oscura, la cappel-la rivela macabri ornamenti: le pareti sono interamente coperte da teschi e ossa, alcune di queste utilizzate per realizzare croci e decorazioni. A chi appartenessero questi resti non è dato sapere con certezza: la versione più ac-creditata ritiene fossero dei malati del vicino ospedale di Brolo o di cadave-ri esumati fra Seicento e Settecento. In visita a Milano, il re di Portogallo Giovanni V si innamorò a tal punto dell’ossario da volerne uno identico a Lisbona, se a voi però la sua vista do-vesse suggerire solo neri pensieri, non esitate ad alzare gli occhi sino alla vol-ta: fra angeli e nuvole, in un tripudio di azzurro, il Trionfo delle anime di Sebastiano Ricci saprà venire in vostro soccorso.

Fu teatro di un omicidio storico, un tempo era un lago e ora custodisce un macabro ossario. Silenziosissima seppure nel cuore della città, Piazza Santo Stefano cela fra le eleganti palazzine che la circondano enigmi lontani.

I segreti di Piazza Santo Stefano

di Elisa Zanetti - foto di Celeste Damiani su Flickr.com

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