+ All Categories
Home > Documents > NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla...

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla...

Date post: 17-Mar-2021
Category:
Upload: others
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
64
ISSN 1828-4582 6 5 N UOVA S ECONDARIA R ICERCA febbraio 2017 DOSSIER Competenze pedagogiche e competenze didattiche nell’insegnare A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO La coppia, il doppio e il terzo escluso. La difficile convivenza tra Pedagogia e Didattica pp. 3-12 RICCARDO PAGANO Praxis didattica come pedagogia pp. 12-25 MARIA TERESA MOSCATO Teoria dell’educazione e formazione della professionalità docente pp. 25-30 HERVÉ A. CAVALLERA Professionalità docente e pedagogia generale. Un rapporto che non c’è pp. 30-38 EMANUELA TOFFANO MARTINI Uno sguardo pedagogico sui diritti umani/diritti dei bambini pp. 39-46 LAURA CLARIZIA Lo specifico pedagogico nella professionalità docente pp. 46-49 GRZEGORZ KARWATZ Aspetti pedagogici e competenze sociali nell’insegnare fisica pp. 50-57 GIOVANNI UGO CAVALLERA La formazione nella forma: il design pp. 58-62
Transcript
Page 1: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

ISSN 1828-4582

65

NUOVA SECONDARIA RICERCA

febbraio

2017

DOSSIER Competenze pedagogiche e competenze didattiche nell’insegnare A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione

pp. 1-2

ELIO DAMIANO La coppia, il doppio e il terzo escluso. La difficile convivenza tra Pedagogia e Didattica

pp. 3-12

RICCARDO PAGANO Praxis didattica come pedagogia

pp. 12-25

MARIA TERESA MOSCATO Teoria dell’educazione e formazione della professionalità docente

pp. 25-30

HERVÉ A. CAVALLERA Professionalità docente e pedagogia generale. Un rapporto che non c’è

pp. 30-38

EMANUELA TOFFANO MARTINI Uno sguardo pedagogico sui diritti umani/diritti dei bambini

pp. 39-46

LAURA CLARIZIA Lo specifico pedagogico nella professionalità docente

pp. 46-49

GRZEGORZ KARWATZ Aspetti pedagogici e competenze sociali nell’insegnare fisica

pp. 50-57

GIOVANNI UGO CAVALLERA La formazione nella forma: il design

pp. 58-62

Page 2: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

DOSSIER NSRICERCA 6/17

Competenze pedagogiche e competenze didattiche

nell’insegnare

A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova)

Con i contributi di: Elio Damiano, Riccardo Pagano, Maria Teresa Moscato, Hervé A. Cavallera, Emanuela Toffano Martini,

Laura Clarizia, Grzegorz Karwatz, Giovanni Ugo Cavallera

Page 3: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

1

Introduzione di Carla Xodo È possibile distinguere le competenze pedagogiche dalle competenze didattiche? E se sì, come ? Questi gli interrogativi sotto traccia contenuti nel titolo di questo dossier che raccoglie contributi di pedagogisti generalisti e di didattici. Questioni oziose? No di certo. Esse rappresentano, invece, il punto di approdo inevitabile di una riflessione pedagogica che decidesse di prendere di petto la funzione della scuola oggi, in un mondo che appare assai lontano dalle rappresentazioni rassicuranti che esso suscitava nelle generazioni che ci hanno preceduto. Quella che sopravvive è, infatti, ancora un’idea di scuola come istituzione importante della modernità, che aveva di fronte a sé un problema politico: integrare una massa eterogenea nel tessuto connettivo degli stati nazionali. L’istituzione della scuola pubblica, in ogni paese europeo è stato l’atto politico più significativo, che ha dato visibilità al fatto nuovo della comune appartenenza ad una comunità politica. Questa idea, che fino a qualche tempo fa era ancora in grado di accendere violente discussioni tra i difensori della scuola di Stato contrari a concessioni governative alle scuole private, oggi la sentiamo in parte superata. Molto diversa è, infatti, la situazione socio-politica attuale. Oggi ci viene chiesto di lasciarci alle spalle l’originaria tensione unitaria, per proiettarci in una dimensione globale. Dobbiamo imparare a convivere con la diversità: culture, fedi, abitudini, stili di vita diversi. E poiché la logica prevalente che spinge i soggetti ad interagire muovendo da posizioni eterogenee è quella economica, la scuola sembra deporre lo scettro della cittadinanza diventando sempre più sensibile alla richieste del mercato. Non la realtà politica sempre, peraltro più sfuggente, bensì quella economico-lavorativa è diventata la nostra preoccupazione più importante. Il cambiamento di prospettiva segna inevitabilmente anche i nostri atteggiamenti e stili educativi che hanno smarrito lo slancio visionario, mirando ad un funzionalismo tecnico ed efficientista, dove la fanno da padrone più le competenze didattico-strumentali che quelle pedagogico-ideali. Ecco il punto. Il lavoro pedagogico si trova ad un bivio: da una parte, l’esigenza di fidelizzare le proprie opzioni su basi antropologiche garantisce un solido legame con un passato da cui trae la sua ispirazione; dall’altra, il tempo del nostro tempo, si passi il bisticcio, mostra una crescente insofferenza per il dejà vu preso com’è ad inseguire il cambiamento dalle aspettative messianiche. L’ insegnante “metodologo” o “tecnologo”, anche presso il largo pubblico, esercita un fascino molto più immediato, istintivo anche se forse non necessariamente duraturo, rispetto alla tradizionale e rassicurante figura dell’educatore che viva intensamente ogni momento della vita scolastica come occasione di crescita, formazione, relazione umana in senso formativo. Ma siamo proprio sicuri che le cose debbano essere considerate in questo modo? Siamo sicuri che al posto di un et et si debba temere un aut aut, l’idea cioè di un’ alternativa tra competenze pedagogiche e competenze didattiche? Ci sono molti segnali che autorizzano a intravedere questa prospettiva. Premesso che nel nostro Paese stiamo ancora discutendo su come debba essere formato un insegnante, come attestano le diverse ipotesi esperite dopo Gentile, dapprima con le SISS , le Scuole di Specializzazione per Insegnanti di Scuola Secondaria quindi con il TFA , il Tirocinio Formativo Attivo ed ora con la formazione in sevizio, è significativo - meglio, preoccupante - che in tutte queste soluzioni il ruolo della pedagogia generale sia andato restringendosi progressivamente tra una diffusa sottovalutazione del fenomeno. Se si considera che nel nostro Paese le politiche educative e scolastiche sembrano seguire considerazioni più di ordine politico ed economico che pedagogico, si potrebbe sospettare che lo snellimento del curricolo formativo dei docenti, in tempi di crisi, possa essere stato dettato da esigenze economicistiche, di contenimento della spesa. Invece e paradossalmente non è così se si considerano le posizioni di alcuni didattici, rappresentate efficacemente anche nei contributi che seguono, che sono le relazioni presentate a Padova in occasione del Seminario organizzato dal CIRPED (Centro Italiano di Ricerca Pedagogica) , l’associazione dei pedagogisti generalisti, su “Il differenziale

Page 4: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

INTRODUZIONE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

2

pedagogico nelle professionalità educative” il 20 novembre del 2015. Tra le varie questioni, la più significativa per la tesi che sosteniamo in queste pagine, è stata l’alternativa proposta da Damiano. Questa: pedagogia e didattica si occupano dello stesso oggetto, l’educazione, con grande confusione teorica e inefficienza pratica, per cui una delle due deve essere eliminata. In realtà, la tesi provocatoria fa da velo ad una questione epistemologica di fondo che è quella che qui vogliamo sottolineare. La posta in gioco è troppo importante per lasciare passare questa problematica senza sottolineare ulteriormente la questione sollevata, decisiva, a nostro modo di vedere, per il futuro della pedagogia italiana. Il progressivo inaridimento della pedagogia, il tecnicismo della didattica si spiegano, infatti, oltre che con lo spirito del tempo, anche per la persistenza di schemi organizzativi accademici che ancor oggi nel campo dell’educazione avvallano la divisione della teoria dalla prassi. Il problema non è se il pedagogista sia anche un pedagogo e neppure, per riprendere un efficace espressione che si trova nel saggio di Damiano, quello della “coppia”, è soprattutto quello del “terzo escluso”. La vera questione non sta nella unificazione della pedagogia con la didattica o viceversa, ma nel fatto che non si può fare pedagogia e neppure didattica, emarginando l’importanza decisiva della prassi. Le riforme universitarie non hanno mai affrontato questo problema, hanno trascurato proposte per rinnovare radicalmente il modo di intendere questo sapere decidendo di collegarlo, ad esempio, ad alcune scuole. Se conveniamo che la pedagogia è una scienza pratica, come è possibile fare ricerca quasi prescindendo dai contesti in cui accade l’azione educativa? Sarebbe come se la ricerca in medicina avvenisse senza nessun contatto con i casi clinici, senza la possibilità da parte dei medici ricercatori di entrare in ospedale. Chi scrive si spende da tempo per ridare entusiasmo e fiducia ai cultori di una disciplina, la pedagogia, che è stata presa d’ assalto da varie discipline – psicologia, filosofia , sociologia. Il tempo non è ancora scaduto, ma i segni non sono molto incoraggianti anche se la speranza è l’ultima a morire.

Page 5: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

3

La coppia, il doppio e il terzo escluso La difficile convivenza tra Pedagogia e Didattica Elio Damiano L’articolo esamina gli equivoci che comporta la compresenza di due saperi – la Pedagogia e la Didattica – che si occupano, grosso modo, dello stesso oggetto: l’educazione e passa in rassegna le difficoltà epistemologiche che comportano le soluzioni adottate: la «coppia», il «doppio» ed il «terzo escluso». Per risolvere il problema, propone di eliminare uno dei due termini, richiamando il mito di Enea che riesce a compiere la sua missione soltanto dopo la morte del padre Anchise. The article looks into the misunderstandings that involves the co–presence of two knowledges –Pedagogics/Didactics – dealing with roughly the same object – education – and reviews the epistemological faults of the solutions: the «couple», the «double» and the «third out». In order to solve the problem, it suggests to eliminate one of the two, recalling the myth of Aeneas, who can perform his mission only after father Anchises’ death.

A des nombreuses reprises mais tout à fait en vain, nous avons souligné l’urgence d’une commission de nomenclature, qui s’efforcerait de statuer sur les mots et de réunir un consensus sur la manière de les entendre et di s’en server. L’acceptation des memes conventions par les chercheurs compétents serait plus efficace que la publication disperse de dictionnaires, lexiques, ou vocabulaires certainement très estimables mais qui, souvent, creusent les écarts et accentuent les divergences1.

La denuncia e la proposta concludono uno dei saggi che compongono il numero monografico della Revue Francaise de Pédagogie dedicato a Penser la pédagogie. Siamo nel 1997 e, come spiega nella presentazione del dibattito Jean–

1 G. Avanzini, Les déboirs de la notion de pédagogie, «Revue Francaise de Pédagogie», 120 (1997), p. 24.

Claude Forquin2, sono trascorsi trent’anni dalla nascita delle “Scienze dell’Educazione”, e altrettanti dal primo numero della stessa rivista intitolata, però, alla Pedagogia. Un doppio anniversario che si celebra in un contesto caratterizzato dalla debolezza dichiarata della Pedagogia e dalla montée en puissance della Didattica (o delle Didattiche)3 . Aggiungo io: siamo in Francia, dove un italiano deve fare attenzione alla parola pédagogie – non importa se al maiuscolo o al minuscolo – perché corrisponde, nella nostra lingua, alla pratica del lavoro sul campo e che si dovrebbe tradurre, più o meno, come “didassi”. A una competenza, insomma, e non a un sapere o a una conoscenza riflessa. E difatti, il numero monografico è fin dal titolo l’invito a passare di livello e a costituire un pensiero in relazione a quella pratica. E chi conosce la rivista, sa bene che buona parte degli articoli pubblicati, anche da quell’anno in poi, sono ricerche empiriche relative all’insegnamento, e che noi definiremmo “ricerche didattiche”, e che pertanto noi difficilmente pubblicheremmo –ancorché apprezzandole per il rigore e la rilevanza scientifica – in una rivista di Pedagogia. Come si può vedere, la questione terminologica – sollevata da Avanzini – al passaggio delle Alpi è ancora più aggrovigliata che in Francia. E la comparazione – come dimostra lo stesso nome della disciplina che se ne occupa (Pedagogia comparata o comparativa rispetto, per esempio, a Educazione comparata) – e l’internazionalizzazione auspicata delle nostre ricerche attesta che l’intrico non trova soluzioni migliori se si procede oltre le frontiere tra gli anglofoni ed i germanofoni, per restare nei nostri dintorni. Così prosegue e conclude sconfortato l’Avanzini:

Sans guère d’espoir, nous renouvelons ici cet appel, en souhaitant que ce 30° anniversaire de la Revue Francaise de Pédagogie aide a le faire entendre. C’est une des condition de la crédibilisation et de la stabilisation épistémologique non seulement du concept qui nous occupe mais,

2 J.C. Forquin, Argument, «Revue Francaise de Pédagogie», cit., pp. 5-6. 3 Sull’emergenza della Didattica, cfr. A. Marchive, La pédagogie à l’épreuve de la didactique. Approche historique, perspectives théoriques et recherches empiriques, PUR, Rennes 2008.

Page 6: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

4

plus largement, des sciences de l’éducation. Et ce n’est pas, à nos yeux, tache impossible. Un accord sur la terminologie ne requiert nullement un accord sur des positions philosophiques ou politiques. Puissent seulement les specialistes de nos disciplines ne pas croire que la sauvegarde et l’expression légitimes de l’originalité de leur pensée soient subordonnées a l’entretien et à la revendication illégittime de l’anarchie de leur langage 4.

A circa vent’anni di distanza, non mi risulta che sia mai stata istituita e messa all’opera alcuna “commissione di nomenclatura”. È più probabile che stia provvedendo alla bisogna la comparazione del rendimento dei sistemi scolastici, attivato da istituzioni internazionali che stanno trasformando il mondo in un unico totalizzante laboratorio didattico (o educativo?)5. A prescindere dalla validità (poco discussa, in verità) di questo processo di globalizzazione, soltanto lo sviluppo di una comunicazione intensiva, interna della nostra corporazione, potrà conseguire i risultati sperati. L’intervento che segue intende offrire un contributo a tale proposito, argomentando intorno ai rapporti tra Pedagogia e Didattica, che costituiscono il nodo centrale della questione che ci affligge e che è una anomalìa tutta nostra: il fatto che siano in due le discipline che si occupano dello stesso oggetto di studio. Da questa peculiarità discendono, come avremo modo di mostrare, vaghezza concettuale, problemi di struttura epistemologica, debolezza istituzionale. La compresenza di due saperi ha origini ben note – le pratiche sociali che rinviano al pedagogo, di solito uno schiavo, che accompagnava il soggetto in formazione presso il precettore, che impartiva l’insegnamento di oggetti culturali specifici – ma ha sollevato ovviamente difficoltà quando, in epoca moderna, i saperi hanno cominciato a identificare una specifica costituzione in fatto di cose distinte di cui occuparsi e di metodi mirati da adottare. Per quanto concerne la Pedagogia (d’ora in poi: P), va segnalato che fin dai

4 G. Avanzini, Les déboirs de la notion de pédagogie, «Revue Francaise de Pédagogie»,cit. 5 Cfr. A. Tiana, Le monde comme laboratoire éducatif, «Politiques d’éducation et de formation: analyses et comparaisons internationales», 3 (2001), p. 47-57.

primordi viene ad assumere quei connotati che continuano ancora oggi a vincolarla, in positivo o in negativo, a seconda degli orientamenti epistemologici. Il contesto in cui essa emerge è quello della Riforma, protestante e cattolica. In particolare quando l’istruzione, presso le religioni del Libro – con il Cristianesimo il Giudaismo e l’Islamismo – assume il rilievo di mezzo per la salvezza perché consente l’accesso alla Parola scritta. Sono le congregazioni religiose, sorte allo scopo e/o riorientate che – con l’invenzione della “scuola burocratica” – fanno da matrice al sapere che se ne occupa, appunto la P. Che deve la sua struttura di discorso normativo al rilancio del Cristianesimo dilaniato dalle guerre di religione: la sua missione è ricostruire l’uomo come deve diventare per essere un vero credente. Innanzitutto un sapere dell’ideale, di conseguenza un sapere “pratico”, cercato in quanto in grado di incidere sulla natura umana fino a trasformarla. La certezza dell’impresa era suffragata non solo perché avevano fede nella buona causa –la salvezza eterna – ma anche provatamente, perché – nell’epoca delle grandi esplorazioni geografiche – si cominciò a capire che la straordinaria varietà dei modelli antropologici scoperti era dovuta evidentemente alla straordinaria plasticità dell’essere umano ed alla difformità delle leggi e dei costumi. E man mano che si affermava – vedi Montaigne6 – il relativismo antropologico, si organizzarono i collegia, istituzioni totali per la formazione dell’uomo nuovo, e nacque, strettamente imparentato con la P, il genere letterario dell’utopia7. L’avvento della nozione di Didattica (d’ora in poi: D) si pone in contemporanea, giustificata dall’urgenza dei supporti all’insegnamento ed agli insegnanti impegnati nella stessa restauratio hominis. Anche la D rappresentò l’impegno innovativo delle congregazioni religiose, in particolare del fratello moravo Amos Comenio e della sua vasta attività e autorevolezza interconfessionale8. E, come la P, anche la D manifestò, fin dall’avvio, quei connotati che l’avrebbero caratterizzata fino ai

6 Cfr. A. Lenarda, L’esperienza della diversità 1580-1780, Loescher, Torino 1979. 7 Cfr. M. Baldini, Il linguaggio delle utopie, Studium, Roma 1974. 8 G. A. Comenius, Didactica Magna (1633-1638) trad.it. di V. Gualtieri, Sandron, Firenze 2011.

Page 7: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

5

nostri giorni: mi riferisco alle dimensioni pratico–poietica – con la ricca produzione di spazi, sussidi e attrezzature dedicati al lavoro delle scuole di catechismo e dei collegia – metodologica – con la ricerca sulle procedure d’insegnamento, che fece ricorso alla Dialettica come il sapere più adeguato per interagire con gli studenti9 – ed epistemica – per la definizione dei piani di studio, per distribuire e articolare i contenuti dell’insegnamento – che si svolse come disputa sul metodo10 e diede impulso alla formalizzazione dei saperi in ‘discipline’ culminata nel Positivismo. Una riprova della stretta relazione tra insegnamento e saperi che continua oggi nel confronto polemico fra “didatti” e “disciplinaristi” 11. Se nei primi tempi della modernità si ritrovano in nuce tutti gli aspetti che ne hanno connotato l’evoluzione successiva, la convivenza delle due denominazioni – P e D – in relazione al medesimo ambito di conoscenza non sembrava, in quei primordi, sollevare obiezioni. Ma proprio la riflessione sull’insegnamento, sullo sfondo dell’impegno per la fondazione e l’organizzazione della conoscenza, ha messo in crisi dapprima i requisiti originari della P, quindi la necessità di giustificare la concorrenza di due saperi in relazione al medesimo compito di studio. Per la messa in evidenza del problema e i conflitti di competenza, rimando ai lavori in cui me ne sono occupato in dettaglio12. Detta in breve, la questione conosce non poche soluzioni, più o meno imbarazzate e determinate, tentativi innumerevoli come le stelle del firmamento. E pertanto dobbiamo far ricorso, insieme, alle forzature della sintesi e alle figurazioni della metafora. Morfologie del sottobosco I: la “coppia” Come illustra brillantemente Maria Teresa

9 Cfr. E. Cuttini, Unità e pluralità nella tradizione europea della filosofia pratica di Aristotele. Girolamo Savonarola, Pietro Pomponazzi e Filippo Melantone, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005. 10 Cfr. G. Oldrini, La disputa del metodo nel Rinascimento. Indagini su Ramo e sul ramismo, Le Lettere, Firenze 1997. 11 Cfr. E. Damiano (ed.), Il dilemma del centauro. Stato dell’arte della ricerca su Didattica generale e Didattiche disciplinari, Vita e Pensiero, Milano 1996. 12 Cfr. Id., La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Franco Angeli, Milano 2013.

Moscato in un recente numero della maceratese Education Sciences and Society13 – non a caso intitolato a “ri–pensare” la Pedagogia (e l’educazione) – il territorio che ci appartiene non è esattamente un giardino all’italiana, dove le geometrie dominano una natura antropizzata – bensì una sorta di nemus, come dicevano i latini14, un sottobosco con qualche radura relativamente addomesticata, dove ciascuno a modo suo celebra, qua e là, il rito religioso rivolto alla sua aiuola particolarista. E anche da noi non mancano, in buon numero, dizionari, lessici e vocabolari15, a riprova di una eziologia che si tenta di curare con dei placebo. Per fare un esempio fin troppo banale, è ancora dubbio, oggi, come indirizzarsi a un docente universitario di P: “pedagogista” – un termine che si usa anche per chi si occupa da professionista dell’educazione in campo scolastico e parascolastico – oppure “pedagogo”, alla maniera aulica dello schiavo accompagnatore di fanciulli in epoca romano–ellenistica? Analogamente per la D, dove “insegnante” è certamente vocabolo più nitido, salvo che non si ricorra al più raro e sofisticato “didatta”, che non si sa bene se usare per indicare un accademico che insegna D… Il primo tipo di forme di associazione consiste nella coppia: un equilibrio precario che ha trovato il suo esito ultimo nella cosiddetta “morte della pedagogia”, decretata per la prima volta oltr’Alpe cinquant’anni fa16. Ma non tutte le soluzioni di coppia sono determinate alla

13 M.T. Moscato, Ripensare la pedagogia: passione, illusione, progetto, «Education Sciences and Society», 2, 2012, pp. 29-54. 14 Dal nome del lago di Nemi: cfr J. Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione (1915), trad. it. di N. Rosati Bizzotto, Bollati Boringhieri, Torino 2012. 15 Cfr. fra i tanti: C. Scurati e F. V. Lombardi, Pedagogia: termini e problemi. Dizionario ragionato, Le Stelle, Milano 1972; M. Laeng, Lessico pedagogico, La Scuola, Brescia 1978; Atlante della pedagogia, Tecnodid, Napoli 1991; P. Bertolini, Dizionario di psico-socio-pedagogia, Mondadori, Milano 1980 e Dizionario di Pedagogia e Scienze dell’educazione, Zanichelli, Bologna 1996: G. Genovesi, Le parole dell’educazione. Guida lessicale al discorso educativo, Corso, Ferrara 1998; G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagoga. Avvio al lessico pedagogico e alla teoria dell’educazione, La Scuola, Brescia 2010. 16 G. Ferry, Mort de la pédagogie, in «L’éducation nationale», 820 (1967), pp. 9-11 ; J. Ardoino - M. Lobrot - A. de Peretti, Mort de la pédagogie, cit., pp. 20-21.

Page 8: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

6

maniera di Alessandro con il taglio del nodo di Gordio. È la soluzione cui si ricorre quando non si riesce a sciogliere un dilemma con acume e sottigliezza. Mentre invece queste risorse non mancano certamente nella dotazione dei pedagogisti, come mostra l’ampia geografia delle soluzioni di coppia via via escogitate. A questo riguardo il riferimento va alla insorgenza delle “Scienze dell’Educazione”, che prese avvio col primo volume dell’apposito Traité (1967) e fu oggetto di discussione al VI Congresso dell’Associazione Mondiale delle Scienze dell’Educazione, appunto, che si tenne a Parigi – presidente proprio Marcel Debesse – sul tema focale de Il contributo delle scienze fondamentali alle Scienze dell’Educazione. Il quadro, dopo l’avvento delle Scienze dell’educazione, diventa incontenibile come un caleidoscopio e pertanto desistiamo dal riferirne al dettaglio17. Nella varia fenomenologia dei tentativi di ordinamento18, possiamo rilevare delle linee di tendenza: chi propende per una P normativa, è indotto a gerarchizzare, intorno alla P, le Scienze Pedagogiche (dizione preferita rispetto a Scienze dell’Educazione), ivi compresa, ovviamente, la D concepita nella sua versione più neutralmente tecnica; e altri che, all’opposto, afferma il polimorfismo delle Scienze dell’Educazione (pur senza rinunciare alla P), affermando l’autonomia della D, ma a condizione di rinunciare alla pretesa di essere “generale”, specificandosi a seconda delle discipline d’insegnamento. Fra queste opposte polarità orientative, si distribuiscono innumerevoli e cangianti soluzioni intermedie. Le locazioni più marginali, e quindi più esposte, risultano quelle che – per rivendicare alla P il suo statuto di scienza – finiscono con l’occuparsi sempre meno del loro oggetto di studio: l’educazione. Se guardiamo, più che alla varietà, alla frequenza, i rapporti di coppia tra P e D vengono fatti ruotare, preferibilmente, attorno alla distinzione fra teoria e applicazione. In questo modello di coppia, la teoria si afferma come assoluta e universale, mentre

17 Cfr. E. Damiano, La mediazione, cit. 18 G. Genovesi (ed.), Scienza dell’educazione: il nodo della Didattica, Franco Angeli, Milano 2006, distingue le definizioni di D fra quelle “sbrigative”, “articolate ma non chiare”, “articolate e argomentate”, ma resta comunque un lessico al plurale, per una ricerca “che non avrà mai fine”.

l’applicazione la traduce in concreto, in riferimento a contesti particolari e a condizioni specifiche. Al di là di formulazioni vintage come quelle a carattere ordinale – tra P “prima” (non importa se ad orientamento scientifico o filosofico) e P “seconda” (ovvero D), non risulta ben nascosto l’intento di rovesciare l’asimmetria della soluzione proposta da Debesse, affermando, invece, la superiorità della P rispetto alla D in fatto di prestigio culturale, scientifico ed istituzionale. Una soluzione, ancor oggi riproposta19, anche se da qualche tempo variamente attenuata, soprattutto quando viene proposta dagli stessi Didatti20. Morfologie del sottobosco II: il “doppio” Il doppio – ovvero il duplicare un fenomeno singolo – ha affascinato da sempre la ricerca sulla struttura della realtà allo scopo di raggiungere una spiegazione più profonda, in grado di andare oltre le apparenze. Diffuso in filosofia come tenace avversario del monismo, in antropologia, in psicanalisi e in psicologia, è in letteratura – dai Menecmi di Plauto fino al Dr Yekyll e Mr Hyde di Stevenson, che ha fatto le prove più brillanti e variegate: c’è il doppio mimetico – che punta a replicare in copia l’originale per confondere il lettore o il pubblico –, il doppio involontario – che finisce con l’essere, nel bene e nel male, il bersaglio del soggetto focale – e infine il più illustre di tutti: il doppio negativo, l’alter ego antagonista in lotta senza quartiere col protagonista. Il doppio, insomma, è un topos culturale frequentatissimo che consente di dissociare l’intima complessità del reale e portare alla luce i dispositivi che regolano l’intrico delle contraddizioni e la dialettica delle componenti in gioco. Nella convivenza fra P e D, il doppio si presenta più affine a quello di genere letterario. Per quel che mi risulta è una soluzione esperita solo in Italia, ha preso le forme della opposizione fra educazione e istruzione e strada facendo si è caricato delle polemiche risorgimentali intorno a Porta Pia e di quelle relative alla lotta di classe nella società industriale. La prima sta ad

19 M.T. Moscato, Ripensare la pedagogia: passione, illusione, progetto, cit., pp. 49 e sgg. 20 Fra gli altri, C. Laneve, Manuale di Didattica. Il sapere sull’insegnamento, La Scuola, Brescia 2011, pp. 42-64.

Page 9: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

7

indicare principalmente una differenza di estensione –con l’educazione che è più ampia e comprensiva rispetto all’istruzione. Ma quando il dualismo assume la forma del doppio, educazione ed istruzione si polarizzano, separando nettamente le componenti cognitive e quelle etiche dei due termini, per la quale all’estremo del “tutto-cognitivo” si pone l’istruzione – quindi la D – mentre l’educazione viene collocata sul terminale opposto del “tutto-etico”, magari integrata con un congruo corredo emotivo, affettivo e comportamentale e viene fatta rientrare tra le pertinenze della P. In questo modo la P e la D si presentano come “i duellanti” di Conrad.

Non possiamo, in questa sede, riferire sulla letteratura che in un secolo e mezzo da Roma capitale si è confrontata polemicamente sul problema del doppio21. Basterà richiamare che i fronti contrapposti si distribuiscono secondo una topica che vede confrontarsi, da un lato, quanti affermano la necessità di neutralizzare l’educazione dalla sua carica manipolatoria –ridefinendola in termini di istruzione– e dall’altro quanti proclamano l’esigenza di dare un senso all’istruzione, riqualificandola come educazione. Va annotato che, nella sua versione più vicina dibattuta, quella degli anni ’80 del Novecento, gli uni come gli altri formulano lo stesso problema: il rischio per la scuola, al volgere di una riforma di sistema, di perdere la sua identità istituzionale22. 21 Cfr. E. Damiano, La mediazione, cit; per un resoconto dettagliato di questo confronto, cfr Id., La religione a scuola, in E. Damiano - Pg. Todeschini (eds.), Progettare la religione. L’IRC secondo la Didattica per Concetti, EDB, Bologna 1994, pp. 26-42. 22 Per tutti, cfr., rispettivamente: R. Maragliano, Educare o istruire?, in B. Vertecchi, (ed.), Scuola elementare e nuovi programmi, La Nuova Italia, Firenze 1982, pp. 110-117; B. Vertecchi, Per una teoria della scuola, in F. Frabboni (ed.), Un’educazione possibile: il sistema formativo tra “policentrismo” e “specialismo”, La Nuova Italia, Firenze 1988 e La didattica nei nuovi ordinamenti per la scuola elementare, «Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione», Le Monnier, Roma-Firenze 1990. Sull’altra polarità del dibattito, vedi la bibliografia in calce al saggio di L. Corradini, L’anima dell’educazione, in E. Damiano (ed.), Riscolarizzare, Provincia Autonoma di Trento, Trento 1994, pp.152-165. In particolare: L. Corradini - P. Cattaneo, Educazione alla salute, La Scuola, Brescia l997; L. Corradini (ed.), La dimensione affettiva nella scuola e nella formazione dei docenti, SEAM, Formello l998; L. Corradini e I. Testoni, Il corpo a scuola. Pedagogia e

Non è il caso di rispolverare la posizione di Johann Friedrich Herbart, uno dei grandi padri della pedagogia occidentale, circa l’integrazione fra i due termini nel concetto di istruzione educativa: individuando nell’istruzione il nucleo necessario e inderogabile dell’educazione, una coessenzialità che – pur mantenendo la distinzione fra i due termini – li dispone in relazione dialettica.23 E non vale la pena se non di richiamare, più semplicemente e direttamente, che l’istruzione – anche quando fosse ridotta senza tare al cognitivo – possederebbe –per la stessa carica attribuita dai suoi più acerrimi sostenitori – una pregnanza scopertamente educativa. È solo la forzatura espressiva del doppio che può separare quel che la complessità dell’azione formativa comprende, quand’anche tendenziosa e manipolatoria, di integrale e irriducibile.

Morfologie del sottobosco III: il “Terzo Escluso” Non è una conseguenza dell’uno o dell’altro modello esaminato, ma una opzione tradizionale che entrambi i modelli confermano: se la P ha il compito di riflettere sul fare, senza impegnarsi direttamente nell’azione, e la D si dedica ai mezzi, limitandosi peraltro a discorrerne a parole, chi si occupa di fare in concreto è una terza linea, quella composta dai pratici, Questa sorta di taylorismo comporta una gerarchia della irresponsabilità:

psicologia sociale per l’educazione alla salute, SEAM, Formello l999. Per un’opzione di sintesi, da parte di uno studioso di ispirazione marxista, in un contesto riformistico analogo a quello italiano, cfr. G. Snyders, La joie à l’école, PUF, Paris 1992 che ha avuto larga eco anche in Italia. Per un’ulteriore conferma, sempre relativa a questi ultimi anni, cfr. A. Avanzini, Didattica “versus” Pedagogia: un’insostenibile dicotomia epistemologica, «Ricerche pedagogiche», 156-157 (2005), pp. 7-14. Dopo una disamina che tocca anche i settori scientifico-disciplinari che separano gli insegnamenti pedagogici – che adotta la distinzione tra istruzione ed educazione – l’Autrice conclude – nonostante il titolo – con una soluzione di compromesso – dico io – “alla francese”: mentre la P si occupa del triangolo educativo portando lo sguardo sulla relazione tra i due soggetti, la D si concentra sul terzo, ovvero il sapere. 23 Cfr. B. Bellerate, J. F. Herbart, La Scuola, Brescia 1964 e Id., La pedagogia in J. F. Herbart: studio storico-introduttivo, Pas, Zurich 1970.

