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NUMERO 251 in edizione telematica - pierogiacomelli.com · La previsione è che la Russia ha...

Date post: 15-Feb-2019
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NUMERO 251 in edizione telematica 10 gennaio 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Lo sport, si direbbe, ama farsi del male: pochezza dei dirigenti o che altro? La domanda sorge spontanea ovunque ci si volti a guardare. Una volta tanto lasciamo da parte d’atletica, il cui autolesionismo pare cronico e continua imperterrito (basta guardare com’è impoverito il calendario delle indoor e delle campestri), e liquidiamo con un alzata di spalle il calcio con i suoi bilanci folli che generano parrocchiette intorno alle quali ci si affannano a turno un po’ tutti con buona pace dei cosiddetti tifosi che magari rinunciano al piatto di minestra per pagare il biglietto allo stadio e l’abbonamento alla pay-tv. Questa volta parliamo di un’altra disciplina che da tempo ci è cara e che trovò, per evitare lo sfascio, la capacità nei suoi praticanti di vertice di ridursi gli ingaggi. Avvenne verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, quando i Paperoni (da Berlusconi e Gardini, da Benetton ai responsabili della Motta) fecero un passo indietro, eliminando o riducendo quelle sponsorizzazioni che, sulle ali dei successi della Nazionale guidata da Julio Velasco, erano lievitate a cifre folli per un movimento che, di suo, incassava dalle partite nel migliore dei casi quanto può offrire un palazzetto con quattro-cinque mila spettatori paganti. Ebbene proprio la pallavolo sta imboccando una strada pericolosissima: nel prossimo settembre si disputeranno i Mondiali maschili organizzati da Italia (con finalissima a Torino) e Bulgaria, parallelamente a quelli femminili in programma in Giappone. Ma mentre i nipponici hanno già predisposto ogni particolare dell’organizzazione e, conoscendoli, sarà semmai difficile convincerli a modificare qualche cosa, il Comitato Organizzatore italiano ha varato appena pochi giorni fa il calendario delle partite, garantendo un programma a dir poco cervellotico: basti pensare che, nella prima fase a girone (e sarà questa la formula anche delle due successive, per arrivare a partorire le quattro semifinaliste), con raggruppamenti di sei squadre, ad un certo punto ci sarà chi avrà disputato già tre partite ed altri una sola. E se questo, com’è probabile, è stato fatto per favorire in qualche modo la Nazionale azzurra, certo non si è fatto un buon servizio per quei tanti appassionati che, pur tifando per i colori della propria nazione, amano prima di tutto il bel gioco e la chiarezza, pronti a riconoscere e ad inchinarsi davanti ai meriti del vincitore. Il che è sinonimo di cultura sportiva e non soltanto di becero tifo. E non parliamo di biglietti e di eventuale prevendita della quale non si sa ancora assolutamente nulla. Giocatori mediocri (ammesso che lo siano stati) si improvvisano dirigenti così come individui frustrati dalla loro mediocrità, sull’esempio dei tanti che tentano l’avventura politica senza sapere neppure loro qual che fanno. Basta buona parlantina, qualche amicizia e qualche promessa ben indirizzata ed il gioco è fatto: lo dimostrano i vertici di troppe federazioni e, magari, del Coni stesso. Ma in questo modo si uccide lo sport ed il momento educativo che potrebbe e dovrebbe rappresentare. Giorgio Barberis
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NUMERO 251 in edizione telematica 10 gennaio 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

Lo sport, si direbbe, ama farsi del male: pochezza dei dirigenti o che altro? La domanda sorge spontanea ovunque ci si volti a guardare. Una volta tanto lasciamo da parte d’atletica, il cui autolesionismo pare cronico e continua imperterrito (basta guardare com’è impoverito il calendario delle indoor e delle campestri), e liquidiamo con un alzata di spalle il calcio con i suoi bilanci folli che generano parrocchiette intorno alle quali ci si affannano a turno un po’ tutti con buona pace dei cosiddetti tifosi che magari rinunciano al piatto di minestra per pagare il biglietto allo stadio e l’abbonamento alla pay-tv. Questa volta parliamo di un’altra disciplina che da tempo ci è cara e che trovò, per evitare lo sfascio, la capacità nei suoi praticanti di vertice di ridursi gli ingaggi. Avvenne verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, quando i Paperoni (da Berlusconi e Gardini, da Benetton ai responsabili della Motta) fecero un passo indietro, eliminando o riducendo quelle sponsorizzazioni che, sulle ali dei successi della Nazionale guidata da Julio Velasco, erano lievitate a cifre folli per un movimento che, di suo, incassava dalle partite nel migliore dei casi quanto può offrire un palazzetto con quattro-cinque mila spettatori paganti. Ebbene proprio la pallavolo sta imboccando una strada pericolosissima: nel prossimo settembre si disputeranno i Mondiali maschili organizzati da Italia (con finalissima a Torino) e Bulgaria, parallelamente a quelli femminili in

programma in Giappone. Ma mentre i nipponici hanno già predisposto ogni particolare dell’organizzazione e, conoscendoli, sarà semmai difficile convincerli a modificare qualche cosa, il Comitato Organizzatore italiano ha varato appena pochi giorni fa il calendario

delle partite, garantendo un programma a dir poco cervellotico: basti pensare che, nella prima fase a girone (e sarà questa la formula anche delle due successive, per arrivare a partorire le quattro semifinaliste), con raggruppamenti di sei squadre, ad un certo punto ci sarà chi avrà disputato già tre partite ed altri una sola. E se questo, com’è probabile, è stato fatto per favorire in qualche modo la Nazionale azzurra, certo non si è fatto un buon servizio per quei tanti appassionati che, pur tifando per i colori della propria nazione, amano prima di tutto il bel gioco e la chiarezza, pronti a riconoscere e ad inchinarsi davanti ai meriti del vincitore. Il che è sinonimo di cultura sportiva e non soltanto di becero tifo. E non parliamo di biglietti e di eventuale prevendita della quale non si sa ancora assolutamente nulla. Giocatori mediocri (ammesso che lo siano stati) si improvvisano dirigenti così come

individui frustrati dalla loro mediocrità, sull’esempio dei tanti che tentano l’avventura politica senza sapere neppure loro qual che fanno. Basta buona parlantina, qualche amicizia e qualche promessa ben indirizzata ed il gioco è fatto: lo dimostrano i vertici di troppe federazioni e, magari, del Coni stesso. Ma in questo modo si uccide lo sport ed il momento educativo che potrebbe e dovrebbe rappresentare.

