CIRCOLARE N. 38/E
OGGETTO: Riforma del processo tributario - Decreto legislativo 24 settembre
2015, n. 156
Direzione Centrale Affari Legali,
Contenzioso e Riscossione
2
INDICE
PREMESSA .......................................................................................................... 4
1. MODIFICHE AL D.LGS. N. 546 DEL 1992 .............................................. 9
1.1 Articolo 2 - Oggetto della giurisdizione tributaria ...................................... 9
1.2 Articoli 4, 10, 11 e 23 – Competenza delle commissioni tributarie e parti
del processo ...................................................................................................... 10
1.3 Articolo 12 - Assistenza tecnica ................................................................. 12
1.4 Articolo 15 - Spese del giudizio ................................................................. 16
1.5 Articolo 16 - Comunicazioni e notificazioni ............................................. 25
1.6 Articolo 16-bis - Comunicazione e notificazioni per via telematica ........ 26
1.7 Articolo 17-bis - Il reclamo e la mediazione ............................................. 29
1.7.1 Estensione dell’ambito di applicazione ........................................... 31
1.7.2 Semplificazione delle modalità di instaurazione del procedimento 33
1.7.3 Effetti della presentazione del reclamo ............................................ 34
1.7.4 Istruttoria del reclamo e il perfezionamento dell’accordo di
mediazione ..................................................................................................... 37
1.7.5 Quantificazione del beneficio della riduzione delle sanzioni in senso
più favorevole al contribuente ...................................................................... 39
1.7.6 Nuove regole per il pagamento delle somme dovute a seguito
dell’accordo di mediazione ........................................................................... 40
1.7.7 Applicabilità della conciliazione giudiziale alle controversie
reclamabili .................................................................................................... 43
1.8 Articolo 18 - Il ricorso ................................................................................ 43
1.9 Articolo 39 - Sospensione del processo ..................................................... 44
3
1.9.1 Sospensione dovuta all’inizio di una procedura amichevole .............. 48
1.10 Articolo 47 - Sospensione dell’atto impugnato ....................................... 49
1.11 Articoli 48, 48-bis e 48-ter – La conciliazione giudiziale ....................... 54
1.11.1 Estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto .......................... 55
1.11.2 Conciliazione perfezionata “fuori udienza” ................................ 56
1.11.3 Conciliazione perfezionata “in udienza” ..................................... 59
1.11.4 Riduzione delle sanzioni ............................................................... 61
1.11.5 Pagamento delle somme dovute a seguito della conciliazione..... 63
1.12 Articoli 49, 52 e 62-bis - La sospensione delle sentenze ......................... 65
1.13 Articoli 62 e 63 – Modifiche alla disciplina del ricorso per cassazione . 70
1.14 Articoli 64 e 65 – Il giudizio di revocazione ............................................ 73
1.15 Articoli 67-bis, 68, 69 e 70 – L’esecuzione delle sentenze ...................... 75
1.15.1 Le modifiche all’articolo 68 ......................................................... 77
1.15.2 Il nuovo articolo 69 ...................................................................... 81
1.15.3 L’abrogazione dell’articolo 69-bis ............................................... 85
1.15.4 Le modifiche all’articolo 70 ......................................................... 85
2. NORME DI COORDINAMENTO............................................................ 91
3. MODIFICHE AL D.LGS. N. 545 DEL 1992 ............................................ 96
4
PREMESSA
L’articolo 10 della legge 11 marzo 2014, n. 231, al comma 1, lettere a) e
b), ha delegato il Governo all’introduzione di “norme per il rafforzamento della
tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo
giudicante”. A tale scopo, le predette disposizioni legislative hanno fissato alcuni
principi e criteri direttivi, tra i quali:
“a) rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel
processo tributario, anche a fini di deflazione del contenzioso e di
coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e
l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con
particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate
violazioni di minore entità;
b) incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria”, da realizzare
attraverso interventi riguardanti, tra l’altro:
“l’eventuale composizione monocratica dell’organo giudicante in
relazione a controversie di modica entità e comunque non attinenti a
fattispecie connotate da particolare complessità o rilevanza economico-
sociale”;
“la revisione delle soglie in relazione alle quali il contribuente può stare
in giudizio anche personalmente e l’eventuale ampliamento dei soggetti
abilitati a rappresentare i contribuenti dinanzi alle commissioni
tributarie”;
“il massimo ampliamento dell’utilizzazione della posta elettronica
certificata per le comunicazioni e le notificazioni”;
1 La legge n. 23 del 2014 è rubricata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più
equo, trasparente e orientato alla crescita”.
5
“l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel
processo tributario”;
“la previsione dell’immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa,
delle sentenze delle commissioni tributarie”;
“l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del
principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con
conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la
compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca”.
In attuazione della suddetta delega, il Titolo II del decreto legislativo 24
settembre 2015, n. 1562 (di seguito: decreto di riforma), pubblicato sul
supplemento ordinario n. 55/L alla Gazzetta Ufficiale del 7 ottobre 2015, ha
apportato rilevanti modifiche ad alcune disposizioni contenute nel decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (di seguito: decreto n. 546), concernente la
disciplina del processo tributario.
In sintesi, le più importanti modifiche relative al decreto n. 546
riguardano:
- l’estensione dell’ambito di applicazione della conciliazione al giudizio di
appello e alle controversie soggette a reclamo/mediazione;
- l’estensione dell’ambito di operatività del reclamo/mediazione alle
controversie dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a quelle degli enti
locali, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui
all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 4463, nonché
alle controversie catastali4;
2 II Titolo I del decreto di riforma ha attuato la delega contenuta nell’articolo 6, comma 6, della legge n.
23 del 2014, relativamente alla revisione generale della disciplina degli interpelli. 3 Si tratta di soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e
quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni. 4 Finora escluse dal reclamo/mediazione a causa dell’indeterminabilità del valore.
6
- la rivisitazione della disciplina della tutela cautelare, che è stata estesa a
tutte le fasi del processo, codificando in tal modo i principi stabiliti in
materia dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità;
- l’esecutività immediata delle sentenze non definitive concernenti i giudizi
promossi avverso gli atti relativi alle operazioni catastali e di quelle,
sempre non definitive, recanti condanna al pagamento di somme a favore
dei contribuenti, eventualmente subordinato alla prestazione di idonea
garanzia in caso di somme di importo superiore a 10.000 euro;
- il mantenimento del criterio della riscossione frazionata del tributo in
pendenza di giudizio5;
- la previsione del giudizio di ottemperanza come unico meccanismo
processuale di esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o meno,
escludendo la possibilità di ricorso all’ordinaria procedura esecutiva,
contemplata dal vigente testo del decreto n. 546;
- l’affidamento alla commissione tributaria, in composizione monocratica,
della cognizione dei giudizi di ottemperanza instaurati per il pagamento di
somme di importo non superiore a 20.000 euro e, in ogni caso, per il
pagamento delle spese di giudizio;
- l’innalzamento del valore dei giudizi in cui i contribuenti possono stare
personalmente, senza l’assistenza di un difensore abilitato, che viene
portato, dagli attuali 2.582,28 euro, a 3.000,00 euro;
- l’ampliamento della categoria dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica,
nella quale sono stati inseriti i dipendenti dei CAF, in relazione alle
controversie che derivano da adempimenti posti in essere dagli stessi CAF
nei confronti dei propri assistiti.
5 Il mantenimento del meccanismo della riscossione frazionata del tributo in pendenza di giudizio
consente di non aggravare gli obblighi di versamento da parte dei contribuenti, a fronte di atti impositivi
ancora non definitivi.
7
Onde assicurare il necessario coordinamento tra le modifiche al decreto n.
546 e alcune disposizioni recate da altri testi legislativi, l’articolo 10 del decreto
di riforma ha modificato l’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, concernente la rappresentanza e l’assistenza dei
contribuenti, il comma 3–bis dell’articolo 14 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia) e gli articoli 19 e 22 del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante disposizioni generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.
Il successivo articolo 11 del decreto di riforma è intervenuto con alcune
modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, riguardante
l’ordinamento degli organi di giurisdizione tributaria (vedi infra par. 3).
Ai sensi dell’articolo 12 del decreto di riforma, le nuove disposizioni
entreranno in vigore il 1° gennaio 2016, ad eccezione dei nuovi articoli 67-bis
(esecuzione provvisoria delle sentenze delle commissioni tributarie) e 69
(esecuzione delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del
contribuente) del decreto n. 546, nonché della disposizione abrogativa
dell’articolo 69-bis (esecuzione delle sentenze sugli atti relativi alle operazioni
catastali) del medesimo decreto n. 5466, per le quali l’entrata in vigore è stata
fissata al 1° giugno 2016.
Le nuove norme processuali opereranno in relazione a tutti i giudizi
pendenti alla data della loro entrata in vigore, “non essendo stata ritenuta
opportuna una previsione di applicabilità limitata ai soli nuovi giudizi. Un tale
sistema infatti verrebbe a creare un nuovo rito, che coesisterebbe con il vecchio
per le cause anteriori generando confusione ed incertezze” (relazione illustrativa
al decreto di riforma).
6 L’articolo 69-bis del decreto n. 546 è stato abrogato dall’articolo 9, comma 1, lettera hh), del decreto di
riforma.
8
Come precisato nella relazione illustrativa, il decreto di riforma si
inserisce “in un quadro macroeconomico completamente difforme rispetto a
quello” riconducibile alla data di entrata in vigore del decreto n. 546 (1° aprile
1996) “e in un sistema normativo caratterizzato da una continua evoluzione di
alcuni istituti dell’ordinamento tributario generata anche dalle diverse riforme
che hanno interessato la maggior parte dei tributi”.
Più nel dettaglio, nella relazione illustrativa si osserva che il numero dei
ricorsi pendenti innanzi alle commissioni tributarie si è progressivamente ridotto,
passando dai circa 2,4 milioni dell’anno 1996 ai circa 570.000 dell’anno 2014 e
che relativamente a tale ultimo anno è stato riscontrato che il 70 per cento dei
ricorsi di primo grado attiene a controversie di valore non superiore a 20.000
euro. Inoltre, grazie anche all’introduzione dell’istituto del reclamo/mediazione7,
il numero dei ricorsi proposti in commissione tributaria provinciale nel 2014,
rispetto a quelli del 2011, si è quasi dimezzato, passando da circa 171.000 a circa
90.000.
Si aggiunga che circa il 56 per cento dei ricorsi proposti in primo grado è
corredato da un’istanza di sospensione della riscossione dell’atto impugnato,
mentre l’utilizzo della conciliazione giudiziale - che nel vigente testo del decreto
n. 546 è limitata al primo grado di giudizio ed esclusa per le controversie
soggette a reclamo/mediazione - si attesta intorno all’1 per cento delle definizioni
complessive.
L’attuale situazione del contenzioso tributario, caratterizzata da un elevato
numero di controversie di modesto valore, dalla forte domanda di sospensione
della riscossione da parte dei contribuenti, dall’esiguo ricorso alla conciliazione
giudiziale, nonché dal marcato utilizzo della compensazione delle spese di
giudizio nelle fasi di merito, consente, invero, di meglio comprendere la ratio
7 L’istituto del reclamo/mediazione - introdotto dall’articolo 39 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 - ha cominciato ad operare in relazione
agli atti di valore fino a 20.000 euro, notificati dall’Agenzia delle entrate a decorrere dal 1° aprile 2012.
9
degli interventi di riforma, precedentemente sintetizzati, che appaiono
innanzitutto rivolti al superamento delle predette criticità.
Tanto premesso, con la presente circolare si forniscono chiarimenti sulle
modifiche inerenti al decreto n. 546 e alle disposizioni di coordinamento, nonché
brevi cenni alle modifiche al D.Lgs. n. 545 del 1992, riportando in allegato il
testo delle norme risultanti dal decreto di riforma, affiancato al testo delle norme
antecedenti.
1. MODIFICHE AL D.LGS. N. 546 DEL 1992
1.1 Articolo 2 - Oggetto della giurisdizione tributaria
L’articolo 9, comma 1, lettera a), del decreto di riforma ha apportato
alcune modifiche all’articolo 2 del decreto n. 546, che individua le materie
attribuite alla cognizione delle commissioni tributarie, adeguando – come si
legge nella relazione illustrativa – le relative disposizioni alle statuizioni della
giurisprudenza costituzionale in materia di giurisdizione tributaria.
Più esattamente, all’articolo 2 sono state espunte:
- dal comma 1 le controversie inerenti alle “sanzioni amministrative,
comunque irrogate da uffici finanziari”8;
- dal comma 2, secondo periodo, le controversie “relative alla debenza del
canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo
63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive
8 Ciò in aderenza a quanto previsto dalla sentenza 14 maggio 2008, n. 130, con la quale la Corte
costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546 …, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie
relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla
violazione di disposizioni non aventi natura tributaria”. La Corte costituzionale ha ritenuto che l’articolo
2, comma 1, in questione “finisce per attribuire alla giurisdizione tributaria le controversie relative a
sanzioni unicamente sulla base del mero criterio soggettivo costituito dalla natura finanziaria
dell’organo competente ad irrogarle e, dunque, a prescindere dalla natura tributaria del rapporto cui tali
sanzioni ineriscono. Essa, dunque, si pone in contrasto con l’art. 102, secondo comma, e con la VI
disposizione transitoria della Costituzione, risolvendosi nella creazione di un nuovo giudice speciale”.
10
modificazioni (c.d. COSAP, n.d.r.), e del canone per lo scarico e la
depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani”9.
1.2 Articoli 4, 10, 11 e 23 – Competenza delle commissioni tributarie e parti del
processo
L’articolo 9, comma 1, lettere b), c) e d) del decreto di riforma ha
modificato gli articoli 4, 10 e 11, comma 2, del decreto n. 546 al fine di
aggiornare le denominazioni degli enti impositori e dei soggetti svolgenti attività
di riscossione, che risultavano ormai superate rispetto alla riforma
dell’Amministrazione finanziaria10
che ha portato all’istituzione delle Agenzie
fiscali e all’attuale assetto della riscossione dei tributi, caratterizzato dalla
presenza dei c.d. agenti della riscossione (le società del Gruppo Equitalia e la
società Riscossione Sicilia) e dei c.d. concessionari privati della riscossione
(ossia i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del D.Lgs. n. 446 del 1997,
abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento dei tributi, nonché di
riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni).
Coerentemente, la lettera n) del predetto articolo 9, comma 1, ha
modificato il comma 1 dell’articolo 23, rubricato “Costituzione in giudizio della
parte resistente”, che ora dispone: “L’ente impositore, l’agente della riscossione
9 Con sentenza 14 marzo 2008, n. 64, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto n. 546, relativamente all’inclusione nella
giurisdizione tributaria delle controversie sul COSAP, evidenziando di condividere la giurisprudenza
della Corte di cassazione, la quale “ha costantemente dichiarato che le controversie attinenti al COSAP
non hanno natura tributaria (ex multis, Cassazione, sezioni unite civili, nn. 25551, 13902, 1611 del 2007;
n. 14864 del 2006; n. 1239 del 2005; n. 5462 del 2004; n. 12167 del 2003)”. Inoltre, con sentenza 11
febbraio 2010, n. 39, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2,
secondo periodo del decreto n. 546, nella parte inerente all’attribuzione alla giurisdizione tributaria delle
controversie sulla debenza del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale
disciplinato dagli articoli 13 e 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonché dagli articoli 154 e 155 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. 10
Si fa riferimento alle espressioni “uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze” ed
“enti locali ovvero concessionari del servizio della riscossione”, contenute nel testo originario
dell’articolo 4 del decreto n. 546 e delle altre norme in commento.
11
ed i soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446 nei cui confronti è stato proposto il ricorso si
costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato
notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale.”
Nei medesimi articoli 4 e 10 del decreto n. 546 sono state riprodotte,
semplificandole, le disposizioni precedentemente inserite dall’articolo 28 del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, secondo le quali, per le controversie
instaurate nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle entrate con
competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il
regolamento di amministrazione previsto dall’articolo 71 del D.Lgs. n. 300 del
199911
, è competente la commissione tributaria provinciale nella cui
circoscrizione ha sede l’Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo
controverso, individuato in ragione del domicilio fiscale del contribuente, al quale
è riconosciuta anche la legitimatio ad causam.
All’articolo 11, comma 2, secondo periodo, con riguardo al contenzioso in
materia di contributo unificato, la legittimazione processuale e la difesa in
giudizio delle cancellerie e delle segreterie degli uffici giudiziari è stata prevista
non solo per il giudizio di primo grado, ma anche per quello innanzi alle
commissioni tributarie regionali. Si tratta, infatti, di uffici che provvedono alla
liquidazione e all’accertamento del contributo unificato di cui all’articolo 9 del
DPR n. 115 del 2002, previsto, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile,
comprese la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo
amministrativo e nel processo tributario. Il predetto contributo unificato si
configura come un vero e proprio tributo e rientra, pertanto, nell’ambito della
giurisdizione tributaria.
11
Come noto, si fa riferimento, in particolare, agli atti di accertamento parziale con modalità
automatizzate, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, che il provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate prot. n. 2011/16271 del 28 gennaio 2011, in attuazione dell’articolo 71 del
D.Lgs. n. 300 del 1999, ha attribuito alla competenza del Centro operativo di Pescara.
12
È stato, coerentemente, soppresso il comma 3-bis dell’articolo 11 in
commento, che limitava al giudizio di primo grado la legittimazione processuale
e la difesa diretta di cancellerie e segreterie degli uffici giudiziari.
1.3 Articolo 12 - Assistenza tecnica
L’articolo 9, comma 1, lettera e) del decreto di riforma ha integralmente
sostituito l’articolo 12 del decreto n. 546, mantenendo, tuttavia, la regola
generale dell’obbligatorietà, per la parte privata, dell’assistenza tecnica nelle
controversie tributarie, fatti salvi i casi di controversie di modico valore, elevato
da 2.582,28 euro a 3.000,00 euro con decorrenza dal 1° gennaio 2016.
Le modalità di determinazione del valore della controversia, rimaste
invariate, sono ora contenute nel comma 2, secondo periodo, dell’articolo 1212
.
Nelle ipotesi in cui il valore della controversia sia superiore al predetto
limite di 3.000,00 euro, la parte privata è tenuta a dotarsi di assistenza tecnica e il
ricorso dovrà essere sottoscritto dal difensore abilitato.
Per le ipotesi in cui, al contrario, la parte privata, pur essendovi tenuta,
abbia omesso di nominare un difensore abilitato, il nuovo comma 10 dell’articolo
12 rinvia alle disposizioni dell’articolo 182 c.p.c.13
in tema di difetto di
rappresentanza o di autorizzazione.
In forza di tale rinvio, il presidente della commissione o della sezione o il
collegio verificano d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti; ove
occorra, invitano le parti a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti
12
Si ricorda che, come anticipato in premessa, in sede di modifiche di coordinamento conseguenti alla
nuova disciplina del contenzioso, il comma 2 dell’articolo 10 del decreto di riforma ha modificato
l’articolo 14, comma 3-bis del DPR n. 115 del 2002, che, nella nuova formulazione, proprio in relazione
alla determinazione del valore della controversia, fa riferimento al “comma 2”, anziché al “comma 5”
dell’articolo 12 del decreto n. 546. 13
L’articolo 182 c.p.c., rubricato “Difetto di rappresentanza o di autorizzazione”, prevede che “Il giudice
istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a
completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi.
Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che
determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la
costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle
necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa.
L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin
dal momento della prima notificazione.”.
13
che riconoscono difettosi e, in caso di difetto di rappresentanza, di assistenza o di
autorizzazione ovvero di vizio che determina la nullità della procura al difensore,
assegnano un termine perentorio, entro il quale è possibile sanare i relativi vizi,
con efficacia retroattiva.
Al riguardo, la relazione illustrativa chiarisce l’intento del legislatore di
ridurre i tempi del giudizio, anticipando la regolarizzazione dell’eventuale vizio
dell’atto processuale (ad es., difetto di procura alla lite), “in conformità a quanto
ripetutamente statuito dalla Corte di Cassazione, la quale ha precisato che
soltanto se l’invito del giudice risulta infruttuoso, quest’ultimo deve dichiarare
invalida la costituzione della parte in giudizio (da ultimo: Cass. civ. Sez. III, 11-
09-2014, n. 19169 e 22-05-2014, n. 11359)”.14
Non sono, invece, tenuti a dotarsi di difensore abilitato gli uffici
dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al
D.Lgs. n. 300 del 1999, gli altri enti impositori, nonché gli agenti e i
concessionari privati della riscossione.
Il novellato articolo 12, commi 3, 5 e 6, individua, inoltre, i soggetti
abilitati all’assistenza tecnica innanzi alle commissioni tributarie che, come
14
Si rammenta che – in conformità all’indirizzo espresso dalla Corte costituzionale con sentenza 13
giugno 2000, n. 189 - la consolidata giurisprudenza di legittimità riconosce l’applicabilità della disciplina
sulla regolarizzazione dei vizi di rappresentanza, assistenza o autorizzazione anche con riferimento al
testo dell’articolo 12 del decreto n. 546 vigente fino al 31 dicembre 2015. Più precisamente, la Suprema
Corte ritiene che tale disciplina “si applica … ai ricorsi di valore superiore (a 2.582,28 euro, n.d.r.), a
decorrere da quando - con la sentenza n. 189 del 13 giugno 2000, con la quale è stata dichiarata
l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.Lgs. 31 dicembre
1992, n. 546, art. 12, comma 5, e art. 18, commi 3 e 4, ove interpretato nel senso che il ricorso
sottoscritto dal solo contribuente sia inammissibile - la Corte Costituzionale ha evidenziato che, secondo
un’interpretazione corrispondente al significato delle norme del D.Lgs. n. 546 del 1992 …, in armonia
con un sistema processuale volto a garantire la tutela delle parti …, l’inammissibilità del ricorso deve
intendersi riferita soltanto all’ipotesi in cui sia rimasto ineseguito l’ordine del presidente della
commissione, della sezione o del collegio, rivolto alle parti diverse dall’amministrazione, di munirsi, nel
termine fissato, di assistenza tecnica, conferendo incarico a difensore abilitato.
A seguito di ciò è divenuto jus receptum anche nella giurisprudenza di questa Corte (secondo l’indirizzo
fatto definitivamente proprio da Cass. Sez. U, Sentenza n. 22601 del 02/12/2004) il principio secondo
cui: <<Nel processo tributario, il giudice chiamato a conoscere di una controversia di valore superiore a
L. 5.000.000, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5, e art. 18, commi 3 e 4, è
tenuto a disporre che l’attore parte privata che stia in giudizio senza assistenza tecnica si munisca di
essa, conferendo incarico a difensore abilitato; con la conseguenza che l’inammissibilità del ricorso può
essere dichiarata solo a seguito della mancata esecuzione di tale ordine>>” (Cass. 29 dicembre 2011, n.
29567).
14
evidenziato nella relazione illustrativa, possono essere raggruppati nelle seguenti
tre categorie:
- coloro che possono assistere i contribuenti nella generalità delle
controversie [lettere da a) a d) del comma 3];
- coloro che sono abilitati alla difesa con riguardo a controversie aventi ad
oggetto materie specifiche [lettera e) del comma 3, lettere da a) a g) del comma 5
e comma 6];
- coloro che possono assistere esclusivamente alcune categorie di
contribuenti [lettere f), g) e h) del comma 3].
Tra i soggetti che possono assistere esclusivamente alcune categorie di
contribuenti, il nuovo articolo 12, alla lettera h) del comma 3, ha ricompreso
anche i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) e delle relative società di
servizi, che siano in possesso, congiuntamente, del diploma di laurea magistrale
in giurisprudenza, o in economia ed equipollenti o del diploma di ragioneria e
della relativa abilitazione professionale. I predetti dipendenti possono difendere i
propri assistiti esclusivamente nei contenziosi tributari che scaturiscono
dall’attività di assistenza loro prestata, come, ad esempio, quelli relativi al
disconoscimento degli oneri e delle spese indicati nella dichiarazione compilata e
trasmessa dal medesimo centro di assistenza fiscale.
Ai sensi del comma 9, i soggetti abilitati all’assistenza tecnica possono
stare in giudizio personalmente nelle controversie che li riguardano, fermi
restando i limiti stabiliti dallo stesso articolo 12 e, dunque, nei casi in cui in
giudizio si dibattano questioni afferenti alla loro attività.
Con riferimento alle procedure di gestione dell’elenco dei soggetti abilitati
alla rappresentanza ed assistenza in giudizio di cui al comma 3, lettere d), e), f),
g) ed h) (nell’elenco, in pratica, devono essere iscritti tutti i soggetti abilitati ex
lege all’assistenza e alla rappresentanza in giudizio, fatta eccezione per gli
avvocati, per coloro che sono iscritti nella “Sezione A commercialisti dell’Albo
dei dottori commercialisti e degli esperti contabili” e per i consulenti del lavoro),
15
il novellato articolo 12 ne ha operato l’accentramento in capo al Ministero
dell’economia e delle finanze.
In particolare, l’articolo 12, comma 4, affida ora la gestione del predetto
elenco al Dipartimento delle finanze, rinviando ad un regolamento adottato ai
sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal Ministro
dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia, al fine di
disciplinare le modalità di tenuta dell’elenco e di individuare i casi di
incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della relativa iscrizione. In merito,
la relazione illustrativa ha sottolineato che, per la definizione delle predette
fattispecie, dovrà tenersi conto del codice deontologico forense, posto che
“nell’ambito dell’assistenza tecnica l’attività defensionale propria
dell’avvocatura risulta essere prevalente”15
.
L’ultimo periodo del nuovo comma 4 dell’articolo 12 dispone che l’elenco
dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica, con i relativi aggiornamenti, è
pubblicato nel sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze.
In ordine all’entrata in vigore delle disposizioni in commento, l’articolo
12, comma 2, del decreto di riforma specifica che fino all’approvazione del DM
previsto dal novellato articolo 12, comma 4, del decreto n. 546 “restano
applicabili le disposizioni previgenti”. Considerato che il decreto ministeriale
concerne in particolare le modalità di tenuta del predetto elenco dei soggetti
abilitati alla assistenza tecnica, si ritiene che le altre disposizioni del nuovo
articolo 12 non interessate dall’emanazione del medesimo decreto - in particolare
quella recante il nuovo limite di valore di 3.000,00 euro delle liti per le quali i
contribuenti possono stare in giudizio personalmente - entrino in vigore dal 1°
gennaio 2016.
In sede di modifiche di coordinamento conseguenti alla nuova disciplina
del contenzioso, l’articolo 10, comma 1, del decreto di riforma ha modificato
15
Il nuovo codice deontologico forense è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre
2014.
16
l’articolo 63, commi terzo, quarto e quinto, del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, prevedendo che:
- possono ottenere l’autorizzazione ministeriale all’assistenza e
rappresentanza in giudizio non solo i dipendenti dell’amministrazione
finanziaria e gli ufficiali ed ispettori della guardia di finanza, ma anche
i dipendenti degli altri enti impositori, quali, ad esempio, regioni,
province e comuni;
- oltre ai requisiti della cessazione, a qualsiasi titolo, dall’impiego e
dell’effettivo servizio prestato per almeno venti anni, è richiesto che gli
ultimi dieci anni di servizio siano stati spesi nell’esercizio di “attività
connesse ai tributi”;
- resta fermo il divieto, esteso a tutti i predetti soggetti, di esercitare
l’attività di assistenza e rappresentanza durante i due anni successivi
alla data di cessazione dall’impiego;
- è introdotta una sanzione amministrativa da euro mille ad euro
cinquemila per il caso di violazione della disciplina che regola le
funzioni di rappresentanza e assistenza in giudizio.
1.4 Articolo 15 - Spese del giudizio
L’articolo 10, comma 1, lettera b), n. 10 della legge n. 23 del 2014 ha
demandato al legislatore delegato l’individuazione di criteri di maggior rigore
nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini della condanna al
rimborso delle spese del giudizio.
In attuazione del predetto mandato, l’articolo 9, comma 1, lettera f) del
decreto di riforma ha modificato l’articolo 15 del decreto n. 546 in materia di
spese di giudizio.
In particolare, è stato ribadito il principio secondo cui le spese del giudizio
tributario seguono la soccombenza, mentre la possibilità per la commissione
tributaria di compensare in tutto o in parte le medesime spese - traslata al comma
17
2 della norma in esame – è consentita solo “in caso di soccombenza reciproca o
qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere
espressamente motivate”.
In altri termini, in ossequio alla tutela del diritto di difesa di cui
all’articolo 24 della Costituzione, la regola generale deve essere che “la parte
interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima
quota, al pagamento delle spese processuali” (Cass. 21 gennaio 2015, n. 930).
Al fine di porre le spese a carico della parte soccombente, la
giurisprudenza di legittimità ha precisato che “Il soccombente deve individuarsi
facendo ricorso al principio di causalità per cui, obbligata a rimborsare le spese
processuali è la parte che, con il comportamento tenuto fuori dal processo,
ovvero dandovi inizio o resistendo con modi e forme non previste dal diritto,
abbia dato causa al processo ovvero abbia contribuito al suo protrarsi” (Cass.
13 gennaio 2015, n. 373).
In deroga alla predetta regola generale, il giudice può disporre la
compensazione delle spese del giudizio qualora alternativamente:
- vi sia stata la soccombenza reciproca;
- sussistano, nel caso concreto, gravi ed eccezionali ragioni, che devono
essere espressamente motivate dal giudice nel dispositivo sulle spese16
.
La nozione di soccombenza reciproca, come precisato dalla Suprema
Corte, “sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di
domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel
medesimo processo fra le stesse parti, ovvero anche l’accoglimento parziale
dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne
siano stati accolti uno od alcuni e rigettati gli altri, ovvero quando la parzialità
dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata
16
Si evidenzia al riguardo che l’articolo 92 c.p.c. , al secondo comma, individua le ragioni gravi ed
eccezionali nella “assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle
questioni dirimenti”.
18
in un unico capo (così Cass. ord. n. 22381/09 e n. 21684/13)” (Cass. 30
settembre 2015, n. 19520)17
.
In ordine alla sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni, la Corte di
cassazione ha chiarito che gli elementi apprezzati dal giudice di merito a
sostegno del decisum devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della
controversia decisa (Cass. 13 luglio 2015, n. 14546; Cass. 11 luglio 2014, n.
16037) e devono essere soppesati “alla luce degli imposti criteri della gravità (in
relazione alle ripercussioni sull’esito del processo o sul suo svolgimento) ed
eccezionalità (che, diversamente, rimanda ad una situazione tutt’altro che
ordinaria in quanto caratterizzata da circostanze assolutamente peculiari)”
(Cass. 17 settembre 2015, n. 18276).
Non può, pertanto, ritenersi soddisfatto l’obbligo motivazionale quando il
giudice abbia compensato le spese “per motivi di equità”, non altrimenti
specificati (Cass. 13 luglio 2015, n. 14546; Cass. 20 ottobre 2010, n. 21521), né
quando le argomentazioni del decidente si riferiscono genericamente alla
“peculiarità” della vicenda o alla “qualità delle parti” o anche alla “natura della
controversia” (cfr. anche Cass. 17 settembre 2015, n. 18276).
Con l’introduzione nel corpo dell’articolo 15 del nuovo comma 2-bis, il
legislatore, al fine di scoraggiare le c.d. liti temerarie, richiama espressamente
l’applicabilità dell’articolo 96, primo e terzo comma, c.p.c., in tema di condanna
al risarcimento del danno per responsabilità aggravata, che si aggiunge alla
condanna alla rifusione delle spese di lite.