Page 10: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

8

A. i pedagogisti si assegnano un mandato prestigioso ma vuoto, se è vero che senza il coinvolgimento diretto nella messa in opera non si vede come possa aver luogo la stessa riflessione se non per mera deduzione; B. i didatti si concentrano sui mezzi, non solo senza rispondere delle finalità – di competenza superiore – ma, quel ch’è più grave, nemmeno della efficacia che delle tecniche rappresenta la giustificazione principale, dal momento che raggiungere i risultati attesi tocca al livello inferiore; C. ai pratici tocca l’onere della concrezione, sulla base di finalità stabilite altrove e adottando strumenti confezionati e offerti in dono dal livello immediatamente superiore. Abbiamo così il rischio immanente: Aa) della P votata a intimare prescrizioni condannate a non andare a bersaglio – distorcendosi in retorica e moralismo inconcludenti; Bb) della D condannata al tecnicismo fine a se stesso, curva a lucidare i suoi attrezzi come il Monsù Travet del Bersezio; Cc) dei pratici, lasciati da soli in trincea, costretti a procedere per proprio conto, facendosi forza soprattutto, se non esclusivamente, con la loro esperienza. Il presupposto – non detto, anzi in qualche modo eufemisticamente velato se non dichiaratamente negato e addirittura ribaltato in varie forme di idealizzazione – è il modello del deficit, come lo ha incisivamente riconosciuto la Francoise Lantheaume24, secondo il quale tutte le colpe dei mali della scuola sono imputabili regolarmente ed esclusivamente agli operatori. Ma la supremazia della P e, in subordine, della D è solo apparente: perché di fatto, chi in realtà agisce l’educazione e – in un modo o nell’altro – interviene sulle nuove generazioni, sono i pratici, mentre la P è costretta a rassegnarsi alla sua impotenza, indossando i panni del profeta di sventure, che sentenzia sempre più ad alta voce, perché si rende ben conto che nessuno lo ascolta. La D viene a trovarsi nella scomoda condizione mediana, da un lato snobbata dalla P

24 F. Lantheaume, F., De la professionalisation à l’activité: nouveaux regards sur le travail enseignant, Id. éd., Le travail enseignant. Crises et recomposition, du local à l’international, retour sur le métier, «Recherche et Formation», 57 (2008), pp. 9-22.

come “cieca tecnologia” e dall’altro in cerca della fiducia degli operatori, che a volte tenta di coinvolgere in imprese cosiddette di “Ricerca–Azione”, generose negli intenti, non sempre utili per entrambi i partners. In questo modo lo scorno colpisce tutti i livelli della piramide pedagogica: perché pedagogisti e didatti sono costretti a vivere ai margini dell’accademia –dove provano a certificare, ossessivamente, ma senza troppo successo, ai colleghi di altre discipline, i loro requisiti di scientificità – mentre gli insegnanti – che nella comunità dei professionisti dell’educazione sono i più esposti – vivono in una condizione di isolamento, cercando di aggrapparsi al primo salvagente che viene loro offerto, soprattutto se pret-à-porter, oppressi da riforme tanto frequenti da rendere impossibile qualsiasi verifica di validità, quando non cervellotiche. Col tempo, si affidano prevalentemente a quello che hanno appreso dalla parte del banco, dagli insegnanti che hanno eletto a loro mentori, e alla loro esperienza diretta, anche familiare ed extrascolastica oppure desunta dalle resistenze opposte loro dagli alunni25. Non di rado elaborano forme di adattamento astute e ingegnose che riescono a offrire loro soddisfazioni professionali, che difficilmente riescono a essere trasferibili come esempio di buone pratiche. Un autentico thesaurus che gli inglesi hanno preso a chiamare il “giardino segreto degli insegnanti” e che meriterebbe tutta l’attenzione dei ricercatori, mentre, resta recluso e misconosciuto nelle classi. Enea ed Anchise Se il problema discende – come ho cercato di argomentare – dalla duplicità delle discipline – P & D – che si contendono il campo, generando una selva “oscura e forte”, è dalla compresenza che bisogna cominciare per tentare di sciogliersi dall’intrico. Per rendere plasticamente l’idea, possiamo ricorrere alla mitologia intesa – con Gilbert Durand – come «mitodologia»26

25 Cfr Cl. Gauthier, éd., Pour une théorie de la pédagogie. Recherche contemporaines sur le savoir des enseignants, De Boeck Université, Paris-Bruxelles l997; M. Mellouki - M. Tardif, dirs., Le savoir des enseignants: unité et diversité, Editions Logiques, Montréal l993. 26 G. Durand, Introduction à la Mythodologie. Mythes

Page 11: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

9

considerando i miti una forma di conoscenza generata dalla immaginazione creatrice, che condensa, in forme implicite, esperienze significative e concezioni illuminanti. Nel nostro caso, il ciclo epico latino – secondo la narrazione di Virgilio27– ci rivela il tema evolutivo di una coppia, quella del rapporto tra padri e figli: Enea non troverà mai la strada per creare la stirpe di Roma fino a quando graverà sulle sue spalle il peso del padre Anchise, che continuerà a seguire memorie di territori dove approdare, rivelatisi via via tutti sbagliati. Ma anche dopo la sua dolorosa scomparsa, il figlio non riuscirà a rintracciare il percorso della sua missione. Servirà ancora la figura paterna –ritrovata fra le ombre di Cuma, liberata dalla sua fisicità e trascesa agli inferi – per raggiungere le sponde del Lazio e dare vita, finalmente, alla discendenza assegnatagli dal fato. “Liberarsi” dal padre, per interiorizzarlo, rappresenta la condizione per acquisirne l’effettiva eredità. Orbene: che fare per bonificare il sottobosco? Lapalissianamente, una delle due è di troppo. Non per amor di parte, è preferibile fare a meno della P, anche solo perché il termine si presenta inadeguato, dal momento che rimanda, etimologicamente, all’infanzia, quando da tempo l’educazione riguarda tutte le età della vita. Evitiamo, così, un altro equivoco. Non si tratta, a ben vedere, di morte della P, bensì di una semplificazione, allo scopo di rendere più visibile il disegno del campo di cui ci occupiamo. Tantomeno si tratta di eliminazione del lavoro teorico, perché – alla maniera dell’incontro con Anchise a Cuma – avverrebbe un passaggio di consegne: non si vede perché l’indagine teoretica non possa essere riconosciuto come compito della D. Ma ovviamente, la soluzione non può consistere nella potatura di un nome: c’è ben altro da fare. Un’autentica ristrutturazione, che proviamo ad abbozzare in modi un po’ sbrigativi, nell’intento di renderla più chiara e ben comprensibile. 1. Collocare al centro i pratici, quelli che in et sociétés, Albin Michel, Paris 1996. 27 Secondo Omero, Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade; la versione di Stesicoro (Iliou Persis), invece, di Enea progenitore dei Romani, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta: cfr G. Guidorizzi, Letteratura greca, da Omero al secolo VI d.C., Mondadori, 2002, pag. 91.

precedenza – tuttora – abbiamo individuato come il Terzo Escluso. Non è soltanto un’opzione topologica o un proposito demagogico, bensì, fondativamente, l’attestazione di un servizio che il sapere –per legittimarsi – deve garantire all’azione di chi si espone in prima linea in un lavoro tra i più difficili ed esposti all’insuccesso. La centralità dei pratici ha almeno quattro valenze, che proviamo a richiamare brevemente: § La responsabilità è tutta loro, non solo di

ordine tecnico, ma anche – ovvero globalmente – etico perché a loro tocca decidere effettivamente nel contesto e nel merito. Come avremo modo di approfondire più avanti, non può essere compito del teorico definire la prescrizione di finalità che tocchi ad altri – i pratici – di portare a concrezione.

§ La produzione di esperienza in fatto di educazione è tutta loro, sia in termini di invenzione che di banco di prova che di controllo di trasferibilità. Significa che, per converso, il lavoro teorico non deve prescindere – sia attraverso la ricerca empirica che mediante la riflessione deduttiva e generalizzante – dallo studio dell’educazione nei suoi contesti, nelle condizioni di esercizio nelle quali effettivamente si compie.

§ La conoscenza in termini di rappresentazione teorica dell’educazione prodotta dai pratici deve essere restituita loro in termini di formazione, pre-servizio e in-servizio. Fra i contenuti della formazione fanno parte non solo le cosiddette buone pratiche e gli adattamenti vantaggiosi, ma anche gli aspetti considerati discutibili e le linee di fuga che contrassegnano le sofferenze del mestiere. Ciò implica che la formazione – nei suoi diversi modi – non può essere condotta solo dai ricercatori di professione, ma deve essere messa in opera anche dai pratici stessi, deferendo la responsabilità del giudizio sui risultati della formazione e sulla sua qualità ad essi e alle istituzioni per le quali operano.

§ Un’attenzione particolare dev’essere dedicata allo sviluppo della professionalizzazione dei pratici. Non solo in chiave di competenze – vedi punto precedente – ma anche di riconoscimento

Page 12: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

10

pubblico – sociale e retributivo – e di condizioni rilevanti e d’esercizio della loro attività, ivi compresa l’autovalutazione del loro rendimento e la corrispondente trasparenza e rendicontabilità del loro operato.

La centralità dei pratici ha, come è già parso evidente, delle conseguenti implicazioni per il sapere che delle pratiche si costituisce. A questo proposito, nel groviglio del sottobosco non può essere sufficiente procedere con l’accetta, tagliando il doppione della P. Occorre ben altra potatura a carattere epistemologico. Anche su questo verso procediamo per punti, a scopi di chiarezza: 2. Ordinare la conoscenza dell’educazione alla centralità delle pratiche educative nei loro contesti effettuali. Ne consegue una serie di opzioni che proviamo a esplicitare: § La rappresentazione delle pratiche

educative non è, per sua natura, pratica bensì teorica: ovvero consiste di ‘parole’ – concetti, dichiarativi e procedurali, e discorsi, argomentativi ed esplicativi – elaborati in riferimento alle pratiche, ma sempre e comunque, mentalizzazioni dell’esperienza. Si tratta di una presa d’atto ovvia, ma che entra in contrasto con la tradizione che ha voluto e vuole la P (e la D) come una scienza d’indirizzo “pratico”, intendendo però “prescrittivo” o “normativo”, cioè mirato a indicare come i pratici dovrebbero comportarsi sul lavoro. In questo modo dando vita a quella che abbiamo chiamato “gerarchia della irresponsabilità” perché nessuna teoria potrà mai esaurire l’estrema varietà delle situazioni concrete. Un discorso a parole, come la scienza, non riesce a essere “pratico” direttamente, se non attraverso un processo di concrezione che si costruisce ricorrendo a una serie di ricognizioni circostanziali, strategie, decisioni e soprattutto attuazioni che hanno una specifica pregnanza rispetto ai discorsi dai quali ha pur potuto prendere origine.

§ Un sapere di consistenza scientifica non deve avere carattere prescrittivo o normativo, ovvero la disposizione a fornire indicazioni, regole e criteri in grado di

guidare la concrezione di teorie in azioni. Le prescrizioni prodotte dal pensiero pedagogico – sappiamo da quando e perché, fino ad oggi – sono di due tipi: di ordine religioso e/o morale (solitamente, la P) e di ordine metodologico e tecnico (la D): entrambe sottraendo all’azione due dimensioni sostanziali, la finalizzazione e l’efficienza/efficacia, in assenza delle quali l’azione viene svuotata e ridotta a comportamento. Ma l’obiezione più radicale è di tipo epistemologico, per quanto ormai remota nel tempo è tuttora di attualità: a formularla è stato David Hume28, e va sotto il nome di “problema dell'essere e del dover essere” (in inglese Is–ought problem), per il quale non è lecito confondere una proposizione di carattere descrittivo – che vale a dire “quel che è o non è” con un'altra, affatto diversa, a carattere prescrittivo – che equivale ad affermare “quel che deve essere o non deve essere”. Formulata originariamente a riguardo dell’etica, e quindi ripresa sempre nell’ambito della teoria morale29 con il nome codificato di “fallacia naturalistica”, la “legge di Hume” o, minacciosamente, “ghigliottina di Hume”, è stata estesa fino a negare, in particolare con il neo–Positivismo30, la possibilità di

28 «In ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l'autore va avanti per un po' ragionando nel modo più consueto, e afferma l'esistenza di un Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutto a un tratto scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule è o non è incontro solo proposizioni che sono collegate con un deve o un non deve; si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti, dato che questi deve, o non deve, esprimono una nuova relazione o una nuova affermazione, è necessario che siano osservati e spiegati; e che allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile ovvero che questa nuova relazione possa costituire una deduzione da altre relazioni da essa completamente differenti» (D. Hume, Opere filosofiche, Trattato sulla natura umana (1739), trad. it. di A. Carlini, E. Mistretta, Bari, Laterza, 2008, volume I, pp. 496 e 497; cfr. G. Carcaterra, Il problema della fallacia naturalistica. La derivazione del dover essere dall’essere, Giuffrè, Milano 1969. 29 Cfr. R. M. Hare, Il linguaggio della morale, (1952), trad. it. di M. Borioni, Ubaldini, Roma 1968; G. E. Moore, Principia Ethica, Cambridge University Presss, Cambridge 1903. Su Moore, cfr. E. Lecaldano, Introduzione a Moore, Laterza, Bari 1988. 30 Cfr. C. G. Hempel, La formazione dei concetti e

Page 13: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

11

una valenza prescrittiva per la conoscenza scientifica tout court. Altro è descrivere e spiegare, altro è determinare quel che si deve o non si deve fare 31.

§ La ricerca teorica è tenuta ad orientare ‘positivamente’ lo sguardo rivolto alla pratica, liberandolo dalle pregiudiziali che continua a contrassegnarlo e che, con la Lantheaume, abbiamo riconosciuto come “modello del deficit”. In analogia con le altre scienze, anche la scienza dell’educazione dovrebbe cogliere l’azione educativa con empatia, la stessa che, ad esempio paradossalmente, adottano gli entomologi per comprendere insetti ributtanti come le mosche o lo scarabeo stercorario. Il mestiere di educare è fra i più complessi e sofisticati, impegnativo sui piani del corpo, dell’intelletto e dell’affettività fino al livello dell’inconscio; da svolgere in tempi reali, esigendo la flessibilità richiesta a un funambolo32 e il coraggio della medicina d’emergenza o di guerra33. Anche i limiti e gli errori, le sofferenze che si manifestano nelle linee di fuga e nella “melancolìa” degli educatori34 vanno investigate, comprese e prese in

delle teorie nella scienza empirica (1952), a cura di L. Geymonat, Feltrinelli, Milano 1976. 31 La problematica dei rapporti fra teoria e pratica è troppo ampia e soprattutto complessa per essere affrontata in questa sede, anche solo limitandosi al percorso, che da Galileo e Cartesio in avanti, ha cercato – rifiutando di impegnarsi sulle “essenze” – di garantire la comunicazione in un mondo – quello moderno, a ragione del dibattito sulle medesime “essenze” – che nelle vicissitudini della Riforma aveva perduto l’unità culturale. Come Cartesio sapeva bene, e cercò di evitare migrando nei Paesi protestanti, il coinvolgimento nella pratica implica ineludibilmente schierarsi e scoprirsi una delle parti in causa, anche sotto il profilo morale e religioso: cfr. Cartesio, Opere, Laterza, Bari l967; in particolare, Meditazioni metafisiche, Mursia, Milano 2009 (originale in latino 1641, intitolato Meditationes de Prima Philosophia in qua Dei existentia et animae immortalitas demonstratur, apud M. Soly, Paris). 32 Cfr. F. Tochon, Le Journal d’un funambule, son épistemologie pragmatique, «Recherche et formation», 9 (1991), pp. 7-15. 33 Cfr. L. Shulman, Knowledge and teaching: Foundations of the new reform, «Harvard educational review», 1 (1987), pp.1-21. 34 Cfr. E. Damiano, L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come professione morale, La Cittadella, Assisi 2007.

carico con partecipazione: sono il lato oscuro, eloquente e pertanto interessante, dell’educazione come oggetto di studio.

§ La scienza dell’educazione non è una disciplina empirica perché si centra sulle pratiche educative, ovvero non si limita ai processi iniziali della conoscenza, ma – pur ancorata allo studio delle azioni educative – non rinuncia alla costruzione di teorie a carattere generale. Solitamente, questi ulteriori livelli di elaborazione vengono designati come “filosofici” e – nelle morfologie della coppia e del doppio che abbiamo esaminato – vengono attribuiti, come sappiamo alla P (e perfino ad un terzo incluso, la Filosofia dell’educazione)35. Orbene, la riflessione di sintesi sulle indagini condotte in ambiti circoscritti e a proposito di questioni particolari non sono semplicemente dei ‘lavori di idee’ – svincolate dal rigore dei riferimenti a fatti e dati specifici – ma svolgono una funzione rilevante a vantaggio della ricerca empirica stessa. Difatti non di rado esse anticipano deduttivamente le successive verifiche di terreno. Anzi, la forza della sintesi risulta a volte capace di orientare l’indagine propriamente empirica verso zone ancora inesplorate, stimolo ad acquisizioni importanti. La produzione di conoscenze può essere di volta in volta attivata dall’uno o dall’altro verso, quello degli accertamenti particolari sul terreno oppure quello dell’insieme elaborato deduttivamente. Nel cantiere della ricerca, si danno canali di circolazione più o meno carsici fra i vari strati e livelli, la cui fluidità riesce a rendere non antagonistici ma fertili i rapporti fra la dimensione generale e la dimensione empirica36. E non si vede perché il lavoro di

generalizzazione deduttiva non possa essere compiuto da altro sapere che non sia quello di un’unica scienza della educazione: nella mia proposta, la D senza richiedere il passaggio di testimone ad altre discipline, quali che siano, la P e/o la Filosofia dell’educazione. Anche

35 V. La Filosofia dell’educazione oggi, dibattito del Seminario di studio tenutosi a Firenze il 15 marzo 1997, su iniziativa del “Gruppo teoretico> della Siped, riportato in Studi sulla Formazione, nn. 1-2, 1998, pp. 235-320. 36 Cfr. l’originale posizione al riguardo di J. Piaget, Saggezza e illusioni della filosofia, Einaudi, Torino 1969.

Page 14: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

12

per quanto concerne i passaggi ulteriori, sia verso la formalizzazione, sia in direzione dei presupposti epistemologici. E se non fosse consentaneo, al singolo studioso, dedicarsi – come sarebbe opportuno – all’intero ciclo di produzione della conoscenza scientifica, non vedo perché non possa essere permesso alle predilezioni di ciascuno privilegiare l’indagine teorica rispetto a quella empirica, e viceversa. Gli esempi, presso altre discipline, certamente non mancano. Con il vantaggio di evitare il sottobosco, con gli equivoci e le vaghezze – e ai connessi, endemici, antagonismi interni – che non giovano certamente alla visibilità ed al prestigio della ricerca sull’educazione.

Per concludere Ho cercato di spiegare la portata della difficile convivenza fra P e D, mostrando le figure con le quali si cerca di comporla e di giustificarla, esplicitando i presupposti sui quali si fonda e

denunciando le gravi conseguenze che comporta in fatto di vaghezza e di equivocità della nostra area. Per eccesso di zelo, ho anche indicato una via d’uscita – epistemologica, con opzioni socioculturali ed istituzionali – che a me sembra plausibile. Non è esattamente una proposta, perché manca di un aspetto decisivo: la strategia per adottarla. Anche perché non sono ingenuo e so bene che la strada da percorrere passa attraverso la selva oscura e forte della consolidata diffidenza fra noi e i pratici, oltre che della non–comunicazione tra noi studiosi dell’educazione. A quest’ultimo proposito è in atto, da qualche tempo, una linea politica di socializzazione condotta dalla Siped. Per adesso mi pare sin troppo venata di convenevoli: speriamo bene…

Elio Damiano, già Università di Parma

Praxis didattica come pedagogia

Riccardo Pagano Il rapporto controverso tra pedagogia e didattica chiama in causa diversi piani: da quello epistemologico a quello istituzionale. Soffermerò l’attenzione sul primo perché da esso dipende anche il secondo. Com’è noto, è con Gentile che il rapporto tra pedagogia e didattica trova una prima esauriente risposta inserita in un contesto teoretico sistematico: la didattica matura nell’atto dell’insegnare che è una particolare forma dell’educare; nel concreto atto didattico l’educazione si fa cosciente di sé ed esprime la realizzazione in atto dello spirito. Gentile, in questo modo, nobilitava la didattica liberandola da riduzionismi empirico/pragmatici e inquadrandola nella pedagogia. La tesi gentiliana è ancora oggi degna di riflessione nonostante i notevoli passi in avanti fatti dalla ricerca educativa. Non ancora risolte, tra le altre, sono le seguenti questioni: il rapporto binario “maestro-scolaro” è in sé un atto pratico con

propria autonomia oppure no? La didattica per essere efficace ha bisogno di un “terzo pedagogico” che s’interpone tra insegnante e allievo? Queste, come altre questioni, evidenziano la necessità di indagare ancora sulla praxis didattica evitando sia la riduzione materialistica (didattica = metodologia) sia l’esaltazione idealistica (didattica = pedagogia = filosofia). La praxis didattica è pedagogia se contiene in sé l’elemento fondamentale di una relazione educativa: l’intenzionalità pedagogica. Questa fa sì, che l’educando non sia considerato un oggetto materiale dato, ma un’entità che socialmente e storicamente si organizza per vivere rapporti umani e di produzione. La praxis didattica si configura come relazione “umana” costruita su base intenzionale e volontaria e diventa scienza del rapporto tra la volontà pedagogica dell’educatore e la struttura cognitivo-emozionale dell’educando. Essa si delinea, quindi, come vera e propria pedagogia pratica strutturata sul rapporto insegnativo-educativo con intenzionalità trasformativo/progettuale. The controversial relationship between pedagogy and didactics involves several levels: from the epistemological status to the institutional one. I will focus my attention on the former because the latter depends on it. As it is known, thanks to Gentile, the relationship

Page 15: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

13

between pedagogy and didactics finds a first comprehensive answer in a systematic-theoretical context: didactics matures in the act of teaching, which is a particular form of educating; in the concrete didactic action, education becomes self-conscious and it expresses the realization in action of the mind. Gentile, in this way, ennobled didactics, freeing it from empirical/pragmatic reductionism and setting it in pedagogy. Therefore, Gentile’s theory is still worthy of consideration despite the considerable progress made by the educational research. Among the others, the following issues haven’t been solved yet: Is the binary relationship "master-pupil" itself a practice with its independence, or not? To be effective, does teaching need a "third pedagogical element" which is interposed between teacher and student? These questions, like other issues, highlight the need to investigate more on didactic praxis, avoiding either the materialistic reduction (didactics = methodology), or the idealistic exaltation (didactics = education = philosophy). The didactic praxis is pedagogy if it holds within it the cornerstone of an educational relationship: the pedagogical intent. It makes the student be considered as an entity that socially and historically prepares for living human relations and production, and not as a material object. The didactic praxis emerges as a human relationship built on an intentional and voluntary basis and it becomes science of the relationship between the educator’s pedagogical will and the emotional-cognitive structure of the student. It appears, therefore, as a real educational practice based on the teaching-educational relationship, with a transformative/planning intent.

Come abbiamo avuto modo di evidenziare nell’abstract, il presente contributo guarderà al rapporto tra pedagogia e didattica da un punto di vista pedagogico, ovvero si soffermerà su quella che costituisce l’essenza dell’agire didattico, la relazione insegnativa intesa come prassi educativa,non dunque meramente istruttiva, e come “fonte” di teorizzazione pedagogica. Per definirla in tal senso occorre, a nostro modo di vedere, superare le tradizionali visioni sia del pedagogico sia della didattica. È noto che la pedagogia nel corso della seconda metà del Novecento ha subito non poche mutazioni epistemiche che qui ovviamente non saranno riprese. Ci limiteremo a sottolineare l’ampliarsi delle articolazioni in cui si è venuta a determinare che ha creato non poche

confusioni. La pedagogia, per procedere per ampie sintesi, si è presentata come scienza empirica (Piaget, Bruner, Dewey), come ideologia (negli anni della contestazione1), poi ancora come scienza teorico-pratica attenta soprattutto alla trasmissione dei saperi e, dunque, come una sorta di pedagogia scolastica (Scurati) . Proprio in questo ultimo passaggio è avvenuto un lento, ma significativo affermarsi della didattica, la quale ha rivendicato con maggiore forza autonomia e identità scientifica, in un certo qual modo ha voluto staccarsi dalla pedagogia per affermarsi come scienza educativa per eccellenza. Ed è a questo che si deve un conflitto più o meno latente tra i sostenitori del prevalere del pedagogico, da un lato, e del didattico, dall’altro lato. Un conflitto che è sì, servito per fare crescere sia la pedagogia sia la didattica, ma, in verità, soprattutto quest’ultima a scapito della prima e non solo sul piano scientifico, ma anche su quello istituzionale (sono aumentate e di molto le Cattedre del SSD di Didattica generale) e curricolare (si pensi, per esempio, alla marginalizzazione della pedagogia generale nella formazione degli insegnanti). Per rimettere in equilibrio il rapporto tra l’educativo e l’istruttivo è venuto il momento di riflettere attentamente sul ruolo della pedagogia generale anche nel suo rapporto con la didattica. Una serena riflessione che, però, deve essere fatta perché la pedagogia generale se indebolita provoca inevitabilmente una caduta dell’esigenziale educativo tout court a

1 Il ’68 muove una critica ideologica dell'educazione con i movimenti studenteschi e operai, politici e culturali che con la rivolta giovanile e la rivoluzione culturale hanno sconvolto le istituzioni, i saperi, le scuole, le università, ispirati ai principi del marxismo rivoluzionario. La pedagogia costituisce un sapere che deve scegliere di schierarsi per l'emancipazione e la liberazione dell'uomo, in quanto soggetto, individuo e genere. Si annoverano diverse esperienze pedagogiche di carattere rivoluzionario, come in Francia l'autogestione di Lapassade, in America e in Europa la descolarizzazione di Illich e Freire, in Italia la controscuola, con la scuola di Barbiana di Don Milani, come modelli di rottura e di rivoluzione rispetto a pratiche scolastiche ed educative tradizionali, conformistiche, formalistiche e deontologiche, volti a introdurre invece cambiamenti sostanziali, con l’apporto rivoluzionario di approcci educativi e pedagogici capaci di dare vita a soggetti più creativi indipendenti e orientati al dissenso.

Page 16: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

14

vantaggio della tecnica e del tecnicismo che, come afferma E. Severino, tende al dominio, si pone non come mezzo, ma come fine, crea il potere dei tecnocrati2. Lo sguardo pedagogico sull’educativo

Il suddetto sguardo privilegiato del pedagogico fa sì che inevitabilmente l’attenzione ricada sulla peculiarità della pedagogia generale e le sue intersezioni3. E qui che i “maestri” e non solo quelli antichi della pedagogia, ma anche i più recenti hanno molto da insegnarci. Solo, a mo’ di esempio, è sufficiente riprendere il pensiero di autorevoli fonti scientifiche contemporanee quali le opere di Gino Corallo, di Giuseppe Acone e di Alberto Granese per rendersi conto della complessità di una scienza come la pedagogia e delle sue relazioni con i saperi connessi, tra cui appunto la didattica. Gino Corallo nel delineare la pedagogia generale come scienza e, quindi, nell’individuare le sue fonti (il problema dell’educazione come capacità umana, il problema della libertà come forma dell’educazione, il problema dell’autorità come contenuto dell’educazione) pone la questione della didattica come problema di trasmissione avvertendo però che

la conoscenza […] a cui mira come a suo fine la didattica, è talmente congiunta con l’atto (educativo) della libertà, che la trasmissione didattica, formalmente distinta dall’atto di educazione, ne è tuttavia parte integrante in concreto, come indispensabile contenuto. […] tenendo ben distinta l’istruzione dall’educazione, è tuttavia possibile e necessario un nesso esistenziale tra i due aspetti del medesimo atto4.

Acutamente Corallo riconosce universalità al momento didattico rispetto a quello dell’educazione, ed è proprio questa universalità che consente alla didattica di configurarsi come

2 Cfr. E. Severino, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi, Milano 1988; Id., Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano 2012. 3 Cfr. G. Acone, La pedagogia dalle scienze dell’educazione e ritorno, «Quaderni del Dipartimento di scienze dell’educazione», 1/2 (1992). 4 G. Corallo, Pedagogia, vol. I, L’educazione. Problemi di pedagogia generale, Armando, Roma 2010, p. 301.

scienza autonoma. La «causalità magistrale»5 stimolatrice della libertà e spontaneità personale richiede sì, metodo e metodologie a cui pure Corallo presta attenzione, ma soprattutto chiama in causa il pedagogico e l’intenzionalità educativa. Giuseppe Acone, dal canto suo, ponendo la necessità di ritrovare una Paideia ormai smarrita e, dunque, «una cultura formativa di una società in una determinata fase storica»6 pone l’accento su di una pedagogia generale che debba sapere intercettare le esigenze del mondo contemporaneo non solo come risposta ad esse, ma anche come forma di prevenzione e di sviluppo altro, diverso rispetto a quello mercantilistico, economicistico e tecnicistico, verso cui inesorabilmente scivola. La configurazione di questa pedagogia generale, dei suoi attraversamenti biologici, psicologici, sociologici, antropologici, filosofici, tuttavia impatta con la didattica vista come “campo confinante”, insomma come una linea di confine e di limite. Acone avverte come pericolo la tendenza della didattica a farsi autosufficiente rispetto alla pedagogia e questo non per una difesa d’ufficio del pedagogico, ma per gli effetti che può provocare: la didattica se ritiene che basti a se stessa fa prevalere il paradigma tecnicistico escludendo orizzonti di senso dell’educazione elaborati appunto dalla pedagogia. Essa si limita all’istruzione e trascura l’educazione, privilegia la «testa ben fatta» (E. Morin) rispetto «ai sentimenti, alle emozioni, ai valori di senso dell’umanità e della sua costituzione ontico-etico-ermeneutica»7. Acone, dunque, mettendo in evidenza che logica d’insegnamento e logica di apprendimento non sempre s’incontrano, rifiuta categoricamente una pedagogia puramente ridotta a formazione e sostiene la necessità di una pedagogia generale che sappia essere orizzonte di senso educativo per l’uomo e che sappia ben distinguere ciò che appartiene all’educazione da ciò che attiene all’istruzione, allo sviluppo, alla socializzazione, all’apprendimento, alla formazione8.

5 Ibi, p. 303. 6 G. Acone, L’orizzonte teorico della pedagogia contemporanea, Edisud Salerno, 2005, p. 102. Cfr. anche Id., La Paideia introvabile, La Scuola, Brescia 2004. 7 Ibi, p. 156. 8 Ibi, p. 26.

Page 17: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

15

Anche Alberto Granese con il suo solito acume speculativo e critico, riprende nel suo testo La conversazione educativa9 il delicato rapporto tra pedagogia e didattica e lo fa a proposito della differenza tra il «concetto universale di educazione e il concetto scolastico di educazione»10. Sostiene Granese che

se sotto un ben riconoscibile e condivisibile profilo la competenza didattica è preziosa […]; in altri casi il mero affidamento alle metodologie […] comporta un affievolimento o un disconoscimento dei requisiti necessari alla comunicazione formativa. Il pro e il contro dell’oggettivazione didattica vanno attentamente valutati, e tale valutazione non può essere compiuta nei termini di una filosofia generale dell’educazione, ma esige un equilibrato bilancio dei rapporti fra l’oggettivazione e il permanere dell’elemento centripeto, non oggettivabile, che sta alla base di ogni esperienza di comunicazione e che ne garantisce il senso, così come garantisce il senso della stessa oggettivazione, giacché l’oggettivazione è un’insopprimibile esigenza del soggetto11.

Ecco come Granese coglie il cuore del problema del rapporto tra pedagogia e didattica: soggetto e oggettivazione. E Granese puntualizza e auspica «che l’oggettivazione didattica debba rendersi compatibile con la soggettività esistenziale non oggettivabile»12e richiama a questa esigenza gli studiosi di pedagogia e didattica. La pedagogia per Granese non è superiore alla didattica, è solo sintesi di soggettività e oggettività, ciò che la didattica non può fare. Pertanto è un errore categoriale sostenere che la “vera pedagogia” è la didattica, un errore «a cui ha dato luogo la stilizzazione scolastica del pensiero pedagogico in una fase storica precisamente determinata dell’organizzazione sociale dell’apprendimento»13. Dalle testimonianze scientifiche di questi tre maestri della Pedagogia generale emerge il rifiuto verso forme riduzionistiche che tendono a svilire sia il ruolo della pedagogia sia della 9 Cfr. A. Granese, La conversazione educativa, Armando, Roma 2008. 10 Ibi, p. 131. 11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 Ibi, p. 132.

didattica, anche se per quest’ultima sembrerebbe il contrario. Si avverte così il bisogno di uno sforzo ulteriore che, a nostro parere, deve partire ancora una volta da una attenta riflessione che deve riguardare la Pedagogia generale, la quale riflettendo su se stessa inevitabilmente tocca le delicate questioni dei suoi perimetri e confini disciplinari. Non si tratta di riprendere le annose e ormai trite e ritrite analisi sulla scientificità della pedagogia né tantomeno le stucchevoli disamine sulla sua “autonomia e identità” . É vero che il cantiere pedagogico è sempre aperto, ed è bene che lo sia, ma è anche vero che ci sono ormai dei punti fermi, delle acquisizioni a cui non si può più rinunciare: la pedagogia è, senza dubbio, ricerca di senso dell’educare, è orizzonte di senso. Che poi questo senso e questo orizzonte debbano servirsi di tecniche per essere raggiunti ciò non giustifica affatto l’assoggettamento della pedagogia a finalità tecniche. La prassi educativa non ha bisogno di tecniche praticistiche, essa, semmai, necessita di tecniche prassiche. La pedagogia come prassi è senso dell’educare, la didattica come prassi è intrisa di pedagogia. Sul piano della prassi la pedagogia e la didattica, anche se ognuna nel rispettivo campo, trovano una base comune. Prassi o pratica, dunque? Questo distinguo è logicamente necessario ed è da qui che intendiamo partire per giungere ad una prassi didattica come prassi pedagogica. La prassi insegnativa “fonte” dell’educazione Che cos’è la prassi? dal greco praxixs (azione, modo di agire), derivato di prasso, cioè fare, è in genere, l’attività pratica, di solito contrapposta all’attività teorica o speculativa. È anche abitualmente intesa come l’esercizio di un’attività, di una professione, di un’arte, e l’insieme delle norme che la regolano. Un altro significato importante è quando per prassi s’intende procedura abituale, consuetudine nello svolgere una determinata attività, in particolar modo in riferimento ad attività regolate solo da norme generali e incomplete, non codificate in una legge o in un regolamento14. Insomma: possiamo dire che per prassi debba intendersi un’attività volta a un risultato concreto in un 14 Cfr. Prassi, in Vocabolario Treccani, Giunti Scuola, Firenze 2013.