Giorgio Barberis

SPIRIDON / 2

Il tormentone russo

Il capolinea del tormentone il 5 dicembre 2107. Enfaticamente qualcuno scrive che si firma una pagina importante nella storia dell’olimpismo moderno e si entra in un’altra era. La Russia viene sospesa per doping e non potrà partecipare ai Giochi Invernali ospitati dalla Corea del Sud nel successivo 2018. Sospensione con decorrenza immediata, la prima decisione di tale gravità presa dal CIO nella sua storia più che centenaria. La vicenda (e relativo contenzioso) si era aperta in realtà due anni prima e il provvedimento di esclusione è solo l’ultimo tassello di una severa applicazione delle regole, comportamento che qualcuno in Russia definisce “persecuzione”. Già nel novembre del 2015, dopo le rivelazioni del rapporto McLaren, l’agenzia antidoping russa era stata dichiarata inadempiente. La pesante conseguenza era stata l’esclusione della squadra di atletica ai Giochi di Rio 2016. Con un pesante bis per tutta la rappresentativa paralimpica. L’escalation si concretizza ulteriormente nel luglio 2016 quando, con la testimonianza del transfuga Rodchenkov, già responsabile del laboratorio antidoping di Mosca, si provano le manomissioni sui test degli atleti russi avvenute nell’Olimpiade giocata in casa a Sochi nel 2014. Evidenze di coperture e di perfetto “doping di Stato”, sul modello di quello messo a regime dalla DDR negli anni ’70-’80. Qui il periodo di contaminazione è stato meno lungo ed epocale ma i suoi riflessi si sono trasmessi a un’intera generazione di campioni polisportivi o solo presunti tali. Basti pensare che le pratiche dopanti si sono prolungate dal 2011 al 2015 con il coinvolgimento di circa 1.000 atleti (600 olimpici estivi, circa 100 invernali e 300 paralimpici). Nel dicembre 2016 l’approfondimento del rapporto McLaren, pubblicizzato in varie traumatiche ondate, mette ulteriormente a fuoco il coinvolgimento nelle pratiche di doping di 115 atleti russi in rappresentanza di 30 discipline. E tra i reprobi 12 medagliati ai Giochi di Sochi, i principali contributori della rilevante posizione della Russia nel medagliere finale della manifestazione. La Russia infatti era stata la dominatrice della classifica non ufficiale per nazione dell’Olimpiade invernale 2014 avendo concluso la manifestazione con un bottino di 13 medaglie d’oro, 11 d’argento e 9 di bronzo e la sottrazione riguarderà circa 1/3 di questa congrua raccolta. La pole position dopo le interminabili cancellazioni sarà ovviamente persa. La previsione è che la Russia ha lasciato liberi circa 35 posti sul podio per i Giochi bianchi 2018 considerando la posizione dei suoi atleti nei vari ranking internazionali di specialità. Il sottotesto della pesante reprimenda è: “Per troppi anni lo sport internazionale è stato preso in giro”. Tutti contro la Russia. Ma è la Russia la sola colpevole di un sistema di connivenze che le ha permesso la manipolazione sistematica? La revisione, spesso grottesca, dei risultati archiviati dei Giochi di Pechino, fa intuire che il problema è gigantesco, non è solo della Russia. Tra medaglie pulite e medaglie sporche si fa fatica ad orientarsi. Ed è la stessa credibilità dello sport che in questi marosi sembra cadere a picco. Quella credibilità erosa anche con il trattamento a cui sono state sottoposte 1.700 provette più altre centinaia, rispettivamente scomparse e trattate con sodio e potassio per occultarne la positività. Per tutto il 2017 è fioccato uno stillicidio di squalifiche e cancellazioni dal medagliere mentre viene confermata la sospensione della poco credibile agenzia antidoping russa. Il 26 novembre 2017 il Consiglio della Federazione Internazionale di atletica leggera (IAAF) statuisce la sospensione della sua affiliata per l’atletica: la prima conseguenza è che ai mondiali di Birmingham 2018 gli atleti russi gareggeranno sotto l’etichetta di “indipendenti”. Ma l’ultima puntata di questi giochi

di potere non è stata ancora scritta. Daniele Poto

L'Epifania si è portata via le feste, oggi è mercoledì e 'i giovani....oggi' è una nostra riflessione, datata 1987, che ci sembra fresca di giornata. Il saggio, relativamente breve, è parte del libro L'Atletica Leggera e del Chirone. I giovani (1) sono disorientati, il 4 marzo si vota (finalmente!) e i sondaggi comunicano dati sconfortanti sull'astensione. I diciottenni andranno alle urne? E gli altri di maggiore età che si disinteressano della politica? Le agenzie educative, la Scuola e le Associazioni anche quello sportive, operano a raggio limitato e tante famiglie sono disgregate.Nelle città dove alligna 'la mala pianta', gli adolescenti che vogliono offrirsi alla criminalità, si adunano come branco belluino e distruggono le vite dei coetanei casualmente trovati. Estraiamo dal 'mucchio selvaggio. Arturo, 17 anni, il 18 dicembre a Napoli via Foria, è stato avvicinato da alcuni guaglioncelli, la richiesta dell'ora e del minuto e il massacro. Arturo, dopo indugi (copiosa perdita di sangue e anemia galoppante, pallore mortale), è stato trasportato all'ospedale, operato e salvato, ma il fendente alla gola ha in parte reciso la giugulare, e leso le corde vocali. La madre di Arturo, docente in sociologia, è stata ospite di Tagadà. Arturo, confortato dai compagni di scuola, ha vinto la battaglia, ma spera di riconquistare con la logopedia e i nuovi sussidi tecnologici, il bene del parlare.Le baby gang, che si formano ovunque sussiste il disagio sociale, 'fumano e spacciano'. Cantava Giovanni Alamia: "...i picciriddi quannu sunnu granni, la genti poi li chiama malacarni". Il cantante e attore non c'è più dal 2000. Tanti 'picciriddi' sono destinato a carne malata o alla delinquenza.Per l'attenzione e la concentrazione degli amici su FB è lungo. Oggi la parte prima, domani la seconda. Fra i nostri amici sono tanti gli educatori ai diversificati livelli e i genitori. Non pochi sono i giovani e le giovani, dall'adolescenza ai vent'anni inoltrati. Attendiamo brevi commenti come un forum. (1) La prima età della vita, dal Grande Dizionario dell'Utet. (Collino pgf)

SPIRIDON / 3

fuori tema di Augusto Frasca

Le prime notizie sugli scontri tra studenti e forze di polizia giunsero

il 26 luglio. A ridosso dei Giochi, gli eventi precipitarono. Il 2 ottobre la capitale messicana lasciò alla storia olimpica la strage di studenti senza volto e senza nome. Mai accertato il numero di morti disseminati sul selciato di piazza delle Tre Culture. Testimone diretta della brutale repressione della ribellione sociale, una delle tante, e tra le più credibili, esplose in mezzo mondo dall'inizio dell'anno, bloccata su un letto d'ospedale, in due ore e mezza di registrazione Oriana Fallaci dettò per l'Europeo una torrenziale ricostruzione dei fatti. Fra quanti reclamavano l'annullamento dei Giochi e quanti, Governo messicano e Comitato olimpico internazionale in testa, ne esigevano regolare svolgimento, prevalsero i secondi: il 12 ottobre, la spettacolare, fantasiosa scenografia allestita all'Estadio Olimpico per la cerimonia d'apertura della diciannovesima edizione olimpica fece in modo che il mondo facesse cadere un fragile sipario sul sangue dei giovani rimasto impresso sulla piazza simbolo di Città del Messico, sugli assassini di Martin Luther King e di Robert Kennedy avvenuti tra aprile e giugno, sui carri armati sovietici scesi in piena estate nelle piazze di Praga e sulle carneficine in Vietnam. Tratti i bilanci finali, malgrado le ferite della vigilia, i Giochi di cinquant'anni fa ebbero risonanza come pochi. A moltiplicare i riflettori sulla capitale messicana giunse l'impensabile protesta degli statunitensi di colore, protagonisti, su tutti, Tommie Smith e John Carlos, affiancati dall'australiano Peter Norman in un superlativo atto di complicità, origine di guai in patria e ripagato, molti anni dopo a Melbourne, con eguale generosità, dai due compagni di gara, la bara di Peter sulle spalle. L'immagine dei pugni guantati di nero sul podio, i piedi privi di scarpe, gli occhi a terra durante l'esecuzione dell'inno nazionale, resta tra le iconografie e i codici

