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NUMERO 2 - GIUGNO-LUGLIO 2015 Direttore: DENIS UGOLINI …...Il calo del prezzo del petrolio dipende...

Date post: 14-Sep-2020
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Direttore: DENIS UGOLINI NUMERO 2 - GIUGNO-LUGLIO 2015 Il recente voto in sette regioni. Cinque governatori al Pd, uno alla Lega e uno al centrodestra. Partiti tutti in calo, tranne la Lega che cresce. Alleanze variopinte. Attribuzione di gran senso (e invece ce n’è pochissimo) al raffronto con le europee di un anno fa. Clamoroso (ma pare di scarsa preoccupazione) l’astensionismo, come già manifestatosi in Calabria e in Emilia-Romagna nel novembre scorso. Roma capitale “infetta”, come il Paese del resto. La politica ruota intorno a Renzi. Leader del Governo e del Pd. Sotto attacco concentrico, diffuso. Molti agguerriti avversari. I più acerrimi nemici dentro il suo stesso partito. Massima ebollizione di una politica bollita. Equilibri parlamentari squilibrati. Più di una palude. Difficile piazzare soluzioni e in tempi utili. Problemi molti, grossi e anche drammatici. Nei talkshow, nei giornali, nei network, impazza la chiacchiera, l’urlo, la sentenza. Una gara, una corrida, a chi le spara più grosse. Gran sagra di moralisti un tanto al chilo; torquemadapolpottisti di nuovo conio; tutti lapidatori autorizzati, unti. Senza macchia e senza peccato, così da poter scagliare non solo la prima pietra, ma anche tutti i sampietrini d’intorno. Dentro questa variegata e nutrita armata (dei signori quella di Brancaleone), i più ostentanti una certa qual cultura (se la suppongono?) sono quei sinistri (similcuperlini) che disquisiscono se da sinistra si fanno cose di destra. Ancora usi allo schemino ingurgitato con il biberon, senza che entrino nel merito di nulla, né dei problemi, né di come affrontarli. Troppo impegnativo; impensabile distrazione, per la loro ideologica supponenza. Se questa è politica. Se questo è il confronto, il dibattito, politico, culturale. Mutuando da Totò: “e poi dicono se uno si butta…” nel privato. Già! Dove sennò? Ma, ecco di nuovo il moto e la voglia di reazione. Unita alla consapevolezza che probabilmente serve a poco, forse niente. Però… Anche queste pagine han senso? Posson servire? Certo non entrano nella sagra chiacchierona e moralistica. Non possono interloquire, né scuotere, gli umori gastrici e i borbottii pancisti. E quindi si dirà che c’è spazio ristretto, infimo, in cui stare e a cui ri- volgersi. Destra-sinistra. Puri e non puri. Onesti e disonesti. Intorno agli schemini è la caciara che più appare e si ascolta. Ma c’è anche altro. Non è solo questo la realtà italiana. Per fortuna. Sull’onestà. L’onestà personale (che deve esserci, che occorre, in politica e non solo) non è sufficiente a risolvere i problemi. Il richiamo ad essa, da solo, come fosse quello un programma, la capacità, l’impegno esaustivi e risolutivi di tutto, non può che ricondurci a quanto Belardelli ha di recente scritto in un articolo sulla questione morale (Corriere della Sera). < Osservò una volta Benedetto Croce che la “petulante richiesta” di onestà nella vita politica è l’ “i- deale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli”. ..Croce non voleva certo fare l’apologia della disonestà in politica ma segnalare come l’appello alla onestà sia di per sé insufficiente a risolvere i mali della politica, che hanno anzitutto bisogno di rimedi – appunto – politici>. Concordo. Ecco, appunto, la politica; quella che non vuole farsi dele-gittimare, che vuole e vorrebbe riacquistare la fiducia e la credibilità, oggi, molto mancanti. Il grande astensionismo ha motivazioni in questo, non se si è di qua o di là. Grandi, gravosi problemi da affrontare, epocali questioni di assoluta difficoltà e drammaticità; un sistema politico paludoso, confuso, caotico, di scarsissima produttività; una classe politica di vastissima mediocrità. Al centro come in periferia dove ormai prevalgono cacicchi, ras, capibastoncino. E non facciamo di ogni erba un fascio, ma il grosso sta in questi connotati. Purtroppo. In un quadro simile, per quanto mi riguarda, non mi adagio (e sarebbe facile) con l’affollata schiera degli attacchi, degli avversari e dei nemici di Renzi. E non mi annovero renziano. Valuto positivamente certe azioni e certi obiettivi. Nel deserto anche il poco risalta come molto. La riforma del lavoro ha aperto strade positive. Positiva la forzatura verso i con- servatorismi, di contenuto e di pratica di azione, delle forze sociali. Positivo arrivare alla riforma della scuola. Della riforma costituzionale in discussione e della legge elettorale “italicum”, già approvata, abbiamo ripetutamente espresso le nostre critiche (non poche), ma ribadiamo ancora: vada avanti. Pena ( e peggio) restare al palo o tornare in-dietro. Una maggiore, efficace, produttività delle istituzioni, del Parlamento, del governo sono necessari. Né mancherà il nostro apprezzamento attivo all’azione di ammo-dernamento culturale e politico che è auspi-cabile, Renzi, continui a spronare , ma anche realizzare, del Pd. Avrà compreso che la “ditta” è un problema e un ostacolo a questo processo? Come anche lo sono i cacicchi locali per quanto si siano “mimetizzati” all’ultima ora? Che quel rinnovamento non può essere solo di cosmesi, di giovanilismo, di genere, di ladylike e robe simili? Riforme. Possono non piacere. Ma c’è chi ne parla e ne tenta. E c’è chi fa altro. Ai primi, non in modo acritico ed anche con qualche scetticismo, annettiamo comunque qualche speranza. Il resto, at-tualmente, sono le convulsioni a destra, ap-pannaggio del leghismo di Salvini; i vaffa moralistici degli ortotteri; i vetero “ismi “ che accozzagliano a sinistra. La forza di Renzi, però, non dipende da questo variegato “altro”, ma dalle riforme e dall’ammodernamento che riuscirà ad infondere nel Paese e nel Pd. Staremo a vedere. Se questa è politica Pag. 2 - Perchè andare a votare? Davide Giacalone Pag. 3 -Società di oggi e ruolo dei partiti Sandro Gozi Pag. 4 - Costruire una sinistra moderna Massimo Bonavita Pag. 5 - Renzi e il rinnovamento PD non fatto Denis Ugolini Pag. 6 - La ripresa: dobbiamo crederci Sanzio Scarpellini Pag. 7 - La nostra società oggi Alberto Piraccini Pag. 8 - Piccolo non è più bello Franco Pedrelli Pag. 9 - Non esenti da mafia Paolo Montesi Pag. 10 - Interessi collettivi e bene comune Stefano Bernacci Pag. 11 - La Metropoli della Romagna: sfida per il territorio Giampiero Placuzzi Pag. 12 - Hera. Socialismo capitalizzato Davide Giacalone Pag. 13 - Hera. Più un problema che una risorsa Luigi Di Placido Pag. 14 - Il risiko bancario accelera sempre più Paolo Morelli Pag. 15 - Dal Comune perfino uno schiaffo alle donne Giampiero Teodorani Pag. 16 - Un dialogo fra altri Pag. 17 - Piazza della libertà: final countdown Valeria Burin Pag. 18/19 L'"Eroico manoscritto" Claudio Cavalli Pag. 20 - Serra. Renato per i cesenati Maurizio Ravegnani Pag. 21- Renato Serra e Cesena Oddo Biasini Pag. 22 - Cesenati e Grande Guerra: non solo Serra Orlando Piraccini Pag. 23 - Il contributo della Brigata Ebraica Ottorino Bartolini Pag. 24 - Oltre la linea Gotica Piero Altieri Pag. 25 - Rimetti a noi i nostri debiti Vito Bocchini Pag. 26 - Eutasania. Tema scomodo, ma attualissimo Giancarlo Biasini Pag. 27 - Eutanasia. Non è una risposta al mistero del dolore e della morte Stefano Spinelli Pag. 28/29 - Eutanasia. Servono dialogo e reciproca compressione Paride Pironi Pag. 30 - Eutanasia. Sì alla libertà di scelta sul fine vita Learco Sacchetti Pag. 31 - La salute Leonardo Wolenski Pag. 32 - I Primi Mille Giorni di vita Antonella Brunelli Pag. 33 - Ior. L'impossibile diventa possibile Fabrizio Miserocchi Pag. 34 - Un aiuto concreto in Africa Pag. 35 - Sangue nostrum Giorgio Biguzzi Pag. 36 - E la rabbia si trasforma in solidarietà
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Direttore: DENIS UGOLINI

NUMERO 2 - GIUGNO-LUGLIO 2015

Il recente voto in sette regioni. Cinquegovernatori al Pd, uno alla Lega e uno alcentrodestra. Partiti tutti in calo, tranne laLega che cresce. Alleanze variopinte.Attribuzione di gran senso (e invece ce n’èpochissimo) al raffronto con le europee di unanno fa. Clamoroso (ma pare di scarsapreoccupazione) l’astensionismo, come giàmanifestatosi in Calabria e in Emilia-Romagnanel novembre scorso. Roma capitale “infetta”,come il Paese del resto. La politica ruotaintorno a Renzi. Leader del Governo e del Pd.Sotto attacco concentrico, diffuso. Moltiagguerriti avversari. I più acerrimi nemicidentro il suo stesso partito. Massima ebollizionedi una politica bollita. Equilibri parlamentarisquilibrati. Più di una palude. Difficile piazzaresoluzioni e in tempi utili. Problemi molti, grossie anche drammatici. Nei talkshow, nei giornali,nei network, impazza la chiacchiera, l’urlo, lasentenza. Una gara, una corrida, a chi le sparapiù grosse. Gran sagra di moralisti un tantoal chilo; torquemadapolpottisti di nuovo conio;tutti lapidatori autorizzati, unti. Senza macchiae senza peccato, così da poter scagliare nonsolo la prima pietra, ma anche tutti i sampietrinid’intorno. Dentro questa variegata e nutritaarmata (dei signori quella di Brancaleone), ipiù ostentanti una certa qual cultura (se lasuppongono?) sono quei sinistri (similcuperlini)che disquisiscono se da sinistra si fanno cosedi destra. Ancora usi allo schemino ingurgitatocon il biberon, senza che entrino nel merito dinulla, né dei problemi, né di come affrontarli.Troppo impegnativo; impensabile distrazione,per la loro ideologica supponenza. Se questaè politica. Se questo è il confronto, il dibattito,politico, culturale. Mutuando da Totò: “e poidicono se uno si butta…” nel privato. Già!Dove sennò? Ma, ecco di nuovo il moto e lavoglia di reazione. Unita alla consapevolezzache probabilmente serve a poco, forse niente.Però… Anche queste pagine han senso? Possonservire? Certo non entrano nella sagrachiacchierona e moralistica. Non possonointerloquire, né scuotere, gli umori gastrici ei borbottii pancisti. E quindi si dirà che c’èspazio ristretto, infimo, in cui stare e a cui ri-volgersi. Destra-sinistra. Puri e non puri.Onesti e disonesti. Intorno agli schemini è lacaciara che più appare e si ascolta. Ma c’èanche altro. Non è solo questo la realtà italiana.Per fortuna. Sull’onestà. L’onestà personale(che deve esserci, che occorre, in politica enon solo) non è sufficiente a risolvere iproblemi. Il richiamo ad essa, da solo, comefosse quello un programma, la capacità,l’impegno esaustivi e risolutivi di tutto, nonpuò che ricondurci a quanto Belardelli ha direcente scritto in un articolo sulla questionemorale (Corriere della Sera). < Osservò unavolta Benedetto Croce che la “petulante

richiesta” di onestà nella vita politica è l’ “i-deale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli”...Croce non voleva certo fare l’apologia delladisonestà in politica ma segnalare comel’appello alla onestà sia di per sé insufficientea risolvere i mali della politica, che hannoanzitutto bisogno di rimedi – appunto –politici>. Concordo. Ecco, appunto, la politica;quella che non vuole farsi dele-gittimare, chevuole e vorrebbe riacquistare la fiducia e lacredibilità, oggi, molto mancanti. Il grandeastensionismo ha motivazioni in questo, nonse si è di qua o di là. Grandi, gravosi problemida affrontare, epocali questioni di assolutadifficoltà e drammaticità; un sistema politicopaludoso, confuso, caotico, di scarsissimaproduttività; una classe politica di vastissimamediocrità. Al centro come in periferia doveormai prevalgono cacicchi, ras, capibastoncino.E non facciamo di ogni erba un fascio, ma ilgrosso sta in questi connotati. Purtroppo. Inun quadro simile, per quanto mi riguarda, nonmi adagio (e sarebbe facile) con l’affollataschiera degli attacchi, degli avversari e deinemici di Renzi. E non mi annovero renziano.Valuto positivamente certe azioni e certiobiettivi. Nel deserto anche il poco risalta comemolto. La riforma del lavoro ha aperto stradepositive. Positiva la forzatura verso i con-servatorismi, di contenuto e di pratica di azione,delle forze sociali. Positivo arrivare alla riformadella scuola. Della riforma costituzionale indiscussione e della legge elettorale “italicum”,già approvata, abbiamo ripetutamente espressole nostre critiche (non poche), ma ribadiamoancora: vada avanti. Pena ( e peggio) restareal palo o tornare in-dietro. Una maggiore,efficace, produttività delle istituzioni, delParlamento, del governo sono necessari. Némancherà il nostro apprezzamento attivoall’azione di ammo-dernamento culturale epolitico che è auspi-cabile, Renzi, continui aspronare , ma anche realizzare, del Pd. Avràcompreso che la “ditta” è un problema e unostacolo a questo processo? Come anche losono i cacicchi locali per quanto si siano“mimetizzati” all’ultima ora?Che quel rinnovamento non può essere solo dicosmesi, di giovanilismo, di genere, di ladylikee robe simili? Riforme. Possono non piacere.Ma c’è chi ne parla e ne tenta. E c’è chi faaltro. Ai primi, non in modo acritico ed anchecon qualche scetticismo, annettiamo comunquequalche speranza. Il resto, at-tualmente, sonole convulsioni a destra, ap-pannaggio delleghismo di Salvini; i vaffa moralistici degliortotteri; i vetero “ismi “ che accozzaglianoa sinistra.La forza di Renzi, però, non dipende da questovariegato “altro”, ma dalle riforme edall’ammodernamento che riuscirà adinfondere nel Paese e nel Pd. Staremo a vedere.

Se questa è politica Pag. 2 - Perchè andare a votare?Davide GiacalonePag. 3 -Società di oggi e ruolo dei partitiSandro GoziPag. 4 - Costruire una sinistra modernaMassimo BonavitaPag. 5 - Renzi e il rinnovamento PD nonfattoDenis UgoliniPag. 6 - La ripresa: dobbiamo crederciSanzio ScarpelliniPag. 7 - La nostra società oggiAlberto PiracciniPag. 8 - Piccolo non è più belloFranco PedrelliPag. 9 - Non esenti da mafiaPaolo MontesiPag. 10 - Interessi collettivi e bene comuneStefano BernacciPag. 11 - La Metropoli della Romagna:sfida per il territorioGiampiero PlacuzziPag. 12 - Hera. Socialismo capitalizzatoDavide GiacalonePag. 13 - Hera. Più un problema che unarisorsaLuigi Di PlacidoPag. 14 - Il risiko bancario accelera semprepiùPaolo MorelliPag. 15 - Dal Comune perfino uno schiaffoalle donneGiampiero TeodoraniPag. 16 - Un dialogo fra altriPag. 17 - Piazza della libertà: finalcountdownValeria BurinPag. 18/19 L'"Eroico manoscritto"Claudio CavalliPag. 20 - Serra. Renato per i cesenatiMaurizio RavegnaniPag. 21- Renato Serra e CesenaOddo BiasiniPag. 22 - Cesenati e Grande Guerra:non solo SerraOrlando PiracciniPag. 23 - Il contributo della Brigata EbraicaOttorino BartoliniPag. 24 - Oltre la linea GoticaPiero AltieriPag. 25 - Rimetti a noi i nostri debitiVito BocchiniPag. 26 - Eutasania. Tema scomodo, maattualissimoGiancarlo BiasiniPag. 27 - Eutanasia. Non è una risposta almistero del dolore e della morteStefano SpinelliPag. 28/29 - Eutanasia. Servono dialogoe reciproca compressioneParide PironiPag. 30 - Eutanasia. Sì alla libertà di sceltasul fine vitaLearco SacchettiPag. 31 - La saluteLeonardo WolenskiPag. 32 - I Primi Mille Giorni di vitaAntonella BrunelliPag. 33 - Ior. L'impossibile diventapossibileFabrizio MiserocchiPag. 34 - Un aiuto concreto in AfricaPag. 35 - Sangue nostrumGiorgio BiguzziPag. 36 - E la rabbia si trasforma insolidarietà

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di Davide Giacalone*

Perchè andare a votare?

*Editorialista per Libero, Il Tempo e RTL 102.5

L’Emilia Romagna segnò la via,ora imboccata da tutte le altreelezioni regionali. Peccato sitratti della via che allontana glielettori dalle urne a fa cresceregli astenuti. Per noi, di vecchiascuola democratica, educati inun’Italia che assaporava lariconquista della libertà, il votonon è solo un diritto, ma ancheun dovere. Però, insomma, nonè poi così irrazionale, rinun-ciarci.

Prima di venire a chi non ha votato, due parole sui risultatidel voto: era da tempo che non si vedevano così tanti vincitori.Singolare, visto che sono tutti sconfitti. Sì, tutti. Lo è ForzaItalia, che perde voti a rotta di collo e perde una Regione chenon aveva amministrato male. Ha vinto in Liguria, dimostrandoche quando gli avversari si sparano nelle gambe anche glisciancati possono vincere una corsa. Ha perso il PartitoDemocratico, per la stessa ragione:milioni di voti che se ne vanno. Sisono giocati la Liguria, e ancora nonhanno capito come hanno fatto. Sisono affondati in Veneto, non perchéhanno perso, ma perché sono riuscitia non gareggiare nemmeno. Hannovinto in Campania, ficcandosi in uninferno di cui ancora non assaporanola calura. Anche il Movimento 5Stelle ha perso voti, sicché consolarsicon le percentuali somiglia sputatoa quella politica che dicevano didetestare. Ma la Lega ha vinto!Sicuri? Per funzionare ha bisogno di un partner serio di centrodestra, che compensi l’inaffidabilità economica e internazionale.Non lo ha, è nella peggiore posizione e quel che c’è lo haelettoralmente cannibalizzato. Sì, la Lega guadagna voti. Masolo quelli. Torniamo agli elettori. Ma perché mai dovrebbeandare a votare, una persona seria? Per senso del dovere?Viviamo in una bolla irreale. Ci raccontiamo che c’è la ripresa,ci sono i segni positivi, che abbiamo svoltato, ma quel checonsente di far cambiare direzione a certi indicatori economicinon lo abbiamo né scelto, né realizzato noi. Le sole politicheespansioniste le ha messe in atto la Banca centrale europea.Il calo del prezzo del petrolio dipende da una scelta politicadei produttori, per spingere fuori mercato le fonti alternativedi gas e oil. Al netto di questi elementi noi siamo ancora inrecessione. Tanto è vero che, al contrario di quel che avvienein Spagna, non si vedono apprezzabili riflessi della ripresasull’occupazione. Perché non è generata all’interno. Allora,perché dovrebbe andare a votare, una persona seria?Perché interessato alla vita delle Regioni e alla qualità etipologia di chi le amministra? I partiti hanno aderito ad uncodice di autodisciplina (demenziale) che non rispettano ehanno passato settimane a darsi e dirsi dell’impresentabile. Cisono candidati fascisti nelle liste della sinistra, candidatibandieruola nelle liste di tutti, trasformisti e profittatori chesi spacciano per riflessivi democratici. E poi, a che servono

le Regioni? Sono l’istituzione territoriale peggiore, a confrontodelle quali le province brillano per nitidezza ed efficacia. Ehanno anche in programma di portarne gli eletti al Senato!Meglio chiuderlo, se non altro per non offendere i cavalli.Difficile che si faccia avvincere da campagne elettorali tutteincentrate sul “volto nuovo”, manco fosse un concorso perestetisti. O che voglia prendere parte ad una gara fra simbolie bandiere, a meno che non faccia lo sbandieratore diprofessione. Che si getti nell’agone per assicurare redditi eprebende agli impresentabili. O che, per protestare avversoquella genia, intenda portare il voto agli inutili, ai bercianti,alla rendita antisistemica di chi viene eletto e va a prendersii soldi del sistema. Difficile che una persona seria possaprovare empatia per gli esibizionisti del piccolo schermo, chedecantino l’avvenuta ripresa produttiva o intonino la marciafunebre dell’uscita dall’euro, dall’Europa, dal Mondo e dallatesta. E’ tutta gente che parla a sé stessa e alle proprie truppe.Alle pance e non alle teste. Guardate i numeri: togliete daivotanti l’elettorato militante (rispettabile, ma non mobile),come anche quelli delle liste personali e di sostegno (voto

clientelare, nel migliore dei casi),sottraete i voti andati ai professionistidell’urlo antipolitico (la cui vitadipende dai soldi presi grazie allapolitica), tirate le somme e viaccorgerete che le persone serie, lepersone normali non sono rimasteper la metà a casa: ci sono rimastiquasi tutti.Si facciano i conti con l’occasionesprecata. Ai tempi del Nazarenodicevamo: passi per le riformeistituzionali, ma il Paese ha bisognourgente di misure economiche, si

allarghi l’accordo a questa vitale materia. Invece s’è adottatala linea laurina dei bonus. Alle scorse europee un pezzodell’elettorato serio fece un’apertura di credito, che ora haritirato: perché i candidati non erano seri e perché il governos’è tradotto nella declamazione fanfaronica e nella logorreaautocelebrativa. Renzi rifletta sull’errore catastrofico dellariforma della scuola, la cui unica sostanza è l’assunzione di160mila persone, il che dice a chi sa fare di conto che chigoverna non ne è capace, e dice a chi ha a cuore l’istruzioneche al governo considerano la scuola un assumificio. Poi cisono quelli per cui se ne dovrebbero assumere 600mila. Renzipensava di scegliere la via di mezzo, ma ha imboccato quelladel nulla.Quando si va al governo senza mandato popolare (cosacostituzionalmente possibile e ripetuta nella prassi) si puòessere determinati e procedere speditamente, ma non si puòdire che le elezioni europee sono il suffragio mancante e chequelle regionali sono una vittoria, perché prima di sembrareimbroglioni si dà l’impressione d’essersi imbrogliati. Più volteabbiamo indicato la possibile via delle elezioni anticipate,che ora s’è occlusa. Non ci sono più scorciatoie: metteresubito mano alle riforme economiche, farle e non soloraccontarle, altrimenti si continuerà a perdere il solo elettoratoche regge le democrazie.

Viviamo in una bolla irreale.Ci raccontiamo che c’è ripresa.

Le sole politicheespansionistiche le hanno messe

in atto la Banca centraleeuropea e il calo del prezzo del

petrolio. Al netto di questielementi noi siamo ancora in

recessione.

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di Sandro Gozi*

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Società di oggi e ruolo dei partiti

Partiti del futuro e futuro deipartiti: una riflessione èassolutamente necessaria. Cheruolo hanno i partiti nella societàdi oggi? Come possono adattarsimeglio ai cambiamenti semprepiù rapidi? E infine: quale puòessere la risposta della politicaalla crisi della rappresentanza?Domande che ci chiamano incausa, e non da oggi. Ma cheoggi sono ancora più importantise pensiamo che le ultime

tornate elettorali – europee, regionali, amministrative – sonostate caratterizzate da un crescente astensionismo e da uncrescente voto per le forze “antipolitiche”, Lega e 5Stelle sututti. È davvero finito il tempo dei partiti?Iniziamo a fare chiarezza: il partito è un mezzo, e proprio quista il suo valore. Affermare questo non significa sminuirneil ruolo: anzi, è una delle funzioni più importanti nella nostravita pubblica. Il mio rammarico è che negli ultimi anni ci siè focalizzati troppo sulla fisica: ilpartito liquido, quello solido, quello– ma è una battuta – gassoso. E nonsi è discusso abbastanza di cosadebbano essere, anche da un puntodi vista giuridico, i partiti.Fortunatamente, una riflessione è inatto. Ne abbiamo parlato a Roma,in un seminario organizzato un paiodi mesi fa alla Camera dal Pd, che ha poi istituito unaCommissione interna con il compito di redigere una propostadi legge che regoli il funzionamento stesso dei partiti. Neabbiamo parlato, infine, a Cesena, lo scorso 13 maggio, nelcorso di un’iniziativa pubblica con il Presidente del partitoMatteo Orfini.Da dove partire, dunque? A mio avviso dalla cartacostituzionale, e dal suo articolo 49. Il quale recita: “Tutti icittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti perconcorrere con metodo democratico a determinare la politicanazionale”. Attuare veramente l’articolo 49 della Costituzione,come intende fare il Pd, significa dunque rimettere le cose alposto giusto: oggi siamo scivolati nell’ambito dei “rapporticivili”, per cui i partiti sono associazioni private nonriconosciute; noi dobbiamo riportarli al loro posto, vale a direall’interno dei “rapporti politici”, naturalmente nell’ambitodei “diritti e doveri dei cittadini”. Questo significa che i partitihanno dei diritti, ma anche dei doveri. Un diritto e’ quello diciascun partito di essere rappresentato in proporzione dei votiottenuti: chiamiamolo “diritto di tribuna”. Un diritto/doverealtrettanto importante e’ quello di chi vince, che deve esseremesso nelle condizioni di poter avere una maggioranza solidae stabile per poter governare.Proprio questo ci riporta alla stretta attualità: poche settimanefa abbiamo approvato in via definitiva l’Italicum, una leggeelettorale che abbiamo fortemente voluto e che ci spinge aimmaginare una nuova centralità dei partiti. Il premio allalista, novità rispetto alla prima versione dell’Italicum, nonsolo è il prodotto di una visione della democrazia maggioritaria

e decidente (mentre troppi nel nostro paese hanno troppo alungo preferito una democrazia consensuale e coalizionale),ma è un chiaro impulso a ridare centralità alle forze politiche.Già, ma qual è il ruolo dei partiti nella società attuale? A miogiudizio, devono riuscire a disegnare nuovi spazi della politica.Devono intercettare le persone nei luoghi in cui si trovano:che sia la piazza o twitter, ormai fa davvero poca differenza.E devono riuscire a riconnettersi con la società, ma facendolocon la testa del 2015.Il Partito Democratico ha dimostrato di essere in grado diintercettare le persone nella società del XXI secolo attraversole primarie. È un esempio lampante: se la dicotomia iscritti/noniscritti non è più centrale, come da nostro statuto, allora ègiusto dare la possibilità ai cittadini di esprimersi in manieraefficace. A seguito di una intuizione brillante che ormai peròha già dieci anni di vita – un tempo abbastanza lungo inpolitica – è più che necessario un tagliando anche a questostrumento.La politica, infatti, non si improvvisa. Non c’è nulla di malenell’attribuire ai gruppi dirigenti di un partito responsabilitàdecisionali. Questa è del resto una delle funzioni fondamentali

dei partiti: formare e selezionarepersonale politico, e cioè le donnee gli uomini più idonei alla soluzionedei problemi sociali, nonché migliori,per esercitare le funzioni di governoad ogni livello.Proprio per questo, penso che siavenuto il tempo di fissare alcunipunti. Il primo riguarda la distinzione

tra leadership e premiership: scrolliamoci di dosso questaambiguità una volta per tutte. Separare le due cariche non fabene a nessuna forza politica, anzi ci riporta alle logiche dellaPrima Repubblica, o agli equilibrismi della Seconda. FuBeniamino Andreatta, già negli anni Sessanta, a teorizzare lanecessità di unire la leadership della Dc con la guida delgoverno, nella figura di Aldo Moro, per dare maggiore coerenzaal progetto del centro-sinistra. D’altra parte, ve lo immaginateTony Blair al 10 di Downing Street con il partito nelle manidi Gordon Brown? Oppure, ragionando a rovescio: l’Spdtedesca è oggi tra i partiti socialdemocratici più in difficoltà.Non credo che la distinzione tra candidato cancelliere epresidente del partito abbia aiutato la causa dei nostri amicitedeschi.Il futuro del Pd e della sinistra italiana passa dalla capacitàdi ricreare luoghi di discussione, di confronto e di proposta.Con la consapevolezza che non sarà facile. Nell’epocatecnologica, degli smartphone, delle reti e dei social networkè più facile per tutti restare tra le mura di casa ed esprimerepareri sul web senza confrontarsi davvero con altre opinioni.In questo modo si crea solo un rumore di fondo che noncambia le cose, ma si limita a prendere atto di quanto succede.Noi abbiamo l’obbligo di misurarci con le persone, di andarlea pescare e portarle in luoghi come questo, e anche nei circoli,alle feste dell’unità e in tutti i luoghi dove i soliloqui tecnologicihanno la possibilità di trasformarsi in dialoghi. Cioè in tuttii nuovi luoghi della politica che sapremo inventarci.

*Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministricon delega alle politiche europee

Il futuro del Pd edella sinistra italiana passadalla capacità di ricreareluoghi di discussione, diconfronto e di proposta.