Page 18: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

16

certo campo, in un certo settore che ha delle procedure abituali con regole proprie del fare e non codificate. Se è vero, dunque, che per tradizione nella cultura occidentale la teoria e la teorizzazione hanno prevalso sulla pratica, è anche vero, però, che è maturata in questi ultimi decenni, soprattutto in campo educativo anche grazie agli studi in e sulla didattica, una crescente attenzione per l’attività pratica non tanto per contrapporla alla teoria, quanto per valorizzarne la diversità, la sua peculiarità epistemologica e per coglierne natura e struttura. Si è compreso, quindi, che il fare prassico ha bisogno di teorizzazioni per poter essere capito e analizzato, ma per poterlo fare occorrono, categorie interpretative nuove perché quelle conosciute e acquisite da sempre sono, senza dubbio, valide per l’epistemologia tradizionale, ma non lo sono affatto per leggere e comprendere la pratica e il suo senso. Si tratta, quindi, di elaborare un’epistemologia della pratica insegnativa che abbia almeno la stessa dignità scientifica di quella della teoria pedagogica alla quale abbiamo sempre fatto riferimento, e questa epistemologia della pratica insegnativa può presentarsi con la dignità di vera e propria pedagogia se non addirittura nella veste di filosofia dell’educazione tout court. In questo senso mi sembrano quanto mai calzanti le parole di un altro grande pedagogista, da poco scomparso, M. Manno, il quale afferma:

va sottolineato che per noi la prassi, fra i tanti prodotti che produce, ne produca alcuni materiali, ed altri non-materiali (o ideativi, mentali, ecc.), e dunque produca anche quegli strumenti che chiamiamo strumenti teorici, che sono per un verso prodotti […] e per un verso […] sono anche strumenti di ulteriore produzione15.

La prassi, attraverso questi “ulteriori strumenti” ideativi, mentali, consente di fare il salto dal reale all’ideale, riesce così a staccarsi da ciò che è presente e pensare il non ancora presente e diventa costruttiva di nuovi possibili scenari teorici. La pratica insegnativa in questa prospettiva assume una sua dignità epistemologica, diventa momento di 15 M. Manno, La struttura paidetica del discorso filosofico, Edizioni della Fondazione “Vito Fazio Allmayer”, Palermo 2002, pp. 12-13.

problematizzazione, è un campo ben definito sul piano fenomenologico. Le questioni concrete che si manifestano nella pratica insegnativa assumono valore, diventano oggetto di analisi e consentono di capire meglio il fenomeno educativo e dunque ampliano l’ambito e l’orizzonte del pedagogico. L’utilizzo della prassi come “fonte” può avere molteplici esiti: può risultare strumento di ricerca per la storiografia dell’educazione, ma può anche essere una vera e propria ontologia del fare insegnativo. Tralasciando il primo aspetto16 e soffermandoci sul secondo, cercheremo di dimostrare quanto l’ontologia del fare insegnativo arricchisca e di molto la «mappa pedagogica»17 nelle sue configurazioni che viene via via assumendo. Se la prassi insegnativa è vista come momento ontologico dell’educare, come sua sostanza, valore e senso, allora è possibile evitare di incorrere nel pericolo della relativizzazione della prassi18 e, dunque, della pedagogia come ispiratrice di modelli educativi prêt à porter, puramente storicizzati e asserviti alle mode educative. Di ontologia si è tornato a parlare non molto tempo fa19 ed essa mostra tutta la sua attualità come strumento indispensabile per catalogare e inventariare gli oggetti che ci circondano, le nostre cose quotidiane20, di cui si stabiliscono la natura, si sottolineano le differenze qualitative e categoriali; è, insomma, un esercizio di pensiero che intende avvicinare la realtà nella sua essenzialità. È noto, infatti, che non sempre l’essere delle cose coincide con la nostra

16 Per questo aspetto, cfr. H. Cavallera, Introduzione alla storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 1999. 17 Così definivano le scienze pedagogiche i pedagogisti che si trovarono a fronteggiare l’avanzate delle scienze dell’educazione. Cfr. A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978; G. Mialaret (ed.), Introduzione alle scienze dell’educazione (1985), tr. it. di B. Schettini, Laterza, Bari 1989. 18 C. Laneve, Derive culturali e critica pedagogica, La Scuola, Brescia 2001. 19 Un punto fermo per la ripresa degli studi ontologici ha rappresentato un convegno tenutosi all’Università degli studi di Bari Nascita e trasformazione dell’ontologia. Secoli XVI-XX, Bari 15-17 maggio 2008 al quale hanno partecipato i più accreditati studiosi di questa specializzazione filosofica (da M. Ferraris a J. F. Courtine, da M. Mugnai a J.S. Freedman , passando attraverso F.W. Von Hermann e C. Esposito). 20 Cfr. M. Ferraris, Il tunnel delle multe. Ontologia delle cose quotidiane. Einaudi, Torino 2008.

Page 19: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

17

capacità di pensarle a causa dei nostri deficit categoriali e interpretativi. In campo pedagogico analizzare e interpretare l’ontologia delle cose quotidiane ci può aiutare a comprendere l’azione educativa nel suo farsi, nel suo concreto essere ed esistere. E ciò non è di poco conto soprattutto alla luce di ciò che evidenziano le più mature ricerche educative circa lo scarto esistente tra ciò che a livello insegnativo/educativo si pensa di fare e ciò che, invece, realmente si fa21. Che la pratica insegnativo/educativa esista è fuori di dubbio, ma che cosa essa contenga, quali siano le connotazioni di questo esistere non è affatto scontato. Già Granese ha più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di distinguere, e non solo sul piano nominale, ma reale, tra una “filosofia dell’educazione”, una sorta di metafisica dell’educazione, e una pratica educativa nella quale deve esservi una filosofia che la sostanzi, una sorta di filosofia prima dell’educazione22. Di questa pratica bisogna sapere individuare e rintracciare le epistemologie più o meno manifeste23. Ed è questo un compito non facile. Quale epistemologia, dunque, a partire dalla prassi insegnativa? O meglio: la prassi ha una epistemologia? E se sì, quale? A queste domande è necessario rispondere. La prassi insegnativa sarà vista sia come logica che come gnoseologia dell’educazione. Come logica perché essa criticamente cerca di capire la ragione, la razionalità dell’agire educativo e come gnoseologia in quanto amplia le conoscenze dell’educativo attraverso le azioni insegnative. Una questione preliminare muove da queste domande: epistemologia della prassi insegnativo/educativa? O la prassi insegnativo/educativa come fonte epistemica dell’educazione? Questa dicotomia è già una scelta di campo. La prima domanda richiama la tradizionale “scientificità” della pedagogia. Essa si pone come elaborazione di teorie/modelli 21 Cfr. M. Altet, La ricerca sulle pratiche d’insegnamento in Francia, La Scuola, Brescia 2003; C. Laneve (ed.), Analisi della pratica educativa, La Scuola, Brescia 2005. 22 A. Granese, Filosofia, pedagogia e filosofia dell’educazione, «Pedagogia oggi», 3-4 (2002), pp. 14-18. 23 Cfr. L. Perla, Didattica dell’implicito, La Scuola, Brescia 2010.

pedagogici che possono diventare “idee regolative”, “strutture trascendentali”, orizzonti di senso”24. Non siamo lontani da un’idea di scienza galileana, cartesiana, newtoniana. Né da questo paradigma si discostano coloro che si sono avvicinati all’ermeneutica pedagogica e/o alla pedagogia ermeneutica25. Costoro infatti, sì, hanno guardato alla prassi educativa interpretata secondo le categorie dell’ermeneutica gadameriana o ricoeuriana che dir si voglia, ma si è trattato pur sempre di un’applicazione teorica alla pratica. E che dire, poi, dei pedagogisti della “cura”? Anch’essi, utilizzando teorie e metodi presi in prestito dalla psicoanalisi, non fanno altro che elaborare pratiche educative fenomenologiche, mutuate da altri contesti e applicate in educazione26. È evidente che si tratta di invertire completamente la metodologia di ricerca in educazione27. Bisogna lasciar parlare la prassi, capirla, interpretarla, comprenderla affinché essa possa arricchire il sapere pedagogico con nuove strutture dell’educazione. Avvalersi delle risultanze della prassi educativa, così come già affermava Dewey nella sua teoria dell’educazione, vorrà dire creare un circuito

24 Cfr. F. Cambi - L. S. Beccegato (eds.), Modelli di formazione, UTET, Torino 2004, in particolare i contributi di F. Cambi, A. Granese e G. Spadafora. 25 Cfr., tra gli altri, U. Margiotta, Ermeneutica e metodica universale. Dalla progettualità educativa alla pedagogia come scienza, Marietti, Torino 1973; F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico. Metateoria ermeneutica e modernità, CLUEB, Bologna 1986; P. Malavasi, Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze 1992; Id., L'interpretazione del senso tra etica e pedagogia. La via fenomelogico-ermeneutica, in «Orientamenti pedagogici», 1 (1994), pp. 45-48; Id., Etica e interpretazione pedagogica, La Scuola, Brescia 1995; M. Gennari, Interpretare l’educazione, La Scuola, Brescia 1995; R. Pagano, L’implicito pedagogico in H. G. Gadamer, La Scuola, Brescia 1999; Id., Educazione e interpretazione, La Scuola, Brescia 2004². 26 Cfr., in particolar modo, R. Massa, La clinica della formazione, Franco Angeli, Milano 1992 e poi i più recenti C. Palmieri, La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell’educare, Franco Angeli, Milano 2001; M.G. Riva, Studio clinico della formazione, Franco Angeli, Milano 2000; E. Catarsi, Bisogni di cura dei bambini e sostegno alla genitorialità, Edizioni del Cerro, Tirrenia 2002; A. Bobbio (ed.), Pedagogia del dialogo e relazione di aiuto, Armando, Roma 2012.. 27 Cfr. G. Benvenuto, Stili e metodi della ricerca educative, Carocci, Roma 2015.

Page 20: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

18

virtuoso tra ricerca teorica ed empirica per far sì che esse si rimodulino continuamente per evolversi e per convergere verso una educazione problematizzante, non assertiva, non normativa, sempre messa alla prova dall’azione28. La pedagogia, quindi, si avvicina alla post-epistemologia29, rivede i propri paradigmi, le proprie metodiche30 per dare risposte non solo alla comunità scientifica, ma anche ai “pratici”, insegnanti, educatori, che sempre più nelle teorie pedagogiche non trovano risposte ai molteplici problemi che l’educazione oggi pone. Il rinnovamento epistemologico nella ricerca educativa ha avuto un impulso notevole soprattutto nella didattica, una scienza dell’educazione che da non molto tempo va elaborando la propria fondazione scientifica. C. Laneve in Per una teoria della didattica del 1993, nella ricerca dei referenti di questa scienza che la dovessero qualificare, con grande lungimiranza, precisava che «si tratta di individuare rapporti nuovi e soprattutto meno riduttivi fra i saperi e il sapere didattico: compito che la riflessione didattica non può non assumersi [senza] dimenticare le sue ragioni…»31, tra le quali vi era soprattutto la necessità di non trascurare mai nella ricerca didattica il fare didattico concreto, di guardare cioè l’aula, il contesto educativo reale come “fonte” per l’elaborazione, per la riflessione, per la ricerca didattica ed educativa. Lo stesso M. Manno, nel configurare la pedagogia come “teoria della scuola” e, quindi, come una scienza che nella didattica trova il suo ubiconsistam e che per questo «egemonicamente emerge nella modernità perché generativa di tutte le altre, filosofia compresa […] dalla quale dipenderanno il 28 Cfr. J. Dewey, The Sources of a Science of Education, Livering Publishing Corporation, New York 1929; Id., Experience and Education, Macmillan, New York, 1938. 29 Si veda nota 25. 30 Sugli aspetti generali dell’epistemologia pedagogica cfr. G. Dalle Fratte, Questioni di epistemologia pedagogica e di filosofia dell’educazione. Per una riscoperta del senso dell’agire educativo, Armando, Roma 2004; L. Mortari, Linee di epistemologia della ricerca pedagogica, Libreria editrice universitaria, Verona 2004; G. Sola (ed.), Epistemologia pedagogica: il dibattito contemporaneo, Bompiani, Milano 2002; 31C. Laneve, Per una teoria della didattica, La Scuola, Brescia 1993, p. 143.

significato e il destino di ogni altro sapere»32, afferma che la «didattica, allora, [è] l’anima magna, la sostanza, ed insieme il diretto (o il più frequentato) campo d’azione del filosofare ed insomma del livello metateorico dell’esperienza consapevole»33. Dunque, ben si comprende che è il concreto fare scuola, il concreto educare, che può offrire elementi epistemologicamente validi per la elaborazione delle teorie pedagogiche. Ma quali saranno? È già dalla metà degli anni Ottanta che la ricerca pedagogica ritrova basi epistemologiche “nuove” servendosi di metodi plurimi, ermeneutici, fenomenologici, etnografici, interazionistici, costruttivisti che, pur nelle loro profonde differenze, focalizzano l’attenzione sull’individuo in azione, sui suoi costrutti mentali, sulle sue pratiche riflessive e soprattutto sulla narrazione sia orale che scritta. Attraverso la narrazione il soggetto esprime i processi mentali attraverso i quali costruisce la realtà, le relazioni e il modo in cui modifica i contesti in cui opera. Qui non interessa tanto riprendere le metodologie qualitative, del resto già ben studiate recentemente dalla letteratura pedagogica più accreditata34, quanto piuttosto individuare i fondamenti epistemologici che le sostengono e che le qualificano. Abbiamo detto che è soprattutto in ambito costruttivistico che si collocano i metodi qualitativi, all’interno dei quali, con non poche differenze, sono rintracciabili diversi indirizzi di pensiero: ermeneutici, fenomenologici, ecologici ecc. Malgrado queste diverse sfumature è, però, possibile individuare le tinte forti di cui si colora il costruttivismo in pedagogia sia per studiare il/i soggetti in azione sia la/e loro relazione/i. Possiamo affermare che il qualitativo costruttivista ha come punti epistemologici di forza soprattutto l’adeguamento alla realtà in senso funzionale, si passa, cioè, dall’adaequatio intellectus rei alla constructio rei, ovvero da un processo mentale isomorfo alla realtà che si vive ad un processo che è il risultato di una costruzione della realtà operata dal soggetto.

32 M. Manno, Per una paideia filosofica, Edizioni della Fondazione “Vito Fazio Allmayer”, Palermo 2007, p. 29. 33 Ibidem. 34 Cfr. S. Mantovani, La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Mondadori, Milano 2000.

Page 21: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

19

Quindi, è evidente che epistemologicamente prevale l’aspetto euristico, ermeneutico, pragmatico, linguistico, struttural-vincolistico, autopietico. Non può sfuggire il pericolo nichilistico presente nel costruttivismo. Infatti, se la realtà è costruita dal soggetto essa è sempre relativa, non ha e non può avere una oggettività assoluta, ma solo relativa. Da qui emergono altri tratti epistemologici per la pratica educativa degni di rilievo: il valore della negoziazione di significati nelle interazioni relazionali. Ben si comprende che attraverso la negoziazione linguistica si giunge ad una forma di meticciamento tra l’euristica e l’ermeneutica. Il criticare diventa oggetto di interpretazione più che di giudizio; questa via porta il soggetto ad uscire dalla soggettività per incontrare l’altro come soggetto/oggetto. Così si supera il costruttivismo puro e si abbraccia un costruttivismo ermeneutico con il quale il costruttore dell’azione educativa riflette sulla pratica non operando, come dice Rorty, una «descrizione della descrizione»35 puramente soggettiva, ma condivisa e quindi tendenzialmente meno soggettivistica e nichilistica. Dare significatività all’azione educativa da parte del soggetto che la compie vorrà dire che questi opera una selezione di valori, dà senso all’agire partendo dalla story per arrivare alla fidelity, ossia dal racconto imparziale al racconto personalizzato e fedele all’azione stessa. Tutti questi aspetti qualitativi, ed altri se ne potrebbero aggiungere, costituiscono la base epistemica per la conoscenza della pratica insegnativo/educativa, o per lo meno delle sue strutture portanti. È sufficientemente chiaro che all’interno di queste strutture si aprono scenari infiniti sia sul piano della individuazione di criteri sia su quello propriamente metodologico36. Ai fini di una comprensione dell’episteme della pratica educativa nei suoi aspetti essenziali, emerge, innanzitutto che occorre modificare il concetto classico di oggettività. Se nella tradizione scientifica dell’occidente prevaleva la separazione netta tra

35 R. Rorty, Conseguenze del pragmatismo (1982), tr. it. di E. Elefante, Feltrinelli, Milano 1986. 36 Cfr., per esempio, C. Laneve (ed.), Analisi della pratica educativa, La Scuola, Brescia 2005; Id. (ed.), Dentro il fare scuola. Sguardi plurali sulle pratiche, La Scuola, Brescia 2010.

soggetto e oggetto, ora, in seguito agli studi qualitativi, il mito oggettivistico è crollato e sempre più la conoscenza si costruisce attraverso la connessione tra il soggetto e il contesto in cui opera. Entrano in campo epistemico aspetti trascurati quali le emozioni, i sentimenti, l’estetica, che pongono al ricercatore una domanda fondamentale: la realtà educativa è la vera educazione? O meglio: chi educa è nel vero? Domande come queste devono aiutare la riflessione sull’educazione. L’ontologia a cui abbiamo fatto riferimento non sempre è in linea con l’episteme. Il “che cos’è ?” non sempre va d’accordo con il “che cosa vorrei che fosse”. E se l’epistemologia della pratica educativa ci aiuta nella ricerca dei principi scientifici che la guidano, è, però, solo l’ontologia che ci fa veramente capire qual è la vera natura dell’educazione praticata. La realtà precede la verità, la prassi è la realtà, l’ontologia è ciò che sostiene la realtà, è di essa substantia, mettere d’accordo l’una e l’altra non è facile. Ciascuna tende verso la propria strada e questo in educazione è quanto mai deleterio perché genera schizofrenie tra il pensato e l’agito. Occorre, a nostro modesto modo di vedere, recuperare la sintesi ontico-epistemica della prassi educativa, ma per farlo sarà necessario sforzarsi di elaborare una filosofia pratica dell’educazione libera da dogmi, da un lato, e da tentazioni prasseologiche, dall’altro lato. Si va delineando, dunque, il nodo problematico in questione. È possibile sostenere che un’azione educativa sia tale senza aver prima definito a livello puramente teorico che cos’è l’educazione? Porsi domande sull’educazione e definire se essa è arte, scienza, storia ecc. è necessario per qualificare un’azione come veramente educativa? Oppure l’azione educativa si qualifica da sola come tale, vive di una vita propria che la giustifica, la fonda, le dà senso e ragione? Come facilmente s’intuisce, non è facile rispondere a queste domande. Esse investono sottili e raffinate questioni epistemologiche e teoretiche che attengono sia alla fondazione della teoria che della pratica e che attualmente è all’attenzione degli epistemologi più maturi. Qui, molto più semplicemente, il discorso riguarderà la ricerca di una filosofia dell’educazione che abbia fondamenti teoretici non soltanto nella pura teoria, ma anche nel prattein, nel fare, che deve essere inteso come l’ontologia dell’azione educativa, ovvero come ciò che appartiene

Page 22: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

20

all’azione in quanto azione senza distinguere lo scopo dal procedimento di essa, evitando così il rischio di attribuire importanza a quest’ultimo (la téchnĕ) piuttosto che al fine (il telos) a cui quel procedimento deve tendere. La prassi come pedagogia

Un altro grande maestro, G. Flores d’Arcais sosteneva

che la pedagogia sia il sapere che si occupa dell’educazione, ritengo possa essere da tutti accettato; se mai […] sarà da richiamare che l’educazione appartiene alla prassi e, di conseguenza, si dovranno indagare i rapporti, reali e possibili, tra un sapere, la teoria, e l’azione, la prassi, di cui quel sapere intende occuparsi37.

Da queste parole del pedagogista padovano è possibile mettere a fuoco la reale questione di cui dibattiamo: il sapere pedagogico può essere una descrizione, constatazione, narrazione, storia della prassi, cioè deriva da essa oppure è principio, criterio, regola che la precede e che ha la pretesa di determinarla?Per superare questa dicotomia e per avanzare nella conoscenza occorre andare oltre le categorie interpretative tradizionali al fine di cogliere nella prassi il senso del fare educativo. Per questo nuovo percorso, però, è necessario rintracciare elaborazioni concettuali della e sulla prassi che consentono di considerarla non come luogo di applicazione etica e/o poietica della teoria, ma come struttura portante delle determinazioni dell’agire umano. B. Croce nella Filosofia della pratica del 1908, rivista quasi completamente nel 1915, esordisce con queste parole: «uno sguardo alla vita che ci circonda sembrerebbe senza bisogno di particolare dimostrazione, più che bastevole ad attestare la realtà di una cerchia di attività pratica svolgentesi accanto a quella teoretica»38. E poi continua:

ma questa esistenza quasi fisicamente delimitata con la quale l’attività pratica si

37 G. Flores d’Arcais et alii, Pedagogia, didattica e tecnologia, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma 2000, p. 14. 38 B. Croce, Filosofia della pratica, Laterza, Bari 1945, p. 3.

mostra, nella vita, distaccata da quella teoretica, non ha certezza alcuna […] non è vero che vi siamo uomini pratici e uomini teoretici: l’uomo teoretico è anch’esso un uomo pratico; vive, vuole, opera, come tutti gli altri: l’uomo che si è detto pratico, è anch’esso teoretico; contempla, crede, pensa, legge, scrive, ama la musica e le altre arti39.

Ebbene, le sottolineature di B. Croce fanno traballare una delle acquisizioni scientifiche più accreditate: la classificazione aristotelica secondo la quale, com’ è noto, le scienze sono suddivise in “teoretiche, pratiche e poietiche”40. Anche il pragmatismo e il materialismo storico hanno contribuito in tal senso, anche se da punti di vista differenti. Il pragmatismo41, per sfuggire al miraggio del collettivismo e all’astratto egualitarismo, ha delineato l’attività pratica come la condizione indispensabile per rendere l’individuo responsabile delle proprie azioni. L’agire pratico e l’agire formalizzato non devono costituire uno iato insuperabile, perché se così fosse sarebbe veramente difficile, se non addirittura impossibile, richiedere ai soggetti, agli operatori, la capacità di essere autonomi nell’agire, nello svolgimento della propria professione, specie quelle definite “liberali”, tra cui, appunto l’insegnamento. Il pragmatismo si preoccupa, dunque, dewianamente42, di “costruire” strumenti operativi razionali per affrontare e risolvere problemi emergenti nella quotidianità, per costruire dal basso modelli di partecipazione

39 Ibi, pp. 4-5. 40 Cfr. Aristotele, Metafisica, libro IV. 41 Per un primo sguardo d’insieme sul Pragmatismo cfr. J. Murphy, Il pragmatismo (1990), tr. it. di A. Pagnini, il Mulino, Bologna 1997. 42 Cfr. J. Dewey, The Early Works, 1882-1898, The Middle Works, 1899-1924, The Later Works, 1925-1953, Jo Ann Boydston (ed.), Carbondale, Southern Illinois University Press 1967, costituiscono l’edizione definitiva di tutti gli scritti pubblicati di Dewey, fatta eccezione delle lettere. Cfr. Id., Natura e condotta dell’uomo (1922), tr. it. di G. Preti e A. Visalbeghi, La Nuova Italia, Firenze 1968; Id., Esperienza e natura (1925), tr. it. di P. Bairati, Mursia, Milano 1973; Id., Liberalismo e azione sociale (1935-1937), tr. it. di R. Cresti, La Nuova Italia, Firenze 1974; Id., Esperienza e educazione (1938), tr. it. di E. Codignola, La Nuova Italia, Firenze 1984.

Page 23: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

21

democratica alla politica, al lavoro ecc. Il materialismo storico, dal canto suo, nella versione gramsciana, sostiene che occorre costruire una teoria che potenzi al massimo la pratica perché così si esalta la soggettività nella produzione, nel lavoro e si dà la possibilità di unire aspetti fondamentali della vita in una prospettiva di “egemonia”. Insomma, il soggetto che è capace di avvertire per primo il nesso tra previsione e prassi diventa avanguardia, si fa modello, si propone come elemento di cambiamento. La filosofia della prassi di Gramsci riconquista il valore della creatività del soggetto (Bergson, Croce, Sorel, Splengler, Weber et alii) e crea le condizioni per la partecipazione collettiva dei soggetti al cambiamento del processo produttivo. Gramsci va oltre lo stesso Weber che considerava la razionalità come rapporto tra mezzi e fini in quanto, a differenza del sociologo tedesco, ritiene che la razionalità è data dalle forze liberatrici del lavoro e non dalle burocrazie, dagli apparati. Il soggetto nella prassi è espressione di forza liberatrice ed è fondatore di nuova razionalità pratica43. Come si vede, idealismo crociano, pragmatismo e materialismo storico, da prospettive diverse, sono molto attenti nel tratteggiare le differenze tra la teoria e la prassi, tra la teorizzazione e la pratica, tra il pensare e il fare valorizzando soprattutto l’agire, l’azione. Queste tre diverse scuole di pensiero hanno in comune alcuni aspetti che è necessario innanzitutto evidenziare e poi ulteriormente elaborare nella prospettiva di una pratica insegnativo/educativa ritenuta “fonte” di teorizzazione pedagogica. Tratto comune assai importante ai fini pedagogici è il senso dell’agire nella prassi; il problema del senso è ineludibile questione non per puri fini speculativi, bensì è dirimente per il succitato dilemma tra téchnĕ e telos nel fare insegnativo/educativo che, se obnubila il telos, riduce l’insegnamento e il suo portato educativo a puro tecnicismo, rende la didattica semplice addestramento.

43 Cfr. E.J. Hobsbawm - G. Haupt - F. Marek - E. Ragionieri - V. Strada - C. Vivanti (eds.), Storia del marxismo, vol. III, Einaudi, Torino 1981, pp. 257-340; R. Pagano, Il pensiero pedagogico di A. Gramsci, Monduzzi, Milano 2014².

Riprendendo B. Croce possiamo dire che, per avvalorare la pratica come ontologicamente dotata di senso, occorre superare la descrizione, l’osservazione, la deduzione, di cui si avvalgono i moderni protocolli di indagine e bisogna riconsiderare l’attività pratica come una forma peculiare dello spirito. La pratica non è incosciente. Essa è espressione della volontà che si manifesta nell’atto pratico. In campo educativo, per esempio, è coscienza dell’agire dell’insegnante in quanto questi sente, avverte quello che fa, ne prova piacere o dispiacere, soddisfazione o frustrazione. L’attività pratica va dunque considerata come espressione autonoma dal pensiero, dalla volontà, è frutto dell’agire del soggetto, della sua libertà. Conoscerla, interpretarla, spiegarla è compito di una filosofia dell’educazione della prassi in fieri, ma di cui già si possono offrire le prime acquisizioni scientifiche. Il senso dell’agire insegnativo/educativo Come già in altri lavori è riportato44, l’orientamento attuale della ricerca pedagogica più avanzata sembra voler superare la visione deterministica dell’azione educativa (cioè evitare di imporre leggi per leggere l’esperienza educativa) e assumere un punto di vista di osservazione della realtà del fare educativo che tenga conto della imprevedibilità, dell’autopoiesi, dell’azione, caratteristica questa proprio dell’attività umana sempre sorprendente e generativa di processi strutturali nuovi. In questo modo, la pratica e la prassi insegnativo/educativa diventano documenti per studiare l’educazione e l’insegnamento, per coglierne gli aspetti cruciali nonché il senso e il fine per cui un’azione viene compiuta. È questo il compito che le scuole di pensiero di ricerca didattica più avanzate45 si

44 R. Pagano, Appunti per una filosofia dell’educazione, oggi, in C. Laneve - C. Gemma (eds.), La ricerca pedagogica in Europa, Atti del XXII convegno SIPED, Cassino, 24-26 maggio 2006, Pensa, Lecce 2006, pp. 407-418. 45 Per un primo orientamento cfr. R. Wittorski (ed.),

Page 24: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

22

sono date con studi approfonditi in verità più sulle metodiche e le modalità d’insegnamento che non su di una filosofia dell’educazione scaturente dalla pratica stessa46. È per questo che si profilala necessità di comprendere il senso dell’agire dell’educatore, dell’insegnante. Ma questo è possibile? Esistono sul piano della riflessione filosofica dell’educazione elementi categoriali per comprendere le direzioni di senso dell’azione insegnativo/educativa? Per rintracciare questi fondamenti categoriali le scuole di pensiero su accennate possono, senza dubbio, offrire un valido supporto47. Se in passato la filosofia dell’educazione, come abbiamo visto, è stata intesa come riflessione teoretica sull’educazione, una sorta di “filosofia prima”, una metafisica dell’educazione, oggi, essa rivolge la propria attenzione, così come avviene in altri campi del sapere48, alla prassi con l’avvertenza di non essere né pedagogia pratica, né tantomeno pratica della filosofia educativa49, ma filosofia della pratica educativa. È questa già una differenza importante. La filosofia della prassi educativa intende cogliere il senso originale dell’agire educativo senza essere pregiudizialmente carica di ideologismo, di dogmatismo, intende, cioè, essere libera di qualsiasi tentazione di essere una metafisica dell’educazione. Essa non è neanche attenta alla prasseologia educativa perché non ha come suo scopo cogliere le procedure abituali, le consuetudini che diventano, poi, norma, L’analyse des pratiques, «Éducation permanente», 160 (2004), pp. 21-154. Inoltre il testo di C. Laneve (ed.), Analisi della pratica educativa, cit. 46 Più che altro sono stati effettuati degli studi riguardanti la epistemologia della formazione, vedi, per esempio, M. Fabre, Epistemologia della formazione (1994) a cura di I. Padoan, Clueb, Milano 1999 e L. Mortari, Cultura della ricerca e pedagogia. Prospettive epistemologiche, Carocci, Roma 2007. 47 Non per ultima, senza dubbio, è da prendere in considerazione H. Arendt, Vita activa (1958) a cura di A. dal Lago, Bompiani, Milano 1989. 48 Cfr., tra gli altri, F. Battaglia, Diritto e filosofia della pratica, La Nuova Italia, Firenze 1932; I. Canicchi, Filosofia della pratica medica, Bollati Boringhieri, Torino 2002. 49 Cfr. S. Contesini - R. Frega - C. Ruffini - S. Tomellieri (eds.), Fare cose con la filosofia. Pratiche filosofiche nella consulenza individuale e nella formazione, Apogeo, Milano 2005.

legge. È importante questa distinzione, non è un puro esercizio intellettuale: la filosofia tratta problemi inerenti l’universale e non il particolare e se la prassi è universale, non lo è la prasseologia che sempre è legata al particolare. Che poi la universalità, in una dimensione ermeneutica, assuma carattere storico e sia socialmente situazionata ciò non toglie nulla al valore originale della riflessione filosofica sulla pratica educativa. Dicevamo precedentemente che l’analisi della pratica educativa è stata spesso intesa come lo sguardo sull’organizzazione tecnica dell’insegnamento50, ma in questo modo sfugge il senso, il fine dell’educare che, invece, è oggetto della filosofia pratica dell’educazione, la quale è scienza di fondamento, è ontologia dell’educare e dell’insegnare51. Possiamo affermare che essa non solo si occupa di comprendere, più che di spiegare, la pratica insegnativo/educativa, ma, addirittura, ha la pretesa di essere a fondamento della stessa pratica, ovvero è la sua ontologia. Oggi, come si sa, si assiste a uno sbilanciamento sempre più marcato tra pensiero e realtà, tra come vediamo la realtà e come essa è veramente. Se la filosofia dell’educazione vuole essere a fondamento della pratica educativa deve essere un esercizio del pensiero che s’interroga continuamente sulla natura dell’educare non in astratto, ma nel concreto, nell’azione, nell’atto dell’educare per coglierne la essenzialità, la sostanza, per capire quanto la nostra soggettività riesca a comprendere l’oggettività fattuale. È questa la sua scientificità. È il suo un sapere primo dell’educazione pratica rispetto al sapere secondo della tecnica dell’educazione pratica. Solo la filosofia dell’educazione che saprà rendere radicalmente ontologico il suo pensiero sulla pratica, potrà aspirare a orientare valorialmente la pratica educativa stessa. La filosofia pratica dell’educazione non è sintesi dei saperi sull’educazione52, essa è sapere originale posto a fondamento delle

50 Si veda le “pedagogie della scuola” 51 U. Margiotta, Teorie della formazione, Carocci, Roma 2015, pp. 193-197. 52 Cfr. G. Mialaret, Les Sciences de l’éducation, PUF, Paris 1983.