I commi primo e terzo dell’articolo 96 c.p.c. dispongono, rispettivamente,
che “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala
fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che
17
Ai fini della compensazione nel caso di soccombenza reciproca occorre, inoltre, aver riguardo
all’oggetto della lite nel suo complesso, poiché “nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza
reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra
basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse (così Cass. 24 gennaio 2013, n.
1703)” (Cass. 21 gennaio 2015, n. 930).
19
alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”
e che “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il
giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al
pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente
determinata”18
.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato alcuni criteri per
il riconoscimento della temerarietà della lite, affermando che “oltre alla
soccombenza totale e non parziale, la condanna per responsabilità aggravata
postula che l’istante deduca e dimostri la concreta ed effettiva esistenza di un
danno in conseguenza del comportamento processuale della controparte, nonché
la ricorrenza, in detto comportamento, del dolo o della colpa grave” (Cass. 5
marzo 2015, n. 4443).
Per consentire al giudice l’accertamento complessivo della soccombenza,
l’istanza di condanna ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. deve contenere una
prospettazione della temerarietà della lite riferita a tutti i motivi del ricorso (cfr.
Cass. 13 luglio 2015, n. 14611).
In merito al danno risarcibile, inoltre, la Suprema Corte ha più volte
ritenuto inammissibile la domanda di risarcimento dei danni cagionati nei
pregressi gradi di giudizio, dovendo essa farsi “valere nel giudizio in cui i danni
dedotti sono stati causati e non in sede di ricorso per cassazione, rientrando il
relativo potere nella competenza funzionale ed inderogabile di quel giudice
(ossia, del giudice di merito, n.d.r.)” (Cass. 4 febbraio 2015, n. 1952).
Infine, relativamente all’elemento soggettivo, il ricorso può considerarsi
temerario “solo allorquando, oltre ad essere erroneo in diritto, sia tale da
palesare la consapevolezza della non spettanza del diritto fatto valere, o evidenzi
18
Non è invece applicabile al processo tributario il secondo comma dell’articolo 96 c.p.c., per il quale “Il
giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o
trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione
forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore
procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del
comma precedente”.
20
un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormali”
(Cass. 13 luglio 2015, n. 14611).
La giurisprudenza della Cassazione ha espresso analoghe considerazioni
anche in ordine ai requisiti che integrano la responsabilità aggravata di cui al
terzo comma dell’articolo 96 c.p.c.. Più precisamente, il danno risarcibile è,
anche in questo caso, limitato al grado di giudizio considerato (Cass. 4 febbraio
2015, n. 1952; Cass., SS.UU., 3 giugno 2013, n. 13899). La mala fede o la colpa
grave sono altresì richieste nelle ipotesi di cui all’articolo 96, terzo comma, c.p.c.
“non solo perché sono inserite in un articolo destinato a disciplinare la
responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una
pretesa che alla fine si rileva infondata non costituisce condotta di per sé
rimproverabile (Cass. 30/11/2012 n. 21570 Ord.) e, a maggior ragione, quella di
cui al comma 3 attesa la sua natura sanzionatoria” (Cass. 12 maggio 2015, n.
9581; Cass. 11 febbraio 2014, n. 3003).
Al fine di rispettare sostanzialmente il principio di soccombenza e di
tenere indenne la parte vittoriosa da tutte le spese sostenute nel giudizio,
compresi i c.d. oneri accessori, il nuovo comma 2-ter dell’articolo 15 specifica
che le spese di giudizio comprendono - oltre al contributo unificato, agli onorari
e ai diritti del difensore, alle spese generali e agli esborsi sostenuti - anche i
contributi previdenziali e l’imposta sul valore aggiunto eventualmente dovuti.
Il nuovo comma 2-quater risponde all’esigenza di evitare un uso
strumentale del contenzioso e, in particolare, un abuso delle richieste di tutela
cautelare. La predetta disposizione prevede, infatti, che la statuizione sulle spese
di lite debba essere contenuta anche nell’ordinanza (non impugnabile) con cui il
giudice decide sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato o di sospensione
dell’esecutività provvisoria della sentenza impugnata con appello o con ricorso
per cassazione ai sensi, rispettivamente, degli articoli 47, 52 e 62-bis.
21
Si ritiene che la non impugnabilità dell’ordinanza in esame non
costituisca, comunque, un limite alla tutela della parte eventualmente dichiarata
soccombente in ordine alle spese della fase cautelare.
Il giudice conserva, invero, la possibilità di disporre diversamente in
ordine alle spese della fase cautelare nel provvedimento adottato all’esito del
giudizio. In questo caso, la sentenza che definisce il giudizio assorbe l’ordinanza
sia sotto il profilo cautelare che nella disposizione sulle spese di lite. La parte che
intenda dolersi della condanna alle spese della fase cautelare potrà, quindi,
impugnare la sentenza nel relativo capo.
Ove il giudice non provveda in sentenza sulle spese di lite della fase
cautelare, l’ordinanza adottata in detta fase sarà assorbita dalla sentenza solo
nella parte che ha deciso sull’istanza di sospensione, mentre conserverà la
propria efficacia nel capo che dispone sulle spese del giudizio cautelare. La parte
che intenda dolersi della condanna alla rifusione delle spese del giudizio
cautelare – contenuta nella relativa ordinanza – potrà dunque, in tal caso,
impugnare la sentenza in quanto ha omesso di disporre diversamente in merito
alle spese della fase cautelare.
Il nuovo comma 2-quinquies dell’articolo 15 conferma il principio recato
dalla precedente formulazione del comma 2, secondo cui i compensi spettanti
agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati in base ai parametri previsti
per le relative prestazioni professionali. Per i soggetti autorizzati all’assistenza
tecnica dal Ministero dell’economia e delle finanze si applica, invece, la
disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le
prestazioni professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili,
attualmente recata dal decreto del Ministero della giustizia 2 settembre 2010, n.
169.
Il comma 2-sexies dell’articolo 15 - nel quale è stato trasfuso, con alcune
modifiche, il precedente comma 2-bis del medesimo articolo - disciplina la
liquidazione delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle
22
dogane e dei monopoli, degli altri enti impositori, degli agenti e dei concessionari
privati della riscossione, per il caso in cui essi siano assistiti da propri dipendenti.
In particolare, si prevede l’applicazione della disciplina relativa ai compensi per
la professione forense - attualmente contemplata dal decreto del Ministro della
giustizia 10 marzo 2014, n. 55 - con la riduzione del 20 per cento.
Tramite una disposizione di favore per il contribuente, già presente nella
precedente formulazione del comma 2-bis, il secondo periodo del comma 2-
sexies prevede che la riscossione delle somme liquidate a favore di tutti gli enti
impositori, nonché degli agenti e concessionari della riscossione avviene,
mediante iscrizione a ruolo, soltanto dopo il passaggio in giudicato della
sentenza.
Nell’ipotesi di una sentenza che condanni, invece, l’Amministrazione
finanziaria al pagamento delle spese di lite, si applica la disciplina di cui
all’articolo 69, comma 1, primo periodo, del decreto n. 546, in vigore a far data
dal 1° giugno 2016, in base alla quale “Le sentenze di condanna al pagamento di
somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti
relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, sono
immediatamente esecutive”.
In caso di mancata esecuzione, il contribuente ha la possibilità di
promuovere giudizio di ottemperanza ai sensi dell’articolo 70 del decreto n. 546,
che – in ordine alle spese di giudizio e indipendentemente dal relativo importo –
compete alla commissione tributaria in composizione monocratica.
Con le disposizioni dei commi 2-septies e 2-octies, il legislatore ha
disciplinato le spese riferite alle controversie oggetto di reclamo/mediazione e di
conciliazione giudiziale, con l’intento di incentivare l’utilizzo dei due istituti,
potenziandone l’effetto deflattivo.
Nel comma 2-septies, anche per una maggiore sistematicità del testo di
legge, è stata riportata la disposizione già contenuta nel precedente testo
23
dell’articolo 17-bis, comma 10, del decreto n. 546, secondo cui, nel caso di
controversie proposte avverso atti reclamabili, le spese di giudizio liquidate in
sentenza sono maggiorate del 50 per cento.
La disposizione ha riguardo alle spese di giudizio di cui al comma 1
dell’articolo 15 in commento, ossia alle spese di lite che sono poste a carico della
parte interamente soccombente, “con la duplice finalità di incentivare la
mediazione, oggi estesa a tutti gli enti impositori, e di riconoscere alla parte
vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante
causam” (cfr. relazione illustrativa al decreto di riforma).
Non è stato, invece, riprodotto il secondo periodo del comma 10 del
precedente articolo 17-bis, che, ai fini della compensazione delle spese, faceva
riferimento ai “giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno
indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione”.
Ciò nondimeno, resta salva l’applicabilità delle disposizioni recate dal
comma 2 dell’articolo 15 in esame; pertanto, fuori dai casi di soccombenza
reciproca, la compensazione delle spese, comprese quelle della fase di
reclamo/mediazione, può essere disposta solo qualora sussistano e siano
espressamente dedotte in motivazione specifiche circostanze o aspetti della
controversia, assistite dai requisiti della gravità e della eccezionalità, tra le quali
potranno rilevare anche considerazioni in ordine ai motivi che abbiano indotto la
parte soccombente a disattendere una eventuale proposta di mediazione.
Il comma 2-octies prevede, infine, che le spese del processo sono
interamente addebitate alla parte che ha rifiutato la proposta di conciliazione, ove
il riconoscimento delle pretese risulti inferiore al contenuto dell’accordo
proposto19
.
19
In merito alla normativa precedente, cfr. punto 2.7 della circolare 31 marzo 2010, n. 17/E, ove si è
ritenuta applicabile anche al contenzioso tributario la disposizione di cui all’articolo 91 c.p.c.,
evidenziando che “gli Uffici, nei casi in cui il contribuente abbia rifiutato la proposta di conciliazione
giudiziale formulata, anche a seguito di tentativo di conciliazione esperito d’ufficio dal giudice,
avanzeranno richiesta di condanna alle spese subordinandola alla circostanza che la Commissione
24
In caso di conclusione della conciliazione le spese del processo saranno,
invece, dichiarate compensate, salva diversa determinazione delle parti
nell’accordo o nel processo verbale di conciliazione.
In definitiva, se si conclude la conciliazione, le spese vengono
compensate, salvo diverso accordo tra le parti. Se, invece, non si addiviene a
conciliazione, possono verificarsi le seguenti ipotesi: 1) una parte risulta
totalmente soccombente e alla stessa sono addebitate, secondo il principio
generale, le spese di lite, salvo il caso in cui sussistano gravi ed eccezionali
ragioni; 2) c’è soccombenza reciproca e la sentenza ha rideterminato la pretesa
per un ammontare inferiore al contenuto della proposta conciliativa, rifiutata da
una delle parti per un giustificato motivo, nel qual caso le spese del processo
sono compensate; 3) c’è soccombenza reciproca e la sentenza ha rideterminato la
pretesa per un ammontare inferiore al contenuto della proposta, rifiutata da una
delle parti senza un giustificato motivo, nel qual caso il giudice pone le spese
dell’intero processo a suo carico; 4) c’è soccombenza reciproca e la sentenza ha
rideterminato la pretesa per un ammontare uguale o superiore al contenuto della
proposta, nel qual caso il giudice dispone la compensazione delle spese.
Coerentemente con il nuovo assetto delle spese di lite e con il
rafforzamento del principio di soccombenza, l’articolo 9, comma 1, lettera q), del
decreto di riforma, ha modificato l’articolo 46 del decreto n. 546, che reca la
disciplina dell’estinzione del giudizio per cessazione della materia del
contendere.
Con particolare riguardo al comma 3 dell’articolo 46, la previsione della
compensazione delle spese di lite è stata limitata alle ipotesi di cessazione della
materia del contendere per definizione delle pendenze tributarie “previste dalla
legge” (ad esempio, a seguito di condono). In tal modo, il legislatore, come
emerge dalla relazione illustrativa, ha recepito i principi affermati nella sentenza
tributaria decida in senso conforme alla proposta di conciliazione ovvero in termini ancora più
favorevoli all’Ufficio”.
25
12 luglio 2005, n. 274, con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 46, comma 3, laddove prevedeva che le spese del
giudizio estinto restassero a carico della parte che le aveva anticipate in ogni caso
di cessazione della materia del contendere20
.
1.5 Articolo 16 - Comunicazioni e notificazioni
L’articolo 16 del decreto n. 546 è stato modificato in coerenza con
l’aggiornamento effettuato nel corpo del medesimo decreto in relazione alla
denominazione delle parti processuali, che, in quanto tali, sono interessate
dall’attività di notificazione o comunicazione21
.
Pertanto, nei commi 1 e 4 dell’articolo 16 la locuzione di “enti impositori”
sostituisce quella di “ufficio del Ministero delle finanze” e di “ente locale” e si
inseriscono quelle di “agenti della riscossione” e di “soggetti iscritti nell’albo di
cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446”;
La novità più rilevante è tuttavia rappresentata dall’estensione all’agente e
ai concessionari privati della riscossione, sopra indicati, delle regole già stabilite
per gli enti impositori.
Più in particolare, il comma 1 dell’articolo 16 prevede la possibilità, da
parte della segreteria della commissione tributaria, di effettuare le comunicazioni
(riguardanti, ad esempio, la fissazione dell’udienza o il deposito della sentenza)
mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare, uno dei quali va
20
Nella sentenza n. 274 del 2005, la Corte costituzionale ha, in particolare, osservato che “La
compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia del contendere” rende
inoperante il principio statuito dall’articolo 15 del decreto n. 546, secondo cui le spese di giudizio fanno
carico al soccombente. Pertanto, tale compensazione “si traduce … in un ingiustificato privilegio per la
parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’amministrazione, o
l’acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal
riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato
pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del
processo tributario, dell’assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione
(onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio.”. 21
Cfr. quanto esposto a commento del nuovo articolo 10 del decreto n. 546.
26
immediatamente datato, sottoscritto per ricevuta e restituito alla medesima
segreteria.
Inoltre, a norma del comma 4, l’agente e i concessionari privati della
riscossione hanno la facoltà di avvalersi, per effettuare le notificazioni, del messo
comunale o del messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria.
Infine, viene abrogato il comma 1–bis dell’articolo 16, in quanto le
relative disposizioni sulle comunicazioni mediante PEC sono trasfuse all’interno
del nuovo articolo 16-bis.
1.6 Articolo 16-bis - Comunicazione e notificazioni per via telematica
L’articolo 9, comma 1, lettera h) del decreto di riforma ha inserito nel
decreto n. 546 l’articolo 16-bis, con l’obiettivo di perseguire il massimo
ampliamento dell’uso della posta elettronica certificata (PEC) per le
comunicazioni e le notificazioni nel processo tributario, attuando il
corrispondente criterio di delega dettato dall’articolo 10, comma 1, lettera b), n. 4
della legge n. 23 del 2014.
Per ragioni di sistematicità, nel comma 1 dell’articolo 16-bis è stato
trasfuso il contenuto dell’abrogato comma 1-bis del precedente testo dell’articolo
16, secondo cui le comunicazioni nel processo tributario sono effettuate anche
mediante l’utilizzo della PEC, ai sensi del codice dell’amministrazione digitale,
di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (c.d. CAD), mentre tra le
pubbliche amministrazioni dette comunicazioni possono essere eseguite mediante
scambio di documenti informatici nell’ambito del Sistema Pubblico di
Connettività (c.d. SPC, di cui agli articoli 73 e seguenti del CAD).
Analogamente, il comma 2 ripropone quanto già previsto dall’abrogato
comma 3-bis del precedente testo dell’articolo 1722
del decreto n. 546, in ordine
all’effettuazione delle comunicazioni esclusivamente mediante deposito nella
22
L’unica modifica intervenuta sull’articolo 17 riguarda l’abrogazione del comma 3-bis in commento.
27
segreteria della commissione tributaria, qualora non sia stato indicato l’indirizzo
PEC ovvero in caso di mancata consegna del messaggio PEC per cause
imputabili al destinatario.
I commi 3 e 4 recano le novità sostanziali attinenti all’utilizzo della PEC
anche nelle notificazioni.
In particolare:
al comma 3, è prevista la possibilità di effettuare in via telematica le
notificazioni tra le parti e il deposito degli atti presso la competente
commissione tributaria;
al comma 4, è stabilito che l’indicazione dell’indirizzo PEC, valevole
per le comunicazioni e le notificazioni, equivale alla comunicazione
del domicilio eletto.
Come detto, la possibilità di comunicazioni a mezzo PEC è stata introdotta
nel testo del decreto n. 546 con il decreto–legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Il medesimo comma 1 dell’articolo 16-bis in commento, così come già
l’abrogato comma 1-bis del precedente testo dell’articolo 16, afferma che
l’indirizzo PEC del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto
difensivo e precisa che, nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio
personalmente e il relativo indirizzo PEC non risulta dai pubblici elenchi, il
ricorrente può indicare l’indirizzo di posta al quale intende ricevere le
comunicazioni.
Si evidenzia che, com’è noto, alcune categorie di soggetti sono obbligate
normativamente ad indicare specifici indirizzi PEC23
, che per i soggetti iscritti ad
23
L’articolo 5 del decreto 26 aprile 2012 del Direttore generale delle finanze (“Regole tecniche per
l’utilizzo, nell’ambito del processo tributario, della Posta Elettronica Certificata (PEC), per le
comunicazioni di cui all’articolo 16, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992”)
stabilisce che: “1. L’indirizzo di P.E.C. utilizzato dall’Ufficio di segreteria della Commissione tributaria
per le comunicazioni di cui al presente decreto, è quello dichiarato dalle parti nel ricorso o nel primo
atto difensivo.
28
albi o elenchi e per le pubbliche amministrazioni, sono quelli che già sono
presenti in pubblici elenchi, a seguito di comunicazione effettuata in precedenza
in ossequio a disposizioni normative già esistenti, che esulano dal processo
tributario.24
Infine, a norma dell’articolo 13, comma 3-bis, del DPR n. 115 del 2002,
laddove “il difensore non indichi il proprio … indirizzo di posta elettronica
certificata ai sensi dell’articolo 16, comma 1-bis [ora 16-bis, comma 1, n.d.r.],
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,… il contributo unificato è
aumentato della metà”.
In deroga alla previsione generale di entrata in vigore della riforma del
contenzioso a decorrere dal 1° gennaio 2016, recata dal comma 1 dell’articolo 12
del decreto, il comma 3 del medesimo articolo 12 prevede che “Le disposizioni
contenute nel comma 3 dell’articolo 16-bis del decreto legislativo 31 dicembre
2. Per i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato, l’indirizzo di cui al comma 1
deve coincidere con quello comunicato ai rispettivi ordini o collegi, ai sensi dell’articolo 16, comma 7,
del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Per i soggetti
di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, abilitati all’assistenza tecnica
dinanzi alle Commissioni tributarie, l’indirizzo di P.E.C. deve coincidere con quello rilasciato ai sensi
dell’articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 6 maggio 2009, ovvero altro indirizzo
di posta elettronica certificata, rilasciato da un gestore in conformità a quanto stabilito dal decreto del
Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. Per le società iscritte nel registro delle imprese
l’indirizzo di posta elettronica certificata deve coincidere con quello comunicato al momento
dell’iscrizione, ai sensi dell’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185,
convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
3. Per gli enti impositori, l’indirizzo di posta elettronica certificata di cui al comma 1 è quello
individuato dall’articolo 47, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, consultabile anche nel
sito dell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (Indice PA) di cui all’articolo 16, comma 8, del decreto-
legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
4. Fermo restando quanto stabilito al comma 1, al fine di garantire l’invio delle comunicazioni mediante
posta elettronica certificata, gli Uffici di segreteria delle Commissioni tributarie, in caso di omessa
ovvero errata indicazione dell’indirizzo di P.E.C. negli atti difensivi delle parti, possono, altresì,
utilizzare gli elenchi di cui all’articolo 16, commi 6, 7 e 8 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185,
convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, con le modalità di cui all’articolo 6, comma1-bis, del
C.A.D.
5. Gli indirizzi di P.E.C. degli Uffici di segreteria delle Commissioni tributarie, utilizzati per le
comunicazioni di cui al presente decreto, sono pubblicati sul portale internet del Dipartimento delle
finanze del Ministero dell’economia e delle finanze «www.finanze.gov.it», oltre che nell’Indice PA”. 24
In base all’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 gennaio 2009, n. 2, tale obbligo è a carico delle imprese costituite in forma societaria, tenute a
indicare il proprio indirizzo PEC al registro delle imprese; a carico dei professionisti iscritti in albi ed
elenchi istituiti con legge dello Stato, tenuti a comunicare il proprio indirizzo PEC ai rispettivi ordini o
collegi; a carico delle amministrazioni pubbliche, che devono indicare i loro indirizzi PEC al Centro
nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), che provvede alla pubblicazione di
tali caselle in un elenco consultabile per via telematica.
29
1992, n. 546 … si applicano con decorrenza e modalità previste dai decreti di
cui all’articolo 3, comma 3, del decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze 23 dicembre 2013, n. 163”.25
26
In definitiva, le novità relative alla notificazione per via telematica,
seguendo la disciplina del c.d. processo telematico, sono entrate in vigore dal 1°
dicembre 2015 con riferimento agli atti da depositare in via opzionale e relativi
alle controversie di competenza delle Commissioni tributarie provinciali e
regionali dell’Umbria e della Toscana.
1.7 Articolo 17-bis - Il reclamo e la mediazione
Il testo dell’articolo 17-bis del decreto n. 54627
, rubricato “Il reclamo e la
mediazione”, è stato integralmente sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera l),
del decreto di riforma.
25
Il DM 163 del 2013 è il regolamento recante la disciplina dell’uso di strumenti informatici e telematici
nel processo tributario in attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 39, comma 8, del decreto-
legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). 26
Il comma 3, dell’articolo 3 del DM n. 163 del 2013 stabilisce che “3. Con uno o più decreti del
Ministero dell’economia e delle finanze, sentiti l’Agenzia per l’Italia Digitale e, limitatamente ai profili
inerenti alla protezione dei dati personali, il Garante per la protezione dei dati personali, sono
individuate le regole tecnico-operative per le operazioni relative all’abilitazione al S.I.Gi.T., alla
costituzione in giudizio mediante deposito, alla comunicazione e alla notificazione, alla consultazione e
al rilascio di copie del fascicolo informatico, all’assegnazione dei ricorsi e all’accesso dei soggetti di cui
al comma 2 del presente articolo, nonché alla redazione e deposito delle sentenze, dei decreti e delle
ordinanze. Con i medesimi decreti sono stabilite le regole tecnico-operative finalizzate all’archiviazione e
alla conservazione dei documenti informatici, in conformità a quanto disposto dal decreto legislativo 7
marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni e integrazioni”.
In attuazione della suddetta disposizione è stato emanato il decreto direttoriale 4 agosto 2015, recante
“Specifiche tecniche previste dall’articolo 3, comma 3, del regolamento recante la disciplina dell’uso di
strumenti informatici e telematici nel processo tributario in attuazione delle disposizioni contenute
nell’articolo 39, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111”.
L’articolo 16 (“Entrata in vigore e individuazione delle Commissioni Tributarie”) del decreto direttoriale
4 agosto 2015 stabilisce che “Le presenti disposizioni si applicano agli atti processuali relativi ai ricorsi
notificati a partire dal primo giorno del mese successivo al decorso del termine di novanta giorni dalla
data di pubblicazione del presente decreto (n.d.r.:10 agosto 2015), da depositare presso le Commissioni
tributarie provinciali e regionali dell’Umbria e della Toscana…”.
Pertanto, le disposizioni contenute nel comma 3 dell’articolo 16-bis del decreto legislativo n. 546 del
1992 si applicano con decorrenza dal 1° dicembre 2015 con riguardo agli atti da depositare presso le
Commissioni tributarie provinciali e regionali dell’Umbria e della Toscana. 27
L’articolo 17-bis è stato introdotto dall’articolo 39, comma 9, del DL n. 98 del 2011 e successivamente
modificato dall’articolo 1, comma 611, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
30
Il nuovo testo, pur ricalcando in massima parte quello previgente, presenta
rilevanti novità, introdotte allo scopo di potenziare l’istituto e così incentivare
ulteriormente la deflazione del contenzioso tributario.
L’istituto del reclamo/mediazione, anche dopo la riforma, continua a
configurarsi come uno strumento obbligatorio, che consente un esame preventivo
della fondatezza dei motivi del ricorso e della legittimità della pretesa tributaria,
nonché una verifica circa la possibilità di evitare, anche mediante il
raggiungimento di un accordo di mediazione, che la controversia prosegua
davanti al giudice.
Le modifiche introdotte riguardano in particolare28
:
- l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto a tutti gli enti
impositori, agli agenti della riscossione e ai soggetti iscritti nell’albo di
cui all’articolo 53 del D.Lgs. n. 446 del 1997, nonché alle controversie
in materia catastale;
- la semplificazione delle modalità di instaurazione del procedimento;
- la quantificazione del beneficio della riduzione delle sanzioni in senso
più favorevole al contribuente;
- le regole per il pagamento delle somme dovute a seguito di
mediazione;
- l’estensione anche alle cause reclamabili della possibilità di esperire la
conciliazione giudiziale.
Di seguito si illustrano in dettaglio le predette novità, ferme restando, per
le parti dell’istituto rimaste invariate, le indicazioni già fornite con le circolari n.
9/E del 19 marzo 2012, n. 25/E del 19 giugno 2012 (punto 10.2), n. 33/E del 3
agosto 2012, n. 49/T del 28 dicembre 2012, n. 1/E del 12 febbraio 2014 e n. 10/E
del 14 maggio 2014.
28
Come già esposto a commento del nuovo articolo 15 del decreto n. 546, la previsione relativa alla
maggiorazione delle spese di giudizio nella misura del cinquanta per cento, nelle cause soggette a
reclamo/mediazione, in origine contenuta nel comma 10 dell’articolo 17-bis, è stata traslata, per esigenze
di sistematicità, nel comma 2-septies dello stesso articolo 15.
31
In merito all’entrata in vigore del nuovo articolo 17-bis, si evidenzia che
l’articolo 12, comma 1, del decreto di riforma prevede che le nuove disposizioni
sul processo tributario si applicano, in via generale, a decorrere dal 1° gennaio
2016, ossia - come chiarito dalla relazione illustrativa al medesimo decreto,
richiamata in Premessa – si applicano ai giudizi pendenti a tale data.
Per quanto concerne gli atti prima esclusi dalla disciplina del
reclamo/mediazione (ad esempio, gli atti di accertamento catastale o gli atti di
altri enti impositori), si deve ritenere che la nuova disciplina trovi applicazione
con riferimento ai ricorsi notificati dal contribuente a decorrere dal 1° gennaio
2016.
Con riguardo, invece, alle liti concernenti atti dell’Agenzia delle entrate di
valore non superiore a ventimila euro, già ricadenti nell’ambito di applicazione
del reclamo/mediazione in base alla previgente disciplina, trova applicazione la
richiamata regola generale enunciata nella relazione illustrativa secondo cui le
nuove disposizioni (con particolare riguardo alla riduzione delle sanzioni, alle
modalità di pagamento e alla possibilità di esperire la conciliazione giudiziale in
caso di esito negativo del reclamo/mediazione) si applicano ai procedimenti di
mediazione pendenti alla data del 1° gennaio 2016.
In particolare si precisa che, in ordine ai predetti procedimenti pendenti, se
alla data del 1° gennaio 2016 il reclamo/mediazione risulta già perfezionato
attraverso il pagamento in unica soluzione o della prima rata, la misura della
riduzione delle sanzioni e le modalità di pagamento restano disciplinati dalle
norme in vigore prima della riforma in esame, ossia al momento del
perfezionamento.
1.7.1 Estensione dell’ambito di applicazione
Nell’originaria previsione, il reclamo/mediazione ha trovato applicazione
soltanto per le controversie tributarie di valore non superiore a ventimila euro
“relative ad atti emessi dell’Agenzia delle entrate”.
32
Tale inciso non figura più nel testo novellato dell’articolo 17-bis; pertanto
l’istituto, pur restando circoscritto alle sole liti fino a ventimila euro di valore, è
ora esteso a tutte le controversie tributarie, anche qualora parte in giudizio sia un
ente impositore diverso dall’Agenzia delle entrate (ad esempio, l’Agenzia delle
dogane e dei monopoli o un ente locale) ovvero l’agente o il concessionario
privato della riscossione.
La scelta del legislatore di ampliare la platea degli enti coinvolti nel
procedimento di reclamo si giustifica in base al principio di economicità
dell’azione amministrativa, preso atto dell’efficacia deflattiva riscontrata in
relazione al contenzioso sugli atti emessi dall’Agenzia delle entrate e dell’elevato
numero di controversie di modesto valore che caratterizza in generale il
contenzioso tributario.
Tenuto conto della natura degli atti degli agenti e dei concessionari privati
della riscossione29
, si ritiene che il reclamo possa trovare applicazione per le
impugnazioni concernenti, in particolare:
- cartelle di pagamento per vizi propri;
- fermi di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del DPR n. 602 del
1973;
- iscrizioni di ipoteche sugli immobili ai sensi dell’articolo 77 del DPR
n. 602 del 1973.
Nel vigore della nuova disciplina, l’individuazione delle controversie
soggette al reclamo avviene dunque sulla base di un unico criterio, cioè il valore
della lite non superiore a ventimila euro. Per la determinazione di detto valore si
fa riferimento alle disposizioni del novellato articolo 12, comma 2, del decreto n.
546, che sullo specifico punto sono rimaste invariate30
.
29
L’estensione della mediazione agli atti dell’agente della riscossione è stata prevista anche in
considerazione del consolidato orientamento della Corte di cassazione secondo cui “l’azione può essere
svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza
che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del
concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore” (Cass., SS.UU., 25
luglio 2007, n. 16412, richiamata da numerose sentenze successive). 30
L’articolo 12, comma 2, prevede che per individuare il valore della lite occorre aver riguardo
all’importo del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni, irrogate con l’atto impugnato;
33
L’articolo 17-bis, al comma 6, contempla espressamente l’ipotesi che
oggetto di mediazione sia il rifiuto tacito alla restituzione di tributi, sanzioni,
interessi o altri accessori, ipotesi, peraltro, già profilata dall’Agenzia delle entrate
in via interpretativa (cfr. circolare n. 9/E del 2012, par. 1.1).
Si evidenzia che il nuovo articolo 17-bis conferma l’esclusione
dall’ambito di applicabilità del reclamo/mediazione delle controversie di valore
indeterminabile31
, ad eccezione delle liti in materia catastale, individuate
dall’articolo 2, comma 2, del decreto n. 54632
.
Infine, il comma 10 dell’articolo 17-bis - nel riprodurre integralmente il
contenuto del previgente comma 4 - conferma la non applicabilità del
reclamo/mediazione alle liti in materia di aiuti di Stato individuate dal successivo
articolo 47-bis33
.
1.7.2 Semplificazione delle modalità di instaurazione del procedimento
Il nuovo comma 1 dell’articolo 17-bis stabilisce che “il ricorso produce
anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con
rideterminazione dell’ammontare della pretesa”.