emotivi più potenti nella storia dei Giochi. Complici l'altitudine, l'aria rarefatta e la messa in opera su pista e pedane di un nuovissimo materiale sintetico, il tartan, sostitutivo della vecchia terra, beneficiando quindi delle particolari condizioni nelle gare di velocità e nei salti in estensione, più che in altre occasioni l'atletica impose il suo ruolo da protagonista. Oltre la sensazionale affermazione di Smith sul traguardo dei 200 metri in 19.83 e la convulsa successione di grandi prestazioni realizzate sulla pedana del salto triplo, un italiano protagonista, con cinque primati mondiali battuti nel giro di ventiquattro ore, un esito ancor più eclatante fecero registrare i metri 8.90 segnati nel salto in lungo da un ventiduenne di Nuova York, Bob Beamon: 55 centimetri aggiunti in un colpo solo al precedente primato mondiale. Nel quadro generale dell'evento olimpico, in una edizione forte di 113 nazioni presenti, 5.555 atleti, le due Germanie per la prima volta separate in campo e fuori, l'esordio di una donna, Enriqueta Basilio, ostacolista, ultima tedofora, l'apparizione di Dick Fosbury con il suo stile rivoluzionario, gli Stati Uniti al vertice della classifica finale davanti all'Unione sovietica, il quarto titolo consecutivo firmato nel disco da Al Oerter, l'imponente ingresso dell'Africa nelle specialità di resistenza, primo anello di una catena che si rivelerà eterna: tre keniani, Naftali Temu sui 10.000, Amos Biwott sui 3.000 siepi e Kip Keino sui 1.500 nello stesso giorno della nascita della figlia Olympia, Mamo Wolde in maratona, teatro del mesto ritiro di Abebe Bikila, e Mohamed Gammoudi sui 5.000, scoperto un giorno dal tecnico italiano Oscar Barletta e distolto da meno affidabili impegni agonistici. Dal lungo tracciato agonistico registrato dal 12 al 27 ottobre emerse una donna, Vĕra Cáslavská, cecoslovacca, eroina nazionale per la presa di posizione contro la repressione sovietica della <<Primavera di Praga>> e imbattibile prima attrice, con le sue quattro vittorie, nei concorsi di ginnastica. Quanto all'Italia, un modesto consuntivo di sedici medaglie, tre affermazioni, Klaus Dibiasi, al primo dei tre successi olimpici consecutivi nei tuffi dalla piattaforma, Pierfranco Vianelli nel ciclismo su strada, Primo Baran-Renzo Sambo-Bruno Cipolla nel due con di canottaggio, e due terzi posti di particolare rilievo nell'atletica, Beppe Gentile e Eddy Ottoz, cresciuto alla scuola di Sandro Calvesi, nei 110 ostacoli. Al Foro Italico, negli uffici del Comitato olimpico italiano, e nelle sedi delle varie Federazioni coinvolte nella partecipazione ai Giochi, il mezzo digiuno messicano era stato ampiamente preventivato. E nell'agosto precedente la sessione olimpica, con un messaggio a firma di Mario Saini, braccio destro di Giulio Onesti, veniva annunciata con apprezzabile tempismo la nascita sull'intero territorio nazionale di una stagione speciale, quella dei Giochi della Gioventù: <<Oggi l'istanza sportiva si pone come un diritto e come un dovere. Oggi si afferma il diritto dei giovani allo sport, come ieri si asseriva il loro diritto all'istruzione>>. [email protected]

SPIRIDON / 4

Il 22 dicembre, al Pala CUS di via Altofonte, il CUS Palermo ha festeggiato il settantesimo dalla fondazione, coeva a quella della Costituzione Italiana. La Palestra del Polisportivo, le prime strutture nel 1997 nel contesto delle Universiadi, ha ospitato la grande famiglia cussina, dai 'nichi' ai 'granni'. Ha fatto gli onori di casa Rosolino Siculiana, presidente, sessant'anni di 'cussismo', da sedicenne piè veloce alla più alta carica. Premiati atleti ed allenatori delle varie sezioni, atletica, calcio, pallamano, pallanuoto, calcio a 5, basket e gli sport acquatici nel sito incantevole, Baia del Corallo, di Sferracavallo. Il Manifesto assembla le icone delle varie sezioni. L'Atletica è al femminile, raffigurata da una ostacolista. La Costituzione celebra i 70 anni, ma la parola Sport è ancora assente. Tra i presenti all'anniversario, Michele Bevilacqua,

cussino di lunghissimo corso, dal salto in lungo di buon livello regionale alla dirigenza del CUSI e della FIDAL. Il CUS Palermo nel trentennio ha insediato i suoi dirigenti nella massima carica della Regione: Michele Bevilacqua (23 anni, un primato), Rosolino Siculiana, Gaspare Polizzi e l'attuale Nicola Siracusa. La prima pietra del fenomeno 'cussino', che in nessun modo può essere ricollegato o

apparentato a quello risalente ai Gruppi Universitari Fascisti, venne posta con il Congresso costitutivo del CUSI, tenuto a Roma il 19 maggio 1946, sotto la

presidenza di Giorgio Napolitano, della Napoli del nuoto e della pallanuoto olimpica del 1948 guidata dall'indimenticato Gildo Arena. Il CUSI, che nominò coordinatore nazionale Renzo Nostini e che tra i suoi maggiori dirigenti ebbe Ignazio Loiacono e Primo Nebiolo (membro del suo Consiglio direttivo dal 1949, vice presidente dal 1953, nel 1961 eletto presidente della FISU (Federazione Internazionale Sport Universitari), trovò in Sicilia un terreno fertile insediandosi nelle tre città sede di Poli Accademici: Palermo, Catania, Messina. Nel capoluogo delle Regione il CUS nacque nel 1947 affiliandosi alla FIDAL 3 anni dopo e cominciando a registrare i primi risultati di un certo rilievo - guidato dall'affiatato tandem Lorenzo Purpari dirigente e Alberto Corso allenatore. Il primo record siciliano del CUS fu la gittata (metri 37,80 - Palermo 26 aprile 1953) del discobolo Mario Mauro.

Roberto Cecchinato, velocista, fu il primo atleta del CUS Palermo passato dal giallo nero rosso all'azzurro della Nazionale, una conquista dell'allenatore Gaspare Polizzi. Il prof, di matrice trapanese, estese il suo campo di azione al mezzofondo veloce, prolungato e alla maratona, primo atleta forgiato, e di grande livello, Luigi Zarcone. Nel 1984, Olimpiade di Los Angeles, il CUS stabilì un primato siciliano ancora imbattuto con quattro atleti presenti, Salvatore Antibo, quarto nei 10.000, Antonio e Piero Selvaggio nei 5000 metri e Giovanni D'Aleo nella maratona. Quattro anni dopo, a Seoul, Antibo giunse ad un soffio dalla vittoria. Antibo è il campione più prestigioso del CUS Palermo, i record nazionali dei 5000 e dei 10000 metri,

13:05.59 / Bologna 18/7/90,

27:16.50 / Helsinki 29/6/89, sono come una torre che non crolla al mutar dei venti. Nella cerimonia del CUS il trionfatore degli Europei del 1990 è stato il più applaudito. Al suo fianco, Ala Zoghlami e Ussem Zoghlami, nati a Tunisi, avviati a Valderice da Enrico Angelo e affidati a Gaspare Polizzi che, magistralmente e gradualmente, ha immesso nell'arengo internazionale i gemelli. Si candidano alla ribalta dei prossimi Europei nei 3000 siepi. Oggi il Polisportivo del CUS Palermo è una gemma preziosa, che, nel confronto con gli impianti sportivi pubblici palermitani, brilla per manutenzione e fervore di attività: campo di atletica, piscina, palestre, campo di tennis e spazi ampi arricchiti dagli alberi, un luogo salubre nella città 'tanticchia' inquinata. In buona sostanza, nel 2018 Palermo è la capitale della Cultura e dell'Arte. Lo Sport è un momento interlocutorio tra la natura e l'arte, in cui il corpo è mezzo di espressione (Leonardo Sciascia). E lo Sport a Palermo langue.