Page 25: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

23

scienze dell’educazione per studiare, capire, comprendere l’atto e l’azione insegnativo/educativa. Comprendere “perché educare?” è proprio delle filosofie prime dell’educazione, e queste lo fanno utilizzando categorie trascendentali aprioristicamente scelte; la filosofia della prassi insegnativo/educativa, invece, rivolge la propria attenzione all’atto educativo juxta propria principia, cioè come generativo dell’educazione e del suo senso, del suo fine. L’atto come verità prima è fenomenologicamente una verità semplice che precede ogni forma di concettualizzazione. Esso è factum, di cui bisogna saper definire sostanza e forma, liberi da presupposti ideologici. L’atto più che spiegato va compreso attraverso un’ermeneutica dello stesso sempre modificabile, aperta, suscettibile di ulteriori comprensioni. La comprensione è la configurazione dell’atto insegnativo come verità prima. L’atto è il punto di partenza dell’analisi della filosofia della prassi dell’educazione. Ad esso è connessa l’azione. Essa non si riduce solo al movimento del corpo, cioè all’agire materiale, ma coinvolge affezioni, sensazioni, volizioni ecc. e questo aspetto non è affatto da trascurare nell’analisi della pratica insegnativo/educativa. L’azione si muove sempre con altre azioni e, quindi, va considerata nelle sue relazioni. L’atto attualizzato nell’azione è costitutivo dell’agire umano. È personale, è legato all’esperienza del soggetto insegnante che paradossalmente lo compie come qualcosa che lo distingue dall’atto. Ovvero: l’insegnante compie l’azione, ma essa non è l’atto intenzionale originario perché su di lui influisce il contesto sociale. E sarà proprio questo a rendere l’azione insegnativa come azione comunicativa. Pertanto, la filosofia della prassi educativa analizza l’aspetto comunicativo e linguistico. Di esso studia il movimento corporale e la linguisticità considerata come condizione di espressione del sé e della socialità. Altro aspetto dell’azione è la spazialità/temporalità. Non quindi lo spazio e il tempo, presi come assoluti trascendentali, ma il distendersi dell’insegnante nello spazio

e nel tempo, in questo preciso spazio e in questo preciso tempo. La spazialità dell’insegnante in classe è di natura fisico-sistemica, il suo movimento è socialmente orientato. Il tempo, dal canto suo, è il trascorso dell’azione. La variabile spazio- temporale, che sembrerebbe sfuggire all’analisi della filosofia della prassi educativa, invece è di grande importanza per l’analisi della pratica d’insegnamento in quanto consente di comprendere l’azione dell’insegnante in maniera più completa e più organica. Lo spazio/tempo dell’insegnante è una variabile di apprendimento la cui analisi non può essere trascurata. L’azione, inoltre, ha una dimensione morale concreta, che si manifesta nell’azione stessa. Il discorso è qui alquanto complicato perché l’analisi della pratica, vista sotto la lente morale, potrebbe indurre nuovamente la filosofia dell’educazione a forme di metafisica morale, lontana dalla realtà. Ritenere un’azione dell’insegnante moralmente buona potrebbe voler dire che risponde a principi morali anteposti. In questo modo l’azione morale non è reale, è teorizzata. Nella pratica quando un’azione si potrà dire morale? Forse semplicemente quando fa bene a chi la subisce, a chi è rivolta e viceversa. Altro elemento importante è l’attuazione dell’azione. L’attuazione insegnativa è, al tempo stesso, azione intenzionale, orientata e strutturata dalla stessa intenzionalità. A guidare l’azione intervengono la memoria, il calcolo, il sentire, l’accidentalità. Lo schema intenzionale dell’azione precede l’azione stessa, come dice Heidegger, «il martellare non si risolve nella semplice conoscenza del carattere di mezzo del martello, ma si è invece già appropriato di questo mezzo come più adeguatamente non sarebbe possibile» e poi continua

il martello è oggetto di contemplazione, quanto più adeguatamente viene adoperato, e tanto più originario si fa il rapporto ad esso e maggiore il disvelamento in cui esso ci viene incontro in ciò che è, cioè come mezzo […] è il martellare a scoprire la

Page 26: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

24

specifica usabilità del martello53. L’azione di insegnamento, quindi, racchiude in sé l’intenzionalità dell’insegnamento che il docente intende impartire e tanto più la conosciamo tanto più disveliamo l’intenzionalità originaria dell’insegnante. È chiaro, allora, che l’azione di insegnamento non è meccanicamente predeterminata, ma è orientata nel momento stesso in cui si compie. E quale sarà questo orientamento? Esso è dato soprattutto dalla memoria e dal presente. La memoria richiama precedenti situazioni, il presente fa in modo che la memoria si adatti o si modifichi al contingente. L’attuazione dell’azione insegnativa è determinata dallo schema intenzionale del docente che, a sua volta, è orientato da altri fattori non meno importanti. Le resistenze al cambiamento sono causate anche da questi schemi intenzionali che impediscono di entrare in quello che la filosofia classica chiama Io, la soggettività che solo il sociale può cambiare. L’attuazione dell’azione insegnativa si inscrive a un livello fondamentale della pratica, lì dove giocano un ruolo fondamentale il linguaggio, il sistema sociale, la morale ecc. Per modificare l’attuazione dell’azione occorre superare il blocco della memoria che, attraverso il passato, impone schemi precostituiti. Ma l’attuazione didattica per essere innovativa necessita di una nuova organizzazione dell’attività didattica, la quale ha una sua razionalità basata sul principio di realtà. È nella pratica quotidiana che l’attuazione dell’azione didattica trova forme espressive della creatività del docente, la rende inquieta e la caratterizza come del tutto personale. Per concludere La pedagogia della prassi insegnativo/educativa è una filosofia dell’educazione perché è una Weltanschuung

53 M. Heidegger, Essere e tempo (1927), tr. it. a cura di P. Chiodi, UTET, Torino 1969, pp. 141-142.

educativa che si propone di individuare quali debbono essere i principi, teoretici e pratici, che devono guidare l’agire dell’insegnante/educatore nelle relazioni didattico/educative. La pedagogia della prassi è una pedagogia immanente, è una pedagogia storicistica, è aderente alla realtà e alla verità dell’uomo da educare. Nella pedagogia della prassi le negatività del soggetto, le inquietudini legate agli stadi evolutivi (infanzia, adolescenza ecc.) non sono un peso, anzi rappresentano la base per innescare processi positivi di crescita. La storicità del soggetto è, appunto, una risorsa. Anche il rapporto tra struttura e sovrastruttura nella pedagogia della prassi può essere rivisto in maniera positiva e non conflittuale. La sovrastruttura (lì dove albergano i valori educativi), l’epifenomeno, non è un qualcosa di passivo, ma è legato alla struttura (alla materia del soggetto) come un opposto dialettico simbolicamente correlato. Il valore concreto dell’essere del soggetto serve a quest’ultimo per prendere coscienza della propria storicità, in tal modo «tra struttura e superstruttura esiste un nesso necessario e vitale»54. La struttura del soggetto diventa pertanto una «causazione dialettica, non meccanica, delle superstrutture»55. La pedagogia della prassi è, come si vede, dialettica. Essa gioca costantemente con gli opposti, la materia e i valori dell’educazione. E questo gioco è tra la necessità dello sviluppo del soggetto, legato alla materia, e la libertà che il soggetto ha di determinare il proprio sviluppo. Il superamento dell’opposizione tra necessità e libertà con la pedagogia della prassi è “catartico”. Libertà e necessità non sono considerati alla maniera crociana dei “distinti” contrapposti, ma opposti che hanno una tensione-coesione nell’azione didattico/insegnativa. L’unità del soggetto non è affatto compromessa, è proprio l’unità della materia che crea tensione verso i valori educativi. La pedagogia della prassi è

54 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, Quaderno 10 II, 41 XII, p. 1321. 55 Id., Quaderni del carcere, cit., Quaderno 4, 56, p. 503.

Page 27: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

25

real/idealistica perché considera necessitato dalla materia lo sviluppo del soggetto, ma altresì determinato dalla sua volontà e dall’intervento dell’insegnate e/o dell’educatore. La pedagogia della prassi, in ultima analisi, intende essere la ricerca dell’ortodossia della pedagogia che voglia ritornare alle sue origini, ovvero essere per l’educazione dell’uomo e, in quanto tale, è un progetto neo-umanistico, contrario a determinismi e a positivismi e più che una scienza è una scienza-azione per la trasformazione della società in prospettiva educativa. La didattica come praxis è superamento del praticismo didattico, è critica del “senso comune”

didattico, della quotidianità scolastica, spesso assurta a dogma acritico. La didattica come praxis così può essere una vera e propria pedagogia della prassi e può proporsi come scienza pedagogica nel vero e autentico significato di pedagogia.

Riccardo Pagano, Università di Bari

Teoria dell’educazione e formazione della professionalità docente Maria Teresa Moscato L’A. denunzia l’espulsione di fatto dei contenuti della pedagogia generale dalla formazione professionale degli insegnanti, all’interno del modello del Tirocinio Formativo Attivo (TFA), espulsione che può venire spiegata come conseguenza dei processi di trasformazione strutturale intervenuti nell’Università italiana a partire dai primi anni Novanta, ma anche come conseguenza di una crisi di identità della ricerca pedagogica accademica, i cui fondamenti epistemologici sono stati indeboliti da queste stesse trasformazioni. Il testo riassume anche, molto brevemente, il percorso di fondazione e sviluppo della pedagogia come disciplina accademica, a partire dalla metà dell’Ottocento, e ipotizza che la ragione principale della crisi sia da individuare proprio nella negazione di una dimensione teoretico/filosofica della ricerca pedagogica, senza la quale non è più possibile fondare una pedagogia come teoria dell’educazione, prima che come teoria dell’azione educativa. The A. denounces the real expulsion of the contents of pedagogy from professional training of teachers,

within the model of Apprenticeship Training Active (TFA). This expulsion can be explained as a result of the processes of structural transformation of the Italian University since the early nineties, and also as a result of an identity crisis of academic educational research, whose epistemological foundations were weakened by these same transformations. The text also briefly summarizes the path of foundation and development of pedagogy as an academic discipline, since the mid-nineteenth century, and suggests that the main reason of the crisis is the denial of a theoretical/philosophical dimension of educational research, without which it is no longer possible to establish a pedagogy as educational theory before than as educational action. Una premessa storica e teorica Per quanto possa apparire strano (almeno apparentemente), si deve riconoscere che oggi il rapporto fra i contenuti della pedagogia generale e la formazione alla professionalità docente appare tutt’altro che definito. Il dato è paradossale, soprattutto se si considera che la pedagogia come disciplina accademica si è sviluppata, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, proprio in parallelo e in relazione diretta con lo sviluppo e il consolidamento dei sistemi scolastici in tutto l’Occidente euro-americano. Di fatto nell’ottimistico clima culturale segnato dal Positivismo evoluzionista del secondo Ottocento, la pedagogia nasce come “scienza del metodo” di insegnamento (con una tendenziale assimilazione riduttiva fra i concetti di educazione e di istruzione /insegnamento), e

Page 28: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

26

la sua razionalità scientifica appare idealmente finalizzata e riferita, in termini specifici, alla professionalità, da costruire, degli insegnanti della scuola primaria. Storicamente, lo sviluppo di una pedagogia di livello accademico in Italia, oltre che nella prospettiva della razionalità scientifica e del progresso sociale e politico, si colloca nell’ottica della costruzione della nazione, prima e dopo l’unificazione politica. Ricordiamo che il più antico testo accademico italiano di pedagogia si deve all’abate Antonio Rayneri1, docente all’Università di Torino, e l’istituzione dell’insegnamento universitario della pedagogia appare originariamente finalizzata al suo riversamento nelle Scuole Normali, che formavano allora i maestri elementari2. Una radice teorica parzialmente diversa, nello sviluppo della pedagogia accademica, era costituita dalla sua presenza nei curricoli della ex Facoltà di Lettere e Filosofia, insegnamento spesso affidato a filosofi morali3, e collocato

1 Antonio Rayneri (1810-1867), influenzato dal pensiero di Rosmini, consigliere già del ministro Boncompagni per la legislazione scolastica piemontese del 1848, incaricato di pedagogia all’università di Torino, fin dai primi anni dell’istituzione di tale cattedra, autore del primo testo di pedagogia accademica italiana (cfr. A. Rayneri, Della Pedagogia, Libri cinque, G. Scioldo, Torino 1877. Il testo è stato completato da G. Allievo, anch’egli docente di pedagogia all’Università di Torino). I Principi di metodica del Rayneri (cfr. Id., Principi di metodica, Paravia, Torino 1850) di cui si ebbero almeno tre edizioni fino al 1875, furono adottati per decenni nelle Scuole Normali. 2 Le “Scuole normali” esistevano già nei Regolamenti asburgici del tardo Settecento. Sono regolamentate, nel periodo preunitario, dalla piemontese Legge Casati (1859) come scuole triennali post elementari specializzate nella formazione dei maestri elementari. Nella riforma Gentile del 1923 furono sostituite dall’Istituto Magistrale, con un corso settennale continuativo. Le Scuole Superiori di Magistero, per la formazione dei docenti delle Scuole Normali, divennero a pieno titolo Facoltà universitarie con le legislazione del 1933. Fino ai primi anni Novanta, alle Facoltà di Magistero accedevano solo (con una prova di ammissione selettiva) i diplomati dall’Istituto Magistrale. L’accesso si estese a tutti i diplomati da una secondaria superiore quinquennale con l’adozione della nuova Tabella XV nel 1992. 3 Nella Tabella XXII del corso di Laurea in Filosofia, sostituita dall’ordinamento fissato dal DM 509/1999, la pedagogia e la psicologia erano presenti come insegnamenti obbligatori dell’area filosofica, e come tali potevano essere scelti anche dagli studenti dei corsi

dentro il curriculum di filosofia. Questa componente teorica, rafforzata nei primi decenni del Novecento nell’orizzonte segnato dall’Idealismo, era percepibile nettamente fino agli anni Settanta, per quanto le cattedre di Pedagogia nelle Facoltà di Lettere fossero pochissime, rispetto a quelle delle Facoltà di Magistero4. La presenza delle discipline pedagogiche nelle Facoltà di Lettere (e in genere fuori dagli ex Magisteri) è stata eliminata del tutto solo con le trasformazioni degli anni Novanta/Duemila (trasformazioni degli ordinamenti tabellari e dei Settori scientifico disciplinari). Per le discipline pedagogiche la nuova Tabella XV, nei primi anni Novanta, comportava l’affermazione del paradigma delle scienze dell’educazione5, e quindi la riduzione degli spazi delle discipline pedagogiche storico-teoretiche, proprio mentre si definiva un nuovo percorso di formazione degli insegnanti secondari nelle Scuole di Specializzazione post laurea, e degli insegnanti elementari per mezzo di uno specifico corso di laurea6. di laurea in storia e in lettere classiche e moderne. Una riflessione più ampia in: M.T. Moscato (ed.), Insegnare scienze umane, CLUEB, Bologna 2007. 4 Nella ristrettezza dei numeri c’erano però nelle Facoltà di Lettere presenze estremamente significative nel quadro disciplinare delle scienze pedagogiche, come ad esempio quella di A. Visalberghi, di Maria Corda Costa, di Maria Teresa Gentile a Roma La Sapienza, di Dina Bertoni Jovine e di G. Corallo a Catania, di Raffele Laporta a Chieti, e poi di Riccardo Massa alla Statale di Milano. Ma in genere i filosofi dell’educazione erano significativi capi scuola anche all’interno delle Facoltà di Magistero e anche rispetto alle nascenti discipline pedagogiche non filosofiche: è il caso di G.M. Bertin, e poi di Piero Bertolini, al Magistero di Bologna, dove la presenza incisiva del filosofo dell’educazione non impedì affatto lo sviluppo della riflessione e della ricerca pedagogica applicata, ma anzi risultò per essa promozionale. 5 Per una discussione documentata su questo punto rimando a M. Caputo, La pedagogia e il paradigma delle scienze dell’educazione: questioni storico epistemologiche, in M.T. Moscato (ed.), Insegnare scienze umane, cit., pp. 23-42. 6 Istituiti entrambi dalla L. 341/1990. Le SSIS, attivate nell’a.a. 1999/2000 furono abolite nel 2008. Il corso di laurea per maestri, attivato ancora dopo il 2000, successivamente trasformato da due ulteriori interventi, è al momento attivo in forma quinquennale con valore abilitante presso gli attuali Dipartimenti di Scienze dell’Educazione (o comunque nelle strutture derivate dalla trasformazione dell’ex Facoltà di Scienze della Formazione, per effetto dell’ultima normativa Gelmini

Page 29: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

27

In sintesi, nel momento in cui le discipline pedagogiche sembrano qualificarsi e articolarsi con una maggiore specializzazione e una più netta identità specialistica, proprio allora si allenta il netto rapporto fra il loro sviluppo e la formazione degli insegnanti: la pedagogia dilata il proprio orizzonte di ricerca e di interesse, attribuendosi un campo d’azione teoricamente illimitato, ma si frammenta all’interno in termini di crescente distinzione/ specializzazione. Nel quadro della specializzazione interna, mentre i sotto-settori didattico sperimentali guadagnano una centralità (epistemologica e funzionale) rispetto al campo scolastico, la pedagogia, riclassificata come “generale”, ne viene progressivamente espulsa. Questa sparizione dall’orizzonte scolastico è parallela alla riduzione progressiva della presenza della pedagogia come disciplina teoretica dai curricoli accademici. Emblematica, a questo proposito, appare la collocazione delle discipline denominate “pedagogia sperimentale” e “pedagogia speciale” nei SSD della didattica, a sancire una presunta “scientificità” esclusiva dell’area didattica, e una “teoreticità” (percepita come “non scientifica”) dell’area pedagogica, e per conseguenza la progressiva marginalizzazione accademica di quest’ultima7. La cancellazione delle scienze pedagogiche storico-teoretiche non era ancora avvertibile nelle prime due formulazioni della nuova Tabella XV (Facoltà di Magistero) negli anni 1992/94. La marginalizzazione della pedagogia generale, e in parallelo della storia dell’educazione e della scuola, e la sparizione della filosofia dell’educazione, diventano più nettamente avvertibili dall’inizio degli anni Duemila, in cui possiamo percepire un processo di delegittimazione scientifica della pedagogia generale, come esito di una ulteriore riorganizzazione delle Tabelle dei corsi di laurea e dei settori scientifico-disciplinari8.

di riforma universitaria). 7 Naturalmente non si deve con ciò tanto attribuire al legislatore una consapevolezza epistemologica e politica, quanto riconoscere la presenza di contrapposizioni di interessi e di faide interne fra gruppi accademici. 8 Lo dimostrava una ricognizione sulle attivazioni degli insegnamenti di area pedagogica nelle Facoltà di Scienze della Formazione presenti sul territorio nazionale, subito dopo il riordino strutturale già intervenuto. Cfr. G. Pinelli - M.T. Moscato - M. Caputo, Gli insegnamenti dell’area pedagogica tra

Rispetto alla formazione degli insegnanti, in particolare, nella sparizione della pedagogia confluiscono, per un verso, elementi di precarietà e incongruenza normativa9 (c’è stato un funesto e compulsivo “tessere e disfare” norme e strutture, come caratteristica dell’ultimo quindicennio); per un altro verso, come abbiamo già detto, esiste anche una contrapposizione interna ai settori accademici pedagogici, perché il sistema scolastico e la formazione degli insegnanti determinano comunque un mercato editoriale e formativo, anche informatizzato, e creano carriere professionali, dentro e fuori dall’Università e/o dalla Amministrazione scolastica. E, in tutti i casi, utopie ideali, ideologie, e interessi meno nobili, si combinano in articolati chiaroscuri diversamente percepiti10, e molte diverse verità professionalizzazione e riflessione pedagogica, in L. Galliani (ed.) Il docente universitario. Una professione tra ricerca, didattica e governance degli Atenei. Tomo II. Atti della VIII Biennale Internazionale sulla Didattica Universitaria, Pensa MultiMedia, Lecce 2011, pp. 557-582. 9 Il TFA costituisce solo il segmento parziale di un modello più articolato, contenuto nel DM 249/2010. L’anno di TFA avrebbe infatti dovuto concludere un percorso la cui parte centrale era costituita da uno specifico corso di laurea magistrale abilitante di durata biennale. Il DM prevedeva quattro corsi di laurea magistrale abilitanti, relativi ad alcune classi di concorso per la scuola media. La definizione delle analoghe lauree magistrali abilitanti per la secondaria superiore veniva rinviata ad altra decretazione (mai intervenuta). E così le ipotizzate lauree abilitanti specifiche per l’insegnamento nella secondaria di primo grado non sono mai state attivate. Il disegno iniziale prevedeva quindi una più ampia articolazione dei contenuti disciplinari e una diversa organizzazione dell’area delle scienze dell’educazione, dentro un biennio magistrale specialistico di 120 crediti formativi in totale. In altri termini, il disegno complessivo intendeva ampliare in maniera organica e più mirata il precedente modello delle SSIS biennali, a suo tempo progettato in rapporto alle lauree quadriennali. L’attuale modello di TFA si presenta, viceversa, come una SSIS ridotta ad un solo anno e drasticamente semplificata in termini qualitativi e quantitativi, che si innesta su percorsi accademici di tipo Tre + Due, non specificamente orientati alla professione docente. 10 È sempre esistita, riguardo alla formazione e all’aggiornamento degli insegnanti di tutti i livelli, una sorta di «accademia parallela» con un proprio mercato interno, ad esempio nella preparazione ai concorsi. Cfr. M. T. Moscato, La formazione degli insegnanti in Italia fra esperienza e progetto, in L. Corradini (ed.), Insegnare perché? Orientamenti, motivazioni e valori di una professione difficile, Armando, Roma 2004, pp.

Page 30: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

28

non si escludono. Va dunque compresa sotto molti aspetti la condizione presente, nella quale la pedagogia è stata di fatto espulsa dalla formazione professionale degli insegnanti, nell’attuale (ma già politicamente cancellato) modello TFA11. La «crisi di identità» della pedagogia Tuttavia, oltre e dietro gli elementi che abbiamo già esposto, in verità esiste un elemento più essenziale e profondo, a causa del quale non sappiamo più affermare chiaramente a che cosa serva la pedagogia nella formazione degli insegnanti: questo elemento, a mio parere, è dato dalla nostra infinita e irrisolta crisi di identità scientifica. Proprio la negazione di una matrice filosofica, determinata dal paradigma vincente delle scienze dell’educazione, ci schiaccia oggi sulle “cose”, sui “luoghi”, sui “mezzi” dell’agire educativo, mentre l’idea stessa di educazione è sfumata, nel suo dilatarsi a un generico «tutti che educano tutti e per tutta la vita»12. Sembra dimenticato, in questi anni, anche fra i pedagogisti generalisti, che il primo elemento di conoscenza che ha intrinseco valore formativo, sia rispetto ai giovani in genere, sia rispetto agli aspiranti insegnanti, è proprio una teoria interpretativa dei processi educativi e dei loro dinamismi. E ciò proprio nella logica di una migliore comprensione di noi stessi, e dei dinamismi sociali e culturali in cui viviamo. Una teoria dell’educazione non più concettualizzata lascia spazio a molte rappresentazioni implicite dell’educazione, e sono queste che governano di fatto le condotte (e le assenze/ abbandoni) di educatori (genitori compresi) e insegnanti. E le “ricette”

159-170; Ead., Il nuovo percorso di formazione alla docenza e il possibile ruolo delle associazioni professionali, «La Scuola e l’Uomo», LXIII, 6 (2006), pp. 154- 162. 11 Ead., Splendori e miserie del TFA. Il suicidio scientifico delle discipline pedagogiche, «Nuova Secondaria», 10 (2015), XXXII, pp. 19-23. M.T. Moscato, M. Caputo, Il modello TFA/PAS e la professionalizzazione dell’insegnante: un primo bilancio, «Formazione lavoro persona», 12 (2014), IV, pp. 105-116. 12 M.T. Moscato, Ripensare la pedagogia: passione, illusione, progetto, «Education Science and Society», 6 (2012), pp. 29-54.

scientifiche delle discipline didattiche nascondono sempre rappresentazioni e “teorie implicite”, più o meno frammentate; talvolta danno spiegazioni, direzioni di lavoro, ma quasi mai significati globali, visioni complessive. E molti frammenti, anche ben definiti e vivacemente colorati, non per questo costruiscono mosaici dotati di senso. Occorre anche aggiungere, storicamente, che l’esperienza di un percorso sistematico di professionalizzazione per gli insegnanti secondari, avviato dall’istituzione e dallo sviluppo delle SSIS, fra il 2000 e il 2008, aveva viceversa generato, in molti Atenei, una legittimazione in concreto, attraverso l’impegno didattico nelle SSIS e gli studi e i materiali didattici prodotti a partire da questo13. Certamente tale processo positivo non si è realizzato in tutte le sedi universitarie allo stesso modo, ma senza dubbio la struttura SSIS costituiva una condizione materiale per questo sviluppo, in tempi più o meno lunghi, attraverso l’incontro fra docenti (delle aree pedagogico-didattiche come delle differenti aree disciplinari); il confronto di fatto fra accademici e insegnanti in servizio; il dialogo concreto fra formatori di insegnanti e aspiranti insegnanti. E non posso non ricordare che qualsiasi bilancio scientifico sull’esperienza SSIS è stato reso impossibile dal clima socio-politico, originato da posizioni ministeriali, che, senza mai offrire al pubblico le ragioni e i motivi della propria scelta, ha deciso la loro cessazione in termini “punitivi”, e la sostituzione con la macchina del TFA, che risulta oggettivamente peggiore sotto molti aspetti. Per parlare del rapporto fra pedagogia e professionalità docente bisognerebbe inoltre riuscire a condividere una teoria della scuola e dell’insegnamento, che fosse più ampia e più concreta dei modelli formali e procedurali accreditati oggi dalla pubblica amministrazione (e da gran parte della ricerca pedagogica

13 G. Pinelli, La professione docente tra rappresentazioni e progetto formativo. Un’analisi pedagogica della competenza degli insegnanti secondari, Aracne, Roma 2013. M.T. Moscato, Diventare Insegnanti. Verso una teoria pedagogica dell’insegnamento, La Scuola, Brescia 2008a. Ead., L’esperienza SSIS nelle valutazioni dei Coordinatori di Indirizzo, in L. Balduzzi - I. Vannini (eds.), Nuovi insegnanti per una scuola nuova? Un’indagine tra i docenti formati alla SSIS di Bologna, CLUEB, Bologna 2008b, pp. 71-92.

Page 31: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

29

accademica). E tali modelli, di cui si è affermato il linguaggio e la proceduralità burocratica, diventano un ostacolo alla ricerca pedagogica in materia di insegnamento, già a livello di rappresentazioni collettive. In altri termini, per riuscire a delineare, e quindi a comunicare, la funzione di un contenuto pedagogico specifico nella formazione professionale degli insegnanti, bisognerebbe chiarire in che cosa consistano gli specifici contenuti pedagogici, e qui ci ritroviamo di nuovo di fronte ad una comunità scientifica che non riesce a concordare al proprio interno neppure il concetto di educazione. Come ho già detto, la mia posizione personale (che è anche il principio con il quale ho lavorato nella formazione insegnanti negli ultimi dieci anni almeno) è che l’elemento pedagogico per eccellenza sia proprio una concezione di educazione fenomenologicamente indagata (l’educazione come processo globale dotato di elementi strutturali comuni) e continuamente ripensata attraverso l’analisi dei fenomeni concreti che oggi la intersecano. Non quindi una pedagogia come teoria normativa ma piuttosto, e prima, una pedagogia interpretativa e descrittiva, che non abbia timore di usare altre categorie scientifiche nell’area delle scienze umane, ma soprattutto che non rinneghi un’anima filosofica che è sempre necessaria per la sua continua rifondazione scientifica. Ad esempio, non una teoria normativa dell’educazione familiare, e neppure una nuova ideologia della famiglia, ma piuttosto l’analisi degli elementi scaturenti dal conflitto coniugale che intervengono negativamente nei processi educativi dei bambini. Solo da una tale comprensione possiamo ricavare almeno indicazioni generali di metodo per gli insegnanti che vengono coinvolti (es. come gestire un colloquio; a che cosa prestare attenzione in una dinamica di gruppo classe). Direi che in primo luogo si tratterebbe di guadagnare, per gli insegnanti professionisti, uno sguardo e una sensibilità pedagogica, generati da una comprensione dei fenomeni educativi. Il principio didattico generalissimo che l’educazione nella scuola debba mirare ad una riflessione continua sull’esperienza (è il grande principio formulato da J. Dewey), e addirittura ad una anticipazione dell’esperienza stessa, suppone un concetto ampio di educazione (che nella scuola viene concretamente mediata dall’insegnamento). Una teoria pedagogica (ma

anche una teoria didattica) deve necessariamente sposare una teoria della cultura e una teoria della mente che apprende, e invece assistiamo ad un ridursi/ripiegarsi della teorizzazione didattica dentro i confini di una teoria della conoscenza di tipo quantitativo (la “messa a livello” teorizzata dalla L. 509; i test di avvenuta lettura che invadono i libri di testo scolastici e che non sono mai test di comprensione; il fatto che ci riduciamo a insegnare, con laboriose programmazioni, solo ciò che possiamo valutare e certificare con sicurezza…). E per contro certi documenti del tipo linee guida (come il quadro europeo delle competenze di cittadinanza del 2006) sono puri elenchi di buone intenzioni educative, del tutto privi di supporti rispetto alle possibilità, oltre che alle modalità, di realizzazione didattica (anche perché non hanno dietro alcuna ricerca né empirica, né storica). Prospettive di lavoro Senza una concezione dell’educazione non si può affrontare davvero, e concretamente, il tema dell’insuccesso scolastico, né spiegare i fallimenti ripetuti delle nostre strategie procedurali, di fronte a ragazzi che oggi, soprattutto nella secondaria superiore, a scuola ci vengono il meno possibile (e quando lo fanno pensano ad altro). Eppure questo dovrebbe essere un tema rilevante per la professionalità docente… E che dire poi dei rapporti con le famiglie, delle sensibilità multiculturali oggi necessarie a lavorare nelle scuole? Ogni problema rilevante per la professionalità docente esige di essere affrontato prima con categorie pedagogiche ampie e profonde (non con nomi nuovi per teorie superate, o con nuove ideologie politically correct che sostituiscono vecchi pregiudizi). I fenomeni educativi si devono studiare, prima di riformulare possibili principi metodologici. Un giudizio sulla ricerca pedagogica attuale aprirebbe un’altra lunga pagina (per me dolorosa), di nostre assenze, superficialità, incongruenze. Perché tutto naturalmente è interconnesso: difetto epistemologico, mancanza di ricerca rigorosa, assenza di contenuti pedagogici mirati alla professionalità docente. Da dove dobbiamo ricominciare? È facile avere

Page 32: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

30

speranza nella gioventù, come sempre, e per ogni generazione. Ma io credo che

il filosofare di ciascuno non possa prendere inizio da una immediata spontaneità di pensiero, ma dall’elaborazione del patrimonio che la tradizione speculativa ci offre, sotto la pressione della vita e dell’esperienza concreta14

Ho citato questa espressione di Banfi, che faccio mia senza riserve, perché mi ha colpita a suo tempo, ma so che molti e diversi maestri della pedagogia italiana l’avrebbero condivisa senza difficoltà. Non saranno «la pressione della vita e l’esperienza concreta», da sole, a rinnovare la tradizione pedagogica, sia pure sperando in una nuova generazione di studiosi. La domanda è: quale «patrimonio» di tradizione di ricerca e di speculazione sta ereditando la

Professionalità docente e pedagogia generale. Un rapporto che non c’è Hervé A. Cavallera Il rapporto tra professionalità docente e pedagogia generale dovrebbe esere scontato, ma non è le è. Le ragioni vanno individuate nelle difficoltà con cui si è costituita nel tempo la pedagogia come disciplina a sé stante e nelle contraddizioni del sistema scolastico. A tutto questo non ha giovato il carattere strumentale che alcune concezioni hanno assegnato alla pedagogia nel corso del Novecento, trascurando la sua dimensione fondante di natura ontologica. Al presente la situazione è ancor più disagevole a causa della crisi del sistema scolastico, generata non solo dalla presenza di altre modalità

14 A. Banfi, La mia prospettiva filosofica, in G. Bertin, L’idea pedagogica e il principio di ragione in Banfi, Armando, Roma 1961, p. 188.

nuova generazione di pedagogisti? Lasciare la responsabilità del futuro al futuro stesso è solo un modo di negare la responsabilità della generazione anziana, alla quale io appartengo, e della quale intendevo richiamare l’attenzione con questo intervento, che si colloca in un seminario del CIRPED, vale a dire di una Associazione scientifica di pedagogisti generalisti.