Ciò significa che, nelle controversie in questione, la proposizione
dell’impugnazione produce, oltre agli effetti sostanziali e processuali tipici del
ricorso, anche quelli del reclamo/mediazione.
per le cause relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somme di
queste (sul punto si rinvia alle indicazioni fornite con la circolare n. 9/E del 2012, paragrafo 1.3). 31
Sulla necessità, ai fini dell’applicazione del reclamo/mediazione, che la causa non fosse di valore
indeterminabile, l’Agenzia era giunta in via interpretativa con la circolare n. 9/E del 2012, par. 1.3.2. 32
Quest’ultima categoria ricomprende, in particolare, le controversie promosse dai singoli possessori
concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la
ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le
controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e
l’attribuzione della rendita catastale. 33
Si tratta delle controversie aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di Stato incompatibili con il diritto
comunitario, in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea, ai sensi dell’articolo 14
del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, nonché dei relativi interessi e
sanzioni, previste, appunto, dall’articolo 47-bis del decreto n. 546. Si ricorda comunque che attualmente –
per effetto dell’articolo 49 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - la cognizione delle controversie sul
recupero di aiuti di Stato incompatibili è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
34
In sostanza, il procedimento di reclamo/mediazione è introdotto
automaticamente con la presentazione del ricorso.
La pregressa disciplina prevedeva, invece, un’apposita istanza di reclamo,
motivata sulle stesse ragioni che sarebbero state portate all’attenzione del giudice
nella eventuale fase giurisdizionale con il successivo deposito del ricorso, decorsi
i termini previsti per la conclusone del procedimento34
.
Il venir meno della necessità di presentazione di un’apposita istanza
giustifica anche la mancata riproposizione della previgente disposizione che
dichiarava espressamente applicabili al procedimento di reclamo, in quanto
compatibili, le norme sulla proposizione del ricorso. Nella nuova configurazione
il procedimento di reclamo/mediazione è, infatti, connaturato al processo.
Per le controversie in questione il contribuente ha, comunque, la facoltà di
inserire nel ricorso una proposta di mediazione con rideterminazione
dell’ammontare della pretesa, già esercitabile, sulla base del testo normativo
antecedente, attraverso la presentazione del reclamo.
Nell’ambito delle controversie relative alle operazioni catastali, tale
proposta potrà avere ad oggetto, ad esempio, la modifica del classamento o della
rendita catastale determinati dall’Ufficio.
1.7.3 Effetti della presentazione del reclamo
Il novellato comma 2 dell’articolo 17-bis stabilisce che “Il ricorso non è
procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di
notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente
articolo”.
Ciò significa che con la proposizione del ricorso si apre una fase
amministrativa di durata pari a 90 giorni entro la quale deve svolgersi il
34
In particolare, la precedente formulazione dell’articolo 17-bis prevedeva, al comma 1, che “chi intende
proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo” e, al comma 9, che “Decorsi novanta
giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la
mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso”.
35
procedimento di reclamo/mediazione. Tale fase, che si colloca temporalmente tra
l’avvio dell’azione giudiziaria (coincidente con la notifica del ricorso) e
l’eventuale instaurazione del giudizio (i termini per la costituzione del ricorrente,
come si vedrà, restano sospesi durante il procedimento), è finalizzata all’esame
del reclamo e dell’eventuale proposta di mediazione, con l’obiettivo di evitare, in
caso di esito positivo, che la causa sia portata a conoscenza del giudice.
Il termine di 90 giorni va computato dalla data di notifica del ricorso
all’ente impositore. Se la notifica del ricorso è effettuata a mezzo del servizio
postale, il predetto termine decorre dalla data di ricezione del ricorso da parte
dell’ente destinatario, in analogia con quanto accade per la decorrenza del
termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, alla luce del prevalente
indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione35
.
Il termine di 90 giorni è soggetto alla sospensione dei termini processuali
nel periodo feriale36
, come esplicitato dal comma 2, ultimo periodo, dell’articolo
17-bis.
Durante la pendenza del procedimento di reclamo/mediazione, e cioè a
decorrere dalla notifica del ricorso e nei successivi 90 giorni, calcolati applicando
le regole dei termini processuali, si verificano i seguenti effetti:
il ricorso non è procedibile, secondo quanto previsto dal comma 2
dell’articolo 17-bis. Ciò significa che l’azione giudiziaria può
essere proseguita, attraverso la costituzione in giudizio del
ricorrente, solo una volta scaduto il termine per lo svolgimento
dell’istruttoria. Come chiarito dal successivo comma 3, il termine
di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente,
previsto dall’articolo 22 del decreto n. 546, decorre solo dopo lo
scadere del termine dilatorio di 90 giorni; inoltre, la commissione
35
Cfr. Cass. 21 aprile 2011, n. 9173; 28 giugno 2012, n. 10815; 28 settembre 2012, n. 16565; 26 ottobre
2012, n. 18373; 12 novembre 2012, n. 19677; 11 dicembre 2012, n. 22675. 36
A norma dell’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, come modificato dall’articolo 16 del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n.
162, il decorso dei termini processuali è sospeso di diritto dal 1° al 31 agosto di ciascun anno.
36
tributaria provinciale, se rileva che la costituzione in giudizio è
avvenuta prima dello scadere dei novanta giorni, rinvia la
trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo;
sono sospesi ex lege la riscossione e il pagamento delle somme
dovute in base all’atto oggetto di contestazione, come previsto dal
comma 8 dell’articolo 17-bis. Tale disposizione stabilisce altresì
che, decorso il termine di 90 giorni senza che vi sia stato
accoglimento del reclamo o perfezionamento della mediazione, il
contribuente è tenuto a corrispondere gli interessi previsti dalle
singole leggi d’imposta per il periodo di sospensione. La disciplina
sul punto ricalca quella previgente, fatta eccezione per la previsione
- contenuta nel comma 9-bis, ultimo periodo, del vecchio articolo
17-bis e non riproposta nel nuovo testo - che dichiarava inoperante
la sospensione legale per i casi di improcedibilità del ricorso a
seguito di prematura costituzione in giudizio del ricorrente.
Pertanto, si deve ritenere che ora la sospensione legale della
riscossione, che consegue automaticamente alla presentazione del
ricorso, operi anche nel caso in cui il contribuente si costituisca
prima dello scadere del termine di 90 giorni.
Gli effetti sopra descritti si producono esclusivamente nel caso di rituale
instaurazione delle controversie alle quali è applicabile l’articolo 17-bis. Ciò
significa che qualora il ricorso sia inammissibile (perché ad esempio presentato
tardivamente) oppure sia proposto avverso un atto non rientrante nell’ambito di
applicazione del reclamo/mediazione, i termini per la costituzione in giudizio del
ricorrente decorrono dalla notifica del ricorso stesso e, inoltre, non opera la
sospensione legale della riscossione.
37
1.7.4 Istruttoria del reclamo e il perfezionamento dell’accordo di
mediazione
La fase dell’istruttoria del reclamo/mediazione segue le regole dettate
dalla previgente disciplina.
E’ stata infatti ribadita - dal comma 4 dell’articolo 17-bis - l’autonomia,
all’interno dell’ente, del soggetto che deve decidere sul reclamo, per consentire
un corretto esercizio del relativo potere. Più precisamente, con riferimento alle
Agenzie fiscali, il novellato comma 4, riproducendo la previgente disposizione,
affida l’esame del reclamo e della proposta di mediazione ad apposite strutture
diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili37
.
L’opzione di istituire un soggetto “terzo” deputato all’istruttoria, come
previsto per la mediazione civile, è stata esclusa dal legislatore atteso che – come
si legge nella relazione illustrativa – in campo tributario l’istituto del
reclamo/mediazione si configura maggiormente come espressione dell’esercizio
di un potere di autotutela nonché più adeguata determinazione dell’ente
impositore, che va stimolato ed incoraggiato, allo scopo di indurre ogni
Amministrazione a rivedere i propri errori prima dell’intervento del giudice.
Il successivo comma 5 riproduce sostanzialmente la previsione secondo
cui l’organo che procede all’istruttoria, se non intende accogliere il reclamo o
l’eventuale proposta di mediazione del contribuente, formula d’ufficio una
propria proposta di mediazione.
Le valutazioni dell’Ufficio devono fondarsi sui tre criteri specifici – gli
stessi previsti dalla precedente normativa - della “eventuale incertezza delle
questioni controverse”, del “grado di sostenibilità della pretesa” e del “principio
di economicità dell’azione amministrativa”.
Restano in sostanza invariate anche le modalità di perfezionamento
dell’accordo di mediazione, che avviene, in sintesi:
37
Con riferimento agli altri enti impositori ai quali è stato esteso l’istituto del reclamo, il legislatore ha
invece rimesso alla organizzazione interna di ciascuno di essi l’individuazione della struttura
eventualmente deputata alla trattazione dei reclami.
38
- con il pagamento, entro venti giorni dalla data di sottoscrizione
dell’accordo, dell’importo dovuto per la mediazione o, in caso di pagamento
rateale, della prima rata, se la controversia ha ad oggetto un atto impositivo o di
riscossione38
;
- con la sottoscrizione dell’accordo stesso, se la controversia ha ad
oggetto il rifiuto espresso o tacito alla richiesta di restituzione di somme39
. In tal
caso l’accordo ha valore – espressamente riconosciuto dal comma 6 - di “titolo
per il pagamento delle somme dovute al contribuente” che consente, qualora non
venga data esecuzione al pagamento concordato, l’azione esecutiva davanti al
giudice ordinario;
- con la sottoscrizione dell’accordo, per le controversie aventi ad oggetto
operazioni catastali. In quest’ultima ipotesi, gli atti catastali verranno aggiornati a
seguito del perfezionamento della mediazione e nei termini risultanti
dall’accordo (si fa riferimento, in particolare, ai ricorsi aventi ad oggetto il
classamento o la rendita catastale degli immobili).
L’accordo deve contenere, tra l’altro, l’indicazione specifica degli importi
risultanti dalla mediazione (tributo, interessi e sanzioni) e le modalità di
versamento degli stessi, comprese le eventuali modalità di rateizzazione.
E’ stata altresì confermata dal comma 5, ultimo periodo, la previsione
secondo cui l’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali ed
assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui
redditi. Di conseguenza, ai fini del perfezionamento della mediazione, assume
rilevanza anche il pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
38
Nella precedente disciplina operava la medesima previsione, mutuata dalla disciplina sulla
conciliazione in forza del richiamo operato all’articolo 48 del decreto n. 546 dal previgente comma 8
dell’articolo 17-bis. 39
Il novellato articolo 17-bis ratifica sul punto la prassi dell’Amministrazione finanziaria di cui alla
circolare n. 9/E del 2012, punto 7, ove si è precisato che “Nel caso di accordo avente ad oggetto il rifiuto
espresso o tacito di un rimborso, la mediazione si perfeziona con la conclusione del relativo accordo”.
39
1.7.5 Quantificazione del beneficio della riduzione delle sanzioni in
senso più favorevole al contribuente
Il comma 7 dell’articolo 17-bis ridetermina, in senso più favorevole per il
contribuente, il beneficio della riduzione delle sanzioni dovute a seguito
dell’intervenuto accordo di mediazione, nella misura del “trentacinque per cento
del minimo previsto dalla legge”.
La disciplina risulta più favorevole per il contribuente sotto un duplice
aspetto: le sanzioni sono ridotte al 35 per cento (mentre in precedenza la
percentuale era fissata al 40 per cento) ed irrogabili sulla base del minimo
edittale previsto dalla legge (e non più in rapporto dell’ammontare del tributo
risultante dalla mediazione).
Si osserva come la nuova percentuale si colloca quale entità intermedia tra
le due misure– a un terzo e al 40 per cento – di riduzione delle sanzioni previste,
rispettivamente, per l’accertamento con adesione e per la conciliazione conclusa
nel corso del primo grado di giudizio.
Il comma 7, ultimo periodo, ripropone la previgente disposizione secondo
cui sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si
applicano sanzioni e interessi.
Si evidenzia, inoltre, che a seguito della riforma del sistema sanzionatorio
tributario recata dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, è stato
modificato l’articolo 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 concernente il concorso di
violazioni e la continuazione.
In particolare, è stata estesa anche al reclamo/mediazione la disciplina
recata dal comma 8 del citato articolo 12 - secondo cui le disposizioni sulla
determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano
separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta – che nella
formulazione originaria era prevista solo per le ipotesi di accertamento con
adesione.
40
Occorre inoltre precisare che, in caso di accoglimento parziale del
reclamo, si rendono applicabili le disposizioni recate dall’articolo 2-quater,
comma 1-sexies, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, introdotte
dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 159 del 2015, ai sensi della
quale “Nei casi di annullamento o revoca parziali dell’atto il contribuente può
avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l’atto
oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di
notifica dell’atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del
giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute”.
In applicazione della citata disposizione, si ritiene che il contribuente che
abbia ottenuto l’accoglimento parziale del reclamo, previa rinuncia al deposito
del ricorso con riguardo agli altri motivi di doglianza non accolti, è rimesso in
termini per ottenere eventualmente la riduzione delle sanzioni ad un terzo
prevista dall’articolo 15 del D.Lgs. n. 218 del 199740
.
1.7.6 Nuove regole per il pagamento delle somme dovute a seguito
dell’accordo di mediazione
Come noto, nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di
riscossione, la condizione indispensabile per il perfezionamento dell’accordo di
mediazione è il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di
sottoscrizione del predetto accordo, delle intere somme dovute o, in caso di
versamento rateale, della prima rata, in relazione all’accordo stesso.
Ai sensi del comma 6 dell’articolo 17-bis, per il versamento delle somme
dovute “si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per
40
L’articolo 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997 ammette la riduzione delle sanzioni ad un terzo “se il
contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza
di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le
somme complessivamente dovute, tenuto conto della predetta riduzione. In ogni caso la misura delle
sanzioni non può essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi
relative a ciascun tributo”.
41
l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno
1997, n. 218”.
Il legislatore ha infatti inteso uniformare le regole che presiedono alle
modalità di pagamento delle somme dovute a seguito di accertamento con
adesione, reclamo/mediazione e conciliazione.
Pertanto, è ammessa la possibilità di pagamento rateale delle somme “ in
un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di sedici rate
trimestrali se le somme dovute superano i cinquantamila euro”, secondo quanto
previsto dall’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. n. 218 del 199741
.
Inoltre, ai sensi della medesima disposizione, “Le rate successive alla
prima devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre”;
“Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati
dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata”.
In precedenza, la rateizzazione era ammessa in un massimo di otto rate,
elevate a dodici nel caso di somme superiori ai cinquantamila euro, secondo
quanto stabilito dal previgente articolo 48 del decreto n. 546, richiamato dal
comma 8 del previgente articolo 17-bis del medesimo decreto.
In caso di inadempimento nei pagamenti rateali, la disciplina va mutuata
da quella prevista dall’articolo 15-ter, comma 2, del DPR n. 602 del 197342
, ai
sensi del quale si decade dal beneficio della rateazione qualora si ometta di
versare una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata
successiva.
Sempre in forza di quest’ultima disposizione, in conseguenza della
decadenza dalla rateazione, sono iscritti a ruolo i residui importi dovuti a titolo di
imposta, interessi e sanzioni, ed è irrogata la sanzione prevista dall’articolo 13
41
Come sostituito dall’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 159 del 2015. Nella mediazione, invero, appare
poco probabile che le somme complessivamente dovute superino i cinquantamila euro. 42
Il citato articolo 15-ter, inserito nel DPR n. 602 del 1973 dall’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. n. 159
del 2015, è applicabile all’accertamento con adesione per espressa previsione contenuta nel comma 4
dell’articolo 8 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.
42
del D.Lgs. n. 471 del 1997, “aumentata della metà e applicata sul residuo
importo dovuto a titolo di imposta”.
Si evidenzia come il regime punitivo risulti mitigato dalla riforma, posto
che nella pregressa disciplina la sanzione di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 471
del 1997 si applicava sul residuo importo in misura doppia.
Con riferimento ai procedimenti aventi ad oggetto avvisi di accertamento
esecutivi, emessi ai sensi dell’articolo 29 del DL n. 78 del 2010, si precisa che il
recupero delle somme non versate a seguito della mediazione va effettuato
mediante l’intimazione ad adempiere al pagamento, prevista dalla medesima
norma43
.
Trova applicazione altresì il comma 3 dell’articolo 15-ter del DPR n. 602
del 1973, secondo cui è esclusa la decadenza in caso di c.d. “lieve
inadempimento”, dovuto a:
“a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non
superiore al 3 per cento e, in ogni caso, a diecimila euro;
b) tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette
giorni”.
Nei casi in cui l’insufficiente o il tardivo pagamento integri un “lieve
inadempimento”, si procede - ai sensi del comma 5 del citato articolo 15-ter -
all’iscrizione a ruolo “dell’eventuale frazione non pagata, della sanzione di cui
all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, commisurata
all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi”.
La predetta iscrizione a ruolo non è eseguita - a norma del successivo
comma 6 dell’articolo 15-ter - se il contribuente si avvale del ravvedimento
operoso di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, entro il termine di
pagamento della rata successiva ovvero, in caso di versamento in unica soluzione
43
Le speciali disposizioni di cui all’articolo 29 del DL n. 78 del 2010, valevoli per tutti gli avvisi di
accertamenti esecutivi, devono ritenersi applicabili anche in vigenza del nuovo articolo 8 del D.Lgs. n.
218 del 1997, richiamato dal nuovo articolo 17-bis, comma 6, del decreto n. 546.
43
o di ultima rata, entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per il
versamento.
Occorre infine precisare che le disposizioni di cui all’articolo 8, comma 2,
del D.Lgs. n. 218 del 1997, come modificato dal D.Lgs. n. 159 del 2015, sono
sicuramente applicabili ai procedimenti di mediazione pendenti alla data del 1°
gennaio 2016, per i quali la mediazione si sia perfezionata a decorrere dalla
medesima data.
1.7.7 Applicabilità della conciliazione giudiziale alle controversie
reclamabili
Le controversie instaurate a seguito di rigetto dell’istanza di reclamo
ovvero di mancata conclusione dell’accordo di mediazione rientrano nell’ambito
di applicabilità della conciliazione, disciplinata dai nuovi articoli 48, 48-bis e 48-
ter del decreto n. 546.
Non è stata infatti riproposta la disposizione che imponeva l’alternatività
tra reclamo/mediazione e conciliazione.
La ratio risponde all’esigenza di potenziare gli istituti deflativi sia nella
fase anteriore al giudizio che in pendenza di causa.
Si precisa che possono essere oggetto di conciliazione anche le cause,
pendenti al 1° gennaio 2016, di valore non superiore a ventimila euro e
concernenti atti dell’Agenzia delle entrate, per le quali sia stata esperita
infruttuosamente la mediazione in applicazione della previgente disciplina.
1.8 Articolo 18 - Il ricorso
La lettera m) del comma 1 dell’articolo 9 del decreto di riforma ha
modificato l’articolo 18 del decreto n. 546, che individua il contenuto del ricorso.
In particolare, al comma 3, è stato introdotto l’obbligo di indicare la
categoria di appartenenza del difensore ai sensi dell’articolo 12 del medesimo
44
decreto n. 546, che consente al giudice la liquidazione delle spese di lite secondo
la relativa tariffa professionale.
Come detto a commento dell’articolo 16-bis, l’omessa indicazione
dell’indirizzo PEC del difensore comporta l’aumento della metà del contributo
unificato, ai sensi dell’articolo 13, comma 3-bis, del DPR n. 115 del 2002.
1.9 Articolo 39 - Sospensione del processo
L’articolo 9, comma 1, lettera o), del decreto di riforma, ha aggiunto i
commi 1-bis e 1-ter all’articolo 39 del decreto n. 546, che reca le ipotesi di
sospensione del processo tributario.
Nella formulazione precedente, la sospensione necessaria del processo era
prevista nei casi di proposizione di querela di falso e di sussistenza di questioni
pregiudiziali concernenti lo stato o la capacità delle persone, fatta eccezione per
la capacità di stare in giudizio.
Altre disposizioni di legge applicabili anche al processo tributario
individuano ulteriori ipotesi di sospensione necessaria, quali la rimessione alla
Corte costituzionale di una questione di legittimità costituzionale44
e la
proposizione del ricorso per ricusazione45
.
Si ricorda che, come precisato nella circolare n. 98/E del 1996, non risulta
applicabile al processo tributario la sospensione su istanza di parte di cui
all’articolo 296 c.p.c.46
, non ravvisandosi “una ratio, che giustifichi la possibilità
delle parti di concordare tra loro la sospensione del processo”.
44
L’articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, stabilisce che “L’autorità giurisdizionale, qualora il
giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità
costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza
con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso”. 45
L’articolo 52, terzo comma, c.p.c., stabilisce che “La ricusazione sospende il processo”. 46
L’articolo 296 c.p.c. prevede che “Il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, ove sussistano
giustificati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non
superiore a tre mesi, fissando l’udienza per la prosecuzione del processo medesimo”.
45
Il comma 1-bis, inserito nell’articolo 39, prevede in via generale la
sospensione necessaria per pregiudizialità nei rapporti tra liti instaurate innanzi
alle commissioni tributarie. In particolare, riproducendo essenzialmente l’articolo
295 c.p.c. 47
, il legislatore ha prescritto la sospensione del processo in ogni altro
caso in cui la stessa o altra commissione tributaria “deve risolvere una
controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.
Si evidenzia che sullo specifico punto la Corte di cassazione ha da tempo
riconosciuto, con riferimento ai rapporti tra i processi tributari (c.d. rapporti
interni), l’applicabilità della sospensione per pregiudizialità di cui all’articolo
295 c.p.c.48
, osservando che l’articolo 39 del decreto n. 546, “pur
nell’interpretazione restrittiva datane dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale49
..., non esclude l’applicazione della norma generale del codice di
rito … (Cass. n. 14788/2001; n. 7506/2001)” (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21291)50
.
La nozione di pregiudizialità rilevante ai fini della sospensione del
processo è stata più volte esplicitata dalla Corte di cassazione, la quale ha
47
Ai sensi dell’articolo 295 c.p.c., “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli
stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della
causa”. 48
Ex multis, Cass. 8 aprile 2015, n. 6988; Cass. 3 ottobre 2014, n. 20928; Cass. 11 aprile 2014, n. 8614;
Cass. 10 gennaio 2013, n. 394; Cass. 30 ottobre 2000, n. 14281. 49
La Consulta, con sentenza 26 febbraio 1998, n. 31, richiamata nelle successive ordinanze 21 gennaio
1999, n. 8, 16 aprile 1999, n. 136 e 21 luglio 2000, n. 330, ha ritenuto la norma non in contrasto con i
principi costituzionali, evidenziando che, attraverso la limitazione dei casi di sospensione, il legislatore
“ha inteso rendere più rapida e agevole la definizione del processo tributario oberato di una rilevante
mole di contenzioso. Finalità in sé del tutto legittima anche sotto l’aspetto, non certo secondario, della
tutela dei diritti del contribuente”, operando una scelta “non lesiva del criterio di ragionevolezza”. Anche
nella più recente sentenza 25 luglio 2011, n. 247, la Corte costituzionale ha evidenziato che gli “artt. 2,
comma 3, e 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 ... limitano le ipotesi di sospensione ai
casi di querela di falso e di questioni di stato e capacità delle persone (diversa dalla capacità di stare in
giudizio) ed impongono al giudice, in tutti gli altri casi, di risolvere in via incidentale ogni questione
pregiudiziale”. 50
Cfr. circolare n. 25/E del 21 marzo 2002, nella quale si è precisato che il “comma 3 dell’articolo 2” del
decreto n. 546 “sancisce … esplicitamente che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni
questione da cui dipenda la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta
eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa
dalla capacità di stare in giudizio” di cui al citato articolo 39.
“La nuova disposizione sembra superare l’orientamento della Corte di Cassazione, in quanto attribuisce
al giudice tributario la possibilità di decidere in via incidentale ogni questione pregiudiziale, senza che
assuma rilevanza l’autorità giudiziaria presso cui pende tale questione. Sono fatte salve, comunque, le
due ipotesi di sospensione obbligatoria previste dall’articolo 39 e confermate dalla nuova formulazione
dell’articolo 2 in esame.”.
46
evidenziato che “la sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c.”,
“applicabile anche al processo tributario, in forza del generale richiamo operato
dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1”, si configura “qualora risultino pendenti,
davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di
pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile
presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento
dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa
astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto tra giudicati (cfr., ex plurimis,
Cass. 2214/11; 1865/12; 21396/12)” (Cass. 14 gennaio 2015, n. 417).
Sussiste ad esempio un rapporto di pregiudizialità tra il giudizio avente ad
oggetto il provvedimento di diniego o di cancellazione dell’iscrizione
all’Anagrafe delle ONLUS e i giudizi vertenti sugli atti impositivi emessi per
recuperare le imposte o le maggiori imposte non versate51
.
Parimenti si ravvisa un rapporto di pregiudizialità tra il giudizio avente ad
oggetto il disconoscimento di perdite di periodo e la controversia relativa al
conseguenziale accertamento dell’indebito utilizzo delle predette perdite in
compensazione in periodi d’imposta successivi52
.
Il giudizio sulla spettanza di un’agevolazione pluriennale ha carattere
evidentemente pregiudiziale rispetto alle controversie aventi ad oggetto
l’accertamento delle imposte riferite alle singole annualità o il rimborso delle
imposte nelle more versate dal contribuente53
.
La Corte di cassazione ha, altresì, ravvisato la pregiudizialità della
controversia avente ad oggetto il diniego opposto dall’ufficio alla domanda di
adesione ad un istituto definitorio rispetto al giudizio relativo agli atti impositivi
recanti la pretesa interessata dalla definizione54
.
51
Cfr. Cass. 13 novembre 2009, n. 23950. 52
Cfr. citata Cass. n. 417 del 2015. 53
Cfr. Cass. 3 dicembre 2010, n. 24581 e Cass. 28 aprile 2006, n. 9999 e n. 10013. 54
Cfr. Cass 15 novembre 2013, n. 25683, ove si precisa che precedente giurisprudenza di legittimità
“evidenzia chiaramente la relazione di pregiudizialità, con conseguente sospensione necessaria ex art.
47
Atteso che, come evidenziato, la ratio dell’istituto della sospensione
risiede principalmente nell’esigenza di evitare il contrasto di giudicati,
l’applicabilità della sospensione per pregiudizialità presuppone che i giudizi si
svolgano tra le medesime parti55
.
In alcune ipotesi, pur in presenza di parti processuali differenti, la Corte di
cassazione ha ravvisato la sussistenza di un nesso di pregiudizialità che impone
la sospensione della causa dipendente56
.
La parte che invochi la sospensione dovrà fornire prova della dipendenza
tra le controversie, allegando i necessari elementi fattuali da cui inferire tale
relazione di dipendenza57
.
Ai fini della sospensione, dovrà, altresì, essere dimostrata la pendenza
attuale della controversia pregiudiziale innanzi all’Autorità giurisdizionale58
.
295 c.p.c., tra il giudizio avente ad oggetto il perfezionamento del condono e la causa avente ad oggetto
la impugnazione dell’atto impositivo, venendo a determinare l’accertamento dell’avvenuto
perfezionamento della definizione agevolata del rapporto la cessazione della materia del contendere in
ordine alla causa pregiudicata”. 55
La Corte di cassazione ha affermato che il riconoscimento dell’applicabilità dell’articolo 295 c.p.c. al
processo tributario richiede “l’esplicita condizione della “dipendenza” in tutto od in parte della
soluzione della causa da sospendere dalla decisione dell’altra causa. Tale dipendenza esige la
coincidenza dei soggetti partecipanti ai due procedimenti, quale requisito indispensabile perchè la
definizione dell’uno possa assumere valore vincolante per la definizione dell’altro, secondo i principi
generali che presiedono all’autorità del giudicato sostanziale (v. Cass. 26 maggio 1999 n. 5083, 21
gennaio 2000 n. 661, 19 febbraio 2000 n. 1907, 24 maggio 2000 n.6792)” (Cass. 22 giugno 2001, n.
8567; conforme: Cass. 10 marzo 2006, n. 5366). 56
Si tratta delle ipotesi di contemporanea pendenza del giudizio di impugnazione di un avviso di
accertamento, riferito ad utili extracontabili, emesso nei confronti di una società di capitali a ristretta base
partecipativa e della controversia relativa al conseguente accertamento del maggior reddito in capo al
socio in virtù della presunzione di distribuzione dei predetti utili extracontabili (Cass. 2 dicembre 2015, n.
24572; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1865; Cass. 31 gennaio 2011, n. 2214). La medesima disciplina è stata
ritenuta applicabile nelle ipotesi in cui siano stati instaurati il giudizio avente ad oggetto la
determinazione della rendita catastale da parte dell’ex Agenzia del territorio e il giudizio concernente gli
atti impositivi emessi dall’Agenzia delle entrate o dai comuni in applicazione di disposizioni che fondano
la base imponibile sulla rendita catastale (cfr. Cass. 17 marzo 2008, n. 7087 e Cass. 15 ottobre 2014, n.
21776). 57
Cass. 6 settembre 2004, n. 17937. 58
Il Supremo Collegio ha chiarito che “ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere
stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe sul ricorrente l’onere
di dimostrare che quest’altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento
in cui il ricorso verrà accolto. In difetto, manca la prova dell’interesse concreto ed attuale che deve
sorreggere il ricorso, non potendo nè la Corte di Cassazione nè un eventuale giudice di rinvio disporre la
sospensione del giudizio in attesa della definizione di un’altra causa che non risulti più effettivamente in
48
La sospensione per pregiudizialità è disposta anche d’ufficio,
indipendentemente, cioè, da un’istanza di parte. Al riguardo, la giurisprudenza di
legittimità ha chiarito che essa non è connessa ad alcuna valutazione di
opportunità, ma presuppone la sola verifica della sussistenza del rapporto di
pregiudizialità tra le due cause pendenti59
.
Ai sensi dell’articolo 43 del decreto n. 546, “Dopo che è cessata la causa
che ne ha determinato la sospensione, il processo continua se entro sei mesi da
tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente
di sezione della commissione, che provvede a norma dell'art. 30”.
L’inerzia delle parti determina l’estinzione del giudizio60
.
1.9.1 Sospensione dovuta all’inizio di una procedura amichevole
L’articolo 9, primo comma, lettera o), del decreto di riforma introduce una
ipotesi di sospensione del processo su istanza delle parti, allorché sia iniziata una
procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Le procedure amichevoli (MAP – Mutual Agreement Procedure), che
consistono in una consultazione diretta tra le amministrazioni fiscali dei Paesi
contraenti, sono finalizzate a risolvere casi di doppia imposizione e
rappresentano, quindi, uno strumento per la composizione delle controversie
fiscali internazionali.
corso (cfr. sentt. nn. 16992/07, 23720/08, 18026/12)” (Cass. 17 dicembre 2014, n. 26564). Inoltre, con la
sentenza 10 dicembre 2007, n. 25708, la Cassazione ha evidenziato che “secondo giurisprudenza di
legittimità la parte che invochi la sospensione di un giudizio ex art. 295 c.p.c., (norma applicabile anche
in seno al procedimento tributario) ha l’onere di provare la pendenza di un’altra controversia e la
sussistenza di un rapporto di “dipendenza” tra i due giudizi, senza che possa, all’uopo, invocarsi, in seno
al processo tributario, l’esercizio, da parte delle competenti commissioni, delle facoltà istruttorie di cui
al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, trattandosi di poteri diretti a verificare esclusivamente le risultanze
dell’istruttoria amministrativa, onde verificare l’esistenza dei vizi dedotti dal contribuente (Cass.