Pino Clemente

SPIRIDON / 5

Sarà l’effetto del periodo, a cavallo di San Silvestro, oppure del fatto che il tempo e lo sport che mi stanno dietro sono ormai fetta più grande di quanto mi stia davanti, ma ecco cosa mi è capitato di ricordare e pensare in questi giorni di fine/inizio anno a proposito (o sproposito, fate voi) di vecchio sport rivisitato. Cassius vs Sonny – E’ storia di oltre mezzo secolo fa, ma ancora non ho capito come il Labbro di Louisville abbia

potuto battere quell’ autentico uomo nero (nel senso di babau) del pugilato e per l’America di allora che era Sonny Liston. La scorza indurita dalle cinghiate del padre e dalla galera – da una vita da galera – e sul ring due martelli per mani al servizio di un allungo poderoso, un jab sinistro da schiantare un toro, difficile trovare nella storia dei massimi un demolitore del suo calibro, anche se l’appellativo di “mauler” era già stato affibiato a Jack Dempsey e quello di “blockbuster” a Rocky Marciano. Solo che fosse stato un poco loquace si sarebbe potuto, lui si, permettere l’infausta battuta di Jersey Joe Walcott prima di affrontare Marciano: “se non batto questo pagliaccio, cancellate il mio nome dal libro d’oro dei massimi” (e come pagliaccio Clay sapeva essere certo più convincente di Marciano). Questo sembrava, anche ai bookmakers che alla vigilia davano Sonny vincente 7-1, poi quello che accadde, il “corridore” Clay che da lì ingranò la sua leggenda con il povero Sonny che sarebbe durato solo pochi anni ancora, resta sempre avvolto nella nebbia. Forse la mafia, l’ FBI e Malcolm X non c’entrano nulla, forse più che il genio di Clay pesò il logorio di un Sonny forse già trentaquattrenne. Forse. Ma Sonny Liston che perde da Cassius Clay ancora non l’ho digerito.

Rocco Francesco Marchegiano, figlio di Pierino e di Pasqualena Picciuto, era nato a Brockton (“the Brockton blockbuster”) nel Massachusetts. Come Joe Di Maggio (“the yankee clipper”) e Leo Nomellini (“Leo the lion”) uomo di linea dei San Francisco 49ers negli anni ‘50 ed Hall of Famer della NFL, che in Italia, a Lucca, ci era pure nato, è uno degli italiani il cui nome non compare nell’elenco delle 100 leggende dello sport curato dal Coni, dove invece si trova la tedesca Josefa Idem che, per matrimonio e lucrata dal medesimo Coni, italiana si è inventata dopo avere gareggiato per diversi anni per la Germania, pur senza vincere nulla di che. Per l’Italia, guidata dal marito-tecnico, ha invece vinto parecchio come canoista, tanto che qui l’abbiamo pure fatta onorevole. Sarà, quelli per il Coni non hanno vinto nulla, ma il genio italico lo si può certo vedere in Rocky, Joe e Leo più che in Josefa. O no ? Tale of two teams – Ovvero aggiornamento della piccola storia a confronto di due squadre perdenti che citai su “Spiridon” poco più di tre anni orsono in occasione del resoconto su di un viaggio negli Stati Uniti sul filo del football. I Jacksonville Jaguars appartengono ancora al medesimo proprietario di nascita pakistana emigrato adolescente e diventato miliardario fornendo componenti per autoveicoli alle majors americane, nel frattempo l’Inter (la mia squadra) ha cambiato proprietà, passando da un conglomerato indonesiano con la faccia di un Thohir ad un conglomerato cinese di cui ignoro la faccia. L’Inter dopo tre anni mediocri sembrava in grado di dire la sua addirittura per lo scudetto, ma dove puoi arrivare se i tuoi punti di forza sono un “animale d’area” che al contrario di Gerd Muller segna soprattutto quando non serve e due ali che sono due egregi meccanici del gioco ma scevri di estro particolare sulle ali ? Sarà già buono un quarto posto. I Jaguars, dopo tre stagioni mediocri a loro volta - l’allora prima scelta nel draft, il quarterback Blake Bortles che non sembrava proprio l’uomo della svolta nel suo ruolo fondamentale per la riuscita di una squadra NFL - hanno invece guadagnato gli imminenti playoff, grazie alla difesa ed all’ultima prima scelta, non un animale d’area ovviamente, ma piuttosto un superman di atleta nel ruolo di running back, tale Leonard Fournette che avevo avuto modo di osservare dal vivo assieme ad altri 90.000 che gremivano la “death valley” ovvero lo stadio della Louisiana State University (LSU) in una partita del 2016. Certo, i Jaguars non vinceranno il prossimo Superbowl ma ora come ora, come interista, chi mi intriga di più tra loro e l’Inter? La risposta resta la stessa di tre anni fa: advantage Jaguars, alla faccia del conglomerato. Mauro Molinari - [email protected]

SPIRIDON / 6

Animula vagula, blandula...

scelti da Frasca La prima tentazione è di dire che c'è stato anche un Gattopardo del Nord. Viveva in luoghi profondamente lombardi, tra Gavirate e Varese. Scrisse migliaia di pagine. Sperò a lungo che gli editori si accorgessero di lui. È morto il 31 luglio dell'anno scorso. Adesso esce un suo romanzo, Roma senza Papa, pubblicato da Adelphi, e se ne resta attoniti, come davanti a un frutto raro e inimmaginabile. Giulio Nascimbeni, Corriere della Sera, 1974, su Guido Morselli (Bologna 1912-Varese 1973, suicida), Adelphi editore, Milano 1974.

Per quanto non vi fossero squadre di atletica alla Leighton Gage, direi che prendevamo lo sport molto più sul serio di quello che in genere fanno gli studenti. Noi ci dedicavamo a diversi sport, non di squadra, ma giochi veloci, rischiosi. Una delle cose più importanti che il denaro può comprare è la velocità. La velocità e una fugace visione della morte. Organizzavamo gare amichevoli di auto sportive e moto, guidavamo dune buggy nel deserto e motoscafi nel laghetto artificiale vicino al campus. Molti degli studenti possedevano un aereo. Bastava fare amicizia con uno di loro per passare i fine settimana in giro per feste a L.A., e durante il volo di ritorno mettere alla prova il proprio desiderio di una poetica e prematura dipartita. La forza matrice di quelle attività era sostanzialmente spirituale. C'erano stati diversi infortuni e disgrazie varie, e a ciascuno noi reagivamo con distacco professionale. E quello il denaro non lo può comprare. O lo si impara, o è

meglio darsi al baseball. Da Americana di Don Delillo (New York 1936), Editore Einaudi, Torino 1971.

Fino a che punto, Catilina, approfitterai della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà una temerarietà che non ha più freni? Non ti hanno turbato il presidio notturno sul Palatino, le ronde che vigilano la città, la paura della gente, l'accorrere di tutti gli onesti, il riunirsi del Senato in questo luogo sorvegliatissimo, l'espressione, il volto dei presenti? Non ti rendi conto che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che sono tutti a conoscenza della tua congiura, che la tengono sotto controllo? O ti illudi che qualcuno di noi ignori cos'hai fatto ieri notte e la notte ancora precedente, dove sei stato, chi hai convocato, che decisioni hai preso? Dalla prima Catilinaria di Marco Tullio Cicerone, 8 novembre 63 a.C.