Maria Teresa Moscato, Università di Bologna

Ulteriori riferimenti bibliografici M.T. Moscato, Preadolescenti a scuola. Insegnare nella secondaria di primo grado, Mondadori, Milano 2013. Ead., Religiosità ed esperienza religiosa in Banfi. Per una fondazione pedagogica dell’educazione religiosa, «Studi sulla formazione», 1 (2015), pp. 81-116.

di apprendimento, ma dalla diffusione del mercato globale e dal primato di una economia che ignora l’etica. The relationship between teacher professionalism and pedagogy should be obvious, but is not it. The reasons should be identified in the difficulties with which thepedagogy has formed over time as a discipline in its own right and in the contradictions of the school system. All this has not helped the instrumental nature that some conceptions were assigned to pedagogy in the twentieth century, disregarding its fundamental ontological dimension. At present the situation is even more uneasy due to the school system crisis, generated not only by the presence of other modes of learning, but the spread of the global market and by the primacy of an economy that ignores ethics.

Page 33: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

31

L’insegnamento esiste da tempo immemorabile, se non altro nel senso che il genitore ha da sempre addestrato la prole per essere in grado di sopravvivere. Specialmente per l’essere umano, poi, l’arte dell’insegnamento/apprendimento si è fatta col passare del tempo sempre più complessa anche perché l’uomo ha sviluppato una serie di linguaggi sempre più complessi e ha costituito comunità sempre più complesse sì che il mero addestramento, garante della sopravvivenza, non è bastato più. Sotto tale profilo il corso della storia può essere anche letto come il processo di civilizzazione nel quale l’educazione ha svolto un ruolo sempre più rilevante, implicando la necessaria riflessione (la pedagogia) sulla stessa attività educativa. Si tratta di un discorso che si può in questa sede appena accennare, ma che si può dire, nelle sue linee portanti, di una evidenza cartesiana. D’altra parte il costituirsi della pedagogia come disciplina è strettamente collegato all’insegnamento. Si può osservare che essa nasce propriamente come sophia con l’inevitabile collegamento ad un sapere sapienziale più che scolastico, ma l’estensione secolarizzata del sapere, in funzione di una diversa e migliore qualità della vita sociale, ha imposto, con gradualità, il sorgere delle scuole e quindi una sempre più stretta connessione tra pedagogia e insegnamento. Si può pertanto osservare, almeno in riferimento alla storia della civiltà occidentale dall’età moderna ad oggi, che non necessariamente la pedagogia si esaurisce nella sua dimensione legata all’insegnamento, ma che l’insegnamento, una volta costituito all’interno dei diversi gradi scolastici non può prescindere dai “precetti” pedagogici. L’insegnante, di qualunque grado scolastico faccia parte, non può non avere una coscienza pedagogica. La negazione di ciò che dovrebbe essere evidente Alla luce di quanto sopra e se si considera che si vive in una società in cui da tempo si è affermata una scolarizzazione di massa, si deve logicamente affermare a priori che il problema non dovrebbe porsi. Il nesso tra pedagogia (e in particolare ciò vale per la pedagogia generale) e insegnamento non può che esistere, anzi deve esistere. Infatti se l’insegnante è un disciplinarista, egli

in quanto disciplinarista deve apprendere i contenuti della sua disciplina o discipline e in quanto insegnante deve ricevere dalla pedagogia generale le indicazioni operative. Ciò ovviamente vale sia se nella classe vi sia un solo insegnante (come una volta era proprio delle scuole elementari) sia se nella classe l’alunno ha a che fare con più insegnanti. Del resto, la continuità di indirizzo, che parte dalla scuola dell’infanzia per proseguire nei gradi scolastici superiori, è anche in funzione di abituare l’allievo ad una compresenza e alternanza di insegnanti. Pertanto il problema non dovrebbe esistere, anche se storicamente è esistito. È doveroso invero rammentare come la l’insegnamento della pedagogia abbia avuto, per quanto riguarda l’Italia, un ruolo molto debole nel sistema scolastico a partire dall’Unità (se si eccettuano le scuole normali) e nella stessa Università le cattedre di pedagogia erano abbastanza poche. Va altresì ricordato come vari pedagogisti positivisti si sono con forza battuti per rafforzare l’insegnamento della pedagogia nelle scuole e nell’Università. Pasquale Villari (1827-1917), nello scritto Le scuole secondarie classiche e le scuole universitarie di Magistero1, affermava: «la riforma più utile e sicura sarà quella che si proporrà di rendere sempre migliore il corpo insegnante»2. Ma era urgente la presenza dell’insegnamento della pedagogia. Così Pietro Siciliani (1832-1885), in un saggio pubblicato per la prima volta nel 1881, illustrava chiaramente la situazione. «la pedagogia s’insegna in tre istituti governativi: nelle scuole rurali-magistrali, nelle scuole normali maschili e femminili, nelle Università. Nelle prime, dicono, è da insegnarsi la didattica; nelle seconde, la didattica, e la pedagogia; nelle ultime la pedagogia filosofica. Innanzi tutto non intendiamo tale distinzione. […] Una è la disciplina pedagogica […] L’insegnamento della pedagogia nelle scuole magistrali fa veramente pietà […]. L’insegnamento della pedagogia nelle scuole normali secondo che viene impartito

1 Raccolto in P. Villari, Nuovi scritti pedagogici, Sansoni, Firenze 1891. 2 P. Villari, op. cit., in Positivismo pedagogico italiano, vol. I, a cura di D. Bertoni Jovine con la collaborazione di R. Tisato, UTET, Torino 1973, p. 458.

Page 34: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

32

ordinariamente, riesce inefficace, anzi inutile»3. Siciliani continuava ricordando che l’insegnamento della pedagogia nell’Università nacque a Torino, allorché si affidò la cattedra di metodica all’Aporti, associando tale insegnamento con quello di Antropologia, e aggiungeva: «Col rinnovamento nazionale, poi, l’insegnamento pedagogico fu introdotto in tutte le università primarie italiane; ma la confusione, anzi che cessare , crebbe. Da primo l’antropologia e la pedagogia erano congiunte: indi si pensò di staccar l’una dall’altra, e affidare la seconda al professore di filosofia morale: insegnanti e Ministri poi s’accorsero della necessità di distinguerla anche dalla morale, ed ecco oggi la pedagogia ridotta solitaria, ex lege, affatto indipendente»4. Ma la situazione si era aggravata, sempre secondo Siciliani, per i diversi e contrastanti interventi dei vari ministri per cui al presente era insegnata solo per un anno agli studenti di Filosofia5. Il discorso di Siciliani è un po’ la sintesi di una vicenda per nulla chiara da un punto di vista legislativo. Certo, sul valore della pedagogia si insisteva, come si ribadiva il suo carattere di scienza. Così Roberto Ardigò (1828-1920), in una nota opera pubblicata per la prima volta nel 1893, spiegava che la pedagogia non era altro che la scienza dell’educazione volta a far «contrarre all’individuo le abitudini e le abilità già possedute dalla società in genere, e dagli ordini diversi dei cittadini in ispecie; abitudini ed abilità che non si posseggono per effetto della sola nascita e del solo sviluppo spontaneo della vita»6. Che era un po’ ridurre il processo educativo ad un aspetto metodologico gestito dall’establishment . E poco più tardi nel tempo Costantino Melzi avrebbe sostenuto una antropologia pedagogica7 .

3 P. Siciliani, Rivoluzione e pedagogia moderna, a cura di H.A. Cavallera [I ed. 1882] Pensa MultiMedia, Lecce 1999, pp. 161-163 4 Ibi, p. 174. 5 Ibi, pp. 176-177. 6 R. Ardigò, La scienza dell’educazione, a c. di G. Armenise, Pensa MultiMedia, Lecce 2007, p. 10. Su Ardigò cfr. T. Pironi, Roberto Ardigò. Il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, CLUEB, Bologna 2000; G.U. Cavallera, Roberto Ardigò. La Morale dei positivisti e la religione civile, Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia 2013. 7 C. Melzi, Antropologia pedagogica, Tipografia economica, Arona 1899 (volume ora riedito da G. U.

Il tutto avrebbe provocato la reazione del giovane Giovanni Gentile, in un saggio, Il concetto scientifico della pedagogia, pubblicato per la prima volta nel 1900: «La pedagogia è stata finora un concetto provvisorio nato dalla pratica e corrispondente a un gruppo di consigli e di precetti offerti dall’esperienza; e invano s’è dibattuta per uscire dalle strettezze del senso comune»8. Per il giovane pensatore la pedagogia è filosofia dello spirito e il fine dell’educazione non è altro che tendere «all’attuazione dell’idea dello spirito»9. Di là da questo, l’impulso dato dai positivisti alla presenza della pedagogia è stato rilevante, sottolineando tutti come fosse fondamentale che nella scuola l’insegnante avesse un metodo e degli obiettivi ben chiari. Pertanto, in altro clima culturale, Giovanni Gentile, che pure – come si è detto - aveva decisamente contestato il meccanicismo di certa pedagogia positivista, ben valutò l’evidente importanza che essa aveva, nella sua necessaria dialettica con la filosofia. Di qui, essendo egli divenuto ministro della Pubblica istruzione, l’abbinamento nell’appena istituito Istituto magistrale di pedagogia e filosofia, espressione ambedue di una sapienza che diventava anche arte e scienza dell’insegnamento. E Gentile, non più ministro, in Senato il 5 febbraio 1925 poteva affermare che «i maestri, per essere educati a fare i maestri, debbono imparare a sentire che cosa è quello che si aspetta da loro: il valore della cultura, il valore dell’educazione morale. Debbono essere elevati spiritualmente, perché entrando nella scuola del popolo sentano quale difficile, quale delicata arte essi debbano esercitarvi»10 Di qui inoltre, sempre per Gentile, il rendere fondamentale l’insegnamento della pedagogia nella Facoltà di Lettere e Filosofia. Con tali premesse è evidente, in astratto, che il problema di un collegamento tra pedagogia e insegnamento, tra professionalità docente e pedagogia generale non può che esserci, con conseguenti nozioni sia di storia della pedagogia e della scuola, sia di didattica e di quant’altro è proprio della dimensione Cavallera, Pensa Multimedia, Lecce 2008). 8 G. Gentile, Educazione e scuola laica, V ed. riv. e accr. a cura di H.A. Cavallera, Le Lettere, Firenze 1988, p. 37. 9 Ibidem. 10 Id., La riforma della scuola in Italia, III ed. riv. e accr. a cura di H. A. Cavallera, le Lettere, Firenze 1989, p. 257.

Page 35: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

33

educativa. Se non che a ben guardare, considerando ancora le facoltà che sarebbero venute meno con la riforma Gelmini11, si può constatare che l’insegnamento della pedagogia (e delle diverse discipline pedagogiche, dalla storia della pedagogia alla didattica alla pedagogia sperimentale) è stato assai presente nella Facoltà di Magistero (poi Facoltà di Scienze della formazione) ed anche nella Facoltà di Lettere e Filosofia, ma del tutto assente nelle altre facoltà che pur destinavano i loro laureati all’insegnamento (basti pensare a Matematica e Fisica, ma agli stessi corsi di Lingua straniera, poi divenuti facoltà). In realtà, se si fosse ben compreso la ragione dell’insegnamento, ossia di una professionalità che implica sì l’apprendimento dei contenuti particolari secondo le discipline, ma anche la necessità che li si sappia adeguatamente insegnare, probabilmente, nella storia della scuola e della università, l’insegnamento della pedagogia sarebbe stato esteso a tutti i corsi di laurea volti alla formazione dei docenti. Ma solo in tempi molto recenti, sia con le SSIS (Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario) e poi con il Tirocinio Formativo Attivo l’insegnamento della pedagogia è stato introdotto post lauream per coloro che si avviano alla professione docente. E vi è anche lì impressione (che va registrata come impressione) della secondarietà in tali istituzioni della percezione della disciplina, non più ripresa a fondo una volta divenuti insegnanti di matematica, fisica, chimica, lingue o altro. Si tratta allora di comprendere il perché di tale difficoltà, del perché insomma la professionalità docente non corrisponde ad un adeguato collegamento (vissuto e non meramente conosciuto) con la riflessione pedagogica. La percezione di una assenza Un aspetto da non sottovalutare per intendere la carenza dell’insegnamento della pedagogia nei corsi di laurea di discipline considerate, secondo il linguaggio comune, scientifiche, scaturisce dal fatto che la pedagogia nasce all’interno di quella che si suole definire area umanistica e 11 Sull’operato del ministro Mariastella Gelmini cfr. H.A. Cavallera, Storia della scuola italiana, Le Lettere, Firenze 2013, pp. 290-298.

non ha caso i suoi rapporti con la filosofia sono stati nel tempo assai stretti se non proprio in taluni casi coincidenti12. Ciò avrebbe consentito, se non proprio favorito, la distanza tra le discipline scientifiche e la pedagogia, sì che esse avrebbero in taluni casi ammesso un insegnamento della didattica delle medesime più che la pedagogia tout court. Osservazione che ha sì un senso, ma estrinseco se si vuole osservare che la filosofia è scientia scientiarum, ossia una sapere onnicomprensivo all’interno del quale sono col tempo sorte le diverse discipline. E tuttavia, nonostante l’opportunità della riflessione di cui sopra, quest’ultima non basta a giustificare la difficoltà del nesso tra professionalità docente e pedagogia generale per il semplice fatto che quest’ultima non solo ha scarsa presenza o meglio incidenza nei confronti delle discipline chiamate scientifiche, ma anche verso quelle propriamente umanistiche. E allora la questione si riapre e abbisogna di una valutazione teoretica e di una storica. Occorre, dunque, rilevare, prima di affrontare il rapporto scricto sensu tra professionalità docente e pedagogia generale, che quest’ultima non è una teoria generale della didattica, quindi qualcosa di legato al mondo della scuola, del far ben apprendere, ma è molto di più: è una concezione dell’educazione. La pedagogia generale implica una visione sia degli obiettivi educativi sia del senso di sé medesima; è una filosofia dell’educazione. Orbene, tutto questo non è né univoco né scontato né consapevole nei tanti insegnanti o in coloro che si professano vocati all’insegnamento, non solo durante la frequenza universitaria, ma nemmeno nelle SSIS e nel TFA. Il rapporto è incerto in quanto non tutti possiedono una filosofia dell’educazione e coloro che la possiedono non è detto che la possiedano in maniera condivisa anche all’interno della medesima scuola. Ciò non solo implica varietà di approcci didattici, ma differenze sostanziali nella concezione della realtà. La classe docente non è permeata da una filosofia dell’educazione. In numerosi casi molti docenti non esprimono alcuna concezione

12 Per una analisi delle sviluppo storico cfr. H.A. Cavallera, Storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 2009.

Page 36: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

34

dell’educazione13. Si tratta di una constatazione fondamentale. Come molte volte avviene quando si ha a che fare con i propri nati, ci si rapporta con gli scolari senza alcune finalità precise. Ciò che l’insegnante spesso sa è il contenuto disciplinare; inoltre ha delle idee di come spiegarlo e farlo intendere. Possiede, cioè, conoscenze ed esperienze didattiche che fa sue e con le quali, come da tanto tempo si fa, affronta il mondo della scuola. Non è detto che egli abbia una concezione generale della vita o, se ce l’ha, non è detto che sia condivisa. E ciò non è casuale. Nasce dal fatto che non esiste uno stato filosofico, una comunità cioè interamente permeata da una concezione della realtà. Vi tentò senza successo Platone in Sicilia14. In tempi più recenti Giovanni Gentile si è sforzato di realizzare lo Stato etico attraverso la sua visione del fascismo15. Oggi, il cosiddetto pluralismo democratico ha ormai messo da parte ogni pretesa totalitaria. Ciò che gli insegnanti di una Stato condividono possono essere le carte costituzionali. Poi tutto può diventare confuso, come in questo momento storico in cui l’affluenza in Occidente di migliaia e migliaia di soggetti provenienti da tutte le parti del mondo mette in discussione la stessa identità dei paesi accoglienti. E poi c’è la grande sfida dei fondamentalismi a cui occorre reagire, Ma è evidente che la reazione deve avvenire in nome di un principio, e ancora una volta riprende senso l’esigenza di una diffusa concezione della vita che deve permeare tutti i cittadini e che deve trovare sua espressione nelle scuole. Non a caso verso la fine del secolo scorso si era fatta forte l’istanza di un’educazione politica16, da non confondere 13 Per una analisi della realtà scolastica e sociale cfr. C. Xodo, la progettazione pedagogica. Teorie e modelli, CLEUP, Padova 2010; C. Xodo – M. Bortolotto, La professionalità educativa nel privato sociale, Pensa MultiMedia, 2011, G. Bertagna – C. Xodo (eds.), Le competenze dell’insegnare. Studi e ricerche sulle competenze attese, dichiarate e percepite, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011. 14 Suggestivo G. Colli, Platone politico, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2007. 15 I fondamentali scritti politici di gentile sono in G. Gentile, Politica e cultura, 2 voll., a cura di H. A. Cavallera, Le lettere, Firenze 1990-1991. Su l pensiero politico di Gentile cfr. H.A. Cavallera, L’immagine del fascismo in Giovanni Gentile, Pensa MultiMedia, Lecce 2008. 16 Cfr. H.A. Cavallera, La costruzione del domani.

con una educazione partitica che invece era allignata, sotto l’empito sessantottino in varie scuole grazie ad insegnanti dominati dall’ideologia alla moda. Specialmente oggi, in una realtà occidentale sempre più multietnica e secolarizzata e peraltro minacciata da intollerabili estremismi, diventa cogente la riaffermazione di una filosofia dell’educazione che sembra essere trascurata da una realtà sociale che ha messo al primo posto come valore il mercato globale e l’economia. Responsabilità e/o socializzazione? La valutazione storica che intende spiegare quello che è accaduto e va accadendo è che l’insegnamento nasce in maniera confusa. La civiltà si costituisce, non si attua da subito. La civiltà, diversamente dai valori, è frutto di un processo storico entro cui i valori maturano, si manifestano, si realizzano. Se si considera il processo storico, non si può che constatare come alla formazione del soggetto provvedano da secoli due istituzioni che sono il pilastro della società: la famiglia (che è, attraverso il vincolo matrimoniale, l’istituzione più antica e si collega con altri culti, tanto che Foscolo ebbe a dire: «Dal dì che nozze e tribunali ed are / diero alle umane belve esser pietose / di sé stesse d’altrui») e, successiva, la scuola. Col passare del tempo allorché la seconda istituzione (la scuola) si consolida, si afferma una maggiore distinzione dei ruoli, che non vuole dire che essi possano davvero essere separati. Alla famiglia soprattutto il compito della formazione etica, alla scuola soprattutto la trasmissione del sapere. Naturalmente anche la famiglia istruisce e anche la scuola indica la condotta morale. Vi è e vi è vi deve essere una interazione. Filosofi e pedagogisti hanno individuato il necessario cammino che il soggetto percorre, ascensionalmente dalla famiglia alla scuola alla società per poter agire responsabilmente. La Fenomenologia dello spirito (1807) di Hegel è già un affascinante percorso in cui il soggetto esce dalla mera individualità. In Italia Angiulli aveva nel 1876 chiarito assai bene il processo che conduce il giovane, partendo L’educazione politica, Milella, Lecce 1984; H.A. Cavallera, Tendenze pedagogiche e formazione politica, Milella, Lecce 1987.

Page 37: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

35

dall’educazione familiare ad un ingresso responsabile nella vita civile grazie alla scuola. Sottolineando che «l’educazione del popolo è un fatto di utilità generale, tocca l’esistenza di tutto l’organismo sociale, e però è un dovere nazionale, e cade nelle appartenenze o nei diritti dello Stato»17, il pensatore italiano indicava chiaramente sia il dovere dello Stato sia la responsabilità della scuola, nel momento in cui si andava realizzando nell’Occidente continentale una scuola di Stato permeata dall’idea della compresenza dell’istruzione e dell’educazione per la formazione di una persona che agisse costruttivamente nel sociale per lo sviluppo civile. Poi la situazione si è complicata proprio allorché si è assistito ad una stabilità sociale nell’Occidente e la scuola è divenuta davvero una istituzione indispensabile. In altri termini, nel momento in cui appariva evidente la rilevanza del discorso pedagogico, esso rinunciava ad un primato intrinseco divenendo funzionale, per così dire, ai bisogni sociali, i quali non potevano e non possono che essere, per la loro natura, i più disparati possibili e non sempre disinteressati e portatori di verità. Se si deve indicare il momento in cui è cominciato ad affermarsi il processo di confusione e di fragilità della costituzione pedagogica, il riferimento non può che andare alla diffusione dell’attivismo e del pensiero di John Dewey e soprattutto al modo in cui tale pensiero è stato inteso. In un volume del 1915, Il filosofo e pedagogista statunitense scriveva: «ogni qualvolta ci proponiamo di discutere un nuovo movimento nell’educazione, è particolarmente necessario mettersi dal punto di vista più ampio, quello sociale. […] Le modificazioni che sopravvengono nel metodo e nei programmi dell’educazione sono prodotti della situazione sociale mutata, sono uno sforzo di andare incontro alle esigenze della nuova società che è in corso di trasformazione, non meno dei cambiamenti che si verificano nell’industria e nel commercio»18. In realtà, Dewey aveva perfettamente ragione

17 A. Angiulli, La pedagogia, lo stato e la famiglia, nuova ed. a cura di F. Cafaro, La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 19. Su Angiulli cfr. G.U. Cavallera, Andrea Angiulli e la fondazione della pedagogia scientifica, Pensa MultiMedia, Lecce 2008. 18 J. Dewey, Scuola e società, tr. it., di E. Codignola e L. Borghi, II ed., La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 2.

nel collegare la scuola alla società, ai bisogni sociali. Questo non vuol dire, tuttavia, che essa ne deve dipendere perché in tal caso si sottometterebbe il concetto di formativo alle istanze dell’industria e del commercio, come di fatto è avvenuto19. L’instabilità di una istituzione nel tempo Se poi dalla analisi storica si passa, per quanto riguarda specificatamente l’Italia - ma le cose non sono molto diverse nell’Occidente europeo - all’esame degli insegnamenti universitari, la situazione ancor più problematica. Gli insegnamenti pedagogici continuano ad essere presenti in pochi corsi di laurea e la loro situazione non è sempre chiara. Infatti, come è noto esistono 4 settori scientifico-disciplinari; Pedagogia generale, Storia della pedagogia, Didattica e Pedagogia sperimentale. In un volume di qualche anno fa20 ho sostenuto che di tali settori quello che aveva una maggiore identità (e scientificità) era il settore storico, oggi denominato M-PED/02. Anche per la secolare tradizione storiografica, infatti, la Storia della pedagogia ha una più chiara individualità e organicità di studio, considerando che la Didattica e la Pedagogia sperimentale sono per loro natura approcci pedagogici che richiedono continui aggiustamenti temporali, dipendendo essi inevitabilmente dalla contingenza in cui si opera, e la Pedagogia generale in quanto visione della vita può generare e genera contrasti teorici di diversa natura. Ma, si potrebbe osservare, si tratta di un discorso volto a definire che cosa è scienza e cosa non lo è, o non sempre non lo è. Nella fattispecie, invece, si tratterebbe di un problema più circoscritto: il rapporto tra pedagogia generale e professionalità docente. E qui si riapre davvero la questione, in quanto la domanda non investe la verità, che è senza tempo, bensì la temporalità: al momento quale il rapporto? si chiede. E se non c’è, perché non c’è? Per rispondere in maniera adeguata, occorre

19 H.A. Cavallera, “La fine del formativo nella cultura occidentale”, «La filosofia futura», 3 (2014), pp. 47-61. 20 Cfr. Id., Introduzione alla storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 1999.

Page 38: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

36

pensare che la professionalità docente, in quanto collegata al tempo, si pone nel tempo e quindi non può che rapportarsi al medesimo. E quali le caratteristiche peculiari del tempo, nel nostro Occidente. Quindi bisogna, sia pur brevemente, tratteggiare i caratteri del tempo nell’Europa continentale, in un presente che si è formato gradualmente attraverso il retaggio, spesso tormentato, della civiltà greca e romana. La risposta di che cosa sia l’Occidente, di quest’Occidente che ha esitato a confrontarsi con il fondamentalismo minaccioso, è rilevare che esso è la società della globalizzazione, del mercato globale, della rete, della velocità delle immagini, dei lavori a progetto e a tempo indeterminato. La stessa Unione Europea – basti ripercorrerne la storia - è nata da accordi di natura economica più che di natura etica21. E se la realtà del presente è la società del mercato globale, è chiaro che nel suo interno il “pedagogico” non può che essere identificato con lo strumentale, con ciò che è finalizzato al raggiungimento di un obiettivo e che quindi in sé si riduce a mezzo, mentre i fini sono indicati da altro. L’imperativo trattare l’uomo sempre come fine e mai solo come mezzo22 è del tutto 21 Essa, non a caso, nasceva nel 1951 come “Comunità Europea del Carbone e dell’acciaio” e nel 1957 i Trattati di Roma istituiscono la Comunità Economica Europea. 22 Mi pare opportuno ricordare il discorso kantiano una volta ben noto a chi si interessava di etica e di educazione. Il filosofo dopo aver illustrato la legge fondamentale della ragion pura pratica («Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale», I. Kant, Critica della ragion pratica, tr. it. U.L.,, Laterza, Bari 1971, p. 39) , precisava che il movente della ragion pura pratica «non è altro che la stessa legge morale pura, in quanto ci fa sentire la sublimità della nostra esistenza soprasensibile, e produce soggettivamente negli uomini, che sono consci insieme della loro esistenza sensibile e della congiunta dipendenza della loro natura, in quanto affetta patologicamente, il rispetto per la loro determinazione superiore» (Ivi, p. 108). E in altra opera il filosofo, trattando del rispetto che si deve dimostrare agli altri:«non si tratta qui, cioè, unicamente di quel sentimento che risulta dal confronto del nostro valore con quello degli altri come quello che sente per pura abitudine un figlio verso i suoi genitori, uno scolaro verso il suo maestro, un inferiore in generale verso i suoi superiori), bensì di una massima che limita la stima di noi stessi per mezzo degna dignità dell’umanità di un’altra persona; e per conseguenza ciò di cui di tratta è il rispetto in senso pratico (observantia aliis praestanda). […] Il dovere dell’amore del

venuto meno in una società ormai del tutto prona alle leggi dell’economia e dimentica dell’etica. Di qui, in sede universitaria, la fortuna dei settori disciplinari riguardanti la didattica e la pedagogia sperimentale, ossia quelle parti della dimensione educativa che hanno valore operativo, pratico, determinato da altri. Il fine di per sé non appartiene loro. Sono settori che rientrano in quella dimensione della operosità migliorativa, la cui guida è di solito affidata alle scienze prìncipi del relativo: la psicologia e la sociologia, sempre attente a capire il mondo più che a formarlo, in quanto rispondono a dei bisogni di cui non è provata la natura valoriale, positiva. Si tratta di scienze umane nate in funzione della soluzione di problemi temporali, senza alcuna dimensione metafisica, quindi etica. Esse sono legate al molteplice nella piena consapevolezza della mutevolezza e del relativismo dello stesso, pertanto vòlte ad individuare e a risolvere i problemi secondo le aspettative dei più, come se il computo della maggioranza dei desiderata avesse di per sé una valenza etica. Si sa invece quanto le richieste individualistiche siano pervase da sollecitazioni egoistiche e particolaristiche. Ancora una volta l’universale si manifesta come non di questo mondo o di questa società, nemmeno come esigenza. E la pedagogia generale? Basti tener presente l’ambito universitario per comprendere che non ben si capisca cosa sia: filosofia dell’educazione, pedagogia interculturale e così via. Se consideriamo la declaratoria del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica la Pedagogia generale è attualmente abbinata alla Storia della pedagogia e nella declaratoria si legge che tale accorpamento esprime un macrosettore che «si interessa all’attività scientifica e didattico–formativa nei campi di carattere teoretico-fondativo ed epistemologico-metodologico che forniscono le basi teoriche, procedurali ed empiriche per le competenze prossimo può essere, dunque, anche espresso come dovere di far propri i fini degli altri (in quanto questi non siano immorali), il dovere del rispetto dei miei simili è contenuto nella massima che proibisce di abbassare chiunque al rango di puro mezzo per i miei fini (proibisce cioè di esigere che altri debba rinnegare se stesso per farsi servo di fini miei» (I. Kant, La metafisica dei costumi, trad. it., Laterza, Bari 1970, p. 317).

Page 39: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

37

pedagogiche, educative e formative necessarie alla persona, anche nella prospettiva di genere, nei rapporti con la società e nelle organizzazioni. Inoltre studia l’area delle ricerche storiche, storiografiche e metodologiche relative alle teorie pedagogiche, alle pratiche educative e ai sistemi formativi e didattici». Insomma molte cose insieme. In particolare ciò vale per la Pedagogia generale. «Il settore raggruppa complessivamente studi e ricerche che concernono la Pedagogia generale e la metodologia della ricerca pedagogica, la filosofia dell’educazione, la Pedagogia sociale e della famiglia, la pedagogia del lavoro e della formazione, la pedagogia interculturale, l’educazione permanente e degli adulti». La pedagogia, dunque, è un po’ di tutto: è una filosofia sì, ma è legata alla pedagogia sociale e del lavoro, quindi è una filosofia del contingente, quindi una non-filosofia, se per filosofia intendiamo ciò che non si riduce al momento. Di fatto il dettato ministeriale manifesta tutta l’ambiguità del presente e le conseguenti contraddizioni. Insomma, la pedagogia generale può essere ancora intesa come una teoria generale destinata ad incidere sul particolare. Ma la verità è che la separazione, nella vita universitaria, della pedagogia dalla filosofia e la trasformazione in scienze dell’educazione (di ottocentesco e positivistico retaggio), non solo teoreticamente sono fragilissime se non proprio insoddisfacenti, ma reggono nel tempo solo per il fatto che la generalizzazione della formula consente che la pedagogia possa essere tutto, aumentando però la confusione e nella fattispecie emarginando la stessa pedagogia rispetto ad altre discipline che conservano meglio una loro identità sul piano operativo più che teoretico. Oggi la Pedagogia generale non si sa cosa sia. Ecco la inevitabile conclusione di un percorso ormai secolare. Dalla instaurazione della Pedagogia generale nelle Università sino a renderla, per dirla alla Bauman, una realtà liquida e di fatto squalificandola. Questo, si capisce, non vuol dire che non vi siano docenti che ancora ben la rappresentano, ma la confusione è nella natura dell’istituzione come regolamentata dal Ministero e come espressa nella realtà del quotidiano, della prassi. Un futuro dell’incertezza

Ora, una Pedagogia generale così ridotta, come può determinare o influenzare la professionalità docente? La risposta non può essere che chiara: la Pedagogia generale ha raggiunto un livello estremamente confuso. Essa può essere filosofia dell’educazione, pedagogia del lavoro, pedagogia interculturale e così via: tutto poiché non è niente. Non è niente in suo primo e fondamentale motivo di esistenza è l’individuare il senso dell’educazione e quindi del nostro vivere. Insegnare a ben svolgere il proprio lavoro, a sapersi rapportare agli altri è indubbiamente importante , ma sono aspetti che scaturiscono dal principio generale fondativo, da quello che una volta si diceva il cominciamento. Di questo non si parla più e pertanto la pedagogia e la stessa educazione finiscono nonostante rimangano in piedi come discipline. Di fatto si riducono alla prassi quotidiana, che è senza norma. Così si assiste al diffodersi del relativismo, alla disgregazione dei valori, al primato di un economico che difende e tutela il particolare. L’affermazione può sembrare estremistica o volutamente radicale; tuttavia è necessario manifestarla nella speranza e volontà che avvenga una effettiva ricostituzione e rifondazione di una disciplina da cui non si può prescindere. Ma il discorso, ad essere concreti, non deve investire solo la natura attuale della Pedagogia generale come disciplina universitaria. Infatti esiste ancora la professionalità docente ? esiste ancor oggi la scuola? Come apparato sì. Ci sono le scuole e ci sono gli insegnanti. Questo è sotto gli occhi di tutti. Malpagati gli insegnanti, molti i precari, ma ci sono. Non solo. Ci sono buone scuole e validi insegnanti, in una realtà estremamente variegata e difficile da poter sintetizzare in un risultato unico. Invero, la scuola è da tempo diventata di massa, anche se, come l’Università, non affascina più non garantendo ( e questo proprio in un mondo che giudica positivo ciò che serve, ciò che è strumentale), né l’una né l’altra, coi loro diplomi e lauree, posti di lavoro come una volta. Ma comunque scuola e università ci sono e ci sono le statistiche europee che raccolgono il numero di diplomati e laureati in una gara paradossale, vòlta a elogiare chi ha più titolati in minor tempo. Come se la quantità del numero dei laureati e dei diplomati garantisse sia la qualità degli stessi sia la crescita di uno Stato. Ma i dati statistici, in questo mondo asservito

Page 40: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

38

all’econonico, assumono un valore fondamentale per le premialità, per i computi astratti di una burocrazia asettica che intende meccanicisticamente determinare la ricerca, l’educazione, l’etica. Come si vede, si continua a confondere la quantità con la qualità, anzi si assoggetta la qualità alla quantità. Il tutto con astratti calcoli bibliometrici e valutativi. C’è la valutazione bibliometrica23 e c’è la valutazione non bibliometrica. Quello che tuttavia conta è che tutto possa essere valutabile in maniera che vorrebbe essere oggettiva, indiscutibile. Il dogma della verità del processo inquisitoriale. Il talento e la genialità ridotti a calcoli meccanici e statistici. Ma veramente la scuola c’è? C’è nelle tante realtà come scuola, ossia come formatrice di personalità, di cervelli, di retti comportamenti. Ma per l’annotazione di cui sopra, nel gioco statistico quello che conta sono i frequentanti, i risultati. La Bildung è ormai scomparsa dagli obiettivi. La scuola europea è un guscio vuoto che non sa cosa insegnare. O meglio insegna tutto, ma esplicitamente non la formazione. Si limita all’addestramento. Questo non esclude eccezioni, e lo si è detto più volte. Si vuole invece in questa sede insistere sulla opacità di un processo che unifica i sistemi scolastici in formule estrinseche, senza giovarsi di alcuna sollecitazione etica, che è difficile trovare in istituzioni sempre più burocratizzate. Di fatto, quello di cui si dubita è la presenza dell’effettiva qualità degli studi conseguiti, mentre quello di cui non si può dubitare è che l’istituzione formativa non garantisce un posto di lavoro. Né, come si è già detto, il diploma conseguito nella scuola né la laurea conseguita nell’Università. Ridotta a titolificio, la scuola si rivela allora un apparato che non riesce a vincere le agenzie concorrenti (la rete) dove gli studenti “viaggiano” di frequente e sempre di più. E dove riversano, senza alcun controllo educativo,

23 Su di essa A. Baccini, Valutare la ricerca scientifica. Uso e abuso degli indicatori bibliometrici, il Mulino, Bologna 2010.

la loro curiosità. La scuola è altra cosa, eredità di un passato quasi obsoleto, eredità che non si può evitare, ma che non risveglia alcuna freschezza motivante. Esiste allora una professionalità docente o non si è assistito alla riduzione della professionalità docente ad una mera tecnica di insegnare a “far fare”? Non si è voluto nel corso degli ultimi decenni trasformare gli insegnanti da educatori in tecnici specializzati in addestramenti particolari e non essenziali? Del resto cosa sperare, pensando, per quanto riguarda l’Università, alla valutazione della qualità della ricerca, di una cultura che chiama “prodotti” i volumi che si devono valutare, unificandoli in una indeterminata produzione di matrice tccnicistica? Il cattivo trattamento, da un punto di vista economico e dello status sociale, della classe insegnante indicano che i poteri politici ed economici non danno al formativo in senso tradizionale una particolare importanza. La crisi dell’Occidente si manifesta in questo vuoto di tutela e salvaguardia dell’azione formativa, dell’antica Paideia. La realtà del presente, dunque, è la fine della scuola e della pedagogia nel suo alto significato formativo. E su tale realtà occorre ormai misurarci in nome di una rifondazione che non si può in alcun modo rinviare, pena il collasso della stessa civiltà dell’Occidente.