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di Massimo Bonavita

Esiste oggi la sinistra in Italia? Riconosco che messa giù cosìla domanda possa apparirebrutale e retorica, ma credoche in situazioni estremedobbiamo porci domandeestreme che ci portino al di làdella storia che abbiamo finqui conosciuto e fuori deisentieri che abbiamo percorso.Se usiamo le categorie delpassato possiamo dire che nonesiste una forza politica di

sinistra che per radicamento sociale, forza organizzativa,capacità di rappresentanza sia in grado di giocare un ruoloinfluente (sia che stia all’opposizione od al governo) nellapolitica nazionale. Non possiamo considerare il PD unpartito di sinistra in quanto sin dal suo atto di nascita hadeciso di recidere anche nei simboli e nella descrizione disè qualsiasi richiamo alla sinistra storica. E’ nato un partitoprivo di un’identità, in cui possono convivere le culturepolitiche più disparate che vanno da una sinistra quasiradicale a forze neoliberiste, da settori sensibili ai temi deidiritti civili e contro le discriminazioni di genere o sullepreferenze sessuali delle persone a posizioni omofobichee che rappresentano su questi temi fondamentali le posizionipiù retrive del cattolicesimo. Situazione che non esiste innessun partito della sinistra europea, dove nessuno tra l’altroha reciso le proprie radici con il passato pur modificandoed innovando (non sempre bene, con limiti ed insufficienze)le politiche della sinistra. Blair non ha cambiato nome alproprio partito, come non l’anno fatto Schroeder in Germania,Zapatero in Spagna o Hollande in Francia dove hanno vintole elezioni presentandosi con la loro faccia e non dopooperazioni di chirurgia plastica. Il loro successo elettoraleè stato ottenuto compattando l’elettorato tradizionale delpartito e conquistando consensi in settori della societàstoricamente refrattari, se non ostili, alle proposte dellasinistra. Per attuare le loro politiche, anche quandocomportavano misure antipopolari, hanno sempre cercatoil dialogo con le forze sociali di riferimento e non cercandolo scontro senza possibilità di mediazione alcuna. Oggisento che molti criticano Renzi come se fosse l’unicoresponsabile della situazione attuale, quasi a nascondere leproprie colpe. Ma se Renzi si è conquistato il PD è soprattuttoper le insufficienze, gli errori e l’arroganza del vecchiogruppo dirigente di provenienza PCI (D’Alema, Bersani eVeltroni in testa) incapaci di capire i cambiamenti dellasocietà ed innovare la politica del partito. Passando disconfitta in sconfitta hanno aperto un’autostradaall’arrembaggio dell’ex Sindaco di Firenze. Nè grandeentusiasmo sembrano in grado di generare le forze criticheinterne al PD o quelle che si pongono all’esterno comeSEL, dove i personalismi trionfano tra divisioniincomprensibili nel loro microcosmo. Dopo le elezionieuropee dello scorso anno molti si erano illusi che Renzipotesse essere l’artefice di quei cambiamenti istituzionalie di quelle riforme sociali per modernizzare il paese erenderlo meno diseguale. Ci si è resi conto che per riformareil paese è necessario un lungo e paziente lavoro, fatto diumiltà e coraggio per uscire fuori dalle secche in cui ci

troviamo e non basta l’ottimismo di facciata, il marketingpolitico o una buona capacità di comunicare. Servono fatticoncreti ed è su quello che si misura la credibilità di unpolitico e che lo fa diventare statista. Dopo un anno digoverno, accanto ad alcuni provvedimenti settoriali comegli 80 euro e la riforma del mercato del lavoro (peraltro inalcuni aspetti molto discutibile), non sembra che si sianoottenuti grandi risultati. La riforma delle provincie non haprodotto alcuna efficienza o risparmio apprezzabile ma soloconfusione, le riforme istituzionali giacciono in Parlamento,la corruzione non si ferma, il debito pubblico continua acrescere e la pubblica amministrazione non funziona. Inpratica i mali storici del paese sono sempre lì che aspettano.A chi obietta, giustamente, che questi problemi non sipossono risolvere in pochi mesi ma in anni di duro e tenacelavoro, si può rispondere che la tempistica l’ha determinataproprio Renzi, quando dopo il successo elettorale delleeuropee, aveva affermato che in pochi mesi avrebbe rivoltatol’Italia come un calzino. Nè pare plausibile chi attribuiscei ritardi o l’incapacità di fare le riforme, sul cui merito cisarebbe molto da discutere, all’opposizione interna del suopartito o delle organizzazioni sindacali. L’azione politicanon è fatta solo di comando ed obbedienza, ma anchecapacità di convincere ed abilità nel mediare fra posizionidiverse alla ricerca di una soluzione praticabile. Questedoti, che fino ad ora sembra siano assenti in Renzi, fannodi un capo partito un leader politico riconosciuto e stimato:il detto molti nemici molto onore non ha mai prodottorisultati positivi. Se poi parliamo del PD come partito, alloraci troviamo di fronte allo sfacelo programmato. Emorragiacontinua degli iscritti, dominio incontrastato dei vari raslocali fuori da qualsiasi controllo, sindaci podestà epersonaggi discutibili presentati con l’avallo del segretarioalle recenti elezioni regionali con una incoscientesottovalutazione della disaffezione degli elettori checontinuano a disertare le urne ed alimentano il successodella Lega Nord e del Moimento 5 Stelle. Debbo riconoscereche fare politica oggi non è affatto semplice, in quanto icondizionamenti esterni posti dagli organi regolatoridell’Unione Europea e l’influenza delle multinazionali i cuibilanci sono superiori al PIL di interi paesi fanno in modoche i margini dell’azione politica siano sempre più ristretti.Le campagne elettorali sempre più costose finanziate econdizionate dal flusso dei finanziamenti, fanno dire adalcuni politiloghi che siamo di fronte ad uno svuotamentoprogressivo della democrazia.Se il quadro è deprimente, non è privo di speranza. Oggitroviamo molta “sinistra” nei movimenti ed organizzazioniche lavorano nelle pieghe della società su temi importantiquali il diritto alla salute, ad una scuola pubblica, alla difesadell’ambiente e per un modello economico sostenibile.Inoltre, occorre rinnovare la battaglia culturale su temifondamentali quali la lotta alle discriminazioni di genere,alle preferenze sessuali, alla libertà di scelta delle personeper il proprio fine vita ed al testamento biologico con spiritolaico e senza sudditanze psicologiche. Da lì si può partireper provare a costruire una sinistra moderna legata ai bisognireali delle persone, ai loro desideri e dare loro speranza.Come diceva Norberto Bobbio, finchè esistonodisuguaglianze ed ingiustizie sociali permangono le ragionidella sinistra.

Costruire una sinistra moderna

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di Denis Ugolini

Renzi e il rinnovamento PD non fatto

Dopo le europee dell’annoscorso con il Pd al 41%, l’ultimatornata elettorale, in alcuneregioni e in alcuni comuni fracui Venezia ed Arezzo, persidal Pd, ha indotto molti os-servatori a fare valutazioni delloscenario politico italiano assaidiverse fin’anche da quelle delleultime settimane. Si parla disconfitta politica di Renzi, siacome capo del governo sia co-me segretario del Pd.

Si ritiene che l’attuale maggioranza considerata fortissima esenza avversari di particolare rilievo, fino a ieri, sia diventata,invece, molto contendibile. Tra questi osservatori ce ne sonodi approssimativi tanto che le loro opinioni banderuolano divolta in volta a seconda di dove soffia il vento. E ci sonoquelli che ogni occasione è buona per confermarsi nel lorodesiderio di vedere il loro avversariodichiarato alle corde.Quelli più seri e credibili analizzanocon più metodo e più dettaglio nelmerito. Intanto distinguono fraelezioni a carattere generale epolitico ed elezioni a carattere localee regionale. Partendo da qui ci sonoalcuni aspetti di queste ultimeelezioni che meritano attenzione eriflessione. Chi subito ne ha coltoalcuni di particolarmente signi-ficativi è stato Renzi stesso chesubito ha anche parlato di Renzi 1edi Renzi 2. Ritenendo che l’avereabbandonato seppur in parte la nettezza di certe suecaratteristiche, per “costringersi” a esagerate mediazionisoprattutto interne al suo Partito , ne ha penalizzato lacomprensione e quindi il rapporto con l’elettorato cheinizialmente lo aveva premiato. Una conferma di questoarriva da Luciano Fontana (Corriere della Sera): “ Un primoelemento di riflessione riguarda direttamente il Pd… Renziin pochi mesi ha cambiato l’agenda politica, i programmi eil profilo del partito a livello nazionale. Ne ha fatto qualcosadi completamente diverso rispetto alla ‘ditta’ di PierluigiBersani sconfitta nelle elezioni del 2013. Ma i titolari della‘ditta’, piegati con qualche difficoltà al centro, dominanoancora a livello locale. Hanno imposto i loro candidati ehanno presentato le stesse politiche e gli stessi vecchi voltiripetutamente respinti dagli elettori.” “La conquista di cetiproduttivi, liberali e moderati – continua Fontana -, essenzialiper la ridefinizione del profilo del Pd, è ridiventata un’impresamolto difficile… Renzi dovrà (accanto al varo di misure suquestioni cruciali come l’immigrazione e il rilanciodell’economia) porsi la questione di costruire un partito euna classe dirigente all’altezza del compito”. Come nonconcordare. Ancora prima delle elezioni nella nostra regionedel novembre scorso, qui, ponevamo analoga questione, chequindi non è nuova per noi: “Renzi alla prova Emilia-Romagna”. Indicando quanto fosse necessaria la rimozione(almeno l’avvio di questo processo) dell’immagine e dellasostanza di quel “partito dei quadri e del potere locale” così

strettamente intrecciato a “sistema di potere” che altro nonè se non la ‘ditta’ che si conferma, si mantiene, si adatta, pertenere le redini sull’economia, la società, il territorio. Dicevamoanche che comprendiamo che tutto e subito non è possibileneppure per Renzi, ma che questo era ed è un problema chedeve cominciare a porsi. Per quanto il Pd vinse quelle elezioni,qui in Emilia-Romagna si verificò il maggiore astensionismo,superiore anche a quello di queste ultime giornate elettorali.Questo problema di un vero rinnovamento del Pd ora èquestione non rinviabile, non solo in questa regione di ‘ditta’invasiva, ma anche sul piano generale, periferico e territoriale.La questione l’avevamo messa a fuoco anche valutando leultime elezioni comunali contemporanee alle europee delgrande balzo del Pd al 41%. Senza l’apporto dell’effettoRenzi, in quell’occasione, anche il risultato di molte comunali(anche nelle nostre località) sarebbe stato diverso. Non tuttii candidati sindaci del Pd avrebbero vinto (sicuramente) alprimo turno, se non avessero beneficiato di quell’effetto.Tanto che il voto del solo Pd alle europee, nello stesso giorno,

era di gran lunga superiore a quellodi candidati comunali Pd chesommavano con loro perfinol’apporto anche di altre listeelettorali. A dimostrare cosa? Chel’effetto Renzi, tanto positivo, erariuscito a mitigare effetti di tutt’altrosegno che pure si sono manifestati.I risultati sono ancora lì a parlarechiaro in questo senso. Non li havisti l’informazione troppo prona;non l’hanno visto i ciechi; non lovogliono vedere quelli che neconoscono le ragioni e proprio perquesto preferiscono negarle,

dimenticarle e farle dimenticare. Del resto era evidentel’imbellettamento renziano (tattico e dell’ultimissima ora) dimolti protagonisti della ‘ditta’. E in gran parte così sonoancora: veri protagonisti della ‘ditta’, ma ancora imbellettati,finchè serve, di renzismo. E il Pd continua ad essere quel“partito dei quadri e del potere locale” che si diceva, direttoda un gruppo e fondamentalmente racchiuso in una oligarchiadi “sistema” che ne conduce le sorti. Di sicuro in molti territori. Se il Pd vuole vincere (quando sarà, peraltro alla prova conl’italicum) occorre si sia ben mosso nell’impresa “ridiventatamolto difficile” di conquistare ”i ceti produttivi, liberali emoderati, essenziali per la ridefinizione del profilo del Pd”.Renzi dovrà, a fianco di un rinnovato impulso di efficaciae determinazione dell’azione di governo intrapresa, dare forteimpulso a “costruire un partito e una classe dirigente all’altezzadel compito”. Con Renzi 1 erano molti autentici innovatoriche, durante Renzi 2, gli ingranaggi della ‘ditta’ hanno tritato.Sarà meglio per Renzi e per il Pd che a quel lavoro dicostruzione di una “classe dirigente e di un partito piùall’altezza” ci si dedichi con la determinazione necessaria,tenendo, però, conto delle analisi appropriate non fatte e deglierrori già commessi. Magari aprendo di più a competenza,cultura politica e meno a stereotipi estetici, giovanilistici,ladylike e via così. Dopo l’estate è questo spaccato diproblematica politica, così rilevante, nella nostra regione enel nostro territorio, che ha senso approfondire con ampiezzae con particolarità.

Se il Pd vuole vincere (quandosarà peraltro alla prova conl’italicum) occorre si sia ben

mosso nell’impresa “ridiventatamolto difficile” di conquistare

“i ceti produttivi, liberali emoderati, essenziali per la

ridefinizione del profilo del Pd”.

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di Sanzio Scarpellini

La quantità di moneta che circolain un paese ha effetti rilevantisull’economia; ciò significa chesussiste uno stretto legame tra legrandezze monetarie (domanda eofferta) e le grandezze reali(produzione, investimenti, reddito,etc). La quantità di monetacircolante in un paese in undeterminato momento si definisceofferta di moneta. La domanda dimoneta è la quantità di moneta chele persone detengono in formaliquida per far fronte ai propribisogni. Sottolineo: non rappresenta

la quantità di ricchezza richiesta dagli individui (la domanda sarebbescontata) ma quanta moneta essi preferiscono tenere in forma liquidaossia immediatamente disponibile nel portafoglio o in depositibancari non vincolati piuttosto che in titoli, immobili, depositivincolati. La questione è, da un punto di vista economico, assairilevante: tenere presso di sé moneta significa non impiegarla ininvestimenti fruttiferi (come titoli di stato, azioni ed obbligazionidi società, fondi di investimento) con le conseguenze negative sulsistema economico che oggi tutti constatiamo. Ritornando allaaffermazione iniziale, la quantità di moneta in circolazione comepuò influenzare o condizionare le grandezze macroeconomiche reali(investimenti, produzione, reddito, consumi)? La politica monetariautilizza le variabili quantità di moneta offerta e tasso d’interesseper controllare gli aggregati reali ed in particolare il livello generaledei prezzi. Nella sostanza, aumentando la liquidità si vuole stimolareil credito e quindi gli investimenti, il consumo e di conseguenzaanche il reddito. Viceversa, diminuendo la liquidità, si mira a ridurreil credito e quindi una contrazione degli investimenti con l’obiettivodi diminuire la crescita della produzione e del reddito nel caso incui il sistema sia sottoposto ad un processo inflattivo. Su questi temigli studiosi di politica monetaria hanno sempre discusso avendoopinioni divergenti. Per i keynesiani la politica monetaria è ”poveradi risorse” rispetto al problema della disoccupazione specialmentein un periodo di depressione economica come quello che stiamoattraversando. La BCE ha in più momenti diminuito il tasso d’interessefino a raggiungere livelli impensabili (0.05%) nella speranza distimolare gli investimenti e quindi la ripresa; i risultati purtropponon sono stati incoraggianti. Se in una situazione di processo inflattivol’aumento del tasso d’interesse può raggiungere alcuni obiettivi dibreve termine, in una situazione di grave congiuntura, la politicamonetaria è assai meno efficace perché gli operatori economici sonorestii ad investire a causa delle negative prospettive di rendimento.Anche gli imprenditori, nonostante il denaro costi poco o pochissimocome in questo periodo, investono solo se intravedono per il medioperiodo opportunità per futuri utili. Keynes spiegava che il tassod’interesse manifesta, in periodi di depressione, poca efficacia sugliinvestimenti; sono le aspettative di guadagno che influenzano gliimprenditori. I keynesiani la chiamano “bassa efficienza marginaledel capitale”. In questo periodo quindi la politica monetaria da solanon è in grado di rilanciare la domanda globale; occorre sia integratacon altre politiche per far fronte agli squilibri del sistema. “Ilcoordinamento tra politica monetaria e altre politiche è necessarioe auspicabile per la condotta economica del paese” (CIAMPI.“Scienze ed arte del banchiere centrale” Mulino).“Oggi comunque quasi tutti gli esperti di economia e politichemonetarie sono concordi nel ritenere che in un periodo di deflazionesia necessario implementare politiche di sviluppo finanziate dallabanca centrale europea.” Nonostante gli sforzi del presidente dellaBCE, è risultato assai difficoltoso ritrovare una certa armoniad’intenti fra i 29 paesi della comunità. Tuttavia dal 10 marzo finoal settembre del 2016 la BCE ha acquistato e acquisterà titoli per65 miliardi al mese aumentando di fatto la liquidità all’interno delmercato. L’obiettivo è e sarà quello di promuovere sviluppoaumentando l’inflazione verso il 2%. Questa immensa liquidità

dovrebbe far sì che le banche si dimostrino “più generose” con leimprese e soprattutto le famiglie. Come ha ricordato il presidentedella BCE queste misure non saranno tuttavia efficaci se non verrannoaccompagnate da misure specifiche dei principali governi dell’unione.Il rischio è che queste iniezioni di liquidità rimangano “dormienti”nelle banche e quindi non vengano attuate politiche di sviluppo. Ilnostro presidente del consiglio deve avere più coraggio nei confrontidi quella parte di paesi europei che chiedono austerità e bilanci inpareggio. Sforare il 3% del bilancio non significa non manteneregli impegni. Il nostro paese ha sempre fatto fronte ai propri obblighipagando regolarmente gli interessi. E’ pur vero che abbiamo undebito pubblico assai elevato ma per quanto riguarda l’avanzoprimario cioè la differenza fra entrate e spese al netto degli interessisiamo ai primi posti nella classifica europea. Il governo deve far sìle riforme ma ha pure l’obbligo improcrastinabile di rilanciarel’economia. La pessima riforma del senato, l’incompiuta riformadelle province, la politica degli annunci, le imprudenti notizie sulTFR e l’esosa tassazione, gli ottanta euro elargiti a livellopropagandistico e non utilizzati in maniera fruttuosa, il milione diposti di lavoro del ministro Poletti smentiti alcuni giorni dopo daidati negativi dell’ISTAT, la pressione fiscale che nell’ultimo trimestresembra sia salita al 50,3%, il tesoretto “utilizzato come arma didistrazione di massa” (“24 ore” del 14 aprile), la sentenza dellaconsulta sulla incostituzionalità della legge Fornero e il conseguentecostoso reintegro non sono certamente di aiuto e non servono aridare fiducia al nostro paese. Il denaro che potremmo utilizzaredallo sforamento del 3% non deve essere utilizzato quindi per speseimproduttive come purtroppo è accaduto nel passato ma convogliatoalla diminuzione della pressione fiscale sulle imprese, sul lavoro esulle famiglie in difficoltà. E’ pur vero che Keynes portava comeesempi le bottiglie piene di banconote nascoste nelle miniere dicarbone e “si lasciasse all’iniziativa privata di scavar fuori di nuovoi biglietti”, ma affermava che “sarebbe più sensato costruire casee simili”. Utilizzava questo ed altri paradossi per meglio far capireche con investimenti pubblici si sarebbero avviati sia un processodi nuova occupazione, sia un aumento del reddito e della domandadi beni di consumo secondo quel meccanismo che lo stesso Keyneschiamava “moltiplicatore del reddito”. Affermava inoltre chel’intervento statale non è alternativo all’iniziativa privata e di mercatoanzi, deve essere un innesco per il processo d’investimento. E’ purvero che alcuni interventi del governo quali la riduzione dei contributiper i nuovi assunti a tempo indeterminato, la parziale diminuzionedell’IRAP, la seppur contraddittoria modifica dell’articolo 18 conl’emanazione dei decreti attuativi mostrano la volontà di affrontarein termini positivi alcune difficoltà che opprimono il nostro sistemaproduttivo. Tutto questo non è sufficiente. Mai come ora sussistonole condizioni per uscire abbastanza velocemente da questa triennalerecessione e quindi non accontentarsi di una crescita modesta. Unasmisurata quantità di liquidità (Quantitative Easing), la diminuzionedel prezzo del greggio, la quasi parità col dollaro (con il conseguenteaumento delle esportazioni), la notevole riduzione dello spread traBot e Bund e da ultimo l’Expo sono opportunità economiche chedifficilmente potranno ripetersi contemporaneamente. Il Governodeve porre in essere azioni che offrano alle aziende, unico motoredel paese, opportunità favorevoli per la crescita. Quattro sono icapitoli sui quali necessita operare speditamente: 1) intervenire suivincoli che limitano la nostra economia (eccessiva burocrazia,incertezza del diritto, riduzione delle imposte, etc); 2) operareaffinchè gli operatori stranieri (multinazionali, fondi internazionali,banche estere) investano nel nostro bellissimo paese; 3) aiutare lenostre aziende medie e piccole a rinnovarsi diventando esportatriciusuali non solo in Europa, ma anche a livello internazionale; 4)operare con trasparenza e grande coraggio sul debito (questapesantissima zavorra che ci accompagna da diversi lustri e che incideper circa ottanta miliardi di euro ogni anno sul bilancio dello stato)che non può essere diminuito allontanando il commissariostraordinario e nascondendo in misteriosi cassetti le sue propostedi revisione della spesa pubblica. Il nostro paese ha le capacità peruscire dalla crisi, dobbiamo (solo) avere fiducia.

La ripresa: dobbiamo crederci

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di Alberto Piraccini

Nella attuale società italiana, amio avviso, si evidenziano tre"aspetti " talmente forti eradicati che la caratterizzano,per occhi critici, in manieranegativa.Questi tre aspetti, che defini-remo in modo più approfonditopiù avanti, sono: l'arroganza delpotere, chi controlla ì con-trollori, la certezza della pena.Questi "aspetti" sono parteintegrante della società italiana.:

Stato, Governo, Regioni, Province, Comuni, Istituzioni variee chi più ne ha più ne metta. Li troviamo ovunque.Non sono peculiari di un partito o di una ideologia, ma fannoparte, a volte anche in senso strutturale, di tutti noi.Ovviamente non siamo tutti uguali nei nostri comportamentie nelle nostre convinzioni, ma la società va giudicata nel suocomplesso.Arroganza del potere. Arroganza, senso di superiorità neiconfronti del prossimo che si manifesta con un costantedisdegno. (G.Devoto e G.C.Olivì ). Attribuirsi qualcosaindebitamente.Potere. La maggior parte delle definizioni correnti attribuiscepotere: ad A nella misura in cui esso ottiene che B facciaqualcosa che questi non farebbe senza l’intervento di A. Nelsignificato più generale la parola Potere designa la capacitàe la possibilità di operare, di produrre effetti e può essereriferita sia a individui o gruppi umani. Inteso in sensospecificatamente sociale e cioè in rapporto alla vita dell'uomoin società, il Potere si precisa e diventa da generica capacitàdi operare a capacità dell'uomo di determinare la condottadell'uomo. Potere dell'uomo sull'uomo. Quando la capacitàdi determinare la condotta altrui viene messa in atto il Potere,da semplice possibilità, si trasforma in azione nell'eserciziodel potere.L'uso del Potere, questo appropriarsi del potere come atto diarroganza, si manifesta ad ogni livello, dal Sottosegretariodi un Ministero che lascia l'auto in divieto di sosta e si rifiutadi pagare la multa perché è un sottosegretario, dall'usciere diun ente Pubblico che pretende il "caffettino" per favorirtinella presentazione di una pratica, dai giocatori di calcio cheusano permessi di circolazione non dovuti perché chi glieliha concessi ha ritenuto di poterlo fare dalla sua posizione inseno a quella amministrazione.Chi, per la posizione che assume nella società, specialmenteper motivi politici, si sente in possesso di un certo potere èconvinto di poter favorire amici, parenti o il proprio partitoe non si sente in colpa ma si arroga il diritto di poterlo fare.Esempi ce ne sono quanti se vogliamo, basta leggere lacronaca dei giornalini.Molti, a qualsiasi livello dì potere (non legittimo), si sentono,all’occasione di volerlo esercitare.Chi controlla i controllori? Chi esercita il controllo finanziariosugli enti pubblici (nel privato ci pensa il privato)? Nessuno?Oppure tutti, ma per una ragione od un'altra si chiudono gliocchi e si tace? Come è possibile che un alto dirigente delloStato possa ricevere milioni per una firma su un documentoche autorizza la vendita o l’acquisto di un certo medicinale?Oppure che autorizzi la costruzione di un quartiere senza

tutte le obbligatorie autorizzazioni?Come è possibile che scandali finanziari esplodano in diverseRegioni italiane? Chi doveva esercitare il controlloanticipatamente per certe operazioni finanziarie?Come e possibile che un Consigliere Regionale possa comprareun auto, per uso personale, con i soldi della Regione e soloquando si scopre lo scandalo se ne viene a conoscenza? Tuttacolpa della burocrazia? Non credo.L'uso arrogante del potere consente questi comportamentidelittuosi.Certezza della pena. Nelle tre fasi pena legale, pena inflittae pena eseguita ci si aspetta che le Istituzioni facciano giustiziae che coloro che hanno commesso un crimine, un reato sianoperseguiti, arrestati e condannati e paghino la pena giusta chedeve essere esposta. Si chiede la certezza della pena.Il Questore Manganelli Antonio Capo del Dipartimento diPubblica Sicurezza in una intervista sul "Sole 24 Ore del30/5/2008 ha detto: “La certezza della pena è quanto di piùincerto esista. Siamo arrivati all'individuo quotidiano”.Il cittadino deve sapere a cosa va incontro a delinquere. Ma,evidentemente non sempre e cosi.Ci sono casi, a tutti conosciuti, di personaggi della politicao della finanza che, arrestati e messi in prigione, dopo pochigiorni o si sono suicidati o ammalati anche gravemente. Ilsolo dover stare per qualche giorno in prigione li ha distruttipsicologicamente e fisicamente. Perché?Perché il solo pensiero della prigione, quando coscientementecommettevano un reato, era talmente lontano, quasi impossibileche non era presa in alcuna considerazione tale ipotesi, taleeventualità e la nuova realtà li ha distrutti.Questi tre "aspetti " che emergono nella nostra Società sonocome un triangolo equilatero: ogni lato sostiene l'altro. E'come un’azione circolare. Da una situazione ne nasce un’altra,proprio perché la prima (a scelta) consente che sorga l’altra.Non può esistere A senza B e non può esistere B senza C ecosi di seguito.Questa situazione, assieme ad altre, porta l'Italia ad essereuno dei paesi più corrotti del mondo.Secondo Trasparency International (2013) su 177 paesi presiin esame Danimarca e Nuova Zelanda sono primi con 91punti di merito. L'Italia 69° con 43 punti. In Europa soloRomania, Bulgaria e Grecia sono peggio di noi. In questaclassifica mondiale ultima è la Cina con 40 punti.Riconoscere il problema è il primo passo verso la soluzionedel problema.Ognuno di noi dopo un attento esame di coscienza dovrebbe,anzi deve, portare una pietra per ricostruire il Paese.Facile a dire, difficile a fare.Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare per non sprofondarein fondo alla classifica.E come dice il prof. Maurizio Viroli nel suo libro “Le paroledel cittadino” la rinascita nel nostro paese è sempre avvenuta(quando è avvenuta ) grazie all'educazione che fa riscoprirela bellezza e la dignità della vita vissuta secondo un altosenso dei doveri civili. La scuola è la prima comunità in cuisperimentiamo un complesso rapporto con gli altri determinatoda regole, ma anche da passioni e interessi ......... “ Conoscerela nostra Costituzione e imparare a vivere da cittadini di unarepubblica democratica nella pratica scolastica sono fra iprimi e più importanti passi per la costruzione di un “Italiamigliore".

La nostra società oggi

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di Franco Pedrelli

L’abitudine di Bruxelles nelnormare ogni cosa producegenerosi rilasci legislativi, perquesto vengono frequentementeindicati come burocrati ,compagine di funzionari e diimpiegati dediti più allaproduzione di complicazionialla vita comunitaria, che allasua resa efficiente ed efficace.L’effetto è quello di daresignificato negativo al termineburocrazia, e ci riescono bene.L’Italia da par suo sembra

sguazzare bene nel mare comunitario, almeno per quantoconcerne la capacità di moltiplicarne l’azione normativa,forte dall’avere ben tra le 150.000 e 200.000 leggi. Per unutile confronto si rimanda alle 7.000 leggi della Francia (lapatria della bureautique!), per procedere con le 5.000 dellaGermania, alle 3.000 del Regno Unito.Tante leggi, troppe, rendono incerta l’interpretazione deirapporti nella società, ad iniziare da quelli con lo Stato eassimilati, consigliando l’impiego di adeguati consulenti, nonsolo societari, ma anche per ciascuna area di attività operativa,vedi sicurezza sul lavoro, ambientale, per citarne dueimportanti. Siamo nell’epoca delle specializzazioni, il cherichiede l’impiego di consulenti specialistici, che sempre piùdifficilmente sarà possibile trovare all’interno di piccoleimprese, come accedere per le stesse a servizi esterni, sia peri costi sia per la necessità di doverne svolgere comunque ilgoverno interno. In questo caso le PMI sono ottime clientidelle associazioni di categoria, le quali possono offrire viavia servizi aggiuntivi, di pari passo all’incremento dell’attivitàlegislativa di Bruxelles. Si direbbe che siamo nell’alveo dellacatena “virtuosa”, con la produzione del “lavoro” da montea valle, da Bruxelles sino all’impresa, se non fosse che sequest’ultima non ha più i razionali per giustificare le spesedi quanto richiesto a monte, perché se i suoi clienti noncomprano prodotti e servizi a prezzi sufficientementeremunerativi, la catena si interrompe e l’impresa PMI chiude.La crisi ha costretto le aziende ad orientarsi verso l’es-portazione, ad iniziare verso quell’Europa che offre allaproprie imprese un carico legislativo 20-30 volte più leggero,quindi più competitive. Per le imprese italiane, ad iniziaredalle PMI, non è possibile attendere che si riducano le leggi,allo scopo potranno fare pressioni tramite le loro associazionidi categoria, meglio se su queste prima si opera un drasticoriorientamento negli obiettivi, magari con un buon cambiodelle dirigenze. Le PMI italiane dovranno recuperarecompetitività nei modi loro concessi, tra cui l’applicazionedei migliori modi di lavorare in uso dai loro concorrenti. Lechiamano best practises, letteralmente le pratiche migliori,ma cosa sono in realtà?Molte volte sono associate al termine rigidità, quindi comenegatività, anziché elemento di positività. Nel volere fareun’agile panoramica di 70 anni di “rigidità”, è utile vedereallora come questa sia nata ed evoluta, quali impatti abbiaavuto nel mondo industrializzato.Il tutto ebbe inizio con William Edwards Deming, siamonegli anni ’40, durante la Seconda Guerra Mondiale e questoingegnere e statistico statunitense applicò la sua attenzioneal miglioramento della produzione. Costruì anche un modellodenominato appunto Ciclo di Deming, più noto al pubblico

come PDCA – Plan-Do-Check-Act (Pianifica-Fai-Controlla-Agisci),che a livello scolastico si dà per scontato, tanto ècomune il suo uso e significato. Non lo era tuttavia allora,tant’è che Deming, nonostante fosse anche un divulgatore,non trovò attenzione nella sua patria, forse anche perché leindustrie erano in netta ripresa post-bellica, non avevanoconcorrenti mondiali e l’ultima cosa di cui avevano bisognoera di rallentare il proprio sviluppo per…organizzarsi meglio.Tant’è che il governo americano lo spedì in Giappone, doveforte era la necessità di aiuto per riorganizzare il sistemaproduttivo industriale distrutto dalla guerra. Lì Deming trovòun terreno fertile, aiutato dalla cultura giapponesedell’obbedienza, dal saper lavorare in modo quasi sacrificale.Sono gli anni in cui i giapponesi vengono derisi dal mondooccidentale per il loro copiare gli altri, senza che nessuno siaccorga del potenziale che si accumula sotto gli insegnamentidelle nuove teorie: quel miglioramento continuo che si riflettesull’intera cultura industriale giapponese, con la massimaespressione che ritroveremo nel concetto di Total Quality diToyota.Per gli occidentali, nelle due sponde dell’Atlantico, saràun’amara sorpresa. Agli inizi degli anni ’70 c’è l’invasionedelle moto giapponesi, che spazza via tutte le storiche marcheoccidentali, con tecniche aggressive di emissione di continuinuovi modelli, cui le vecchie case non riescono a far fronte,causa la loro struttura di costi alta, con tempi lunghi diammortamento dei singoli modelli. Modelli nuovi in tempirapidi, moto con funzionalità innovative, affidabilità di granlunga maggiore, prezzi concorrenziali, tutti gli elementi delmarketing furono ben studiati dai giapponesi.L’industria occidentale accusò il colpo, i primi anni ’70vedono l’introduzione dei Circoli di Qualità, cui seguironole prime teorizzazioni dei Sistemi di Qualità, con tutta laloro pesantezza di norme e procedure, che tanto hanno datolavoro a schiere di consulenti, il cui unico modello baseseguito era e rimane il PDCA di Deming. Tuttavia cambiarela cultura delle persone non è impresa di pochi giorni,richiedono anni, ecco perché sempre i giapponesi hannocontinuato a campare del vantaggio competitivo in tantisettori, vedi su tutti l’high tech e l’automobile.I Sistemi di Qualità hanno fatto emergere i migliori modi dilavorare: sono nate le best practises, che quindi non sonoaltro che il frutto rielaborato e consolidato del PDCA inizialedi Deming. Queste vengono impiegate ovunque, perché siè scoperto quanto sia inutile e faticoso scoprire l’acqua caldaogni giorno, per individuare il modo più efficiente ed efficacedi lavorare. I Sistemi di Qualità appaiono come uno strumentorigido, ma è la sensibilità, l’attenzione e la consapevolezzadei suoi utenti a renderlo flessibile, segnalando, ogni qualvoltasi individua la necessità, di adeguarsi ai cambiamenti.L’Italia è quasi come il Giappone postbellico, dobbiamoreinvertarci, farlo in tempi brevi, senza poterci permettereerrori, per questo le best practises sono basilari. Le grandiimprese sono autonome nell’applicarle, grazie alla dimensioneche ne permette sia organizzazione e gestione; è nelle PMI,da sempre spina dorsale della manifattura italiana, cheabbiamo grandi difficoltà. Il paradigma “piccolo è bello”non regge più, fondersi in realtà maggiori è laborioso e lacultura individualista italica, sua gioia e dolore, non aiuta,ma non vi sono tante alternative. Un ruolo importante possonosvolgerlo le summenzionate associazioni di categoria,ammesso vogliamo essere veri attori del cambiamento,evitando di campare sulle PMI residue.

