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Numero 60 Sotto il pavé S W - La Brigata Lolli · Si rischierebbe di riportare mezzo libretto. Ma...

Date post: 30-Nov-2018
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H o sentito un bel disco. Uno di quelli antichi. Durava 42', proprio come un vecchio lp. Facciata A e facciata B, qualche pezzo un po' più debole, qualcuno mosso, qualcuno lento. Una bella alternanza. Un disco praticamente perfetto: grandi autori francesi, ottimamente tradotti, e mai traditi. Una bella interpretazio- ne e un accompagnamento con qualche vuoto, ma anche con molti pieni. Insomma, qualcosa di bello. Alessio Lega non tradisce. Peccato che ... questa selezione sia quella che mi sono fatto io! All'album di Alessio vanno aggiunti altri 24'28" e che al termine di questi i conti tornino un po' meno, Opera agro-dolce, quindi, che costringe a miscelare il sapore della bouillabaisse con quello della ratatouille, boccone dopo bocco- ne; la bourride che si mischia al fricandeau. Vini bianchi e rossi a sorsi alterni. Alessio Lega ha voluto proporci una sorta di antologia del meglio della canzone francese, partendo da brani inediti in italiano. Il compito è riuscito. L'antologia è esaustiva. Adesso ne sappiamo molto di più sulla canzone d'autore francese. Ma tutto il disco di fila non riusciamo ad ascol- tarlo quasi mai. Poteva semplicemente essere un capolavoro: hanno voluto fare di più. E non sempre la tappa superiore al capolavoro continua a esserlo. La sensazione è che la materia, così tanto amata, abbia preso la mano ad Alessio e gli strumenti ai Mokacyclope, fin dalla coper- tina del disco erti a co-protagonisti del lavoro e quindi delle scelte. Scelte su cui qualche dubbio è lecito nutrire: non è detto che un autore di testi (il Lega in questo caso) e degli autori di musiche (i Moka, per gli arrangia- menti) riescano a lavorare assieme senza sacrificare ognuno qualcosa. Ma visto che i Moka non hanno messo becco nei testi (penso), anche il margine di intervento di Alessio nelle musiche potrebbe essere stato risicato. L'impressione è che al disco sia mancato un buon produttore. Uno di quelli che abbia coraggio e for- bici pronte per dire "qui si taglia, qui si tronca, qui si lascia andare la musica e si resta un po' zitti ad ascoltarla". Paradossalmente (e poi coi difetti abbiamo finito) è un disco che ha sia troppa musi- ca che troppe parole. E' un disco bulimico e iper- trofico:può ucciderti di piacere, ma gozzovigliare può portare alla noia. Undici canzoni sono imper- dibili, un paio insopportabili e cinque stanno nel mezzo, con variazioni di gradevolezza. Certo che quando sento Amori marinai (di Brassens e Paul Fort) vado in sollucchero, che Con eleganza (Jacques Brel con Gerard Jouannest) mi dà brividi di piacere. Che Naturale (ancora di Brassens) è di enorme godimento naturale e Né dio nè stato (di Leo Ferré) è sempre stata e continua a essere una pietra miliare. Ma il gusto dell'intelligenza è tutto da sorseggiare anche in brani come Le cose schifose hanno un gran bel nome (di Allain Leprest e Romain Didier) o in Tolleranza zero (di Renaud Sechan), che che appartengo- no alla nouvelle vague della canzone d'arte francese. Il lavoro di Alessio sulle traduzioni poi è da sta- tua equestre al Pincio! "E i sorrisi, i "tu pure ora" / il lasciarsi, il ritornare / ci son, come miniature / negli amore d'alto mare" (Amori L L L e e e B B B i i i E E E L L L L L L E E E N N N E E E W W W S S S Numero 60 12 febbraio 2006 Quindicinale poco puntuale di notizie, recensioni, deliri e quant’altro passa per www.bielle.org le bielle novità Sul sito due nuove interviste: Daniele Sepe e i SEMIsuite. Ma chi sono costoro? Sem- plice, sono la continua- zione del progetto SULUTUMANa dopo l’uscita dalla formazio- ne di Michele Bosisio. Un’intervista “fonda- mentale”, perchè è prima rilasciata dal gruppo. Inoltre un nuovo format più interattivo per gli articoli e... le bielle recensioni Sotto L'agrodolce del pendolo, l'imperdibile irritante di Giorgio Maimone il pavé la spiaggia
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Page 1: Numero 60 Sotto il pavé S W - La Brigata Lolli · Si rischierebbe di riportare mezzo libretto. Ma Lega non ha solo tradotto bene: spesso ha inventato, attualizzato, cambiato, agito

Ho sentito un bel disco. Uno di quelli antichi.Durava 42', proprio come un vecchio lp.Facciata A e facciata B, qualche pezzo un po'più debole, qualcuno mosso, qualcuno lento.Una bella alternanza. Un disco praticamenteperfetto: grandi autori francesi, ottimamentetradotti, e mai traditi. Una bella interpretazio-ne e un accompagnamento con qualche vuoto,ma anche con molti pieni. Insomma, qualcosadi bello. Alessio Lega non tradisce. Peccatoche ... questa selezione sia quella che mi sonofatto io! All'album di Alessio vanno aggiuntialtri 24'28" e che al termine di questi i contitornino un po' meno,Opera agro-dolce, quindi, che costringe amiscelare il sapore della bouillabaisse conquello della ratatouille, boccone dopo bocco-ne; la bourride che si mischia al fricandeau.Vini bianchi e rossi a sorsi alterni. AlessioLega ha voluto proporci una sorta di antologiadel meglio della canzone francese, partendoda brani inediti in italiano. Il compito è riuscito.L'antologia è esaustiva. Adesso ne sappiamomolto di più sulla canzone d'autore francese.Ma tutto il disco di fila non riusciamo ad ascol-tarlo quasi mai.

Poteva semplicemente essere un capolavoro:hanno voluto fare di più. E non sempre latappa superiore al capolavoro continua aesserlo. La sensazione è che la materia, cosìtanto amata, abbia preso la mano ad Alessioe gli strumenti ai Mokacyclope, fin dalla coper-tina del disco erti a co-protagonisti del lavoroe quindi delle scelte. Scelte su cui qualchedubbio è lecito nutrire: non è detto che unautore di testi (il Lega in questo caso) e degliautori di musiche (i Moka, per gli arrangia-

menti) riescano a lavorare assieme senzasacrificare ognuno qualcosa. Ma visto che iMoka non hanno messo becco nei testi(penso), anche il margine di intervento diAlessio nelle musiche potrebbe essere statorisicato.