Hervé A. Cavallera, già Università del Salento

Page 41: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

39

Uno sguardo pedagogico sui diritti umani/ diritti dei bambini Emanuela Toffano Martini La cultura dei diritti umani dovrebbe attualmente costituire un capitolo centrale nei percorsi di formazione delle figure che operano in campo educativo. Tale traguardo, però, in molte realtà rimane una sfida, che anche la “Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani” (New York 2011) sollecita ad affrontare. Questa riflessione cerca di enucleare alcuni elementi concettuali ritenuti rilevanti nella costruzione di uno sfondo teorico-pratico, che possa contribuire a intensificare il dialogo costruttivo tra i saperi della pedagogia e dei diritti umani, con particolare riguardo all’interpretazione e all’implementazione dei diritti dei soggetti in crescita. The culture of human rights should at present represent a central moment in the training programs of those operating in the educational field. However, in several contexts this goal remains a challenge, which is urged to be dealt with also by the “United States Declaration on Human Rights Education and Training” (New York 2011). This reflection attempts to clarify some conceptual elements thought to be relevant in the construction of a theoretical-practical background, which can contribute to intensify the constructive dialogue between the fields of the knowledge of pedagogy and human rights, with special consideration for the interpretation and implementation of the rights of developing subjects. Il dialogo tra le culture della pedagogia e dei diritti umani, che trova le sue origini prossime nel riconoscimento formale di questi ultimi sul piano internazionale, ha al suo attivo decenni di lavoro ad ogni livello, dalla comunità mondiale alle comunità sovranazionali, regionali, locali. Sollecitato da documenti di rilievo1 e rafforzato

1 Cfr. Piano d’azione mondiale per l’educazione ai diritti umani e la democrazia, Montreal 1993; Dichiarazione e Programma d’azione mondiale sui diritti umani, Vienna 1993 ecc.

dalla circolarità comunicativa tra i più elevati organismi preposti e le numerose espressioni della società civile, tale confronto interdisciplinare dispone oggi dell’autorevole indirizzo dato dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani (New York 2011), con il suo appello al coinvolgimento di ogni età e parte della società e all’utilizzo di linguaggi e metodi adeguati nella promozione di valori-principi artefici di identità personale e convivenza pacifica. Diversi sono gli elementi di affinità, tra i saperi della pedagogia e dei diritti umani, che contribuiscono ad alimentare fra di essi un confronto costruttivo: basti pensare all’impegno di tradurre la tensione ideale in concretezza operativa, di correlare i piani descrittivo-fattuale e normativo-prescrittivo, di ricercare la congruità di fini/valori e metodi/mezzi, di creare partnership di cooperazione tra i soggetti di volta in volta implicati. Tuttavia, nonostante tali affinità e i progressi compiuti, anche in Italia che pure non brilla al riguardo2, educare e formare ai diritti umani e alle libertà fondamentali rimane una sfida aperta su più fronti, esterno e interno, per così dire, alle due culture: sul fronte esterno, dato che l’educazione/formazione in materia di diritti umani, molto spesso più elogiata a parole che sostenuta nei fatti, continua a restare marginale nell’agenda politica; sul fronte interno, perché l’approccio agli indirizzi internazionali manifesta, sul terreno delle pratiche, un carattere per lo più esecutivo, non sufficientemente attento a tenere insieme i piani riflessivo e attuativo nei loro reciproci rinvii. Il contrasto a tali rischi richiede sistematici interventi di carattere formativo, informativo e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, 2 Cfr. Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Cattedra Unesco in Diritti Umani, Democrazia e Pace dell’Università di Padova (a cura di), Annuario italiano dei diritti umani 2015, Marsilio, Venezia 2015. (Degno di nota che la presentazione dell’Annuario – a Roma presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani il 10 dicembre 2015 – sia stata dedicata al tema Diritto all’educazione, educare ai diritti umani e alla cittadinanza democratica). Sulle inadempienze dell’Italia, cfr. Comitato sui diritti dell’infanzia, Osservazioni conclusive. Analisi del Rapporto presentato dall’Italia ai sensi dell’art. 44 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, Ginevra 2003 e 2011.

Page 42: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

40

mediante canali e modi diversificati. Nello specifico, la formazione pedagogica delle figure educative, per far sì che il lavoro sul campo non si limiti a retorici momenti celebrativi o al “come” fare nella trascuratezza del “perché” fare, dovrebbe riuscire a stimolare la ricerca e l’esplicitazione della direzione di senso sottesa all’operatività; adottare misure efficaci e fornire strumenti appropriati; allenare allo spirito critico e al rispetto delle differenze (recuperando pure le dispute, fra posizioni contrarie, di lontana tradizione); suscitare la consapevolezza che l’accostamento dal versante educativo dei molteplici temi relativi ai diritti e alle libertà fondamentali (dalla libertà di pensiero a quella di religione, dal diritto all’istruzione e all’educazione, al diritto alla salute, all’ambiente ecc.) costituiscono oggetti di approfondimento non disancorati da questioni cruciali, del tutto aperte, riguardanti la cultura dei diritti umani nel suo insieme. In questa logica, anche l’importante capitolo sulla cultura dell’infanzia, cui ha dato e continua a dare un rilevante contributo la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (New York 1989), va affrontato all’interno di una dilatata cornice concettuale. Si tratta in particolare di non eludere il complesso dibattito volto a considerare da un lato l’indubbia ricchezza dell’apporto culturale confluito, a metà del secolo scorso, nel diritto internazionale dei diritti umani (atto d’inizio: la Dichiarazione universale), nonché a sua volta da esso innescato, e dall’altro l’ineludibile fragilità di una costruzione umana che, come ogni altra, rimane esposta a pericoli, alcuni più prevedibili, altri meno, altri ancora neppure pensabili nell’esordio fondativo. Traguardi e criticità A fronte di traguardi realisticamente umanizzanti, attribuibili alla edificazione e diffusione del corpus dei diritti umani, si riscontrano, infatti, vecchi e nuovi problemi che possono lambire limitatamente la superficie delle cose o assumere maggiore estensione e radicarsi più in profondità. Il quadro che ne esce è complicato pure dal fatto che spesso tali traguardi e problemi, quasi come facce della stessa medaglia, richiedono di essere contestualmente considerati e riconsiderati. Fra le conquiste contrassegnate da notevole

positività si possono annoverare: l’intreccio dal respiro planetario tra finalità etiche e norme giuridiche; l’emersione dell’individuo nell’ambito dei rapporti internazionali occupato in toto, fino al secondo dopoguerra, da entità statuali3; l’elaborazione di un’“etica della dignità” (tendenzialmente comprensiva dell’aristotelica “etica del bene” e della kantiana “etica del dovere”)4, tesa ad anteporre il rispetto della persona concreta all’adesione a una impersonale verità astratta; la creazione di una strumentazione e di una infrastruttura specifiche a vocazione globale in funzione emancipatoria e liberatoria dell’intera “famiglia” umana incarnata in ogni suo singolo componente; l’impulso alla cooperazione umanitaria come terreno d’incontro tra orizzonti ideali e campi operativi per la promozione dell’umano e la lotta contro condizioni esistenziali di violazione della dignità, esclusione, marginalità di ogni individuo in ogni parte del mondo; l’individuazione di un “minimo comune denominatore”, veicolato da un comune linguaggio normativo, di principi e criteri di giudizio condivisi perché razionalmente condivisibili; la dinamica tra i piani dell’universalità dei valori fondanti e della particolarità degli approcci culturali. Alcune fra le criticità irrisolte riguardano, invece: il rapporto, in senso lato, tra quel che è più attinente agli ambiti naturale e culturale della condizione di vita e in particolare tra la natura umana (posto che, al di là di rigidi preconcetti, se ne voglia considerare l’esistenza e scrutare l’essenza) e i diritti universali, con il confronto che ciò comporta tra posizioni divergenti (quelle per le quali i diritti umani sono semplicemente “storici”, perché comparsi in precisi contesti in virtù di processi dipanati nel tempo, o invece più propriamente “naturali”, ancorché scoperti nel corso della storia)5; la

3 A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari 1999; A. Papisca, Introduzione a Id. (ed.), I diritti umani a 40 anni dalla Dichiarazione universale, Cedam, Padova 1989; A. Papisca, Dichiarazione universale dei diritti umani. Lievito umano-centrico della civiltà del diritto, «La Comunità Internazionale», 4 (2008), pp. 591-605. 4 G. Brena, Diritti e dignità umana, in S. Morandini (ed.), Tra etica e politica: pensare i diritti, Gregoriana, Padova 2005, pp. 173-203. 5 Cfr. J. Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale (1947), Vita e Pensiero, Milano 1977; Id., L’uomo e lo Stato (1951), cap. “I diritti dell’uomo”, Marietti,

Page 43: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

41

tensione tra i diritti civili e i diritti sociali (“attivi” e “passivi”, come sono anche definiti6) e altresì fra i diritti umani e la diversità culturale7; la salvaguardia della specificazione dei diritti umani (a maggiore tutela e promozione di bambini, donne, anziani…) dalla loro proliferazione inconsulta che finisce per indebolire quelli fondamentali; la messa in campo di antidoti affinché la positivizzazione dei diritti, oltre la loro mera proclamazione ma nella fedeltà allo spirito originario, possa sollecitare la concreta responsabilità di popoli e nazioni senza però avallare il conformismo omologante o addirittura il totalitarismo di un pensiero unico di qualsivoglia natura. In rapporto alle prime età, i nodi problematici sopra accennati paiono per alcuni versi smussati e per altri accentuati. Ad esempio, il consenso raccolto intorno ai diritti sociali dei bambini rispetto a quelli degli adulti risulta in genere più solido e rimane, almeno a parole, prioritario anche in tempi di crisi del welfare, mentre appare assai denso di problematicità l’approccio al diritto alla vita (fin dal grembo materno di bambini e soprattutto bambine: l’aborto selettivo le colpisce duramente provocando pure nefasti squilibri demografici), di cui rimane pienamente titolare chi vive l’infanzia in condizione di grave disabilità o malattia, e il diritto alla famiglia (oggetto di ribaltamenti epocali relativi, per ora, al “genere” delle figure genitoriali, che l’Occidente non esita a esportare

Genova-Milano 2003; E. Berti, Per una fondazione filosofica dei diritti umani, «Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli», 1 (1987), pp. 29-35; N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1997; E. Berti, Diritti umani: un approccio etico e F. Viola, Le basi antropologiche dei diritti umani, in S. Morandini (a cura di), Tra etica e politica: pensare i dritti, cit., pp. 79-91 e pp. 153-172; A.V. Fabriziani (a cura di), Natura umana e diritti universali. Una questione aperta, Cleup, Padova 2008. 6 I «diritti attivi, intesi come diritti di fare o di essere» e i «diritti passivi, intesi come diritti a ricevere o a beneficiare» (M. Pera, Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità, Marsilio, Venezia 2015, p. 56). 7 Tanto da dover ribadire a chiare lettere che la diversità culturale non può essere invocata per “minacciare” i diritti umani, “né per limitarne la portata” (Dichiarazione universale sulla diversità culturale, art. 4, Parigi 2001). Cfr. Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, Parigi 2005.

con subdolo impeto colonizzatore8) e alla sua libertà di educazione. Considerazioni a partire dal passato Di fronte a questo sfondo di luci e ombre, oggi particolarmente mutevole, occorre inizialmente annodare alcune considerazioni guardando al passato. Base di partenza: la scelta operata nel secondo dopoguerra dal movimento dei diritti umani di perseguire una philosophy of life, per facilitare il dialogo fra opposte “visioni del mondo” fino alla stesura di documenti largamente sottoscrivibili e traducibili sul piano dei fatti, che ha condotto a privilegiare punti fermi suscettibili di ampia convergenza, a mettere in parentesi aspetti controversi, a eleggere come base di discussione le “verità pratiche”. Quasi obbligata, e di per sé pregevole in ambito negoziale, tale scelta non può però fornire l’alibi per oscurare le “verità teoriche”; minimizzare o sottacere elementi di attrito, se non la realtà dei problemi stessi, con l’intento di evitare perfino il civile conflitto tra opinioni, sale della democrazia9; liquidare frettolosamente come reperto archeologico la “questione natura umana” e la possibilità di una “legge inscritta” nel cuore di ogni persona; accantonare il confronto critico, necessariamente ricorsivo, sul fondamento dei diritti umani. Con l’andare del tempo, invece, si è sempre più imposta nelle nostre società proprio tale deriva, con la sua minaccia alla libertà di pensiero ed espressione, alla ricerca della verità (la cui stessa esistenza è radicalmente messa in dubbio), alla dialettica democratica, a tutto vantaggio di una uniformità ipocritamente aperta, ma in realtà, sotto la scorza, profondamente intollerante. La perdita che si profila lungo questa china scende nelle profondità dell’umano giungendo a incrinare i caratteri portanti «dell’identità di un Occidente che affonda le proprie radici nell’idea greca di razionalità come discussione critica e nel valore che il messaggio cristiano attribuisce

8 R. Sarah, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, Cantagalli, Siena 2015, pp. 207-209. 9 Sul conflitto in chiave psico-pedagogica, cfr. D. Novara, La grammatica dei conflitti. L’arte maieutica di trasformare le contrarietà in risorse, Sonda, Casale Monferrato (AL) 2011.

Page 44: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

42

alla persona umana»10 (al rispetto della coscienza di ognuno e all’amore del prossimo in senso universale), fino a scuotere alla base il diritto alla libertà, baluardo dell’età contemporanea, a cui Kant riconduce i diritti irriducibili. Numerosi sono oggi i segnali che mettono la libertà molto più in pericolo di quanto comunemente si pensi o di quanto si sarebbe potuto immaginare per gli anni Duemila: dissentire, uscire dal coro, troppo spesso equivale a divenire oggetto di irrisioni, intimidazioni, ritorsioni, talora vere e proprie aggressioni. Ora, però, se vacillano i cardini della discussione critica e del rispetto della persona, che giunti fino a noi dalle culture-simbolo di Atene e Gerusalemme hanno forgiato l’Europa, insieme vacillano gli originari presupposti dei diritti umani, i quali proprio facendo leva su libertà e rispetto hanno saputo aprirsi e accogliere altri apporti culturali. Ritenere la Dichiarazione universale «come un nuovo ethos, come una importantissima precettistica umanitaria e laica» non significa opacizzarne provenienza e fonti, scordare che è stata «ispirata dalle grandi idee delle religioni tradizionali (dell’Occidente e dell’Oriente) e rafforzata dai gagliardi apporti del pensiero filosofico occidentale»11; significa invece fare dei suoi trenta articoli un fermo riferimento per la costruzione di una “società integrata”12. Pare utile a questo punto seguire il filo rosso dell’universalismo negli ultimi secoli, dal Seicento al Novecento, scandito dalle fasi storiche delle dichiarazioni dei diritti umani, le quali «nascono come teorie filosofiche» (prima fase: il giusnaturalismo moderno che riconosce “diritti per natura”, a partire da Locke); vengono in seguito «accolte per la prima volta

10 D. Antiseri, Relativismo, nichilismo, individualismo. Fisiologia o patologia dell’Europa?, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2005, p. IX. 11 A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, cit., pp. 79-80. 12 «Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l’accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge» (C.M. Martini, Figli di Abramo. Noi e l’Islam, La Scuola, Brescia 2015, p. 18).

da un legislatore» (seconda fase: le Dichiarazioni dei diritti degli Stati americani e della Rivoluzione francese con le quali «l’affermazione dei diritti dell’uomo acquista in concretezza ma perde in universalità»); pervengono (terza fase) alla Dichiarazione universale (Parigi 1948) e ai successivi Patti (New York 1966, in vigore dal 1976), passaggio per il quale «l’affermazione dei diritti è insieme universale e positiva»13. È questo un approdo che sprigiona forza a favore dell’umano, ma contiene un alone di ambiguità evidenziato dall’esito cui hanno condotto posizioni di pensiero giuridiche e filosofiche divenute nel tempo prevalenti nel contesto occidentale: la subordinazione del diritto del soggetto al diritto oggettivo, alla norma (da parte dei giuristi); la subordinazione (talora negazione) del «diritto del soggetto al diritto oggettivo della società, o dello Stato, oppure all’oggettività dei rapporti di produzione» (da parte di filosofi)14. Da ciò emerge il problema cruciale «posto dall’affidamento della determinazione dei diritti del soggetto alla volontà del legislatore. I diritti dell’uomo erano stati proclamati proprio per sottrarre la libertà all’arbitrio del potere sovrano. Ora questo potere torna a riaffermarsi sovrano in maniera ancor più totale di prima, poiché è riuscito a ricondurre entro l’ambito della propria volontà normativa persino quei diritti fondamentali che gli erano stati levati contro a limitarlo. La libertà non è allora di nuovo in pericolo?»15. Al potere di monarchi assoluti (la legge coincideva con il loro arbitrio) si è sostituito il potere di meno visibili lobbies e forze culturali che, scalate via via posizioni, sembrano aver acquisito ampia influenza presso i massimi organismi internazionali. Nella riflessione intorno a cosa stia alla base dei valori europei pare, secondo il flusso corrente, di dover dar credito soltanto alla “cultura illuminista radicale” (al razionalismo portato 13 A. Bobbio, L’età dei diritti, cit., pp. 21-24. In sintesi: «i diritti dell’uomo nascono come diritti naturali universali, si svolgono come diritti positivi particolari per poi trovare la loro piena attuazione come diritti positivi universali» (p. 24). 14 S. Cotta, Il diritto come sistema di valori, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, p. 18. (Sullo sfondo, le contrastanti concezioni di diritto: ius quia iustum e ius quia iussum). 15 Ibi, pp. 18-19.

Page 45: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

43

all’estremo, con la sua riduttiva razionalità solo funzionale, con la sua improvvida equivalenza tra saper fare e poter fare) e invece discredito al cristianesimo, la cui cifra costitutiva è quella di essere “religione del Logos”, “religione secondo ragione”, non contraddittoria rispetto a quell’“illuminismo filosofico” da sempre orientato “alla ricerca della verità e verso il bene”16. Senza nulla togliere al valore del processo avviato all’insegna dei principi di liberté, égalité, fraternité – «è stato ed è merito dell’Illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce», «laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato»17 – occorre non nascondere le sue degenerazioni, dalle più lontane, escludenti il Dio della Bibbia dall’etica pubblica del vecchio mondo (non così del nuovo), alle più recenti che, inasprito il processo di secolarizzazione, negano nei fatti la realtà storicamente incontrovertibile delle radici giudaico-cristiane dell’Europa e sfociano in un laicismo sempre più esasperato18. Un’indagine ideologicamente sgombra non può non vedere elementi involutivi insiti nella concezione della libertà in voga nel nostro contesto, soprattutto perché potentemente propagandata sul piano mediatico. È una libertà compromessa, che ha annacquato e, per certi aspetti, perduto il senso del limite, quel limite coessenziale alla nostra condizione indicato per secoli dall’etica cristiana, la quale, benché aspramente contestata, rimaneva prevalente e diffusa; è una “libertà” che apre a prospettive inquietanti (di eterodirezione e manipolazione dell’essere umano, distruzione di culture e civiltà umanizzanti, devastazione dell’ambiente naturale…) e arriva a volgersi contro se stessa minando, nel disorientamento delle coscienze, proprio la libertà di opinione, di espressione, di formazione di un proprio giudizio: una sorta di eterogenesi dei fini.

16 J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto. Nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, pp. 40-41 e 57. 17 Ibi, p. 58. 18 Cfr. G. Weigel, La Cattedrale e il Cubo. Europa, America e politica senza Dio (2005), Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2006. Su laicità e laicismo in ottica pedagogica, si veda il recente R. Mantegazza, Tracce, pratiche e politiche per l’educazione alla differenza, in M. Tomarchio - S. Ulivieri (eds.), Pedagogia militante. Diritti, culture, territori, ETS, Pisa 2015, pp. 179-188.

Significativa al riguardo una chiave di lettura per la quale se il tentativo, intrapreso nell’età moderna di concepire e stabilire nella vita pubblica norme etiche fondamentali valide etsi Deus non daretur (anche se Dio non esistesse), si è potuto compiere senza arrivare a produrre, fino a ieri, lacerazioni radicali della visione antropologica alla base dell’identità europea, ciò è dovuto al fatto che, al di là di scontri ideologici frontali, le convinzioni essenziali del cristianesimo continuavano a ispirare largamente, anche nei non credenti, atteggiamenti e comportamenti individuali e sociali; di qui l’invito, evocativo della proposta-scommessa di Pascal, a ri-orientare l’esistenza veluti si Deus daretur (come se Dio esistesse)19. Cioè a considerare la possibilità della creaturalità dell’essere umano (anche perché quando questi si fa “creatore” qualcuno inevitabilmente diviene, parafrasando Orwel, “più creatore” degli altri). Pedagogia e diritti di bambini e adolescenti Il pensare-agire pedagogico dovrebbe immergersi in questa complessità, pena la sua insignificanza nel confronto delle idee; approfondire dal suo angolo visuale, focalizzato su educazione/formazione, anche i punti più controversi e divisivi; interrogarsi sugli aspetti sostanziali che, toccando il cuore e il senso delle cose, incidono grandemente sulla quotidianità di vita di tutti e con particolare intensità dei soggetti in crescita. È in questo scenario, in cui si stanno infittendo le ombre, che va dunque collocata anche la considerazione della peculiare soggettività etico-giuridica di bambini e adolescenti progressivamente riconosciuta in documenti di valenza internazionale. L’opzione radicale tra l’essere “creatura” o “creatore” (di se stessi e della propria esistenza), fittamente intrecciato al “problema del limite”, si fa se possibile ancor più gravida di drammaticità nel rapporto con persone che in larga misura dipendono dalla responsabilità altrui, come i bambini, che agli adulti affidano il loro presente così denso di futuro. Allarma constatare che la generazione adulta, spesso avviluppata in ambito privato e pubblico in un accentuato egocentrismo, arrivi sempre più spesso a confondere “desideri” o capricci, 19 J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto. Nella crisi delle culture, cit., pp. 61-63.

Page 46: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

44

con “diritti”, a camuffare linguisticamente “desideri adulti” con “diritti dei bambini”, a sottostimare la diversa portata culturale e pedagogica di disposizioni legislative dotate di carattere generale e di sentenze giurisprudenziali adottate caso per caso secondo legittimi spazi di discrezionalità. Preoccupanti sono le ripercussioni di questa ondata mistificatoria sull’intera società, ma soprattutto sui bambini: i loro diritti, nonostante tentativi controcorrente20, sono “detti” dagli adulti, cui rimane l’ultima parola sul loro “migliore interesse”21. Sensibile a questi temi, l’intervento educativo in senso proprio – con sfumature speciali in rapporto all’infanzia – non si sviluppa secondo una modalità meramente applicativa, paga di procedure, tecniche, strategie, perché sempre sottende un orizzonte di valore; cerca e indica ciò che è “buono in sé” e la via per raggiungerlo; crea quell’atmosfera di reciprocità che la crescita respira a pieni polmoni; non si sottrae a prese di posizione e decisioni senza mai escludere domanda, dialogo, apertura al cambiamento; richiede una esplicitazione di intenti che possano essere condivisi e fungere da guida nel percorso metodologico teso a realizzarli. Disattenzione agli scopi e sopravvalutazione delle tecniche, in nome di una neutralità impossibile la quale di fatto si risolve in assecondamento a mode culturali (che spesso paiono imporsi ripercorrendo – scientemente? – gradi teorizzati da tempo22) portano a una parzialità senz’anima, spezzando quel già citato legame di coerenza tra fini/valori e modi/mezzi, ritrovabile in ogni successo educativo. Secondo la più umanizzante tradizione pedagogica, «l’educazione è sempre un servizio alla libertà, un aiuto a diventare liberi mediante relazioni che creano in entrambi i termini in gioco valori di umanità: è un rapporto fra persone che si costituisce in nome del diritto di ognuno alla propria originalità e al proprio

20 Cfr. K. Hanson - O. Nieuwenhuys (eds.), Reconceptualizing Children’s Rights in International Development. Living Rights, Social Justice, Translations, University Press, New York-Cambridge 2013. 21 Cfr. Ph. Alston (ed.), The Best Interests of the Child, Clarendon Press, Oxford 1994. 22 Ci si riferisce in particolare alla cosiddetta Overton window.

itinerario di vita»23. È un incontro tra libertà che, quando a rapportarsi sono l’adulto e il bambino, riserva sì uno speciale stupore, ma non manca di mettere costantemente alla prova. Infanzia e libertà: un binomio da sempre controverso. Anche nel cammino dei diritti dell’infanzia del Novecento, il riconoscimento dei diritti di libertà è la più recente delle conquiste. Assenti nelle precedenti Dichiarazioni di Ginevra e di New York (del ’24 e ’59), connotate entrambe in senso protettivo pur nella loro notevole diversità, i diritti civili compaiono invece nella Convenzione dell’89, ispirata prevalentemente al valore della tutela-protezione dei bambini e degli adolescenti, ma aperta anche al valore della loro promozione-partecipazione. Punto d’intesa tra le visioni paternalistica e liberazionistica dell’infanzia-adolescenza, contrastatesi nel decennale lavoro preparatorio, questo complesso testo continua a dare adito a diverse linee interpretative, perfino contraddittorie, perché basate unilateralmente sulla sottolineatura della differenza o viceversa dell’uguaglianza tra età adulta e infanzia, della concezione di bambino (child) ora come “soggetto debole” bisognoso di dipendenza, ora come “soggetto capace” dotato di autodeterminazione. Dato che proprio la conciliazione di autorità e libertà, variamente declinata (nel succedersi delle età, nel mutare dei contesti, in rapporto a quell’unico bambino o adolescente), è da sempre un punto focale della teorizzazione pedagogica, si comprende quanto sia opportuno intensificare la collaborazione tra le culture della pedagogia e dei children’s rights in termini di riflessione-azione a salvaguardia dei diritti fondamentali. Garantirne l’esercizio implica favorire quel guardiniano bilanciamento fra opposizioni24, che consente di preparare bambini e adolescenti alle responsabilità di domani proprio attraverso adeguate responsabilità di oggi, evitando strappi 23 C. Scurati, Pedagogia: fondamenti e dimensioni, in F. Frabboni - L. Guerra - C. Scurati, Pedagogia. Realtà e prospettive dell’educazione, Bruno Mondadori, Milano 1999, p. 16. Cfr. G. Capograssi, Educazione e autorità. La rivoluzione cristiana, a cura di S. Biancu, La Scuola, Brescia 2011; G. Mari, Educazione come sfida della libertà, La Scuola, Brescia 2013. 24 R. Guardini, L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente (1925), Morcelliana, Brescia 1997.

Page 47: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

45

adultistici e indugi infantilistici, atteggiamenti inclini a dispotismo o permissivismo, più o meno mascherati. Se l’articolo 12 della Convenzione sul dirompente diritto civile del minore d’età di essere ascoltato «è una previsione normativa unica in un trattato di diritti umani perché affronta lo status legale e sociale dei bambini e degli adolescenti, che da una parte mancano della piena autonomia dagli adulti, ma dall’altra sono soggetti di diritto»25, unica è pure l’eredità pedagogica di continuo arricchita da tante esperienze e riflessioni, progettualità utopiche e realizzazioni concrete, che andrebbero maggiormente valorizzate nel campo della elaborazione concettuale relativa ai diritti umani/diritti dell’infanzia, della loro ermeneutica e implementazione, dal piano globale a quello delle singole comunità. La «storica opportunità di cambiare il mondo per e con i bambini», di «ascoltare i bambini e garantire la loro partecipazione» (concretizzatasi nella Sessione speciale Onu sull’infanzia alla presenza di ragazzi e ragazze di ogni parte del mondo)26, è l’esito di laboriosi passaggi istituzionali e normativi, ma proviene anche da splendide intuizioni sbocciate nel terreno educativo: «durante una chiacchierata nel bosco, non avevo parlato ai bambini, ma con i bambini, non avevo parlato di quello che volevo fossero, ma di quello che volevano e potevano essere. Allora forse per la prima volta mi sono convinto che si può imparare molto dai bambini»27 – così confida Janusz Korczak, testimone dei diritti dei bambini nella coerenza esemplare tra le parole e i fatti, nella reciprocità del rapporto educativo28. Di una simile reciprocità dovrebbe alimentarsi il dialogo fattivo tra i punti di vista della pedagogia-educazione e del diritto dei diritti umani, in

25 Comitato sui diritti dell’infanzia, Commento generale n. 12 Il diritto del bambino e dell’adolescente di essere ascoltato, Ginevra 2009. 26 Dichiarazione “Un mondo a misura di bambino”, New York 2002. Sulla scia dell’ascoltare e lasciarsi interpellare dai bambini, si può inserire anche il recente J.M. Bergoglio, L’amore prima del mondo. Papa Francesco scrive ai bambini, a cura di A. Spadaro, Rizzoli, Milano 2016. 27 J. Korczak, Come amare il bambino (1918), Luni, Milano 1996, p. 256. 28 Coerenza e reciprocità tangibili nella vita della Casa degli Orfani ebrei diretta da Korczak (Varsavia 1912-1942).

nome della soggettività di bambini e bambine, ragazze e ragazzi: cittadini toto iure sulla carta, ma che sempre rischiano, sotto tutti i cieli e in mille modi, dai più brutali ai più melliflui, di essere degradati a semplici oggetti di proprietà adulta. In conclusione, lo sguardo pedagogico può contribuire alla causa dei diritti umani, in modo più o meno diretto, sulla scorta di solide acquisizioni, tra le quali la stretta connessione di teoria e pratica per una riflessività fondata e agita in situazione; la costitutiva dialettica tra opposti di intrinseco valore (diritti universali e particolarità culturali, anzitutto) in vista di equilibri dinamici e creativi; la dimensione progettuale capace di trasformare dichiarazioni di principio e piani di azione in concreti percorsi personali e sociali, non privi di risvolti inattesi. In particolare, il processo di circolarità virtuosa tra gli approcci culturali della pedagogia e dei children’s rights può facilitare il diffondersi di quell’ottica protettivo-partecipativa non ancora compresa appieno che, coniugando autorità e libertà, tutela e garanzie, permette di accompagnare nel modo più consono l’intero processo di crescita dall’infanzia all’adolescenza.

Emanuela Toffano Martini Università di Padova

Documenti internazionali Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Assemblea generale delle Nazioni Unite, Parigi 1948). Patto internazionale sui diritti civili e politici (Assemblea generale delle Nazioni Unite, New York 1966). Patto internazionale sui diritti sociali, economici e culturali (Assemblea generale delle Nazioni Unite, New York 1966). Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Assemblea generale delle Nazioni Unite, New York 1989). Piano d’azione mondiale per l’educazione ai diritti umani e la democrazia (Congresso internazionale sull’educazione ai diritti umani e alla democrazia, Montreal 1993).