Piccolo non è più bello

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di Paolo Montesi

Pericolo di infiltrazioni mafioseanche a Cesena. Alziamo laguardia!“La mafia è come i pidocchi,cresce dove c’è lo sporco”.Tutti noi romagnoli abbiamoconservato per decenni l’illusioneche il nostro sistema economicofosse profondamente “sano”,amalgamato da un forte collantedi “coesione sociale” e innervatosu un brulicare di associazionismoe volontariato, in sostanza immuneai pericoli di infiltrazioni mafiose.Molti di noi sarebbero pronti a

giurare ancora che il nostro tessuto imprenditoriale siasostanzialmente estraneo a legami con le cosche mafiose, costituitocom’è di tanti esempi di industriali e artigiani romagnoli che “sisono fatti da soli”, partendo dalla loro bottega o garage e che neglianni hanno creato imperi produttivo-finanziari.Beh… a dire il vero negli ultimi anni le indagini delle varie Procureantimafia e i numerosi episodi di cronaca locale, dicono il contrario.Anche a Cesena é ora di svegliarsi e alzare la guardia.Non tutti sanno che l’Emilia-Romagna (secondo i dati del Ministerodegli Interni) é la prima regione del Centro-Nord per valore di beniimmobili confiscati ai clan malavitosi.È probabile che la crisi economica, invece che disincentivare ilpericolo di infiltrazioni, abbia acuito la fame dei clan, che cercanonuove vie per riciclare il denaro sporco ed entrare in affari nellenostre zone ancora altamente produttive: offrono liquidità alleimprese in difficoltà del territorio (che il sistema bancario noneroga più), crescono a dismisura i “poveracci” che cadono nellarete dell’usura e delle scommesse clandestine. Tanti sono gliimprenditori costretti a scendere in affari con i boss per sfruttarei costi di manodopera nettamente inferiori, ma frutto di evasione,sfruttamento, corruzione ed estorsione.Ad un’analisi più attenta, magari con le lenti di un osservatoreinformato sulle dinamiche con cui usano muoversi le ’ndrine o lecosche mafiose, anche a Cesena si potrebbero leggere tanti piccoliepisodi, che nell’insieme potrebbero disegnare un quadropreoccupante: incendi dolosi “appicciati” a capannoni, autovetturee sedi di partito (scambiati per meri incidenti o episodi di violenzapolitica) che in realtà potrebbero essere sintomo di nuove minaccedi estorsione o di intimidazione; episodi di criminalità, catalogabilianche come scontri per la difesa di zone per lo spaccio di drogain Riviera, che ha sempre avuto in Cesena un fulcro dello smercio;le violenze accadute in estate all’ippodromo di Cesena; arresti econdanne per maxi evasioni o riciclo di denaro sporco.La speranza che i boss mandati al “confino” in Emilia-Romagna,una volta allontanati dalle loro regioni di mafia, potessero smetteredi delinquere é miseramente fallita. Al contrario si é rivelato unefficacissimo modo per facilitare il trapianto del cancro mafiosoanche nella nostra realtà, che probabilmente si sta mostrando moltopiù permeabile del previsto, proprio per l’impreparazione culturalea questi fenomeni. Non abbiamo gli anticorpi giusti. L’Emilia-Romagna “esente da mafia” non esiste più.Le indagini più recenti, che hanno lambito o interessato direttamenteCesena, provano che esistono anche qui aderenze tra imprenditoricollegati alla malavita con il ceto politico locale.Nel 2012 furono arrestati esponenti della famiglia Ionetti, considerato“l’Amministratore giudiziario per conto della cosca Condello diReggio Calabria”. Avevano affari nel settore dei trasporti perl’edilizia e la gestione dei rifiuti.A fine 2014 viene rivelato un legame forte tra la Romagna e lagalassia cooperativa al centro dello scandalo romano di “mafiacapitale”. Tra gli arrestati ci sono anche alcuni componenti del cdadi Formula Ambiente e il socio Salvatore Buzzi, presidente della“29 Giugno Servizi-Società Cooperativa di produzione e Lavoro”:

tra le controllate della “29 Giugno” c’è infatti il “Consorzio FormulaAmbiente”, partecipato, tra gli altri, da Formula Servizi (Forlì),Ciclat Trasporti (Ravenna), e Cils (Cesena). Buzzi, uomo chiavedell’inchiesta che aveva forti collegamenti con Forlì e Cesena, èaccusato di numerosi episodi di corruzione e nella corposa ordinanzadi custodia cautelare si raccontano svariate vicende di appaltitruccati e di pubblici ufficiali corrotti. La coop di Buzzi ha tra lecontrollate il Consorzio Formula Ambiente. Questa con 80 milionidi fatturato e 650 dipendenti ha sede a Cesena e riunisce altre 23coop, 20 delle quali a carattere sociale. Buzzi ne è stato il fondatoreinsieme a Formula Servizi di Forlì e fino al 2012 presidente,essendone socio al 49%".La corruzione, sostiene l’accusa, era la via facile per arrivare adacquisire posizioni dominanti e a drenare denaro pubblico che poifiniva in mille rivoli. Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati(già banda della Magliana e “intoccabile perché avrebbe portatosoldi a tutti” grazie ai legami con Finmeccanica) non era solo.Infine, l’operazione antimafia denominata “AEmilia” che ha portatoin carcere 117 persone collegate al clan del Grande Aracri di Cutro,e altre 46 sono agli arresti domiciliari, svelando una rete fittissima,di infiltrazioni mafiose, molto pervasiva e che coinvolgevaimprenditori, molti politici (molti esponenti del centro-destra),carabinieri, giudici, carabinieri, giornalisti, preti della nostra regione.Una mafia che anche in Emilia cercava di rendersi autonoma,controllando direttamente le imprese che evadevano il fisco econtemporaneamente vincevano appalti per la ricostruzione post-sisma, controllando o influenzando anche l’informazione e leassociazioni di contrasto alla mafia.Ricordiamo che il Comune di Cesena ha tra i suoi fornitori principali“Formula Ambiente” (per appalti per la spazzatura delle strade ela cura del verde pubblico), quindi una riflessione profonda andrebbesollevata in città e non ci si può accontentare del comunicatostampa di chiarimenti inviato dal Sindaco.Non é mia intenzione sollevare accuse mirate contro chicchessiao fare banale dietrologia per attaccare una parte politica (si sa chela mafia sta con il potere). Tutt’altro. Propongo un ragionamentopiù ampio, perché sono profondamente preoccupato che il nostrotessuto imprenditoriale, piegato da una drammatica crisi (di cuinon si vede il becco di ripresa), possa ritrovarsi, tra qualche annoal centro di un sistema, in cui sono i boss a dettare le regole delgioco e non il mercato o la libera iniziativa.Mi rivolgo agli attori principali del territorio (amministratori eesponenti politici, associazioni di categoria e culturali, banche eFondazione) che nella crisi non hanno certo brillato per coesionee sono stati spesso incapaci di alleviare gli effetti della recessione,perchè in questa fase promuovano seriamente una riflessione sucome debellare da subito il cancro della mafia.Non auspico certo una caccia alle streghe, ma mi piacerebbe cheper una volta si parlasse chiaro agli imprenditori e ai cittadini.Lotta senza confini alla mafia anche a Cesena, soprattutto neisettori più esposti al pericolo: imprese dell’edilizia, società sportivee il settore del divertimento.Questo significa pretendere massima trasparenza negli incarichie negli appalti pubblici, maggiore controllo sulla spesa pubblica,“liste nere” di imprese in odor di mafia, rispetto certosino delleregole sul conflitto di interesse per gli amministratori e i dipendentipubblici, costituire subito uno “Sportello legalità” per imprese ecittadini, un ampio programma di iniziative per sostenere leAssociazioni che promuovono iniziative per educare consumatorie giovani imprenditori al rispetto delle regole.Cambiamo strada finchè siamo in tempo. Alziamo la guardia efacciamo vedere che a Cesena lavorare eticamente è la regola, anziè l’unico modo che vogliamo utilizzare per fare impresa.Debellare la mafia, significa salvaguardare le imprese sane, ilavoratori, dare un futuro e una speranza ai giovani, e pretenderecomportamenti moralmente irreprensibili dai politici.Teniamo lontano la mafia da Cesena: “la mafia è come i pidocchi,cresce dove c’è lo sporco".

Non esenti da mafia

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In una società dove le tradizionaliforme di aggregazione e diespressione delle esigenze sonoripetutamente messe in discus-sione, riaffermare il ruolo dirappresentanza delle organiz-zazioni imprenditoriali significaavere la consapevolezza della ne-cessità di avere moderni strumenticapaci di creare valore per leimprese, anche dal punto di vistasindacale.Il presidio del territorio, le azioniper favorire processi di inte-grazione e confronto fra imprese

e la progettualità sui temi dello sviluppo economico e sociale dellacomunità sono fattori competitivi, che possono fare la differenzanelle dinamiche dei diversi ambiti territoriali.Il “senso” di un'organizzazione di rappresentanza non può ritrovarsinella mera erogazione di servizi, ma è quello di rappresentaredegnamente interessi collettivi.Le difficoltà che gran parte dei sistemi associativi sta scontandonon dipende soltanto dalla crisi economica che ha modificatoprofondamente il sistema delle imprese.La crisi oggi riguarda principalmentequelle imprese e quei sistemi associativiche non riescono a reggere le sfide delcambiamento e non sono capaci dileggere le trasformazioni e offrirerisposte in sintonia con il mutare deitempi.Dal punto di vista della rappresentanzain questi anni abbiamo assistito altentativo di superamento dellatradizionale funzione di mediazione frapolitica e imprese esercitata dalleorganizzazioni. Da una parte gliamministratori ricercano un rapportodiretto con i cittadini, spesso in manierastrumentale per ottenere un consenso in bianco sulle loro decisioni.Dall'altra, nascono forme di espressione del dissenso soprattuttoattraverso la costituzione di comitati spontanei che radicalizzanole posizioni e, pur non portando generalmente ad alcun risultato,spingono sovente le associazioni verso un dilemma: o esacerbarei toni per assecondare la rabbia della gente, oppure cercare soluzioniai problemi, con il rischio però di non essere assecondati daidecisori politici e di risultare troppo e concilianti nella percezionedei cittadini imprenditori.Un problema di non facile soluzione e che richiede capacità diascolto, identificazione delle priorità, ricerca di soluzioni adeguatee di metodologie di comunicazione appropriate.Abbiamo peraltro la consapevolezza che “Velocità”, “Sem-plificazione”, “Comunicazione” rappresentano parole d'ordinedell'attuale fase politica e che con questi aspetti le organizzazionidebbono misurarsi se vogliono svolgere un ruolo incisivo di tuteladelle imprese avendo sempre più come riferimento ambitiistituzionali e territoriali differenti rispetto agli attuali.L'evoluzione del quadro istituzionale con la progressiva nascita dienti di area più vasta rispetto agli attuali ambiti provinciali, losviluppo delle Unioni dei Comuni con le possibili fusioni di moltidi questi, creeranno una profonda trasformazione delle logicheorganizzative di rappresentanza e di presenza sul territorio.Nell'attuale caos istituzionale sembra andare di moda la necessitàdi creare livelli associativi speculari ai nuovi ambiti istituzionaliquasi che la modernità consista nel superare l'attuale localismonella ricerca di ipotetiche economie di scala nelle attività e,soprattutto, nella riduzione dei costi. Alcuni sistemi associativihanno già scelto la strada degli ambiti “romagnoli” mentre altrisono intenzionati a farlo a breve. Non siamo difensori dello status

quo ma riteniamo semplicistiche certe soluzioni che vengonoprospettate.Se il problema, ad esempio, è l'eccessiva frammentazione dellesigle associative all'interno di settori merceologici ormai superatinella loro capacità di costituire perimetri di rappresentanza(commercio, artigianato, industria, agricoltura, cooperazione)proporre come soluzione modelli di fatto uguali al passato conl'unica differenza della dimensione territoriale, potrebberappresentare una soluzione inadeguata.Per capirci: una possibile Confartigianato della Romagnasemplificherebbe la diffusione di associazioni dello stesso sistemaoperanti in aree sempre più omogenee ma non risolverebbe ilproblema della rappresentanza unitaria degli interessi delle impreseartigiane e nemmeno quelli delle piccole e medie imprese aprescindere dall'inquadramento in settori merceologici sempre dipiù privi di senso. Insomma: se da una parte l'evoluzione del quadroistituzionale costringe ad interventi di semplificazione di alcunefunzioni, dall'altro una dimensione associativa territorialmente piùampia non risolve automaticamente i problemi legati ad unamaggiore capacità di rappresentanza degli interessi delle imprese.Condizione fondamentale per ogni possibile processo d'integrazionedovrà essere quella di non disperdere il patrimonio di relazionicostruito nel territorio e soprattutto i principi ed i valori identitari

di ogni sistema associativo, imperniatisulla democrazia interna, fondamentaleper consentire ai dirigenti imprenditoril'esercizio di quella funzione di rap-presentanza politica fondata su unprocesso di partecipazione alle scelte ead un modello di responsabilità diffusa.Nella nostra esperienza abbiamopredisposto ad esempio il Codice Eticodella Confartigianato Cesena im-prontandolo ai valori di legalità e cor-rettezza e ribadendo la responsabilitàsociale di cui l'associazione e le impresedebbono farsi portatrici. Ben 1.051imprenditori hanno partecipato alrinnovo degli organi per eleggere 75

delegati con un'età media di 45 anni. Di questi, 22 sono delegatiper la prima volta, 21 sono le donne e 14 i giovani sotto i 40 anni.Attraverso il vincolo statutario nessun delegato ha più di 65 annied è stato come di consueto rispettato il limite dei mandati per laPresidenza. Questi numeri rappresentano la prova tangibile delcambiamento in atto e del nostro lavoro per innalzare i livelli didemocrazia interna. Il valore associativo si misura oggi non soltantocon l'esercizio della funzione di rappresentanza, ma anche attraversoil valore che si trasmette alle imprese nel supportarle nellacompetizione presente sui mercati. In questi anni, attraversomolteplici iniziative (Campus d'impresa, Internazionalizzazione,supporto alla creazione di reti d'impresa, Innovazione) abbiamocercato di fornire alle imprese progetti, strumenti, momenti formativied informativi idonei allo scopo.Abbiamo sviluppato nell'ultimo quadriennio una quantità rilevantedi attività svolgendo una funzione di connettori fra le imprese econ le opportunità esterne.I progetti “Alto Italiano”, “Fablab”, “Lufthansa”, “Italian MakersVillage”, “Bottega scuola” “Accademia della meccanica”, “ITSalta formazione” non rappresentano modalità occasionali, ma ilmodo con cui sempre di più vogliamo sviluppare la nostra relazionecon le imprese.Non esistono modelli teorici capaci di offrire soluzioni automaticheper vincere la sfida del cambiamento e della modernità. E'necessario, il giusto mix di idee, passione, talento, competenza ededizione. Una organizzazione di rappresentanza seria deve inveceguardare vicino e lontano insieme. La funzione esercitata dai corpiintermedi è indispensabile, a patto che questi continuino a coniugareinteressi delle imprese rappresentate e bene comune.

*Segretario Federimpresa Cesena

Interessi collettivi e bene comunedi Stefano Bernacci*

Il valore associativo si misuraoggi non soltanto con l’esercizio

della funzione dirappresentanza, ma ancheattraverso il valore che sitrasmette alle imprese nel

supportarle nella competizionepresente sui mercati.

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La metropoli della Romagna: sfida per il territoriodi Giampiero Placuzzi*

Il dibattito sulla “metropoli dellaRomagna”, che con l'avviodell'iter in regione sull'appro-vazione dei nuovi assetti istitu-zionali si è acceso nel territorio,si insinua in una fase di grandeprecarietà e confusione dell'ar-chitettura istituzionale decentratadel nostro Paese: l'eliminazionedelle Province senza ancora unminimo di chiarezza sulle deleghee sulle risorse economiche adisposizione delle Aree Vaste; lalegge Delrio che rischia di creare

conflitti tra le città metropolitane e le Regioni stesse; la costituzionedi Unioni di Comuni disciplinata da una legislazione attualefarraginosa e poco incentivante (e ciò spiega perché il numerodelle Unioni costituite è ancora così limitato); la riforma del titoloV della Costituzione che, viste purtroppo le premesse, rischia dirivelarsi un intervento superficiale senza andare alla radice deiproblemi.Dal canto suo il sistema amministrativo locale, con particolareriferimento alle Regioni, almeno fino ad ora, si è rivelato pressochéfallimentare in Italia. In un recente articolo sulla crisi delleRegioni, conclamata inesorabilmente dalle ultime sconsolantivicende (scarsa affluenza alle urne, vicenda degli “impresentabili”,governatori di sinistra candidati con la destra, mafia Capitale epotremmo continuare), Sergio Rizzo notava che “ciò che è peggio,di fronte a questa situazione il silenzio dei partiti è assordante.Nessuno vuole aprire gli occhi, riconoscere la crisi drammaticain cui è precipitata una politica locale mediocre, sempre piùconcentrata esclusivamente nella sopravvivenza del proprio poterequando non affogata nella corruzione”.Un'analisi in effetti spietatae non declinabile automaticamente a livello locale, ma checomunque offre spunti per una seria riflessione ed autocritica.Fatta questa premessa generale, fondamentale perché è in questoscenario che si innesca il ragionamento sulla città metropolitana,passiamo al merito.Primo punto: la sua reale fattibilità, per non rischiare di ragionarepiù su un'idea che su un fatto realmente concretizzabile.Occorre dunque capire bene se c'è la reale possibilità di crearequesto nuovo strumento e in che cosa esso differisce dalla Provincedi Area Vasta su cui si è ragionato finora sulla base del decretoDelrio. Insomma: c'è veramente la possibilità per farla nascere?Questo chiarimento, ovviamente, è preliminare a tutto il resto.La prima domanda non può che essere: che cosa ci si prefigge diottenere con la “metropoli della Romagna”? Se la creazione diquesto organismo avesse solamente uno scopo difensivo perarginare o contrastare lo strapotere della futura Bolognametropolitana da parte dei “figliastri negletti” romagnoli e ilrischio di un'ulteriore penalizzazione delle periferie, diciamosubito che il progetto avrebbe un respiro corto.Ancora: se la metropoli della Romagna fosse solo un nuovocontenitore, lasciando invariati gli attuali livelli istituzionali, ilrisultato sarebbe quello di aumentare i costi ma senza conseguirealcun reale vantaggio. Questo, di sicuro, è ciò che non serve.Sgombrato il campo da ciò che la città metropolitana non deveessere, quello che serve invece – a nostro avviso - è un progettopolitico che, sulla base di conclamate identità storiche, culturalie sociali dei nostri territori, definisca chiaramente gli obiettividel nuovo assetto istituzionale.Obiettivi che debbono essere condivisi dai romagnoli e debbonoavere innanzitutto due linee maestre: diminuire i costi di gestionedella cosa pubblica e conferire maggiore efficienza ai servizidestinati a cittadini e a imprese.Il progetto di città metropolitana della Romagna deve quindi

ridefinire e ridurre i centri di potere a livello locale, ma al tempostesso avere la capacità di mantenere un sistema di sportelliamministrativi vicini ai cittadini e di concentrare le funzioni diback office e i livelli decisionali di area vasta.Bisogna essere consapevoli, dunque, che questa strada comportala condivisione di strumenti di gestione amministrativa, comequello della pianificazione territoriale e dei regolamenti edilizi.In una ricerca di qualche anno fa commissionata da Confartigianatodi Cesena alla Facoltà di Architettura di Cesena, emerse a questoproposito uno sconfortante quadro di estrema parcellizzazione,che ben conoscono e mal sopportano i nostri imprenditori: ogniComune ha infatti il proprio regolamento edilizio, diverso da quellodel Comune vicino. Questa giungla normativa, naturalmente, nonpotrà essere compatibile con la prospettata metropoli della Romagna.Con la quale, altro esempio, si dovrebbero affrontare in manierauniforme le politiche della costa romagnola, in termini di sviluppoturistico e di infrastrutture necessarie. Lo stesso vale per le sceltestrategiche come la viabilità (la recente cancellazione della E55è un vulnus per il nostro territorio), le fiere e gli aeroporti. E ancora: la città metropolitana presuppone una politica unitariasu mobilità del personale, uniformità di procedure, risorseinformatiche, politiche della montagna e quote del verde, politichedi sviluppo economico, sistema culturale con la rete dei teatri ela promozione di eventi sotto l'egida del marchio doc Romagna.Essa assorbirà le funzioni in capo alle attuali province retrocessead enti di secondo livello, ma non potrà essere un mero Provincione.Serve un respiro più alto e un modo nuovo di fare politica, checostringe a uscire dai propri steccati. La forma mentis dovràdiventare “Pensare Romagna” .Gli amministratori saranno pronti a rinunciare al “campanile” infavore di una visione romagnola che sia capace di valorizzare lemigliori attitudini delle comunità locali? La domanda è legittima, specie dopo aver constatato che i primimodelli praticati di area vasta romagnola in realtà non sono staticerto del tutto incoraggianti. L'Ausl unica fino ad ora, ad esempio, non ha generato risparmi, non pare avere semplificato la governancee ha dato adito a preoccupazioni per la diminuzione qualitativadi servizi sanitari.Nel settore del trasporto pubblico, con Start Romagna, la situazioneè ben peggiore: non si è verificata alcuna integrazione tra i sistemidi gestione nelle tre preesistenti Province, i costi di produzionenon sono diminuiti e i servizi ai cittadini sono peggiorati.Per quel che concerne la gestione dei rifiuti, con la divisione deiComuni della nostra Provincia sulla modalità in house o sul bandopubblico, con Cesena e Forlì su due opposti versanti non è certoun esempio di territorio integratoInsomma: le basi da cui si parte non sono solidissime e il lavoroda fare per far nascere la città metropolitana della Romagna è tantoe postula un nuovo approccio culturale.Il nuovo assetto dovrà essere costruito dal basso attraverso unasolida visione comune da parte della classe dirigente locale e unavera unità di intenti fin da questa delicata fase nella quale l'As-semblea legislativa regionale ha avviato l'iter di approvazione del-la riforma del sistema istituzionale regionale: se la Romagna credenel progetto di metropoli, gli amministratori locali devono esercitareil loro peso politico per ottenere uno “strumento” istituzionaleche abbia le caratteristiche idonee per favorire una governancecondivisa dei nostri territori.Un ultima considerazione. Il tema della metropoli romagnola nonriguarda solo l'assetto istituzionale, ma pone una sfida anche atutti gli attori economici dello sviluppo del territorio, da quelli digoverno pubblico come le Camere di Commercio agli stessi sistemiassociativi. La partita riguarda tutti ed è una sfida per gli attoripolitici economici e sociali della Romagna che attende rispostenei fatti, prima che nelle parole.

* Vicesegretario di Confartigianato Federimpresa Cesena

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Hera

Doveva essere una furbata permettere soldi nelle tasche deicampanili, ma è diventataun’avventura che porta alloscontro fra campanili. Dovevaessere l’accordo per ribadireil potere del capitalismomunicipale, è divenuto ildisaccordo che mette inevidenza l’assurdità di quelsistema. Mi riferisco a Hera ealla decisione (presa, smentita,ribadita e fermata) di venderne

ulteriore parte delle azioni.Vendere patrimonio per alimentare la spesa è una sceltadissoluta, che conduce alla rovina. Vale per singoli e famiglie,come vale per la collettività. Più di 200 comuni siapprestavano a farlo, speculando sui beni accumulati daipredecessori e impoverendo i successori. Attenti, dunque,a quel che sta capitando in Hera. Imponente conglomeratodi municipalizzate quotata in Borsa. Tipico animale mistodel socialismo capitalizzato.Hera ha 8.500 dipendenti, serve 3.5 milioni di cittadini, èal primo posto nella gestione dei rifiuti, al secondo per leforniture d’acqua, al terzo per ilgas ed è il quinto operatorenazionale nella vendita di energiaelettrica. Il fatturato supera i 4.5miliardi. Decisamente grande.Nasce dall’aggregazione di diversemunicipalizzate, fra l’EmiliaRomagna, il Friuli Venezia Giulia,le Marche e la Toscana, attorno alnucleo forte di quelle bolognesi.Tale processo è positivo, dato cheil problema italiano non sono tantoi municipi, ma le municipalizzate. Dovrebbe portare a delleeconomie e alla diminuzione della spesa pubblica, inoltrecontribuisce a diminuire il numero di consigli e consiglierid’amministrazione. Peccato, però, che Hera abbia generato(fra possedute, controllate e partecipate) la bellezza di altre44 società. Gli azionisti, che dovrebbero stare con il fiatosul collo degli amministratori, del resto, sono in granmaggioranza politici, sicché poco inclini a limitare le capannesotto ai cui tetti ripararsi in caso di mancata rielezione, néfavorevoli a diminuire i posti da assegnare ai più devotisostenitori. E sono gli azionisti, infatti, il problema.Il 26 giugno del 2003 la società fece il suo ingresso inBorsa, assegnando al flottante il 44,5% del capitale. I soldiincassati finirono nelle rispettive casse comunali. Ad ogginon se ne ritrovano più neanche le tracce fossili. Siccomei soldi sono come le ciliege, che più ne hai e più ne mangi,i comuni, ovvero gli azionisti di controllo, hanno avviatole procedure per vendere un’altra parte del capitale,stipulando un patto di sindacato che passi dal 57,4 al 38,5%delle azioni. Vi invito a leggere quanto dichiarato dal sindaco(Paolo Lucchi) e dal vice (Carlo Battistini) di Cesena (tuttocattocomunismo alla Peppone e Don Camillo): “il governopubblico resta garantito ed Hera non sarà privatizzabile. Lagaranzia è contenuta nelle modifiche statutarie che prevedonoil voto maggiorato legato alle azioni vincolate e lamaggioranza del 75% necessaria per cambiare lo statuto”.

Lasciate perdere che i due sono convinti essere pubblicauna società quotata in Borsa, talché non si possa privatizzarla(ed è il solo punto su cui mi sento di convenire con la scuolasovietica: non si può privatizzare quel che è già privato),il loro eloquio, degno di un film titolato “Peppone va inBorsa”, chiarisce l’intento: vendiamo un pezzo consistentedel nostro patrimonio, sì da potere spendere i soldi subito,ma non molliamo un pelo del nostro potere. Programmache ha il pregio della chiarezza. Ne discendono alcuneconseguenze.I compagni di un tempo consideravano i patti di sindacatocon disprezzo, essendo uno strumento per mantenere ilpotere in poche mani, senza neanche impegnarle a scucirequattrini. C’era del vero, anche se, nel “sistema Cuccia”,era anche il modo per mantenere la politica fuori da uncapitalismo asfittico. Comunque, ora si sono convertiti, alpunto che i proprietari i soldi non solo non li mettono, mali pigliano. Il patto attuale, però, mette al sicuro da ognipossibile scalata, perché raccoglie più della metà del capitale.Quello che andavano preparando no. Ecco la trovata delvoto maggiorato, in modo che la minoranza sia maggioranza.In queste condizioni, perché il mercato dovrebbe investirein azioni vendute da sindaci e assessori che voglionoconservare il potere, in capo a una società i cui amministratori

sono da loro designati? Risposta:perché rendono bene. Non in-corporano il valore della conten-dibilità, altrimenti varrebbero dipiù, ma scontano quello dellarendita. E chi garantisce la rendita?Oh bella: quei 3.5 milioni dicittadini che pagano le bollette.Sono loro che attirano i compratori,pagando più di quel che potrebberoaltrimenti pagare. Tutto filava liscioe Peppone già contava, in sogno,

i soldi che avrebbe incassato, se non fosse che la Cgil s’èmessa di traverso, con la più rivelatrice delle motivazionipossibili: se i comuni perdono la maggioranza la societàdovrà rispondere a logiche di mercato. Oh bella, perchénon è già così? E’ quotata una società che non risponde almercato? I compagni sindacalisti hanno qualche ragione,che moltiplica i torti dei compagni sindaci. Per non dire deicompagni amministratori. Fatto è che il comune di Bologna,il pachiderma del branco, ha fatto marcia indietro, decidendodi non vendere più. Il che ha gettato nella costernazione glialtri Pepponi, con il pollice inutilmente inumidito. Sicchéhanno deciso di ribadire: loro avrebbero comunque venduto.Già, ma si pone un problema: il comune di Bologna, qualeazionista e quale componente decisivo del patto di sindacato,procederà ugualmente alla modifica dello statuto? In casoaffermativo, ciò porterà ad accrescere il peso di Bolognanel potere interno a Hera. In caso negativo, porterà gli altrisindaci a far la parte degli sciocchi. In tutti i casi il puntodecisivo è: una società quotata in Borsa che risponde alogiche di potere e spartizione di tipo municipale. Perrendere appetibili azioni di questo tipo si deve pagare unconsiderevole premio. A spese dei cittadini che eleggonoquella classe politica. Se ne sono consapevoli, auguri. Senon ne sono consapevoli, portino velocemente la mano aproteggere il loro portafogli.

di Davide Giacalone*

*Editorialista per Libero, Il Tempo e RTL 102.5

Socialismo capitalizzato

Una società quotata in Borsache risponde a logichedi potere e spartizione

di tipo municipale.A spese dei cittadini che

eleggono quellaclasse politica.