L'impressione è che al disco sia mancato un buonproduttore. Uno di quelli che abbia coraggio e for-bici pronte per dire "qui si taglia, qui si tronca, quisi lascia andare la musica e si resta un po' zitti adascoltarla". Paradossalmente (e poi coi difettiabbiamo finito) è un disco che ha sia troppa musi-ca che troppe parole. E' un disco bulimico e iper-trofico:può ucciderti di piacere, ma gozzovigliarepuò portare alla noia. Undici canzoni sono imper-dibili, un paio insopportabili e cinque stanno nelmezzo, con variazioni di gradevolezza.

Certo che quando sento Amori marinai (diBrassens e Paul Fort) vado in sollucchero, cheCon eleganza (Jacques Brel con GerardJouannest) mi dà brividi di piacere. CheNaturale (ancora di Brassens) è di enormegodimento naturale e Né dio nè stato (di LeoFerré) è sempre stata e continua a essereuna pietra miliare. Ma il gusto dell'intelligenzaè tutto da sorseggiare anche in brani come Lecose schifose hanno un gran bel nome (diAllain Leprest e Romain Didier) o in Tolleranzazero (di Renaud Sechan), che che appartengo-no alla nouvelle vague della canzone d'artefrancese.

Il lavoro di Alessio sulle traduzioni poi è da sta-tua equestre al Pincio! "E i sorrisi, i "tu pureora" / il lasciarsi, il ritornare / ci son, comeminiature / negli amore d'alto mare" (Amori

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Numero 6012 febbraio 2006

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le bielle novitàSul sito due nuoveinterviste: Daniele Sepee i SEMIsuite. Ma chisono costoro? Sem-plice, sono la continua-zione del progettoSULUTUMANa dopol’uscita dalla formazio-ne di Michele Bosisio.Un’intervista “fonda-mentale”, perchè èprima rilasciata dalgruppo.Inoltre un nuovo formatpiù interattivo per gliarticoli e...

le biellerecensioni

Sotto

L'agrodolce del pendolo, l'imperdibile irritantedi Giorgio Maimone

il pavéla spiaggia

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marinai). "Forse passammo da una serra / mac'era odor di tulipani / quando la gonna caddea terra / sotto la fretta delle mani" (La stranie-ra). Oppure la magnifica (e deandreiana, nelsenso che De André si ispirava anche a Brel)"La birra" con una frase come questa: "C'ètanto orizzonte da perderci il senno / Ma Diosi è ubriacato e il diavolo è in scranno / lagente del nord tracanna perché / si fabbrica ilsole con quello che c'è". O anche la "modiglia-navo sul tuo tocco" o "In un disordine di letto"con cui inizia "Sulle punte" ( di Leprest).

Si rischierebbe di riportare mezzo libretto. MaLega non ha solo tradotto bene: spesso hainventato, attualizzato, cambiato, agito sultesto nel completo rispetto delle intenzioni. Lostesso rispetto che è in parte mancato quandosi è trattato di affrontare gli arrangiamenti e le

musiche. Va bene mettere le minigonne allecanzoni, ma non lasciarle in mutande! In fin deiconti sono vecchie signore e gli aggiornamentili gradiscono sì, ma non come l'inserto hen-drixiano di chitarra che commenta La meda-glia o il lungo finale philipglassiano di Tangofunebre (che peraltro non è un tango, contra-riamente all'originale). Bianco e nero, dolce eagro. C'è di tutto e c'è di più qua dentro. Nonperdetelo. Dischi così, anche nei contrasti, sene fanno pochi.

Alessio LegaSotto il pavé la spiaggiaNota cd - 2006Nei negozi di dischi

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Era già ben visibile, assaporabile e godibile in“Resistenza e amore” l’attaccamento di AlessioLega per la cultura d’oltralpe. Con naturalezzaprosegue il suo cammino, ma stavolta si tratta diun’esclusiva dichiarazione d’amore. Esclusiva eintensa, accorta, apologetica.

Un’operazione suicida per chi volesse sfondarenel mercato: tradurre e adattare in italiano glichansonniers francesi. Cosa vuoi che glieneimporti alla gente di Brel o Brassens, chiede loscellerato produttore di major. Ma non fa niente,intanto perché cosa vuoi che gliene freghi adAlessio Lega di sfondare nel mercato – e cheinfatti mi dice: “Io vivo (in senso spirituale!) di que-sto”. E poi è meglio fare dischi con un’etichettapiccola, anche perché molto spesso le operazionisuicide nell’immediato sono quelle che si impri-mono nella memoria e non esauriscono mai illoro valore artistico. E “Sotto il pavé della spiag-gia”, mano sul fuoco, è una di quelle.

Oltre che autore, quindi, divulgatore. Un lavo-ro lodevole già in partenza per l’intenzione,che sopperisce alle lacune linguistiche di chi –come il sottoscritto – non può apprezzare ilrepertorio originale per via della precariaconoscenza della lingua francese. Senza con-tare che si tratta di canzoni mai adattate initaliano. Intenzione che, però, non pretende unintento “didattico”, rifuggendo dall’idearischiosa di voler proporre un’antologia rap-presentativa. Invece Lega prende una mappa-

ta di canzoni che ama. E si sente. Perché l’a-more con cui canta, nel suo modo d’intonareevocativo che ricorda vagamente Vecchioni,entra automaticamente nel petto di chi ascol-ta. Che non può fare altro che ricambiare.Per essere precisi, prende diciassette braniper cinque autori. Tre sono i mostri sacri: Brel(quattro canzoni), Brassens (tre), Ferré (quat-tro). Due sono gli autori della generazionesuccessiva: Allain Leprest (tre canzoni) eRenaud Séchan (tre).