Page 48: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

46

Dichiarazione e Programma d’azione mondiale sui diritti umani (Seconda Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, Vienna 1993). Dichiarazione universale sulla diversità culturale (Conferenza generale dell’Unesco, Parigi 2001).

the communication, into the relationship, in a constant ethical-hermeneutical attitude of responsibility

Dichiarazione, bilancio dei progressi e lezioni acquisite, Piano d’Azione “Un mondo a misura di bambino” (Assemblea generale delle Nazioni Unite – Sessione speciale sull’infanzia, New York 2002). Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali (Conferenza generale dell’Unesco, Parigi 2005). Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani (Assemblea generale delle Nazioni Unite, New York 2011).

Lo specifico pedagogico nella professionalità docente Laura Clarizia Nella ricerca di uno specifico pedagogico nella professionalità docente, di una stretta correlazione tra competenze pedagogiche e competenze didattiche, bisogna partire dal solco epistemologico di alcune parole chiave: Comunicazione, Relazione, Cura, nell’incontro strutturale con Narrazione, Responsabilità, Competenza o, meglio, Competenze nella Responsabilità, Comunicazione nella Responsabilità, Cura nella Responsabilità. Educare (anche a scuola) è, innanzitutto, curare la comunicazione, nella relazione, in un costante atteggiamento etico-ermeneutico di responsabilità. Looking for a specific pedagogic in the teaching profession and a strong correlation between educational and teaching skills, you have to start from the epistemological wake of a few key words: Communication, Relationship, Care, in the structural encounter with Narration, Responsibility, Competence or, rather, Skills into Responsibility, Communication into Responsibility, Care into Responsibility. Education (also at school) is, first of all, take care of

La mia proposta si inserisce nel processo di radicale ripensamento in atto in Europa e in Italia sulle competenze ritenute oggi essenziali e strutturali della professionalità docente. Pur nella consapevolezza della difficoltà di creare oggi un sistema educativo, cioè di istruzione e, insieme, di formazione, in cui possa realizzarsi un apprendimento felice1 e utile alla formazione globale e ad un orientamento consapevole e critico nel mondo, non si può rinunciare a puntare sulla formazione (iniziale e continua) dei docenti; una formazione che valorizzi quelle competenze che, agibili nella (relazionale) professionalità del docente stesso, possano favorire il costituirsi della scuola quale luogo di potenziale benessere maturativo; ciò per ogni ordine e grado di scuola, ma, soprattutto, per la scuola secondaria, scuola degli adolescenti. È utile qui il riferimento ad alcune ricerche empiriche2 che hanno tentato di indagare le competenze che, nella professionalità docente, possono guidare, in senso complessivamente formativo e maturativo, una positiva

1 Documento SIPED (Società Italiana di Pedagogia), Ripensare la scuola nella società di oggi. Punti salienti per una vision innovativa, concreta e lungimirante, Firenze/Roma, 15 novembre 2014. 2 Cfr. G. Bertagna - C. Xodo (eds.), Le competenze dell’insegnare. Studi e ricerche sulle competenze attese, dichiarate e percepite, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2011; per quanto attiene ai dati relativi all’autopercezione dei docenti intervistati sulle proprie competenze: L. Clarizia - M.G. Lombardi - F. Quatrano, L’offerta informale di competenze nell’autopercezione degli insegnanti, in G. Bertagna, C. Xodo, Le competenze dell’insegnare, cit., pp. 211-253. Cfr anche L. Clarizia - M.G. Lombardi - F. Quatrano, Adolescenti a scuola: riflessioni a margine di una ricerca, «Nuova Secondaria Ricerca», 1 (2012), pp. 47-102. Indicazioni a livello di uno studio regionale sono rinvenibili in L. Clarizia - M.E. Di Lieto - M.G. Lombardi - F. Quatrano, Percorsi formativi della professionalità docente: l’esperienza della SICSI, «Quaderni del Dipartimento 2008-2009», Università degli studi di Salerno, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Pensa Editore, Lecce 2009, pp. 147-159.

Page 49: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

47

costruzione identitaria dello studente. In tali ricerche, la comparazione dei dati docenti/studenti (la professionalità docente così come autopercepita dai docenti/la professionalità docente così come percepita dagli studenti) non si è configurata tanto come controllo statistico delle competenze “oggettivamente” possedute e agite dai docenti, quanto come strategia osservativa per far emergere il punto di vista degli adolescenti sui loro insegnanti, soprattutto relativamente alla qualità comunicativa della relazione didattica. Naturalmente sono emerse discrepanze nelle risposte dei due campioni (docenti/studenti), discrepanze da cui si legge la necessità che una dimensione rilevante ed essenziale dello sviluppo professionale sia costituita da una iniziale e continua formazione (auto-formazione) intorno alla competenza comunicativa intergenerazionale, attraverso la quale prevenire, individuare precocemente e gestire forme emergenti o sommerse di disagio, conflitto3, bullismo... Le ricerche empiriche citate hanno evidenziato che gli aspetti della comunicazione intergenerazionale didattica più a rischio di criticità sono stati proprio quelli che vedevano maggiormente coinvolte dimensioni interpersonali quali le competenze comunicative ed etico-deontologiche, oltre che, ovviamente quelle valutative, per la dimensione etico-relazionale in esse implicita. Dall’analisi dei dati era, invece, emersa molto meno elevata, nel confronto con le altre aree indagate, la critica degli studenti relativa alle competenze di tipo squisitamente disciplinare che venivano, in genere, riconosciute al docente: la maggior parte degli studenti intervistati non sembrava mettere in discussione il pieno possesso delle competenze disciplinari nei propri docenti. Occorre ripensare, anche alla luce di questi risultati, lo sviluppo professionale: per un verso, riportare in primo piano la dimensione squisitamente disciplinare dell’impegno didattico, la “qualità del curricolo, l’essenzialità dei saperi”4, riconoscendo una (implicita e potenziale) produttività transdisciplinare e profondamente formativa-

3 Cfr. F. Quatrano, Conflitti e conflittualità. La mediazione pedagogica, con Presentazione di Laura Clarizia, ETS, Pisa 2015. 4 Documento SIPED (Società Italiana di Pedagogia), Ripensare la scuola nella società di oggi, cit.

maturativa degli stessi saperi scolastici; per l’altro, tuttavia, riconoscere l’importanza, la grande importanza delle dinamiche comunicative e della complessiva competenza comunicativa intergenerazionale del docente, quale competenza strutturale volta al riconoscimento precoce e alla prevenzione di forme di disagio scolastico, attivate o sostenute o non adeguatamente riconosciute nella comunicazione didattica docente/ studenti, nella comunicazione docente/genitori, nelle comunicazioni scolastiche intra-generazionali, all’interno del gruppo classe. Educare (anche a scuola) è, innanzitutto, curare la comunicazione, nella relazione, in un costante atteggiamento etico-ermeneutico di responsabilità. Il disagio scolastico che precede la dispersione e spesso accompagna situazioni interpersonali di conflitto e/o di bullismo (agito/subito) è legato all'isolamento comunicativo dello studente che non si percepisce adeguato al proprio ruolo e si percepisce, e non raramente è, escluso da comunicazioni validanti all'interno della situazione scolastica. Di qui l’importanza, nello sviluppo professionale, di una riflessione (maturativa-formativa continua) sull’importanza del proprio agire comunicativo-didattico. Alta deve essere, nella professionalità docente, così come relazionalmente agita, la consapevolezza che è in un significativo crogiuolo (cognitivo-emotivo-comunicativo) che si costruisce l’identità dei propri studenti, il personale modo di percepire il proprio ruolo nel rapporto con gli altri, anche attraverso le più significative e continue comunicazioni. Tra tutti i gradi di scuola, quella frequentata da preadolescenti e adolescenti è quella maggiormente percepita quale luogo scarsamente significativo rispetto alla propria formazione identitaria, culturale, sociale, etica. I saperi che gli studenti vi ritrovano sono spesso considerati poco interessanti e pertinenti alla realizzazione del proprio progetto di vita e dei propri ideali. È, tuttavia, proprio in questa fase evolutiva che viene costruita e consolidata l’identità attraverso la disposizione a un atteggiamento, più o meno attivo/passivo, più o meno cooperativo/oppositivo, nelle relazioni interpersonali e inter-intra-gruppali. Di qui il ruolo, tutt'altro che secondario, per l'elaborazione e la risoluzione di questo compito evolutivo, della classe scolastica, con le sue

Page 50: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

48

dinamiche interpersonali di inclusione/esclusione, valorizzazione/svalorizzazione. Bisogna puntare sulla competenza comunicativa intergenerazionale del docente quale competenza strutturale della sua professionalità, riconoscendone l’implicito carattere metacognitivo, di capacità riflessiva critica, di previsione anticipatrice e progettuale. A partire da una consapevole auto-percezione riflessiva e auto-formativa dei docenti stessi. Si è, infatti, convinti che il personale livello di congruità e agio/incongruità e disagio (personale-professionale) del docente ne influenzi anche la competenza comunicativa. La cornice teorica di riferimento della nostra proposta è rinvenibile all’interno di una (più antica) ipotesi di lavoro; l’ipotesi che muove dal riconoscimento della relazione educativa quale luogo di potenziale ecologico-etico sviluppo5, ma solo se fondata su comunicazioni a loro volta ecologiche, cioè costantemente rispettose della persona in relazione. Le parole chiave dell’educativo Qui ho l’occasione di precisare che, almeno dal mio punto di vista, la relazione non è in sé costitutiva dell’educativo, bensì solo se strettamente declinata attraverso alcune parole chiave dell’educativo quali: comunicazione, narrazione (autonarrazione, eteronarrazione), cura, responsabilità; tali parole chiave, nella relazione (educativamente-eticamente competente del docente, così come dell’educatore, del pedagogista, del formatore) possono consentire la relativa e connessa definizione di competenza pedagogica e guidarci nella ricerca dello specifico pedagogico nelle professionalità educative. Sono le stesse parole chiave chiamate in causa in una riflessione sui bisogni costitutivi dell’umano; e, a mio parere, sono egualmente, tutte, chiamate in causa in una riflessione sulle competenze strutturali delle nostre professioni. Alla base, dunque, dello sviluppo professionale del docente.

5 Cfr. L. Clarizia, La relazione. Alla radice dell’educativo, all’origine dell’educabilità, Anicia, Roma, 2013 (Prima edizione 2000) pp. 67-137; L. Clarizia, Pedagogia sociale e intersoggettività educante, SEAM, Roma 2002, pp. 31-140.

Non solo. All’interno di una riflessività epistemologicamente definibile come pedagogica, ognuna di queste parole chiave si spiega solo con il rinvio (implicito e/o esplicito) alle altre: non si può parlare di comunicazione, di relazione, di cura, senza richiamarne, nel pedagogico, l’ineludibile carattere di responsabilità né questa può essere agita al di fuori della relazione…o senza cura…e così via… Tutte queste categorie concettuali, inerendo strettamente ai bisogni costitutivi dell’umano, contribuiscono a definire il nostro io, la nostra identità (umana, personale e professionale). È, inoltre, la particolare modalità in cui queste categorie esistenziali si intrecciano e si declinano nella vita di ognuno che concorre al costituirsi della singola identità personale. Dagli studi interdisciplinari intorno al concetto di identità, si riconosce, ormai, come questa nasca e si sviluppi sempre come processo comunicativo-relazionale di un io con gli altri, di una soggettività e della sua storia, con gli altri. Anche gli altri, nel contesto privato e professionale, con le loro valutazioni, conferme, rifiuti o disconferme, incidono in modo decisivo sulla costruzione dell’identità, nelle sue diverse sfaccettature e dimensioni, personali e professionali. L’identità personale, quale identificazione di una persona nella sua irripetibile esistenza, è fortemente costruita attraverso la comunicazione interpersonale situata e significata nelle relazioni. In questo senso, il nostro io (personale e professionale) ha a che fare con la dimensione del racconto, con la narrazione, con la nozione di narratività. L’identità è il racconto della storia di una vita: autonarrazione che, in ogni singola situazione, può essere percepita in accordo o, piuttosto, in opposizione con le eteronarrazioni, con le narrazioni provenienti (a volte, subite) dagli altri. Così l’approccio narrativo, pur frequente in altre scienze umane, è qui, nella riflessività squisitamente pedagogica, ineludibilmente segnato dal carattere della responsabilità: sia quando il riferimento sia al racconto identitario così come consentito-favorito in una relazione educativa genitoriale sia quando sia correlato alla strutturale competenza comunicativa dell’educatore professionale, del pedagogista, del formatore, del docente. È la costante riflessività su queste categorie

Page 51: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

49

concettuali che costituisce la specificità costitutiva nelle professionalità educative. Comunicazione, Relazione, Cura, Narrazione: nella Responsabilità. Sono le parole chiave dell’umano, della esistenza umana, in ogni fase evolutiva, in ogni contesto e in ogni circostanza; sono anche i luoghi privilegiati della riflessività e della ricerca che stanno contribuendo a strutturare e definire i percorsi formativi, le competenze e l’agire etico-deontologico delle nostre professioni. Anche nella ricerca di uno specifico pedagogico nella professionalità docente, di una stretta correlazione tra competenze pedagogiche e competenze didattiche, nell’insegnare, non si può non partire da tale solco epistemologico. Comunicazione, Relazione, Cura, nell’incontro strutturale con Narrazione, Responsabilità, Competenza o, meglio, Competenze nella Responsabilità6. Comunicazione nella Responsabilità, Cura nella Responsabilità. È la comunicazione (responsabile) che, nel reciproco riconoscimento e ascolto, nella relazione interpersonale, consente all’io umano di raccontarsi e, così, di esistere. È la cura delle/nelle relazioni (familiari, amicali, sociali, educative, professionali) che fa emergere l’io dalla tendenza egocentrica a rinchiudersi nel proprio bozzolo, aprendosi all’incontro con l’altro nel reciproco riconoscimento identitario. Comunicazione, relazione, cura sono categorie fondative dell’esistenza umana, dei suoi bisogni e del suo ecologico-etico sviluppo e, in questo senso, sono anche i luoghi privilegiati della complessa riflessività scientifica intorno alle nostre professioni, riflessività che apre alla definizione dei profili (distinti, ma confluenti) di professionisti competenti nella responsabilità e nella cura. Allora è nella competenza comunicativa relazionale (e nel connesso atteggiamento etico di responsabilità e cura) che possiamo ritrovare quella (per noi, irrinunciabile) compenetrazione con il senso ermeneutico dell’agire etico, oltre una semplice adesione ai principi deontologici delle nostre professioni. L’agire educativo ha la sua giustificazione

6 Cfr., per ciò che attiene al profilo dell’educatore scolastico, M.G. Lombardi, Competenze nella responsabilità. L’educativo scolastico, ETS, Pisa, 2014.

pratica-intenzionale nell’esigenzialità della ragione pratica kantiana. Qui, nell’etica, è anche il luogo dell’incontro e del confronto tra diversi modelli epistemologici della teoria, della pratica e della ricerca educativa. E questo, naturalmente, senza mai abbandonare l’attenzione per una possibile indispensabile verificabilità empirica. Il problema non è tanto nella giustificazione epistemologica (e nel confronto) quanto in una possibile sostenibilità dello sviluppo educativo progettabile nella complessità sistemica che, naturalmente investe anche/soprattutto la scuola. È su questo terreno che si gioca la sfida educativa, oggi, nell’avvertita e generalizzata emergenza. Per rispondere a questa sfida, forse, la ricerca educativa dovrebbe spingersi oltre: non solo riconoscere l’implicito educativo in varie professionalità, oltre che in quelle tradizionalmente definite o definibili come educative, ma proporre e indicare, già all’interno della formazione scolastica, un possibile percorso di approfondimento, confronto e studio intorno a quelli che sono stati, fin qui, i temi di indagine privilegiati dalla ricerca educativa e pedagogica: comunicazione, relazione, cura, identità, responsabilità, narrazione… potrebbero essere parole chiave di riflessività formativa in ogni percorso educativo umano, a partire dalla scuola. Ciò non al fine di rendere tutti specialisti della riflessività pedagogica, ma, piuttosto, di agganciare la formazione personale e professionale di ognuno alla consapevolezza delle dinamiche costruttrici di senso identitario (umano e personale). E, insieme, contribuire al costituirsi della scuola quale sistema educativo di istruzione e formazione finalizzato a promuovere, nei propri studenti, il graduale costituirsi di un racconto autobiografico in costante ricerca di equilibrio tra molteplici regioni di fattori e aperto ad un apprendimento felice e produttivo.

Laura Clarizia Università di Salerno

Page 52: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

50

Aspetti pedagogici e competenze sociali nell’insegnare fisica Grzegorz Karwasz Vengono discusse le mutue relazioni tra Fisica e Pedagogia. Abbiamo sottolineato il fatto che scopi “scientifici”, come un’esatta citazione delle leggi di Newton possono risulare meno importanti che creare determinati comportamenti di alunni: auto-stima, capacità di espressione, collaborazione di gruppo. Queste indicazioni furono impementate in una collana di lezioni di fisica, con la metodologia chiamata “iper-construttivismo”, e con semplici, reali esperimenti. La stesso metodo può essere applicato in altre materie d’insegnamento. Mutual relations between teaching Physics and Pedagogy are discussed. We stress, that obtaining specific “scientific” goals, like precise citations of Newton’s law may be less important than creating some desired attitudes of pupils: self confidence, capacity of expression, collaboration in groups. These indications are practically implemented in interactive lessons, following author’s hyper-constructivistic method, with use of simple experiments. General requirements to stress first pedagogical (and social) goals, before specific scientific contents, is to be applied in other subjects, as well.

Fisica – una materia poco amata La fisica non rientra tra le materie particolarmente amate dagli alunni e non solo in Italia. Essendo, da una parte una materia con una base matematica e dall’altra legata a fenomeni naturali, richiede la capacità di coniugare due tipi di ragionamenti: quello rigido, deduttivo, con quello flessibile, induttivo ed osservativo. Questa dualità crea delle difficoltà sia nell’insegnare che nell’apprendere. Queste difficoltà hanno come conseguenza, mostrata per esempio da studi condotti in Inghilterra1 , che l’interesse dichiarato per la

1 J. Osborne, Attitudes towards science: a review of the literature and its implications, «International Journal of Science Education», 9 (2003), XXV, pp. 1049-1079.

fisica nella scuola media crolla drasticamente, da “mi piace” (punteggio di circa 3.0) a meno di “mi è indifferente” (punteggio 1.5). L’interesse per la chimica subisce un crollo simile, mentre geografia, storia, biologia ed inglese mantengono l’interesse degli alunni tra 4 e 5 nello stesso periodo2. Altre statistiche3 provano un calo di iscritti all’esame di maturità in fisica, da 45 mila nel 1990 a meno di 30 mila nel 2000, mentre in biologia il numero rimase costante, di circa 47 mila. Nel periodo 1994-2003 il numero di laureati in fisica crollò del 50% in Germania e del 40% in Francia4. Uno dei motivi principali dello scarso interesse per la fisica è da attribuire al modo molto formale con cui viene insegnata. Questo modo formale riproduce il percorso storico delle scoperte e/o costruzioni logiche delle leggi della fisica. Così la fisica diventa una serie di fenomeni da ricordare, come emerge dalle riflessioni di un altro studio inglese: “insegnare scienze richiede essenzialmente solo definizioni e schede” 5. Un secondo pericolo nell’insegnare fisica è di renderla un tipo di “esercizio mentale” obbligatorio. Nelle tradizionali motivazioni didattiche questo compito viene chiamato “insegnare un modo di pensare”. Purtroppo, come osservano gli stessi insegnanti, a causa delle difficoltà nel districarsi dell’alunno tra espressioni verbali, grandezze matematiche ed unità di misura fisiche, gli alunni perdono l’interesse per problemi che, d’altra parte, hanno poche relazioni con il mondo quotidiano. Per esempio, la legge di Archimede è una delle scoperte più spettacolari del mondo antico in ambito fisico. Presentata come nell’esercizio sotto 6 , dal 70% degli 2 Peggio di fisica si presenta solo l’interesse per il francese, immutato tra 0 e 1.0 nella tutta scuola media. 3 J. Osborne, Attitudes towards science: a review of the literature and its implications, cit. 4 Science Education Now: A Renewed Pedagogy for the Future of Europe, EU Commission, Directorate-General for Research, EUR 22845, 2007, report-rocard-on-science-education_en.pdf 5 B.R. Brand - S.J. Moore, Enhancing Teachers Application of Inquiry-Base Strategies Using a Constructivist Sociocultural Professional Development Model, «International Journal of Science Education», 7 (2011), XXXIII, p. 889. 6 L. Sabaz, Interdisciplinary days. Leaning by emotions, «Informal Learning and. Public Understanding of Physics», 3rd International GIREP Seminar 5-9 September 2005 Ljubljana, Slovenia, (a cura di G. Planinšič, A. Mohorič - Group International

Page 53: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

51

studenti viene giudicata difficile e/o non interessante e/o insignificante oppure gli alunni dichiarano di non aveva la minima idea di come applicarla. “Determinare la densità del liquido se la forza di Archimede che agisce su un corpo è di 2N e il volume di liquido spostato è di 200 mm3.”7 L’esercizio in se stesso è corretto, ma diventa difficile nella formulazione troppo corta e poco esplicativa. Il commento di Loredana Sabaz è che sicuramente questo tipo di esercizi toglie la motivazione allo studio della fisica. “L’insegnamento formale, come in questo esercizio, può ottenere successo solo quando lo

studente ha già acquisito in

precedenza un largo spettro di esperienze quotidiane, che gli

permettono di elaborare e costruire dei concetti astratti, e/o quando lo studente ha già sviluppato un alto

livello di ragionamento astratto”. La nostra (amara) osservazione è che certi problemi posti agli alunni svolgono più una funzione del “cavillo mentale” che un ruolo formativo di capacità mentali ben definite.

Figura 3 La risposta alle figure 1 e 2 (risalente agli anni ’50) del grande fisico nucleare Bruno Touschek (da “Il Nuovo Saggiatore”, 1996).

de recherche sur l’enseignement de la Physique), pp. 143-148. 7 Ibidem.

Inquiry-based teaching Recenti indicazioni dell’UE propongono un approccio diverso, ovvero l’insegnamento basato sul porre delle domande, “inquiry-based teaching” (IBT). La ricetta arrivò dopo una approfondita analisi fatta da un gruppo di esperti e descritta nel cosiddetto Rocard’s Report8. La raccomandazione no. 2 (su 6 in totale), dopo una premessa generale sulla necessità di promuovere l’apprendimento delle scienze, dice: “Il miglioramento dell’educazione scientifica dovrebbe essere portato a termine attraverso nuove forme di pedagogia: introduzione dell’approccio inquiry-based nelle scuole, azioni per promuovere la preparazione degli insegnanti per IBT e sviluppo di reti di insegnanti.”9 IBT non è un metodo nuovo, fu concepito negli anni ’60 negli USA, ma ha impiegato diversi decenni prima di essere introdotto su larga scala nel sistema scolastico. Come scrive S. Goldman, in principio fu introdotto solo nelle scuole d’elite10. Un numero cospicuo di progetti dell’UE fu finanziato negli ultimi anni in materia di inquiry based science education11 ma gli esiti non sono univoci; i progetti si concentravano essenzialmente sugli studi di attitudini piuttosto che sulla preparazione e/o implementazione di nuovi metodi didattici. Gli obiettivi da raggiungere si riducono spesso a formulazioni standard: - gli studenti sanno usare il metodo scientifico, sanno ragionare come

8 Science Education Now: A Renewed Pedagogy for the Future of Europe, EU Commission, cit. 9 «Improvements in science education should be brought about through new forms of pedagogy: the introduction of inquiry-based approaches in schools, actions for teachers training to IBSE and the development of teachers’ networks should be actively promoted and supported». Ibi, p. 4. 10 «For most of this century, our educational system served only the elite in thinking-centered classrooms. The majority of students received an education aimed at the acquisition of basic skills and routine knowledge», S. Goldman, Researching the Thinking-Centered Classroom, in J.G. Greeno – S.V. Goldman (eds), Thinking practices in mathematics and science learning, Lawrence Erlbaum Associates, New Jersey 1998, p. 258. 11 Inquiry Based Science Education, Scientix, The community for science education in Europe, http://www.scientix.eu/web/scientix-cop-02/ibse (accesso 20/12/2015)

Figura 1, 2 La supremazia del formalismo sul ragionamento e sul fenomeno stesso: due esempi da un libro di testo per licei polacchi,

Page 54: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

52

scienziati, capiscono idee scientifiche 12 : pensano e si comportano come scienziati – è la domanda che viene posta sempre più spesso13. Nel metodo IBT gli alunni percorrono la strada della ricerca scientifica. La domanda da porre è la seguente: “ci servono tutti questi piccoli scienziati?”. Non sarebbe più utile insegnare scienze da applicare nei comportamenti pratici, quotidiani14 ? Va notato comunque, che riprodurre i percorsi delle scoperte fisiche non assicura di per sé una chiarezza di ragionamento. La definizione di due cariche elettriche fu un lungo percorso storico, concluso solo con l’invenzione della pila di Volta, delle coppie di monetine d’argento e stagno. Due millenni di osservazioni sperimentali – come l’ambra (l’elettrone in greco) che, se strofinata, attrae pagliuzze - non permisero questa formulazione. Ma i libri di testo (della seconda classe liceale) riportano proprio il percorso storico, sempre di Volta, ma in modo diverso: una serie di esperimenti con l’elettroforo, in cui le lancette si muovono avvicinando, toccando, togliendo una carica esterna. Tutta la serie è scientificamente (e storicamente) corretta, ma poco comprensibile nei suoi (troppi) dettagli. Fu della cognata dal pedagogo polacco, Kazimierz

12 «Pupils shall be able to: - Explore actively possible uses of phenomena; - Explore actively technological implications of a new discovery; - Describe how scientists gain and interpret data; - Describe how science and technology uses new ideas […]». E. Mechlova – L. Konicek, Evaluation of Superconductivity Program in Informal Learning and Public Understanding of Physics, 3rd Int. GIREP Seminar, Udine, 2005, p. 412. 13 «[…] science education reform emphasis the need for science instruction to foster students’ abilities to think and behave like scientists». B.R. Brand - S.J. Moore, Enhancing Teachers Application of Inquiry-Base Strategies Using a Constructivist Sociocultural Professional Development Model, cit., p. 889. 14 «The present system does not meet the needs of any but a small minority of the students I teach. It is based on a specification of content in the National Curriculum that requires students to memorize and repeat facts about scientific knowledge that are of little interest or relevance to them. It does not prepare them to understand the scientific issues that will meet in everyday life». Harrison et al. 2004, citato da P. Black, M. Michelini – J.S. Pugliese (eds), Assessment and Pedagogy in Science Education, Physics Teaching and Learning, GIREP Book of Selected Papers, Forum, Editrice Universitaria Udinese, Udine 2005, pp. 113-122.

Sośnicki (1883-1976) la massima, che “troppe esemplificazioni portano all’infantilismo”. Iper-costruttivismo e neo-realismo Un approccio alternativo sarebbe un metodo costruttivistico e/o cognitivistico di insegnamento. I termini possono avere vari significati. Semplificando, in psicologia il costruttivismo considera i processi mentali come dei percorsi propri dell’individuo, che seguono gli schemi personali, corrispondenti all’età, pre-coscenze, cultura e società circostante 15 . In sociologia il costruttivismo suggerisce l’idea della verità come una costruzione sociale, una specie di “consenso” comune, non necessariamente legata ai fatti oggettivi 16 . Il cognitivismo, di nuovo semplificando, deriva dalle teorie della mente che si collegano alla nascente informatica, negli anni 50 del secolo scorso, alla linguistica, agli studi su percezione e memoria17. Il costruttivismo si scosta dalla prospettiva didattica tradizionale per il maggiore ruolo che viene assegnato all’attività investigativa degli alunni. L’OCSE svolge studi comparativi18 per verificare le attitudini e gli stili didattici degli insegnanti, distinguendo chi opera con modelli 15 «It is essential to view cognitive activities of individuals within the cultural context in which their thinking is embedded. The human heritage is notable for the cultural legacy of values and sill, which each new individual inherits from near and distant ancestors and practices with the assistance of caregivers and companionship of peers» Rogoff B., Apprenticeship in Thinking. Cognitive Development in Social Context. Oxford University Press, New York, Oxford, 1990, p. 42. 16 «[...] a social construct is an idea or notion that appears to be natural and obvious to people who accept it, but may or may not represent reality», Social constructionism, https://en.wikipedia.org/wiki/Social_constructionism (accesso 28/12/2015) 17 «The “biological” side of psychology has abandoned its old base to join forces with neurosciences. And the newly minted “cognitive sciences” have absorbed many of those who used to work in the vineyards of perception, memory, thinking, all of these now conceived as varieties of “informal processing”». J. Bruner, Acts of Meaning, Harvard University Press, Cambridge (MA), London, 1990, p. IX. 18 Cfr. Creating Effective Teaching and Learning Environments. First results from TALIS. OECD, Teaching And Learning International Survey, 2009

Page 55: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

53

trasmissivi, oppure predilige un approccio costruttivista. Lo studio si basa su delle domande, se sia più efficace la spiegazione di un bravo insegnante o sia meglio lasciare che i ragazzi ci arrivino da soli etc.19 I risultati sono presentati nella figura sottostante (Figura 4).

19 «Direct transmission beliefs: - Effective/ good teachers demonstrate the correct way to solve the problem, - Instruction should be built around problems with clear, correct answers, and around ideas that most students can grasp quickly; How much students learn depends on how much background knowledge they have; that is why teaching facts is necessary; - A quiet classroom is generally needed for effective learning/ Constructivistic beliefs about teaching: - My role as a teacher is to facilitate students’ own inquiry; - Students learn best by finding solutions to problems on their own; Students should be allowed to think solutions to practical problems themselves before the teacher shows them how they are solved; - Thinking and reasoning processes are more important than specific curriculum content», Ibi, p. 95

Nella prassi educativa dell’autore – lezioni pubbliche nelle scuole, lezioni interattive per gruppi di studenti presso l’Università, lezioni per bambini 6-12 anni presso UniKids (nel loro tempo libero, per gruppi 100-200 bambini) - viene applicato il metodo misto, derivante da una parte dal costruttivismo sociale, per cui

l’introduzione delle nozioni nuove viene fatta tramite la discussione con la platea, ma dall’altra – secondo il modello cognitivista – il docente segue il ragionamento dei ragazzi, individua le ragioni per determinate riposte, adegua il percorso alle nozioni e capacità mentali della platea. La differenza tra l’approccio presente e quello inquiry-based teaching o il costruttivismo sociale sta nel percorso guidato, che rigidamente viene posto dall’insegnante, ma agli alunni rimane l’impressione di una loro scoperta indipendente. Così, lo scopo scientifico (che rappresenta un punto d’arrivo) è precisamente definito, ma il percorso somiglia

Figura 4 Insegnanti italiani si dichiarano poco propensi per i metodi costruttivistici. TALIS, op. cit.

Page 56: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

54

ad un cammino su delle “palafitte”, come se vi fossero tronchi o fondamenti nascosti sotto la superficie dell’acqua, sui quali sono costruiti, tra altro, i palazzi di Venezia. Numerosi, percorsi alternativi – matematici, sperimentali, quotidiani, narrativi – possono condurre allo scopo predefinito; e per questo il metodo richiede una vasta e dettagliata preparazione dell’insegnante. Il metodo è chiamiamo “iper-costruttivista”, perché usa la “trattativa” con gli studenti in gruppo per svelare, far uscire dagli studenti, secondo l’immagine dell’ostetrica di Socrate, le nozioni che qualche studente del gruppo eventualmente già possieda (avendole acquisite da internet, tv, letture personali). L’insegnante usa la metodologia inquiry-based teaching, ma modifica il percorso, se la strada momentaneamente scelta dal gruppo non porta al risultato atteso. Il metodo proposto si avvicina maggiormente alla descrizione di Piero Crispiani, che definisce la didattica cognitivista come un insieme di azioni di vario tipo, usando sia oggetti che verbalizzazioni. “Garantire il cognitivo come regime di esecuzione dell’insegnamento e dell’apprendimento, impone di travalicare le mere condotte di riposta a programmi di stimoli, per cercarne invece la trama del percorso di costruzione, un percorso fatto di nozioni, confetti, memorizzazioni, verbalizzazioni, relazioni tra confetti, ecc. La didattica cognitivista è una didattica interattiva, che rilegge ed approfondisce, che richiede di andare a fondo, far emergere le risorse, pluralizzare gli stili cognitivi, tornare sulle questioni con andamenti insistenti e ricorsivi, che rileggono, reinterpretano e riverbalizzano le conoscenze pregresse, secondo una spirale apprenditiva espressione di una logica di qualità.”20 Il metodo “iper-costruttivista” si completa particolarmente bene con esperimenti semplici, spesso scelti ad-hoc, meglio ancora se composti da oggetti di uso quotidiano. In un mondo fin troppo impregnato da nozioni virtuali, gli oggetti reali suscitano persino entusiasmo tra i ragazzi. Non si tratta dell’esperimento dei due cavi, alimentatori, lancette, magneti, preparati prima della lezione da un tecnico specializzato, sul quale poniamo la domanda: “Secondo voi, cosa succederà alla lancetta?”, perché la riposta è scontata: “Si muoverà”, non permettendo né 20 P. Crispiani, Didattica cognitivista, Armando, Roma 2004, p. 19.