Colò Zeno da Cutigliano, Colò Zeno figlio di boscaioli e boscaiolo anch'egli, l'alpino della Scuola militare di Aosta, fronte dilatata su un naso potente, l'eterna sigaretta, la stessa dell'intramontabile ciclista di Ponte a Ema, appesa alle labbra come tributo al piacere e insulto alla salute, il più grande discesista della prima metà del ventesimo secolo, fabbro di se stesso nell'autarchica e pure gloriosa tecnica dell'isola abetonese, l'antico atleta il cui semplice contatto mostrava come fosse elementare eliminare i dubbi che dentro corpi non esistessero anime, l'uomo che nelle stagioni finali aveva rifiutato le cure e i respiri del mare per non tradire il suo essere comunque e dovunque entità di montagna, e di quella montagna, l'unica del territorio nazionale capace di opporsi alle ricchezze visionarie e alle mode insolenti e ostentate di Cortina e di Saint Moritz, di Cervinia o di Madonna di Campiglio. Augusto Frasca da Toscanità, editore Giunti, Firenze 2016.

Negli anni trenta, quando Testoni e Valla brillavano, le atlete gareggiavano in tenute di gara molto castigate… Le due campionesse uscivano da un vivaio, quello bolognese, che per lo sport femminile era una vera e propria colonia di avanguardia. Dopo Bologna, toccò alla Venchi Unica torinese diventare, con le sue maglie verdi, il club dominatore nel Paese. Erano reclutate sì le migliori atlete in giro per l'Italia, secondo una campagna poi ripetutasi in tempi diversi fino ad oggi, ma si lavorava anche sul vivaio, sotto la guida di Lino Grigliè. Per anni questi fu il fiduciario nazionale della Fidal per l'atletica femminile, prima di occuparsi del settore maschile, prima con la Gancia e poi con il Fiat, fino al 1958. Flaminio Bergamasco, allenatore prematuramente scomparso, portò avanti questo discorso al femminile nella città piemontese. Grigliè, mutilato di un braccio nella prima guerra mondiale, fu antesignano della promozione atletica modernamente intesa. Svolse un intenso lavoro a favore dell'atletica, dal suo tavolo di capoufficio pubblicità della stessa Venchi Unica. Alfredo Berra, su Tuttosport, dopo il secondo insulto cerebrale del 1973. Insieme con la rivista federale Atletica, e a differenza della Gazzetta dello Sport, quotidiano in cui il giornalista aveva dato il meglio di sé per un decennio, Tuttosport, per iniziativa di Gianni Romeo, ospitò a lungo scritti di Berra per agevolarne al massimo la copertura previdenziale.

SPIRIDON / 7 ex allievo di Don Bosco

Luigi Orione nasce il 23 giugno 1872 a Pontecurone, in provincia di Alessandria. Il papà fa il selciatore di strade, la mamma Carolina presta servizio presso le famiglie o va al lavoro nei campi. Entrambi i genitori sono portinai della villa dell’onorevole Urbano Rattazzi (dal 1858 al 1873); lo statista vi trascorre il periodo estivo e ama conversare spesso con loro confidenzialmente, anche perché conosce bene – con personale soddisfazione e orgoglio – i sentimenti garibaldini di papà Vittorio. Luigi Orione avverte presto la vocazione al sacerdozio, ma per tre anni deve aiutare il padre come garzone. Il 14 settembre 1885 entra nel convento francescano di Voghera con l’idea di farsi frate, ma è costretto a rientrare in famiglia da una broncopolmonite che lo porta alle soglie della morte. Grazie all’interessamento del parroco conosce Don Bosco (4 ottobre 1886) e rimane per tre anni all’Oratorio di Valdocco, completando cinque classi di ginnasio. Respira a fondo l’atmosfera salesiana e con Don Bosco nasce un’intima relazione spirituale. A distanza di molti anni Luigi racconta una confessione con Don Bosco: « Per essere proprio sicuro di non tralasciare niente avevo consultato alcuni formulari che aiutavano a fare l’esame di coscienza; copiai tutto, riempiendo tre

quaderni. Venne il mio turno. Don Bosco mi guardò un istante e, senza che io aprissi bocca, tendendo la mano disse: “Dammi dunque questi tuoi peccati”. Gli allungai il primo quaderno, tirato su accartocciato dal fondo della tasca. Lo prese e senza neppure aprirlo lo lacerò. Gli altri subirono la stessa sorte. “Ed ora – concluse – la confessione è fatta, non pensare mai più a quanto hai scritto e non voltarti più indietro a contemplare il passato” ». Gennaio 1888. L’Oratorio è in ansia: Don Bosco sta malissimo. Luigi dà il proprio nome a don Berto perché nella Messa lo metta con quelli di altri cinque compagni che offrono la vita per il Padre fondatore. All’alba del 31 gennaio Don Bosco muore. Luigi, con altri compagni, ha l’incarico di prendere gli oggetti presentati dai fedeli, accorsi per venerarne la

salma, toccare con essi il corpo di Don Bosco e restituirli. Colto da improvvisa ispirazione corre nel refettorio e si mette ad affettare un filone di pane per farne dei pezzetti, toccare con essi il corpo del santo e distribuirli alla gente. Per la fretta, al primo colpo del coltello si taglia l’indice della mano destra, poiché è mancino. Un angoscioso pensiero lo assale: senza quel dito non potrebbe più diventare sacerdote! Avvolge nel fazzoletto il dito reciso e, sostenendolo con l’altra mano, si precipita verso la poltrona ove è adagiato il corpo esanime di Don Bosco. Con viva fede accosta l’indice sanguinante alla mano di Don Bosco, implorandolo. A quel contatto la ferita mmediatamente si rimargina e, da allora, Luigi dichiarerà sempre: « Questo è il dito di Don Bosco! ». Già avanti negli anni ripete spesso: « Camminerei sui carboni ardenti pur di vedere ancora una volta Don Bosco e dirgli grazie ». Si dedica ai poveri, agli abbandonati, agli infermi e ai rifiuti della società, fondando la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. « I miei Istituti aprono la porta a tutti, non chiedono a nessuno se ha una fede o una religione; chiedono solo se ha un dolore » il suo Credo. Un “prete strano”! La citazione viene da uno scrittore col quale intesse un rapporto di grande fiducia. Scrive Ignazio Silone, in Uscita di sicurezza , sul suo primo incontro con don Orione, a Pescina, il 13 gennaio 1915, subito dopo il terremoto che sconvolge la Marsica: « Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, assistei a una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato, con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio così lungo.