Ed è bene specificare ancora. Abbiamo detto“divulgatore”, ma chiariamo che si tratta diuna definizione che ha anche valenza artistica.Perché la traduzione non è un gioco da ragaz-zi e qui non si corrono rischi: “Sotto il pavédella spiaggia” ha un suono italiano, che com-bacia con la melodia sia per metro che pereffetto acustico, non si tratta di una scopiaz-zatura da una lingua all’altra. Anzi, talvolta latrasposizione non è solo di lingua, ma anche disenso: per questo, dopo il verso de “La meda-glia” di Renaud, “l’amor di patria, quest’ideaschifosa su cui cago di cuore”, può partire l’in-no di Mameli; oppure in “Chissà” di Leprest, ilpersonaggio di De André prende il posto delpersonaggio di Brel, oppure Anna Magnanisostituisce Colette.

Un'operazionesuicida

di puro amore

di Antonio Piccolo

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niA proposito delle due canzoni citate, non pos-siamo far altro che ringraziare Lega per lascoperta di Leprest e Rénaud. Perché, se èbello ascoltare i tre mostri sacri - per cui rin-noviamo l’amore di “La straniera” di Ferré e“La scimmia” di Brel -, è pur vero che la lorosacralità è conosciuta e riconosciuta (grazie agente come Duilio Del Prete, De André,Herbert Pagani e altri ancora, tutti devota-mente ringraziati nei “Crediti in forma di(p)rosa”). Invece, è bello farsi venire la curio-sità di approfondire queste due “novità”, dopoaver ascoltato “Quando si va dove?” diRenaud, affascinante dissertazione scetticasul mondo della scuola con versi come “sedavvero le elezioni cambiassero la vita /sarebbe il voto, vecchio mio, la cosa più probi-ta”; oppure la scanzonata e irriverente “Lecose schifose hanno un gran bel nome” diLeprest.

Cinque autori che si incasellano perfettamen-te nello spirito di questo disco, che è nelsegno dell’anarchia, dell’antifascismo, dell’an-ti-nazionalismo, del pacifismo. Insomma, in un

segno splendido, di cui “Né dio né stato” diLeo Ferré è la perfetta canzone di chiusura.Preceduta dall’unico inedito, tutto strumenta-le, “Il disordine è uguale all’ordine meno ilpotere”, composto da alcuni elementi deiMokaCyclope, che suonano egregiamente,con arrangiamenti moderni, senza ecceziona-le inventiva, ma per nulla invadenti – e questaci pare la virtù più auspicabile in un’operazio-ne simile.

Il segno dell’anarchia è dichiarato anche nellabomba “A” disegnata sul cd da LorenzoSartori, che ha curato tutte le umanissimeillustrazioni di un elegante e simpatico book-let. Che ha un difetto, l’unico del disco, cheperò va bonariamente segnalato: il cd è inca-strato nel cartoncino, e tirarlo fuori senzaspaccare tutto è un casino.

Alessio LegaSotto il pavé la spiaggiaNota cd - 2006Nei negozi di dischi

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Sul palco "Sul palco" era canzone già nota, anche prima deldisco e fondamentalmente non si può dire cheabbia neinte che non vada. Se non una certapesantezza di fondo. Un po' dettata dal tema, unpo' dall'interpretazione che spinge un po' troppo ilpedale sull'espressionimo. Sconta un po' la sualunghezza (4'50"). Bella. Ma faticosa.La frase: "Sul palco c'è la paura che si muove a scat-ti"/ Sul palco c'è la voce che mi viene dalle onde / .../ Sul palco c'è Bene che ti recita il male"

La stranieraMolto meglio dell'originale. Centrata, con un bell'inci-so corale. Uno degli esempi meglio riusciti di collabo-razione tra traduzione e arrangiamento. L'ascoltoscorre facile per i 3'59" del brano e si segue conattenzione la storia di uno che prese "senza dolore/la mano di una di passaggio / che aveva gli occhi dioltremare / che aveva sguardo da naufragio".

Amori marinai Forse proprio per contrasto l'atmosfera di Amorimarinai sembra un'oasi. Salvo errore, comparel'unica chitarra dell'intero disco e la batteria sce-glie la strada di percussioni d'acqua dal piacevolesciabordio. E' uno dei pezzi che vale un disco.Tutto quadra: parole, musica, senso, immagine.Cinque Gargoyle!La frase: "Resta in camera un odore / di amore stan-co e di sudato / mette un po' d'animo in cuore /mette un affanno nel fiato."

La birraDeandreiano. Ma Brel. E stava prima di De André.Ovviamente nell'originale era un trionfo di fisarmoni-ca, qui il ritmo tira come un treno e la batteria, poten-do finalmente eseguire un tempo da marcetta, pic-chia che è un piacere. Alcolica.La frase: "la gente del nord tracanna perché/ si fab-brica il sole con quello che c'è".

I Gargoyle di Alessio Legadi Giorgio Maimone

“Sotto il pavé la spiaggia" che richiama nel titolo un vecchio slogan del maggio '68 francese (e unvecchio film tedesco del 1975 "Sotto il selciato c'è la spiaggia" di Helma Sanders-Brahms) è un'anto-logia della canzone francese. Mai come in questo caso sono le canzoni che fanno il disco, che man-tiene una sua unitarietà di tema, ma non di argomenti. In questo corpo unico di versi poetici abbiamoprovato a giocare il consueto gioco delle preferenze e per esprimere le nostre valutazioni abbiamodeciso di utilizzare uno dei "topos" letterari frances: i Gargoyle di Notre Dame. Quindi 5 Gargoyle è ilmassimo del giudizio e un solo Gargoyle il minimo. Ribadiamo, come sempre, e qui ancora di più per-ché i brani francesi sono pre-esistenti, che sono giudizi del tutto personali che non inficiano in alcunmodo il lavoro di Alessio Lega (tantomeno di Brasses, Brel, Ferré, Renaud e Leprest) né le preferen-ze di chiunque altro. Per illustrare le canzoni non si poteva fare a meno di riprendere i meravigliosidisegni di Lorenzo Sartori che corredano in maniera esemplare il libretto.

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La medaglia Il pezzo di Renaud è molto lento e intimo, conaccompagnamento appena accennato. Lega e iMokaciclope scelgono invece la caciara. E la can-zone ne viene sconfitta. Già ricca di un bel testosarcastico, subisce il contraccolpo del troppopieno accoppiandosi a una musica che già in par-tenza sceglie la strada dell'ironia. Effetto parados-so: l'ironia viene cancellata. Resta rumore e losfregio di una Fratelli d'Italia eseguita alla StarSpangled Banner di Jimi Hendrix a Woodstock.Obiettivo mancato.