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di Luigi Di Placido

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Più un problema che una risorsaHera

Siamo più volte intervenuti sullevicende riguardanti Hera, sin daitempi della sua nascita come spacon capitale a maggioranzapubblico nel 2002.Abbiamo, infatti, sempre nutritoforti dubbi sulla opportunità diquotare in borsa una società man-tenendo la maggioranza azionariain capo ad amministrazioni pub-bliche: questo sia per gli evidenticonflitti di interesse, sia per il ri-schio di non poter reggere eventualiaumenti di capitale che si ren-dessero necessari.

Fino ad oggi, con un meccanismo oggettivamente discutibile,controllore e controllato sono coincisi: i Comuni detenevano lamaggioranza e quindi definivano tariffe e servizi, e al tempo stessodovevano vigilare sulla congruità di une e altri.I dividendi ottenuti dalla partecipazione azionaria sono semprestati una voce importante nei bilanci comunali; alla luce di questo,non è difficile capire come fosse complicato controllare quellestesse tariffe che fruttavano milioni di euro.In tutti questi anni, la politica romagnola non ha brillato perlungimiranza, comportandosi come se la presenza di Hera fosseineluttabile e immodificabile.E arriviamo ai giorni nostri: i Comuni hanno bisogno di soldi, percui decidono di vendere le azioni di Hera per fare cassa, Bolognain testa.Così facendo, la loro quota scende al 38% del capitale azionarioma, con una mossa degna della miglior pianificazione sovietica,modificano le regole per mantenere comunque il controllo.Portano al 75% la soglia per poter cambiare lo statuto, così possonocontinuare a contare, senza avere i soldi per farlo.In effetti qualcosa continueranno a contare, nominando consiglieridi amministrazione per tessere di partito e non per competenza,facendo scelte diverse a seconda del territorio amministrato (chisi è tenuto le reti, chi le ha regalate alla multiutility), disegnandoil proprio sviluppo territoriale in base a cosa piace o non piace aHera.E i soldi che i Comuni incasseranno dalla vendita delle azioni,frutto di una dismissione del patrimonio? Siamo curiosi di vederese verranno utilizzati per sovvenzionare la spesa corrente e crearnedi nuova, o per investimenti.A Cesena, il Sindaco Lucchi e il Vice Sindaco Battistini ritengono"la partecipazione a Hera strategica per i servizi pubblici locali”:talmente strategica che hanno deciso di vendere un terzo delleazioni possedute, senza peraltro certezza sulla cifra realizzata esui tempi necessari per ottenerla. Una domanda sorge spontanea:perché mai il "mercato" dovrebbe comperare le azioni che questisignori venderanno? Lo farà se sarà conveniente, ma per essereconveniente dovrà essere remunerativo.Ed ecco l’aspetto più interessante: i cittadini serviti da Heracontinueranno a pagare tariffe capaci di remunerare chi investenella società, anche senza pretendere di scalarla e governarla. Vuoldire che pagheranno più di quel che il servizio vale.Tutto deciso, dunque? Neanche per sogno, perché Bologna cambiaidea e decide di non vendere più le sue azioni, grazie alla prospettivadi ottenere una quota importante nella ripartizione dei fondi europeiin capo alla Regione, in aggiunta ai fondi destinati alla CittàMetropolitana e alla quotazione in Borsa dell’aeroporto.Apriti cielo, i Comuni romagnoli reagiscono duramente: Bolognanon può condizionare le politiche regionali con le sue scelte, questo“bolognacentrismo” è inaccettabile.Talmente inaccettabile che la decisione di vendere le azioni Heraè partita proprio da Bologna, e tutti ci si sono accodati docilmente.Con una "unione d’intenti” di questo genere i cittadini del nostroterritorio dovrebbero stare tranquilli?

Un ulteriore esempio di questo sfilacciamento è emerso nelleultime settimane riguardo alla gestione del ciclo integrato deirifiuti nel territorio della provincia Forlì-Cesena, attualmente incapo sempre a Hera.E’ infatti emersa una diffusa volontà di avviare uno studiopreliminare per la gestione “in house”, ovvero direttamente incapo ai Comuni.Ciò nasce da esperienze già ampiamente sperimentate in Italia,che assegnano agli enti pubblici la gestione dei rifiuti, in manierada razionalizzare la gestione del materiale riciclato, mas-simizzandone il profitto, così da poter abbassare le tariffe diigiene ambientale, oltre a dare vita a vere e proprie filiere spe-cializzate in questo campo. Una opportunità che da annicaldeggiamo con il nome di “distretto del recupero”.Sarebbe un inequivocabile segnale di indipendenza e, soprattutto,di capacità progettuale messa al servizio della crescita, dopo anninei quali sia la coesione territoriale sia i progetti cosiddetti di“area vasta” hanno dovuto spesso scontare battute d’arresto,quando non morti premature, a causa dell’ombra ancora pesantedei campanili.Neanche su questo i territori sono in sintonia: il forlivese e buonaparte del cesenate sono d’accordo ma non basta, perché Cesena(insieme a Ravenna) si è messa di traverso: vuole trovare il nuovogestore attraverso una gara europea.Una scelta che, andreottianamente, suscita cattivi pensieri checostituiscono peccato. Però, magari, si azzecca il nome delvincitore della gara.Come si può ancora affermare ragionevolmente che Hera è unarisorsa? Per le ricadute economiche derivanti dalla sua attività?Probabilmente sono le medesime che altri operatori saprebberomettere in campo, o che una gestione oculata e meno elefantiacaparimenti garantirebbe.Hera, ammesso che sia mai stata una risorsa, oggi non lo è più.E’ diventata un problema, che però nessuno pare avere il coraggiodi affrontare, perché questo comporterebbe rompere cordoniombelicali dei quali molti si nutrono.E qui arriviamo alla considerazione che da tempo facciamo: ilmonopolio che ha caratterizzato i servizi per troppi anni hainevitabilmente creato una situazione distorta che va curata.E la cura è la concorrenza, l'eliminazione delle rendite di posizione,il servizio migliore.In altre parole: la gestione privata con capitale privato.I Comuni hanno una grande forza: possiedono le reti (anche se,purtroppo, alcuni le hanno colpevolmente vendute), vero poterecontrattuale nei confronti di qualunque gestore, con il qualeevitare distorsioni o eccessivi appetiti: ebbene, lo usino, lasciandoche sia una gara a decidere l’offerta migliore.Sarebbe un grande contributo di chiarezza, per i bilanci e,sopratutto, per i cittadini.Oppure, come per il ciclo integrato dei rifiuti, abbiano il coraggiodi giocare in prima persona una sfida che porti ricchezza e prestigiopolitico.Da questo poco edificante scenario emerge un'altra dura verità:la politica dei nostri territori ha mostrato estrema debolezzanell’affrontare e gestire questi temi, schiacciata tra decisioniassunte altrove e un management societario divenuto sempre piùunico depositario della linea aziendale.Non c’è stato il coraggio di affrontare un confronto sulle prospettivedi lungo periodo, preferendo rimanere attaccati allo status quo(si veda, a questo proposito, la modestia delle soluzioni adottateper la semplificazione burocratica e, sopratutto, la razionalizzazioneamministrativa territoriale, nella quale non si va oltre a Unionilimitate e si evita accuratamente l’argomento delle fusioni).Cosa fare dunque, per chi non detiene le leve di un potere semprepiù immobile e ripiegato su se stesso?Provocare, tenere alta l’attenzione, svegliare le coscienzeintorpidite.Esattamente quello che abbiamo fatto e continueremo a fare.

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Il risiko bancario accelera sempre più

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di Paolo Morelli*

C'erano una volta le banchesempre uguali a se stesse, conle insegne che diventavanofamigliari, le sedi che facevanoparte del panorama e servivanoper dare informazioni stradali,e il personale che conosceva afondo consistenza, problemi eprospettive dei clienti, fosserosingoli, famiglie o imprese.Da parecchi anni nel settorebancario è in corso un'evo-luzione che ne ha già cambiato

i connotati e nel prossimo futuro lo trasfigurerà.Cosa ci sarà alla fine di questo processo nessuno lo può diredi preciso, anche perché probabilmente l'evoluzione non sifermerà mai, alimentata da se stessa e dalla necessità di tenereil passo con una globabilizzazione che in campo finanziarioè particolarmente veloce.La Romagna non fa eccezione, ovviamente. Rispetto ad alcunianni fa il panorama delle insegne bancarie lungo le nostrestrade è cambiato, e ancora più cambierà nel giro di pochianni: alla fase di forte espansione degli anni Novanta e deiprimi anni Duemila, quando le filiali delle banche spuntavanocome funghi dopo la pioggia lungo le strade più trafficate, lacrisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2007 hacontrapposto un clima di austerità che ha costretto consiglid'amministrazione e direttori generali a tornare sui propripassi appesantendo i bilanci con i costi della chiusura deglisportelli dopo averli gravati di quelli delle aperture.Le Banche Popolari sono diventate un monocolore: la Popolaredell'Emilia Romagna, nata al momento dell'incorporazionedella Popolare di Cesena, conquistata con un'offerta alla qualenon si poteva dire no, ha assorbito anche la Popolare diRavenna e ora si prepara alla trasformazione in società perazioni (in realtà la società è già quotata) con la nuova insegnaBPER Banca.Le Casse di Risparmio si sono mosse in ordine sparso: laFondazione che controllava quella di Forlì, che si differenziaanche nel nome chiamandosi 'dei Risparmi', ha colto almomento opportuno l'offerta di Intesa Sanpaolo e ha cedutola maggioranza delle azioni incamerando una notevole quantitàdi euro che hanno consentito interventi di grande respiro abeneficio della città e del territorio. Le recenti proteste deipiccoli azionisti, penalizzati da un mercato asfittico, confermanoche ogni medaglia ha il suo rovescio.Delle altre Casse romagnole, quella di Ravenna è la più insalute grazie a un'accorta politica di alleanze e acquisizioniguidata da Antonio Patuelli, costantemente in cabina di regiaa Ravenna e ora anche al vertice dell'Associazione BancariaItaliana.A Cesena e Rimini le Fondazioni hanno il problemadi cedere quote cospicue delle azioni delle banche cittadineper fare in modo di non avere più del 33 per cento del loropatrimonio investito nello stesso asset. Il protocollo siglatopochissimi mesi fa dall'Acri, l'Associazione nazionale delleCasse di Risparmio e delle Fondazioni, dà cinque anni ditempo, e non è detto che se qualcuno arriverà col fiatone invista del traguardo non ottenga un altro po' di tempo.Qualche settimana fa con un'intervista al Resto del Carlino,dopo la sua conferma alla presidenza della Fondazione Cassadi Risparmio di Cesena, Bruno Piraccini ha delineato la

strategia per i prossimi anni che vede la Fondazione affiancatadalla banca d'affari Rothschild nel ruolo di advisor per ilreperimento e la selezione di partner finanziari disposti ainvestire cospicue risorse nello sviluppo di una banca chenegli ultimi anni ha scontato, con forti accantonamentistraordinari, le difficoltà delle imprese che operano nel settoreedilizio di restituire i finanziamenti ricevuti, ma che avrebbeormai superato la fase più difficoltosa. Le banche di rilievonazionale che hanno mostrato interesse a mettere un piede inRomagna sono diverse, e tra queste c'è anche il Credit Agricole,già presente nella nostra regione con la Cassa di Risparmiodi Parma, ma si cerca anche un partner interessato alla retedelle filiali Carisp per distribuire prodotti finanziari oassicurativi.A Rimini la Cassa di Risparmio, ritornata a una gestioneordinaria dopo il commissariamento della Banca d'Italiaconseguente ai problematici rapporti con San Marino, stariprendendo quota, ma deve risolvere diversi problemi, tra iquali la negoziazione dei titoli, tuttora bloccata. Su questofronte a Cesena c'è movimento, ma le offerte di venditasuperano le richieste di acquisto; la quotazione del titolo, checinque anni fa aveva superato i 19 euro, nelle ultime settimaneè stabile a 17,30 euro.Di certo c'è che l'antico progetto di creare una grande Cassadi Risparmio di Romagna, anticipatore di una tendenza cheora si va affermando in vari settori, non si concretizzerà: leFondazioni di origine bancaria non hanno intese particolarmentebrillanti: le piattaforme sulle quali si muovono sono l'Irst,l'Istituto romagnolo per la ricerca e la cura dei tumori, el'Università, ma anche qui ognuna tende a fare per contoproprio.Più effervescente è il panorama del Credito Cooperativo, chevede in Romagna una forte concentrazione degli istituti bancarinati spesso “all'ombra del campanile”. Ci sono diversi progettidi aggregazione che stanno andando avanti, ma il nodo dasciogliere è Banca Romagna Cooperativa: dopo che i dueconsigli di amministrazione che hanno retto la banca dal 2008,quando nacque dalla fusione tra Romagna Centro e Macerone,sono stati pesantemente sanzionati dalla Banca d'Italia insiemeai sindaci revisori e ai dirigenti (ma tutti hanno fatto ricorso)e sono stati chiamati in causa da un'azione di responsabilitàpromossa dai commissari straordinari Claudio Giombini eFranco Zambon per 64 milioni di euro complessivi, c'è statoil salvataggio che il movimento del Credito Cooperativorealizza attraverso Banca Sviluppo, controllata dall'Iccrea,l'istituto centrale delle Bcc. La strada è tutta in salita, con isoci destinati a vedere svanire il capitale sociale e i dipendentiche devono ingoiare bocconi assai amari, mentre i depositisono stati messi al sicuro anche per somme superiori al limiteistituzionale di centomila euro; probabilmente quella di BancaSviluppo sarà una soluzione temporanea in attesa che nelleprovince di Forlì-Cesena e Rimini si facciano forti aggregazionicome già accaduto per il Credito Cooperativo Ravennate eImolese. Nel Cesenate è già in fase avanzata il progetto difusione tra Banca di Cesena e Bcc Gatteo e il passo successivopotrebbe essere l'aggregazione con la Banca di Forlì, mentrele Bcc di Sala e Sarsina vorrebbero mantenere la loroautonomia. Nel Riminese erano state avviate due aggregazionitra Bcc: Romagna Est con la Marecchiese, e Banca di Riminicon la Valmarecchia, ma la prima sembra destinata al naufragio.

*Giornalista del Resto del Carlino e Teleromagna

Cesena

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di Giampiero Teodorani

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Abbiamo recentemente rac-contato come la mancanza diun progetto culturale (non cisono idee!) stia determinandoscelte illogiche per la culturacesenate e per le strutture adessa preposte.Ora si sta concludendo l’at-tuazione del progetto di “ri-strutturazione” della Malate-stiana e del San Biagio, con lacaparbietà che ben conoscia-

mo, anche su altri argomenti, purtroppo!E’ già realtà la chiusura del Centro Culturale S. Biagio, conconseguente trasferimento delle sue funzioni in BibliotecaMalatestiana.Oramai tutto si fa lì dentro: perché, come è noto, “la scopanuova spazza meglio di quella vecchia”. Negli storici ufficiche furono di Renato Serra e dove fino a pochi mesi falavoravano 5impiegati, oggine sono stipati10.Qui si tengonoconvegni e riu-nioni d’ogni ge-nere e si fannomostre: ancheperché non costanulla, a chi or-ganizza gli even-ti.La recente no-vità è costituitadalla “invenzio-ne”di un nuovoruolo per la vec-chia sede di via Aldini.Inizialmente siera pensato di farla diventare il Palazzo delle diverseassociazioni culturali e del tempo libero, anche per evitaredi pagare un affitto oneroso per il comune, in quanto laproprietà è dell'Azienda pubblica di Servizi alla Persona;poi quando ci si è resi conto che le associazioni destinatariedi tale proposta non hanno un soldo, (ma non ci volevamolto a saperlo, visto che sono sempre a chiedere contributial Comune) la scelta è caduta sul Centro DocumentazioneEducativa e sul Centro Donna. Mentre però il primo si ècollocato in uffici “normali” e comunque dignitosi, cer-tamente migliori rispetto alla precedente ubicazione, ilsecondo è stato posto in locali veramente “inospitali”, perdi più inadeguati per l’accesso al pubblico.Sicuramente in quei pochi metri quadrati del sottoscala, dadove si sale al deposito nel quale sono conservati gli archividel cinema, e destinati in origine a accogliere il centralino

telefonico, un ripostiglio e l'orologio marcatempo deidipendenti, non ci sono le condizioni di agibilità che lamedicina del lavoro e ARPA chiedono normalmente aiprivati, per gli uffici aperti al pubblico.Leggo che “all'interno del Centro Donna di via Aldini vieneproposto Ricomincio da Me, uno spazio protetto (sic!), dovepotere intraprendere un percorso psicologico che si articolain un pacchetto di incontri...”.Non si tratta certamente dell'ambiente ideale e riservato,dove raccontare che si stanno subendo violenze e soprusi,quindi chiedere aiuto, ma quello giusto per ricevere un altroschiaffo: questa volta proprio dall'istituzione che prometteascolto e comprensione.Mi meraviglia il silenzio in cui la vicenda si è sviluppata,ancor più la totale noncuranza delle varie associazioni chesi occupano dei problemi delle donne… ma forse è propriovero che ci si abitua a tutto…Non credo però che si possa continuare così: con tantaimprovvisazione e proposte senza qualità.

Nel contenitore S.Biagio, oltre le duefunzioni che hodescritto, rimane lasede amministra-tiva di ERT, chegestisce il TeatroBonci (forse 2 o 3impiegati) e poidue sale cinema-tografiche, tecno-logicamente obso-lete, gestite “comesi può”, con unaprogrammazionecosì così, diciamocommerciale.Proseguendo, infondo a via Aldini,c'è la PinacotecaComunale, con gli

attigui locali abbandonati della scuola musicale Corelli (chedovevano garantire una logica espansione museale), occupatidal Circolo Filatelico e Numismatico, e poi c’è la sededell’Associazione culturale “Non Museo”: mai deno-minazione risultò cosi appropriata, visto il contesto.Non oso pensare che per l'Amministrazione Comunale,dopo anni di investimenti ingenti, questa sia la destinazionedefinitiva del complesso conventuale ex S. Biagio e chequalcuno ritenga che le cose vadano bene così.Curioso, per non dire drammatico, è constatare come inquasi trenta anni si sia passati da un centro polifunzionaleculturale-sociale, con musei, audioteca, videoteca, scuoladi musica, sale cinematografiche e per convegni, mensa ealloggi protetti, al nulla più assoluto, al vuoto spinto.Non possiamo abituarci a chi “non vede oltre il proprionaso” e sperpera solo denaro pubblico.

Dal Comune perfino uno schiaffo alle donneCesena

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* * *“Un anno soltanto? È solo il primo anno del suo secondo mandato?Cazzo! Quanto ce n’è ancora prima che finisca! Già non ne vedevol’ora. Ancora quattro?” “Ma questa che analisi è? Che valutazioneè del suo mandato, della sua azione, dei suoi conseguimenti?”“Ma che c…. di conseguimenti? Che c…. dici?” “No. Tu che cosastai dicendo? Sarà mica una valutazione del suo operato…tuttasta serie di tue esclamazioni. Non ti facevo della schiera in continuosviluppo dei qualunquisti e populisti strapazzoni che…nonsopporto”. “Ma va aff…” “Ecco, appunto, che dicevo? Sei diquella risma anche tu. Non si riesce a fare una chiacchierata seria,con qualche argomento. Vaffa, e via andando. Sei anche tu delnuovo dilagante gregge. E manco siete delle merinos”. “No. Hol’impressione che chi è rimasto nel grezzo gregge sei tu. Non io.Svegliati”. “No, mio caro, io qualche considerazione su questianni del suo primo mandato e di quest’anno sono in grado di farlae la posso fare…” “Anch’io cosa ti credi? Vabbè mi sono lasciatoandare all’esclamazione e a uno sfogo…non ho argomentato, hosolo espresso un sentimento, ma sincero e sentito e motivato.” “Bhè! Allora è un’altra cosa. Certo, però che non ho colto lemotivazioni e le argomentazioni.” “Non fare il furbino. Ne vuoiqualcuna? A proposito ti ricordi quel librettino di qualche anno fa:<Fatto. Fatto. Fatto:>? Te lo ricordi?” “Onestamente in modo vago,approssimativo”. “Ecco, come sempre sei un gran signore. Sì, haidetto bene, approssimativo. Tanto che di effetto scarso, cadutosubito nel dimenticatoio; che neppure ha reso pubblicitariamenteal modo che lui stesso avrebbe voluto. Una serie di risibilisciocchezzuole che lui voleva sbandierare come cose fatte, come,così come dici tu, conseguimenti ottenuti. Una poderosa messa inscena propagandistica per allodole abbondanti specie nel suo pollaiodi provenienza. Mo, invece, guardiamo al Fatto per davvero, cosìcome mi vengono alla rinfusa: s’è fatto portare via il MacFrut;guarda l’obbrobrio del Foro annonario; l’incapponimento capricciososu piazza della Libertà; le panzane senza costrutto su parcheggialternativi a quello che vuole chiudere; il demagogico sodaliziocaso per caso con il verdismo di interessi particolari e momentanei;la lentezza procedurale e burocratica che impera di contro allasveltezza promessa e mai praticata; la poltiglia sulla cultura, centrocinema e a continuare, che è stata bersagliata perfino da un saccodi critici del suo mondo di manca; sulla sanità sempre prono aregionali e bolognesi, dimostrando un peso specifico neppure allaprova di Pitagora; un modo di gestire la cosa di tutti che in altritempi sarebbe stato facile bollare con <clientelismo>, <smaccataparzialità>. Potrei continuare, altro che fatto, fatto, fatto, ma èmeglio che mi fermi anche perché ad ogni riferimento mi sale lastizza. E poi, scusa tanto, ma tu dove c…. vivi? Non te lo dicono?Non lo senti anche tu che tutti ne parlano per il suo modo, perl’arroganza che trasuda da quello? Tutti, non solo quelli che hannomotivo di essere incaz… con lui come, chessò, quelli del Parcheggiodella Libertà, ma anche chi è della sua parte? L’ho sentito da alcunidi loro, mica l’ho detto io per primo: <arrogante coi deboli, debolecoi forti>”. “Scusami ma mi pare che hai ingoiato un chiodo. C’ètroppo pregiudizio in quel che dici. Vabbè hai elencato cose sullequali si può discutere e non esclamare, è già un buon passo avanti,però sento pregiudizio, scivolamento populistico di moda.” “Perfavore non fare lo stronzetto saccente. Mi conosci e sai che sonopronto a tutto il confronto di merito che preferisci. Non avrò le tuestesse opinioni, ma del populista a me non lo devi dare. Semmaise c’è del populismo è proprio il suo e sarei curioso di vedere comemi contraddici. Tanta demagogia e tanto populismo a bizzeffe cosicondito di supponenza e di arroganza, non lo avevo mai visto.Prova a negare.” “Non voglio negare niente, dico solo che tra luiche dice che tutto quello che fatto, fatto, fatto, va bene ed è moltoe tu che dici che non va bene niente e che emerge solodell’arroganza, per parte mia penso che ci sia altra via, altrevalutazioni. E ti scandalizzerò ma talune potrebbero perfino piùvolgere a suo favore che contro”. “ Mi piacerebbe conoscernequalcuna.” “ Bhè, vediamo. Nella crisi economica e occupazionale

che pare maledetta, non è certo disprezzabile l’impegno e la riuscitadi iniziative come CesenaLab; parli di MacFrut ma non parli deiproblemi connessi con il sistema fieristico e la concorrenzainternazionale sulle fiere, non è campo dove tranciare giudizi…”“Ti arrampichi sugli specchi come qualche altro nostro amico, maappunto, è sugli specchi che ti arrampichi”. “No, sto cercando difare una valutazione senza pregiudizio alcuno. Dicevi la lentezzaburocrtica, ma sempre sull’economia, di recente ha sbloccato conimpiego di soli sei mesi la possibilità di investimento per una aziendaimportante come Orogel che darà quasi una ottantina di posti dilavoro in più. Non mi pare roba di poco conto e non mi pare chestia nelle cose che dicevi tu. Ha avuto un certo giusto riscontro distampa, non l’hai visto?” “L’ho visto, l’ho visto. Ho anche vistoche quello sblocco, come lo chiami tu, si è fatto nel giro di sei mesi.Bene. Ma ho anche visto che l’accelerata segue ben quattordici anni,dico quattordici anni, nei quali ci sono dietro. Per fortuna chefinalmente l’hanno sbloccata. E tu cosa mi vuoi dire che il bravoamministratore è quello dell’accelerata degli ultimi mesi? E quellodel blocco degli anni, molti, troppi, precedenti, che è se non uno…malascia perdere. Tu vuoi a tutti i costi vedere il bicchiere mezzo pieno.Già, perché non chiedi a quello che trasferisce le sue aziende perchédopo che per cinque anni gli hanno detto che poteva fare cose eadesso gliele hanno impedite? Non potevano dire prima se non sipotevano fare? Non me ne frega niente, ma perché trascinare percinque anni una risposta che prima era positiva e poi diventa negativacome la folgorazione di san Paolo? Questo è modo di amministrare,questo è modo di essere di aiuto alle imprese? Questo è modo dirapportarsi con le nostre aziende? Una buona amministrazione dàdei riferimenti certi, anche quando sono negativi. È modo correttoanche questo.Consente a tutti di fare conto su certezze. Non si fa perdere tempoe neppure, soprattutto, si prende in giro. Dimmi, queste cose nonti sfiorano l’anticamera del cervello quando a tutti i costi vuoi perforza fare il bicchiere sempre mezzo pieno?” “ Sì, ho seguito. Misono anche un poco informato tanto mi sembrava strano eeffettivamente ne viene fuori un modo decisamente biasimevole.Però al contempo non puoi negare che, intanto, su un piano piùgenerale tutti gli enti locali sono in una difficoltà spaventosa etuttavia, non puoi negare che anche su questi problemi ci sono statesoluzioni positive. Altre aziende hanno trovato la giusta rispostaanche se si devono adattare a qualcosa che le renda a regola…”“Dimmi lo sei o lo stai facendo? Non ho voglia di entrare nel meritodi cose che peraltro ci si è guardati bene dal vederle sulla stampacon i particolari che avrebbero meritato.Non ho voglia di andare a puntualizzare le più o meno discrezionalitàche pur ci sono; di guardare che si pongono condizioni che anchese tutti le soddisfano, c’è chi va avanti e chi retrocede. Ripeto nonho voglia di incaz…ancora di più. E non capisco perché ci siamofermati qui dopo tutto quel che ho detto. Il mio giudizio è menopregiudiziale del tuo. Io sono più oggettivo di te nel guardare lostato del bicchiere. Tu lo vedi solo in un modo.” “No. Non è cosìe non mi nascondo ad esprimere quel che penso. Ma penso ancheche non si debba solo essere contro e non penso che sia un pensieroquello che si esprime con un vaffa.” “ Te l’ho detto. Era un sentimentoe come vedi ha supporto e motivazioni. Comunque un sentimento,sincero. L’arroganza poi, comunque non la sopporto neppure se ècontornata di agire risolutivo. Qui sta da sola senza agire e neppurerisoluzioni. Non è un problema da poco. Va avanti anche perchéniente lo contrasta davvero.” “Questo non si può mettere a caricodi uno soltanto. Se mancano chi fa contrasto, chi si contrappone;se la politica è la morta gora che si vede non è colpa di una persona.Sono ben altre e ben di più le colpe. Il punto semmai è quello diuna situazione politica e di una classe politica che difficilmente siesprime con cifre differenti dalla predominante mediocrità. E poici siamo noi, il popolo, e allora molte cose si comprendono con piùfacilità.” “Se permetti anche io sono popolo e sono incaz… e parlo,

Cesena

Un dialogo fra altri

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come vedi.” “Sì, fra te e me. Tutto sto popolo partecipante, se togliqualche sporadico caso, non si vede e non si sente. Non si leggee non si attrezza di azioni e quant’altro…” “Mio caro amico manon ti accorgi la paura che c’è a farsi sentire, a dire le proprieopinioni a farsele trovare nei giornali? Non ti accorgi che tantissimianche i più insospettabili tirano il culo indietro piuttosto che direquel che pensano? Se la fanno addosso. E se dopo non gli fannofare carriera? E se gli fanno una qualche ritorsione? E se lo esilianoai margini? E se lo boicottano e gli impediscono quel che ambisce,che meriterebbe? Dove vivi? Senti qualcuno parlare da dentro lasanità? Pensi che non ce ne siano che direbbero? Se la fannoaddosso. Da dentro il comune? Da dentro lo stesso partito? Chideve parlare un imprenditore che teme dispetti, ritorsioni? Ilprofessionista che è per il quieto vivere e chi se ne frega? Chi? i