7506/01)”. 59
Cfr., ex multis, Cass. 19 febbraio 2014. n. 3939. 60
In base all’articolo 45 del decreto n. 546, “Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali
spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine
perentorio stabilito dalla legge”.
49
Esse trovano fondamento nelle Convenzioni internazionali bilaterali per
evitare le doppie imposizioni e, in ambito europeo, nella Convenzione
90/436/CEE del 23 luglio 1990 per l’eliminazione delle doppie imposizioni in
caso di rettifica degli utili di imprese associate, in applicazione della normativa in
materia di prezzi di trasferimento.
Conseguentemente, il comma 1-ter dell’articolo 39 prevede espressamente
la facoltà delle parti di ottenere, su concorde richiesta, la sospensione del
processo quando sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle
Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni ovvero una
procedura amichevole ai sensi della Convenzione sull’eliminazione delle doppie
imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE del
23 luglio 199061
.
1.10 Articolo 47 - Sospensione dell’atto impugnato
In attuazione del principio di delega enunciato nell’articolo 10, comma 1,
lettera b), n. 9 della legge n. 23 del 2014, ossia “l’uniformazione e la
generalizzazione della tutela cautelare”, sono state apportate modifiche al
decreto n. 546, e in primis all’articolo 47, che mirano a disciplinare in maniera
più dettagliata e organica rispetto al passato l’istituto della sospensione, tanto
degli atti quanto delle sentenze, estendendolo nel contempo a tutte le fasi del
processo, in conformità con gli indirizzi progressivamente elaborati dalla
giurisprudenza.
61
Con circolare n. 21/E del 5 giugno 2012, sono stati forniti chiarimenti in ordine alla gestione delle
controversie fiscali attraverso le procedure amichevoli, illustrandone, tra l’altro, le basi giuridiche,
l’ambito soggettivo ed oggettivo, le modalità procedurali ed il rapporto con il contenzioso interno. Al
riguardo, al punto 4.2.5 della predetta circolare n. 21/E del 2012 è stato evidenziato che il contemporaneo
svolgimento della procedura amichevole e del giudizio instaurato dal contribuente innanzi al giudice
nazionale avverso atti di accertamento comporta il rischio che si formi un giudicato in contrasto con il
dispositivo dell’accordo amichevole eventualmente intervenuto tra le autorità competenti.
50
Le novità sono informate ad alcuni principi di base, in buona parte trasfusi
nell’articolo in esame, che le singole disposizioni modificative estendono ai
diversi gradi di giudizio e ai mezzi di impugnazione:
a) il contribuente può in ogni caso chiedere la sospensione dell’atto
impugnato in presenza di un danno grave ed irreparabile;
b) le parti possono chiedere la sospensione degli effetti della sentenza sia
di primo grado sia di appello, analogamente a quanto previsto nel c.p.c.;
c) il giudice può subordinare i provvedimenti cautelari ad idonea garanzia,
la cui disciplina di dettaglio è rimessa ad un emanando decreto di attuazione, così
da prestabilire il contenuto, la durata della garanzia e il termine entro il quale
essa può essere escussa evitando, di conseguenza, le eventuali divergenze tra le
parti in merito all’idoneità della garanzia stessa.
Inoltre, meritano un richiamo le disposizioni dell’articolo 15, comma 2-
quater, che disciplinano il regime delle spese di lite della fase cautelare (cfr. par.
1.4), prevedendo che la commissione provveda a queste ultime con l’ordinanza
che decide sull’istanza e che la pronuncia sulle spese conservi efficacia anche
dopo il provvedimento che definisce il giudizio (salva diversa statuizione
espressa nella stessa sentenza emessa sul giudizio). La relazione illustrativa al
decreto di riforma attribuisce a tale disposizione la funzione di evitare un abuso
delle richieste di sospensione, analogamente a quanto previsto per il processo
amministrativo dall’articolo 57 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del
processo amministrativo).
Venendo alla nuova formulazione dell’articolo 47, va innanzitutto rilevato
come l’impianto generale della disposizione sia rimasto pressoché immutato,
almeno nei tratti fondamentali e nei presupposti, ravvisabili nella possibilità per
il ricorrente di chiedere la sospensione dell’atto dal quale possa derivare danno
grave ed irreparabile.
Quindi, nell’immutato comma 1 viene confermato che la proposizione del
ricorso non ha di per sé effetto sospensivo dell’atto impugnato, ma va a tal fine
integrata da un’apposita istanza, contenuta nel medesimo atto introduttivo del
51
giudizio o presentata con atto separato, debitamente notificato a controparte e
depositato – solo a seguito della costituzione in giudizio del ricorrente ex articolo
22 – presso la segreteria della commissione tributaria competente.
Funzione essenziale della sospensione dell’atto impugnato è paralizzare
temporaneamente gli effetti pregiudizievoli dello stesso, in attesa della sentenza
di primo grado. Per tale ragione, in linea di principio non può chiedersi la
sospensione di atti a contenuto non impositivo, quali il diniego – espresso o
tacito – di rimborsi, agevolazioni o definizioni agevolate di rapporti tributari, in
quanto in tal caso l’ordinanza di sospensione imporrebbe all’Amministrazione
finanziaria un obbligo di facere (cfr. circolare n. 98/E del 1996).
I presupposti della sospensione, dei quali il giudice deve riscontrare la
sussistenza all’esito di pur sommaria delibazione, come noto, sono:
a) il fumus boni iuris, ossia la fondatezza prima facie dei motivi di ricorso;
b) il periculum in mora, ossia il pericolo di danno grave ed irreparabile
(anche in presenza di futura sentenza definitiva favorevole), che l’esecuzione
dell’atto cagionerebbe.
Nella valutazione dei presupposti della sospensione, l’interesse del
ricorrente va bilanciato con quello dell’ente impositore alla tutela del credito
erariale: anche con riferimento all’esito di tale ponderazione va letta la
previsione, invariata nell’attuale formulazione del comma 5, secondo cui “la
sospensione può anche essere parziale”.
Il comma 2, anch’esso immutato, dispone che il presidente – della sezione
alla quale la causa è stata assegnata o della commissione tributaria, qualora
l’assegnazione non abbia ancora avuto luogo – fissa con proprio decreto la
trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile,
disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi
prima.
Il comma 3 ha subito talune modifiche nella parte relativa alla facoltà del
presidente di disporre, in caso di eccezionale urgenza e previa delibazione del
merito, la provvisoria sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, inaudita
52
altera parte. Invero, mentre nel precedente testo della disposizione tale facoltà
andava esercitata con lo stesso decreto di fissazione dell’udienza per la
trattazione dell’istanza di sospensione, la novella consente di disporre la
sospensione “con decreto motivato” e, quindi, anche con un provvedimento
diverso da quello di fissazione dell’udienza ed eventualmente anteriore a questo.
Per tale conclusione fa propendere la ratio della norma, identificabile
nell’esigenza di non vanificare gli effetti della tutela cautelare a causa di una
concessione tardiva della stessa, letta alla luce del criterio di delega relativo al
rafforzamento dell’istituto.
Nel comma 4 è introdotto un secondo periodo ove è previsto che il
dispositivo dell’ordinanza motivata non impugnabile con cui il collegio (sentite
le parti in camera di consiglio e delibato il merito) provvede sull’istanza di
sospensione – anche adottando la decisione definitiva sull’eventuale sospensione
provvisoria di cui sopra – “deve essere immediatamente comunicato alle parti in
udienza”.
Le modifiche apportate alla parte finale del successivo comma 5
prevedono che la garanzia cui può essere subordinata la sospensione, anche
parziale, dell’atto sia ora prestata ai sensi dell’articolo 69, comma 2, del decreto
n. 546, che rimette ad un apposito decreto ministeriale la disciplina della
garanzia.
A tal proposito, è il caso di rilevare in questa sede come la riforma del
contenzioso tributario estenda a tutte le ipotesi in cui sia richiesta una garanzia –
sulla scorta di condivisibili esigenze di uniformità, semplificazione e coerenza
sistematica – lo schema menzionato nel nuovo articolo 69, comma 2, del decreto
n. 546 (cfr. par. 1.15.2).
Nessuna modifica è stata apportata, invece, ai commi da 5-bis a 7
dell’articolo 47; conseguentemente, i termini e la durata previsti per la decisione
nel merito della causa e gli effetti della sospensione rimangono invariati, vale a
dire che:
53
a) l’istanza dev’essere decisa entro centottanta giorni dalla data di
presentazione;
b) qualora si opti per la sospensione dell’atto impugnato, la trattazione
della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla
decisione, così da consentire una più celere definizione della
controversia;
c) gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della
sentenza di primo grado.
Del pari, il successivo comma 8 conferma in toto la facoltà delle parti, cui
è preclusa l’impugnazione dell’ordinanza, di sollecitare la revisione di
quest’ultima in caso di mutamento delle circostanze rilevanti ai fini della
sospensione. In tale ipotesi, la commissione, su istanza motivata di parte, può
revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza,
osservando in quanto compatibile la disciplina dettata dai commi 1, 2 e 4 (e,
quindi, in esito ad un procedimento sostanzialmente analogo alla fase cautelare
già svoltasi).
Infine, l’articolo 47 viene completato con l’aggiunta del comma 8-bis,
disposizione di natura sostanziale più che processuale, nel quale si stabilisce che
durante il periodo di sospensione si applicano gli interessi al tasso previsto per la
sospensione amministrativa. In tal modo viene espressamente recepito nel testo
normativo l’orientamento, tanto di prassi quanto di giurisprudenza, incline ad
uniformare il calcolo degli interessi nella sospensione accordata dal giudice e in
quella accordata dall’Amministrazione finanziaria.
Gli interessi applicabili sono pertanto quelli previsti dall’articolo 39,
comma 1, del DPR n. 602 del 1973, che nell’attuale formulazione prevede un
tasso annuo del 4,5 per cento.
54
1.11 Articoli 48, 48-bis e 48-ter – La conciliazione giudiziale
L’articolo 10, comma 1, lettera a), della legge delega n. 23 del 2014
annovera, tra i criteri direttivi della riforma, quello di “rafforzamento e
razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario”,
nell’intento di superare la criticità legata allo scarso utilizzo di tale istituto e
“anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina
del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi
amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai
contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità”.
In attuazione del predetto criterio, le lettere s) e t) dell’articolo 9 del
decreto di riforma hanno operato una riscrittura della conciliazione giudiziale,
introducendo una serie di modifiche alla disciplina, che in tal modo risulta
articolata su tre norme: l’articolo 48, che rispetto alla previgente formulazione
presenta la rubrica e il testo integralmente sostituiti, nonché i nuovi articoli 48-
bis e 48-ter.
Nello specifico, gli articoli 48 e 48-bis disciplinano separatamente le due
tipologie di conciliazione, rispettivamente denominate “fuori udienza” e “in
udienza”, mentre l’articolo 48-ter detta disposizioni, comuni alle due tipologie di
conciliazione, per la definizione e il pagamento delle somme dovute.
Nell’ambito delle modifiche introdotte62
, le più rilevanti riguardano:
- l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto al secondo grado
di giudizio;
- l’individuazione di un diverso momento di perfezionamento della
conciliazione e di nuove regole per il pagamento delle somme dovute;
62
Si aggiunge che, in ordine alle controversie oggetto di conciliazione giudiziale, una specifica disciplina
delle spese di lite è contenuta nell’articolo 15, comma 2-octies, del decreto n. 546, il quale prevede che,
qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dalla controparte senza
giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo, ove il riconoscimento delle sue
pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le
spese si intendono compensate, salvo che le parti abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di
conciliazione. Per i relativi chiarimenti si rinvia al par. 1.4 della presente circolare.
55
- la determinazione del beneficio consistente nella riduzione delle
sanzioni, riformulata secondo modalità più favorevoli al contribuente.
I nuovi articoli 48, 48-bis e 48-ter si applicano - in base a quanto stabilito
dall’articolo 12, comma 1, del decreto di riforma - ai giudizi pendenti alla data
del 1° gennaio 2016.
Si precisa che, in ordine ai predetti giudizi pendenti, se alla data del 1°
gennaio 2016 la conciliazione risulta già perfezionata attraverso il pagamento
delle somme dovute in unica soluzione o della prima rata, gli effetti restano
disciplinati dalle norme vigenti al momento del perfezionamento.
1.11.1 Estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto
Una prima rilevante novità è rappresentata dalla possibilità di conciliare
anche le liti che si trovano nella fase di appello e non solo – come accadeva sotto
la previgente disciplina - le controversie tributarie pendenti nel primo grado di
giudizio.
E’ stato infatti eliminato il riferimento al limite temporale entro cui la
conciliazione poteva avere luogo, che il previgente articolo 48, comma 2,
individuava nella prima udienza innanzi alla commissione tributaria provinciale.
Va evidenziato che, secondo quanto chiarito dalla relazione illustrativa,
l’opzione di estendere la conciliazione anche al grado di cassazione è stata
esclusa dal legislatore, stante la particolare natura di tale giudizio, dal quale sono
esclusi gli accertamenti in fatto.
L’altra novità riguarda la possibilità di conciliare anche le controversie
che ricadono nell’ambito di applicazione dell’istituto del reclamo/mediazione di
cui all’articolo 17-bis del decreto n. 546, cioè le cause tributarie di valore non
superiore a ventimila euro, oppure relative ad operazioni catastali, instaurate a
seguito di rigetto dell’istanza di reclamo ovvero di mancata conclusione
dell’accordo di mediazione. Si rinvia, sul punto, ai chiarimenti forniti nel
precedente par. 1.7.
56
1.11.2 Conciliazione perfezionata “fuori udienza”
Con riferimento alla conciliazione “fuori udienza”, l’articolo 48 prevede
che, “se in pendenza di giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo,
presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la
definizione totale o parziale della controversia”.
Questa tipologia di conciliazione si realizza, come nella pregressa
disciplina, con il deposito in giudizio – di primo o di secondo grado – di una
“istanza congiunta”, cioè di una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte
abbia previamente aderito, con l’unica differenza che il soggetto deputato ad
effettuare il deposito è ora individuato in ciascuna delle parti del giudizio e non
più esclusivamente nell’Ufficio.
L’istanza deve contenere:
- l’indicazione della commissione tributaria adita;
- i dati identificativi della causa, anche con riferimento all’Ufficio
dell’Agenzia e al contribuente parti in giudizio;
- la manifestazione della volontà di conciliare, con indicazione degli
elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini
economici;
- la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione (ovvero,
per le conciliazioni intervenute nell’ambito di controversie aventi ad
oggetto operazioni catastali, gli elementi che individuano esattamente i
termini dell’accordo conciliativo, quali l’indicazione del classamento o
della rendita catastale rideterminati);
- la motivazione delle ragioni che sorreggono la conciliazione;
- l’accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della
proposta nonché delle somme liquidate;
57
- la data, la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio e la sottoscrizione del
contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica,
anche del difensore. Si precisa che, in presenza di difensore, deve
essere espressamente conferito nella procura il potere di conciliare e
transigere la controversia.
La nuova disposizione non fissa un termine per il deposito dell’accordo di
conciliazione, che invece la pregressa disciplina individuava nella data di
trattazione in camera di consiglio o di discussione in pubblica udienza del
giudizio di primo grado. Ciononostante, si ritiene che un limite temporale sia
comunque rappresentato dal momento in cui la causa è trattenuta in decisione,
superato il quale apparirebbe vanificato lo scopo deflattivo del contenzioso a cui
è preordinata la conciliazione.
Pertanto, il deposito della proposta preconcordata deve avvenire non oltre
l’ultima udienza di trattazione, in camera di consiglio o in pubblica udienza, del
giudizio di primo o di secondo grado.
Ai sensi del comma 4 dell’articolo 48, la conciliazione “fuori udienza” si
perfeziona “con la sottoscrizione dell’accordo”, nel quale sono indicate le
somme dovute, con i termini e le modalità di pagamento (oppure sono indicati gli
elementi caratterizzanti la conciliazione “catastale”).
La previsione che fa coincidere il perfezionamento della conciliazione con
il momento in cui si formalizza, mediante un accordo sottoscritto
congiuntamente, l’incontro di volontà tra Amministrazione e contribuente,
rappresenta un’importante novità.
Nella previgente disciplina il perfezionamento avveniva successivamente
alla redazione dell’accordo e, precisamente, nel momento del pagamento
dell’intera somma dovuta o della prima rata, da effettuare entro venti giorni dalla
data di comunicazione del decreto presidenziale di estinzione del giudizio.
58
Proprio la coincidenza un tempo esistente tra effettuazione del pagamento
e perfezionamento della conciliazione poteva condurre a situazioni in cui
l’insolvenza del contribuente e comunque l’omesso pagamento, determinando il
mancato perfezionamento dell’istituto, si riverberava anche sulla declaratoria di
estinzione della controversia, portando a configurare la necessità di una
riattivazione del processo.
Nella nuova formulazione si è, invece, stabilito il principio secondo cui
l’intervenuto accordo ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la
conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente
conduce alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall’accordo stesso e
all’applicazione del conseguente regime sanzionatorio per l’omesso versamento.
In tal senso, il comma 4 dell’articolo 48 stabilisce, altresì, che “L’accordo
costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per
il pagamento delle somme dovute al contribuente”. La disposizione risulta
modificata rispetto a quella previgente, che attribuiva efficacia di titolo per la
riscossione alla proposta conciliativa preconcordata, unita al decreto di estinzione
della controversia.
In altri termini, l’accordo conciliativo, da un lato legittima l’iscrizione a
ruolo del nuovo credito vantato dall’Amministrazione, dall’altro, qualora sia
l’Amministrazione stessa a non dare esecuzione al pagamento di quanto
concordato, legittima il contribuente ad esperire l’azione esecutiva davanti al
giudice ordinario, analogamente a quanto previsto nella disciplina del
reclamo/mediazione.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 48, se sussistono le condizioni di
ammissibilità della conciliazione, il giudice dichiara la cessazione della materia
del contendere, anche parziale, qualora l’accordo riguardi solo una parte della
pretesa erariale, procedendo in tal caso all’ulteriore trattazione della causa.
59
La norma stabilisce nel dettaglio le modalità con cui è dichiarata la cessata
materia del contendere, nel senso che:
- se non è stata ancora fissata la data dell’udienza di trattazione,
provvede il presidente della sezione con decreto;
- se invece è già stata fissata l’udienza di trattazione, provvede la
commissione tributaria, provinciale o regionale, con sentenza, se la
conciliazione è totale, oppure con ordinanza, se la conciliazione è
parziale (in quest’ultimo caso la sentenza sarà infatti adottata al
termine del giudizio di merito per le questioni che non sono state
oggetto di conciliazione).
La locuzione “condizioni di ammissibilità”, analoga a quella riportata
nella disciplina previgente63
, allude al potere di sindacato di legittimità del
giudice, che può accertare la regolarità della proposta conciliativa e l’assenza di
cause di inammissibilità previste dalla legge (ad esempio, ammissibilità del
ricorso introduttivo, imposte rientranti nella giurisdizione tributaria, sussistenza
del potere di conciliare, ecc.).
Qualora il giudice non ravvisi le condizioni di ammissibilità, la causa
verrà discussa e portata a decisione.
1.11.3 Conciliazione perfezionata “in udienza”
Con riferimento alla conciliazione “in udienza”, il nuovo articolo 48-bis
prevede che ciascuna delle parti possa presentare un’istanza per la conciliazione
totale o parziale della controversia, entro il termine previsto dall’articolo 32,
comma 2, del decreto n. 546 per il deposito delle memorie illustrative, cioè entro
dieci giorni liberi prima della data di trattazione, riferibile sia al primo sia al
secondo grado di giudizio.
63
Il precedente testo dell’articolo 48 faceva riferimento alla sussistenza dei “presupposti di
ammissibilità”.
60
La precedente disciplina prevedeva che la proposta di conciliazione
andasse inserita nell’istanza di discussione in pubblica udienza di cui all’articolo
33 del decreto n. 546, da notificare entro il medesimo termine di dieci giorni
liberi prima della data di trattazione.
Anche nella nuova disciplina, invero, si deve ritenere che l’istanza per la
conciliazione, anche ove contenuta in una memoria illustrativa, non possa
prescindere dalla presentazione della richiesta di pubblica udienza, necessaria per
l’esperimento del tentativo di conciliazione.
In udienza la commissione, se ravvisa le condizioni di ammissibilità della
proposta, invita le parti alla conciliazione.
La previgente disciplina stabiliva che, nel caso in cui la conciliazione non
si realizzasse nella prima udienza, la commissione poteva assegnare un termine
non superiore a sessanta giorni affinché si addivenisse ad una conciliazione
“fuori udienza”.
Ora il nuovo comma 2 dispone che la commissione possa rinviare la causa
a successiva udienza “per il perfezionamento dell’accordo conciliativo”, senza
prevedere più l’assegnazione di un termine.
Nell’ipotesi in cui l’accordo conciliativo sia raggiunto “in udienza”, il
comma 3 dell’articolo 48-bis prevede che esso debba risultare da apposito
processo verbale, nel quale sono indicate le somme dovute ed i termini e le
modalità di pagamento. L’accordo in questo caso viene formalizzato all’interno
del processo verbale redatto dal segretario della commissione secondo quanto
previsto dall’articolo 34, comma 2, del decreto n. 546.
Ai sensi del richiamato comma 3 dell’articolo 48-bis, “La conciliazione si
perfeziona con la redazione del processo verbale”. Sul punto si richiama quanto
osservato al paragrafo precedente con riguardo alla conciliazione “fuori
udienza”, circa la rilevanza della novità che fa coincidere il perfezionamento con
la sottoscrizione dell’accordo; nell’ipotesi di conciliazione “in udienza”, come
61
detto, l’accordo conciliativo è formalizzato nel processo verbale ed ha efficacia
novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento
delle somme dovute dal contribuente determina unicamente l’iscrizione a ruolo
del credito derivante dall’accordo stesso e l’applicazione delle sanzioni per
l’omesso versamento delle somme dovute in base alla conciliazione.
Il comma 3 dell’articolo 48-bis stabilisce, infatti, che “il processo verbale
costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per
il pagamento delle somme dovute al contribuente”, alla stregua dell’accordo nella
conciliazione “fuori udienza”.
A seguito dell’intervenuta conciliazione, la commissione, ai sensi del
comma 4 dell’articolo 48-bis, dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per
cessazione della materia del contendere.
1.11.4 Riduzione delle sanzioni
Il nuovo articolo 48-ter disciplina il pagamento delle somme dovute per
effetto dell’intervenuto accordo conciliativo, nonché le modalità di pagamento e
di recupero delle somme non versate. Le regole ivi previste si applicano sia alla
conciliazione “fuori udienza” che a quella “in udienza”.
Per quanto concerne la riduzione delle sanzioni, la relativa disciplina è
contenuta nel comma 1 dell’articolo 48-ter, che stabilisce la riduzione al quaranta
per cento del minimo previsto dalla legge, qualora l’accordo intervenga nel
primo grado di giudizio; la percentuale è elevata al cinquanta per cento se la
conciliazione avviene in appello.
La modalità di determinazione delle sanzioni dovute a seguito
dell’accordo conciliativo è stata rideterminata in senso più favorevole per il
contribuente, allo scopo di incentivare il ricorso all’istituto in questione.
62
Invero, in base alla pregressa disciplina, in caso di avvenuta conciliazione
le sanzioni erano applicabili nella misura del “40 per cento delle somme
irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione
medesima” e, in ogni caso, in misura non inferiore al “40 per cento dei minimi
edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo”.
Il criterio di determinazione delle sanzioni, ora basato sul minimo previsto
dalla legge, è lo stesso stabilito in caso di conclusione dell’accertamento con
adesione e dell’accordo di mediazione (fatta salva la diversa percentuale della
riduzione delle sanzioni, prescritta per il primo al 30 per cento e per la seconda al
35 per cento).
A titolo esemplificativo, si ipotizzi che l’atto impositivo impugnato rechi
una maggiore imposta ai fini dell’IRAP pari a 10.000 euro, con la relativa
sanzione di 24.000 euro, irrogata - nella misura edittale massima del 240 per
cento dell’imposta dovuta - ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997.
Ammettendo l’ipotesi di una conciliazione in primo grado, nella quale le
parti abbiano concordato la rideterminazione del tributo nella misura di 6.000
euro, il beneficio della riduzione della sanzione risulterebbe ratione temporis così
individuabile:
- sotto il vigore della precedente disciplina, la sanzione ridotta a seguito
della conciliazione ammonterebbe a 5.760 euro (vale a dire il 40 per cento di
14.400 euro, che rappresenta, a sua volta, il 240 per cento di 6.000 euro);
- in applicazione della nuova disciplina, la sanzione ridotta ammonterebbe,
invece, a 2.880 euro (vale a dire il 40 per cento di 7.200 euro, che rappresenta il
minimo edittale, cioè il 120 per cento di 6.000 euro).
Si evidenzia infine che, a seguito delle modifiche arrecate al sistema
sanzionatorio tributario dal D.Lgs. n. 158 del 2015, è stato modificato l’articolo
12, comma 8, del D.Lgs. n. 472 del 1997, concernente il “concorso di violazioni
63
e continuazione”, al fine di specificare che la disciplina del cumulo giuridico in
caso di conciliazione è identica a quella prevista per l’accertamento con adesione.
In particolare, è stata estesa anche alla conciliazione giudiziale la
disciplina recata dal citato articolo 12, comma 8 - secondo cui “le disposizioni
sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano
separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta”.
1.11.5 Pagamento delle somme dovute a seguito della conciliazione
Come detto, sia l’accordo previsto in caso di conciliazione “fuori
udienza”, sia il processo verbale nel caso di conciliazione “in udienza”,
costituiscono titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore.
Il comma 2 dell’articolo 48-ter stabilisce che il versamento delle intere
somme dovute o, in caso di versamento rateale, della prima rata, va effettuato
entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo, per la conciliazione
“fuori udienza”, o di redazione del processo verbale, per la conciliazione “in
udienza”.
Ovviamente si ricorda che dagli importi dovuti a titolo di conciliazione
vanno computate in diminuzione le eventuali somme versate dal contribuente a
titolo di iscrizione provvisoria.
Ai sensi del comma 4 dell’articolo 48-ter, per il versamento rateale delle
somme dovute “si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per
l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno
1997, n. 218”.
Il legislatore ha, infatti, inteso uniformare le regole che presiedono alle
modalità di pagamento delle somme dovute a seguito di accertamento con
adesione, reclamo/mediazione e conciliazione.
64
Pertanto, in base all’articolo 8, comma 264
, del D.Lgs. n. 218 del 1997, è
ammessa la possibilità di pagamento in forma rateale delle somme dovute, “ in
un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di sedici rate
trimestrali se le somme dovute superano i cinquantamila euro”; “Sull’importo
delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno
successivo al termine di versamento della prima rata”.
In precedenza, secondo quanto stabilito dal previgente articolo 48 del
decreto n. 546, la rateizzazione era ammessa in un massimo di otto rate, elevate a
dodici nel caso di somme superiori ai cinquantamila euro.
Occorre precisare che la dilazione delle somme secondo le più favorevoli
modalità previste dall’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. n. 218 del 1997 è
sicuramente applicabile alle controversie pendenti alla data del 1° gennaio 2016,
per le quali la conciliazione si sia perfezionata a decorrere dalla medesima data.
Il comma 3 dell’articolo 48-ter disciplina l’ipotesi di mancato pagamento
delle somme dovute entro il termine di venti giorni dalla sottoscrizione
dell’accordo o del verbale di conciliazione o, in caso di rateizzazione, di una
delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva,
prevedendo l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta,
interessi e sanzioni, nonché della sanzione per omesso versamento, prevista
dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, aumentata della metà ed applicata
sull’importo residuo dovuto a titolo di imposta.
Con riferimento alle controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento
esecutivi, emessi ai sensi dell’articolo 29 del DL n. 78 del 2010, si precisa che il
recupero delle somme non versate a seguito della conciliazione va effettuato
mediante l’intimazione ad adempiere al pagamento, prevista dalla medesima
norma65
.
64
Come sostituito dall’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 159 del 2015. 65
Le speciali disposizioni di cui all’articolo 29 del DL n. 78 del 2010, valevoli per tutti gli avvisi si
accertamenti esecutivi, devono ritenersi applicabili anche in vigenza dei nuovi articoli 48, 48-bis e 48-ter
del decreto n. 546, ancorché la lettera a) del comma 1 di detto articolo 29 continui a far riferimento al
previgente articolo 48, comma 3-bis, del medesimo decreto n. 546.
65
Si evidenzia come il regime punitivo risulti mitigato dalla riforma, posto
che nella pregressa disciplina la sanzione di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 471
del 1997 si applicava sul residuo importo in misura doppia.
Infine, si deve ritenere che - analogamente con la disciplina prevista per
l’accertamento con adesione e il reclamo/mediazione – trovi applicazione anche
per la conciliazione giudiziale l’articolo 15-ter, comma 3, del DPR n. 602 del
1973 concernente il cd. “lieve inadempimento”, per il cui dettaglio si rinvia al
precedente par. 1.7.6.
1.12 Articoli 49, 52 e 62-bis - La sospensione delle sentenze
L’articolo 9, comma 1, lettera u) del decreto di riforma ha modificato
l’articolo 49 del decreto n. 546, eliminando l’inciso “escluso l’art. 337”. Fatta
salva la disciplina specifica del processo tributario, la disposizione ora contiene
un generale rinvio alle norme del codice di procedura civile in tema di
sospensione delle sentenze, contenute nel “titolo III, capo I, del libro II del
codice di procedura civile”.
La suddetta modifica si connota per una significativa portata di carattere
sistematico, posto che la decisione di includere l’articolo 337 c.p.c. nel novero
delle norme richiamate è giustificata, oltre che da esigenze di coordinamento con
il nuovo regime dell’esecutività delle sentenze tributarie (cfr. par. 1.15), dalla
necessità di conformarsi alle pronunce giurisprudenziali che hanno affermato,
sotto vari profili, l’applicabilità al processo tributario della predetta norma del
rito civile66
.
La disposizione che più direttamente interessa la tutela cautelare è quella
contenuta nel primo comma dell’articolo 337, secondo cui “l’esecuzione della
sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le
66
Si vedano, in particolare, la sentenza 26 aprile 2012, n. 109, e le ordinanze 15 novembre 2012, n. 254, e
13 febbraio 2014, n. 25, emanate dalla Corte costituzionale, nonché le sentenze della Corte di cassazione
24 febbraio 2012, n. 2845, 17 ottobre 2014, n. 21996 e 7 aprile 2014, n. 8053.
66
disposizioni degli articoli 283, 373, 401 e 407”. Tale richiamo consente, quindi,
di applicare le norme che disciplinano la sospensione cautelare delle sentenze di
primo grado e d’appello in caso di impugnazione ordinaria e straordinaria.
La modifica in questione è volta a dirimere i dubbi e a rimuovere gli
ostacoli all’ingresso nel contenzioso tributario delle norme processualcivilistiche
da ultimo menzionate; infatti, il precedente testo dell’articolo 49 ha rappresentato
per lungo tempo l’elemento testuale che precludeva l’applicabilità al processo
tributario delle medesime norme, dal momento che la sua lettera (con particolare
riferimento all’esclusione dell’articolo 373 c.p.c.), sia pur in via indiretta, ostava
alla loro applicazione.