La frase: "All'ombra della statua due amanti sibaciano teneramente / ed il marmo iracondovibra indignato, ma non può farci niente /Generali assassini quanto odio portate a ogniforma d'amore!".

Sulle punteCanzone fragile, fatte di poche cose. Forse trop-po poche. Un bel testo. Molto malinconia, un po'di amor perduto, qualche geniale trovata testua-le. Ma la spina dorsale resta fragile. Come dice iltesto? Un po' incompiuta. Ecco.

La frase: "In maglia bionda sul balcone / la lunaha esploso il suo pallone / curvata come foseincinta / ti ho lasciato un po' incompiuta / sullapunta della matita / sulla punta".

Le cose schifose hanno un gran bel nome

Bel titolo e trattamento pop-rock dell'arrangia-mento adeguato, perché già nasce così nella ver-sione di Allain Leprest. Molto simile alla versionefrancese e altrettanto piacevole. Stimola lo spun-to del titolo e la maestria del Lega nel trovarenella trasposizione in italiano altrettante cose"schifose" che abbiano un bel nome. La migliore?Certamente: "Silvio" avvicinato con intenzione a"camorrista".

La frase: "Cimice, migale, morso, formichiere /colica, analcolica, divieto-di-bere / costola, apo-stolo, imbalsamazione / le cose schifose hannoun gran bel nome"

Tango funebreMah. Questa proprio non la capisco. Si prende untango. Lo si trasforma in qualcosa d'altro permotivi non del tutto chiari (forse solo che non sivuole usare l'odiata fisarmonica?) e la si continuaa chiamare Tango? Ma perché? Ripeto, mi sfug-ge. L'originale vince a mani basse.Incomprensibile.(Ps: l'immagine non è di Sartori)

La frase: "Convinti che è indecente /la morte diun cantante / e il prezzo dei fiori"

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Con eleganza

Perfetta. Non cè niente da aggiungere.Atmosfera, parole, senso, traduzione. Senza unasola pecca. Certo che si partiva da un originale dialtissimo livello, ma il cesello del Lega sulle rime èdegno degli esercizi di stile di Raymond Queneau.Applausi.

La frase: "Se entra in un bar, se per errore /s'accorge d'essere il più anziano / urla che tioffrirà da bere / in un silenzio disumano / sgra-nocchia le banalità / del repertorio d'impotenza/ lo sa di esser disperato / però con eleganza".

Quando si va dove?

Un brano di Renaud in cui fa la sua bizzarra com-parsa un solitario sassofono. Che si accompagnaa un ben bizzarro titolo. Questo però è simile all'o-riginale. La canzone originale di Renaud vienevelocizzata e mutata. Forse troppo. Il risultato èdiscontinuo.

La frase: "Siamo oche all'ingrasso di stupidematerie / fatte per farci scordare cose ben piùserie".

Filistei

Brevissima. Una breve piccola gemma di appena1'32". Solo voce e basso. E un testo vincente. Laversione originale viene presa e scarnificata, finoal nocciolo delle parole. A dimostrazione che laverbosità in canzone paga poche volte.Essenziale.

La frase: "Ma punendo / i vostri sforzi / la natu-ra affari scarsi / vi rende: / dei bambini / nonvoluti / che diventeran barbuti. / Poeti."

La scimmia

Questa non mi piace per niente. Non cerco nem-meno di spiegarmelo. Non mi piace neanche inoriginale e non mi interessa quello che dice.Nemmeno perché lo ha detto Brel. Anche DeAndré ha cantato "Verdi pascoli"!

La frase: "Però poi sono usciti a colpi di bastone/ con la ragion di stato che ha ucciso la ragione".

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Chissà

Canzone che sfugge. La cerchi e non la trovi. E'inutilmente pop (laddove l'originale manco peridea: è un tango!), elettrica e incazzosa per espri-mere concetti di assoluta tranquillità.Scetticismo distaccato e non rabbia è quello chesuggerisce il testo. Perché contraddire l'intenzio-ne? Ma l'attenzione all'intenzione non rientravanell'ideazione della produzione. Evidentemente.Scivolosa.

La frase: "Chissà se poi è Gesù quello che hannobeccato / mentre stava rubando in un super-mercato / non lo sapremo mai, povere fogliemorte / per un dio di successo / milioni fan dacorte".

Tolleranza zero

Ecco invece un rock che ci sta. Da un brano diRenaud. Tolleranza zero, testo aggressivo e musi-ca pure. Renaud è acustico, ma la trasposizioneha una sua logica, anche se poteva essere gioca-ta con meno "gemetrica potenza" e più ecletti-smo.

La frase: "Dice un impiegato, buon padre di fami-glia / e se fosse tuo figlio sdraiato sul selciato /se ad essere sparata ci fosse lì tua figlia"

Naturale

Naturale è il brano che preferisco. Clima da lentafavola, andamento vagamente da musica popola-re (un genere in cui il Lega dovrebbe avere piùfiducia, anche perché la sua voce in quest'ambitoè perfetta). La dolcezza della musica raccontauna storia diversa da quella delle parole e ilmelange è di ottima fattura. Dulcamara.

La frase: "No, niente la fermerà / né la voce chele dice / che quando lei rientrerà / non ci saràluce / e lui sarà già morto di / morte natuale".

Grano d’anarchia

E' la canzone più breve del cd. Solo 1'09". Solotesto e la genialità di Leo Ferré. Come è possibileche non piaccia? Lega fa di più. Toglie del tutto lamusica e spezza le parole per fare coincidere lepause. Effetto: attenzione alle stelle. Anarchica.

La frase: "Frutto veleno= / so nacqui per via /del vento e di un gra= / nello di anarchia"

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Il disordine è uguale all'ordine meno il potere

Non so neanche se ho qualcosa contro questacanzone o meno. Trovo solo poco meno che scor-retto che 3'12" di puro rumorismo vengano inflit-ti a un ascoltatore dopo oltre un'ora di musica"tosta". Tutto qui. Io la salto.