SPIRIDON / 8

In quel mentre, arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti. Ma, come era prevedibile, i carabinieri vi si opposero; e poiché il prete insisteva, ne nacque una colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso sovrano. Affatto intimidito, il prete si fece avanti e, col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po’ di tempo la libera disposizione di una di quelle macchine, in modo da poter trasportare gli orfani a Roma, o almeno alla stazione più prossima. [...] Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire. Assieme ad altri, anch’io osservai, con sorpresa e ammirazione, tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi: “Chi è quell’uomo straordinario?”. Una vecchia, che gli aveva affidato il suo nipotino, mi rispose: “Un certo don Orione, un prete piuttosto strano” ». Giovanni Paolo II è stato il pontefice che ha prima beatificato (26 ottobre 1980) e poi canonizzato (16 maggio 2004) don Luigi Orione. Pierluigi Lazzarini Exallievo e storico di Don Bosco

La mattina del primo gennaio 2018 il tempo non prometteva niente di buono ad Andora marina. Il cielo,

completamente coperto da nubi basse e minacciose, annunciava probabili piogge. Mentre mi facevo la barba, pensavo alla malasorte degli organizzatori del cimento invernale. La giornata di festa della città sarebbe iniziata sulla spiaggia con "A semmu a bagnu", il bagno collettivo fuori stagione che riscosse tanto successo l'anno precedente con la prima edizione. L'evento, che lasciava spazio anche alla goliardia, avrebbe avuto luogo nel tratto tra i bagni Tortuga e il porto turistico. Alla sua conclusione sarebbero stati premiati i partecipanti e i gruppi più originali; assegnati riconoscimenti al tuffo più divertente, un premio speciale alla persona più giovane e a quella Highlander. Inoltre sarebbero stati distribuiti degli omaggi per tutti i temerari nuotatori ed allestito, dopo il bagno, un pasta party. Le iscrizioni avrebbero dovute essere registrate dalle ore dieci e trenta direttamente in spiaggia. A tutti gli ardimentosi sarebbe stata infine consegnata la sacca gadget con i simboli della città. Non sarebbe neppure mancata la musica, grazie ad una coinvolgente e frizzante animazione.

Tutto indubbiamente molto stimolante eccetto, almeno dalle avvisaglie, i capricci del tempo. Quando alle dieci e trenta varcai la soglia di casa mi accorsi del cambiamento: le nuvole opprimenti del

primo mattino erano state spinte dietro le montagne da una brezza gradevole. Verso il mare l'azzurro stava prendendo il sopravvento e il sole, appena sbucato da una gigantesca nuvola bianca, mi abbagliò: un autentico miracolo!

Percorsi a passo veloce i cinquecento metri che mi separavano dal lungomare in poco più di dieci minuti. Arrivai alla spiaggia alle dieci e quarantacinque, in tempo per assistere al cimento che avrebbe avuto luogo alle undici in punto. Purtroppo i posti migliori erano occupati da una vera e propria folla assiepata contro il corrimano della passeggiata. Incontrai un conoscente e cercammo a fatica un varco. Lo trovammo, grazie ad una coppia impegnata a inseguire un maltese che si era liberato dal collare. Devo riconoscere che il vero spettacolo non fu il cimento acquatico che si svolse appena dopo, ma la varietà dei partecipanti e sopratutto il loro abbigliamento. Una ragazza vestita di tulle bianco e scarpette da punta attrasse la mia attenzione. La giovane étoile, invece di fare il suo trionfale ingresso sul palcoscenico, si immerse con decisione, dopo il conto alla rovescia dello speaker, nell'acqua gelida.

Ci furono varie stramberie... Come quella del tipo obeso che affrontò indomito le onde in accappatoio azzurro, oppure l'altra del buontempone in barella abbandonato brutalmente tra i marosi dagli amici sghignazzanti. Bastarono pochi minuti per estinguere del tutto il mio interesse. Diedi un'ultima occhiata alla ballerina classica che avanzava nell'acqua e proposi al conoscente di andare a prenderci un caffè in un bar vicino, al di là dell'Aurelia.

Poco dopo udimmo una sirena lacerante in avvicinamento: era la croce rossa. Vidi due infermieri con barella fendere la folla e prendere di corsa una delle scalinate che portano alla

spiaggia. Mi augurai che la ragazza in tulle bianco e scarpe da punta continuasse a danzare leggiadra tra le onde.

Ermanno Gelati

SPIRIDON / 9

La grande avventura di Tiziana Faragi: da Prizzi a Mosca. Tiziana Faragi è una trentenne in fiore che somiglia all'attrice francese Anouk Aimee. Dalla natia Prizzi, comune fra i più elevati (971 metri sul livello del mare) della Sicilia, a Palermo, nel Corso di Laurea in Scienze Motorie. Insegnavamo Metodologia dell'Allenamento, Tiziana non perdeva una sillaba delle lezioni, prendeva fitti appunti, stilava le relazioni richieste e con agilità e destrezza eseguiva la pratica. Chiese e ottenne la Tesi: valutazioni delle capacità motorie di un gruppo di allievi dell’I.T.I.S. Alessandro Volta di Palermo ad indirizzo polisportivo – analisi comparata con un gruppo di allievi dello stesso Istituto ad indirizzo industriale.Relatori: il Prof. P. Clemente e il Prof. V. Leonardi - Anno Accademico 2008–2009.Discussa brillantemente, la tesi dimostrò che la differenza fra i gruppi era minima. Ingegnandosi in lavori poco remunerati, Tiziana Faragi riuscì a superare con buona votazione la Laurea Magistrale con la tesi "La pista di pattinaggio su ghiaccio sintetico", progetto il business planning della pista, relatore Salvatore Ciancimino. Come tanti laureati, nel 2017 Tiziana era senza lavoro. A lei il racconto. <<Era un caldo pomeriggio d'estate, e a Prizzi cercavo un alito di fresco nell'altalena sotto l'albero di gelsi. Cercavo anche annunci di lavoro. Ed ecco: "Cercasi docente in possesso di Laurea Magistrale in Scienze Motorie. Copio il link della email e prima di inviare il curriculum passano tre giorni, lo avevo rimosso. Ma nello stesso pomeriggio ricevo una e-mail di risposta da parte della Preside, Liliana Padoan, veneta, che mi gela: il posto era già stato assegnato a un collega. Dopo circa dieci minuti, nuova telefonata: "Ho analizzato attentamente il curriculum, ho notato il diploma abilitante. La richiamerò per un esamino". Dopo aver risposto a tutte le sue domande, vengo promossa, e mi viene subito offerto l’incarico. Ancora ignara della sede, chiedo dove si trovi la scuola. La risposta mi lascia “ghiacciata”: la scuola si trova a Mosca. Non ho mai inviato curriculum al Nord, per evitare incarichi distanti, e cosa mi capita? Un incarico a Mosca! Chiedo una settimana per pensarci... Ero molto combattuta ma nello stesso tempo entusiasta... finalmente, ho pensato, potrò insegnare! La proposta fattami includeva anche l’attività motoria come attività extra scolastica. Ho lavorato per 7 anni presso Scuole dell’infanzia paritarie, sottopagata, mi sono accontentata perché amo il mio lavoro e vedere i bambini che seguivano con partecipazione e curiosità la lezione per me era la risposta che mi gratificava: al mio arrivo i loro occhi brillavano e per me era una gioia lavorare con e per loro. 'Bedda matri', un viaggio di 3967,7 km, dai 4800 compaesani e dai 671 mila di Palermo, ai 12 milioni 380 mila 684 moscoviti. Dopo una settimana di riflessione, parlandone infamiglia e soprattutto con il mio Nino Paternostro, chef che viaggia, prendo la decisione e accetto l'incarico. Inizia così la corsa contro il tempo... passaporto, visto, biglietto aereo, alloggio. La voglia era talmente tanta che non mi preoccupava nulla. Arrivo a Mosca il 2 settembre e ad oggi sono soloorgogliosa di me stessa.Ed ecco il mio rapporto con gli scolari della Italo Calvino. Sono maestra della 1 e della 2 classe (6-7 anni), insegno a bambini russofoni, italofoni e bilingue. Mi sono messa in gioco e ne è valsa la pena. Ho cambiato lingua, cultura, clima, Paese, ma la mia voglia di insegnare è rimasta la stessa, anzi, ogni giorno aumenta sempre di più. Un grazie alla mia Preside, perché è stata lei ad incoraggiarmi, e poi al mio ragazzo ed alla mia famiglia... per loro non è stato facile, ma vedendomi felice anche loro lo sono. Per il mio compleanno i bambini della classe prima mi hanno accolta con la canzoncina 'tanti auguri' in italiano, in russo e in inglese, ed è stato molto emozionante, perché ho capito di non essere da sola. Una maestra che, come nei tempi andati, gestisce da sola il gruppo classe. Nella Prima insegno matematica, scienze, geografia e tecnologia. Nella Seconda, italiano, storia, arte. Per tutti, esercizi di coordinazione motoria, di corretta postura e marcia e corsa: non li lascio seduti a lungo!>>. Una stupenda avventura. Un mondo di bene alla maestra, alla preside e agli scolari della Italo Calvino: che il futuro sia rampante, come nel titolo di un romanzo dello scrittore italiano. ( P. C.)