In tal senso, il decreto di riforma recepisce in modo esplicito
l’orientamento consolidatosi in capo alla giurisprudenza costituzionale e di
legittimità. Conseguentemente l’articolo 9, comma 1, lettera v) riformula
l’articolo 52 del decreto n. 546, aggiungendo cinque commi, specificamente
dedicati alla disciplina della fase cautelare; la nuova rubrica dell’articolo fa
riferimento ai “provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello”,
riconducibili alla disciplina della sospensione.
Invariato rimane il primo comma dell’articolo in esame, che individua il
giudice d’appello nella commissione tributaria regionale, rinviando per la
determinazione della competenza territoriale all’articolo 4, comma 2, ai sensi del
quale “Le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni
avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede
nella loro circoscrizione”.
Del tutto nuova è la disciplina della fase cautelare, introdotta sul
presupposto della richiamata modifica dell’articolo 49, che in buona parte ricalca
la procedura prevista dall’articolo 47 per la sospensione dell’atto impugnato.
Segnatamente, il nuovo comma 2 consente all’appellante di chiedere alla
commissione regionale di sospendere in tutto o in parte (quindi limitatamente ai
capi ad esso sfavorevoli) l’esecutività della sentenza impugnata, “se sussistono
gravi e fondati motivi”, analogamente a quanto disposto dall’articolo 283 c.p.c..
67
Tale locuzione fa riferimento, secondo l’orientamento prevalente in
giurisprudenza, ai consueti presupposti del fumus boni iuris e del periculum in
mora: sotto il secondo profilo, è richiesta una considerevole rilevanza del
pregiudizio che l’esecuzione della sentenza potrebbe arrecare al ricorrente.
In un’ottica di rafforzamento della tutela della parte, al contribuente è
accordata la possibilità di chiedere in ogni caso la sospensione dell’esecuzione
dell’atto “se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile”, sulla base,
cioè, “degli stessi presupposti previsti dall’art. 47 per la sospensione in primo
grado” (relazione illustrativa al decreto di riforma).
Al contribuente è quindi consentito ottenere la sospensione degli effetti
dell’atto impugnato anche quando questo sia confermato da una sentenza di
merito67
.
Quanto alle forme di proposizione dell’istanza, si ritiene che, sulla
falsariga dell’articolo 47, l’appellante possa presentare l’istanza di sospensione
(della sentenza o dell’atto), tanto unitamente allo stesso ricorso ex articolo 53 o al
ricorso incidentale ex articolo 54, quanto con atto separato.
I successivi commi dal 3 al 6 ricalcano le disposizioni dell’articolo 47,
prevedendo che:
1) il presidente fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione
per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data
comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima;
67
La facoltà riconosciuta al contribuente di chiedere la sospensione dell’atto oppure della sentenza
consente la tutela cautelare in diverse ipotesi; si pensi, ad esempio, al caso di una sentenza di rigetto del
ricorso introduttivo, la cui sospensione lascerebbe comunque in piedi gli effetti dell’atto. Inoltre, la
possibilità di chiedere la sospensione dell’atto nei gradi successivi al primo offre tutela al contribuente
nelle ipotesi di sentenza di cassazione con rinvio, tenuto conto che, per consolidato indirizzo della
giurisprudenza di legittimità, il giudizio di rinvio costituisce una fase nuova ed autonoma, funzionale ad
una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce
direttamente sulle domande proposte dalle parti (cfr. Cass. 17 novembre 2000, n. 14892; 23 settembre
2002, n. 13833; 28 gennaio 2005, n. 1824; 28 marzo 2009, n. 7536; 5 aprile 2011, n. 7781). Dunque,
“dopo la cassazione con rinvio la sentenza di primo grado e la sentenza di appello cassata si trovano
sempre esattamente nella stessa condizione di inefficacia, di impossibilità di reviviscenza e di
insuscettibilità di passaggio in giudicato” (Cass. 11 novembre 2011, n. 23596). Ciò comporta che
l’Amministrazione è legittimata a riscuotere la pretesa erariale secondo le regole vigenti nella fase di
impugnazione dell’atto impositivo.
68
2) in caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del
merito, può disporre con decreto motivato la sospensione
dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio;
3) il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito,
provvede con ordinanza motivata non impugnabile68
;
4) analogamente a quanto previsto dall’articolo 47, la sospensione può
essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui al nuovo
articolo 69, comma 2;
5) per effetto del richiamo al comma 8-bis dell’articolo 47, contenuto nel
secondo periodo del comma 6, durante il periodo di sospensione si
applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione
amministrativa.
L’accoglimento dell’istanza di sospensione di una sentenza sfavorevole al
contribuente preclude l’applicazione degli articoli 68 del decreto n. 546 e 19 del
D.Lgs. n. 472 del 1997 (concernenti la riscossione in pendenza di giudizio
rispettivamente dell’imposta e delle sanzioni), fino alla conclusione del giudizio
di impugnazione, rendendo necessaria la conseguente sospensione anche delle
attività esecutive relative all’atto impugnato69
.
Per converso, nel caso in cui sia concessa, a richiesta dell’ufficio, la
sospensione di una sentenza favorevole al contribuente, viene inibita l’operatività
delle nuove norme che ne disciplinano l’immediata esecutività (cfr. par. 1.15) e
68
Anche se non viene prevista espressamente la possibilità di revoca o modifica dell’ordinanza a seguito
di mutamenti delle circostanze, come contemplato dal comma 8 dell’articolo 47, si ritiene che la
presentazione di un’istanza di parte in tal senso non sia preclusa. 69
In particolare, se la pronuncia che dispone la sospensione interviene prima che sia stata notificata al
contribuente l’intimazione ad adempiere all’obbligo di pagare gli importi rideterminati in base alla
suddetta sentenza, l’Ufficio dovrà astenersi dall’emettere tale intimazione.
Si precisa che l’obbligo di non emettere l’intimazione vale anche in presenza di fondato pericolo per la
riscossione. Diversamente, se al momento della pronuncia di sospensione è già stata notificata
l’intimazione, l’Ufficio procede all’affidamento del carico all’Agente della riscossione, dando contestuale
comunicazione a quest’ultimo dell’intervenuta sospensione.
La sospensione impedisce anche la prosecuzione delle attività esecutive sulle somme dovute in via
provvisoria nei precedenti gradi di giudizio e già affidate all’Agente della riscossione.
Per tale motivo, la comunicazione che l’Ufficio indirizza all’Agente della riscossione per richiedere la
sospensione dell’attività esecutiva dovrà avere ad oggetto la totalità dei carichi affidati, relativi alla
controversia interessata dalla sospensione.
69
l’Ufficio è legittimato a non effettuare lo sgravio o il rimborso delle somme
riconosciute non dovute in forza della stessa sentenza.
L’articolo 62-bis, infine, è stato inserito ex novo dall’articolo 9, comma 1,
lettera aa) del decreto di riforma, al fine di disciplinare l’esecuzione provvisoria
e i provvedimenti cautelari relativi alle sentenze impugnate per cassazione.
In definitiva, è consentito alla parte ricorrente di richiedere direttamente
“alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in
tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile”.
Allo stesso fine è garantita al contribuente la possibilità di chiedere la
sospensione dell’atto. In proposito, va evidenziato come la Corte costituzionale,
con la sentenza 9 giugno 2010, n. 217, abbia ribadito il “consolidato
orientamento giurisprudenziale (tale da costituire “diritto vivente”), secondo il
quale, l’“irreparabilità del danno” di cui all’art. 373 cod. proc. civ. va intesa,
quantomeno, nel senso di un intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante
dall’esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di cassazione e le concrete
possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione”.
Come esplicitato nella relazione illustrativa al decreto di riforma, la
formulazione dell’articolo 62-bis in esame è analoga a quella contenuta
nell’articolo 373 c.p.c. e attribuisce rilievo al solo periculum in mora, senza
possibilità di valutare il fumus boni iuris. Tale ultimo elemento è stato, infatti, già
valutato, dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza di cui si chiede la
sospensione, impugnata innanzi alla Suprema Corte70
.
Per il resto l’articolo 62-bis ricalca la medesima procedura disciplinata dal
nuovo articolo 52 e ripropone il richiamo dell’articolo 47, comma 8-bis, sulla
debenza degli interessi da sospensione amministrativa.
70
Tale precisazione ha portata innovativa rispetto agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
Infatti la Corte di cassazione, con la sentenza n. 2845 del 2012 - nell’ammettere la possibilità di
sospensione in via cautelare della sentenza tributaria d’appello applicando l’articolo 373 c.p.c. - ha
precisato che “La specialità della materia tributaria e l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento
delle imposte impone una rigorosa valutazione dei requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e
del periculum in mora”.
70
In questo caso l’istanza va proposta con uno specifico atto (da notificare
anche alla controparte), in quanto indirizzata ad un giudice diverso dalla Corte di
cassazione, chiamata a decidere sull’impugnazione. Un’istanza di sospensione
della sentenza presentata direttamente alla Suprema Corte sarebbe, quindi,
inammissibile71
.
Per contro, il comma 6, al fine di subordinare l’eventuale concessione
della sospensione all’effettiva instaurazione del giudizio di legittimità, preclude
alla commissione la possibilità di pronunciarsi qualora la parte istante non
fornisca prova di aver depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza.
A sua volta, il comma 4 chiarisce che il collegio, come per gli altri gradi di
giudizio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile, sentite le parti in
camera di consiglio.
La sospensione della sentenza favorevole di secondo grado esclude
temporaneamente la possibilità di procedere sulla base delle norme che ne
disciplinano l’esecutività, analogamente a quanto già detto a commento della
sospensione delle sentenze di primo grado ai sensi dell’articolo 52.
1.13 Articoli 62 e 63 – Modifiche alla disciplina del ricorso per cassazione
All’articolo 62 del decreto n. 546, recante le norme applicabili al ricorso
per cassazione, è stato aggiunto il comma 2-bis il quale prevede che, se le parti
sono d’accordo per omettere l’appello, la sentenza della commissione tributaria
provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione unicamente a norma
dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ovvero per violazione o falsa
applicazione di norme di diritto.
71
“In tema di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza d’appello resa dai giudici speciali,
impugnata con ricorso alle sezioni Unite della Corte di Cassazione, deve ritenersi applicabile, salvo che
sia diversamente disposto da specifiche disposizioni, la disciplina di cui all’art. 373 cod. proc. civ.,
poiché nulla prevede al riguardo l’art. 111 Cost. sul ricorso per cassazione avverso le decisioni del
Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, con la conseguenza che è inammissibile un’istanza "cautelare"
contenuta nel ricorso per cassazione” (Cass., SS.UU., 22 febbraio 2007, n. 4112).
71
Il c.d. ricorso per saltum, disciplinato analogamente a quanto previsto nel
codice di procedura civile dal secondo comma dell’articolo 36072
, consente di
ottenere una pronuncia su questioni giuridiche da parte della Corte di cassazione
appena dopo l’esito del giudizio di primo grado, anche in funzione deflativa del
contenzioso, come evidenziato dalla relazione illustrativa al decreto di riforma.
L’istituto può trovare applicazione quando le parti siano concordi nel
ritenere che la causa dipende dalla decisione di una questione di diritto sulla
quale è prevedibile che la Corte Suprema sarebbe chiamata in ogni caso ad
esprimersi.
In particolare, la Cassazione ha evidenziato che «il ricorso “per saltum”
risponde all'opportunità, da apprezzarsi dalle parti concordemente, di evitare
l'appello quando la contesa sia limitata alla risoluzione di questioni di diritto,
così che esso costituirebbe un “doppione” del ricorso per Cassazione» (Cass. 7
marzo 1997, n. 2021).
Si favorisce in tal modo una pronuncia della Corte su questioni non ancora
affrontate ovvero non definitivamente risolte.
La riforma non ha dettato una disciplina specifica sulle modalità di
proposizione del ricorso per saltum; si ritiene, pertanto, che in tal caso – in
applicazione dei criteri di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto n. 546 -
occorra fare riferimento alle norme del codice di procedura civile.
In particolare, per la conclusione dell’accordo, soccorre l’articolo 366,
terzo comma, c.p.c., il quale prevede che “l'accordo delle parti deve risultare
mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di
procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza
impugnata, da unirsi al ricorso stesso”.
Come chiarito dalle sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza
26 luglio 2006, n. 16993, l’accordo diretto all’immediata impugnazione in sede
72
Il secondo comma dell’articolo 360 c.p.c. così recita “Può inoltre essere impugnata con ricorso per
cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello; ma
in tale caso l’impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3.”.
72
di legittimità della sentenza di primo grado costituisce un “negozio giuridico
processuale, quanto meno sotto il profilo della rilevanza della manifestazione di
volontà dei dichiaranti, il cui effetto immediato è quello di rendere non
appellabile la sentenza oggetto dell’accordo”.
Pertanto, “qualora … l’accordo non sia stato concluso dalle parti
personalmente o dai loro difensori muniti di procura speciale, il ricorso per
cassazione, proposto per saltum, deve essere dichiarato inammissibile, non
risultando sufficiente allo scopo l'intervento dei difensori muniti di mera procura
ad litem”.
In ordine alla duplice modalità di conclusione dell’accordo, prevista dalla
norma, si ritiene sia da preferire la stipula di un atto separato da unirsi al ricorso.
Non appare opportuno in linea generale aderire ad un accordo “anteriore
alla sentenza impugnata”, in quanto lo stesso opererebbe come una rinuncia
incondizionata all’appello, senza che si conosca la motivazione della sentenza e
sia stato possibile valutare la presenza di vizi ulteriori rispetto a quello indicato
dall’articolo 62, comma 2-bis, consistente – come si è detto - nella violazione o
falsa applicazione di norme di diritto.
In caso di rinvio della causa alla commissione tributaria provinciale o
regionale da parte della Corte di cassazione, il termine per la riassunzione del
giudizio, previsto al comma 1 dell’articolo 63, è stato ridotto da un anno a sei
mesi, decorrenti dalla pubblicazione della sentenza.
Le altre disposizioni dell’articolo 63 sono rimaste invariate.
Il predetto termine di sei mesi coincide con quello già previsto
dall’articolo 43 del decreto n. 546 per la riassunzione del giudizio interrotto o
sospeso.
Il termine ridotto si applica per le sentenze depositate dal 1° gennaio 2016
e risponde all’obiettivo di accelerare la definitiva conclusione del processo.
73
1.14 Articoli 64 e 65 – Il giudizio di revocazione
L’articolo 64, inserito nella Sezione IV del Capo III, dedicato alle
impugnazioni, reca la disciplina delle sentenze revocabili e dei motivi di
revocazione.
Il decreto di riforma ha modificato il comma 1, con una formulazione
analoga a quella dell’articolo 395 c.p.c., ciò al fine di eliminare, come chiarito
dalla relazione illustrativa di accompagnamento, le incertezze interpretative a cui
aveva dato luogo la precedente formulazione dell’articolo 64.
La precedente versione prevedeva infatti che “Contro le sentenze delle
commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non
sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la
revocazione ai sensi dell’art. 395 del c.p.c.”.
La giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che si trattava di norma
speciale del procedimento tributario rispetto alla disciplina processualcivilistica
ordinaria. Da ciò discendeva, ad esempio, che la richiesta di revocazione
risultava inammissibile allorché una sentenza, involgente accertamenti di fatto,
fosse già stata impugnata in cassazione, pur risultando i due rimedi concorrenti
(cfr. Cass. 24 luglio 2012, n. 13026; Cass. 11 marzo 2011, n. 5827; Cass. 21
aprile 2008, n. 10274; Cass. 18 maggio 2007, n. 11596).
L’attuale formulazione fa espresso riferimento alle sentenze pronunciate
in grado di appello ovvero in unico grado dalle commissione tributarie, laddove
per sentenze “in unico grado” devono intendersi quelle interessate dal c.d.
ricorso per saltum di cui all’articolo 62, comma 2-bis del decreto n. 546,
precedentemente commentato.
Tali sentenze possono essere oggetto di ricorso per revocazione ordinaria
(nn. 4 e 5 dell’articolo 395 c.p.c., la cui proposizione impedisce il passaggio in
giudicato della sentenza) ovvero straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6 del medesimo
articolo, che può proporsi anche dopo il passaggio in giudicato della stessa).
74
Di contro, le sentenze pronunciate dalla commissione tributaria
provinciale, disciplinate dal comma 2 dell’articolo 64, sono soggette solo a
revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria devono
essere fatti valere con l’appello.
La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il
ricorso per cassazione. Inoltre, la notificazione di un ricorso per revocazione è
idonea a determinare, sia per il notificante che per il destinatario della
notificazione, la decorrenza del termine breve per l’impugnativa della pronuncia,
come chiarito più volte dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. 22 marzo 2013, n.
7261; Cass. 19 giugno 2007, n. 14267).
La modifica all’articolo 65 del decreto n. 546, che disciplina la
proposizione della revocazione delle sentenze, ha riguardato l’introduzione del
nuovo comma 3-bis, che vale ad estendere la sospensione dell’esecutività anche
alle sentenze impugnate col suddetto mezzo, consentendo alle parti di “proporre
istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 52, in quanto
compatibili”.
La diversità rispetto alla disciplina processualcivilistica appare evidente,
dal momento che l’articolo 401 c.p.c. richiama la disciplina applicabile alla
sospensione delle sentenze di secondo grado, disponendo che “Il giudice della
revocazione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione,
l’ordinanza prevista nell’art. 373, con lo stesso procedimento in camera di
consiglio ivi stabilito”. In proposito, la relazione illustrativa al decreto di riforma
chiarisce che il rinvio alla disciplina della tutela cautelare prevista per le sentenze
di primo grado, anziché di appello, è giustificato dalla circostanza che la causa
sulla revocazione viene decisa dalla medesima commissione che ha pronunciato
la sentenza oggetto di revocazione.
Sotto il profilo applicativo non si rilevano motivi di sostanziali difformità
dalla disciplina di cui all’articolo 52, a cui si rinvia anche per gli effetti della
sospensione della sentenza.
75
Quanto alle forme di proposizione dell’istanza, anche in questo caso si
ritiene che, sulla falsariga dell’articolo 47 del decreto n. 546, l’appellante possa
presentare l’istanza di sospensione (della sentenza o dell’atto) tanto unitamente
allo stesso ricorso ex articolo 65 quanto con atto separato.
1.15 Articoli 67-bis, 68, 69 e 70 – L’esecuzione delle sentenze
Il decreto di riforma ha apportato significative modifiche al Capo IV del
decreto n. 546, relativo all’esecuzione delle sentenze tributarie, sulla base del
principio di delega della “immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa,
delle sentenze delle commissioni tributarie” (articolo 10, comma 1 lettera b), n.
10 della legge n. 23 del 2014).
La precedente disciplina sull’esecuzione delle sentenze tributarie
riconosceva alle pronunce un trattamento differenziato in ragione del tipo di
controversia oggetto di decisione.
Infatti, ai sensi dell’articolo 68, comma 2, per i giudizi aventi ad oggetto
un atto impositivo (e in particolare, come già chiarito dalla circolare n. 49/E del
1° ottobre 2010, avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione, provvedimenti
che irrogano le sanzioni e iscrizioni a ruolo), l’Ufficio, in caso di sentenza
favorevole al contribuente, entro novanta giorni, doveva effettuare il rimborso di
quanto pagato in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza emessa dalle
commissioni tributarie.
Viceversa, il successivo articolo 69, per i giudizi aventi ad oggetto un
diniego espresso o tacito alla restituzione di quanto spontaneamente versato,
prevedeva che il contribuente dovesse attendere il passaggio in giudicato della
sentenza per ottenerne l’esecuzione.
Infine, in base al dettato dell’articolo 69-bis, il passaggio in giudicato della
sentenza favorevole al contribuente era richiesto anche in caso di ricorsi proposti
76
avverso gli atti relativi ad operazioni catastali, ai fini del successivo
aggiornamento degli atti del catasto.
Il legislatore delegato, con l’introduzione dell’articolo 67-bis,
l’abrogazione dell’articolo 69-bis e la modifica degli articoli 68, 69 e 70, ha
riformato in modo sistematico l’esecuzione delle sentenze tributarie.
Preliminarmente, è stato inserito l’articolo 67-bis che, come indicato nella
relazione illustrativa al decreto di riforma, risponde alla “necessità di introdurre
un principio generale che riconosca l’esecutività immediata delle sentenze
tributarie emesse dalle commissioni tributarie provinciali e regionali,
equiparandole a quelle adottate nel giudizio civile e amministrativo”.
Inoltre, con la completa riscrittura dell’articolo 69 e l’abrogazione
dell’articolo 69-bis, le sentenze emesse dalle commissioni tributarie nell’ambito
di giudizi aventi ad oggetto dinieghi di rimborso, ovvero atti relativi alle
operazione catastali, sono provvisoriamente esecutive così come quelle emesse
nei giudizi aventi ad oggetto atti impositivi, disciplinate dal comma 2
dell’articolo 68.
Infine, con la riforma degli articoli 68, 69 e 70, è stato previsto un rimedio
processuale unico all’eventuale inadempienza dell’Ufficio nell’esecuzione delle
sentenze, siano esse definitive o provvisorie. Il contribuente, infatti, in caso di
inerzia dell’Ufficio, ai sensi dell’articolo 68, comma 2 e dell’articolo 69, comma
5, può ricorrere unicamente al rimedio dell’ottemperanza a norma del successivo
articolo 70.
E’ opportuno precisare che, in base al disposto dell’articolo 12 del decreto
di riforma, l’entrata in vigore dell’articolo 67-bis è posticipata al 1° giugno 2016,
unitamente alla prevista abrogazione dell’articolo 69-bis in tema di controversie
catastali e alla modifica dell’articolo 69 in tema di esecuzione delle sentenze di
condanna alla restituzione di somme in favore del contribuente.
77
1.15.1 Le modifiche all’articolo 68
L’articolo 68, comma 1, del decreto n. 546 disciplina l’esecutorietà delle
sentenze totalmente o parzialmente favorevoli all’Ufficio. La norma conferma il
previgente meccanismo di riscossione frazionata del tributo e dei relativi interessi
in ragione degli esiti dei vari gradi di giudizio, ossia per i due terzi dopo la
sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso o per
l’ammontare risultante dalla sentenza che lo accoglie parzialmente e, comunque,
non oltre i due terzi, e per il residuo ammontare determinato dalla sentenza della
commissione tributaria regionale.
Il decreto di riforma ha aggiunto, al comma 1, la lettera c-bis), allo scopo
di precisare le modalità di riscossione del tributo nelle due diverse ipotesi della
pendenza del giudizio di rinvio e della mancata riassunzione della causa, a
seguito di una sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio.
Pertanto, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo
oggetto di giudizio davanti alle commissioni tributarie, dopo la sentenza della
Corte di cassazione di annullamento con rinvio, l’imposta, con i relativi interessi,
deve essere pagata per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo
grado e, in caso di mancata riassunzione, per l’intero importo indicato nell’atto.
In tale ultima ipotesi, in base a quanto previsto dall’articolo 63, comma 2,
del decreto n. 546, se la riassunzione non avviene entro il termine di sei mesi
dalla pubblicazione della sentenza di cassazione con rinvio o si configura una
causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che
l’estinzione dell’intero processo comporta la caducazione di tutte le sentenze
medio tempore pronunciate e la definitività dell’atto oggetto di impugnazione,
con conseguente esigibilità delle somme richieste con il medesimo atto (ex
multis, Cassazione 5 febbraio 2014, n. 2519; 3 luglio 2013, n. 16689; 28 marzo
2012, n. 5044; 8 febbraio 2008, n. 3040).
78
La Corte di cassazione ha altresì chiarito che l’estinzione del processo,
relativamente al giudizio di rinvio, rende inammissibile, per difetto di interesse,
l’impugnazione proposta dall’Amministrazione finanziaria (cfr. citate Cass. n.
3040 del 2008 e n. 5044 del 2012).
In tal modo, il dettato della nuova lettera c-bis) si è allineato alla
giurisprudenza della Corte, e la stessa relazione illustrativa al decreto di riforma
ha evidenziato che “l’espressa previsione degli effetti della mancata riassunzione
ha lo scopo di rendere chiare, soprattutto ai contribuenti, le conseguenze
pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del giudizio,
indipendentemente da quale parte sia risultata vittoriosa in cassazione”.
Nel diverso caso in cui il giudizio di rinvio sia stato tempestivamente
riassunto, la lettera c-bis) ha previsto che l’Amministrazione riscuota il tributo
per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado, in analogia a
quanto previsto per la riscossione provvisoria nei casi di impugnazione dell’atto
impositivo.
Si osserva sul punto che con la circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011,
l’Agenzia ha precisato che, quando una sentenza di appello sia stata cassata con
rinvio, “è principio fermo nella giurisprudenza di legittimità e nella riflessione
della pressoché unanime dottrina processualistica che il giudizio di rinvio (...)
costituisce una fase nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del
giudizio (...) diretto e funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna
precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente sulle domande
proposte dalle parti (Cass. 17 novembre 2000, n. 14892; Cass. 6 dicembre 2000,
n. 15489; 23 settembre 2002, n. 13833; Cass. 28 gennaio 2005, n. 1824; Cass.
28 marzo 2009, n. 7536; Cass. 5 aprile 2011, n. 7781; Cass. 17 settembre 2010,
n. 19701)”.
Inoltre, in caso di riassunzione della causa, la circostanza che la sentenza
cassata sia favorevole o sfavorevole all’Amministrazione, se non rilevante dal
punto di vista giuridico (perché, come chiarito, tale sentenza viene caducata), è
79
invece rilevante dal punto di vista operativo. Se, infatti, la sentenza di appello era
favorevole all’Amministrazione, quest’ultima – a seguito di cassazione con
rinvio – dovrà di regola operare uno sgravio parziale; diversamente, se la
sentenza di appello era favorevole al contribuente, l’Amministrazione dovrà
nuovamente procedere, ove già oggetto di sgravio, all’iscrizione a ruolo di un
terzo del tributo oggetto di giudizio e dei relativi interessi.
Il decreto di riforma ha, altresì, modificato il comma 2 dell’articolo 68,
che tratta delle decisioni favorevoli al contribuente e stabilisce che, in ipotesi di
accoglimento del ricorso, il tributo corrisposto in eccedenza con i relativi
interessi deve essere rimborsato d’ufficio, nel termine di novanta giorni dalla
notificazione della sentenza.
Si ricorda che con la circolare n. 49/E del l’Agenzia, nel fornire
indicazione agli Uffici in ordine alla tempestiva esecuzione di detti rimborsi, ha
precisato che, “per dare esecuzione ai provvedimenti giudiziari e, in particolare,
per procedere ai rimborsi ai sensi dell’art. 68, comma 2, non occorre attendere
la notifica della sentenza favorevole al contribuente né alcuna specifica richiesta
o sollecito”.
La riforma ha aggiunto al comma 2 il seguente periodo: “In caso di
mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l’ottemperanza a
norma dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il
giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale”.
Come chiarito dalla relazione illustrativa, “si viene a colmare una lacuna,
che vedeva il contribuente del tutto privo di rimedi giuridici di fronte all’inerzia
dell’ente impositore, che all’esito di una sentenza – anche non definitiva –
favorevole al contribuente, ometteva di eseguire in suo favore il rimborso delle
somme medio tempore riscosse”.
Il rimedio prescelto dal legislatore delegato è il giudizio di ottemperanza
disciplinato dal successivo articolo 70 del decreto n. 546, attivabile decorso il
80
termine indicato nel comma 2 dell’articolo 68, ovvero “novanta giorni dalla
notificazione della sentenza”, senza che l’Ufficio abbia provveduto al rimborso.
La notificazione della sentenza e il decorso dei novanta giorni costituiscono
quindi condizioni per la presentazione del ricorso in ottemperanza; alla luce del
chiaro dettato normativo, si ritiene che la notifica della sentenza sia a tal fine
necessaria, anche ove penda appello proposto dall’Ufficio.
La disposizione contiene, inoltre, una specifica previsione in ordine al
giudice competente per il giudizio di ottemperanza, individuato nella
commissione tributaria provinciale oppure, in caso di pendenza del giudizio in
secondo grado o in cassazione, nella commissione tributaria regionale.
Il combinato disposto degli articoli 68 e 70, da cui deriva la possibilità per
il contribuente di ricorrere al giudizio di ottemperanza per ottenere la restituzione
di quanto corrisposto in eccedenza rispetto alla sentenza della commissione
tributaria, entra in vigore il 1° gennaio 2016 e, come tutte le altre norme
processuali, si applica ai giudizi pendenti alla medesima data.
Le disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio di cui all’articolo
68, commi 1 e 2, restano applicabili, come nella disciplina previgente, anche alla
riscossione delle sanzioni. A tal fine l’articolo 10 del decreto di riforma, recante
norme di coordinamento, apporta le conseguenti modifiche all’articolo 19 del
D.Lgs. n. 472 del 199773
.
Ne consegue che anche per la restituzione delle sanzioni corrisposte in
eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza, il contribuente potrà ricorrere
al rimedio dell’ottemperanza in caso di inerzia dell’ufficio decorsi novanta giorni
dalla notifica della sentenza stessa.
73
In particolare, al comma 3, relativo alla sospensione dell’esecuzione delle sanzioni da parte della
commissione tributaria regionale, l’attuale garanzia “anche a mezzo di fideiussione bancaria o
assicurativa” è stata sostituita con il richiamo alla garanzia di cui all’articolo 69, comma 2, che sarà di
seguito illustrata; al comma 6, la nuova formulazione prevede il richiamo alle disposizioni contenute
nell’articolo 68, comma 2, del decreto n. 546, quando in esito ad una sentenza favorevole al contribuente,
le somme a titolo di sanzione che risultano corrisposte in eccedenza devono essere rimborsate
dall’Ufficio.
81
1.15.2 Il nuovo articolo 69
Come anticipato nel commento all’articolo 67-bis, l’attuazione del
principio di delega “dell’immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa,
delle sentenze delle commissioni tributarie” ha comportato, tra l’altro, la
completa riscrittura dell’articolo 69 del decreto n. 546, ora rubricato “Esecuzione
delle sentenze di condanna in favore del contribuente”.
Il nuovo testo dell’articolo 69, al comma 1, ha previsto l’immediata
esecutività delle “sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del
contribuente” e di “quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle
operazioni catastali”74
.
In ordine ai giudizi aventi ad oggetto un diniego espresso o tacito alla
restituzione di quanto spontaneamente versato è stabilita l’immediata esecutività
della sentenza favorevole al contribuente che, di conseguenza, non dovrà più
attendere il passaggio in giudicato della sentenza per ottenere il rimborso.
Come già evidenziato a commento dell’articolo 15, l’immediata
esecutività opera anche in caso di condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese
di lite (cfr. par. 1.4).
Il comma 1 dell’articolo 69 prevede, altresì, che il pagamento di somme di
importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, possa essere
subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità
dell’istante, alla prestazione di idonea garanzia.
Sul punto la relazione illustrativa al decreto di riforma ha chiarito che “Il
pagamento di somme può essere subordinato dal giudice alla prestazione di
idonea garanzia qualora superi l’importo di 10.000 euro ed abbia accertato ed
argomentato in sentenza la solvibilità del contribuente, valutata sulla base della
74
Per queste ultime, l’abrogato articolo 69-bis prevedeva l’esecutività solo dopo il passaggio in giudicato
(cfr. par. 1.15.3).
82
consistenza del suo patrimonio e dell’ammontare delle somme oggetto di
rimborso. Il riferimento al pagamento di somme dell’importo superiore al
predetto importo esclude che tale limite possa operare come una franchigia per
le evidenti complicazioni che un tale sistema provocherebbe”.