La prima volta che scrissi suEnergie Nuove fu nel 2011.L’argomento? Piazza dellaLibertà. A distanza di quattro annimi si ripropone la stessa occa-sione. Viene spontaneo chiedersiperché parlarne ancora.soprattutto cosa scrivere che nonsia stato già detto e ridetto inquesti ultimi anni. Da allora cisono state un susseguirsi dimanifestazioni, incontri, dibattiti,ultimo km, carta bianca, cheavevano come oggetto sempre lostesso tema: l’abolizione del

parcheggio e la realizzazione di una piazza, un nuovo luogo diritrovo, ristoro ed in futuro di probabile “bivacco” per la cittàdi Cesena. In questi quattro anni abbiamo anche assistito alleelezioni amministrative che hanno visto il nostro attuale Sindacoriconfermarsi vincitore al primo turno con il vantaggio diessersi liberato di qualche consigliere “scomodo” che per anniaveva battagliato su questo tema, potendo così proseguire, senzagrandi ostacoli ed in completa autonomia, il suo percorso didistruzione del centro storico della città di Cesena. E già, perchéSindaco e Giunta hanno sicuramente la palla in mano e, almenoper il momento, sembrano essere in grado di gestirne anche ilmodulo di gioco. Non si capisce in effetti dove siano finiti gliavversari “politici”. Cosa stiano facendo e cosa faranno primadell’estate per ostacolare la chiusura definitiva della Piazza. IlSignor “Tana Boia” è il vero unico elemento di disturbo alSindaco in queste ultime settimane.Un personaggio che,sicuramente, cattura l’attenzione della gente. Un’idea,indubbiamente simpatica, nata nel tentativo di non fare cadereil tutto nel vuoto, per non lasciare che il silenzio abbia ilsopravvento e che gli eventi seguano il loro corso senza che isostenitori del parcheggio abbiano lottato per difendere la lorovisione della città, la visione di quel 45% circa di persone chenon hanno votato per il Sindaco Lucchi ma che vivono nellacittà della quale lui è amministratore, di tutti e per tutti. “Fanaticoè colui che non può cambiare idea e non intende cambiareargomento”, così diceva Winston Churchill. Non volendo inalcun modo dare del fanatico al Sindaco, viene però abbastanzaspontaneo chiedersi, ancora una volta, forse l’ultima volta, suquali basi amministrative e politiche si sia basata la sua decisione.Partendo da dati statistici, la popolazione mondiale nel 2050aumenterà del 30%. Per quell’epoca si prevede che il 70% dellapopolazione vivrà nelle aree urbane. Un ritorno dalla campagnaalla città, per una serie di fattori. Non ultimo il fatto che l’aumentodella popolazione implicherà un aumento del fabbisogno

alimentare che quindi comporterà la necessità di salvaguardarei terreni agricoli. In quest’ottica, la scelta di precludere l’accessoal centro storico non è sicuramente lungimirante. Prendendo inesame altri Comuni italiani di uguale, minore o maggiore densitàdi popolazione si può rilevare come il parcheggio interrato siastata una soluzione adottata da diversi di essi come valorizzazionedei centri storici, là dove i parcheggi già esistenti in superficiesi erano rivelati insufficienti alle necessità dei residenti e deivisitatori e dove si è voluto pedonalizzare il centro senza privarlodella sua vitalità. Città molto spesso governate da amministratoridi sinistra ma con un’evidente diversa visione del futuro dellapropria città. Città altrettanto ricche di storia nel sottosuolo comeCesena, se non ancor più di Cesena, che hanno però preferitofare emergere questa storia a vantaggio della città stessa, nonsolo sotto l’aspetto culturale ma anche economico come naturaleconseguenza. Parcheggi interrati realizzati, in alcuni casi, conbandi pubblici attraverso i quali i privati, anche in forma associata,hanno potuto manifestare ai Comuni il loro interesse a realizzareuna parte dell’investimento. Parcheggi interrati con la possibilitàdi realizzare dei box da vendere a residenti e commercianti aprezzi agevolati. Parcheggi interrati convenzionati con le attivitàdel centro storico (banche, farmacie, studi legali, studi notarili,commercialisti, negozianti….) incentivando così la permanenzadi queste attività nel cuore della città. E’ difficile trovare un sensoa questa decisione completamente illogica nella realtà attuale efutura. E’ difficile capire perché parte dei soldi che saranno spesiper la realizzazione della piazza non possano essere destinati adinterventi ben più urgenti. Chissà se il Sindaco ha mai percorso,a piedi, alcune vie a ridosso del centro storico dove non esistonomarciapiedi, dove ci sono buche che diventano giganteschepozzanghere nelle giornate, sempre più frequenti, di pioggiatorrenziale, dove le radici degli alberi, poco curati, fuoriesconodal terreno, dove l’illuminazione fioca fa apparire Cesena unacittà buia, deserta, un dormitorio. Come potrà una città cosìattirare in futuro turismo o anche solo persone dei comuni vicinise non ci saranno nel centro storico i servizi e le attrattive perinvogliare la gente a visitarla? Eppure già nel 1999 i cesenatiavevano dimostrato la loro contrarietà a questa scelta raccogliendoben 6.000 firme. Ed ancora recentemente più di 7000 firme sonostate raccolte. Firme di residenti, operatori e visitatori del centrostorico di Cesena finite in qualche cassetto e mai considerate.Non riusciamo proprio a credere che il Sindaco Lucchi vorràlasciare questo ricordo di sé alla città. Chissà, forse avrà in serbouna sorpresa, il famoso asso nella manica da sfilare all’ultimomomento. Niente parcheggio in Piazza della Libertà marealizzazione di un parcheggio interrato, magari in CorsoCavour….Anche se questa scelta non avrebbe molto senso senon quello di confermare una presa di posizione, restiamo fiduciosiche qualcosa di sensato possa ancora accadere.

giornali che hanno già paura di loro e ancor più gliene viene sepubblicano voci extra coro belante? Chi dovrebbe?”. “Scusa maforse forse che stai parlando di quel popolo a cui facevo riferimento?Allora non c’è proprio soluzione. È per questo che anche tu cometanti rifluite sui vaffa e sulle esclamazioni? Siete i migliori alleatidello status quo. E senza nemmeno bisogno di pagarvi. Mi sa chemi preferisco io e il mio mezzo bicchiere pieno.” “Ma va a cagare!””Ecco appunto. Mi pareva…”Un dialogo, perfino paradossale, ma vero. Perfino simpatico.Forse quasi una sorta di spaccato di altri e più dialoghi che pur cisono. In qualche modo anche emblematici. Alla richiesta di poterlopubblicare proprio per questo, la risposta dei nostri due è stata: sì,si può fare, purchè senza nomi. Che dire? “Ecco, appunto!”

Piazza della libertà: final countdown

Continua da pag. 15

di Valeria Burin

Un dialogo fra altri

Cesena

Red.

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di Claudio Cavalli

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L’anniversario: 1465 – 2015,550 anni di biblioteca pubblicae civica.Gli anniversari possono essereun pretesto ma questo dellaMalatestiana come bibliotecapubblica e civica è una me-moria di grande significatoculturale e politico.L’anniversario si muove inparallelo con il centenario dellamorte di Renato Serra, uomo

di vibrante cultura e di critica poetica innovativa, già direttoredella biblioteca. Inoltre questo 2015 propone la concomitanzacon l’Expo, occasione di informazione internazionale, danon perdere.Il riferimento storico è il 20 novembre 1465: MalatestaNovello moriva lasciando nel suo testamento una serie didisposizioni a conferma che la proprietà della sua biblioteca,già aperta al pubblico, andava allacittà. In quell’epoca le bibliotecheerano monastiche o ecclesiasticheo di proprietà signorile, unabiblioteca pubblica e soprattuttocivica fu un fatto per molti decenniunico e di lungimirante visioneculturale.Avvenne in una terra di provincia,ai confini delle grandi potenzeitaliane, per cui non ebbe granderisalto: tocca a noi, ancora cittadinidi una terra di provincia, recuperarequel valore, proporlo nella suaimportanza ai nostri tempi, ag-giungerlo alla bellezza già unicadella quattrocentesca Malatestiana,memoria del mondo.Malatestiana dell’ Eroico Mano-scritto.Erano circa quattro anni che noisegnalavamo questo anniversariosenza ottenere risposte dai variinterlocutori, per cui, arrivati all’e-state del 2014, abbiamo pensato di proporre un progettoconcreto direttamente alla città: alle molte persone sensibilialla cultura, alla valorizzazione del patrimonio artistico, aldesiderio creativo di fare qualcosa oltre il grigiore mediocredi questi tempi. L’apertura della proposta era semplice: seMalatesta Novello aveva regalato la sua biblioteca di preziosimanoscritti alla città, la città poteva ricambiare regalandoalla biblioteca un manoscritto, certo grande, sufficientementegrande da coinvolgere centinaia se non migliaia di personedi ogni età, cultura, competenza.Così è nato “l’Eroico Manoscritto”: una impresa senzaprecedenti, che impegna a inventare anche i materiali e lepossibilità funzionali, con un testo inedito che racconta inmaniera comprensibile e piacevole gli episodi salienti di

quanto la città ha fatto per proteggere e valorizzare la suabiblioteca, scritto poi a mano da copisti delle scuole cesenatidi ogni ordine e grado (eccetto le scuole dell’infanzia) inuna unica calligrafia umanistica elegante e ben leggibile,con grandi “miniature” di artisti contemporanei e capoletteraornamentali più piccoli, opera ancora dei ragazzi dellescuole. Un’opera che mette anche a dura prova conoscenze,intelligenze, immaginazione, capacità inventive ed operativedi più persone.Di qui l’aggettivo “eroico”: perché è proprio del percorsoeroico addentrarsi in territori inesplorati, affrontare proveche, come ci accade, possono non andare a buon fine edesigono altri tentativi, per acquisire conoscenze talvoltainimmaginabili e raggiungere la meta.In genere l’eroe è un personaggio solo, in questo caso,molto più interessante, il percorso eroico è “argonautico”,di gruppo e di gruppi: è una città che nei suoi vari settori,età, lavori, professionalità, ruoli, si misura con diversipercorsi eroici. Questo aspetto di fare qualcosa di mai rea-

lizzato prima e capace di sfidaregli dei del tempo e della dimen-ticanza, questo fare un’opera cheè anche narrazione di quello cheè oggi la città e i suoi abitanti, conla loro anima identitaria antica eprofonda della Malatestiana, questaopera che è anche un messaggioalle future generazioni e avventurache i più giovani potranno rac-contare ai figli e ai nipoti, insommaqueste cose insieme sono state lasuggestione forte che ha aperto ilsorriso, lo stupore e l’adesione cosìvasta ed entusiasta dei cittadini diogni età. L’Eroico Manoscritto èun’occasione nella quale la cittàsegnala il suo piacere di percorrereavven-ture che accorciano ladistanza fra la vita quotidiana e ildesiderio di bellezza.Per tutti questi motivi è risultatasubito comprensibile la “regola delregalo”: ogni partecipante al

progetto deve regalare qualcosa, in particolare abilità,conoscenze, mani, tempo; chi può soldi o materiali.E’ bello oggi incontrare gli sguardi sorridenti degli insegnanti,dei ragazzi che si impegnano nella difficile scrittura manuale,o gli sguardi piacevolmente sorpresi degli artigiani, in molticasi veri talenti nascosti, eccellenti, mortificati o pocovalorizzati da questi tempi di lavori di routine spessomediocri.In questo territorio ci sono produzioni rare e capacitàinventive insospettabili, in grado di risolvere operazionicomplesse come la realizzazione delle pagine del manoscritto- leggere, duttili, resistenti e in grado di durare nel tempo- di farne la rilegatura (in dimensioni e pesi senza precedenti),

L’“Eroico manoscritto”Cesena

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L’“Eroico manoscritto”

o la copertura in cuoio, bella, cucita ad arte e con ornamenti.Tuttavia questo progetto ha potuto procedere grazie al fattoche l’associazione Artexplora e la Clac snc si sono impegnatenotevolmente anche sul piano economico, grazie ai contributieconomici di alcuni cittadini, e in particolare grazie adun’impresa e un imprenditore che, fin dal primo incontro,hanno colto il valore e il senso profondo dell’iniziativa esostengono con un contributo economico importante larealizzazione del libro: si tratta della Orogel, del suo staffcommerciale e del suo AD Bruno Piraccini.Un film sarà l’opera conclusiva del progetto.Artexplora non ha perso neppure una occasione: abbiamoripreso con la telecamera ogni momento, personaggio,luogo, avvenimento, fase di realizzazione, fin dalle primeproposte; abbiamo fatto riprese anche quando gli interlocutorinon sapevano di che cosa avremmo parlato.Sarà montato come un film che narra questa impresa vera,con una colonna sonora originale che coinvolgerà unmusicista che ha realizzato importanti colonne sonore percinema, e, per alcuneriprese, sarà coinvoltoun direttore dellafotografia, entrambidi Cesena. Intendiamoproporre il film ancheai festival.Pensieri non conclu-sivi.Per tutto quanto scrit-to, per l’esito ar-tisti-co e tecnico del Ma-noscritto, per una suafunzione di attrazionenei confronti del pub-blico e dei viaggiatorinon specializzati macuriosi, mi sembra cheil luogo più adatto adospitarlo sia da ricer-care all’interno dellaMalatestiana: come una tappa del percorso che aiuta avalorizzare quel salto nel tempo e nelle molte emozionidell’umana vita interiore che è l’aula antica.L’adesione all’epica avventurosa di questo manoscritto dicequanto siano oggi gradite le proposte coraggiose eimpegnative: perché aprono nuove relazioni, nuovedimensioni di stima e di merito, forme di sinergia cheneppure si immaginavano e che rendono obsolete e inutilile vecchie competizioni o anche le distinzioni a partire dalleappartenenze. Una proposta eminentemente culturale comequesta dà un’idea di come potrebbe essere una diversadimensione della politica.Qualche volta, e questo è uno di quei casi, la forza si rivelaessere non nell’esercizio del potere, ma là dove ha le suevere radici: nella tesa e vasta motivazione di molte persone.Sono i momenti in cui si osa e avvengono i cambiamenti.I numeri del Manoscritto.

50 pagine, di cm. 140 di base x 210 di altezza; una coperturain cuoio; peso complessivo stimato kg. 200 ca.20 episodi salienti costituiscono il testo che narra quelloche ha fatto la città di Cesena per proteggere e valorizzarela Malatestiana dal 1465 al 2015.20 grandi miniature, una ogni capitolo, opera di artisti diCesena e della Romagna, in gran parte giovani, selezionatidai docenti d’accademia Massimo Pulini, Vittorio D’Augustae da Alessandra Bigi, direttrice di musei e di una rivistad’arte.Un comitato di consulenza tecnica scientifica (G.CarloBiasini, Denis Cappellini, Christian Castorri, GiordanoConti, Paola Errani, Marino Mengozzi, Marco Ruscelli, G.Piero Teodorani, coordinatore: Giovanni Poletti).Un coordinatore tecnico di ricerca materiali e soluzioni(Silvano Tontini).14 calligrafi, dopo avere fatto un corso di calligrafia condottodalla prof. Maria Pia Montagna, dell’università di Venezia,hanno tenuto a loro volta i corsi ai gruppi di ragazzi e poi

hanno coordinato illavoro di scrittura del-le pagine. 38 spet-tacoli di narrazione,opera originale diArtexplora, che comeprimo obiettivo delprogetto hanno in-formato le scuole inmaniera appropriataed appassionante sul-la avventurosa storiadella Malatestiana.111 classi di scuolache partecipano alprogetto, dalla scuolaprimaria alle su-periori.34 gruppi di copisti,oltre 640 ragazzi, scri-vono le pagine giganti

del testo;34 gruppi di miniatori, (600/800 ragazzi), progettano e rea-lizzano i capolettera.Una decina di artigiani collaborano alla realizzazione tecnicadel libro.I patrocini: Comune di Cesena e Malatestiana, RegioneEmilia Romagna. Gli Sponsor: Orogel, Fondazione Cassadi Risparmio di Cesena, CNA Forlì-Cesena, cittadini diCesena; gli sponsor tecnici: (in ordine alfabetico): Alberodelle matite, Arci Solidarietà, Centro Montefiore, C’era l’H,Conad, Delle Donne Catering, Italplast srl, La luna in tasca,Laser services, Legatoria Renzi, Montalti Falegnameria,Plants, Service 2000, Silca, Sofà snc, Studio Busnengo,Zefiroconsulting.Il Guinnes dei primati è una conseguenza collaterale diquanto sopra ed ha la sua importanza per il vasto pubblicointernazionale che raggiunge.

Cesena

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di Maurizio Ravegnani

Come ben dice la delicata eraffinata penna di GiacomoComandini nello scritto pub-blicato in occasione del cin-quantesimo anniversario dellanascita di Renato Serra, sullarivista “Val Lamone” diFaenza, nel 1934: “Ma Renatoera diventato, lui che aborrivadal nome, ”e professor”: cosìlo cominciarono a chiamare, avent’anni, le persone di uncerto ceto. Per tutti gli altri era

allora,e rimase sempre,” Renato, nato re”. Quest’ultimaespressione era di solito usata dalla madre “con opportunogioco di metatesi del suo nome”, come ben ci ricorda AlfredoGrilli. Dalla gente di Cesena quindi, quella che si commuovevaquando commemorava il Pascoli e il Carducci al TeatroComunale, o pronunciaval’orazione funebre in onore diNazzareno Trovanelli , o ricordavaGaspare Finali, tanto per citarealcuni esempi, sapeva riscuoteregrande considerazione ed onore etutti erano fieramente orgogliosidi quel giovane, vanto della Città.La partecipazione, di mente e dicuore, da parte del popolo cesenateera grande e tutti si sentivanoonorati di essere romagnoli. Tuttisappiamo quanto abbia amato lasua Città, la sua Romagna, la suagente. Quante le pagine d’amore dedicate a questo mondo, dettecon tanta semplicità, gentilezza,sentimento, delicatezza, che tutticomprendevano e sentivano comeloro le avrebbero dette. ” Ma sonoa Cesena,fra la gente che io hosempre praticata; e dalla miafinestra usata l’inverno è menosquallido……”; …”e mi scoprììin corpo….. una gran nostalgia del mio paese, una granvoglia di buttare all’aria tutte le cartacce fiorentine e ditornare alla mia casa, alle mie dilettazioni fantastiche eserene, alla mia bella Romagna.”; “ Del resto, io vivo inquesta piccola città dove faccio molto liberamente ilbibliotecario d’una silenziosa e superba libreriaquattrocentesca….”. “Come beatamente l’occhio si riposasu questa dolce terra di Romagna! ” Lui che si autopresentacosì: ”Nato in Romagna, ma di altro sangue, che attraversola madre lombardo –piemontese e il padre romagnolo, miviene da avi celti e inglesi così come italici, non ho nientedi romagnolo……” amava questa terra e questa gente e neera ricambiato con una partecipazione corale. Tutti sisentivano in lui e così lo chiamavano “Renato”, con quel

grande affetto unito però al grande rispetto che si nutre solonei confronti dei “grandi”. Tanto che Enzo Grazzini,in quelfamoso articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 17settembre 1953, grazie anche alla fortuna di avere avuto afianco una guida eccezionale nella sua visita alla Cesena diSerra come Cino Pedrelli, dice: “Egli è invece, presente evivo dietro le porte di ogni casa cittadina, in mezzo allagente umile e incolta, con i vecchi e con i giovani, conquelli che lo conobbero e con quelli che hanno sentitoparlare di lui…”Di qui il titolo alla giornata di lavori che Venerdì 18settembre due Associazioni culturali cesenati,” PaeseNuovo” ed “Energie Nuove”, che da tempo parlano diRenato Serra e di Biblioteca Malatestiana, dedicherannoad uno dei figli prediletti della Città, amato da tutti. A direil vero fu Denis Ugolini a lanciare per primo, in tempiassolutamente non sospetti quando fervevano ancora i lavoriin Biblioteca, l’idea di un Premio internazionale dedicatoa Renato Serra, da istituirsi in Malatestiana per promuovere

e divulgare nel mondo quel binomioinscindibile rappresentato dal Serrae dalla sua “Libreria”.Un incontro che si terrà dalle 17 inpoi, presso quella sala che tutti icesenati conoscono e chiamanoaffettuosamente “Rimbomba”, tal chenon ha bisogno di commenti, perproseguire, dopo un buffet romagnolo,con altri interventi e avviarsi alleconclusioni che saranno tenutedall’illustre Professor Marino Biondi.Un tributo d’affetto a più voci dallasua gente,dal suo popolo. Un modoparticolare, al di là delle celebrazioniufficiali, senza aver l’ardire disovrapporsi o di andare in com-petizione con alcuno.Ognuno degli autorevoli e illustricesenati e non cesenati, che ringra-ziamo fin d’ora per aver accoltol’invito e condiviso l’idea, porteràuna testimonianza, un ricordo, unaneddoto, uno studio, una ricerca, un

aspetto della sua vita di uomo, con le sue debolezze e virtù,di critico, di letterato di “poeta, filosofo, mistico”come diceA.Grilli.Da Roberto Casalini, Marino Biondi, Giordano Conti,Roberto Balzani, Cosimo Ceccuti, Daniela Savoia, PietroCastagnoli, Anna Lia Pedrelli, Riccardo Caporali, dagliartisti Silvano, che esporrà un prezioso lavoro tratto dal”Diario di Trincea”e Silvano Tontini che presenterà un videoe un suo progetto, sono già pervenute le adesioni e leconferme,mentre sono aperti rapporti e contatti con altrepersonalità cesenati per averli attorno a quel tavolo in cuisi parlerà di Serra, in una atmosfera particolare di amicizia,di intimità,di affetto, di sentimento, di calore umano che“Renato” sentiva come indispensabile alla vita.

Serra. Renato per i cesenatiCesena

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di Oddo Biasini

Renato Serra e Cesena

Di seguito l’articolo che Oddo Biasini scrisse per “Il Popolano”Dire di Renato Serra nella sua città, mentre un nuovo incontro dialto livello culturale riapre il discorso sul critico e sul valore dellasua opera, è sempre un atto di presunzione.Difficile, infatti, dire qualcosa di nuovo e di originale su un personaggioche Cesena conobbe e amò fin che visse, e per molti anni dopo, piùcome il giovane sportivo appassionato della bicicletta, del gioco delpallone e della pratica atletica che non come il grande critico cheapriva una nuova fase della cultura italiana; più preoccupato, inapparenza, del suo fisico muscoloso, che non della letteratura, diquella “religione delle lettere” di cui doveva diventare autorevolesacerdote.Da tempo sono scomparsi nella nostra città coloro che con RenatoSerra ebbero consuetudine e pratica di amicizia e potrebbero di luiforse metter in luce qualche anfratto di un carattere che amava celareentro di sé il meglio di sé, qualche episodio della vita del cesenateSerra.A chi non ha altro titolo per parlare di questo illustre personaggio,se non l’ affetto di un cesenate ad un cesenate, non resta che ricercaree sottolineare un aspetto del concittadino: l’ attaccamento alla suaterra ed alla sua città, che si manifestò in un legame costante,strettissimo per tutta la sua esistenza, troppo presto tolta alla suafamiglia, a Cesena, alla cultura; un legame che affiora da tante suelettere, da squarci delle sue stesse opere di critico:perché anche nell’ impegno del critico egli sentival’ esigenza di legare le “ sue chiacchiere”, così diceva,“a qualche cosa, nel cielo e nella terra vera”, cioèalla sua terra, tanto da apparirgli inconsistente ildiscorso di critico e di poeta senza questo legame.E tanti sono i passi della sua opera in cui l’ analisidel critico si sposa con la sensibilità del poeta; equesta trae aspirazione dalla sua terra, dalla suaRomagna.“Come beatamente l’ occhio si riposa su questa dolceterra di Romagna. Ella è ancora intorno a me tuttorabruna e nuda in una chiara aria d’ inverno”.E’ l’ apertura famosa, tanto citata, dal suo saggio sulPascoli: saggio che, più di ogni altro, egli sentivalegato alla sua terra: ed un altro grande poeta e mae-stro, ancora lo richiamava a Cesena e alla Romagna:Giosuè Carducci: “Il Carducci è un poco dei nostri,di Romagna , di Cesena”.Perché mai un così profondo legame nel letterato che nella sua operaspaziava ben oltre i confini della provincia e dell’ Italia, in una ricercache si muoveva nella ampia latitudine della cultura europea e mondiale,da Platone a Kant, dai poeti greci al Petrarca, a Montaigne, a Kipling,a Bergson, a Verlaine , Laforgue, Rimbaud? Che nell’ “ Esame dicoscienza di un letterato” interpretava il tormento ed i quesitiangosciosi che la guerra poneva alla coscienza letteraria del mondointero?Questo “ignoto e finissimo Serra”, che Benedetto Croce veniva acercare da Napoli, spinto dal bisogno di “quel conversare agiato nellasua Cesena da uomo a uomo” che andava cercando lungo i porticidi Cesena mentre Renato sul Garampo era impegnato in una provaal pallone; o saliva, in bicicletta, verso S. Tommaso nella casa colonicadel padre; o addirittura preferiva, almeno per un po’, le battutepiccanti in dialetto con qualche sartina, agli impegnativi colloquicon il grande filosofo partenopeo.Perché tanto amore per una terra che non era la patria dei sui avi inquesto raffinato letterario che, secondo Cesare Angelini, “potendoessere altrove grande, volle essere qui, buono; e amò il vivere paesanoin una semplicità che era saggezza? ”Rispondere a queste domande significa affrontare il rapportoparticolarissimo dell’ uomo con la sua terra: di Renato Serra conCesena e la Romagna, il tema che Ezio Raimondi indicava comefondamentale per i “colloqui” di Cesena del 1965: “ non una com-memorazione a più voci nel gusto di un affresco celebrativo, mal’idea di un’ immagine plurima intorno ad un letterato…legato comepochi altri alla storia di una provincia”.Che resta allora da fare a noi cesenati senza autorità nel campo dellelettere? Un compito modesto: accrescere l’ apprezzamento e l’ amore

nostri per Cesena e la Romagna, nel ricordo devoto dell’ attaccamento“ serriano”, della sua perenne nostalgia per gli aspetti della sua terra,sempre fissi nella sua memoria: il Savio “quasi nastro lasciato caderpigramente da qualcuno”; il Ponte Vecchio che lo vedeva presenteogni anno, almeno alla festa di S. Margherita; la rocca Malatestiana;il filo lungo e stretto della strada polverosa per Cesenatico; la torreMalatestiana di S. Giorgio (ahimè, distrutta dai vandali nazisti) unadelle mete delle sue veloci passeggiate in bicicletta.Quella città e quella campagna egli ricordava con profonda malinconianelle lettere alla mamma da Bologna dove non riusciva ad adattarsial freddo, all’ estraneità della città dove si era trasferito per gli studiuniversitari, nell’autunno del 1900.“Non vedo l’ ora di essere a Cesena per poter andare a fare qualchepasseggiata fuori porta,in campagna”.Ed ora la contrapposizione, quasi dolorosa, tra l’ambiente cordialee confidenziale del mondo un po’ paesano di Cesena e la folla anonimadella grande città: “ Il passar quasi tutto il tempo in giro qua e là…senza trovare spesso nella folla seccante una faccia amica con cuiscambiare una parola”.Quella sua città, quei suoi quartieri, conosciuti nei minimi particolari,egli ricorda in una lettera alla cugina alla vigilia della guerra, scrivendodalla lontana Latisana: “ starmene qui seduto.. mi dà l’ impressionelibera e leggera di una passeggiata, come me ne andassi quieto,

quieto, abbandonato alla leggerezza della biciclettae al capriccio dei miei pensieri, per una bella stradadi Cesena”.E sulla scia di questa nostalgia, un sogno ad occhiaperti: “ facciamo conto di esser giù per la stazione,(invece delle 11 del mattino, saranno le 7 verso sera)d’aver visto te e la mamma dalla finestra. Facciopendere un po’ la bicicletta e butto un braccio all’ inferriata per fermarmi: e facciamo due chiacchiere”.Per questa Cesena egli rinunciò a prestigioseprospettive che lo avrebbero portato ad incarichi dielevatissimo prestigio: a Roma, a Bologna, a Torino,a Firenze, dove non resistette più di una estate in unincarico di ricerca per la pubblicazione di un grandedizionario bio-bibliografico.Egli aveva fatto forza a se stesso nell’accettarel’impegno: “ed eccomi impegnato, per molti anni,forse per tutta la vita a spogliare metodicamente lebiblioteche e gli archivi di Firenze”.

Ma non era un progetto in cui impegnare fino in fondo la riccaumanità creativa del critico-poeta e soprattutto la nostalgia della suaamata città. Ed ecco allora il ritorno a Cesena : la collaborazione con“La Romagna “ di Orsini e Gasperoni; anche con “La Voce” diPrezzolini e De Robertis, col “Marzocco”, ma senza staccarsi maida Cesena!Dalla sua città: dove accettava l’incarico, non certo di grande prestigio,per l’insegnamento di italiano nella Scuola Normale Femminile;dove Ubaldo Comandini, che di Renato Serra aveva colto tutta lasua grandezza di critico e letterato, riusciva finalmente ad affidarglil’attesa direzione della Malatestiana cui Serra aveva, forseinconsapevolmente, sempre guardato per fissare in via definitiva ilsuo legame con la sua città.Da questo suo silenzioso tempio, sacro alla cultura, lo strappò, comeè scritto nella lapide che lo ricorda, uno sconvolgimento bellico lecui conseguenze egli cercò di interpretare con la coscienza del grandeletterato, conscio dei dirompenti effetti che la grande guerra avrebbeavuto anche sul piano della cultura mondiale. Dunque, un grandefiglio di Cesena, un grande cesenate che a noi dà un insegnamentoparticolare, accanto a quelli che a tutti offre come letterato e comemaestro della “religione delle lettere”, come critico e come poeta:l’amore per la nostra città e per la nostra terra, per i tesori di vita edi umanità che esse conservano.Quella di Serra è stata un altissima lezione di fedeltà alle ragionidella continuità e semplicità quotidiana.Nel suo rapporto con la città egli ha fatto valere quel che per ognunodeve essere l’ attaccamento alle proprie radici, alla propria identità,ai propri valori, ai propri luoghi. Insomma, quei legami che servonoa non farsi “massificare”. Oggi non meno di ieri.