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ACSI Atletica Sport Toscana: il 2018 inizia all’insegna

di tecnologia e grandi risultati Un inizio anno decisamente positivo quello della

compagine montelupina impegnata per l’Epifania ad Ancona al primo appuntamento del meeting nazionale indoor. Il capitano della squadra bianco blu Daniele Sardi corre i quattrocento metri juniores in 59”35 migliorando il suo primato personale di 1”30 e avvalorando il trend di avvicinamento ai “minimi” italiani con cui ha concluso il 2017. Sara Toccafondi, per le allieve, conferma le buone impressioni date in allenamento stampando uno straordinario 3’00”86 nei mille metri che le valgono il “mimino” con un personale abbassato in pochi mesi di più di 20” e stacca il biglietto per i campionati italiani del 10 febbraio.

“Non sono stupito di questi risultati,” commenta così Massimiliano Bartolommei presidente di Acsi Atletica Sport Toscana “l’ultimo anno ci ha visto partecipi ai raduni nazionali organizzati da Acsi Atletica Gallura e Acsi Italia Atletica dove i nostri atleti si sono potuti cimentare ed allenare con alcuni dei migliori tecnici di tutta Italia in luoghi, come la Mariscuola di La Maddalena e l’Aeronautica di Roma, dove anche la disciplina allo Sport ha un valore. Sono state due esperienze che ci hanno motivato molto soprattutto sul nostro orientamento tecnico: sempre più alla ricerca di una preparazione approfondita e condivisa dell’atleta anziché incentrato nella mera prestazione giovanile spesso non confermata nella crescita. Inoltre non va dimenticato” conclude Bartolommei “ i grandi sforzi economici che l’Associazione, da sempre volontariamente senza sponsor, ha sostenuto per potenziare lo Scarpellini di Fibbiana, per adeguare le dotazioni del Castellani di Montelupo e per l’acquisto di tecnologie a disposizione di tutti i Soci ”

Il sodalizio montelupino infatti, in collaborazione con la medicina dello sport del Dr. Ezio Giunti, ha intrapreso con l’inizio della nuova stagione un approfondimento tecnologico importante dotando i tecnici, sotto la direzione di una confermatissima Ilaria Marras, di strumenti innovativi già utilizzati tra gli altri dalla squadra olimpica statunitense e dalla Fifa. Si tratta, nello specifico, di dispositivi professionali per la rilevazione del movimento durante le attività, che attraverso software specifici consentono di monitorare in tempo reale la crescita, la funzionalità articolare, la forza muscolare e tanti altri valori dell’atleta. Valutazioni oggettive che consentono di prevenire infortuni, adeguare programmi personalizzati, rilevare problemi posturali o di simmetria e tanto altro.

Prossimo appuntamento bianco blu con le gare allo Zatopek di Campi Bisenzio per i lanciatori, mezzofondisti e settore giovanile mentre ad Ancona Sardi e Toccafondi tenteranno di regalare ai tifosi Acsi altre emozioni tricolori.

J. Parigi

Otello, il bianco di Venezia Nuovo parto alla maternità degli imbecilli, gestita come sapete dalla Chiesa degli Apostoli del politicamente corretto. A Firenze andrà in scena il 7 gennaio la Carmen di Bizet, dove la protagonista alla fine non morirà, resisterà ai colpi omicidi di don Josè e lo ucciderà, salvandosi. Il regista Leo Muscato intende così mandare un messaggio contro il femminicidio. Perfetto. Don José può morire, Carmen no: era legittima difesa. In attesa di una protesta dei garantisti contro l’eccesso doloso in legittima difesa che costringa il regista a salvare entrambi gli interpreti, mi chiedo se sia politicamente corretto attribuire a una zingara il mestiere losco di contrabbandiera e l’inclinazione alla poligamia. Non si offendono del cliché, i gitani? Se questo è l’andazzo revisionista delle opere teatrali, cantate e no, ci sarà presto un regista che farà diventare bianco Otello, per non criminalizzare i neri, e Desdemona lo stenderà con una mossa di karate consegnandolo alla polizia: tutti contenti. Anche il finale degli Spettri di Ibsen sarà cambiato. Nel dramma originale la madre dà la morfina al figlio impazzito per farlo morire dolcemente. Nella revisione gli farà firmare l’accettazione del suicidio assistito e lo porterà a morire in Svizzera, poi sarà processata e assolta. E così via. Anche il titolo dell’opera verdiana “I lombardi alla prima crociata” verrà cambiato, per non offendere i maomettani, in “I lombardi alla prima crociera”. Attendo la versione politicamente corretta delle sacre scritture. La Boldrini sta già pensando alla nuova Trinità: Madre, Figlia e Spirita santa. (Da [email protected])

In questo “bel paese là dove 'l sì suona”, non basta l’abilitazione magistrale per insegnare nelle scuole primarie ma è sufficiente essere Miss Italia per diventare ministro dell’Istruzione ….