La previsione di una eventuale garanzia per rimborsi di importi superiori a
diecimila euro discende, come indicato nella medesima relazione, dalla
considerazione che “Per la parte privata occorre tener conto di tale possibilità, e
cioè del rischio che una volta ottenuto – in virtù di una sentenza esecutiva ma
impugnata dall’Amministrazione – il pagamento di una somma a titolo di
rimborso, non sia più possibile il recupero delle somme erogate in caso di
successiva riforma della sentenza”.
È opportuno pertanto che, nei giudizi aventi ad oggetto il rifiuto espresso o
tacito ad una istanza di rimborso di somme superiori a diecimila euro, gli Uffici
provvedano a fornire al giudice eventuali elementi in loro possesso idonei ad
incidere negativamente sul giudizio di solvibilità del contribuente, al fine di
ottenere, in caso di soccombenza, la previsione di una idonea garanzia.
Il comma 2 dell’articolo 69 ha demandato la disciplina della garanzia ad
un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, che dovrà
prevedere il contenuto e la durata della stessa nonché il termine entro il quale
potrà essere escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla
restituzione delle somme garantite, protrattasi per un periodo di tre mesi.
Il successivo comma 3 ha precisato che i costi della garanzia, anticipati dal
contribuente, sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo del
giudizio.
Come chiarito nella relazione illustrativa, “la previsione di una garanzia
… (il cui onere è solo anticipato dal contribuente a cui verrà rimborsato in caso
di esito favorevole del giudizio definitivo), da un lato evita rischi per l’erario,
dall’altro impedisce un incremento esponenziale delle richieste di sospensiva,
83
con gli inevitabili aggravi che ciò comporterebbe in termini di oneri per le parti
e sovraccarico dell’apparato giudiziario. Ovviamente il contribuente resterà
libero di non chiedere l’immediata esecuzione della sentenza (qualora non
intenda anticipare gli oneri della garanzia o anche solo per non dover rischiare
di restituire le somme ottenute con gli interessi) e di preferire l’attesa di un
giudicato che gli consentirà di ottenere quanto gli spetta, con gli interessi di
legge medio tempore maturati, senza fornire alcuna garanzia”.
I commi 4 e 5 dell’articolo 69 disciplinano il termine per l’adempimento
dell’obbligo contenuto in sentenza e il rimedio in caso di inerzia da parte
dell’Ufficio.
Il legislatore delegato ha previsto che il predetto termine decorra da
momenti diversi, a seconda che la condanna al rimborso sia stata subordinata o
meno, dal giudice, alla prestazione di una garanzia.
Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere
eseguito:
entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza, se non è
dovuta la garanzia;
entro novanta giorni dalla presentazione della garanzia, se dovuta.
L’Ufficio potrà comunque procedere all’erogazione tempestiva del
rimborso, anche prima della prestazione della garanzia, ove abbia già deciso di
prestare acquiescenza alla sentenza, al fine di evitare di sostenerne i costi.
Ai sensi del comma 5 dell’articolo 69, in caso di mancata esecuzione della
sentenza, entro i predetti termini, il contribuente ha la facoltà di esperire il
giudizio di ottemperanza disciplinato dal successivo articolo 70.
In merito all’individuazione del giudice competente per l’ottemperanza, il
citato comma 5 ha riprodotto la formulazione già utilizzata al comma 2
dell’articolo 68, per il quale va proposto ricorso “innanzi alla commissione
84
tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla
commissione tributaria regionale”.
Da ultimo si evidenzia che la nuova formulazione dell’articolo 69 non ha
richiamato, come la precedente, l’articolo 475 c.p.c. in ordine alla spedizione in
forma esecutiva della sentenza rilasciata dalla segreteria della commissione
tributaria, in linea con la scelta operata dal legislatore del giudizio di
ottemperanza come unico strumento di esecuzione delle sentenze.
In base al dettato dell’articolo 12, comma 1, del decreto di riforma, il
nuovo disposto degli articoli 67-bis e 69, nonché l’abrogazione dell’articolo 69-
bis di cui si dirà oltre, si applicano a decorrere dal 1° giugno 2016. Ancorché la
norma sull’entrata in vigore non specifichi null’altro sulla operatività delle
suddette disposizioni, si ritiene che – per la loro applicazione - occorra far
riferimento alle sentenze depositate a decorrere dal 1° giugno 2016.
Inoltre, il medesimo articolo 12, comma 2, prevede che fino
all’approvazione del richiamato decreto ministeriale, previsto dal comma 2
dell’articolo 69 relativamente alla disciplina della garanzia, “restano applicabili
le previgenti disposizioni” dell’articolo 69.
In altre parole, le nuove disposizioni della norma in commento si
applicano con riferimento alle sentenze depositate dal 1° giugno 2016 oppure
dalla data del suddetto decreto ministeriale, se approvato successivamente.
Per le sentenze già depositate alla data del 1° giugno 2016 (e, in mancanza
del decreto ministeriale, anche per quelle depositate successivamente a tale data)
rimane in vigore il precedente testo dell’articolo 69, ai sensi del quale per i
giudizi aventi ad oggetto un diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi e
relativi accessori versati spontaneamente, la sentenza di condanna dell’ufficio al
85
pagamento di somme, comprese le spese di giudizio, non è immediatamente
esecutiva e deve essere eseguita solo dopo il passaggio in giudicato75
.
1.15.3 L’abrogazione dell’articolo 69-bis
L’articolo 9, comma 1, lettere gg) e hh) del decreto di riforma ha
riformulato l’articolo 69 del decreto 546, specificando che sono immediatamente
esecutive anche le sentenze “emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle
operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2”, ed ha contestualmente
abrogato l’articolo 69-bis, ai sensi del quale l’aggiornamento degli atti catastali
viene effettuato solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.
La nuova disciplina si applica, in virtù di quanto previsto dalla
disposizione transitoria di cui al citato articolo 12, comma 1, del decreto di
riforma, a decorrere dal 1° giugno 2016.
In altri termini, per le sentenze concernenti gli atti relativi alle operazioni
catastali depositate a decorrere dalla predetta data, l’aggiornamento degli atti
catastali dovrà essere effettuato prescindendo dal relativo passaggio in giudicato.
Per le sentenze depositate precedentemente al 1° giugno 2016, invece,
rimangono in vigore le disposizioni dell’articolo 69-bis e la disciplina recata
dall’articolo 12, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012, per l’annotazione
delle sentenze che non costituiscono titolo esecutivo, secondo le modalità
previste dal provvedimento direttoriale del 17 luglio 201276
.
1.15.4 Le modifiche all’articolo 70
Il decreto di riforma ha apportato significative modifiche quanto
all’ambito applicativo del giudizio di ottemperanza, rimedio attraverso cui il
75
In tale ipotesi, come chiarito con circolare n. 49/E del 2010, occorre che “la Direzione parte in giudizio
si attivi prontamente per l’erogazione del rimborso in tutte le ipotesi in cui ne abbia riconosciuto la
spettanza in corso di giudizio ed, in particolare, in caso di acquiescenza a sentenza favorevole al
contribuente, al fine sia di evitare giudizi di ottemperanza o procedure di esecuzione forzata della
sentenza sia di ridurre gli oneri per interessi”. 76
Pubblicato in pari data nel sito internet dell’Agenzia del territorio, ai sensi del comma 361 dell’articolo
1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
86
contribuente può ottenere l’adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza per
il caso di inerzia dell’Ufficio.
Alla scelta di attribuire immediata esecutività, per tutte le parti in causa,
alle sentenze delle commissioni tributarie, il legislatore delegato ha infatti
accompagnato la previsione dell’esperibilità del ricorso in ottemperanza, oltre
che – come finora previsto - per le sentenze passate in giudicato, anche per
l’esecuzione:
a) delle sentenze, non ancora definitive, di condanna al pagamento di
somme, comprese le spese di giudizio (a decorrere dal 1° giugno
2016);
b) delle sentenze, non ancora definitive, relative alle operazioni
catastali parzialmente o totalmente favorevoli al contribuente (a
decorrere dal 1° giugno 2016);
c) delle sentenze relative ad atti impositivi che comportano, ai sensi
dell’articolo 68, comma 2, la restituzione al contribuente del tributo
e relativi interessi e sanzioni, corrisposti in eccedenza rispetto a
quanto statuito dalla sentenza a lui favorevole (a decorrere dal 1°
gennaio 2016);
d) dell’ordinanza con cui sono liquidate le spese di giudizio in caso di
rinuncia al ricorso ai sensi dell’articolo 44, comma 2.
Il decreto di riforma ha dunque previsto un sistema unitario di esecuzione
delle sentenze, definitive e non, con carattere di esclusività.
A ciò ha fatto seguito la soppressione, al comma 1 dell’articolo 70,
dell’inciso “Salvo quanto previsto dalle norme del c.p.c. per l’esecuzione forzata
della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo”, da cui il venir meno
della facoltà, prima riconosciuta al contribuente, di procedere con l’esecuzione
forzata secondo le norme del codice di procedura civile.
87
La relazione illustrativa sul punto ha chiarito che “La scelta della
esclusività del giudizio di ottemperanza come unico strumento per la esecuzione
delle sentenze si ritiene giustificata:
- dalla peculiarità delle sentenze emesse nel processo tributario, dove
spesso anche il calcolo delle somme dovute a titolo di rimborso di imposta non è
agevole, essendo necessaria comunque un’attività dell’ufficio per la
determinazione degli interessi per i vari periodi interessati; inoltre la necessità
di una garanzia per le condanne in favore del contribuente al rimborso di somme
superiori a 10.000 euro, avrebbe creato notevoli problemi alle segreterie per il
rilascio delle formule esecutive, non potendosi pretendere da tali uffici un
controllo sulla idoneità della garanzia stessa;
- dalla particolare efficacia della procedura di ottemperanza, che
consente – anche con la nomina di un commissario ad acta – di ottenere in tempi
relativamente brevi l’adempimento dell’Amministrazione, con il rimborso delle
relative spese;
- dal fatto che l’ordinaria procedura esecutiva (oltre ad aggravare lo
stato della giustizia civile), non garantisce spesso il soddisfacimento
dell’interesse del contribuente, anche per le note difficoltà di agire in via
esecutiva sui beni di soggetti pubblici”.
La natura esclusiva del rimedio dell’ottemperanza trova ulteriore
conferma nell’integrale sostituzione dell’articolo 69, che nella versione
previgente consente al contribuente che abbia ottenuto una sentenza favorevole
di richiederne copia spedita in forma esecutiva a norma dell’articolo 475 c.p.c.,
alla segreteria della commissione che l’abbia emessa, quando la pronuncia sia
passata in giudicato.
Rilevanti novità interessano anche l’ambito soggettivo di applicazione
dell’articolo 70.
88
Il giudizio di ottemperanza diventa infatti proponibile anche nei confronti
dell’agente della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’articolo 53
del D.Lgs. n. 446 del 1997, “stante la natura pubblica dell’Agente e l’attività
oggettivamente pubblica posta in essere dai concessionari (privati)” (relazione
illustrativa).
Rimangono invece ferme le modalità di presentazione del ricorso in
ottemperanza. Occorre sul punto precisare che l’espresso riferimento alla
sentenza passata in giudicato, ancora contenuto nell’articolo 70, comma 3, non
osta all’applicazione del rimedio per le ipotesi previste dagli articoli 68, comma
2, e 69, comma 5, ma è da intendersi riferibile alle sole ipotesi in cui il ricorso
venga proposto in relazione a una sentenza divenuta definitiva.
La parte che vi ha interesse può, dunque, richiedere l’ottemperanza agli
obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria mediante ricorso
da depositare in doppio originale:
- a fronte di sentenza definitiva, alla segreteria della commissione
tributaria provinciale, qualora la sentenza sia stata da essa pronunciata,
e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria
regionale;
- a fronte di sentenza provvisoriamente esecutiva, ai sensi delle nuove
previsioni degli articoli 68, comma 2, secondo periodo, e 69, comma 5,
alla segreteria della commissione tributaria provinciale ovvero, se il
giudizio è pendente nei gradi successivi, alla segreteria della
commissione tributaria regionale.
Il ricorso è proponibile dopo la scadenza del termine entro il quale è
prescritto dalla legge l’adempimento a carico dell’ente impositore, dell’agente
della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’articolo 53 del D.Lgs.
n. 446 del 1997, degli obblighi derivanti dalla sentenza, nonché, in mancanza di
89
tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale
giudiziario e fino a quando l’obbligo non sia estinto.
Gli articoli 68, comma 2, e 69, comma 4, prevedono uno specifico termine
entro il quale l’Ufficio deve adempiere agli obblighi derivanti dalla sentenza.
In particolare, ai sensi dell’articolo 68, comma 2, il tributo corrisposto in
eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria,
con i relativi interessi, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla
notificazione della sentenza; a norma dell’articolo 69, comma 4, il pagamento
delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta
giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia a cui il
giudice abbia subordinato il pagamento dell’importo dovuto.
Ne consegue che, nei casi disciplinati dagli articoli 68, comma 2, e 69,
comma 4, non si richiede l’atto di messa in mora e, dunque, il ricorso in
ottemperanza potrà essere proposto decorsi novanta giorni dalla notificazione
della sentenza da eseguire ovvero dalla presentazione della garanzia, se prevista.
Al riguardo, occorre considerare che la notifica della sentenza da parte del
contribuente produce l’effetto di far decorrere sia il termine breve per
l’impugnazione sia il termine di novanta giorni per l’esecuzione;
conseguentemente è opportuno che l’Ufficio valuti sollecitamente la sentenza
notificata, atteso che:
- in caso di impugnazione, dovrà valutare anche l’opportunità di chiedere
contestualmente la sospensione dell’esecuzione, salvo che il giudice abbia
disposto la prestazione della garanzia;
- in caso di acquiescenza, dovrà dare esecuzione alla sentenza evitando
l’eventuale instaurazione di un giudizio di ottemperanza.
Con specifico riferimento alle ipotesi di impugnazione, qualora la
sospensione non sia concessa, l’Ufficio dovrà comunque procedere
all’esecuzione della sentenza, per evitare l’ottemperanza.
90
Il ricorso in ottemperanza, indirizzato al presidente della commissione,
deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la
proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza
– anche non definitiva – di cui si chiede l’ottemperanza, che deve essere prodotta
in copia unitamente all’originale o copia autentica dell’atto di messa in mora, se
necessario.
Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria della
commissione ai soggetti obbligati a provvedere (ente impositore, agente o
concessionario della riscossione).
Restano ferme le previsioni di cui ai commi da 5 a 10 dell’articolo 70, che
non hanno subito modifiche sostanziali77
.
È stato infine aggiunto il comma 10-bis che, per l’esecuzione delle
sentenze che comportano il pagamento di somme dell’importo fino a ventimila
euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, prevede che il ricorso
in ottemperanza è deciso dalla commissione tributaria in composizione
monocratica.
In tema di esecuzione delle spese di giudizio si rileva che è stato, altresì,
modificato l’articolo 44 del decreto n. 546, concernente l’estinzione del processo
per rinuncia al ricorso.
In particolare, al comma 2, nella formulazione vigente fino al 31 dicembre
2015, si prevede che l’ordinanza con cui sono liquidate le spese che il rinunciante
al ricorso deve rimborsare costituisce titolo esecutivo. La novella ha eliminato
l’inciso che fa riferimento all’efficacia di titolo esecutivo dell’ordinanza.
La relazione illustrativa chiarisce che l’eliminazione è dovuta alla
circostanza che “nell’impianto del provvedimento in esame l’unico strumento
utilizzabile è il giudizio di ottemperanza, anche per le spese legali in favore del
77
Si segnala soltanto la sostituzione, al comma 7, del richiamo alla già abrogata legge 8 luglio 1980 con
il richiamo al DPR n. 115 del 2002, in ordine alla determinazione del compenso spettante al commissario
ad acta.
91
contribuente. Diversamente, per le spese liquidate in favore dell’ente impositore
e degli altri soggetti equiparati è prevista l’iscrizione a ruolo dopo il giudicato,
come dispone il nuovo articolo 15, comma 4”.
Si ribadisce che anche per le spese liquidate con l’ordinanza di cui
all’articolo 44, comma 2, è prevista la decisione dell’ottemperanza da parte della
commissione tributaria in composizione monocratica.
2. NORME DI COORDINAMENTO
Come anticipato in premessa, l’articolo 10 del decreto di riforma ha
arrecato modifiche all’articolo 63 del DPR n. 600 del 1973 e all’articolo 14 del
DPR n. 115 del 2002 (commentate sub par. 1.3), nonché agli articoli 19 e 22 del
D.Lgs. n. 472 del 1997.
La lettera a) del comma 3 del predetto articolo 10 ha modificato i commi
2, 378
e 6 dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 472 del 1997, al fine di renderli coerenti
con il mutato assetto del decreto n. 546.
In particolare:
- nel comma 2, ove è disciplinata la sospensione dell’esecuzione della sanzione
amministrativa da parte della commissione tributaria regionale, si richiama
l’articolo 52, in luogo dell’articolo 47 del decreto n. 546, atteso che ora la
sospensione degli effetti dell’atto è possibile anche in grado di appello;
- nel comma 3 si sostituiscono le parole “idonea garanzia anche a mezzo di
fideiussione bancaria o assicurativa” con le parole “la garanzia di cui
all’articolo 69 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”, il cui contenuto
e la cui durata saranno disciplinati dall’apposito decreto ministeriale previsto dal
comma 2 di detto articolo 69;
78
Per le modifiche ai commi 2 e 3 dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 472 del 1997, vd. anche par. 1.15.1.
92
- nel comma 6, in tema di restituzione al contribuente di quanto versato in
eccedenza rispetto alle statuizioni della sentenza di primo o di secondo grado, si
sostituiscono le parole “entro novanta giorni dalla comunicazione o dalla
notificazione della sentenza” con le parole “ai sensi dell’articolo 68, comma 2,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”, che prevede comunque il
termine di novanta giorni dalla notificazione della sentenza per la restituzione del
tributo corrisposto per un importo superiore a quello risultante dalla sentenza
stessa.
L’articolo 10, comma 3, lettera b), del decreto di riforma ha invece
modificato la disciplina dei provvedimenti cautelari, contenuta nell’articolo 22
del D.Lgs. n. 472 del 1997, allineandola al procedimento previsto in materia
dall’articolo 669-sexies c.p.c.79
.
In via preliminare, si ricorda che le misure cautelari contemplate dalla
norma sono l’iscrizione di ipoteca80
e l’esecuzione, mediante ufficiale
giudiziario, del sequestro conservativo81
.
79
Ai sensi dell’articolo 669-sexies c.p.c., “Il giudice, sentite le parti omessa ogni formalità non essenziale
al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in
relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento
o al rigetto della domanda.
Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento,
provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo
stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a
quindici giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la
notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o
revoca i provvedimenti emanati con decreto.
Nel caso in cui la notificazione debba effettuarsi all’estero, i termini di cui al comma precedente sono
triplicati.”. 80
L’iscrizione di ipoteca attribuisce al creditore il diritto (esercitabile anche nei confronti del terzo
acquirente) di espropriare i beni vincolati a garanzia del credito e di essere soddisfatto con preferenza sul
prezzo ricavato dall’espropriazione. Essa può avere ad oggetto, ai sensi dell’articolo 2810 c.c., “1) i beni
immobili che sono in commercio con le loro pertinenze;
2) l’usufrutto dei beni stessi;
3) il diritto di superficie;
4) il diritto dell’enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico.
Sono anche capaci d’ipoteca le rendite dello Stato nel modo determinato dalle leggi relative al debito
pubblico, e inoltre le navi, gli aeromobili e gli autoveicoli, secondo le leggi che li riguardano.”. 81
Il sequestro conservativo è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, che gli Uffici
dell’Agenzia delle entrate possono chiedere al giudice quando hanno motivo di ritenere che il
contribuente possa disperdere il proprio patrimonio, al fine di rendere inopponibili allo stesso le
alienazioni e gli altri atti di disposizione che hanno per oggetto i beni sottoposti a sequestro. A norma
dell’articolo 671 c.p.c., il sequestro può essere chiesto su tutti i beni del debitore (mobili, mobili registrati,
immobili, somme o cose dovute al debitore) e, per espressa previsione dell’articolo 22 in commento,
93
L’articolo 22 in esame continua a prevedere due distinte procedure, la
prima “ordinaria”82
, nella quale la previa attivazione del contraddittorio tra le
parti si pone come regola, la seconda “speciale” caratterizzata dalla pronuncia
con decreto inaudita altera parte.
Tuttavia, mentre la disciplina del procedimento ordinario è rimasta
invariata83
- fatta salva la previsione di un termine triplicato per la notifica
all’estero del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di trattazione - il
procedimento speciale è stato modificato allo scopo di allinearlo alla disciplina
contenuta nell’articolo 669-sexies c.p.c..
Più esattamente, nel procedimento ordinario, qualora la notifica del
decreto presidenziale concernente la trattazione dell’istanza debba essere
effettuata all’estero, il termine ordinario di “almeno dieci giorni prima” della
data di trattazione dell’istanza è stato triplicato.
Circa il procedimento speciale, l’articolo 10, comma 3, lettera b) del
decreto di riforma, ha integralmente sostituito il comma 4 dell’articolo 22 del
D.Lgs. n. 472 del 1997 con un nuovo testo, che individua presupposti
corrispondenti a quelli recati dall’articolo 669-sexies c.p.c., prevedendo che:
“Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione
anche sull’azienda. Come chiarito con circolare n. 4/E del 15 febbraio 2010, l’iscrizione di ipoteca e il
sequestro conservativo possono anche essere chiesti congiuntamente, qualora l’adozione di uno solo di
essi non sia sufficiente a garantire la pretesa tributaria. 82
Il rito ordinario, disciplinato nei primi tre commi dell’articolo 22, prevede che l’Ufficio notifichi
l’istanza alle parti interessate che, a loro volta, possono depositare memorie e documenti difensivi entro i
venti giorni successivi alla notifica. Decorso tale ultimo termine, il presidente fissa con decreto la
trattazione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti
(ancorché non costituite) almeno dieci giorni prima. 83
Relativamente al procedimento ordinario, si fa presente che, nonostante il silenzio della norma, le parti
vanno sentite in camera di consiglio, prima che la commissione tributaria decida con sentenza. La Corte
di cassazione ha chiarito che l’audizione deve aver luogo “(pur in assenza di preventiva richiesta delle
parti di trattazione in pubblica udienza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 33)”, in quanto “la mancata
esplicita prescrizione della previa audizione delle parti in merito alla trattazione dell’istanza cautelare
direttamente sottoposta alla cognizione del collegio costituisce mera lacuna legislativa, frutto
d’imperfetta formulazione e, peraltro, agevolmente colmabile in funzione sistematica” (Cass. 19 marzo
2008, n. 7342). Inoltre, nella medesima pronuncia si precisa che “Poiché l’art. 22 del D.Lgs. 472/1997
qualifica espressamente come “sentenza” il provvedimento con cui la Commissione Tributaria
Provinciale decide sulla istanza della Amministrazione, si deve ritenere che esso sia sottoposto dal
legislatore ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, vale a dire: all’appello ed al successivo
ricorso per cassazione”.
94
del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove
occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, la
camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni assegnando
all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la
notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con
ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto”.
Detti presupposti ricorrono quando:
- sussistono motivi d’urgenza tali da far sì che il lasso temporale
necessario allo svolgimento della procedura ordinaria potrebbe pregiudicare
irrimediabilmente il credito erariale;
- l’attuazione del provvedimento cautelare potrebbe essere pregiudicata
dalla previa instaurazione del contraddittorio che può, quindi, essere
(momentaneamente) omessa.84
Conseguentemente in tale ipotesi l’Ufficio provvederà al solo deposito
dell’istanza in commissione tributaria provinciale senza preventivamente
notificarla alle parti interessate.
Inoltre, il nuovo comma 4 dell’articolo 22 del D.Lgs. n. 472 del 1997
prevede la possibilità per il presidente di assumere “ove occorra sommarie
informazioni” al fine di emettere il decreto inaudita altera parte con il quale
accoglie o rigetta l’istanza cautelare.
Con lo stesso decreto con il quale si pronuncia sull’istanza cautelare,
accogliendola o respingendola, il presidente deve fissare la camera di consiglio
entro un termine non superiore a trenta giorni e assegnare all’istante (rectius,
l’Ufficio) un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la
notificazione del ricorso e del decreto.
Ne deriva che, nell’ambito del procedimento speciale, il contraddittorio si
svolge nella successiva camera di consiglio, nella quale la commissione, con
84
Così, ad esempio, l’opportunità del ricorso alla procedura speciale andrebbe valutata qualora si intenda
chiedere il sequestro di conti correnti e/o di crediti, trattandosi di beni di cui il contribuente potrebbe
agevolmente liberarsi in breve tempo.
95
ordinanza85
, conferma, modifica o revoca le statuizioni assunte con il decreto
presidenziale.
Con l’articolo 10, comma 3, lettera b) del decreto di riforma è stato,
inoltre, soppresso il comma 5 dell’articolo 22 in esame, secondo il quale “Nei
casi in cui non sussiste giurisdizione delle commissioni tributarie, le istanze di
cui al comma 1 devono essere presentate al tribunale territorialmente
competente in ragione della sede dell'ufficio richiedente, che provvede secondo
le disposizioni del libro IV, titolo I, capo III, sezione I, del codice di procedura
civile, in quanto applicabili.”, divenuto superfluo già a seguito delle modifiche
operate, all’articolo 2 del decreto n. 546, dall’articolo 12, comma 2, della legge
28 dicembre 2001, n. 448 che ha devoluto alla giurisdizione tributaria “tutte le
controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, …, nonché le
sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da
uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio.”.
Il comma 6 della norma in esame prevede la possibilità per le parti
interessate di prestare, nel corso del procedimento, la garanzia prevista dal nuovo
articolo 69, comma 2, del decreto n. 546. In tal caso l’organo giurisdizionale
“può non adottare ovvero adottare solo parzialmente il provvedimento richiesto”
dall’Ufficio.
Rispetto alla precedente formulazione, il nuovo comma 7 dell’articolo 22
del D.Lgs. n. 472 del 1997 prevede che i provvedimenti cautelari concessi
perdono efficacia qualora non eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla
comunicazione86
.
85
In aderenza all’analoga disposizione contenuta nell’articolo 669-terdecies, quinto comma, c.p.c. (“Il
collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre venti giorni dal deposito del ricorso, ordinanza non
impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare”) e tenuto conto della
volontà legislativa di allineare la disciplina delle misure cautelari alle corrispondenti disposizioni
processualcivilistiche, evidenziata anche nella relazione illustrativa al decreto, si ritiene che l’ordinanza
della commissione tributaria non sia impugnabile. 86
Tenuto conto dell’espressa disposizione che prevede la perdita di efficacia del provvedimento cautelare
qualora non eseguito entro sessanta giorni dalla comunicazione, deve ritenersi che nella materia in esame
non trovi applicazione l’articolo 675 c.p.c., in forza del quale “Il provvedimento che autorizza il sequestro
perde efficacia, se non è eseguito entro il termine di trenta giorni dalla pronuncia”.
96
Per il resto la disposizione è rimasta invariata e prevede la perdita di
efficacia dei provvedimenti cautelari qualora:
- nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non sia notificato
atto impositivo, di contestazione o di irrogazione; in tal caso, il
presidente della commissione dispone la cancellazione dell’ipoteca, su
istanza di parte e sentito l’ente impositore che ha formulato l’istanza;
- a seguito della sentenza, anche se non passata in giudicato, che
accoglie il ricorso proposto avverso l’atto impositivo o di
contestazione o di irrogazione; tale sentenza costituisce titolo per la
cancellazione dell’ipoteca; se la sentenza ha disposto l’accoglimento
parziale, lo stesso giudice che l’ha emessa riduce proporzionalmente
l’entità dell’iscrizione di ipoteca o del sequestro; quando la sentenza è
emessa dalla Cassazione, vi provvede il giudice la cui sentenza è stata
impugnata con ricorso per cassazione.87
3. MODIFICHE AL D.LGS. N. 545 DEL 1992
L’articolo 11 del decreto di riforma ha apportato diverse modifiche
all’ordinamento delle Commissioni tributarie, sotto forma di “novella” al testo
del D.Lgs. n. 545 del 1992 (decreto n. 545), la cui entrata in vigore è stabilita al
1° gennaio 2016.
Di seguito vengono illustrate sinteticamente le più rilevanti novità
introdotte.
Alla luce dei criteri direttivi dettati dalla legge n. 23 del 2014, il decreto di
riforma è intervenuto innanzitutto sull’articolo 2 del decreto n. 545, introducendo
un criterio di rotazione degli incarichi direttivi analogo a quello sperimentato
nella giustizia ordinaria.
87
Dunque, il nuovo comma 7 dell’articolo 22 riproduce sostanzialmente il precedente comma 7,
aggiungendo alle cause di perdita di efficacia del provvedimento cautelare l’ipotesi in cui lo stesso non
sia eseguito entro sessanta giorni dalla comunicazione.
97
Si prevede che l’incarico di presidente della commissione abbia durata
quadriennale e sia rinnovabile per una sola volta e per un uguale periodo, previa
valutazione positiva da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria
dell’attività svolta nel primo triennio. Con proprio regolamento il Consiglio di
presidenza stabilisce il procedimento e le modalità di tale valutazione. Si
stabilisce inoltre che il presidente non può essere nominato tra soggetti che
raggiungeranno l’età pensionabile entro i quattro anni successivi alla nomina.
La rotazione degli incarichi viene dunque attuata dopo l’ottavo anno di
esercizio delle funzioni ovvero dopo il quarto anno, in ipotesi di valutazione
negativa da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
In entrambi i casi, all’esito del menzionato periodo, il giudice sarà, salvo
tramutamento all’esercizio di funzioni analoghe o diverse, riassegnato
all’incarico di presidente di sezione di commissione tributaria.
All’articolo 6 del decreto n. 545, è stata prevista l’istituzione, con
provvedimento del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, di “sezioni
specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il
provvedimento stesso”. Conseguentemente, i Presidenti delle Commissioni
tributarie assegneranno il ricorso ad una delle sezioni “tenendo conto,
preliminarmente, della specializzazione e applicando solo successivamente i
criteri cronologici e casuali”.
La ragione dell’introduzione di sezioni specializzate è da rintracciarsi
nella complessità delle materie trattate e nella volontà di valorizzare le diverse
professionalità dei giudici.
Il decreto di riforma modifica anche i successivi articoli 7 e 8 del decreto
n. 545, relativi ai requisiti generali dei componenti delle Commissioni e alla
disciplina delle incompatibilità per l’incarico di giudice tributario.
98
In particolare, al fine di rafforzarne la qualificazione professionale, i
giudici dovranno essere muniti di laurea magistrale o quadriennale in materie
giuridiche o economico-aziendalistiche.
Inoltre, con l’obiettivo di assicurare la terzietà della giurisdizione
tributaria, non potranno essere componenti delle Commissioni coloro che
svolgono attività di consulenza fiscale non solo direttamente ma anche
indirettamente, attraverso forme associative. L’incompatibilità si estende, inoltre,
a chi ricopre incarichi direttivi o esecutivi nei movimenti politici e non solo nei
partiti.
Le modifiche all’articolo 9 del decreto n. 545, inerente ai “Procedimenti
di nomina dei componenti delle commissioni tributarie”, prevedono, con finalità
di semplificazione, che l’adozione di un decreto del Presidente della Repubblica
sarà necessaria solo per i casi di prima nomina dei giudici tributari, mentre per i
trasferimenti e le progressioni in carriera si provvederà con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze.