Cesena

Prof. On.Oddo Biasini

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Per un po’ avevo chiesto in giro,avevo teso l’orecchio per coglierequalche segnale provenientedall’interno della neopolifun-zionale Malatestiana. Pensavoinfatti che nell’anno del cen-tenario serriano e dell’inizio dellaprima guerra mondiale, ancheper la memoria di Gino Barbieri“qualcosa” fosse in cantiere.Forse che, come Renato Serramirabile artista fu della parola,lui non è stato del segno e del

colore artista di straordinario valore (e come Serra com-battente, e come Serra scomparso giovane al fronte)?Son sincero, adesso che sul Barbieri scrivo (e siamo a finemaggio) questa noterella: sarò felice se mi diranno, quandola rivista sarà uscita, che mi ero sbagliato; che Cesena nons’era (certo) dimenticata di uno dei suoi artisti maggiori,di Serra al pari degno d’esser celebrato in questa tornatacommemorativa della Grande Guerra (o della GrandeTragedia).Qui dunque, senza troppo soffermarmi sulla grandezzadell’arte sua, che si suppone ai più nota specialmente comeincisore, su Gino Barbieri vorrei riportare un paio diargomenti tra quelli trattati nel recente convegno di“ArteLibro” al Palazzo dei Notai di Bologna, entro quelSalone del Podestà che proprio con l’aiuto del giovanetalentuoso Gino era stato decorato all’inizio del secolo dalgrande Adolfo De Carolis.Il patrimonio cittadino. La prima annotazione riguarda latitolarità di Cesena come detentrice del principale “corpus”di memorie e opere del celebre artista. E’ di proprietàcomunale il poderoso nucleo di artistiche carte che, graziealle segnalazioni dei compianti Renato Turci e Cino Pedrelli,attorno alla metà degli anni ’70, riuscii a ritrovare “smarrite”tra i fondi librari della Biblioteca Malatestiana. Erano inpessimo stato conservativo circa 160 carte tra disegni,incisioni e xilografie, oltre a lastre e legni originali incisi:stavano insieme le opere facenti parte della raccolta civicafin dagli anni ’20 e i il ‘fondo’ donato alla città nel 1954dalla sorella del pittore, Dina (Adelaide) Barbieri, vedovaFaivre, residente in Francia. Quel patrimonio ritrovato,debitamente censito, lo si volle mostrare a Cesena(l’esposizione fu allestita nel ’78, sotto il titolo Gino Barbieritra liberty e avanguardie, la curai assieme al non dimenticatoRomano Pieri), ma venne subito dopo d’urgenza “risanato”grazie ad un intervento dell’Istituto regionale per i beniculturali (disinfezioni, puliture, cartonature per i singolifogli, il tutto dentro una “scatola” fabbricata ad arte) equindi “alloggiato” presso la nascente Pinacoteca Comunaleall’interno del San Biagio: finalmente riunito agli splendididipinti del Barbieri già della raccolta civica.E’ bene ricordare (valutazioni a parte - ma potrei confessarefondati timori - sulla trascuratezza riservata oggi alpatrimonio artistico comunale) che nel “Fondo Barbieri”sono inserite anche le tavole xilografiche che rimandanodirettamente alla Grande Guerra, vissuta in diretta dall’artistasulla costa e sull’altopiano veneti. C’è compresa anche lacelebre cartella I soldati d’Italia, che tanto giovò alla chiarafama del loro giovane autore, già peraltro conquistata sulcampo dell’arte fin dagli anni fiorentini.

Ecco perché - sottolineata pure la presenza a Cesena di unaltro cospicuo nucleo di opere presso la Cassa di Risparmio- del “nostro” Barbieri si dovrebbe già tanto parlare (emostrare) in questo 2015 pur saturo di commemorazioni(ma forse qualcun dirà che si vuol attendere il 2017, per unpiù “degno” centenario della morte dell’artista-combattente?).Memorie e risarcimenti. Non so, spero: che la figura d’uncesenate “doc” qual è stato Cino Pedrelli venga giustamenteevidenziata durante quest’anno serriano. Tanto lui ha fattoper il Renato letterato; ma pure sul Gino pittore quanti indiziha svelato, dopo che nel vuoto era precipitata la sua memoria,tramontato il tempo degli “osanna” di regime all’eroicoartista combattente? Sono da ricordare gli scavi dello studiosocesenate sulla famiglia e la nascita (26 novembre dell’anno1885) di Gino (all’anagrafe Luigi Giovanni), sulle dimorecittadine della famiglia Barbieri, sul nascente talento delgiovane pittore quand’era studente all’Istituto Magistraledi Forlimpopoli, sulle tendenze politiche “visibilmenteindirizzate in senso repubblicano”. Non sappiamo forsegrazie a Pedrelli che fu in viale Mazzoni la casa dove nacqueGino Barbieri, nel palazzotto che anticamente fu sedeuniversitaria? E che bella la storia narrata dallo stesso sulla“casa blu” in cima al Monte Sterlino, edificio popolare, macaratteristico, dove per un po’ il giovane abitò con la famiglia:osservata proprio da Renato Serra tra gli scorci cesenati delsuo Esame di coscienza di un letterato («…E quella casalà di fronte, improvvisa come uno squillo: la facciata conl’intonaco crepato, e le finestrine buie; una pennellatad’oltremare, così crudo, così fresco»), e descritta da ManlioDazzi, ottimo bibliotecario della Malatestiana, comeambientazione del suo romanzo Citta. Giorni di contumacia.A Pedrelli si deve poi la scrupolosa consultazione di uninedito epistolario pisano comprendente anche le lettere ecartoline postali inviate da Barbieri all’amico cesenate UgoMagnani a partire dall’anno 1900 e fino a pochi giorniprima della morte, nel novembre del ’17 («Mi trovo sullemontagne del confine in prossimità dell’altipiano dei 7comuni...»). E scrive spesso ricordando la “sua” Cesena.Scrive a proposito dei suoi concittadini che hanno “tantocuore puro”, scrive del suo dolore per la morte di RenatoSerra («…ho pianto quando ho appreso la morte di unconfratello di valore figlio della mia stessa terra»).Scrive Barbieri anche sulla propria condizione di artista, suFirenze diventata di fatto la sua città d’adozione. Quellacittà che tanto gli stava offrendo in notorietà, ma non (e sene lamenta assai) sostenibili qualità di vita, anche se laprotezione del celebre De Carolis valeva a procurargli buonisuccessi ai concorsi accademici, qualche commissione diritratti e specialmente proposte di collaborazione in campoeditoriale; talune prestigiose come per la rivista L’Eroicae per le copertine di libri pubblicati da Angelo FortunatoFormiggini. E scrive, ancor prima di arrivare al fronte, dellasua sincera adesione alla guerra, che fu certo di matricerisorgimentale all’inizio e poi forse più motivata dal pensierointerventista e nazionalista che fu di D’Annunzio, verso ilquale Barbieri ha dimostrato (ritraendolo anche) più d’unsemplice segno d’ammirazione.In una lettera, fra le tante scritte all’amico Magnani, ilsoldato volontario Gino Barbieri sostiene con forza che«…ormai siamo in ballo e bisogna ballare e se Dio vuolesperiamo di dare anche una buona lezione. Io andrò presto

Cesenati e Grande Guerra: non solo Serradi Orlando Piraccini*

Cesena

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di Ottorino Bartolini

sottotenente… e viva l’Italia». In altre corrispondenze, trail 1916 e il ’17, più volte si dice poi dispiaciuto del pocotempo a disposizione per fare arte, mentre la vita militare,a Malamocco specialmente, sembrerebbe apparirglid’ordinaria e a tratti perfino meschina quotidianità. Avrebbevoluto fare il disegnatore al fronte; fare (e riprendere) laguerra “dal vero”. Intercederà proprio D’Annunzio allora,e Barbieri sarà in prima linea con i “Lupi di Toscana”,sull’Isonzo: a incidere legni per le sue xilografie di guerradurante le lunghe giornate di trincea. E a combattere finoal sacrificio della vita.E’ noto che dopo la tragica, eroica morte del tenente cesenate,in uno scontro notturno col nemico a Monte Zomo di Gallio,sull’Altopiano di Asiago, tra il 16 e 17 novembre del 1917,il “caso” dell’artista-soldato Gino Barbieri, è statonotevolmente propagandato, fino ad essere elevato a mitodalla retorica fascista. Mentre Cesena (con due mostre allaBiblioteca Malatestiana, nel 1922 e nel ’37) provava a

ricordarlo piuttosto per il valore d’artista che come «ilpittore delle trincee», l’«eroe della Romagna guerriera»,cantato di sovente sui giornali del ventennio. Qualcuno urlòscrivendo sulle colonne del “Corriere Padano” (anno 1937)che «l’Italia, madre di poeti e d’artisti, di romantici e dieroi ha Gino Barbieri fra i primi giovani della Romagnache caddero volontari nella grande guerra».Andrebbero dunque rivisti oggi quei Soldati d’Italiadell’artista combattente, pubblicati dall’editore venezianoFabbris, e presentati per la prima volta alla mostra fiorentinadel ’17 (Esposizione del Soldato) di Palazzo Davanzati:figure dolenti dentro trincee di fango, negli accampamentiimprovvisati, nelle interminabili veglie, intenti aspidocchiarsi. Non c’è azione di guerra nei disegni e nellexilografie di guerra di Gino Barbieri. Ci sono Eroi veri nellaloro dura quotidianità, nella più trepida attesa d’una tragediasempre imminente.

Cesenati e Grande Guerra: non solo Serra

*Studioso d'arte

Continua da pag. 22

Cari amici,nell’avvicinarsi del 70° dellaLiberazione (1945-2015) mipermetto di portare alla vostracortese attenzione che nelcorso della manifestazione del16 Sett.2014 in ricordo delcaduti della Brigata Ebraica al“Cimitero di guerra del COM-MONWEALTH” di Pian-gipane ho comunicato ai par-tecipanti, con una mia breveinterruzione e con spiritocollaborativo, due aspetti meri-

tevoli di essere evidenziati.Nella pubblicazione messa a disposizione dal COM-MONWEALTH War Graves Commissione nella Criptacimiteriale, nello scritto dedicato al Cimitero di Guerra diRavenna non si fa alcun cenno ai caduti della Brigata Ebraica,che invece come ben risulta dalle planimetrie che allego eraschierata sul fiume Senio sull’ immediata destra del Gruppodi Combattimento “Friuli”.In questa pubblicazione, di ricordo, dei caduti della BrigataEbraica che riposano nel Cimitero di Piangipane non c’ènotizia, neppure una citazione. A mio parere è bene, nel 70°della Liberazione (1945-2015), rimediare con uno scrittoinformativo.Ritengo inoltre opportuno dare informazioni che la BandieraEbraica è nata qui in Romagna ed è stata tenuta alta nei duricombattimenti svoltisi qui in Romagna per il superamentodella Linea Gotica.Da alcuni presenti sul posto, nel Cimitero, mi è stata chiestadelucidazione della mia affermazione che ha sorpreso perchésconosciuta.Ho risposto verbalmente, poi con un mio scritto ho ribaditoquanto già pubblicamente sostenuto sin dal 2000.Le affermazioni sulla nascita della”Bandiera Ebraica” qui

sui campi di battaglia per sfondare la Linea Gotica, ho ilpiacere di vedere che sono affermate e documentate nellapubblicazione edita da Bacchilega Editore -2009, contitolo” Il Gruppo di Combattimento Friuli-1944/1945”, acura di Romano Rossi. Per dare conoscenza e conferma,allego e faccio riferimento ad alcune immagini fotografichecontenute nella pubblicazione. Riporto inoltre quanto è scritto:”A San Ruffillo, Brisighella(RA) il 3 Aprile 1945 avvenne la consegna della Bandieradi combattimento al Comandate della Brigata Ebraica gen.Ernest Frank da parte Moshe Sharrat, rappresentante agliEsteri e capo del Dipartimento Politico dell’ AgenziaEbraica.La Bandiera sarà il vessillo del futuro Stato di Israele”.Oggi aggiungo, per ricordare questo avvenimento di guerra,i caduti e la Bandiera, che la mia memoria mi riporta al1965 quando sono stato invitato e presente ad una mani-festazione indetta in provincia di Ravenna per ricordare eonorare i Caduti al Sacrario Militare della Camerlona nel20° della Liberazione.Al termine della manifestazione, mentre in ordine si lasciavail Cippo commemorativo, mi avvicinò uno dei presentiche evidentemente mi conosceva e mi disse: Bartolini èstata una bella manifestazione; si è ricordato il contributodato dai combattenti della VIII Armata Britannica, quellodegli italiani del Gruppo di Combattimento “Friuli -Cremona”, quello dato dai Partigiani di Boldrini (Bulow)della Brigata Partigiana “Gordini”, però non è stato ricordatoche in queste zone hanno combattuto sulla Linea Goticae sono caduti quelli della Brigata Ebraica.Dal quel lontano 1965 quella presenza, quel contributo èstato dimenticato; un ingiusta sottovalutazione è duratanegli anni ed è bene che la pubblicazione a cura di RomanoRossi l’abbia meritatamente posto storicamente in evidenzia.E’ altrettanto giusto che negli incontri e nelle pubblichemanifestazioni per il 70° della Liberazione sia richiamatoall’attenzione dei presenti e dei giovani nelle scuole.

70° della liberazione

Il contributo della Brigata Ebraica

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di Piero Altieri*

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Ricorrendo in data 25 aprile2015 il 70° anniversario dellafine del II conflitto mondiale,o per meglio dire l’anniversariodella “liberazione” del nostroPaese dal tragico dominiodell’ideologia totalitaria delNazifascismo, si sono mol-tiplicate le iniziative per farememoria di quegli eventi chehanno restituito al popoloitaliano quella “libertà” che èpresupposto fondativo per

costruire la “POLIS” con la partecipazione convinta emotivata di tutti i suoi componenti, senza alcuna preclusioneo pregiudizio.Si avviarono i cantieri della ricostruzione; non si trattava diritornare ad una Italia governata secondo lo Statuto“graziosamente” concesso ai suoi sudditi dal re Carlo Albertodi Savoia, seppure tenendo contodegli sviluppi politici maturati neglianni che precedono la grande guerra,censurat i poi dal le vicendedrammatiche della “inutile strage” edisattese dal violento salire al poteredel Fascismo.Costituzionale, in modo particolarei “Principi fondamentali”, dirannoquale doveva essere la strada dapercorrere; quei “principi” chel’Assemblea Costituente avrebbesottoscritto, ritenendoli la espressionepiù vera di quella cultura che haforgiato la nostra identità nazionale.

******Tra le numerose iniziative editorialipuò essere opportunamente segnalatala pubblicazione nella collana“Quaderni degli Studi Romagnolidella omonima società (Cesena,Stilgraf 2014) del volume “Oltre lalinea gotica. Il fronte della guerra aCesena e nelle Valli del Savio e delBorello”.Sono raccolti i saggi introduttivi chea suo tempo Piero Altieri, Amedeo Montemaggi e MassimoScarani, scrissero per introdurre alla lettura dei “Diari” scrittiallora da don Aldo Casadei, cappellano a Calisese, laparrocchia lambita nei suoi confini dal Rubicone; da donLeo Bagnoli che da un osservatorio privilegiato, accanto alVescovo di Cesena Beniamino Socche, defensor civitatis,quando i lupi aggredirono il suo gregge!Ha registrato con sapienza letteraria quanto avveniva aCesena e periferia o gli echi che giungevano tra noi di quantoaccadeva nelle diverse regioni dove venivano sviluppandosii combattimenti che facevano, con amarissimi costi,retrocedere le armate di Hitler e di Mussolini.Ben presto si aggiunsero tragiche notizie (dopo l’8 settembre1943) della ferocia che ha segnato la “guerra civile”.Questo ancor più nelle pagine del “diario” scritto da donLuigi Giannessi, parroco di Linaro (Valle di Borello).

Le puntuali cronache stilate da Amedeo Montemaggi e daMassimo Scarani per quanto riguarda il contesto sarsinate,aiutano a rivivere, quasi in presa diretta, la tragedia di queigiorni che sembravano non aver mai fine e la violenza cheha stigmatizzato la “guerra civile”, quella combattuta dalleformazioni partigiane (spesso in una logica che non tenevapresente le rappresaglie che si sarebbero scatenate sullepopolazioni civili!) e dalla reazione feroce dei Nazifascisti.Ancor più deve richiamare l’interesse di grande attualità, ilracconto che giorno dopo giorno, nei suddetti diari,documenta il definirsi dei futuri assetti politici che interpretatidai partiti che stavano uscendo dalla clandestinità, avrebberodato volto e organizzazione democratica agli enti locali, atutto il Paese. Riemergevano, anche qui in Romagna quegli“ideali” di giustizia e libertà a suo tempo repressi dai regimidittatoriali.Forse si potrebbe dire che veniva formandosi una coscienzache in tempi lontani aveva dato, stoltamente, “consenso” alregime fascista.

Un dibattito politico che tuttavia eancora per molto tempo sarebbe statocondizionato dalla adesione entusiastadelle “Sinistre” al ComunismoSovietico.

******Non per amore alla … categoria! Maper fedeltà oggettiva a quella stagioneche costituisce uno spartiacque nellastoria d’Italia (e dell’Europa), puòessere trascritta la dedica posta inesergo al libro: “Ai preti di Romagnache con la loro gente seppero “resi-stere” ad ogni ideologia che vuoleumiliare la dignità dell’uomo”.Lo riconobbe, con l’autorevolezzache gli veniva dall’aver vissuto nelsuo paese, in Polonia, la violenzaprima dei nazisti poi del Comunismosovietico, Papa Giovanni Paolo IIche nella sua visita pastorale inRomagna, incontrando la mattina del10 maggio 1986 i preti e i religiosidelle nostre diocesi disse (e questeparole sono integralmente pubblicatenelle prime pagine del libro):“…quanti sacerdoti della Romagna

hanno dato la loro vita per rimanere fedeli al loro dovere dipastori! E’ un lungo e drammatico martirologio che voi benconoscete.Vorrei ricordare don Giovanni Minzoni (n.d.r. è significativol’aver posto questa testimonianza agli inizi di una “resistenza”che si svilupperà poi dopo alcuni decenni!), don Santo Perini(Ravenna), don Francesco Babini (parroco di Doniciglio),don Pietro Tonelli (Sarsina)…. Padre Vicinio da Sarsinacappuccino, e tanti altri. Specialmente durante la secondaguerra mondiale e soprattutto durante l’occupazione, tuttii sacerdoti della Romagna si sono prodigati a favore dellepopolazioni, rischiando anche la vita per il loro impegno dicarità e di dedizione”. Recupero di una memoria che deve sostenerci per affrontarele sfide del III millennio.

*Canonico. Già direttore del Corriere Cesenate

“Oltre la linea gotica”Il libro

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di Vito Bocchini

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Caro Denis,ho ricevuto tramite Michele unmessaggio col quale mirichiedevi un articolo sul libro“Rimetti a noi i nostri debiti”da me recentemente presentato.Non potendomi esprimere conspirito critico su una opera dimia composizione perché,come facile immaginare, mipiace tutto altrimenti non l’a-vrei scritta, mi rivolgo a te informa epistolare. Ti preciso

anche che trovo simpatico adottare questa procedura perchérappresenta anche una modalità promozionale se il tuogradimento risultasse esplicito con contenuti divulgativi.Sei un mio amico, e tale sei diventato col trascorrere deltempo a partire da quei terribili momenti che hannocaratterizzato gli anni 80 ove tu e il tuo compagno di partitoGuidazzi, in presenza di vicende che riguardavano la miapersona ed in nome di affermazioni gratuite, trovaste assaiconveniente salire sul carro della “questione morale” chea me sinceramente non riguardava perché non ero un politicoche cercava affermazioni a spese di altri.Così fu, la bufera passò, l’amaro in bocca e la sofferenza,i guasti alla salute e nell’anima rimasero e gli anni trascorsi,come riportato nel libro mi hanno condotto sulla soglia deldoppio quarantennio. L’animo si è in parte rasserenatoanche se la pace interiore che oso chiamare serenità tardanoa venire a causa di ciò che resta incancellabile per le profondeferite che hanno devastato la vita.Ma vi è una forza interiore che è sempre rimasta a presidiodei mali non concedendo a loro la possibilità di sopraffazionee di annullamento dei miei valori.Così l’accumulo di esperienza, l’arricchimento culturaleche si è formato, la capacità di trasformazione del saperemi hanno indotto ad una concentrazione di fatti, circostanze,conoscenze, valutazioni, sensazioni, visioni e quant’altropossa colpire lo spirito e la memoria in misura così intensada generare lo stimolo per trasferire ad altri le conoscenzedi cui sono divenuto portatore.E’ poi l’epilogo di una vita vissuta fra le intemperie, conil sole, con la tempesta e con tutti i turbamenti che si sonovia via prodotti.Il libro è una prima sintesi che si forma con una ricchezzadi spunti che si risolvono con l’affermazione di principi esuggerimenti che rivestono la vita pubblica della città, iprincipi che regolano il mondo delle imprese, le aspirazionidelle persone non dotate di risorse finanziarie e patrimoniali,infine una conclusione che investe i sentimenti.In altre parole, come riportato sul retro della copertina dellibro, “la mia città e le idee per dare ad essa nuovo slancioe nuove prospettive; le complicazioni del fisco, i problemisegreti dell’economia ai tempi della crisi, le possibili vieper superare le difficoltà del presente; il dramma famigliarefortunatamente risolto, che tuttavia muta radicalmente gliorizzonti di vita e ridefinisce fin nel profondo i valori checontano, il senso e il significato più vero dell’amore paterno”.Come vedi non ho trascurato nulla, ma mi sono immersoin una molteplicità di argomenti che dovrò approfondireper abbandonarmi in forma organica e dare vita acomposizioni di linee politiche da affidare a uomini nuovi

e coraggiosi che potranno emergere dopo che si sarà esauritoo abbattuto il sistema tutt’ora vigente ove uomini stanchi,e ingiustamente arricchiti lottano ancora per sopravviverea situazioni ormai irrimediabilmente compromesse.Quegli uomini sono citati nel primo capitolo col nome ‘Leragazze di Copacabana’ di cui ti allego la foto che il mioeditore ha ritenuto di non inserire all’interno e ancor menoin copertina. In quel capitolo troverai qualche consiglio perattività politiche che potrebbero apparire non condivisibiliperché impossibili. Io dico che la fattibilità dipende solodalla volontà. Gli aspetti tecnici e realizzativi tuttiprogrammabili. All’occorrenza sarò i grado di produrreprospetti con numeri comprensibili se attorniato da giovaniprofessionisti desiderosi di affermazione attraverso ilsacrificio.Negli altri due capitoli noterai che assumo un po’ la vestedell’insegnate che è in me ancora presente perché hotrascorso alcuni anni in cattedra con soddisfazione mia edei miei studenti che ancora oggi incontrandomi si mostranocontenti di vedermi e salutarmi. Il tono ironico e scorrevoleè comprensibile perché gli argomenti trattati, che sono unpo’ in tutte le bocche, specialmente in quelle delle TV e deigiornali di vario genere, sono talmente semplici da spiegareda ritenere impossibile che i suddetti sapientoni, non sianodisponibili a rendere edotto il popolo delle problematicheche ci colpiscono in nome della verità. Ti sembra possibileche si debba parlare solo di banche, di Europa, di evasionee mai delle motivazioni e delle responsabilità. Come vediho tentato di dire qualche cosa.Poi c’è il capitolo “oltre la soglia” e più specificatamentemia figlia con una “premessa” interamente rivolta alla miapersona. E’ qui che non ho potuto fare a meno di ricordarei momenti in cui investito da una campagna di stampainfamante e bugiarda venni travolto e distrutto in tutte lemie aspettative. Non ti conoscevo personalmente come nonconoscevo Guidazzi, leggevo però la vostra presa diposizione sul problema della questione morale per quantoio effettivamente non essendo legato ad alcun partito ed inassenza di obblighi verso chicchessia, potevo ritenermiescluso da quelle problematiche, svolgevo la mia attività,però il fango ha continuato a scorrere con la frana di cuiera la componente. Poi ti ho conosciuto bene, ho apprezzatola tua lealtà, la tua complessa esperienza politica e, insiemea Guidazzi, mi limito a voi due, il non arricchimentopersonale derivato dall’attività politica, quindi aggiungoonestà. E’ questo il motivo per cui vi escludo con immensopiacere dalle ragazze di Copacabana e mi unisco anchenella condivisione di vostre passioni politiche.Quanto a te caro Denis voglio aggiungere un’altracondivisione che mi unisce per motivazioni personali, iltuo impegno nelle iniziative rivolte alla lotta contro il cancrodi cui sei un esempio da tutti i punti di vista.Quel capitolo poi si svolge nell’ambito strettamentefamigliare con vicende tragiche ma concluse positivamentecome poi hai avuto modo di vedere.Il libro finisce qui, ho raggruppato pur nel limitato numerodi pagine molti argomenti a causa del già citato doppioquarantennio, perché quando ti accadono fatti che hannomutato i tuoi orizzonti di vita, temi che i più restinodisinformati o influenzati dagli aspetti negativi, occorrequindi mettersi in discussione e mostrare il viso con i segnidella verità.

“Rimetti a noi i nostri debiti”Il libro

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Eutanasia

di Giancarlo Biasini

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Il tema del trattamento medico infine vita rimane attualissimo e lariunione sulla “buona morte” del12 maggio a Cesena ne è testi-monianza.Altra testimonianza è stata laraccolta, in molti comuni italiani,delle dichiarazioni anticipate ditrattamento dei cittadini residentidata l’assenza dei legislatori.Queste ultime iniziative, anchese prive di valore legale, possonovalere, come è successo nel casodi Eluana Englaro, quando sianecessario ricostruire, a posteriori,

le volontà dell'interessato. Vanno quindi incoraggiate in ognicomune italiano. In assenza di leggi è la giurisprudenza asostituirsi al legislatore quando questo è assente o pigro o timorosoo inconcludente. Ci sono alcuni casi che, negli ultimi tempi,hanno segnato un sicuro progresso nell’ambito giurisprudenziale.Sul caso di Eluana ci si è trattenuti dettagliatamente sul numero1 del 2015 a pag. 42 di questa rivista. Riassumendo brevemente:il padre di Eluana, in qualità di tutore, aveva fatto richiesta allaregione di residenza, la Lombardia, di mettere a disposizioneuna struttura per il distacco del sondino nutritivo che la tenevain vita. La regione aveva respinto la richiesta “in quanto lestrutture sanitarie lombarde sono deputate alla presa in caricodiagnostico-assistenziale dei pazienti”. Il sondino non sarebbestato, secondo la Lombardia, una procedura “assistenziale”, masolo “nutritiva”. Beppino Englaro era ricorso al TAR che il26/01/2009 aveva affermato che “E’ illegittimo il provvedimentodella regione… di vietare alle strutture… la sospensione deltrattamento alimentare in soggetto in stato vegetativopermanente… qualora si sia accertato il rifiuto dell’interessatoa ricevere tale trattamento”. Contro la sentenza del TAR laregione Lombardia interpose appello che il Consiglio di Stato(2 settembre 2014, sentenza n. 4460) ha respinto valutando che la nutrizione artificiale era un vero e proprio trattamentoterapeutico che Eluana aveva il diritto di rifiutare. Dice ilConsiglio di Stato che “L'inserimento, il mantenimento e larimozione del sondino naso-gastrico o della PEG sono atti medicie non possono in alcun modo essere considerati una forma dialimentazione sui generis, quasi un regime dietetico a parte, unsurrogato dell'alimentazione e idratazione naturale”.Il secondo caso è quello di Piergiorgio Welby attaccato, in unmomento di incoscienza, ad un respiratore automatico senza suaautorizzazione. Questa non autorizzazione lo spinse a chiederepiù volte che gli venisse «staccata la spina», ma la sua richiestanon fu accolta. Il 16 dicembre 2006 Piergiorgio Welby si ècongedato dai parenti con il distacco del respiratore. Lo haassistito il dottor Mario Riccio che ha confermato ai giudici diaverlo aiutato a morire. L’ordine dei medici di Cremona (1/02/2007)ha riconosciuto che Riccio ha agito nella piena legittimità delcomportamento etico e professionale. Il GUP di Roma ZairaSecchi (23/07/2007) lo ha definitivamente prosciolto ordinandoil non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.Il terzo caso è quello di Giovanni Nuvoli, arbitro di calcio da seianni completamente paralizzato. Nuvoli chiese ai medici chegli staccassero il respiratore. L’anestesista Tommaso Ciacca(10/07/ 2007) stava per aderire alla sua volontà, ma fu bloccatodai carabinieri. Nuvoli iniziò uno sciopero della sete e della fameche lo portò alla morte il 23 luglio 2007. La Procura dellaRepubblica di Sassari indagò per omicidio del consenziente ilmedico che aveva praticato solo la terapia sedativa ed antalgica.Il 23 gennaio 2008 il giudice dichiarò che “un omicidio delconsenziente non è configurabile. […]. Il rifiuto opposto dalNuvoli è giuridicamente efficace, perché rientrante nell’art. 32II della Costituzione, per il quale nessuno può essere obbligato

ad un trattamento sanitario se non nei casi previsti dalla legge.[…] il comportamento dell’indagato si presenta anchedeontologicamente corretto all’interno di un rapporto di naturacontrattuale a contenuto sanitario fra medico e paziente”.Sul tema del fine vita negli ultimi anni ci sono stati autorevoliinterventi di teologi cattolici, particolarmente sul problema dellavita umana come dono di Dio di cui l’uomo non ha disponibilità.Da laico penso che la ragione , la storia, la conoscenza siano glistrumenti per affrontare l’ignoto con umiltà, riconoscendo i limitistessi della ragione. Da cittadino penso che il mio obiettivo sia di fare un uso responsabile della vita senza danneggiare eoffendere nessuno. Non mi è facile quindi comprendere il sensodi questo dono che può diventare una minaccia in presenza deldolore, della malattia. Chiamerò in aiuto due teologi cattolici. - Hans Kung, professore emerito di teologia all'Università diTubinga, in “Morire felici” (Rizzoli 2015 pag. 107) afferma (icorsivi sono di Kung) che “ secondo la concezione ebraico-cristiana la vita umana, che l’uomo non deve certo a se stesso,è in ultima istanza un dono di Dio. Ma allo stesso tempo è ancheun compito dell’uomo. E’ dunque messa a mia disposizione (miae non di altri) perché ne faccia un uso responsabile. Ciò valeanche per la fase finale dell’esistenza: il passaggio dalla vita allamorte. Anche in questo caso non deve prendere il sopravventol’eteronimia, bensì , l’autonomia”. E a pag. 43 commenta ancora“Un Dio che vietasse all’uomo di mettere fine alla propriaesistenza quando essa la grava insistentemente di fardelli troppopesanti non sarebbe un Dio benevolo. Sarebbe un Dio tirannicoincline ad anteporre la rivendicazione del proprio potere al destinodell’uomo che confida il lui”. E a pag. 138 aggiunge “Se iodiventassi l’ombra di me stesso dovrei chiedermi seriamente sequesta sia davvero la volontà di Dio”.- Vito Mancuso, docente di "Storia delle Dottrine Teologiche"presso l'Università Studi di Padova, in “La vita autentica”(Cortina Ed. 2009 pag. 24), a proposito della sacralità della vita,argomenta: “…dunque la vita è un dono che discende dall’altoe quindi non è disponibile da parte del soggetto che la riceve.Oltre a questo paradigma c’è anche quello della libertà per ilquale la vita emerge dal basso e quindi è pienamente disponibileda parte di chi l’esperisce. La vita è uguale per tutti; i concettidi libertà e di sacralità ne sono interpretazioni. Sacro o libero?Se è la sacralità della vita a normare la libertà quest’ultima (lasacralità) a un certo punto si dovrà fermare. Ma se è la libertà anormare la sacralità il rispetto per la vita a un certo punto sipotrà sospendere, non sarà mai incondizionato”. E a p 115 di“Obbedienza e libertà” (Campo dei fiori Ed. 2012. pag. 115)Mancuso scrive: “Essere a immagine somiglianza di Dio significaessere liberi veramente e non per finta, non fino a un certo punto;liberi anche di deliberare su di sé, sul proprio corpo perché latua vita è tua e tua per davvero. Non un dono a metà (come quelliche ti fanno del bene e poi te lo rinfacciano ad ogni momento amò di sottile ricatto). Più ancora della vita fisica Dio vuole lavita libera”. Si può dunque chiedere a chi, da cattolico, èlegittimamente contrario a una legislazione che nel testamentobiologico apra a queste visoni, di non imporci vicendevolmentele nostre opinioni sulla vita in base ai nostri principi comunquenoi li chiamiamo. Meglio seguire l’esempio dell’arcivescovo diDublino, Diarmuid Martin che, già prima del referendum irlandesesulle nozze gay, approvate poi dal 62.2% dei votanti al referendumdi maggio 2015, rinunciando al ruolo di coordinatore del mondocattolico per il NO spiegò con semplicità: “Non ho nessuna vogliadi fare ingoiare le mie vedute agli altri”. E a chi ama sostenereche certe posizioni non sono “cattoliche, ma sono semplicementeumane” sembra rispondere il cardinale Walter Kasper, il teologocui papa Francesco ha affidato la relazione introduttiva al sinododello scorso anno: “E’ chiara la genesi, è chiaro il vangelo, male formulazioni tradizionali non raggiungono più il cuore e lamente della gente […]. Non è più il tempo in cui la posizionedella chiesa era più o meno supportata dalla comunità civile”.