IBT né il piacere e lo stupore della scoperta autonoma. Sono gli oggetti reali, semplici, interattivi, ad-hoc che costituiscono la metodologia chiamata da noi “neo-realismo”: una volta pezzi di spago, bastoni, sassi facevano parte dell’ambiente di vita, mentre oggi bisogna portarli in aula come “neo-oggetti”. La lezione iper-costruttivista sull’elettricità può partire dall’osservazione dell’esistenza di due segni di carica elettrica: più e meno, come segnato su qualsiasi pila stilo. (La pila può essere estratta da qualsiasi telefonino dell’alunno così da rendere l’esempio ancora più reale.) Queste due cariche costituiscono un punto di partenza di percorso didattico: le cariche si possono separare, spostare, annullare. Due cariche si segno opposto si attraggono e di segno uguale si respingono. Così, la separazione delle cariche può avvenire, per esempio, mediante l’induzione: una carica esterna causa lo spostamento di cariche esistenti in un conduttore posto nelle vicinanze, attraendo le cariche del segno opposto e allontanando le cariche dello stesso segno rispetto alla carica esterna. Rimane all’alunno la possibilità di inventare, esperimenti “a ruota libera”, sui diversi modi di elettrizzare i corpi, cioè l’opportunità di riprodurre in modo completamente autonomo (ma grazie alle nozioni iniziali) e veloce il percorso fatto da Alessandro Volta duecento anni orsono. La fisica e la pedagogia I buoni risultati d’apprendimento non possono, in se stessi, costituire l’unico (e principale) scopo educativo. L’insegnare, come detto da un poeta, è scolpire nel marmo più prezioso: le anime di giovani. Tutte le materie scolastiche contribuiscono a questa formazione e non si può delegare solo alla figura del pedagogo scolastico l’intervento sulla gerarchia dei valori e sui comportamenti. Ogni insegnante, nell’ambito delle propria disciplina, deve sviluppare delle strategie orientate ad un determinato scopo pedagogico. Per questo motivo un insegnante deve ricevere una buona preparazione non solo nella metodologia della propria disciplina, ma deve sviluppare autonomamente le strategie per incidere pedagogicamente su tutta la diversità degli alunni in una classe. Sia la capacità di realizzare

Page 57: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

55

un approccio iper-costruttivista (saper improvvisare dei percorsi), neo-realista (inventare gli esperimenti ad hoc) e specialmente i requisiti di buono pedagogo, richiedono non solo una dettagliata preparazione universitaria, ma anche una adeguata esperienza didattica. Come scrive Elio Damiano (citato da Piero Crispiani), “una teoria dell’apprendimento non consente di dedurre una teoria dell’insegnamento dal momento che questa attiene all’azione di un altro soggetto – l’insegnante – e ad altri elementi costitutivi, progettuali, istituzionali ed operativi”21. Così anche in fisica, la teorie devono essere tradotte in applicazioni specifiche per l’età dei ragazzi, la loro preparazione e aspettative professionali. Il ruolo dell’insegnante viene svolto in contemporanea con il ruolo dell’educatore (= pedagogo).

21 E. Damiano, Jean Piaget e la ricerca didattica, in N. Filograsso (ed.), Mente conoscenza educazione, Anicia, Roma 1994, p. 146.

Il ritorno alle competenze generali si osserva anche nelle recentissime politiche educative dell’OCSE. Adesso vengono applicati non solo i controlli di competenze specifiche, come PISA ma requisiti generali, come pensiero critico, ragionamento critico, capacità di sintesi, comunicazione scritta. 22 Va sottolineato, che nell’odierno mondo virtuale, multi-mediale e multi-task questi requisiti segnano un ritorno alle origini del pensiero moderno, cioè ad alcuni temi significativi del Discorso sul metodo di Cartesio. Esercitare un buon “imprinting” su ragazzi e formare menti aperte, costituisce a lungo termine un risultato educativo molto più importante che ripetere le tre leggi di Newton (che a loro volta hanno una formulazione molto assiomatica e poco pratica). Nella prospettiva pedagogica, le leggi di fisica dovrebbero essere solo un punto di partenza per ragionamenti vari, per esempio:

22 “- Critical thinking, - Analytical reasoning, - Problem solving, - Written communication” citato da: Testing student and university performance globally: OECD’s AHELO, 2011, http://www.oecd.org/ edu/skills-beyond-school/testingstudentanduniversityperformancegloballyoecdsahelo.htm (accesso 20/12/2015)

Figura 5 Dirigenti scolastici in Italia nominano l’inadeguata preparazione pedagogica di insegnanti come la principale causa del basso rendimento educativo; Source: TALIS, op. cit. p. 39.

Page 58: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

56

§ visto che l’energia cinetica (e anche la forza

centrifuga) cambia in ragione del quadrato della velocità, passare da 50 km/h a 70 km/h corrisponde a raddoppiare la lunghezza della frenata (e raddoppia il pericolo di uscire sulla curva nelle avverse condizioni di tempo);

§ visto, che il telefonino lavora a 3 V di tensione, ed alzarsi in pantaloni di lana da una sedia in plastica crea il potenziale oltre 3000 V, prima di adoperare il telefonino meglio toccare ferro (non per scaramanzia, ma per scaricare il potenziale elettrostatico);

§ visto che il concetto di umidità ha un senso relativo e che dipende fortemente dalla temperatura, cioè non da quanto vapor acqueo si trova nell’aria ma da quanto si potrebbe ancora aggiungere (cioè si trova 0 grammi in 1 grammo di aria a zero centigradi, e 18 grammi in 32 grammi di aria a cento centigradi), per asciugare la stanza d’inverno bisogna far entrare l’aria gelida (e assolutamente secca) dalla finestra, e così via...

Oltre ad assolvere allo scopo di rendere la fisica (e altre materie) interessante e utile, il modello pedagogico scelto dall’autore “valorizza” i ragazzi: nessuna loro risposta viene giudicata come sbagliata (visto che si fonda su nozioni

pregresse dell’alunno) e nessuna viene scartata senza spiegazione perché quella non è la migliore. In tal modo sia il percorso iper-costruttivista, che coinvolge tutta la classe, sia il metodo di esperimenti interattivi, permettono di ottenere una serie di comportamenti desiderabili: apertura mentale nel dare le riposte personalmente, responsabilità per le conseguenze seppure solo teoriche, visibilità individuale, capacità di esprimersi, pazienza

negli esercizi etc. In mezzo a questa serie di obiettivi “mentali” e pedagogici spunta uno, poco riconosciuto nella prassi educativa sia italiana che polacca (e invece molto presente nella società americana): la valorizzazione dell’ego dello studente. Il senso dell’ego proprio svolge un ruolo principale nello sviluppo della personalità:

dall’interazione dell’ego con le sfere degli ambienti sociali nascono sentimenti di successo o fallimento, gloria o vergogna, ottimismo o pessimismo 23 . Poi, per formare la propria

23 «This distinction between ego and personality highlights the crucial role of the ego in the individual’s personality organization. His psychological worlds can be ordered in terms of degree of ego involvement, with concentric zones of objects, persons, groups, values, and activities varying in degree of affective proximity to his ego. The more central zoned are areas of prime concern and significance. What happens in these areas is a source of pride or shame, success or failure, and gives rise to such feelings as increased or decreased self-esteem, optimism or pessimism, self-confidence or self-doubt, anxiety, elation, depression, anger, envy, and so forth». D.P. Ausubel, Ego Development and Psychopathology, Transaction Publishers, New

Figura 6, 7 e 8 Competenze pedagogiche e sociali nelle lezioni interattive di fisica per bambini 6-12 anni: capacità di auto-organizzazione, collaborazione di gruppo, capacità di espressione individuale (lezioni dell’autore, foto: Maria Karwasz)

Page 59: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

57

personalità servono multiple interazioni, nelle quali la lezione scolastica (o extrascolastica) svolge un ruolo importantissimo. Come scrive Carla Xodo, “L’identità personale è il risultato di un processo di costruzione, più o meno lungo, più o meno travagliato, certamente non lineare, in ciò favorito dal concorrere e convergere di elementi cognitivi, emotivi, affettivo – relazionali, sociali, estetici, etici e religiosi.” 24 Purtroppo, l’insegnamento tradizionale non stimola lo sviluppo (in senso positivo) del proprio ego, neppure valorizza le differenze individuali tra le personalità di singoli alunni. Milena, di 12 anni, non sa fare la conversione tra ettari, are e metri quadri. Dopo aver svolto insieme il compito di casa, qualche giorno più tardi – una domanda di controllo (appositamente scelta per essere semplice): “Milena, quanti metri quadri fa un aro?” – “Dieci mila?” “Brava Milena! Il nonno aveva sbagliato la domanda, volevo chiedere, quanti metri quadri fa un ettaro...”

Infine, un ruolo speciale va assegnato allo sviluppo delle competenze di comunicazione. In questo proprio la fisica, che non si può descrivere fenomeni solo con le formule matematiche ma richiede una verbalizzazione ricca, varia, pittoresca - diventa una materia pedagogica. Scrive Piero Crispiani: “La condizione umana è connotata dalla specificità dell’interazione, o intersoggettività, che si esprime nella duplice tendenza di far significato, costruire la conoscenza sullo sfondo/prospettiva della cultura di appartenenza, e di negoziare significati, trasmettere, mediare e confrontare le conoscenze con la cultura e con gli altri. Il raccontare è pertanto atto che prosegue quello del costruire la conoscenza, e conferisce senso alla natura intersoggettiva dell’uomo.”25 In un moto uniformemente accelerato, una specie particolare di movimento, identificata da Galileo senza ancora sapere che corrisponde a una forza costante, le distanze percorse Brunswick (USA) and London (UK) 1996, pp. 4-5. 24 C. Xodo, Dirigente scolastico: oltre la leadership, la deontologia, «Studium Educationis», 3 (2011), XII, p. 59. 25 P. Crispiani, Didattica cognitivista, cit., p. 258.

cambiano come i successivi numeri dispari. Oggi sappiamo descrivere questa formulazione con un’equazione compatta, s= ½ at2, dove s è la strada percorsa in totale, a – una costante (i.e. l’accelerazione) e t – il tempo dall’inizio del moto. E visto, che per due momenti successivi t e (t+1) la differenza delle distanze percorse ammonta a (t+1)2–t2=2t+1, si arriva ai “successivi numeri dispari”. Galileo, non avendo ancora la simbologia matematica, doveva utilizzare una mega-frase per spiegare la stessa legge: “Ma questa general cognizione è di niun profitto, quando non si sappia secondo qual proporzione sia fatto questo accrescimento di velocità, conclusione stata sino a i tempi nostri ignota a tutti i filosofi, e primieramente ritrovata e dimostrata dall’Accademico, nostro comun amico: il quale, in alcuni suoi scritti non ancor pubblicati, ma in confidenza mostrati a me e ad alcuni altri amici suoi, dimostra come l’accelerazione del moto retto de i gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cioè che segnati quali e quanti si voglino tempi eguali, se nel primo tempo, partendosi il mobile dalla quiete, averà passato un tale spazio, come, per esempio, una canna, nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette, e così conseguentemente secondo i succedenti numeri caffi; che in somma è l’istesso che il dire che gli spazzi passati dal mobile, partendosi dalla quiete, hanno tra di loro proporzione duplicata di quella che hanno i tempi ne’ quali tali spazzi son misurati, o vogliam dire che gli spazi passati son tra di loro come i quadrati de’ tempi.”26 La fisica, materia poco amata, se ampliata adeguatamente diventa una fonte di ricchezza culturale; bisogna però uscir fuori dall’ambito della pura scienza per orientarsi verso la sua dimensione umanistica.

Grzegorz Karwasz Dipartimento di Fisica,

Università Nicolao Copernico, Toruń, Polonia

26 G. Galileo, Dialogo sui massimi sistemi, Stamperia del Seminario, Padova, 1744, p. 165; oppure Oscar Mondadori, 2004, pp. 231-232.

Page 60: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

58

La formazione nella forma: il design Giovanni U. Cavallera Il variegato mondo del design è sempre stato considerato in Italia qualcosa di più di un processo di produzione puramente estetico per uso commerciale, poiché coinvolge varie conoscenze e competenze, generando un continuo rinnovamento creativo con un forte impatto sociale. Qual è il suo valore formativo? Il design penetra nel mondo della scuola non solo nella realizzazione di strumenti didattici e ricreativi, ma nel modo stesso in cui si sviluppa la creatività individuale e di gruppo. Il mondo della scuola può aiutare a spiegare la funzione creativa nella sua dimensione educativa essenziale? The diversified world of design has always been to Italy more than a purely aesthetic production process for commercial use, but involves himself in various knowledge and skills, generating a continuous creative renewal with a large social impact. What is its formative value? The design penetrates into the educational world not merely in the realization of educational and recreational tools, but in the very way in which develops the individual and group creativity. The educational world can help to explain the creative function in its essential educational dimension? Uno dei fenomeni più peculiari della modernità e anche uno dei campi meno analizzati in profondità dalle scienze umane è quello del Design. In Italia, in particolare, esso riveste un significato particoolare: qualcosa di più di un semplice processo di progettazione estetica di oggetti o strumenti ad uso commerciale, ma coinvolge in sé stesso diverse conoscenze e competenze, generando un continuo rinnovamento creativo con un impatto sociale di ampiezza tale da non potersi quantificare senza ricadere in semplificazioni spinte. Esiste una sua valenza formativa? Il design si compenetra nel mondo educativo non tanto nella

realizzazione di strumenti didattici e ludici sempre più avanzati e in linea con le esigenze della scuola, ma soprattutto nel modo stesso in cui genera la creatività individuale e di gruppo. Può il mondo educativo contribuire a esplicitare la funzione creativa nella sua essenziale dimensione formativa? Nel linguaggio corrente il termine Design sta a significare sia il mestiere di chi conferisce un valore estetico e originalità ad un artefatto fisico o virtuale sia l’artefatto medesimo, con delle caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono sia dall’oggetto prettamente industriale, sia dal manufatto artigianale o artistico. Il design, di fatto, viene indicato quale leva per la competizione commerciale internazionale e per i processi di innovazione, ed è, possiamo dire, uno dei principali araldi della contemporaneità, poiché un arredamento o anche un singolo oggetto di design dona ad un ambiente una sua propria atmosfera che lo identifica come pienamente inserito nel presente e anche proiettato nel futuro. Da questo punto di vista il design rappresenta il volto della nostra più di ogni altra arte tradizionale. In esso vi è la dicotomia fra forma e funzione che corrisponde a quella fra conoscenza e competenza nel gergo educativo1 , laddove la forma indica il retaggio umanistico del design, il suo ancoraggio a un sistema di significati che oltrepassano la materialità della funzione che resta l'unico requisito richiesto all'oggetto tecnico. La forma rende l'oggetto desiderabile di per sé, indipendentemente dalla sua funzionalità; d'altra parte la funzione è ciò che fa sì che l'oggetto sia individuato come utile, e lo contraddistingue rispetto ad una opera d'arte: all'oggetto di design compete non soltanto la gradevolezza estetica, ma anche la perfezione tecnica. Nessuno chiederebbe ad un prodotto di artigianato o ad una scultura la perfezione e l'affidabilità nel tempo. La seconda dicotomia riflette quest’ultima e la pospone in un’area semantica più vasta ed è quella fra arte e tecnica. L’errore commesso da molti riguardo questi due vasti campi risiede nel considerarli quali mondi contrapposti ed antitetici, allorquando le cose nella realtà sono andate sempre in maniera opposta, quantomeno sino a quando l’arte non si è arrogata la pretesa 1 Cfr. F. Trabucco, Design, Bollati Boringhieri, Torino 2015.

Page 61: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

59

di essere pura, col risultato di atomizzarsi e far finta di non sapere che è attraverso la padronanza di una tecnica che l’artista plasma la materia di cui la propria opera si compone. La funzionalità di un oggetto è l’astrazione in cui questa dicotomia sembra risolversi: in essa si fondono l’estetica che lo rende gradevole, appetibile e pratico e la funzione vera e propria. La funzionalità di un oggetto dunque non risiede più nel suo valore d’uso, ma nel suo essere un segno che oltrepassa l’utilità. «La logica della personalizzazione è la stessa: essa è contemporanea della naturalizzazione, della funzionalizzazione, della acculturazione, ecc. Il processo generale può definirsi storicamente: è la concentrazione monopolistiche industriale che, abolendo le differenze reali tra gli uomini, omogeneizzando le persone e i prodotti, inaugura simultaneamente il regno della differenziazione. Avviene qua un po’ come nei movimenti sociali religiosi: è sul riflusso della loro pulsione originaria che si stabiliscono le istituzioni e le chiese. Anche qui è nella perdita delle differenze che si fonda il culto della differenza»2. In effetti le due dicotomie del design fanno sì che esso si ponga a cavallo fra i due poli delle scienze applicate e delle scienze umanistiche e in ciò risiede il fulcro del suo successo e della sua adattabilità, flessibilità e ampia potenzialità. Questo carattere di flessibilità onnicomprensiva, tuttavia, ha finito per confonderne la percezione invece di mostrarne le ampie possibilità, col risultato di escludere pressoché totalmente il vasto ambito del design dal mondo della formazione. Poiché molti agenti del mondo della formazione sono ancora vittime più o meno consapevoli di quella parcellizzazione del sapere in ristrette cerchie disciplinari (la pedagogia come scienza), l’idea di un ambito del sapere che sia insieme teorico, artistico, tecnico e sociale non può che generare sospetto o essere ritenuto, al più, al di fuori delle proprie competenze. Ma formazione è un concetto che non può frammentarsi in tanti microsettori, e formatore, soprattutto, non è colui che padroneggia solo un determinato aspetto di una determinata disciplina di una determinata scienza. Scienze della formazione, difatti recita l’attuale denominazione della Facoltà universitaria che si propone di occuparsi del 2 J. Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, Bologna 1976, p. 116.

formativo, nemmeno Scienza, poiché non soltanto si riduce la formazione a mera scienza escludendone gli aspetti creativi, emotivi ed artistici, ma anche la si sminuzza in scienze, sempre più scomposte e lontane dall’idea della formazione, con un occhio benevolo verso il mondo della tecnica. Nel considerare l’insieme del percorso scolastico in Italia, si può osservare come non sia presente, in nessun grado e in nessuna disciplina un seppur vago riferimento al mondo del design, ad onta del fatto che non ci troviamo di fronte né a qualcosa di nuovo, né di un fenomeno ristretto a pochi specialisti. A dire di Mario Gennari, il sistema scolastico italiano non possiede nessun interesse verso il mondo della creatività, a vantaggio di attenzione, memoria, imitazione e ripetizione, qualità meccaniche, si potrebbe dire, a cui il pedagogista genovese contrappone la fantasia: «Se la scuola ignora l’educare all’invenzione, a vantaggio di attenzione e memoria, imitazione e ripetizione, è invece lecito tentare di dar forma dentro se stessi all’unica grammatica ossimoricamente accoglibile; quella della fantasia»3, tuttavia, anche ammettendo questa carenza nel mondo della scuola, ogni anno, migliaia di studenti, equamente divisi fra maschi e femmine, scelgono un percorso universitario inerente al mondo della creatività, anche a dispetto dei problemi dell'insegnamento dell'istruzione tecnica, disciplina vaga e negletta4. Vi è quindi una attrattività esercitata da questo assai variegato campo professionale generata non da percorsi formativi ortodossi, ma da altri mezzi di comunicazione. Al contrario delle arti tradizionali, del cinema stesso, le quali richiedono una educazione estetica, tecnica e anche filosofica per poter essere comprese, i risultati del mondo del design è così facilmente raggiungibile agli occhi di un ragazzo che è del tutto impossibile poter individuare una fonte privilegiata di ispirazione. Le varie Facoltà del Design o Accademie specialistiche saranno poi destinate, bene o male, a trasformare un interesse spesso solo entusiastico e vago in una professione ben definita e specializzata.

3 M. Gennari, Trattato di Pedagogia Generale, Bompiani, Milano 2006, p. 334. 4 Cfr. A. Scotto di Luzio, La questione irrisolta dell'Istruzione tecnica, «Vita e Pensiero», 4 (2012), pp. 94-100.

Page 62: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

60

La facilità di attrazione del mondo del design trova la sua motivazione più convincente nel fatto che esso fa leva sul desiderio. Il desiderio di possedere qualcosa che, pur appartenendo al quotidiano, è distintivo della propria epoca senza però aver bisogno dell’approfondimento che è (sarebbe) d’obbligo in un’opera d’arte, il desiderio di riuscire ad ottenere una propria personalità distinta attraverso il possesso di oggetti, abiti, automezzi di una determinata marca. Il desiderio di possedere, di apparire, di essere qualcosa di determinato in un mondo ossessivamente alla ricerca di un’identità irraggiungibile. Ci dà un estremo fastidio pensare che gli adulti si comportino non diversamente dai bambini in tema di desiderio, specialmente in un mondo tanto “individualistico” quanto il nostro, ma è quello che facciamo ogni giorno. Noi tutti protestiamo che i nostri desideri ci appartengono in esclusiva, e mostriamo disprezzo per l’imitazione che vediamo negli altri, solo negli altri, ma la verità è che ci imitiamo a vicenda con un accanimento ben superiore a quello dei bambini facendo finta di non esserne coscienti. Poiché gli oggetti dei nostri desideri sono infinitamente diversi e perennemente cangianti, è totalmente assente in essi un centro stabile e in questa “perdita del centro” 5 è una delle principali cause del disorientamento che affligge ormai cronicamente quello che si definiva mondo europeizzato. Nel cercare di capire in generale il desiderio dobbiamo evitare l’errore di Marx, Freud e altri, e non privilegiare alcune categorie di oggetti. Il desiderio non può venir capito né partendo dai suoi oggetti, né dai soggetti che lo provano e lo subiscono. «Man mano che scopriamo le forze sconosciute che modellano il nostro destino, ci convinciamo di poterle almeno in parte controllare, dato che ogni nuova scoperta ci dà nuovi poteri di manipolazione sull’ambiente e sui nostri simili. Da un lato ci viene costantemente ripetuto che siamo delle assolute nullità; dall’altro, che si sta creando un mondo che sarà interamente dominato dalla volontà umana. C’è solo un dettaglio che viene lasciato fuori del quadro, ossia che una volontà umana unificata non esiste».6

5 Cfr. H. Sedlmayr, La perdita del centro, Borla, Torino. 6 R. Girard, La voce inascoltata della realtà, Adelphi, Milano 2006, p. 239.

Alla base di tutto vi è una concezione monopolistica della produzione delle differenze. Ciò che noi acquistiamo, sicuri di sbandierare al mondo la nostra distanza dalle masse o di dimostrare una certa libertà nello stile di vita, è in realtà nient’altro che l’adeguarsi all’irretimento innescato da strategie comunicative ben precise e articolate secondo fasce d’età, di genere, di prezzo. A ben vedere, differenziarsi significa uniformarsi ad un preciso modello omologante, astrattamente alternativo e ciò, al contrario di quanto può sembrare, comporta l’allontanamento da ogni pretesa di singolarità, di autonomia. Da quell’autonomia che dovrebbe generare il pensiero realmente critico. Laddove l’industria diventa sempre più monopolistica e autoaggregantesi in enormi multinazionali, essa fa sempre più leva sulla comunicazione per incitare all’affermazione delle differenze, producendole. La differenziazione disposta dal consumo è un sistema di relazione e di interscambio, e in questa risiede la grande differenza col sistema di scambio del passato, come ricorda René Girard allorquando sosteneva che le differenze di nascita, di sangue, di religione non erano ritenute intercambiabili e modificabili a piacimento: esse non erano differenze di moda [modo], ma riguardavano l’essenziale. Esse non erano “consumate”. Le differenze attuali (che siano di vestiario, di ideologia, persino di sesso), vale a dire ciò che crediamo ci contraddistingua, si scambiano in seno ad un vasto consorzio di consumi. L’autentico cambiamento può attecchire soltanto quando nasce da quella forma di coerenza che è attributo esclusivo della tradizione: soltanto dal suo interno la tradizione può essere contestata e superata senza nessun preteso obbligo di annientare ciò che è stato in precedenza. Il principale requisito per un’autentica innovazione è avere un minimo di rispetto per il passato, e la padronanza dei suoi conseguimenti, cioè la mimesis. L’offuscarsi di tutti i criteri di giudizio intellettuali ed estetici è alla base di quella che è chiamata estetica “postmoderna”, in cui si cerca di oltrepassare la moderna ossessione del nuovo sorta con la vittoria della società industriale ricorrendo ad un’orgia di imitazioni casuali, all’adozione indiscriminata di tutti i modelli. In questo il mondo della formazione può dire la sua

Page 63: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

COMPETENZE PEDAGOGICHE E COMPETENZE DIDATTICHE NELL’INSEGNARE

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

61

smascherando la perdita di identità che il forzato desiderio di differenziazione comporta, e indicando la via della creatività, attraverso la quale rielaborare il mondo conosciuto senza disconoscerlo. Da parte loro i designer dovranno «Stimolare l’immaginazione dei soggetti consumatori/utilizzatori (ma anche quella dei produttori e degli operatori pubblici), cioè la loro propensione a vedere soluzioni ancora non chiaramente espresse. Il che significa che i designer possono intervenire sul piano delle proposte culturali, dei valori, dei criteri di qualità, delle visioni di mondi possibili per cercare di influenzare l’esistente (cioè, in ultima istanza, per cercare di orientare la domanda di prodotti e servizi che successivamente gli verrà posta)»7. Il mondo della formazione ha, da parte sua, di fronte a sé il compito di comprendere e non respingere uno dei più importanti – e meno evidenti – aspetti del quotidiano, indicandone certo gli elementi negativi, soprattutto nella insita capacità che hanno gli oggetti di design di essere idolatrati8, e di generare dipendenze e settarismi. Nemmeno il più primitivo dei culti infatti è inferiore all’idolatria delle macchine, ovvero di strumenti creati dall’uomo. Accanto a questi risvolti da tenere sotto costante attenzione, il design offre grandi possibilità per la formazione dell’uomo grazie alla sua straordinaria poliedricità, la capacità di sapersi adattare di volta in volta alle situazioni più disparate, alla possibilità di fornire strumenti utilissimi e di grande impatto. Si pensi, per citarne una alle risorse che vengono offerte al mondo della disabilità e a tutti coloro che agiscono per il miglioramento della qualità della vita dei disabili. Si progettano interfacce appositamente strutturate per consentire un migliore apprendimento, si sviluppano media in grado di rendere possibile la capacità di espressione di persone che altrimenti sarebbero condannate a rimanere inerti, si creano oggetti in grado di facilitare i movimenti, e via

7 C. Vezzoli - E. Manzini, Design per la sostenibilità ambientale, Zanichelli, Bologna 2007, p. 53. 8 Mi si conceda il termine molto forte, ma non si può far finta di minimizzare le espressioni di isteria che si scatenano al lancio di certi smartphones e il senso di appartenenza a un qualcosa di importante che il possesso di uno di tali oggetti genera.

dicendo 9 . Non solo in questa dimensione strumentale, tuttavia, si esauriscono le potenzialità di questo vasto settore. Il porre l’accento sulla bellezza insita nel quotidiano e sui processi di creatività che sono sottesi al design si rivelano essere un volano straordinario ed inesplorato per lo sviluppo psico-cognitivo per i giovani in età scolare e ancora di più per gli adulti. Se l’architettura sembra, per molti versi lontana dal dialogare con la società, rinserrandosi in una astrattezza gelida e poco comprensibile, allora il design ha la grande chance di rimettere la bellezza al centro del quotidiano. In una società con un’età media che tende ad aumentare in modo costante, il design e l’apprendimento attraverso di esso hanno la possibilità di giocare un ruolo di grande rilevanza per stimolare l’attenzione e rendere meno complicato l’utilizzo di nuovi sistemi tecnici ed informatici verso cui a partire dalla terza età la capacità di interazione cala vistosamente10. Esempi di prodotti ed interfacce studiate appositamente per le esigenze degli adulti sono in avanzata fase di progettazione11. Ma ciò non è sufficiente. Un approccio umanista al design dovrebbe prevedere l’utilizzo di tali utili strumenti non soltanto come facilitazione della vita per fasce “deboli” quali sono i più giovani, gli anziani, i diversamente abili, ma la capacità di far fronte a questo mondo smascherandone gli aspetti e i meccanismi deleteri che esso può generare e mostrandone, di contro, la positiva e vitale dimensione creativa, la capacità autorigenerativa che sinora è sempre stata un attributo del design, italiano in particolare. Una delle difficoltà a riconoscere questa dimensione creativa proviene, bisogna notare,

9 Sul tema cfr., fra i tanti, G. Pullin, Design meets disability, MIT Press, Cambridge, 2009. 10 «There have been changes in the way products work, look, act, and react to people who use them. These changes in technology coupled with changing capabilities of the people using the technology can lead to less than desiderable interactions with products […]. Unfortunately, the extent of frustration encountered when dealing with technologies is salso quite evident. Proper attention to design will eliminate much of this frustration» (A. D. Fisk - W. A. Rogers - N. Charness - S.J. Czaja - J. Sharit, Designing for Older Adults. Principles and Creative Human Factors Approaches, CRC Press, Boca Raton 2009). 11 Ad esempio il dispositivo telefonico per la terza età Noon Talk. Cfr. http://noon.care/en/.

Page 64: NUOVA SECONDARIA RICERCA 6 - Rivisteriviste.gruppostudium.it/sites/default/files/...A cura di Carla Xodo e Andrea Porcarelli (Università di Padova) Introduzione pp. 1-2 ELIO DAMIANO

NUOVA SECONDARIA RICERCA 6

© Nuova Secondaria - n. 6, febbraio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

62

dall’idea fluida di stile che è emersa in questi anni, come detto sopra. Sino agli anni ’80 un prodotto di design rivelava sin dalla prima occhiata la sua appartenenza ad una particolare corrente stilistica ben netta e delineata. Nessuno avrebbe potuto scambiare negli anni ’30 del Novecento una Isotta Fraschini o una Lancia per auto non italiane, e così anche una Delahaye o una Voisin per la Francia e via dicendo; all’interno di queste scuole poi si distinguevano ancora le linee dei vari maestri di carrozzeria: una Lancia Flaminia di Touring non sarebbe mai stata confusa con una Flaminia di Zagato. Oggi un’auto italiana può essere molto più di una vettura giapponese che invece vuol ispirarsi allo stile italiano del Boom. Si conceda all’autore questa digressione automobilistica per chiarire con un esempio pratico come lo stile procedesse rinnovandosi in maniera coerente di modo da essere riconoscibile e possedesse una identità ben definita, mentre l’attuale tendenza vuole che si mescolino stimoli stilistici senza alcun legame fra loro per ottenere effetti a sensazione e nuovi, oppure riprende elementi del passato inserendoli a forza in contesti inadatti a sostenerli con effetti grotteschi. Il rischio che si corre con siffatte operazioni non risiede soltanto nella progettazione di brutture estetiche – destinate nella maggior parte dei casi ad essere dimenticate in fretta – ma a far considerare lecita l’idea che nella creazione intellettuale tutto abbia la medesima rilevanza e si possa pescare da un unico calderone un input per creare un che di inedito, laddove è la novità l’unico fattore di rilevanza che si vorrebbe privilegiare. Perché è questo il pericolo mortale che il mondo della formazione sta correndo e che sta minando nelle sue fondamenta ogni sua base: il rincorrere il nuovo ad ogni costo quasi fosse il fine verso cui tendere. Ci si muove come se la novità fosse di per sé un valore scientifico, bastante a spiegare l’efficacia di qualcosa, che si tratti di una teoria, di un oggetto d’suo quotidiano, di un metodo. Ma la validità di un sistema si misura con ben altri metri che la sensazione dell’istante, ovvero con la sua capacità di durare nel tempo ed adattarsi alle mutevoli esigenze. Nel campo del design è la capacità di creare modelli e forme che, pur nell’utilizzo pratico, resistono e durano nel tempo, contribuendo a creare un’identità. Il canto delle sirene dell’innovazione fine a se

stessa seduce l’uomo portandolo verso scogli aspri e pericolosi, da cui è difficile disincagliarsi senza sforzi inani, perché le fascinose sirene in questione non possiedono neppure un canto gradevole, a ben vedere: osservandole attentamente si rivelano essere terribili gorgoni che impetrano volontà ed intelligenza avvolgendole nelle spire di vuoti formalismi e entusiasmi senza approfondimento.

Giovanni U. Cavallera Dottore di ricerca in Filosofia dell’educazione

Insegnante di Filosofia e storia Ulteriori riferimenti bibliografici J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano 2009. M. Chiapponi, Cultura sociale del prodotto. Nuove frontiere per il disegno industriale, Feltrinelli, Milano 1999. V. Gregotti, Il disegno del prodotto industriale. Italia 1860-1980, Electa, Milano 2003. T. Irwin, Transition Design: A Proposal for a New Area of Design Practice, Study, and Research, in «Design and Culture: The Journal of the Design Studies Forum», 7 (2015), pp. 229-246. R. Loewy, Never leave well enough alone, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London 2002. A. Scotto Di Luzio, La questione irrisolta dell'Istruzione tecnica, «Vita e Pensiero», 4 (2012), pp. 94-100. R. Verganti, Design-Driven Innovation. Cambiare le regole della competizione innovando radicalmente il significato dei prodotti e dei servizi, ETAS, Milano 2009.


Recommended