Ancora al fine di rafforzare l’imparzialità e la terzietà dell’organo
giudicante, significative novità sono state apportate in tema di vigilanza e
sanzioni disciplinari, sostituendo integralmente l’articolo 15 del decreto n. 545.
Da un lato, viene confermato il potere di vigilanza di ogni presidente sugli
altri componenti della propria commissione, nonché sulla qualità e sull’efficienza
dei servizi di segreteria, allo scopo di segnalarne le risultanze al Ministero
dell’economia e delle finanze per i provvedimenti di competenza. Resta altresì
ferma la vigilanza del presidente di ciascuna commissione tributaria regionale
sull’attività giurisdizionale delle commissioni provinciali e sui loro componenti.
Dall’altro lato, sono state elencate le sanzioni disciplinari irrogabili, sulla
falsariga di quelle previste per i magistrati ordinari, con la previsione dettagliata
dei comportamenti censurabili, “al fine di consentire al soggetto legittimato ad
irrogare la sanzione - in sede di procedimento disciplinare - di assolvere
99
l’obbligo di specificare un capo di incolpazione puntuale e circostanziato” (cfr.
relazione illustrativa al decreto di riforma).
Le modifiche apportate agli articoli 21, 22 e 23 del decreto n. 545,
riguardano, infine, la disciplina relativa al meccanismo di elezione del Consiglio
di presidenza della giustizia tributaria.
Da ultimo, con l’obiettivo di rendere più efficace il monitoraggio
sull’attività delle Commissioni tributarie, attraverso una modifica all’articolo 29
del decreto n. 545, la riforma prescrive che il Ministro dell’economia e delle
finanze presenta al Parlamento la relazione annuale sullo stato della giustizia
tributaria entro il 30 ottobre di ciascun anno (non più entro il 31 dicembre).
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi
enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle
Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
IL DIRETTORE DELL’AGENZIA
Allegato alla circolare n.38/E
1
Articolo 2 Oggetto della giurisdizione tributaria 1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. 2. Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. 3. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione,
Articolo 2 Oggetto della giurisdizione tributaria 1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. 2. Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. 3. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione,
Articoli 9, 10, 11, 12 e 13 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156
Articolo 9 - Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
Precedente formulazione del D.LGS. n. 546/92 Nuova formulazione del D.LGS. n. 546/92
Allegato alla circolare n.38/E
2
fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio.
fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio.
Articolo 4 Competenza per territorio 1. Le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze ovvero degli enti locali ovvero dei concessionari del servizio di riscossione, che hanno sede nella loro circoscrizione; se la controversia è proposta nei confronti di un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell’ambito della dotazione organica prevista a legislazione vigente e anche mediante riorganizzazione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell’Agenzia è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso. 2. Le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione.
Articolo 4 Competenza per territorio 1. Le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno sede nella loro circoscrizione. Se la controversia è proposta nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. 2. Le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione.
Articolo 10 Le parti 1. Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto ovvero, se l’ufficio è un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell’ambito della dotazione organica prevista a legislazione vigente e anche mediante riorganizzazione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell’Agenzia, l’ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.
Articolo 10 Le parti 1. Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno emesso l’atto impugnato o non hanno emesso l’atto richiesto. Se l’ufficio è un’articolazione dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.
Articolo 11 Capacità di stare in giudizio 1. Le parti diverse da quelle indicate nei commi 2 e 3
Articolo 11 Capacità di stare in giudizio 1. Le parti diverse da quelle indicate nei commi 2 e 3
Allegato alla circolare n.38/E
3
possono stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale. La procura speciale, se conferita al coniuge e ai parenti o affini entro il quarto grado ai soli fini della partecipazione all’udienza pubblica, può risultare anche da scrittura privata non autenticata. 2. L’ufficio del Ministero delle finanze nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata. 3. L’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio. 3-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche agli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato davanti alle Commissioni tributarie provinciali.
possono stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale. La procura speciale, se conferita al coniuge e ai parenti o affini entro il quarto grado ai soli fini della partecipazione all’udienza pubblica, può risultare anche da scrittura privata non autenticata. 2. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonché dell’agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato. 3. L’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio. Comma soppresso
Articolo 12 L’assistenza tecnica
1. Le parti, diverse dall’ufficio del Ministero delle finanze o dall’ ente locale nei cui confronti è stato proposto il ricorso, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato. 2. Sono abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali, nonché i consulenti del lavoro purché non dipendenti dall’amministrazione pubblica. Sono altresì abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli agrotecnici e i periti agrari, per
Articolo 12 L’assistenza tecnica 1. Le parti, diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione e dai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato. 2. Per le controversie di valore fino a tremila euro le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
Allegato alla circolare n.38/E
4
le materie concernenti l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale e gli spedizionieri doganali per le materie concernenti i tributi amministrati dall’Agenzia delle dogane. In attesa dell’ adeguamento alle direttive comunitarie in materia di esercizio di attività di consulenza tributaria e del conseguente riordino della materia, sono, altresì, abilitati alla assistenza tecnica, se iscritti in appositi elenchi da tenersi presso le direzioni regionali delle entrate, i soggetti indicati nell’ articolo 63, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l’IVA, l’IRPEF, l’ILOR e l’IRPEG, nonché i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell’articolo 2359 del c.c., primo comma, numero 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; con decreto del Ministro delle finanze sono stabilite le modalità per l’ attuazione delle disposizioni del presente periodo. Sono inoltre abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti nell’ elenco tenuto dalla Intendenza di finanza competente per territorio, ai sensi dell’ articolo 30, terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 . 3. Ai difensori di cui al comma 2 deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All’udienza pubblica l’incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale.
3. Sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali o nell’elenco di cui al comma 4: a) gli avvocati; b) i soggetti iscritti nella sezione A commercialisti dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
Allegato alla circolare n.38/E
5
4. L’ufficio del Ministero delle finanze, nel giudizio di secondo grado, può essere assistito dall’Avvocatura dello Stato.
c) i consulenti del lavoro; d) i soggetti di cui all’articolo 63, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600; e) i soggetti già iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l’IVA, l’IRPEF, l’IRAP e l’IRES; f) i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti negli elenchi tenuti dalle Intendenze di finanza competenti per territorio, ai sensi dell’ultimo periodo dell’articolo 30, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636; g) i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, primo comma, numero 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; h) i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e delle relative società di servizi, purché in possesso di diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale, limitatamente alle controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato loro assistenza. 4. L’elenco dei soggetti di cui al comma 3, lettere d), e), f), g) ed h) è tenuto dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze che vi provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministero della giustizia, emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della
Allegato alla circolare n.38/E
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5. Le controversie di valore inferiore a 5.000.000 di lire , anche se concernenti atti impositivi dei comuni e degli altri enti locali, nonché i ricorsi di cui all’ art. 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, possono essere proposti direttamente dalle parti interessate, che, nei procedimenti relativi, possono stare in giudizio anche senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Il presidente della commissione o della sezione o il collegio possono tuttavia ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica fissando un termine entro il quale la stessa è tenuta, a pena di inammissibilità, a conferire l’incarico a un difensore abilitato . 6. I soggetti in possesso dei requisiti richiesti nel comma 2 possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza di altri difensori.
legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinate le modalità di tenuta dell’elenco, nonché i casi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della iscrizione anche sulla base dei principi contenuti nel codice deontologico forense. L’elenco è pubblicato nel sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze 5. Per le controversie di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo, sono anche abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali: a) gli ingegneri; b) gli architetti; c) i geometri; d) i periti industriali; e) i dottori agronomi e forestali; f) gli agrotecnici; g) i periti agrari. 6. Per le controversie relative ai tributi doganali sono anche abilitati all’assistenza tecnica gli spedizionieri doganali iscritti nell’apposito albo. 7. Ai difensori di cui ai commi da 1 a 6 deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All’udienza pubblica l’incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale. 8. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, possono essere assistite dall’Avvocatura dello Stato. 9. I soggetti in possesso dei requisiti richiesti nei commi 3, 5 e 6 possono stare in giudizio personalmente, ferme restando le limitazioni all’oggetto della loro attività previste nei medesimi commi. 10. Si applica l’articolo 182 del codice di procedura civile ed i relativi provvedimenti sono emessi dal presidente della commissione o della sezione o dal
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collegio.
Articolo 15 Spese del giudizio 1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile. 2. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base delle rispettive tariffe professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’art. 12, comma 2, si applica la tariffa vigente per i ragionieri. 2-bis. Nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica il decreto previsto dall’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Articolo 15 Spese del giudizio 1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. 2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. 2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo e terzo, del codice di procedura civile. 2-ter. Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se dovuti. 2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. 2-quinquies. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12, comma 4, si applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili. 2-sexies. Nella liquidazione delle spese a favore
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dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. 2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento. 2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.
Articolo 16 Comunicazioni e notificazioni 1. Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’avviso. Le comunicazioni all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale possono essere fatte mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare, uno dei quali, immediatamente datato e sottoscritto per ricevuta, è restituito alla segreteria della commissione tributaria. La segreteria può anche richiedere la notificazione dell’avviso da parte dell’ufficio giudiziario o del messo comunale nelle forme di cui al comma 2. 1-bis. Le comunicazioni sono effettuate anche mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata,
Articolo 16 Comunicazioni e notificazioni 1. Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’avviso. Le comunicazioni agli enti impositori, agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono essere fatte mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare, uno dei quali, immediatamente datato e sottoscritto per ricevuta, è restituito alla segreteria della commissione tributaria. La segreteria può anche richiedere la notificazione dell’avviso da parte dell’ufficio giudiziario o del messo comunale nelle forme di cui al comma 2. Comma soppresso
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ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Tra le pubbliche amministrazioni di cui all’ articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le comunicazioni possono essere effettuate ai sensi dell’articolo 76 del medesimo decreto legislativo. L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo; nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi la stessa può indicare l’indirizzo di posta al quale vuol ricevere le comunicazioni. 2. Le notificazioni sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’art. 17. 3. Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto, ovvero all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia. 4. L’ufficio del Ministero delle finanze e l’ente locale provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria, con l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2. 5. Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto.
2. Le notificazioni sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’art. 17. 3. Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto, ovvero all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia. 4. Gli enti impositori, gli agenti della riscossione e i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria, con l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2. 5. Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto.
Articolo 16-bis Comunicazione e notificazioni per via telematica 1. Le comunicazioni sono effettuate anche mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Tra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 2,
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comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le comunicazioni possono essere effettuate ai sensi dell’articolo 76 del decreto legislativo n. 82 del 2005. L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo. Nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, il ricorrente può indicare l’indirizzo di posta al quale vuol ricevere le comunicazioni. 2. In caso di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria. 3. Le notificazioni tra le parti e i depositi presso la competente Commissione tributaria possono avvenire in via telematica secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163, e dei successivi decreti di attuazione. 4. L’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale alla comunicazione del domicilio eletto.
Articolo 17 Luogo delle comunicazioni e notificazioni 1. Le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione. 2. L’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo. 3. Se mancano l’elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione.
Articolo 17 Luogo delle comunicazioni e notificazioni 1. Le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione. 2. L’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo. 3. Se mancano l’elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione.
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3-bis. In caso di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria.
Comma soppresso
Articolo 17-bis Il reclamo e la mediazione 1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48. 2. La presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso. In caso di deposito del ricorso prima del decorso del termine di novanta giorni di cui al comma 9, l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio, può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione. 3. Il valore di cui al comma 1 è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12. 4. Il presente articolo non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis. 5. Il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano
Articolo 17-bis Il reclamo e la mediazione 1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Il valore di cui al periodo precedente è determinato secondo le disposizioni di cui all’articolo 12, comma 2. Le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di quelle di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo. 2. Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. 3. Il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma 2. Se la Commissione rileva che la costituzione è avvenuta in data anteriore rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo. 4. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, provvedono all’esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione di cui al periodo precedente si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa. 5. L’organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo o l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una propria proposta avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni
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l’istruttoria degli atti reclamabili. 6. Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12,18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili. 7. Il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. 8. L’organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto, né l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi. Si applicano le disposizioni dell’articolo 48, in quanto compatibili. 9. Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Ai fini del computo del termine di novanta giorni, si applicano le disposizioni sui termini processuali.
controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. 6. Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n.218. Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente. 7. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi. 8. La riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla scadenza del termine di cui al comma 2, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta. 9. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.
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9-bis. La riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla data dalla quale decorre il termine di cui all’articolo 22, fermo restando che in assenza di mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta. La sospensione non si applica nel caso di improcedibilità di cui al comma 2. 10. Nelle controversie di cui al comma 1 la parte soccombente è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo. Nelle medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione.
10. Il presente articolo non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis.
Articolo 18 Il ricorso 1. Il processo è introdotto con ricorso alla commissione tributaria provinciale. 2. Il ricorso deve contenere l’indicazione: a) della commissione tributaria cui è diretto; b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e dell’indirizzo di posta elettronica certificata; c) dell’ufficio del Ministero delle finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto; d) dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda; e) dei motivi. 3. Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore del ricorrente e contenere l’indicazione dell’incarico a norma dell’art. 12, comma 3, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente, nel qual caso vale quanto disposto dall’art. 12, comma 5. La sottoscrizione del difensore o della parte deve essere apposta tanto nell’originale quanto nelle copie del ricorso destinate alle altre parti, fatto salvo quanto previsto dall’art. 14, comma 2.
Articolo 18 Il ricorso 1. Il processo è introdotto con ricorso alla commissione tributaria provinciale. 2. Il ricorso deve contenere l’indicazione: a) della commissione tributaria cui è diretto; b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e dell’indirizzo di posta elettronica certificata; c) dell’ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto; d) dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda; e) dei motivi. 3. Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore e contenere l’indicazione: a) della categoria di cui all’articolo 12 alla quale appartiene il difensore; b) dell’incarico a norma dell’articolo 12, comma 7, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente; c) dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore.
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4. Il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui al comma 2, ad eccezione di quella relativa al codice fiscale e all’indirizzo di posta elettronica certificata, o non è sottoscritta a norma del comma precedente.
4. Il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui al comma 2, ad eccezione di quella relativa al codice fiscale e all’indirizzo di posta elettronica certificata, o non è sottoscritta a norma del comma precedente.
Articolo 23 Costituzione in giudizio della parte resistente 1. L’ufficio del Ministero delle finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti è stato proposto il ricorso si costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale. 2. La costituzione della parte resistente è fatta mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio e i documenti offerti in comunicazione. 3. Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa.
Articolo 23 Costituzione in giudizio della parte resistente 1. L’ente impositore, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 nei cui confronti è stato proposto il ricorso si costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale. 2. La costituzione della parte resistente è fatta mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio e i documenti offerti in comunicazione. 3. Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa.
Articolo 39 Sospensione del processo 1. Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.
Articolo 39 Sospensione del processo 1. Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio. 1-bis. La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. 1-ter. Il processo tributario è altresì sospeso, su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie
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imposizioni stipulate dall’Italia ovvero nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE (rectius 90/436/CEE, n.d.r.) del 23 luglio 1990.
Articolo 44 Estinzione del processo per rinuncia al ricorso 1. Il processo si estingue per rinuncia al ricorso. 2. Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile, che costituisce titolo esecutivo. 3. La rinuncia non produce effetto se non è accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo. 4. La rinuncia e l’accettazione, ove necessaria, sono sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, nonché, se vi sono, dai rispettivi difensori e si depositano nella segreteria della commissione. 5. Il presidente della sezione o la commissione, se la rinuncia e l’accettazione, ove necessaria, sono regolari, dichiarano l’estinzione del processo. Si applica l’ultimo comma dell’articolo seguente.
Articolo 44 Estinzione del processo per rinuncia al ricorso 1. Il processo si estingue per rinuncia al ricorso. 2. Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile. 3. La rinuncia non produce effetto se non è accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo. 4. La rinuncia e l’accettazione, ove necessaria, sono sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, nonché, se vi sono, dai rispettivi difensori e si depositano nella segreteria della commissione. 5. Il presidente della sezione o la commissione, se la rinuncia e l’accettazione, ove necessaria, sono regolari, dichiarano l’estinzione del processo. Si applica l’ultimo comma dell’articolo seguente.
Articolo 46 Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere 1. Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere. 2. La cessazione della materia del contendere è dichiarata, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge, con decreto del presidente o con sentenza della commissione. Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell’art. 28. 3. Le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge.
Articolo 46 Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere 1. Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere. 2. La cessazione della materia del contendere è dichiarata con decreto del presidente o con sentenza della commissione. Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell’art. 28. 3. Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
Articolo 47 Sospensione dell’atto impugnato Articolo 47 Sospensione dell’atto impugnato
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1. Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22. 2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, con lo stesso decreto, può motivatamente disporre la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio. 4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento. 5-bis. L’istanza di sospensione è decisa entro centottanta giorni dalla data di presentazione della stessa. 6. Nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia. 7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. 8. In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai commi 1, 2 e 4.
1. Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22. 2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio. 4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. Il dispositivo dell’ordinanza deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza. 5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2. 5-bis. L’istanza di sospensione è decisa entro centottanta giorni dalla data di presentazione della stessa. 6. Nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia. 7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. 8. In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai commi 1, 2 e 4. 8-bis. Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la
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sospensione amministrativa.
Articolo 48 Conciliazione giudiziale 1.Ciascuna delle parti con l’istanza prevista dall’articolo 33, può proporre all’altra parte la conciliazione totale o parziale della controversia. 2. La conciliazione può aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza, nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dalla commissione. 3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un’unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano i 50.000 euro. La conciliazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata. Per le modalità di versamento si applica l’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 592. Le predette modalità possono essere modificate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro. 3-bis. In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo. 4. Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine non superiore a sessanta giorni, per la formazione di una proposta ai sensi del comma 5.
Articolo 48 Conciliazione fuori udienza 1. Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia. 2. Se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la commissione pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere. Se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa. 3. Se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il presidente della sezione. 4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute
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5. L’ufficio può, sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia previamente aderito. Se l’istanza è presentata prima della fissazione della data di trattazione, il presidente della commissione, se ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione del giudizio. La proposta di conciliazione ed il decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3. Il decreto è comunicato alle parti ed il versamento dell’intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data della comunicazione. Nell’ipotesi in cui la conciliazione non sia ritenuta ammissibile il presidente della commissione fissa la trattazione della controversia. Il provvedimento del presidente è depositato in segreteria entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta. 6. In caso di avvenuta conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura del 40 per cento delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima. In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore al 40 per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
Articolo 48-bis Conciliazione in udienza 1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’articolo 32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia. 2. All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. 3. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
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4. La commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
Articolo 48-ter Definizione e pagamento delle somme dovute 1. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di giudizio. 2. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di rateizzazione, della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48 o di redazione del processo verbale di cui all’articolo 48-bis. 3. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta. 4. Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.
Articolo 49 Disposizioni generali applicabili 1. Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto.
Articolo 49 Disposizioni generali applicabili 1. Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto.
Articolo 52 Giudice competente e legittimazione ad appellare 1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale
Articolo 52 Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello 1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale
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competente a norma dell’art. 4, comma 2.
competente a norma dell’articolo 4, comma 2. 2. L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 3. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 4. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. 5. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 6. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69 comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis.
Articolo 62 Norme applicabili 1. Avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, comma 1, del codice di procedura civile. 2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto.
Articolo 62 Norme applicabili 1. Avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, primo comma, del codice di procedura civile. 2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto. 2-bis. Sull’accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile.
Articolo 62-bis Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per
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cassazione 1. La parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. 3. In caso di eccezionale urgenza il presidente può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. 4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 5. La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2. Si applica la disposizione dell’articolo 47, comma 8-bis. 6. La commissione non può pronunciarsi sulle richieste di cui al comma 1 se la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza.
Articolo 63 Giudizio di rinvio 1. Quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili. 2. Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l’intero processo si estingue. 3. In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti alla commissione
Articolo 63 Giudizio di rinvio 1. Quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili. 2. Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l’intero processo si estingue. 3. In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti alla commissione
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tributaria a cui il processo è stato rinviato. In ogni caso, a pena d’inammissibilità, deve essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione. 4. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle prese in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione. 5. Subito dopo il deposito dell’atto di riassunzione, la segreteria della commissione adita richiede alla cancelleria della Corte di cassazione la trasmissione del fascicolo del processo.
tributaria a cui il processo è stato rinviato. In ogni caso, a pena d’inammissibilità, deve essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione. 4. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle prese in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione. 5. Subito dopo il deposito dell’atto di riassunzione, la segreteria della commissione adita richiede alla cancelleria della Corte di cassazione la trasmissione del fascicolo del processo.
Articolo 64 Sentenze revocabili e motivi di revocazione 1. Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 del codice di procedura civile. 2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto. 3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.
Articolo 64 Sentenze revocabili e motivi di revocazione 1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile. 2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto. 3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.
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Articolo 65 Proposizione della impugnazione 1. Competente per la revocazione è la stessa commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata. 2. A pena di inammissibilità il ricorso deve contenere gli elementi previsti dall’art. 53, comma 1, e la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile nonché del giorno della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento. La prova della sentenza passata in giudicato che accerta il dolo del giudice deve essere data mediante la sua produzione in copia autentica. 3. Il ricorso per revocazione è proposto e depositato a norma dell’art. 53, comma 2.
Articolo 65 Proposizione della impugnazione 1. Competente per la revocazione è la stessa commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata. 2. A pena di inammissibilità il ricorso deve contenere gli elementi previsti dall’art. 53, comma 1, e la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile nonché del giorno della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento. La prova della sentenza passata in giudicato che accerta il dolo del giudice deve essere data mediante la sua produzione in copia autentica. 3. Il ricorso per revocazione è proposto e depositato a norma dell’art. 53, comma 2. 3-bis. Le parti possono proporre istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 52, in quanto compatibili.
Articolo 67-bis Esecuzione provvisoria 1. Le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo.
Articolo 68 Pagamento del tributo in pendenza del processo 1. Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;
Articolo 68 Pagamento del tributo in pendenza del processo 1. Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;
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b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale. Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto. 2. Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza. 3. Le imposte suppletive debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione. 3-bis. Il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione resta disciplinato dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell’Unione europea in materia.
b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale. c-bis) per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione. Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto. 2. Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza. In caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale. 3. Le imposte suppletive debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione. 3-bis. Il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione resta disciplinato dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell’Unione europea in materia.
Articolo 69 Condanna dell’ufficio al rimborso 1. Se la commissione condanna l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio liquidate ai sensi dell’articolo 15 e la relativa
Articolo 69 Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente 1. Le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, sono immediatamente esecutive. Tuttavia il pagamento
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sentenza è passata in giudicato, la segreteria ne rilascia copia spedita in forma esecutiva a norma dell’art. 475 del codice di procedura civile, applicando per le spese l’art. 25, comma 2.
di somme dell’importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante, alla prestazione di idonea garanzia. 2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di quanto previsto dall’articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi. 3. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio. 4. Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2, se dovuta. 5. In caso di mancata esecuzione della sentenza il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.
Articolo 69-bis Aggiornamento degli atti catastali 1. Se la commissione tributaria accoglie totalmente o parzialmente il ricorso proposto avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, e la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria ne rilascia copia munita dell’attestazione di passaggio in giudicato, sulla base della quale l’ufficio dell’Agenzia del territorio provvede all’aggiornamento degli atti catastali.
Abrogato
Articolo 70 Giudizio di ottemperanza 1. Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l’esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse, può richiedere l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza
Articolo 70 Giudizio di ottemperanza 1. La parte che vi ha interesse, può richiedere l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della commissione tributaria
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della commissione tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale. 2. Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento dall’ufficio del Ministero delle finanze o dall’ente locale dell’obbligo posto a carico della sentenza o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l’obbligo non sia estinto. 3. Il ricorso indirizzato al presidente della commissione deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all’originale o copia autentica dell’atto di messa in mora notificato a norma del comma precedente, se necessario. 4. Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria della commissione all’ufficio del Ministero delle finanze o all’ente locale obbligato a provvedere. 5. Entro venti giorni dalla comunicazione l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale può trasmettere le proprie osservazioni alla commissione tributaria, allegando la documentazione dell’eventuale adempimento. 6. Il presidente della commissione tributaria, scaduto il termine di cui al comma precedente, assegna il ricorso alla sezione che ha pronunciato la sentenza. Il presidente della sezione fissa il giorno per la trattazione del ricorso in camera di consiglio non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso e ne viene data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima a cura della segreteria. 7. Il collegio, sentite le parti in contraddittorio ed acquisita la documentazione necessaria, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per
provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale. 2. Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento a carico dell’ente impositore, dell’agente della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, degli obblighi derivanti dalla sentenza o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l’obbligo non sia estinto. 3. Il ricorso indirizzato al presidente della commissione deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all’originale o copia autentica dell’atto di messa in mora notificato a norma del comma precedente, se necessario. 4. Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria della commissione ai soggetti di cui al comma 2 obbligati a provvedere. 5. Entro venti giorni dalla comunicazione l’ufficio può trasmettere le proprie osservazioni alla commissione tributaria, allegando la documentazione dell’eventuale adempimento. 6. Il presidente della commissione tributaria, scaduto il termine di cui al comma precedente, assegna il ricorso alla sezione che ha pronunciato la sentenza. Il presidente della sezione fissa il giorno per la trattazione del ricorso in camera di consiglio non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso e ne viene data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima a cura della segreteria. 7. Il collegio, sentite le parti in contraddittorio ed acquisita la documentazione necessaria, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per
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l’ottemperanza in luogo dell’ufficio del Ministero delle finanze o dell’ente locale che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, attenendosi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione. Il collegio, se lo ritiene opportuno, può delegare un proprio componente o nominare un commissario al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina il compenso a lui spettante secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni. 8. Il collegio, eseguiti i provvedimenti di cui al comma precedente e preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente delegato o dal commissario nominato, dichiara chiuso il procedimento con ordinanza. 9. Tutti i provvedimenti di cui al presente articolo sono immediatamente esecutivi. 10. Contro la sentenza di cui al comma 7 è ammesso soltanto ricorso in cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento.
l’ottemperanza in luogo dell’ufficio che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, attenendosi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione. Il collegio, se lo ritiene opportuno, può delegare un proprio componente o nominare un commissario al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina il compenso a lui spettante secondo le disposizioni del Titolo VII del Capo IV del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. 8. Il collegio, eseguiti i provvedimenti di cui al comma precedente e preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente delegato o dal commissario nominato, dichiara chiuso il procedimento con ordinanza. 9. Tutti i provvedimenti di cui al presente articolo sono immediatamente esecutivi. 10. Contro la sentenza di cui al comma 7 è ammesso soltanto ricorso in cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento. 10-bis. Per il pagamento di somme dell’importo fino a ventimila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla Commissione in composizione monocratica.
Articolo 10 - Norme di coordinamento
Precedente formulazione Nuova formulazione
Articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 - Rappresentanza e assistenza dei contribuenti 1. Presso gli uffici finanziari il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, salvo quanto stabilito nel quarto comma. 2. La procura speciale deve essere conferita per iscritto con firma autenticata. L’autenticazione non è necessaria quando la procura è conferita al coniuge o a parenti e affini entro il quarto grado o a propri dipendenti da persone giuridiche. Quando la procura è conferita a persone iscritte in albi
Articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 - Rappresentanza e assistenza dei contribuenti 1. Presso gli uffici finanziari il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, salvo quanto stabilito nel quarto comma. 2. La procura speciale deve essere conferita per iscritto con firma autenticata. L’autenticazione non è necessaria quando la procura è conferita al coniuge o a parenti e affini entro il quarto grado o a propri dipendenti da persone giuridiche. Quando la procura è conferita a persone iscritte in albi professionali o
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professionali o nell’elenco previsto dal terzo comma, a soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli dei periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria ovvero ai soggetti indicati nell’articolo 4, comma 1, lettere e), f) ed i), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 è data facoltà agli stessi rappresentanti di autenticare la sottoscrizione. Quando la procura è rilasciata ad un funzionario di un centro di assistenza fiscale o di una società di servizi di cui all’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164, essa deve essere autenticata dal responsabile dell’assistenza fiscale del predetto centro o dal legale rappresentante della predetta società di servizi. 3. Il Ministero delle finanze può autorizzare all’esercizio dell’assistenza e della rappresentanza davanti alle commissioni tributarie gli impiegati delle carriere dirigenziali, direttiva e di concetto dell’amministrazione finanziaria, nonché gli ufficiali e i sottufficiali della guardia di finanza, collocati a riposo dopo almeno venti anni di effettivo servizio. L’autorizzazione può essere revocata in ogni tempo con provvedimento motivato. Il Ministero tiene l’elenco delle persone autorizzate e comunica alle segreterie delle commissioni tributarie le relative variazioni. 4. A coloro che hanno appartenuto all’amministrazione finanziaria e alla guardia di finanza, ancorché iscritti in un albo professionale o nell’elenco previsto nel precedente comma, è vietato, per due anni dalla data di cessazione del rapporto d’impiego, di esercitare funzioni di assistenza e di rappresentanza presso gli uffici finanziari e davanti le commissioni tributarie. 5. Chi esercita funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria in violazione del presente articolo è punito con la multa da lire cinquantamila a lire cinquecentomila.
nell’elenco previsto dal terzo comma, a soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli dei periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria ovvero ai soggetti indicati nell’articolo 4, comma 1, lettere e), f) ed i), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 è data facoltà agli stessi rappresentanti di autenticare la sottoscrizione. Quando la procura è rilasciata ad un funzionario di un centro di assistenza fiscale o di una società di servizi di cui all’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164, essa deve essere autenticata dal responsabile dell’assistenza fiscale del predetto centro o dal legale rappresentante della predetta società di servizi. 3. Il Ministero dell’economia e delle finanze può autorizzare all’esercizio dell’assistenza tecnica davanti alle commissioni tributarie, se cessati dall’impiego dopo almeno venti anni di effettivo servizio di cui almeno gli ultimi dieci prestati a svolgere attività connesse ai tributi, gli impiegati delle carriere dirigenziale, direttiva e di concetto degli enti impositori e del Ministero nonché gli ufficiali e ispettori della guardia di finanza. L’autorizzazione può essere revocata o sospesa in ogni tempo con provvedimento motivato. Le attività connesse ai tributi sono individuate con il decreto di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 4. Ai soggetti di cui al terzo comma, ancorché iscritti in un albo professionale, è vietato di esercitare funzioni di assistenza e di rappresentanza presso gli enti impositori e davanti le commissioni tributarie per un periodo di due anni dalla data di cessazione del rapporto d’impiego. 5. L’esercizio delle funzioni di rappresentanza e assistenza in violazione del presente articolo è punito con la sanzione amministrativa da euro mille a euro cinquemila.