Tema scomodo, ma attualissimo

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di Stefano Spinelli*

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Eutanasia

Nell’ultimo numero di EnergieNuove, ben due interventi, quellidi Carlo Flamigni e di GiancarloBiasini, sono dedicati al tema delfine vita, entrambi favorevoliall’introduzione dell’eutanasia nelnostro ordinamento giuridico. Essicontrappongono una visionereligiosa della vita a una visionelaica.La prima porrebbe la questione intermini di “sacralità” della vitaumana e di sua “irriducibile di-gnità”, e non darebbe alcuna im-portanza “alla percezione soggettiva

che ciascuno ha della sua dignità”. La seconda avrebbe come principiomorale di riferimento il “Manifesto di bioetica laica”, secondo cui“ogni individuo ha pari dignità e non debbono esistere autoritàsuperiori che possano arrogarsi il diritto di scegliere per lui nellequestioni che riguardano la sua salute e la sua vita” (credo però cheun’applicazione coerente di detto principio porterebbe alla dissoluzionedella stessa convivenza sociale).Ebbene, la prima cosa che ho pensato leggendo queste considerazioniè che il conflitto fede/laicità (comunque mal posto e ovviamenterisolto dai due autori a favore della seconda), non mi pare il puntocentrale della questione, la quale si pone innanzitutto come unaquestione antropologica, che tocca profondamente la stessa naturaumana.Ricordo che la prima enunciazione contraria all’eutanasia è contenutain un documento del tutto “laico”, che risale addirittura al 420 a.C.,ed è quel giuramento di Ippocrate, sul quale – ancora oggi – i medicigiurano. Ivi si trova scritto “non somministrerò ad alcuno, neppurese richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio”.Siamo agli albori della nostra civiltà e l’uomo sin dall’origine, usandoil proprio cuore e la propria intelligenza, ha sentito la necessità diricordare a se stesso che il fatto di dare la morte ad altri, anche dietroloro richiesta, non è ragionevole, non è corrispondente alla naturaumana, non è la soluzione.L’uomo, indipendentemente dalla propria cultura religiosa (ma ilriferimento è chiaramente alla cultura cattolica), da sempre haavvertito in se stesso, nella propria esperienza originaria, e non certoper imposizioni esterne, l’antiumanità di una prassi come l’eutanasia.C’è oggettivamente un problema di corrispondenza alla “leggeumana” nel dare la morte per pietà. La “legge di Dio”, che diventacompiuta con l’incarnazione di Cristo, svelando maggiormentel’uomo a se stesso, ne rende esplicito lo stridore.Se di conflitto si vuole parlare, credo che lo si debba cogliere trauna visione compassionevole e una visione utilitaristica della vita.La prima, considera l’uomo come un “io in relazione”, ed è volta asostenere e accompagnare chi soffre fisicamente e psichicamenteanche in quella sua parte di vita più difficile da capire e da accettare.E’ questo l’esatto significato di compassione, ossia patire insiemecon.La seconda, considera l’uomo come una “monade a se stante”, incui il momento della scelta e della solitudine è elevato a tal puntoda trasformare il buon samaritano in colui che esegue la condannaa morte del suo “prossimo” per un malinteso sentimento di pietà. Lamorte procurata viene così elevata a rango di diritto.La contrapposizione credo stia tra una cultura della cura e una prassidell’abbandono.Non so, comunque, se ci si renda ben conto della reale portata checomporterebbe un preteso diritto di eutanasia (da non confonderecon l’accanimento terapeutico, che riguarda il rifiuto di terapiesproporzionate o sperimentali). Si sta evidenziando sempre piùchiaramente che il punto di approdo di alcune sentenze di giudicinazionali ed europei e di alcune legislazioni permissive di paesi anoi vicini (Olanda, Belgio, Svizzera) non è tanto l’eutanasia, ma ilsuicidio assistito.La motivazione del riconoscimento di un diritto all’eutanasia – sidice – ha a che fare con la “pietà”. Riguarderebbe infatti persone

che si trovano in situazioni di inabilità estrema o di coma, oppurein presenza di una vita indegna di essere vissuta e comunque ritenutatale da chi decide per altri. L’eutanasia dovrebbe interrompere viteumane che non sembrano sopportabili, e la sua giustificazione sarebbel’esigenza di evitare il dolore determinato da una vita costretta inlimiti pietosi e indegni. Essa dovrebbe rappresentare la risposta dioggi al dolore umano.Qui è il punto. Se si comincia a sindacare quale livello di condizioneparticolare può essere considerata “non degna di essere vissuta”, oquale livello di sofferenza “non più sopportabile”, chi mai oseràergersi a giudice per stabilire in quali casi la vita è tale?Perché mai dovrebbero beneficiare dell’aiuto a interrompere an-ticipatamente la propria vita solo le persone che si trovano indeterminate situazioni, che ai più appaiono pietose dall’esterno (coma,malattia o inabilità gravi), e non anche le persone che si trovano insituazioni che potrebbero essere ritenute “soggettivamente” non piùsopportabili, come i semplici inabili o i neonati handicappati, o imalati mentali, o gli anziani in genere, magari sulla base di di-chiarazioni rese da persone delegate, sulla base del “loro” sentimentodi pietà o della “loro” idea di dignità della vita?Alla fine, la domanda si ridurrebbe – e si riduce – a una. Perché maidovrebbe beneficiare di eutanasia legale e ottenere un aiuto a moriresolo chi si trova in situazioni ritenute “pietose”, piuttosto che, piùsemplicemente, chiunque voglia consapevolmente porre termineanticipatamente ai propri giorni e lo chieda espressamente?Che differenza c’è tra la percezione del dolore collettivamente intesoe quella del dolore soggettivamente vissuto da ciascuno? Viene inmente Baudelaire e il suo “male di vivere” (spleen), e il corso naturaledi questo male, che viene identificato nella vita stessa. Se lagiustificazione della soppressione di una vita umana è la pietà peril dolore altrui, questa giustificazione inevitabilmente si arricchiràdi nuove fattispecie, fino a coprire l’esigenza di chiunque chieda dimorire, indipendentemente dalla sua condizione – più o meno pietosa– di vita, indipendentemente dall’esistenza di malattie o di inabilitàpiù o meno gravi. E’ questo che sta accadendo in Europa. Il caso diuna recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomosull’eutanasia (caso Grosse c. Suisse), ha scoperchiato il vaso diPandora.La decisione europea dà sostanzialmente ragione a una donna svizzeradi 82 anni che ha chiesto alle autorità del suo paese di essere autorizzataa procurarsi una dose mortale di “medicamento”, al fine di porre fineai suoi giorni, “non sopportando di continuare a subire il declinodelle sua facoltà fisiche e mentali”. Essa non soffre di alcuna patologiaclinica, non ha nessuna malattia, nessuna disabilità. E’ solo un’anzianache vuole morire e chiede di essere aiutata dalla comunità civile.Sancire che ciascuno ha diritto di scegliere come e quando moriresignifica che la comunità civile deve garantire che detta volontàvenga attuata.Neppure più per pietà, ma per diritto, per conquista civile. Così, inOlanda l’eutanasia viene “distribuita” a domicilio, con il programma“eutanasia ambulante”, con il quale si porta a casa di chi la chiedal’ “ultima pillola volontaria”, un farmaco eutanasico pagato dallecompagnie di assicurazioni. Così, anche alcuni disabili psichiatricihanno avuto accesso al farmaco della “buona morte”, pur non essendoterminali, ma il cui dolore è stato ritenuto (da altri, ovviamente)insopportabile, laddove il criterio per giudicarlo è del tutto soggettivo.Così, in Belgio, anche i bambini e i neonati possono essere “trattati”con l’eutanasia, se la loro vita venga ritenuta (da altri, ovviamente)non degna, in applicazione del cd. “protocollo di Groeningen” chestabilisce la procedura da seguire per sopprimerli.E dire che la storia dovrebbe averci insegnato qualcosa in merito (ilprogramma eugenetico nazista chiamato Aktion T4 era anche dettosignificativamente “programma eutanasia”, essendo finalizzatoall’eliminazione, per pietà, compassione o per indegnità, delle personepiù deboli). Eppure, come si diceva all’inizio, da sempre l’uomo haavvertito che l’adesione alla volontà di chi chieda di anticipare lapropria morte non è corrispondente all’esigenza umana più profondae vera.La domanda allora è quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli?

Non è una risposta al mistero del dolore e della morte

*Consigliere comunale "Libera Cesena"

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di Paride Pironi

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Il 12 maggio, presso la sedecentrale della Banca di Cesena,si è svolto un interessanteincontro-dibattito sul “Te-stamento biologico e fine vita”,una lodevole iniziativa, agliorganizzatori il merito di averportato il confronto direttamenteall’agorà: molto meglio guar-darsi negli occhi, dare suono alleparole, all’espres-sività deglisguardi di chi ha vissuto sullapropria pelle il dramma di unasofferenza indicibile e cercare

di comprenderne il carico di dolore.L’argomento è delicato e nel nostro paese la discussione generaprofonde conflittualità; non a caso il Prof. Flamigni, nel suointervento, ha sottolineato la dannosa contrapposizione tra lediverse aree di pensiero, auspicando una maggiore disponibilitàal dialogo e la ricerca di possibili e percorribili vie di reciprocacomprensione.Qualcuno in sala è intervenuto suggerendo un’idea di umanitànell’approccio, basata esclusivamente su assistenza e ac-compagnamento, senza alcuna attenzione al diritto diautodeterminazione del malato.Si accenna ad Ippocrate per af-fermare, al di là di ogni credo re-ligioso, la primigenia cultura dellatutela della salute e della vita, inlinea con quella odierna dell’ac-compagnamento e delle cure pal-liative, ma senza considerare glienormi progressi della medicina che,in oltre due millenni, hanno dilatatoa dismisura i confini della naturalitàdella morte.In più si dimentica che moralità esenso etico sono concetti mutevolioltre che soggettivi e che sonoinevitabilmente influenzati dalleconquiste della scienza medica.Né di certo possiamo trascurarecome punto di partenza il fatto cheogni anno, in Italia, oltre 250.000 persone affette da unamalattia incurabile si avviano ad un percorso di fine vita; diquesti circa 20.000 vedono accelerata la loro fine attraverso“qualche aiuto” da parte di medici mentre oltre 10.000 malatisono destinati, nonostante le migliori cure palliative, a viveregli ultimi mesi di vita in condizioni di drammatica sofferenzafisica e psicologica.In una situazione ulteriormente aggravata da 1000 suicidi edoltre 1000 tentati suicidi all’anno, diviene davvero difficiletollerare, ancora oggi, un incomprensibile vuoto normativo!In questo contesto, risultano particolarmente toccanti gliinterventi di coloro che, avendo vissuto in prima persona ladolorosa fine dei loro congiunti, ci aiutano a meglio definirela nostra area d’indagine: “il concetto di umanità”. Siamo noiin grado di comprendere il senso del dolore, della sofferenza,della disperazione in cui cadono tante persone nel loro "percorsodi fine vita"?Io credo che questo sia il punto fondamentale e che solo coloroche sono direttamente coinvolti possano aiutarci a definirne

i contorni.Ricordiamo qui, descritti da un parente che lo accudiva, alcunipensieri del cardinale Carlo Maria Martini negli ultimi momentidella sua esistenza:"… lo sento, tu vorresti che parlassimo dell'agonia, della faticadi andare incontro alla morte, dell'importanza della buonamorte" o "Avevi paura, non della morte in sé, ma dell'atto delmorire, del trapasso e di tutto ciò che lo precede." ed ancora“quando non ce l'hai fatta più, hai chiesto di essereaddormentato.”Se proviamo a immaginare queste vicende con la prospettivadel paziente, ci risulterà evidente che in molti casi anche lepersone più vicine, di fronte a questo vitale passaggio, spessodimostrano rassegnazione, passività e senso di inutilità talida tramutare l’accompagnamento passo dopo passo inabbandono: “morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi èrimasto non è più vita, è solo un testardo e insensatoaccanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche”ammoniva Piergiorgio Welby costretto a portare la croce versoil suo calvario.E mentre si consuma il doloroso travaglio umano, là dove ladignità viene così spesso calpestata dalle incivili regole o nonregole del vivere civile, le Istituzioni cosa fanno? Le personevicine cosa fanno? Spesso si perde il senso della priorità, si

abusa della debolezza dell’assistitoe, invece di assecon-dare fino infondo le sue volontà e suoi bisogni,ci si rassegna ad un sostanziale ab-bandono o perfino ad una vacua edegoistica partecipazione.Pensieri volti a se stessi, di dolcepienezza dell’accompagnamento enell'accettazione dell’agonia comeun percorso doloroso ma necessario,magari sollecitando trattamenticlinico-terapeutici senza esseresfiorati dal dubbio dell'accanimentoe senza riflettere sulle inutilisofferenze imposte, per sentirsi aposto con la coscienza, nel tentativodi fare tutto il possibile fino allafine. Il Cardinale Carlo Maria Mar-tini è morto rifiutando ogni terapia

finalizzata al prolungamento artificiale delle sue pene, ottenendodi essere sedato e di non vivere coscientemente le sofferenzedell’agonia.E’ noto, il Cardinale volle che tutto questo fosse reso pubblico.Grand’uomo!Che dire quindi di un percorso così devastante quanto quellovissuto dalle due persone che nella sala Caggiagerra ci hannoraccontato in modo così coinvolgente le loro recenti esperienze?Dentro le loro parole possiamo ritrovare il vero senso dellanostra ricerca, nella loro capacità di penetrare il dolore delcongiunto, di comprenderne l’essenza con totale empatia, diaffermare la legittimità di una richiesta di aiuto e di compassioneche renda possibile un vero accompagnamento verso “l’ultimopasso”, come peraltro evidenziato anche dai relatori.Non si tratta di introdurre o promuovere una mentalitàeutanasica in modalità totalizzante o coattiva né di incanalarei malati su binari precostituiti o addirittura coercitivi; si faticaa comprendere che progresso scientifico, senso etico e

Eutanasia

Servono dialogo e reciproca comprensione

Non si tratta di introdurre opromuovere una mentalità

eutanasica in modalitàtotalizzante o coattiva né diincanalare i malati su binari

precostituiti o addiritturacoercitivi. Progresso scientifico,senso etico e compassione devonodiventare fattori imprescindibili

nel ridefinire il concetto dinaturalità della morte.

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compassione devono diventare fattori imprescindibili nelridefinire il concetto di naturalità della morte. Interroghiamocisu quanto naturali siano i respiratori artificiali, l'idratazioneartificiale, l'alimentazione artificiale, lo svuotamento intestinaleartificiale, un buco nella pancia, uno squarcio nella trachea,un sondino naso-gastrico…Nella legittima richiesta di una normativa adeguata non sipotrà, né si dovrà, costringere alcuno a decidere sul propriofine vita, ma sarà doveroso offrire a tutti la possibilità discegliere, definendo un nuovo rapporto interattivo tra paziente,medico, fiduciario e istituzioni.Si dovrebbe imparare a parlare di desistenza terapeutica, diinterruzione di tutte le terapie tranne quelle finalizzate a lenirele sofferenze, magari parlando meno di eutanasia.Non si procura la morte ma si accetta un decorso ormaiimmutabile e ineludibile, cercando di lenire il dolore.“Non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favoredella vita e chi è a favore della morte: tutti i malati voglionoguarire, non morire.Ma tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, conil passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desideriodi guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso didisperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che letecniche di rianimazione e i mac-chinari che supportano o simulanole funzioni vitali riescono a spostaresempre più in avanti nel tempo”Parole accorate queste di PiergiorgioWelby, che esprimono una sublimevitalità nella evidenza di un travagliocosì carico di umanità da renderenecessario, doveroso, un aiuto.Al contrario, nella struttura sanitariadi accoglienza spesso si concretizzaun percorso di accanimento, diampliamento delle pene e diprolungamento forzato della sof-ferenza ed in nome di un nobileprincipio di solidarietà, si opera inrealtà una azione di sopraffazionein assoluto contrasto con i principidi assistenza, di difesa del malatoe della dignità della sua vita cheerano e sono presupposto condiviso. Una volta accertato ildecorso fatale della patologia e la totale inefficacia delleterapie, in comunione con l'assistito ed in ottemperanza allasua espressa volontà, il medico dovrebbe interrompere ognicura ad eccezione di quelle finalizzate a lenire le sofferenzee, ove ciò non sia possibile, attivare una sedazione profonda,mentre l’accanimento terapeutico dovrebbe configurarsi comeun’inaccettabile ingerenza nella sfera dei primari diritti umani.“Solo per una richiesta di aiuto…” abbiamo ascoltato attonitinel corso di un intervento, parole che riecheggiano ancora e,nella loro esplicita volontà riduttiva, divengono prova indelebiledella possibile mancanza di buona fede, da parte di taluni,nell’indicare l’umanità come strumento relazionale.E’ facilmente evidente a tutte le persone di buon senso chec’è qualcosa di ambiguo in questa tendenza, tipica di chiesprime sensibilità in genere più confessionali che religiose,ad evidenziare maggiormente i sentimenti degli accompagnatoripiuttosto che i tormenti degli assistiti, più il dolore delle suorineche accudivano Eluana Englaro che il pensiero angosciante di

17 anni di coma vegetativo, più attenzione alle problematicitàetico-burocratico-gestionali che al travaglio dei malati.E’ significativo a tal proposito registrare che gli interventiostativi a percorsi di desistenza terapeutica quasi maicontengono riferimenti diretti ai malati terminali, alle lorosofferenze, alle loro imprescindibili volontà; sempre più essisono infarciti di riferimenti a dettami costituzionali, a trattatiinternazionali, codici deontologici, norme spesso contradditorieo discrezionali, canalizzate in elaborati processi di alchimiainterpretativa, nel tentativo di assicurare credibilità preventivaalle tesi espresse.Risulta a questo punto insopportabile, qualsiasi sia il nostrocredo, ascoltare o leggere interventi che non abbiano comeelemento prioritario di riflessione la condizione effettiva divita del malato e la sua volontà.Condannare un essere umano, contro la sua espressa volontà,a numerosi anni di coma vegetativo da parte di una comunitàche dovrebbe tutelarne “ l’interesse e il bene ”, magari con lacomplicità inerte degli stessi congiunti, sarebbe davvero ungesto d’amore o rispetto per la vita?Ne siamo certi?O forse qualcuno necessita dell'altrui dolore? A qual fine?Forse di consolidare interessi di natura confessionale o di

perseguire riscontri elettorali in senoalla propria area di consenso po-litico?Magari garantiti da una posizionesociale di rilievo che, in caso dinecessità, consentirebbe loro diusufruire comunque di “prestazionimediche normalmente non con-sentite”?L’iniziativa di Paese Nuovo non saràvana se raccoglierà il nostro impegnonella ricerca di una possibile vianormativa che consenta, a chi vuolee con attenzione alle sensibilità diciascuno, di avere un aiuto concretoche garantisca un percorso terminaledella propria esistenza nel totalerispetto della dignità di essereumano.Indispensabile è la costituzione di

una anagrafe comunale delle DAT (Dichiarazione Anticipatadi Trat-tamento), obbiettivo minimo per la città di Cesena,ormai tra i pochi comuni importanti a non averne ancoraistituito il registro, né avviato un reale dibattito. S o n ooltre mille i comuni che si sono organizzati: Milano, Roma,Torino, Genova, Napoli, Bologna e più vicino a noi, Rimini,Ravenna, Imola, Santarcangelo di Romagna.Spetta a noi cittadini dare un fattivo contributo di crescitacivile alla nostra città ma resta comunque inalterata l’amarezzaper il colpevole ritardo di natura attendista e pilatesca di unaclasse politica spesso inebriata da iniziative di facciata epalesemente miope nel non registrare una crescente sensibilitàsu questo tema anche nell’area cattolica.“… perché se qualcuno di noi si dovesse trovare ma-lauguratamente nella stessa situazione, non so poi di fatto,anche in un orizzonte di fede cristiana, quale decisioneprenderebbe”. Salvino Leone, medico ginecologo e bioeticista,docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica diSicilia.

Eutanasia

Servono dialogo e reciproca comprensione

Spetta a noi cittadini dare unfattivo contributo di crescita

civile alla nostra città, ma restacomunque inalterata

l’amarezza per il colpevoleritardo di natura attendista epilatesca di una classe politicaspesso inebriata da iniziative difacciata e palesemente miope

nel non registrare una crescentesensibilità su questo tema.

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di Learco Sacchetti

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Eutanasia

Alleviare la sofferenza sempre, inogni caso laddove sia possibile.Rispettare la libera autodeter-minazione della coscienza sem-pre, con senso di solidarietà e divicinanza umana.È questo il duplice punto di vistaa partire dal quale a mio avvisooccorre disporre la mente di fronteal grave e urgente problemadell'eutanasia o suicidio assistitoattraverso il Testamento Biologico.Ma nonostante il carattere “laico”della forma del nostro Stato,manchiamo ancora di una Legge

che ne consenta la sua esigibilità. E si badi bene, non una Leggeimpositiva a tutti i cittadini, bensì una Legge che ne tuteli l’esigibilitàa quanti volessero ricorrervi.Sono stati questi i temi affrontati liberamente e con grande sapienzae pacatezza nella piacevole serata organizzata dalla AssociazionePaese Nuovo durante l’incontro-dibattito tenutosi a Cesena daltitolo: IL DIRITTO ALLA “BUONA MORTE” che ha visto trai suoi interventi quelli del Presidente della Associazione MaurizioRavegnani che ha aperto i lavori e dei Prof. Carlo Flamigni eGiancarlo Biasini, serata resa ancor più piacevole dalla foltapartecipazione di pubblico e dai loro interventi, anche con segnicontrapposti più marcatamente di carattere religioso.Da qui l’importanza del significato dello Stato Laico, non teocraticoche significa una assoluta identificazione tra potere politico epotere religioso - non ateo che significa non riconoscere alcunareligione - non confessionale che impronta la propria legislazioneai principi della religione dominante e che riconosce come religionedi Stato. Cosa, quest’ultima, che solo dal 1984, dalla revisionedelle disposizioni Concordatarie, fu possibile riaffermare (art.1)che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprioordine, indipendenti e sovrani”. Tuttavia, va sottolineato che lareligione, ufficialmente esclusa dalla sfera politica, vi rientra inmodo indiretto ma ugualmente determinante specialmente inItalia...Ritengo comunque che la separazione Stato-Chiesa sia unadelle più importanti conquiste del mondo occidentale per la pacee la libertà.Quindi, in attesa di una buona legge, è nostro compito alleviarela sofferenza, la forma più misericordiosa di rispetto per la vita.Io non ho dubbi (e penso che in nessuna persona responsabile vene siano) sul fatto che la vita vada rispettata sempre e che la vitasia qualcosa di “sacro”. È la stessa conoscenza scientifica adattestarci mediante i suoi dati che la vita è un fenomeno stupefacente,emerso lungo i miliardi di anni percorsi da questo Universo apartire dai gas primordiali scaturiti dalla (Grande Esplosioneiniziale) e tutto ciò non può non generare in chi ne prende coscienzaun sentimento di sacralità. La vita umana è sacra e va trattata conrispetto dalla nascita fino alla fine. Ancora più stupefacente peròè il fatto che il fenomeno vita emerso dalla materia (se per casoo per spinta intrinseca della materia nessuno lo sa, anche gliscienziati si dividono al riguardo) si evolva secondo diverse formevitali, già individuate dal pensiero filosofico greco mediante iseguenti termini: vita-bios, cioè vita biologica; vita-zoé, cioè vitazoologica o animale; vita-psyché, cioè vita psichica; vita-logos,cioè logica, calcolo, ragione; vita-nous, cioè vita spirituale o dellalibertà.Quando diciamo "vita" esprimiamo con una parola sola tutto questocomplesso processo evolutivo, filogenetico e ontogenetico alcontempo, in cui ciascuno di noi consiste. E quando diciamo"rispetto per la vita" dobbiamo estendere tale rispetto in modo daabbracciare tutte le forme vitali, dalla vita biologica alla vita dellamente, oserei dire perfino il rispetto della libertà “degli stili divita”.Si danno però situazioni nelle quali l'armonia tra le diverse forme

vitali viene interrotta e il processo virtuoso in cui fino a poco primaconsisteva la vita si trasforma in un lacerante conflitto, fisico,psichico e spirituale. Sto parlando ovviamente della malattia e delladisarmonia che essa introduce tra le varie fasi del processo vitalecome sopra descritte. La malattia cronica e inguaribile segna ilconflitto irreversibile tra le diverse forme vitali nel cui intrecciociascuno di noi consiste: a partire da essa la vita fisica, la vitapsichica e la vita spirituale non sono più in armonia. Che cosasignifica in questo caso rispettare la vita?Io penso che il rispetto della vita di un essere umano debba consisterealla fine nel rispetto della sua vita spirituale, della sua coscienzao libertà. Di fronte ai casi estremi di malattia, quando la disarmoniatra le forme vitali diviene lacerante, vi sono esseri umani cheintendono mantenere l'armonia tra corpo, psiche e spirito e quindiscelgono di piegare la psiche e lo spirito alle condizioni del corpo,accettandone la sofferenza. Per loro, tale sofferenza è una formadi partecipazione responsabile alle sofferenze del mondo e di tuttociò che vive, emblematicamente compendiato per i cristiani nellapassione di Cristo. Questi esseri umani intendono mantenere finoin fondo l'armonia tra corpo, psiche e spirito, sentono di avere lerisorse interiori per farlo, e io ritengo che vadano rispettati nel loroprezioso proposito, senza che questa loro libera scelta possaminimamente essere imposta ad altri.Ci sono però altri esseri umani che non riescono, o non vogliono,mantenere l'armonia tra la loro vita biologica, la loro vita psichicae la loro vita spirituale. Per loro, la vita-bios cosi come per quellalibertà di stile di vita che li ha accompagnati per tutta la loroesistenza, diviene un tale carico di ansia, paure e sofferenze darisultare devastante per la salute psichica e spirituale. Che cosasignifica in questo caso rispettare la loro vita? In che senso qui sideve applicare l'etica del rispetto della sacralità della vita? E checosa è più sacro: la vita biologica oppure la vita spirituale?A mio avviso, rispettare la vita di un essere umano, significa inultima analisi rispettare la sua libera coscienza che si esprime nellalibera autodeterminazione. E se un essere umano ha liberamentescelto di mettere fine alla sua vita-bios perché per lui o per leil'esistenza è diventata una prigione e una tortura, chi veramentevuole il "suo" bene, chi veramente si dispone con vicinanza solidalealla sua situazione, lo deve rispettare.Questo sentimento di rispetto, se è veramente tale, deve tradursiin concreta azione politica, nell'impegno a far sì che lo Stato Laicodia a ciascuno la possibilità di "vivere" la propria morte nel modopiù conforme a come ha vissuto la propria vita, in modo tale chesi possa scrivere l'ultima pagina del libro della propria vita conresponsabilità e dignità. Il diritto alla vita è inalienabile, ma nonsi può tramutare in un dovere. Nessun essere umano può esserecostretto a continuare a vivere. Ultime parole che potremmo definire a livello teologico. Horichiamato nel mio intervento le sofferenze di Papa Karol WojtylaUn’attenta analisi delle condizioni di salute di Giovanni Paolo IInelle ultime settimane della sua esistenza, dimostra che non glisono state praticate alcune cure che avrebbero potuto forse tenerloin vita ancora a lungo. Il vecchio papa le ha rifiutate perché leconsiderava troppo gravose chiedendo espressamente: lasciatemiandare dal padre. Karol Wojtyla Santo…a Piergiorgio Welby sonostati rifiutati persino i funerali e, dandogli così “clandestinasepoltura”, lo hanno fatto diventare un gesto d’amore impossibile,che scardina la regola del male.Così come il senso dell’esistenza è inafferrabile, la vita ha il suopercorso, fa ciò che vuole con ciascuno di noi, finiamo tutti nellostesso posto e tutto svanisce perché, così come la nascita, la mortefa parte della vita. Come amava ripetere con il suo piacevolesarcasmo il maestro Mario Monicelli, “ muoiono soltanto glistronzi”.Per queste ragioni ho proposto nel mio intervento che l’AssociazionePaese Nuovo si faccia promotrice nei confronti dellaAmministrazione Comunale di Cesena affinchè istituisca anch’essail “registro per il testamento biologico”.

Sì alla libertà di scelta sul fine vita

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di Leonardo Wolenski

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La salute

Cenni storiciNel mondo classico si ha unacoincidenza tra salute ebellezza: la salute fa parte dellabellezza.La bellezza è il segno deldivino perché deriva daproporz ioni e rappor t igeometrici.La salute, perché espressionedi un rispetto della bellezza, èun atto morale in rapporto conil divino.