Né dio nè stato

Bella, indiscutibilmente bella. Una delle poche giàconsciute. Tutto funziona. Peccato metterla incoda, dopo oltre un'ora di musica e 18 brano diun'antologia.

La frase: "Quel braccio detto della morte / chevive in seno alle prigioni / sbarrato a tutte le illu-sioni / col boia che bussa alla porta"

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Alessio Lega ed io abitiamo nella stessa città.Non solo, ma per motivi vari ci vediamo moltospesso. Nonostante questo non c'è stata voltain cui abbiamo provato a fare un'intervista dalvivo che non ci sia stata qualche diavoleria tecni-ca a impedircelo: registratori che si spaccavano,altri che uscivano di produzione e non trovavi piùle ricariche, registratori che fingevano di registra-re, i-Pod fallaci e menzogneri che dicevano esi-stesse un file che in realtà era solo nella loroimmaginazione e così via. Ci manca solo l'afonia diuno dei due per completare il cursus dei possibiliorrori. Quindi, tutte le volte, ripieghiamo sull'inter-vista via mail. Più comoda, ma meno immediata.Anche questa volta è andata così. Non stupiteviquindi se a domanda e risposta non segue con-tradditorio. Seguirà a voce. Su Alessio Lega, hogià detto più volte, penso tutto il bene possibile. E'uno dei migliori che abbiamo e penso che faràottime cose, oltre a quelle che già ha fatto. Nonsono del tutto d'accordo (e lui lo sa) sugli arran-giamenti che i Mokaciclope fanno sulle sue canzo-ni. E questo è motivo di dibattito. Quello che legge-rete tra poco qua sotto.

Giorgio: Centocinquantavolte ho iniziato questaintervista e non l’ho mai finita. E ne abbiamo par-lato già 847 volte, più un’intervista a voce che ilregistratore si è “mangiato”. Vediamo se ce lafaccio ora.Le perplessità da parte mia le conosci benissimo.Ale: Ebbene si… so che questo disco t’ha creato

un caso di coscienza (si fa per dire!). Da unaparte la nostra amicizia e la reale ammirazioneper i brani e i loro autori (e un po’ anche per il miolavoro di traduzione), dall’altra l’esito musicaleche in generale non t’è piaciuto… Proprio però l’a-micizia e la stima reciproca ci danno l’occasione- più unica che rara - di fare una discussione, met-tendo da parte le suscettibilità, fra punti di vistaopposti, e forse anche di scendere a fondo inquelle che sono state le idee guida di questodisco.

La produzione

Giorgio: Spieghiamo come prima cosa il proget-to. Per “giustificare” la lunghezza eccessiva(quasi 70 minuti) mi hai detto che la tua intenzio-ne era un po’ quella di comporre un’antologia.Ale: Io credo che i cd (tecnicamente intesi comedischetti d’alluminio) siano un contenitore senz’a-nima, dunque nel pensare un disco mi richiamoalla durata aurea del vecchio vinile: 45 minuti. Daquesta mini-regola si deroga per i live e le antolo-gie. Questo disco, fra molte cose, ambisce a voleressere precisamente un’antologia di due genera-zioni di autori francofoni: i grandi classiciBrassens/Brel/Ferré (Brel era però un po’ piùgiovane degli altri due) e i moderniRenaud/Leprest… ritengo che il minimo sindaca-

"Una storiaconcentrica, unsuggerimento"

di Giorgio Maimone

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le per potersi avvicinare alla scrittura di un auto-re siano 3 canzoni… ecco che già di partenzac’era una scaletta di 15 pezzi… senza almenoquesti quindici avremmo dovuto far dei torti adautori cui vogliamo troppo bene!

Giorgio: E’ un disco in cui mi sembra che manchila produzione…Ale: C’è stata sicuramente una produzione –diciamo - di assemblaggio e ri-scrittura dei mate-riali originali che è mia, poi una produzione dellari-scrittura musicale (che mi pare sia la parte sucui hai più da ridire) che è collettiva dei musicisti,e poi ancora una produzione dei suoni che è diMax Trisotto, che ha anche prodotto gli arrangia-menti… cioè ha trasformato delle intuizioni musi-cali in una realizzazione precisa. Dato a Cesarequal che è di Cesare (23 pugnalate!), questo è undisco autoprodotto… con tutti i pregi e i limiti: direche manchi la produzione è come dire che in unademocrazia manca un dittatore!

La scaletta

Giorgio: Devo dire che è unalbum che mi fa un effettoagro-dolce. Sento un belbrano, mi rilasso. Me lo godofino in fondo e …. TAC … micade sulla testa “La scimmia!”.In alcuni attimi sfiori il sublime,poi sembra quasi che ne haipudore e lo rifiuti. Un discocontrastato. Mi fa quasi pen-sare che diviso in due facciate(A e B, come nei vecchi vinili) eseparando i brani rock daquelli lenti si potrebbe goderedi un ascolto più armonico.Farò la prova.Ale: Tornando alla definizionedi questo disco come antolo-gia, pare del tutto evidente chela scaletta è solo un suggeri-mento. Però non un suggeri-mento casuale! Avremmopotuto mettere le canzoni inordine cronologico o per auto-re, abbiamo invece cercato disuggerire una storia concen-trica, una struttura a chiasmo.- Sul palco fa da introduzione, èla sigla in cui appaiono i nomi,o piuttosto i pensieri, di quelliche sono lì a suonare.- Arriva poi un blocco emotivo,il romanzo della formazione,l’educazione sentimentale(Amori marinai, La straniera,La birra… tre storie da tavernao da… pub sui navigli!)- Per continuare questa edu-cazione si passa a una visionedella politica, anche un po’

infantile se vuoi (La medaglia esprime un dissen-so quasi punk attraverso un immaginario scatolo-gico: la merda, il piscio, il vomito) o ancora piùgiornalistica che vissuta (Le cose schifose).- La vita e l’amore diventano una cosa quotidiana(Sulle punte); così il mestiere di vivere e poi lamorte fanno capolino in due canzoni contrappo-ste e perciò accostate (Tango funebre/Con ele-ganza): la prima è la morte vista da un vivo contutte le sue passioni e violenze, la seconda è lavita vista da uno che si sente già morto. Ma lamorte non è la fine di nulla, è un passaggio, per-ciò l’abbiamo messa al centro del disco.- Si ricomincia da una nascita, anzi da un concepi-mento (Filistei). In questa seconda parte tutti itemi della prima ritornano, non più come paradig-mi ma come narrazioni, la realtà prende il postodella favoletta. La scuola e la cultura civile(Quando si va dove e La scimmia), l’impossibilitàdi crescere rispettando il proprio talento natura-le (Chissà).