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l’atletica e la storia

dell’ arrivo e al cronometrista, è diventato sinonimo di vittoria acciuffata all’ultimo istante o di successo conquistato di misura, avviene quasi certamente fra il 1906 e il 1908 ed entra subito di prepotenza nel linguaggio comune di tutti i giorni.L’uso sportivo di questo manufatto di derivazione animale (lana di pecora), entra con tutti i diritti nell’immaginifico popolare, alla pari della leggenda della mitica Arianna che con un gomitolo di lana, aiutò Teseo e gli Argonauti ad uscire dal labirinto del Minotauro. La foto della vittoria nei 100 metri di Archie Hahn ai Giochi Intermedi di Atene del 1906, ci mostra infatti una linea di arrivo ancora non caratterizzata dalla presenza del filo di lana, che incontrò invece il petto del sudafricano Reginald Walker, vittorioso nella stessa gara ai Giochi di Londra del 1908.Anche i torsi vittoriosi di Ralph Craig (Stoccolma, 1912), Charles Paddock (Anversa, 1920) e Percy Williams (Amsterdam, 1928), trovarono sul loro cammino il filo di lana da infrangere quasi a suggello del loro successo. Il filo di lana teso dal petto vigoroso del piccolo Tolan, e l’aiuto della Kirby Camera, ci hanno dato la sensazione netta della vittoria dell’americano sul connazionale Ralph Metcalfe, al termine della finale dei 100 metri dei Giochi di Los Angeles del 1932, documentando un successo che neppure il cronometraggio automatico (10.38 per entrambi) era riuscito a determinare con sicurezza. Non ebbe problemi invece Jess Owens che nel tagliare il traguardo di Berlino ’36, infranse con le braccia il filo teso fra i paletti dell’arrivo, quasi in senso di sfida, con la stessa rabbia con la quale spezzarono (nel vero senso della parola) il filo di lana i nostri due marciatori campioni olimpici Pino Dordoni e Abdon Pamich. Sul filo di lana, specie nelle gare riservate al gentil sesso, si sono sprecati aneddoti e citazioni, come quello che coinvolse la nostra Ondina (Trebisonda) Valla dopo la vittoriosa finale di Berlino ’36 nella gara degli 80 metri ostacoli. Ascoltate cosa accadde.Degli 8 successi conquistati dall'Italia a Berlino, il più sorprendente arrivò dall'atletica leggera con Ondina Valla, prima tra le atlete italiane a vincere una medaglia d'oro olimpica. La nostra specialista superò facilmente le batterie qualificandosi per le semifinali, nel corso delle quali sbalordì anche se stessa eguagliando il record del mondo in 11"6. La finale fu incertissima: cinque atlete si contesero sino a dieci metri dal traguardo la vittoria, finché Ondina Valla, con uno scatto, riuscì a vincere superando di pochi centimetri la tedesca Steuer e la canadese Taylor. Si disse che il filo di lana fu tagliato per primo dal seno dell'italiana, che rispose, sorridendo: "Non è vero, perché non l'ho mai avuto abbondante e pertanto non ebbi alcun vantaggio dalla misura del mio seno". Il filo di lana venne malinconicamente raggomitolato, e messo in soffitta quando al suo posto furono chiamate due algide cellule fotoelettriche, che implacabilmente facevano, prima imprimere su pellicola, e poi trasmettere al computer, il momento topico nel quale l’atleta infrangeva il raggio che esse si scambiavano dai due lati opposti della pista. Ma all’atleta mancò, almeno nei primi tempi, quel punto di riferimento visibile a indicare il traguardo e quella sensazione piacevole di contatto che, almeno per il primo classificato, dava la certezza della vittoria. Vittoria che non veniva assegnata se, per un motivo qualsiasi (anche prima del traguardo), il filo non veniva spezzato. Gustavo Pallicca da F.B.

VERSO UNA REALTA’ CHE NON TRAMONTA FIGURE DI ARTIGLIERI TESTIMONI AUTENTICI DEL VANGELO

L’amico Giordano Pochintesta, medico di fama e brillante scrittore ci ha fatto un nuovo regalo , un volume affascinante quanto insolito: la storia di tutti quegli artiglieri italiani che dall’Unità d’Italia ad oggi sono saliti alla gloria degli altari. Partendo dalle Guerre di Indipendenza, sotto il titolo “DALLA CARRIERA MILITARE AL SACERDOZIO”, vengono presentate le figure di tre capitani di artiglieria cominciando dal Beato Francesco FAA’ di BRUNO , che seppe coniugare scienza e fede, il cui programma fu “pregare, agire, soffrire”. E’ stato nominato dalla Chiesa Patrono del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito Italiano; il Venerabile Felice PRINETTI , uomo ardimentoso che seppe risalire controcorrente la vita di questo mondo: armato di sola umiltà e carità, annunciò senza sconto tutta la verità su Gesù; il Servo di Dio Carlo AMIRANTE , che dopo avere aperto la “ Breccia di Porta Pia ”, dedicherà la vita alle opere caritative e si prodigherà contro le ingiustizie: “Una mitezza sconvolgente e una grande pazienza furono le sue armi di ordinanza”. Sotto il capitolo “LA RIVINCITA DELLA STORIA”, viene presentata la figura

del Beato Padre Giovanni FAUSTI , “ragazzo del 99”, caporale d’Artiglieria durante il la grande guerra. Entrato successivamente nella Compagnia di Gesù e inviato in Albania, in questo paese subirà il martirio sotto il regime comunista di Enver Hoxha. Giordano Pochintesta: Verso Una Realtà Che Non Tramonta Figure Di Artiglieri - EUR 10,00 – Può essere comprato consultando su internet : ilgattoblu33

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Andrea Cavicchi, presidente del Centro di Firenze per la Moda, il sindaco Dario Nardella, l’assessore regionale alle attività produttive Stefano Ciuoffo e il ptresidente della Camera di Commercio di Firenze Leonardo Bassilichi hanno fatto gli onori di casa, sottolineando una volta di più il ruolo di Pitti e quello di Firenze nel contesto della moda italiana, mentre il presidente di Pitti Immagine Claudio Marenzi e il ministro Calenda si sono soffermati sui numeri. “C’è stata una crescita fuori e dentro l’Unione Europea – ha detto Marenzi ancora un po’ calato nei panni di (quasi ex) presidente di Sistema Moda Italia – con numeri positivi da Germania, Cina e Corea, mentre Stati Uniti e Giappone restano ancora in una fase negativa. Continua la crescita del digitale ed in questo senso c’è da dire che Pitti è stato il primo salone a dotarsi di una sua versione virtuale e può essere preso d’esempio da tutti gli altri saloni della moda. L’Italia si conferma l’unico Paese che ha una filiera intera e questo di differenzia da tutti gli altri protagonisti della moda mondiale”. Poi il passaggio della parola a Calenda: “Con lui – ha concluso Marenzi – ho vissuto quattro anni di collaborazione senza precedenti negli altri governi precedenti. E’ stata data dignità al settore tessile, è stata implementata molto l’internazionalizzazione e il piano Industria 4.0 ci ha permesso di investire nelle nostre aziende e di avere una direzione da seguire”.

All’inaugurazione di Pitti Uomo, avvenuta in una sede inedita, non sono decisamente mancati gli applausi: per il ministro Carlo Calenda soprattutto e come al solito, ma anche per l’apertura della nuova sede della Camera di

Commercio di Firenze, per una volta sede dell’overture del salone. Con indosso le sciarpe del museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti i protagonisti dell’inaugurazione, anticipata di un’ora rispetto al programma per poter garantire la presenza di Calenda, atteso nel pomeriggio in Israele, hanno presentato il salone. All’inaugurazione di Pitti Uomo non sono decisamente mancati gli applausi: per il ministro Carlo Calenda soprattutto e come al solito, ma anche per l’apertura della nuova sede della Camera di Commercio di Firenze, per una volta sede dell’overture del salone. Con indosso le sciarpe del museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti i protagonisti dell’inaugurazione, anticipata di un’ora

rispetto al programma per poter garantire la presenza di Calenda, atteso nel pomeriggio in Israele, hanno presentato il salone.

Il panciotto è d'obbligo. Così come il cappello in stile borsalino. Il colore del vestito non deve essere scuro e a tinta unita. L'azzurro acceso va per la maggiore. E poi il sigaro (non un toscano possibilmente). Il look che va per la maggiore a questa edizione di Pitti Uomo è quello che ricalca l'abbigliamento dei gangster anni Venti ma con un tocca di eccentricità. Sono in diversi ad aver scopeto quanto sia appagante vestirsi ogni giorno nel modo che lì per lì può sembrare anche stravagante ma che in realtà è espressione di libertò parsonale. Anche se non tutti siamo in grado di capirlo. In ogni caso questo inedito filone che ha visto il ritorno del copricapo maschile nello stile clasico, il Borsalino per l’appunto, e del tesuto “casentino”. In ogni caso va constatato che Pitti Uomo di questa edizione sta confermando anche attraverso la notevole affuenza di pubblico, una ripresa generalizzata della nostra industria manifatturiera. Trend che speriamo di vedere confermato da Pitti Filato di fine mese e delle fiere di Milano di questo fine settimana.

L’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, e’ stato condannato nel processo d’appello per la vicenda degli scontrini a due anni di reclusione. In primo grado era stato assolto. E’ accusato di peculato e falso. Non si preoccupi non dovrebbe aver problemi in Cassazione


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