Con Plotino, erede di Platone, e padre del neoplatonismo, labellezza è l’anima e non il corpo. L’anima viene prima delcorpo, in senso ontologico.La salute è legata all’infinità dell’anima.Con il cristianesimo, si passa da una visione egocentricadella salute, per cui è il singolo che deve curare la propriabellezza e il proprio corpo, ad una visione “ morale “ dellasalute per cui aiutare il malato, segno di Dio, diviene un attoreligioso.La prospettiva è ribaltata: il singolo doveva cercare la propriabellezza e quindi la propria salute.Nel mondo cristiano, il malato va curato perché presenta isegni di Dio.Curare, quindi, diviene un atto morale.La Pietas romana è laica, quella cristiana è un atto religioso.La dizione “Aiutare un povero Cristo” è la sintesi di quest’attodi grande umanità, avvicinando il malato a Cristo.La concezione post-medioevale associa a tale visione“mistica” del Cristianesimo con esaltazione della “Pietas”cristiana, un aspetto squisitamente scientifico nato nelRinascimento, che si può sintetizzare nel concetto d’igienee prevenzione.Come esempio, curiamo gli extracomunitari perché se questoè malato e si nasconde può propagare la malattia, che diventaepidemia.Oggi accostiamo alla “Pietas” cristiana il concetto d’igienecome valore sociale.In quest’ottica, si valorizza la potenzialità “sociale” dellasalute: il soggetto sano è “produttivo”, il malato è“improduttivo”.Curare il prossimo diviene un atto sociale, laico, con la difesadi equilibri sociali.Attualmente esiste in parte un recupero del concetto classicodi salute come strettamente correlato alla bellezza . Vi sonoalcune differenze sostanziali:1) non esiste alcuna valenza religiosa, in quanto non esisterapporto con la divinità come, viceversa, nel mondo classico.2) Tale rapporto, in realtà, che comporta un’esaltazionedell’io, è squisitamente elitarioConcetto di saluteSino al 1948 era basato sulla definizione di “assenza dimalattia”.Nel 1948 si ha una nuova espressione, ricavata dallaDichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo-New York:“ La salute è uno stato di completo benessere fisico mentalee sociale, non soltanto assenza di malattia o di infermità”.OMS .Nel 1966 A. Seppilli, eminente igienista e politico italiano,introduceva alcuni elementi che offrivano una chiave dilettura innovativa del concetto di salute: “La salute è una

condizione di armonico equilibrio fisico e psichicodell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambientenaturale e sociale” .Le parole “armonico equilibrio”, all’interno della definizione,offrono una dimensione dinamica della salute.L’equilibrio diviene una costante giocata tra interno, lacapacità di controllo, ed esterno, la situazione favorevole osfavorevole dell’ambiente reale o percepita.Questa definizione viene analizzata negli studi di Carol Ryff,eminente psicologa della salute, nel suo testo: “Emotion ,Social , Relationships and Health”.Studi epidemiologici hanno evidenziato una relazione tral’isolamento sociale o la perdita di un rapporto sociale el’aumentato rischio di varie malattie .Importanti sono gli studi sulle caratteristiche emozionalidelle relazioni sociali e sui processi biologici che sono allabase delle relazioni sociali e/o delle esperienze emozionali.Dalla stessa Ryff sono stati creati ponti tra la vitainterpersonale e gli outcomes attuali di salute.Gottman, nei suoi studi di psicologia, verifica le emozioninelle relazioni sociali, in particolare come le emozioninegative possano essere espresse nelle relazioni sociali.Distingue i genitori in “emotion – coaching” (che allenanoad emozioni) e “emotion dismissing” (che rigettano leemozioni stesse) nella funzione educativa dei figli. Il problemafondamentale è come i due differenti tipi di educazione in-fluiscano sullo sviluppo e sul benessere dei figli, in particolarenella loro risposta ad emozioni negative, come la rabbia, latristezza o la paura.Gottman ha dimostrato che i bambini con genitori “emotioncoaching” hanno un tono vagale più alto che permetterebbeuna capacità maggiore di autocontrollo dopo uno stressemozionale.Secondo la definizione dell’OMS il benessere psicologicoè quello stato nel quale l’individuo è in grado di sfruttare lesue capacità cognitive.Carol Ryff sostiene che il benessere è un processomultidimensionale e dinamico che comprende vari emolteplici aspetti. Importanza della creazione e dell’utilizzodi strumenti psicometrici che diano una valida formulazioneconcettuale di salute e che ne sappiano fornire unasoddisfacente misurazione.Il modello della Ryff è stato utilizzato per creare unquestionario auto valutativo (“Phychological Well Being”PWB ) in grado di misurare le sei dimensioni propostedall’autrice :- auto accettazione- relazioni interpersonali positive- autonomia- controllo ambientale- crescita personale- scopo nella vitaAgli studi della Ryff, possiamo accostare il concetto disalutogenesi, sviluppato da un sociologo della salute, AaronAntonovsky (1923-1994), a seguito di un approccio criticocon il sistema sanitario dell’epoca, incentrato soprattuttosulle malattie.Per Antonovsky la salute è il risultato di un’interazionedinamica tra fattori d’aggravio e fattori di protezione.Si tratta, pertanto, di potenziare quelle che Antonvsky chiamò“le risorse generali di resistenza”, che includono risorsefisiche, personali, psichiche, interpersonali, socioculturalie materiali.

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di Antonella Brunelli*

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Sabato 23 Maggio nelle piazzedi 7 città romagnole si è svoltoun flash mob piuttosto originale:per un’ora, e contemporanea-mente, come un fil rouge chelegava la Romagna, le mammehanno allattato al seno i propribambini, in una atmosfera fattadi parole, letture, musica, note,libri, voci, gente, passanti, curiosi.Perché un flash mob. Il flash mob(dall' flash, lampo, inteso comeevento rapido, improvviso, e mob,folla) è un nel per indicare un

“assembramento improvviso di un gruppo di persone in unospazio pubblico, che si dissolve nel giro di poco tempo, con lafinalità comune di mettere in pratica un'azione insolita”(Wikipedia). Ed in effetti, a dispetto di quanto si possanoconsiderare banali, azioni quali allattare al seno, ascoltare musica,leggere un libro, non sono poi così frequenti: nell’ambito cesenatenon sono nemmeno il 50% le mamme che al terzo mese allattanoesclusivamente al seno, cioè senza altre aggiunte, e minore è ilnumero di famiglie che leggono col proprio bambino nei primimesi.Se poi consideriamo queste treazioni in sinergia fra loro neiprimi anni di vita, anzi, quandopossibile (per esempio con lamusica, il canto, la voce) ancheprima della nascita, allora la cosadiventa ancora più insolita einteressante.L’ascolto di musica prima dellanascita del bambino, l’inse-rimento precocissimo del libronella vita della famiglia, vengonoconsiderati, insieme all’allat-tamento al seno, strumentistraordinari per rafforzare ilnaturale legame affettivo erelazionale fra genitori e figli.Noi pediatri parliamo di “nutrirela mente” dei bambini ,rafforzandone le capacità, leattitudini e le competenze. Sitratta quindi di un lavoro il cuisignificato culturale e sociale va ben oltre l’esito del singolo attodell’alimentazione o dell’educazione alla lettura; ma, anzi, sipuò configurare, come vedremo poi, come “una delle più singolariimprese sociali degli ultimi anni, grazie all’impiego di strumentia bassissimo costo, con la capacità di mobilitare le risorse dellefamiglie e di esercitare una forte azione di prevenzione dellosvantaggio socioculturale, come ampiamente documentato dallaletteratura internazionale” (Giancarlo Biasini).Perché i primi mille giorni.Le capacità visive e uditive cominciano il loro sviluppo, e quindiiniziano la loro funzione, verso il sesto mese di gestazione, cosìcome, già prima della nascita, si pongono le basi per lo sviluppodel linguaggio e lo sviluppo cognitivo. Tutte e tre le curveraggiungono il loro apice di crescita (intesa come velocità e noncome performance) entro i primi tre anni: e poiché è noto chel’esercizio aumenta la resa, anche in questo caso è dimostratoche le stimolazioni affettive, sensoriali, sociali, influenzano losviluppo di queste funzioni più in questo periodo che in altri.Perché investire. Abbiamo accertato che nei primi mille giornile capacità di crescita, sollecitate da adeguati stimoli, sono al

massimo delle loro potenzialità. Ma quali sono i risultati di uninvestimento di questo genere? James Heckmann, premio Nobelper l’economia del 2000, ha valutato la rendita economica di uninvestimento nelle varie età della vita. La curva che ne vienefuori è molto semplice ed esplicita, ed altrettanto impressionante:più è precoce l’investimento, maggiore è il tasso di rendimentoeconomico. In questa iperbole decrescente è evidente come gliinvestimenti fatti in età prescolare siano molto più redditizi: da12 a 17 volte in più rispetto a quelli di pari entità nell’età la-vorativa, e circa il doppio di ciò che si ottiene nella scuoladell’obbligo. Se consideriamo l’investimento sui primi millegiorni di vita come un processo di crescita anche economica diun Paese, non possiamo ignorare l’effetto che questo puòcomportare in caso, o in termini, di disequità. Non possiamoquindi trascurare il confronto fra la rendita di investimenti inbambini di diverso livello socioeconomico, e anche il risultatodel Transatlantic Forum Inclusive Early Years 2013 è semplicee significativo: l’investimento nei primi anni di vita è tanto piùefficace quanto più il livello socioeconomico è basso. Gliinvestimenti in bambini di basso livello socio economico quindihanno un tasso di rendimento assai più alto rispetto a quelli perbambini di livello socioeconomico elevato. Tale osservazione èstata confermata dai ricercatori dell’ufficio studi della Bancad’Italia che hanno sottolineato come“Il programma Perry School

(programma di lettura precoce,USA, ndr) indirizzato ai bambiniafroamericani ha avuto un tassodi rendimento annuo compresofra il 7 e il 10%; valori ben supe-riori a quelli di un investimentosul mercato azionario americanonel secondo dopoguerra”. Anchein Italia, anche in Romagna alcu-ne aree restano scoperte, spessoproprio là dove la necessità diun lavoro con le famiglie asupporto dell’allattamento, dellalettura, della musica, dei giochie delle sollecitazioni adeguatesarebbero più importanti, e doveinvece le biblioteche sono ca-renti, o mancano le sezioni ra-gazzi, o i servizi sociali per laprima infanzia, o sono alte lebarriere linguistiche ed etniche.Al contrario, è evidente come

l’efficacia di questi interventi per recuperare lo svantaggiocausato da povertà e deprivazione siano efficaci specialmentenei primi anni di vita, e sappiamo benissimo come il fallimentodi alcune capacità, ad esempio la lettura, affliggono in modosproporzionato i bambini socialmente svantaggiati econtribuiscono ad alimentare e propagare il ciclo della povertà.Perché provarci. Negli ultimi 10 anni si sono avute numerosedimostrazioni sul piano scientifico del rapporto positivo frainterventi precoci e sviluppo del bambino, e come sopra detto,la riduzione di diseguaglianze che ne consegue, come l’aumentodi capitale - e non solo economico - per una nazione, non possonoessere argomenti che la politica può ignorare. Perchè non sono(solo) argomenti piacevoli e divertenti per bambini, famiglie epediatri, sono realmente strumenti potenti per la crescita di unaSocietà, che magari, poi, (vuoi mai?) potrebbe migliorare i proprilivelli di Scuola, di Università, di Innovazione, di Ricerca;insomma, di tutto quello che fa di un Paese un Paese Civile.Ci vogliamo provare?

I Primi Mille Giorni di vita

Il rapporto positivo fra interventiprecoci e sviluppo del bambino e lariduzione di diseguaglianze che ne

consegue non possono essere argomentiche la politica può ignorare. Perchènon sono solo argomenti piacevoli edivertenti per bambini, famiglie epediatri, sono realmente strumenti

potenti per la crescita di una Società,che magari, poi, potrebbe migliorarei propri livelli di Scuola, di Università,

di Innovazione, di Ricerca.

*Direttore Responsabile Distretto Territoriale Rubicone Asl Romagna

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Ior. L'impossibile diventa possibiledi Fabrizio Miserocchi*

Il 2015 è iniziato sotto i mi-gliori auspici per l’Istituto On-cologico Romagnolo, infattinei giorni scorsi abbiamoassistito al conseguimento diun nostro obiettivo importan-tissimo.Grazie al decisivo contributodi tantissimi Volontari esostenitori dello IOR, l’IRSTIRCCS di Meldola ha inau-gurato la Risonanza Magnetica3 Tesla per diagnosticare e

analizzare a livello microscopico e spettroscopico i tessuticancerosi, e l’HIFU, un macchinario per l'emissione diultrasuoni focalizzati ad alta intensità per “bruciare” lecellule maligne. L’IRST di Meldola arricchisce così l’offertadi strumentazioni per la diagnostica ad alta specializzazione,diventando una realtà all’avanguardia in Italia e in Europain termini di cura, ricerca e formazione in campo oncologico.Questa dotazione sarà a disposizione di tutta la reteoncologica della Romagna e permetterà esami ancora piùprecisi, veloci e meno invasivi nella cura dei tumori.Come IOR, ancora una volta, abbiamo gettato il cuore oltrel’ostacolo riuscendo a raccogliere 400 mila euro per questaattrezzatura.Un traguardo importante, ma che è solo uno dei tantiraggiunti nei 36 anni di attività del nostro Istituto, difatti inumeri conseguiti e gli obiettivi raggiunti in questi annisono la prova evidente dell’incredibile lavoro svolto. Solopochi giorni fa, alla “Giornata dei Volontari IOR”,organizzata quest’anno a Bellaria, il nostro Presidente, ilprof. Dino Amadori, ha ricordato come negli anni ’70 fosseimpossibile per gli oncologi garantire un’adeguata terapiaai pazienti e quanto sia stato fondamentale creare unaorganizzazione di iniziativa popolare che valorizzasse ilsapere e i territori. In questi 36 anni, gli investimenti delloIOR, pari a 63 milioni di euro, sono stati indispensabili e,hanno cambiato il volto delle oncologie romagnole. Lo IORha sostenuto l’organizzazione di oltre 170 convegniscientifici, molti dei quali di caratura nazionale edinternazionale, ha finanziato oltre 230 borse di studio infavore di medici oncologici, oggi stimati professionisti inItalia e all’estero. Lo IOR ha ideato e ha partecipato allarealizzazione dell’IRST IRCCS di Meldola. Ad oggi haassistito gratuitamente oltre 35.000 pazienti oncologici convari progetti e oltre 122.000 studenti hanno partecipato aicorsi sulla prevenzione, sui corretti stili di vita condottidalle Biologhe dello IOR nelle scuole romagnole.Se negli anni ’70 la Romagna era il luogo con uno dei piùalti tassi di mortalità dei tumori, oggi siamo il territorio conun tasso di sopravvivenza ai tumori più alto della mediaitaliana ed europea.Tutto questo è stato possibile grazie all’instancabile lavorodei Volontari IOR, che, donando il loro tempo, donano unaparte della loro vita agli altri e non c’è nulla di più importante.Questi grandi risultati si costruiscono solamente grazieall’impegno e al lavoro quotidiano, in questo primo annoda Direttore, ho potuto assistere con ammirazioneall’incredibile dedizione dei Volontari IOR. Sono testimone

di quello che persone semplici, dal grande cuore posso fare,impegnandosi in innumerevoli attività di raccolta fondi,nei diversi territori della Romagna come sagre, mercatini,serate di ballo, cene, tornei di carte, corsi di cucina… Epoi le grandi occasioni: le uova a Pasqua, le azalee per laFesta della Mamma, le mimose per la Festa della Donna…Una miriade di iniziative generate dalla creatività e dallasensibilità di donne e uomini determinati che hanno chiaroun concetto preciso: nessuno deve affrontare il cancro dasolo!Al centro sta la persona, con tutti i suoi bisogni, e questaè la spinta ideale capace di sostenere e generare il bene ditutti. Lo IOR che vogliamo è proprio questo: un luogoaperto, che possa dare sostegno alla generosità di ciascuno,forza e aiuto a tutti i pazienti oncologici. Desidero ringraziareciascun Volontario IOR per tutto quello che ha fatto, chesta facendo e per quello che farà in futuro e, desideroringraziare tutti i Medici e i Ricercatori dello IOR che siimpegnano ogni giorno per sconfiggere il cancro.La nostra mission è proprio questa: sconfiggere il cancro,sostenendo i Medici e Ricercatori e allo stesso tempo esserea fianco di chi è costretto a vivere la malattia oncologica,come in una grande famiglia.Un ruolo centrale in questa sfida lo riveste la Sede IOR diCesena con tutti i suoi Volontari, che si occupano di servizimolto importanti in favore dei pazienti: come il punto diaccoglienza presso il Reparto di Oncoematologia IRST diCesena, all’interno del “progetto Virgilio” e come lacompagnia e ascolto presso l’Hospice di Savignano sulRubicone.A Cesena è attivo da diversi anni, grazie al lavoro di estetistevolontarie il progetto “La Forza e il Sorriso”, che promuovelaboratori di make-up gratuiti per far riscoprire alle signore,che sono costrette a vivere la malattia oncologica, il sorrisodavanti allo specchio e la forza dentro di sé.Inoltre nel Cesenate, territorio ricco di solidarietà, i VolontariIOR organizzano, ogni anno, tantissime attività di raccoltafondi per sostenere i progetti di assistenza e ricercaoncologica dell’Istituto Oncologico Romagnolo. Un ruolocentrale in queste attività lo riveste il Galà di Cesena, cheogni anno riunisce tutte le principali aziende del territorioin un momento di solidarietà in favore dei progetti delloIOR. La centralità di Cesena per lo IOR è stata attestataanche dalle recenti nomine del nuovo Consiglio diAmministrazione dell’Istituto Oncologico Romagnolo, chehanno visto l’ingresso come Consigliere di Denis Ugolinie la nomina di Domenico Scarpellini come Vicepresidentedello IOR.Il nuovo Consiglio di Amministrazione dello IOR avrà ilcompito di progettare le strategie future, che saranno quelledi sostenere l’IRST IRCCS nella realizzazione di unComprensive Cancer Care Network in Romagna,riconosciuto in Europa come struttura a carattere scientifico,per garantire a tutti i pazienti il migliore livello di terapiapossibili e di collaborare e sostenere l’AUSL Romagnanello suo sviluppo completo.Molto è stato fatto, ma c’è ancora tanta strada da percorrere,oggi però abbiamo la certezza che insieme l’impossibilediventa possibile.

*Direttore IOR

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Stiamo affrontando la drammatica, epocale, questione dellamigrazione. Centinaia di persone che giacciono in fondo almare. Migliaia che sono riuscite ad approdare alle nostrecoste, soprattutto. In campi di accoglienza che oramai nonhanno più spazio per accogliere. Molti nel tentativo ditransitare verso altri paesi europei che non sono altrettantoprodighi ad accoglierli. A centinaia di migliaia, milioni, infuga da guerre, dal terrore di crudeli fondamentalismi. Incerca di condizioni diverse da quelle depresse di povertà,miseria e fame. Da paesi africani soprattutto. Attraverso laLibia, sui barconi, nel Mediterraneo. Sperando di esseresalvati e accolti. E poi tutto quello cui stiamo assistendo inquesti giorni, drammaticamente, e da parecchio tempo.Soluzioni semplici non certo a portata di mano. Difficili ecomplesse ve ne sono e si dovrebbe cominciare ad affrontarlecon congiunti impegni: gli stati europei, non solo il nostro,l’Europa, la comunità internazionale, l’Onu. No. Non nelmerito di questo ci soffermiamo, qui, adesso Non ne saremmoneppure in grado. Esprimeremmo un’opinione della qualesubito dovremmo ammettere la pochezza, l’irrilevanza afronteggiare tanta epocale, drammatica questione. Già cibasta, talvolta con grande fastidio, di assistere ai proclami,agli slogans sentenzianti di chi lafa semplice ed ha la soluzione sem-plice, netta, rigida.Già assistiamo al montare di undisagio, di tensioni, di esacerbatisentimenti. Non ne mancano lecondizioni capaci di alimentarli efarli crescere. Comprensibili.Per quanto non ci riuscirà di giu-stificarne le asprezze e le intollerantitrasposizioni violente, da qualsiasiparte provengano.Abbiamo ascoltato molto, anchetante riflessioni serie, per fortuna.Chissà che non concorrano adapprodare a qualche risultato. Cheintanto ci fanno riflettere a nostra volta. Abbiamo ascoltatosostenere che occorre recare sviluppo, favorire condizionidi superamento di realtà depresse e povere, per stimolare edeterminare la permanenza nei propri paesi di quanti più,altrimenti, da quelle miserie cercano di fuggire verso speranzedi migliori condizioni di vita.Torna alla mente una polemica in ambito politico, durevoleda decenni.Tante volte ne abbiamo ripreso i termini, sul piano culturalee politico, in molti raffronti e dibattiti. Il tema dello sviluppodei paesi del Terzo mondo (come si diceva). Non toccava lecorde di molti, neppure di quelli che ideologicamente volevanodar mostra di parere più inclini alla questione. Semplicementeporre una qualche considerazione che non fosse l’equazione“paesi poveri del mondo-colpa dell’imperialismo” (il mantrache giustificava e salvava la coscienza di tanti, così da fardormire sonni tranquilli alla reale insensibilità per queiproblemi del vasto terzo mondo) , si rischiava di essere presia pesci in faccia.“Considerare che la condizione attuale, economicamente esocialmente depressa del Terzo Mondo, dipendaesclusivamente da pressioni, proprie di un imperialismo ocolonialismo tutto nuovo, è un non senso. Parte del TerzoMondo è povero e depresso di per sé, per le sue condizionimateriali e per le sue condizioni politiche sociali interne …

Le risorse proprie di un paese possono essere così limitatee scarse, da non consentirgli la costruzione di una societàmoderna. Le sue condizioni politiche e sociali possonoaggravare la sua inferiorità materiale. In verità la massa dicapitali che oggi occorre per salvare il terzo mondo dalladepressione, dall’arretratezza e dalla fame, è di tale imponenza,che qualunque politica di cosi detti aiuti rappresenta unagoccia in un mare di bisogni, e la ( ) società dei paesiindustrialmente avanzati deve sapere quali sono le dimensionidel problema e di che esattamente si tratta. I paesi oggiindustrialmente avanzati , qualunque sia il loro regime politicoe sociale, subiscono una pressione delle masse popolariinterne, perché sia aumentato il loro tenore di vita. Le risorse,rese disponibili, dalla produttività, propria dei paesi avanzati,vengono dedicate all’accrescimento del benessere di quellesocietà. Ma con questa politica il divario con le condizionidelle masse popolari dei paesi del terzo mondo, aumenta,non diminuisce. Avviene nei rapporti fra paesi avanzati epaesi del terzo mondo, quello che avviene fra regionisviluppate e regioni depresse di un paese a condizionedualistica, come l’Italia. Se la maggiore produttività è divisatra i partecipanti diretti del processo produttivo avanzato, il

divario con i paesi più poveri nonpuò che aumentare. Ha ragione ilpoeta e capo di Stato africanoSenghor, quando dice che oggi ilconflitto non è più tra classi, ma tranazioni (avanzate e sot to-sviluppate)…. Occorre una co-scienza della solidarietà mondialediversa da quella…..che per averela coscienza a posto si dannoassoluzioni di ordine ideologico(moltissime queste in passato, maanche adesso)…” o di altro genere.Che è oggi se non anche espressionedrammatica ed epocale di quelconflitto che diceva Senghor il

fenomeno migratorio che stiamo vivendo! Considerazionidel tipo dobbiamo aiutare lo sviluppo dei paesi poveri cosìche grandi masse non li abbandonino per ingrossare i giàcospicui flussi migratori, oggi ci stanno. Sono di brucianteattualità. Peccato che i nostri ritardi culturali le nostrearretratezze non siano pochi, e siano così lungamente protratti,a evidenza piena di profonde arretratezze culturali e politiche.Quanto richiamato è espressione di una sensibilità e di unacultura politica che evidentemente non è stata coronata dagrandi fortune, purtroppo. È un richiamo che data 1968, diun vero statista: Ugo La Malfa. Non è quindi nemmeno unfulmine a ciel sereno che si sia pensato che possono essercianche fughe dai propri paesi perché si temono drammi etragedie quali epidemie virali (come Ebola). Che si deveagire perché quei paesi, quelle popolazioni possano averedirettamente le condizioni per fronteggiare, sconfiggere,curare malattie ed epidemie virali, purtroppo, sempre possibili.Ecco anche questo, almeno per noi, il senso di una rabbiache vuole diventare un gesto di aiuto concreto perché vi sianostrutture operanti e valide, mediche e di laboratorio, di unaUniversità in Sierra Leone. L’iniziativa di Salute e Libertàonlus ci piacerebbe che fosse straordinariamente partecipatae sostenuta. Anche questo è indice di solidarietà vera e disensibilità sincera.

Un aiuto concreto in Africa

Con Salute e Libertà onlus.Per recare sostegno finanziario

ai progetti di formazionemedica, corsi per diploma elaurea in malattie infettive

tropicali, formazione di tecnicidi laboratorio per malattieinfettive dell'Università di

Makeni - Sierra Leone

Energie Nuove

Un’iniziativa di Salute e Libertà onlus

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*Vescovo emerito di Makeni

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di Giorgio Biguzzi*

“Un altro mondo è possibile”.E’ lo slogan del Forum SocialeMondiale (FSM) che si tieneogni due anni cambiando lacittà dell’incontro. Iniziato aPorto Alegre, Brasile, nel 2001come rivale del Forum Eco-nomico Mondiale di Davos,Svizzera, il FSM è una speciedi congresso mondiale dellasocietà civile.Comprende una grande plu-

ralità e varietà di protagonisti che, in un clima di grandelibertà, possono esprimere opinioni e sostenere proposteanche contrastanti. E’ un tentativo di dar voce a chi nonha voce.Il Forum non produce dichiarazioni finali e propostenormative. Forse per questo non suscita l’interesse deimedia. Tuttavia al termine di ogni Forum si tengonoassemblee tematiche che focalizzano problemi socialiparticolarmente urgenti, e possonocosì influenzare l’opinione pubblicamondiale. E’ il caso della campagnacontro “land grabbing” (accapar-ramento delle terre), promossa dalFSM di Dakar nel 2011.L’ultimo Forum Sociale Mondialesi è svolto, dal 24 al 28 marzo 2015,a Tunisi, dove si era già svolto dueanni fa. Il ritorno a Tunisi unasettimana dopo l’attentato ter-roristico al Museo del Bardo ha as-sunto il significato di non cedereil passo al terrore e di vicinanza alpopolo tunisino.La giornata inaugurale ha avuto permotto: “Popoli di tutto il mondouniti per la libertà, l’uguaglianza,la giustizia sociale e la pace. Insolidarietà con il popolo tunisino e tutte le vittime delterrorismo, contro ogni forma di oppressione”.Partecipare al FSM per noi missionari è un modo dirispondere all’appello di Papa Francesco per una chiesain uscita missionaria e andare dove “sono presenti gliscenari e le sfide sempre nuovi della missioneevangelizzatrice della Chiesa” (EG 20), per portare a tuttila gioia del Vangelo. Ho partecipato al Forum assieme aduna delegazione di missionari comboniani e combonianee ho incontrato sacerdoti, religiosi e religiose, laici, gruppiecclesiali da varie parti del mondo. Era presente anche unaltro saveriano: P. Alberto Panichella.Nell’ambito del Forum sono molto interessanti gli incontriinformali e casuali coi partecipanti e coi tunisini incontratiin città. Una ragazza incontrata per caso sul bus ha dettoin buon inglese: “grazie per la vostra presenza.E’ un segno di speranza per tutti noi”. Un giovane, sentendo

che parlavamo italiano, si è presentato dicendo: “Hostudiato all’università di Genova. L’Italia mi piace molto,ma non com’è adesso”.Penso si riferisse ai casi di corruzione nei vari settori dellavita italiana. Un altro si è rivolto ad una suora spagnola inmodo polemico: “Voi spagnoli ci avete cacciato da Granadae dalla Spagna…” Evidentemente ha taciuto sul fatto cheerano stati gli arabi ad invadere la Spagna. Poi c’è statochi ci ha assistito senza neppure aspettare un ringraziamento.Alla discesa dal bus abbiamo chiesto ad un ragazzoindicazioni per raggiungere l’albergo dove alloggiavamo.Ci ha detto di seguirlo e ci ha condotti davanti all’albergo,poi è sparito prima ancora che lo potessimo salutare. Suquello che i tunisini chiamano il metro, il loro tram a rotaie,ho visto seduti di fronte a me una giovane donna col visoincorniciato da un bel velo leggero, accompagnata da unragazzo che le parlava con evidente tenerezza; un fattolontano dallo stereotipo dell’uomo musulmano maschilistae autoritario.I più di millecinquecento incontri nelle aule dell’università

di Tunisi hanno toccato i temi piùsvariati: Tratta di esseri umani;donne schiave della prostituzionein Europa; teologia della libe-razioni e politica; dialogo inter-religioso; cambiamenti climatici;accaparramento delle terre, delleacque e degli oceani; criticheaperte alle politiche neoliberistedell’occidente e dell’imperofinanziario; diritti dei migranti erifugiati; difesa della mobilitàumana; pace, riconciliazione,spiritualità, diritti umani. Per tuttiè una chiamata a rivedere i propristili di vita.Era anche l’anelito delle prima-vere arabe.Al di fuori delle aule c’è stato tut-

to un intrecciarsi di lingue, razze, colori, messaggi,manifestazioni. Mi ha colpito il messaggio lanciato da unacoppia di siciliani del gruppo laici comboniani.Hanno marciato per tre giorni con un grande striscioneche diceva: SANGUE NOSTRUM. Un messaggio chescuote le coscienze di fronte al dramma dei morti nelmediterraneo e del dramma umano dei rifugiati.E’ possibile un altro mondo? Per noi cristiani è possibilee doveroso coltivare e far crescere i semi del Regno diCristo. Sul bus in viaggio verso il luogo del Forum, unpasseggero ci ha chiesto: “Credete voi di cambiare ilmondo”? Una suora eritrea gli ha subito risposto con leparole di Madre Teresa: “Cambiare il mondo, non lo so.Ma tu e io possiamo cambiare!”. Veramente, se nessunosi ritiene esente da questo impegno, un mondo migliore èpossibile.

Sangue nostrum

Sangue nostrum. Un messaggioche scuote le coscienze di fronte

al dramma dei morti nelmediterraneo e del dramma

umano dei rifugiati.E’ possibile un altro mondo?

“Cambiare il mondo, non lo so.Ma tu e io possiamo

cambiare!”(Madre Teresa).Veramente, se nessuno si ritieneesente da questo impegno, unmondo migliore è possibile.

Solidarietà

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Bimestrale - Direttore: Denis Ugolini - Direttore Responsabile: Ubaldo MarraRedazione: Emanuela Venturi, Piero Pasini, Franco Pedrelli, Giampiero Teodorani, Natali Randolfo, Maurizio Ravegnani

Registrazione n. 4/09 - Tribunale di Forlì del 24/02/09N. iscrizione ROC 18261

Poste Italiane spa-Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - CN7FOProprietà: Associazione Culturale Energie Nuove - Cesena, Via Mattarella 60

Stampa: Litografia Tuttastampa Cesena.

ENERGIE NUOVE è su www. Cesenainfo.it.Per intervenire: [email protected]

E la rabbia si trasforma in solidarietàConcerto musica rock incontro Vi aspettiamo


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