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- Naturale è la grande canzone di resistenza eamore. - Infine la resistenza alla morte civile: Tolleranzazero/Grano d’anarchia/Né dio né stato, tre can-zoni su tre diverse forme di pena di morte.L’ultima è la più rivendicativa, la più propositiva.Nasce dal magma confuso dell’improvvisazionestrumentale e finisce con un monito che è politi-co ed esistenziale, che rifonda una religione del-l’uomo libero. Abbiamo aperto con la visione interiore dell’arti-sta, abbiamo seguito la sua evoluzione sentimen-tale e politica, il suo scontro con la cultura e conla vita. Alla fine il nostro eroe è diventato unuomo, appunto né dio né stato.

Giorgio: “La scimmia” e “Chissà” messe di fila pie-gherebbero la buona volontà dei santi. Non pensiche sarebbe stato meglio allontanarli nella scalet-ta?Ale: La scimmia è una canzone quasiRouseauviana, che prende per culo l’evoluzioni-smo, dicendo che forse quand’eravamo scimmie,con un po’ meno scartoffie, armi e religioni, ce lapassavamo meglio; Chissà parla dell’impossibilitànella nostra società di esprimere i propri talentinaturali (chissà se poi è De André/l’ubriaco chefischietta)… mi paiono due variazioni dello stessotema, perciò sono accostate.

Giorgio: … e non è comprensibile che dopo un’o-ra e qualche minuto di musica “tesa” e non super-ficiale si arrivi a un solo di musica stile Pink Floydincomprensibile e fuori luogo. Né brutto, né bello.Non è questa la questione di quel pezzo. Ma lì nondoveva starci.Ale: Quel pezzo si trova fra due brani di Ferré, unominuscolo che ho cantato a cappella Grano d’a-narchia, l’altro un inno della maturità Né dio néstato. Léo ha conosciuto tre fasi della sua carriera il

primo in cui scriveva velenose canzoni ancoratealla tradizione e il cui potenziale era dissimulatosotto l’apparenza leggera (cui appartiene il primobrano), un secondo, quello delle sue canzoni piùnote (Avec le temps, Les anarchistes e, appunto,Ni dieu ni maitre), e un terzo in cui s’è svincolatodalla forma canzone per creare dei recitativi supoemi sinfonici con echi Beethoveniani eRavelliani. Le due prime fasi erano ben rappre-sentate da quei due pezzi che trattano dello stes-so argomento. Alla terza fase è molto difficile ren-dere omaggio, noi ci abbiamo provato attraversoil principio dell’improvvisazione che è, quasi dida-scalicamente, la forma più libertaria possibile: unsorta di caos ordinato da cui far emergere ilbrano più esplicitamente anarchico, l’ossessivitàdel bolero (Ravel, per l’appunto) trasfigurata nel-l’ossessività della psichedelia.

La traduzione

Giorgio: Ci sono delle cose geniali, soprattutto alivello di traduzione come: “C’è Bene (Carmelo)che ti recita il male”, “il Chiapas che aspetta la pri-mavera” “Sul palco c’è Sting che mi guarda e poiride” che senz’altro non c’erano negli originali(buona parte dei quali sono stati scritti 40 anni fae oltre). Hai operato in modo libero, ma in uncerto senso fedele sui testi. Fedele alle intenzioni.Insomma “tradotte, ma non tradite”.Ale: Nell’atto della traduzione ci sono due inten-zioni diverse con cui fare i conti: l’intenzione del-l’autore e l’intenzione del testo. Queste due inten-zioni man mano che ci si allontana nel tempo enello spazio differiscono sempre più. Per fare unesempio banale: se negli Stati Uniti faccio riferi-mento a uno sport particolarmente popolaredico baseball, se lo faccio in Italia dico calcio. Io credo che – cercando di evitare la forzatura eil grottesco – bisogna aderire più all’intenzionedell’autore che a quella del testo…

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per farlo però è necessario conoscere l’autore,studiarne la biografie, le idee, le passioni. Io holetto qualche pagina in merito a Léo Ferré e com-pagnia, per cui quando, per venire al tuo esempio,in Sur la scene (Sul palco) lui fa riferimento algrande attore francese Charles Dullin (su cui hofatto delle ricerche, perché quando ho sentito laprima volta la canzone proprio non sapevo chifosse). Io cerco d’interpretare cosa rappresenta-va quell’attore per Léo e la sua generazione. Lascelta di metterci Carmelo Bene è ovviamentepersonale e dettata dall’ammirazione incondizio-nata che porto al mio grande conterraneo.Più in generale la traduzione della canzone è unatto d’amore e come tale prevede un rapportocon l’originale di continuo scambio: si viene invasie violentati da un autore, dalla sua vita, dalle sueossessioni, dal suo linguaggio, e poi a propriavolta ci si scambia i ruoli. C’è qualcosa di sessua-le, fondo e incontrollabile. È una discesa in ungrembo comune, una risalita del fiume alla ricer-ca della medesima ispirazione.Talvolta i brani sono delle favole paradigmatiche e latraduzione allora è fedelissima (Amori marinai, Lastraniera, Sulle punte), talvolta sono delle narrazioniuniversali ma con un’ambientazione precisa, e cosìpersonaggi e svolgimento restano uguali, ma cam-bia la scenografia (Tolleranza zero, La medaglia), tal-volta sono canzoni in cui è importante mantenere l’i-dea di base, la struttura, ma proprio per questo ènecessario re-inventarsi totalmente lo svolgimento(Sul palco, Chissà, Le cose schifose).

La tradizione

Giorgio: Sarebbe stato più interessante, più cheinnestare brutalmente il rock sul solco della tradi-zione francese, fare uno studio musicale che, purrestano nell’ambito della canzone francese, pren-dessero spunto dalle tendenze più creative dellemusica francese d’oggi (certo rap, ibridazioni

maghrebine, Pascal Comelade, Arthur H.). A me resta la percezione dello “stupro” culturalein certi momenti. Ripeto, al di là del fatto se lacanzone sia poi venuta bene o meno. Sembra unuso improprio del bagaglio culturale di un popolo.O meglio, una voluta trascuranza. Che a livello ditesto non ti sei e non ti saresti mai permesso.Con una vera nota dolente: la batteria! E’ stereo-tipata. Praticamente assente nella canzone fran-cese classica è qui costretta a eseguire marcet-te. Perché c’è poco scampo, il tempo delle canzo-ni francesi spesso è un tempo in tre, tempo di val-zer. La batteria c’entra come i cavoli a merenda.Ale: cercherò di fare un discorso più generale sullapercezione della canzone francese (non ti sarà sfug-gito che io la chiamo sempre “francofona”). La canzo-ne francese non esiste! Dei tre mostri sacri Ferréera del principato di Monaco e aveva studiato aBordighera, a Parigi per cantare c’era arrivato pres-socchè trentenne, Brel era Belga e manco vallone,bensì fiammingo! Brassens era un francese del sudcon la mamma napoletana… pensa quali ninna nannecantava Elvira Dragosa al piccolo Georges! In Italiainvece i primi cantautori erano non solo genovesi, madello stesso quartiere, la Foce! Giustificato dunque ilnostro provincialismo, ma non inventiamoci per glialtri tradizioni inesistenti. La canzone moderna nascein Francia con Charles Trenet che era un jazzofiloaccanito. Il primo a fare chanson a texte con la chitar-ra è Felix Leclerc che era un uomo dei boschi cana-dese… Insomma per allargarci, la grandezza della cul-tura francese è proprio nel non avere un tratto nazio-nale, nel nascere già ibrida, come le avanguardie del‘900 che nascono quasi tutte a Parigi ma da artististranieri (Modigliani, Picasso, Apollinaire, Tzara,Brancusi, ecc…). Per venire alla notazione tecnica:nessuno dei brani fatti da noi era caratterizzato da untempo in tre! I più valzerosi sono quelli di Renaud, masolo perché derivano dalla folk ballad americana. Gliarrangiamenti originali erano chiari tentativi di faredel pop, così come lo si faceva all’epoca.

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Unica eccezione Brassens, che si accompagnavasolo con la chitarra e il contrabbasso (e infatti perlui abbiamo in un caso tolto anche la chitarra efatto un pezzo solo voce/basso)… ma, occhio alleapparenze, in realtà Brassens compone nella stra-grande maggioranza delle marcette swing, il suoriferimento ritmico era Django Reinhardt (non acaso l’unico musicista originale del jazz europeo! E,ancora una volta, un francese… gitano!).

Giorgio: Le canzoni meglio venute sono quelleche meno cercano di uscire dal solco della tradi-zione, come “Amori marinai”, “Con eleganza”, laprima parte di “Naturale”. Non credi che paroletanto belle meritassero più attenzione e menodistrazione? E poi perché scegliere, dovendo pro-prio trasgredire, atmosfere da cabaret Brecht-weilliani? Espressionismo sonoro, solismi allaHendrix. Tutte tracce fuori da qualsiasi contestoculturale, vicinanza per contrasto?Ale: A proposito di Hendrix lo sai che, poche set-timane prima che morisse, Ferré lo aveva con-tattato per incidere un disco assieme? Renaudha registrato i suoi dischi più noti con la produ-zione di Phil Palmer (un’icona del pop anni ’80).Ripeto, siamo noi italiani ad avere una visione unpo’ stereotipata della chanson… Gainsbourg,uno dei grandi assenti di ‘sto disco, era nato nel’28 (per intenderci, lo stesso anno di Modugno)e ha inciso i suoi ultimi dischi con i musicisti diMicheal Jackson. Oggi c’è un suo “allievo” inte-ressantissimo, Alain Bashung, che fa alcunedelle cose più estreme nel campo della speri-mentazione sonora che la canzone occidentaleabbia mai conosciuto.

Giorgio: Io sento lo stacco tra l’interpretazione,ovviamente vicina ai classici, e la musica checerca di allontanarsi, ma la provocazione non rie-sce. C’è una crasi, uno scollamento, sembranodue canzoni diverse. E’ il caso tipico di “Naturale”.

Ale: L’andatura carillonante di quel pezzo è unadichiarata citazione di Sundey morning dei Velvetunderground, anche lì la voce di Nico è una voce dasciantosa, un modo di cantare tradizionale sovrap-posto a una struttura che incrocia Satie alla musi-ca undergdround del ‘66. L’originale Bonhomme(Naturale) è un capolavoro di dolore trattenuto.Una tempesta esteriore (la bufera) e una interiore(la morte naturale del compagno) non fanno deflet-tere di un atomo la vecchina che, in tutto questodisastro, procede inarrestabilmente al suo scopo,forse inutile: raccogliere legna per scaldare unmorto. Per cosa? Per rispetto della vita, perché lavita stessa è una storia di resistenza contro lamorte. È una canzone che a me fa piangere dipena e d’orgoglio già solo a pensarci. Congelarlacon quel glockenspiel, sospeso fra Dario Argento ebabbo natale, era l’unico modo in cui avrei potutocantarla senza singhiozzare.Giorgio: Altri pezzi risultano ben amalgamati come“La birra” di Brel, ma in generale si sente una pre-dominanza del parlato sul musicale come quantitàche, a livello di volume sonoro si inverte. La musicaschiaccia la voce. Problemi di mixaggio?Ale: Se c’è un lavoro dove il missaggio è stato diun‘attenzione sacrale per la voce è proprio que-sto. A meno di non far sparire del tutto la partemusicale!

L’interpretazione vocale

Giorgio: Ma possibile che un disco recitato e can-tato benissimo inizia con due errori di dizione(“amOOOre” e “canzOOOne”) proprio nel primobrano, possibile che non vi siate un po’ corretti avicenda? E’ vero che uno non può sentire se stes-so, ma gli altri sì.Ale: Rocco me l’aveva detto…ovviamente la colpaè mia… e sei tu fin troppo buono a notare soloquei due errori. Io personalmente ho sempre tro-vato veniale il peccato della dizione nel canto, anzi

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ti dirò che sentire Guccini (o Dalla) senza la loromarcata – a volte grottescamente marcata -pronuncia emiliana, per cui tanto viene preso perculo, mi toglierebbe qualcosa… ma certo è unvezzo e chiedo pertanto venia!

Giorgio: Più in generale i Mokacyplope hannoquesta tendenza alla musica automatica ripetiti-va, un riff e via per l’eternità. Espressionismo eavanguardismo che si toccano. Non credi, è unaprovocazione ma ci sta, che i Moka non siano allatua altezza? Tu scrivi canzoni molto belle, chereggono anche alla prova distruttiva di chitarra evoce. I Moka non fanno che rafforzare le intenzio-ni che già esprimi tu.Ale: Ovviamente questa è una tua valutazione… ese per un canto è anche molto elogiativa nei mieiconfronti, dall’altro mi è impossibile risponderti.L’interpretazione musicale (Alessio VS Moka)

Giorgio: I Mokacyclope prendono troppo spaziorispetto ad Alessio Lega…O, come sembra, èstato un lungo e faticoso compromesso tra duecomponenti diverse che non si sono sempreamalgamate?Ale (cantando): Bien sur nous eumes des orages Vingt ans d’amour, c’est l’amour fol!(Certo ne abbiamo avuto di tempeste/vent’annid’amore è amore-follia)La chanson des vieux amants di Jacques Brel

Giorgio: E poi non è la trasgressione, ma l’esage-razione. “La straniera” pur essendo di Ferré,risente bene del trattamento aggressivo. Il clan-gore futurista di altri pezzi invece risulta fuoriluogo.Ale: Dai… clangore futurista ce n’è ben poco, direiche è un disco pop con qualche spruzzatina rocke progressive, tutt’al più.

Giorgio: Esempio di unione non riuscita “La meda-glia” era già sufficientemente ironico il pezzo pernon aver bisogno di una musica ironica (diosanto, ricorda Popcorn!) di sottofondo. Si rischial’effetto paradosso di capovolgere l’intenzione.Sarcasmo parolaio, più sarcasmo musicale ugua-le noia. Non doppia attenzione.Ale: Quello è uno degli arrangiamenti nato live eche facciamo da un bel po’… Beh, l’abbiamo fatto a Mantova il due giugno del2005 (giorno della parata delle forze armate!), esiamo gli unici a non essere mai stati pagati! In unblog – sempre in riferimento a quell’esibizione -un tizio ha scritto che ero un pirla che non meri-tavo rispetto perché non ne davo ai soldati.Quest’anno abbiamo fatto La medaglia a Faenzain teatro, in uno spettacolo sponsorizzato dalcomune, e c’è stato un consigliere di AN che hafatto un esposto (chiedi un po’ al poveroSangiorgi!)… tu dici che il problema del pezzo èche stimola poco l’attenzione… e se per caso lacatturasse? Ci avrebbero già sparato?

Giorgio: Sull’altro versante “Le cose schifosehanno un gran bel nome” funziona. E non so dirtiesattamente perché. Forse perché la musicaresta più defilata e accompagna, pur con forzadecisa e imponendosi all’attenzione.Ale: In realtà l’arrangiamento di quel pezzo èforse quello che più s’avvicina al dato della scrit-tura originale: appena più lento, ma l’originale eraun pezzo che giocava con i moduli della disco-music anni ’80, il nostro con quella anni ’90…senza saperlo ti piace perché aderisce all’origina-le come un guanto! Ti confermi un purista!

Giorgio: Un altro caso che calza a pennello è“Sulle punte”, pezzo alquanto lugubre e non deipiù allegri, a cui è abbinata una marcetta funera-

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lesca. Siamo a posto! Chiunque arrivato al pezzonumero sette del tuo disco schiaccia fastforward.Ale: La mia percezione di quel pezzo non è poicosì triste. Cosa racconta? Per metterla sul bru-tale: è notte, un uomo colto da un attacco d’inson-nia (o di desiderio?) cerca di svegliare la suadonna titillandole i capezzoli (modiglianavo sul tuotocco/e dato un ultimo ritocco), lei continua adormire, allora lui guarda la luna, la corteggia unpo’ (in maglia bionda sul balcone/la luna haesploso il suo pallone/curvata quasi fosse incin-ta). Alla fine la luna resta lì e lui decide di tornaredalla sua donna (alla tua bocca chedischiudi/sono tornato a piedi nudi)… ben duestorie d’amore che vanno bene in una sola canzo-ne… direi che per il genere è una media straordi-naria!

Giorgio: Forse l’ideale sarebbe stato poterfare un disco doppio. Ma la carenza dei mezzinon consente questi exploit da “ricchi”. C’èqualcosa che ti è dispiaciuto sacrificare elasciare fuori? E c’è qualcosa, che, ripensando-ci ora, non avresti inserito?Ale: Doppio addirittura? A parte che c’è sempretempo per farne un altro, vi sono moltissime can-

zoni lasciate da parte perchè non abbiamo trova-to un arrangiamento che ci convincesse, comepure ci sono alcuni pezzi (Le scimmie o Le coseschifose) che ho tradotto appositamente perchéritenevo che dessero ottimi spunti al gruppo. Poiti dico subito che c’è un ulteriore progetto impa-rentato a questo: c’è l’intenzione di raccogliere imiei articoli sulla canzone (francofona, ma nonsolo) in un libro, a tale libro dovrebbe essere alle-gato un CD con molti brani tradotti da molti auto-ri fra quelli presenti nel libro. Tali brani sarannosuonati solo chitarra e contrabbasso, per pre-sentare, della mia ricerca sulla canzone d’autore,una visione interiorizzata che si situa agli antipodidel Pavé. Il Pavé nasceva per essere un doppio, ilmio editore sarebbe stato disponibilissimo, ma iMariposa (di cui i Moka sono per certi versi unacostola) venivano dall’esperienza di Proffity nowche avevano ottimi motivi per non ripetere. Hopreferito allora convogliare tutte le mie energienella concezione del libretto del pavé, di cui un po’mi dispiace che tu non parli, perché secondo meè una delle componenti fondamentali di questodisco…

Intervista rilasciata via mail il 20 gennaio 2007

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