Articolo 14 del decreto del Presidente della Articolo 14 del decreto del Presidente della
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Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 - Obbligo di pagamento 1. La parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati, è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato. 1-bis. La parte che fa istanza a norma dell’articolo 492-bis, primo comma, del codice di procedura civile è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato. 2. Il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito. 3. La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l’aumento del valore della causa, è tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta. 3-bis. Nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito. 3-ter. Nel processo amministrativo per valore della lite nei ricorsi di cui all’articolo 119, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si intende l’importo posto a base d’asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara, ai sensi dell’articolo 29, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nei ricorsi di cui all’articolo 119, comma 1, lettera b) del decreto
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 - Obbligo di pagamento 1. La parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati, è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato. 1-bis. La parte che fa istanza a norma dell’articolo 492-bis, primo comma, del codice di procedura civile è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato. 2. Il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito. 3. La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l’aumento del valore della causa, è tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta. 3-bis. Nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito. 3-ter. Nel processo amministrativo per valore della lite nei ricorsi di cui all’articolo 119, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si intende l’importo posto a base d’asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara, ai sensi dell’articolo 29, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nei ricorsi di cui all’articolo 119, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 2 luglio
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legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in caso di controversie relative all’irrogazione di sanzioni, comunque denominate, il valore è costituito dalla somma di queste.
2010, n. 104, in caso di controversie relative all’irrogazione di sanzioni, comunque denominate, il valore è costituito dalla somma di queste.
Articolo 19 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 - Esecuzione delle sanzioni 1. In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dall’articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario. 2. La commissione tributaria regionale può sospendere l’esecuzione applicando, in quanto compatibili, le previsioni dell’articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 3. La sospensione deve essere concessa se viene prestata idonea garanzia anche a mezzo di fideiussione bancaria o assicurativa. 4. Quando non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, la sanzione è riscossa provvisoriamente dopo la decisione dell’organo al quale è proposto ricorso amministrativo, nei limiti della metà dell’ammontare da questo stabilito. L’autorità giudiziaria ordinaria successivamente adita, se dall’esecuzione può derivare un danno grave ed irreparabile, può disporre la sospensione e deve disporla se viene offerta idonea garanzia. 5. Se l’azione viene iniziata avanti all’autorità giudiziaria ordinaria ovvero se questa viene adita dopo la decisione dell’organo amministrativo, la sanzione pecuniaria è riscossa per intero o per il suo residuo ammontare dopo la sentenza di primo grado, salva l’eventuale sospensione disposta dal giudice d’appello secondo le previsioni dei commi 2, 3 e 4. 6. Se in esito alla sentenza di primo o di secondo grado la somma corrisposta eccede quella che risulta dovuta, l’ufficio deve provvedere al rimborso entro novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza. 7. Le sanzioni accessorie sono eseguite quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.
Articolo 19 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 - Esecuzione delle sanzioni 1. In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dall’articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario. 2. La commissione tributaria regionale può sospendere l’esecuzione applicando, in quanto compatibili, le previsioni dell’articolo 52 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 3. La sospensione deve essere concessa se viene prestata la garanzia di cui all’articolo 69 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 4. Quando non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, la sanzione è riscossa provvisoriamente dopo la decisione dell’organo al quale è proposto ricorso amministrativo, nei limiti della metà dell’ammontare da questo stabilito. L’autorità giudiziaria ordinaria successivamente adita, se dall’esecuzione può derivare un danno grave ed irreparabile, può disporre la sospensione e deve disporla se viene offerta idonea garanzia. 5. Se l’azione viene iniziata avanti all’autorità giudiziaria ordinaria ovvero se questa viene adita dopo la decisione dell’organo amministrativo, la sanzione pecuniaria è riscossa per intero o per il suo residuo ammontare dopo la sentenza di primo grado, salva l’eventuale sospensione disposta dal giudice d’appello secondo le previsioni dei commi 2, 3 e 4. 6. Se in esito alla sentenza di primo o di secondo grado la somma corrisposta eccede quella che risulta dovuta, l’ufficio deve provvedere al rimborso ai sensi dell’articolo 68, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 7. Le sanzioni accessorie sono eseguite quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.
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Articolo 22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 - Ipoteca e sequestro conservativo 1. In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda. A tal fine l’Agenzia delle entrate si avvale anche del potere di cui agli articoli 32, primo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 51, secondo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. 2. Le istanze di cui al comma 1 devono essere notificate, anche tramite il servizio postale, alle parti interessate, le quali possono, entro venti giorni dalla notifica, depositare memorie e documenti difensivi. 3. Il presidente, decorso il termine di cui al comma 2, fissa con decreto la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. La commissione decide con sentenza. 4. In caso di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo, il presidente, ricevuta l’istanza, provvede con decreto motivato. Contro il decreto è ammesso reclamo al collegio entro trenta giorni. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con sentenza. 5. Nei casi in cui non sussiste giurisdizione delle
Articolo 22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 - Ipoteca e sequestro conservativo 1. In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda. A tal fine l’Agenzia delle entrate si avvale anche del potere di cui agli articoli 32, primo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 51, secondo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. 2. Le istanze di cui al comma 1 devono essere notificate, anche tramite il servizio postale, alle parti interessate, le quali possono, entro venti giorni dalla notifica, depositare memorie e documenti difensivi. 3. Il presidente, decorso il termine di cui al comma 2, fissa con decreto la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. La commissione decide con sentenza. Nel caso in cui la notificazione debba effettuarsi all’estero, il termine è triplicato. 4. Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. Comma soppresso
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commissioni tributarie, le istanze di cui al comma 1 devono essere presentate al tribunale territorialmente competente in ragione della sede dell’ufficio richiedente, che provvede secondo le disposizioni del libro IV, titolo I, capo III, sezione I, del codice di procedura civile, in quanto applicabili. 6. Le parti interessate possono prestare, in corso di giudizio, idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa. In tal caso l’organo dinanzi al quale è in corso il procedimento può non adottare ovvero adottare solo parzialmente il provvedimento richiesto. 7. I provvedimenti cautelari perdono efficacia se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto di contestazione o di irrogazione. In tal caso, il presidente della commissione tributaria provinciale ovvero il presidente del tribunale dispongono, su istanza di parte e sentito l’ufficio o l’ente richiedente, la cancellazione dell’ipoteca. I provvedimenti perdono altresì efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda. La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la sentenza riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro; se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.
6. Le parti interessate possono prestare, in corso di giudizio, la garanzia di cui all’articolo 69, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. In tal caso l’organo dinanzi al quale è in corso il procedimento può non adottare ovvero adottare solo parzialmente il provvedimento richiesto. 7. I provvedimenti cautelari pronunciati ai sensi del comma 1 perdono efficacia: a) se non sono eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione; b) se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto impositivo, di contestazione o di irrogazione; in tal caso, il presidente della commissione su istanza di parte e sentito l’ufficio o l’ente richiedente, dispone la cancellazione dell’ipoteca; c) a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso avverso gli atti di cui alla lettera b). La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la sentenza riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro; se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.
Articolo 11 - Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545
Precedente formulazione D.LGS. n. 545/92 Nuova formulazione D.LGS. n. 545/92
Articolo 2 La composizione delle commissioni tributarie 1. A ciascuna delle commissioni tributarie provinciali e regionali è preposto un presidente, che presiede anche la prima sezione.
Articolo 2 La composizione delle commissioni tributarie 1. A ciascuna delle commissioni tributarie provinciali e regionali è preposto un presidente che presiede anche la prima sezione. L’incarico ha durata quadriennale a decorrere dalla data di esercizio effettivo delle funzioni ed è rinnovabile per una sola volta e per un uguale periodo, previa valutazione positiva da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria dell’attività svolta nel primo triennio del quadriennio iniziale. Il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria stabilisce con proprio regolamento il procedimento
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2. Il presidente della commissione, in caso di assenza o di impedimento, è sostituito nelle funzioni non giurisdizionali dal presidente di sezione con maggiore anzianità nell’incarico subordinatamente d’età. 3. Il presidente di commissione con oltre quindici sezioni può delegare sue attribuzioni non giurisdizionali ad uno o più presidenti di sezione con i criteri di cui al comma 2. 4. A ciascuna sezione è assegnato un presidente, un vicepresidente e non meno di quattro giudici tributari. 5. Ogni collegio giudicante è presieduto dal presidente della sezione o dal vicepresidente e giudica con numero invariabile di tre votanti. 6. Se in una sezione mancano i componenti necessari per costituire il collegio giudicante, il presidente della commissione designa i componenti di altre sezioni.
e le modalità di tale valutazione, garantendo la previa interlocuzione con l’interessato. Il Presidente non può essere nominato tra soggetti che raggiungeranno l’età pensionabile entro i quattro anni successivi alla nomina. 1-bis. A seguito di valutazione negativa da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e comunque all’esito dell’ottavo anno di esercizio delle funzioni di cui al comma 1, il giudice tributario è riassegnato a sua richiesta, salvo tramutamento all’esercizio di funzioni analoghe o diverse all’incarico di presidente di sezione nella commissione tributaria a cui era preposto ovvero in quella di precedente provenienza. 2. Il presidente della commissione, in caso di assenza o di impedimento, è sostituito nelle funzioni non giurisdizionali dal presidente di sezione con maggiore anzianità nell’incarico subordinatamente d’età. 3. Il presidente di commissione con oltre quindici sezioni può delegare sue attribuzioni non giurisdizionali ad uno o più presidenti di sezione con i criteri di cui al comma 2. 4. A ciascuna sezione è assegnato un presidente, un vicepresidente e non meno di quattro giudici tributari. 5. Ogni collegio giudicante è presieduto dal presidente della sezione o dal vicepresidente e giudica con numero invariabile di tre votanti. 6. Se in una sezione mancano i componenti necessari per costituire il collegio giudicante, il presidente della commissione designa i componenti di altre sezioni.
Articolo 6 La formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti 1. Il presidente di ciascuna commissione tributaria, all’inizio di ogni anno, stabilisce con proprio decreto la composizione delle sezioni in base ai criteri fissati dal consiglio di presidenza per assicurare l’avvicendamento dei componenti tra le stesse.
Articolo 6 La formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti 1. Con provvedimento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria sono istituite sezioni specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il provvedimento stesso. 1-bis. I presidenti delle commissioni tributarie assegnano il ricorso ad una delle sezioni tenendo conto, preliminarmente, della specializzazione di
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2. Il presidente di ciascuna sezione, all’inizio di ogni anno, stabilisce il calendario delle udienze ed, all’inizio di ogni trimestre, la composizione dei collegi giudicanti in base ai criteri di massima stabiliti dal consiglio di presidenza. Ciascun collegio giudicante deve tenere udienza almeno una volta alla settimana. 3. Il presidente della commissione tributaria, col decreto di cui al comma 1, indica una o più delle sezioni, che, nel periodo di sospensione feriale dei termini processuali, procedono all’esame delle domande di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
cui al comma 1 e applicando successivamente i criteri cronologici e casuali. 2. Il presidente di ciascuna sezione, all’inizio di ogni anno, stabilisce il calendario delle udienze ed, all’inizio di ogni trimestre, la composizione dei collegi giudicanti in base ai criteri di massima stabiliti dal consiglio di presidenza. Ciascun collegio giudicante deve tenere udienza almeno una volta alla settimana. 3. Il presidente della commissione tributaria, col decreto di cui al comma 1, indica una o più delle sezioni, che, nel periodo di sospensione feriale dei termini processuali, procedono all’esame delle domande di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
Articolo 7 Requisiti generali 1. I componenti delle commissioni tributarie debbono: a) essere cittadini italiani; b) avere l’esercizio dei diritti civili e politici; c) non aver riportato condanne per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari e non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; d) non avere superato, alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione, settantadue anni di età; e) avere idoneità fisica e psichica; f) (lettera abrogata).
Articolo 7 Requisiti generali 1. I componenti delle commissioni tributarie debbono: a) essere cittadini italiani; b) avere l’esercizio dei diritti civili e politici; c) non aver riportato condanne per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari e non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; d) non avere superato, alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione, settantadue anni di età; e) avere idoneità fisica e psichica; e-bis) essere muniti di laurea magistrale o quadriennale in materie giuridiche o economico-
aziendalistiche; f) (lettera abrogata).
Articolo 8 Incompatibilità 1. Non possono essere componenti delle commissioni tributarie, finché permangono in attività di servizio o nell’esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali: a) i membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo; b) i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e gli amministratori di altri enti che applicano tributi o hanno partecipazione al gettito dei tributi indicati nell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nonché coloro che, come dipendenti di detti enti o come componenti di organi collegiali, concorrono all’accertamento dei
Articolo 8 Incompatibilità
1. Non possono essere componenti delle commissioni tributarie, finché permangono in attività di servizio o nell’esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali: a) i membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo; b) i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e gli amministratori di altri enti che applicano tributi o hanno partecipazione al gettito dei tributi indicati nell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nonché coloro che, come dipendenti di detti enti o come componenti di organi collegiali, concorrono all’accertamento dei tributi
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tributi stessi; c) i dipendenti dell’Amministrazione finanziaria che prestano servizio presso gli uffici delle Agenzie delle entrate, delle dogane e del territorio, di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; d) gli appartenenti al Corpo della Guardia di finanza; e) i soci, gli amministratori e i dipendenti delle società concessionarie del servizio di riscossione delle imposte o preposte alla gestione dell’anagrafe tributaria e di ogni altro servizio tecnico del Ministero delle finanze; f) (lettera abrogata); g) i prefetti; h) coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici; i) coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori; l) gli appartenenti alle Forze armate ed i funzionari civili dei Corpi di polizia; m) (lettera abrogata); m-bis) coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli e il personale dipendente individuati nell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, ed esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i). 1-bis Non possono essere componenti di commissione tributaria provinciale i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione e nelle province confinanti con la predetta regione dove ha sede la commissione tributaria provinciale. Non possono, altresì, essere componenti delle commissioni tributarie regionali i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione dove ha sede la commissione tributaria
stessi; c) i dipendenti dell’Amministrazione finanziaria che prestano servizio presso gli uffici delle Agenzie delle entrate, delle dogane e del territorio, di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; d) gli appartenenti al Corpo della Guardia di finanza; e) i soci, gli amministratori e i dipendenti delle società concessionarie del servizio di riscossione delle imposte o preposte alla gestione dell’anagrafe tributaria e di ogni altro servizio tecnico del Ministero delle finanze; f) (lettera abrogata); g) i prefetti; h) coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti o movimenti politici; i) coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, direttamente o attraverso forme associative, esercitano l’attività di consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori; l) gli appartenenti alle Forze armate ed i funzionari civili dei Corpi di polizia; m) (lettera abrogata); m-bis) coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli e il personale dipendente individuati nell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, ed esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i). 1-bis Non possono essere componenti di commissione tributaria provinciale i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione e nelle province confinanti con la predetta regione dove ha sede la commissione tributaria provinciale. Non possono, altresì, essere componenti delle commissioni tributarie regionali i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione dove ha sede la commissione tributaria regionale
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regionale ovvero nelle regioni con essa confinanti. All’accertamento della sussistenza delle cause di incompatibilità previste nei periodi che precedono provvede il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria. 2. Non possono essere componenti dello stesso collegio giudicante i coniugi, i conviventi, nonché i parenti ed affini entro il quarto grado. 3. Nessuno può essere componente di più commissioni tributarie. 4. I componenti delle commissioni tributarie, che vengano a trovarsi in una delle condizioni di cui al comma 1, lettere a) e b) o che siano nominati giudici costituzionali, sono sospesi dall’incarico fino alla data di cessazione dell’incompatibilità; successivamente alla suddetta data essi riassumono le rispettive funzioni anche in soprannumero presso la commissione tributaria di appartenenza.
ovvero nelle regioni con essa confinanti. All’accertamento della sussistenza delle cause di incompatibilità previste nei periodi che precedono provvede il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria. 2. Non possono essere componenti dello stesso collegio giudicante i coniugi, i conviventi, nonché i parenti ed affini entro il quarto grado. 3. Nessuno può essere componente di più commissioni tributarie. 4. I componenti delle commissioni tributarie, che vengano a trovarsi in una delle condizioni di cui al comma 1, lettere a) e b) o che siano nominati giudici costituzionali, sono sospesi dall’incarico fino alla data di cessazione dell’incompatibilità; successivamente alla suddetta data essi riassumono le rispettive funzioni anche in soprannumero presso la commissione tributaria di appartenenza.
Articolo 9 Procedimenti di nomina dei componenti delle commissioni tributarie 1. I componenti delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze, previa deliberazione del consiglio di presidenza, secondo l’ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2. 2. Il consiglio di presidenza procede alle deliberazioni di cui al comma 1 sulla base di elenchi formati relativamente ad ogni commissione tributaria e comprendenti tutti gli appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 per il posto da conferire che hanno comunicato la propria disponibilità all’incarico e sono in possesso dei requisiti prescritti. 2-bis. Per le commissioni tributarie regionali i posti da conferire sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in
Articolo 9 Procedimenti di nomina dei componenti delle commissioni tributarie 1. I componenti delle commissioni tributarie immessi per la prima volta nel ruolo unico di cui all’articolo 4, comma 40, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze, previa deliberazione del consiglio di presidenza, secondo l’ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2. In ogni altro caso alla nomina dei componenti di commissione tributaria si provvede con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. 2. Il consiglio di presidenza procede alle deliberazioni di cui al comma 1 sulla base di elenchi formati relativamente ad ogni commissione tributaria e comprendenti tutti gli appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 per il posto da conferire che hanno comunicato la propria disponibilità all’incarico e sono in possesso dei requisiti prescritti. 2-bis. Per le commissioni tributarie regionali i posti da conferire sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in
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servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo. 3. Alla comunicazione di disponibilità all’incarico deve essere allegata la documentazione circa l’appartenenza ad una delle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 ed il possesso dei requisiti prescritti, nonché la dichiarazione di non essere in alcuna delle situazioni di incompatibilità indicate all’art. 8. 4. La formazione degli elenchi di cui al comma 2 è fatta secondo i criteri di valutazione ed i relativi punteggi indicati nella tabella E e sulla base della documentazione allegata alla comunicazione di disponibilità all’incarico. 5. Il Ministro delle finanze stabilisce con proprio decreto il termine e le modalità per le comunicazioni di disponibilità agli incarichi da conferire e per la formazione degli elenchi di cui al comma 2. 6. Le esclusioni dagli elenchi di coloro che hanno comunicato la propria disponibilità all’incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti, è fatta con decreto del Ministro delle finanze, su conforme deliberazione del consiglio di presidenza.
servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo. 3. Alla comunicazione di disponibilità all’incarico deve essere allegata la documentazione circa l’appartenenza ad una delle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 ed il possesso dei requisiti prescritti, nonché la dichiarazione di non essere in alcuna delle situazioni di incompatibilità indicate all’art. 8. 4. La formazione degli elenchi di cui al comma 2 è fatta secondo i criteri di valutazione ed i relativi punteggi indicati nella tabella E e sulla base della documentazione allegata alla comunicazione di disponibilità all’incarico. 5. Il Ministro delle finanze stabilisce con proprio decreto il termine e le modalità per le comunicazioni di disponibilità agli incarichi da conferire e per la formazione degli elenchi di cui al comma 2. 6. Le esclusioni dagli elenchi di coloro che hanno comunicato la propria disponibilità all’incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti, è fatta con decreto del Ministro delle finanze, su conforme deliberazione del consiglio di presidenza.
Articolo 11 Durata dell’incarico e assegnazione degli incarichi per trasferimento 1. La nomina a una delle funzioni dei componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego. 2. I componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali, indipendentemente dalle funzioni svolte, cessano dall’incarico, in ogni caso, al compimento del settantacinquesimo anno di età. 3. I presidenti di sezione, i vice presidenti e i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali non possono essere assegnati alla stessa sezione della medesima commissione per più di cinque anni consecutivi. 4. L’assegnazione di diverso incarico o del medesimo incarico per trasferimento dei componenti delle commissioni tributarie in servizio è disposta nel rispetto dei seguenti criteri: a) la vacanza dei posti di presidente, di presidente di
Articolo 11 Durata dell’incarico e assegnazione degli incarichi per trasferimento 1. La nomina a una delle funzioni dei componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego. 2. I componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali, indipendentemente dalle funzioni svolte, cessano dall’incarico, in ogni caso, al compimento del settantacinquesimo anno di età. 3. I presidenti di sezione, i vice presidenti e i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali non possono essere assegnati alla stessa sezione della medesima commissione per più di cinque anni consecutivi. 4. L’assegnazione di diverso incarico o del medesimo incarico per trasferimento dei componenti delle commissioni tributarie in servizio è disposta nel rispetto dei seguenti criteri: a) la vacanza dei posti di presidente, di presidente di
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sezione, di vice presidente e di componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali è annunciata dal Consiglio di presidenza e portata a conoscenza di tutti i componenti delle commissioni tributarie in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale i componenti che aspirano all’incarico devono presentare domanda; b) alla nomina in ciascuno degli incarichi di cui alla lettera a) si procede in conformità a quanto previsto dall’articolo 9, commi 1, 2, 3 e 6. La scelta tra gli aspiranti è fatta dal Consiglio di presidenza secondo i criteri di valutazione ed i punteggi di cui alle tabelle E e F, risultanti dall’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 44-ter, allegate al presente decreto, tenendo conto delle attitudini, della laboriosità e della diligenza di ciascuno di essi e, nel caso di parità di punteggio, della maggiore anzianità di età; c) i componenti delle commissioni tributarie, indipendentemente dalla funzione o dall’incarico svolti, non possono concorrere all’assegnazione di altri incarichi prima di due anni dal giorno in cui sono stati immessi nelle funzioni dell’incarico ricoperto. 5. Per la copertura dei posti rimasti vacanti dopo l’espletamento dei concorsi di cui al comma 4, si applica il procedimento previsto dall’articolo 9, riservato a coloro che aspirano, per la prima volta, a un incarico nelle commissioni tributarie provinciali e regionali.
sezione, di vice presidente e di componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali è annunciata dal Consiglio di presidenza e portata a conoscenza di tutti i componenti delle commissioni tributarie in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale i componenti che aspirano all’incarico devono presentare domanda; b) alla nomina in ciascuno degli incarichi di cui alla lettera a) si procede in conformità a quanto previsto dall’articolo 9, commi 1, 2, 3 e 6. La scelta tra gli aspiranti è fatta dal Consiglio di presidenza secondo i criteri di valutazione ed i punteggi di cui alle tabelle E e F, risultanti dall’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 44-ter, allegate al presente decreto, tenendo conto delle attitudini, della laboriosità e della diligenza di ciascuno di essi e, nel caso di parità di punteggio, della maggiore anzianità di età; c) i componenti delle commissioni tributarie, indipendentemente dalla funzione o dall’incarico svolti, non possono concorrere all’assegnazione di altri incarichi prima di due anni dal giorno in cui sono stati immessi nelle funzioni dell’incarico ricoperto. 5. Per la copertura dei posti rimasti vacanti dopo l’espletamento dei concorsi di cui al comma 4, si applica il procedimento previsto dall’articolo 9, riservato a coloro che aspirano, per la prima volta, a un incarico nelle commissioni tributarie provinciali e regionali. 5-bis Nei casi di necessità di servizio, il Ministro dell’economia e delle finanze può disporre, su richiesta del Consiglio di presidenza della Giustizia Tributaria, l’anticipazione nell’assunzione delle funzioni.
Articolo 15 Vigilanza e sanzioni disciplinari 1. Il presidente di ciascuna commissione tributaria esercita la vigilanza sugli altri componenti. Il Presidente di ciascuna commissione tributaria segnala alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, per i provvedimenti di competenza, la qualità e l’efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione. Il presidente di ciascuna commissione tributaria regionale esercita la vigilanza sulla attività giurisdizionale delle commissioni tributarie provinciali aventi sede nella
Articolo 15 Vigilanza e sanzioni disciplinari 1. Il presidente di ciascuna commissione tributaria esercita la vigilanza sugli altri componenti e sulla qualità e l’efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione, al fine di segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze per i provvedimenti di competenza. Il presidente di ciascuna commissione tributaria regionale esercita la vigilanza sulla attività giurisdizionale delle commissioni tributarie provinciali aventi sede nella circoscrizione della stessa e sui loro componenti.
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circoscrizione della stessa e sui loro componenti. 2. I componenti delle commissioni tributarie, per comportamenti non conformi a doveri o alla dignità del proprio ufficio, sono soggetti alle seguenti sanzioni disciplinari: a) ammonimento, per lievi trasgressioni; b) censura, per il mancato deposito di una decisione dopo un primo ammonimento e nei casi di recidiva in altre trasgressioni di cui alla lettera a); c) sospensione dalle funzioni per un periodo da tre a sei mesi, per tardivo deposito più di tre volte in un anno delle decisioni dopo la scadenza dell’ulteriore termine fissato per iscritto dal presidente della commissione, dopo l’inosservanza del termine prescritto di sessanta giorni, per omissione da parte di presidente di sezione di convocazione del collegio giudicante per un periodo superiore ad un mese senza giustificato motivo o di fissazione per più di tre volte da parte di presidente di commissione dell’ulteriore termine per il deposito tardivo di sentenze, per inosservanza di altri doveri dell’incarico e per contegno scorretto nell’ambito della sezione, del collegio giudicante o verso il pubblico; d) rimozione dall’incarico nei casi di recidiva in trasgressioni di cui alla lettera c).
2. I componenti delle commissioni tributarie, per comportamenti non conformi a doveri o alla dignità del proprio ufficio, sono soggetti alle sanzioni individuate nei commi da 3 a 7. 3. Si applica la sanzione dell’ammonimento per lievi trasgressioni. 4. Si applica la sanzione non inferiore alla censura, per: a) i comportamenti che, violando i doveri di cui al comma 2, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti; b) la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; c) i comportamenti che, a causa dei rapporti comunque esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento ovvero a causa di avvenute interferenze, costituiscano violazione del dovere di imparzialità; d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, o di chiunque abbia rapporti con il giudice nell’ambito della Commissione tributaria, ovvero nei confronti di altri giudici o di collaboratori; e) l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro giudice; f) l’omessa comunicazione al Presidente della Commissione tributaria da parte del giudice
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destinatario delle avvenute interferenze; g) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; h) la scarsa laboriosità, se abituale; i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza; l) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti; m) la reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti. 5. Si applica la sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni, per: a) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; b) i comportamenti che, violando i doveri di cui al comma 2, arrecano grave e ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti; c) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave; d) il frequentare persona che consti essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o aver subìto condanna per delitti non colposi alla pena della reclusione superiore a tre anni o essere sottoposta ad una misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione, ovvero l’intrattenere rapporti consapevoli di affari con una di tali persone. 6. Si applica la sanzione dell’incapacità a esercitare un incarico direttivo per l’interferenza, nell’attività di altro giudice tributario, da parte del presidente della commissione o della sezione, se ripetuta o grave. 7. Si applica la rimozione dall’incarico nei casi di recidiva in trasgressioni di cui ai commi 5 e 6.
Articolo 21 Elezione del consiglio di presidenza 1. Le elezioni del consiglio di presidenza hanno luogo entro i tre mesi anteriori alla scadenza del precedente consiglio e sono indette con decreto del Ministro delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana almeno trenta giorni prima della data stabilita. Esse si svolgono in un giorno festivo dalle ore 9 alle ore 21. 2. Per l’elezione dei componenti del consiglio di
Articolo 21 Elezione del consiglio di presidenza 1. Le elezioni del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria hanno luogo entro quattro mesi dallo scadere del precedente Consiglio. Esse sono indette con provvedimento del Presidente del Consiglio di presidenza, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana almeno quarantacinque giorni prima della data stabilita per le elezioni. Esse si svolgono in un giorno festivo dalle ore 9 alle ore 21. 2. Il Presidente del Consiglio di presidenza nomina,
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presidenza è istituito presso il Ministero delle finanze l’ufficio elettorale centrale, composto da un presidente di commissione tributaria regionale o provinciale che lo presiede e da due giudici tributari, nominati dal Ministro delle finanze. 2-bis. Le operazioni elettorali si svolgono presso le sedi delle commissioni provinciali e regionali e presso ciascuna di queste sedi è istituito l’ufficio elettorale, che assicura l’espletamento delle operazioni di voto, composto dal presidente della commissione o da un suo delegato, che lo presiede, e da due giudici tributari nominati dal presidente delle rispettive commissioni. Il voto viene espresso presso la sede della commissione presso la quale è espletata la funzione giurisdizionale.
con propria delibera, l’ufficio centrale elettorale, che si insedia presso lo stesso Consiglio di presidenza, ed è costituito da un presidente di Commissione tributaria, che lo presiede, e da due giudici tributari. Con la stessa delibera sono nominati, altresì, i tre giudici supplenti, che sostituiscono i componenti effettivi in caso di loro assenza o impedimento. 2-bis. Le candidature devono essere presentate all’ufficio centrale elettorale, a mezzo plico raccomandato, almeno venticinque giorni prima delle elezioni mediante compilazione della apposita scheda di presentazione. Ciascun candidato è presentato da non meno di venti e da non oltre trenta giudici tributari. Le firme di presentazione possono essere apposte e depositate anche su più schede di presentazione, se i candidati raccolgono firme di presentazione in Commissioni diverse da quella di appartenenza. 2-ter. Nessuno può presentare più di un candidato né essere, contemporaneamente, candidato e presentatore di se stesso. L’inosservanza delle disposizioni del presente comma determina la nullità di ogni firma di presentazione proposta dal medesimo soggetto. 2-quater. Nei dieci giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 3, l’ufficio elettorale centrale accerta che nei confronti del candidato non sussistono le cause di ineleggibilità di cui all’articolo 20. Lo stesso Ufficio verifica, altresì, il rispetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, esclude, con provvedimento motivato, le candidature non presentate dal prescritto numero di presentatori ovvero quelle dei candidati ineleggibili, e trasmette immediatamente le candidature ammesse al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. L’elenco dei candidati è pubblicato sul sito istituzionale del Consiglio ed inviato dallo stesso per posta elettronica a tutti i componenti delle Commissioni tributarie. Detto elenco è altresì affisso, a cura dei Presidenti di commissione, presso ciascuna Commissione tributaria. 2-quinquies. Le operazioni elettorali si svolgono presso le sedi delle commissioni tributarie provinciali e regionali e presso ciascuna di queste sedi è istituito l’ufficio elettorale locale, che assicura l’espletamento delle operazioni di voto,
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composto dal presidente della commissione o da un suo delegato, che lo presiede, e da due giudici tributari, nominati dal presidente delle rispettive commissioni almeno venti giorni prima della data fissata per le elezioni. Sono nominati altresì tre supplenti, i quali sostituiscono i componenti effettivi in caso di loro assenza o impedimento. Non possono far parte degli Uffici elettorali giudici tributari che abbiano riportato sanzioni disciplinari più gravi dell’ammonimento. 2-sexies. Gli uffici elettorali locali presiedono alle operazioni di voto che si svolgono presso di esse e provvedono allo scrutinio di tutte le schede elettorali, previa apertura delle urne e conteggio delle schede, determinando il totale dei voti validi e il totale delle preferenze per ciascun candidato. Le operazioni di scrutinio hanno inizio il giorno successivo a quello di voto e di esse, come pure delle contestazioni decise ai sensi dell’articolo 22, comma 4, si dà atto nel processo verbale. 2-septies. Con regolamento del Consiglio di Presidenza sono stabilite le disposizioni di attuazione del presente articolo.
Articolo 22 Votazioni 1. (Comma abrogato). 2. (Comma abrogato). 3. Ciascun elettore può esprimere il voto per non più di sei candidati. Le schede devono essere preventivamente controfirmate dai componenti dell’ufficio elettorale ed essere riconsegnate chiuse dall’elettore. 4. L’ufficio elettorale regionale decide a maggioranza sulle contestazioni sorte durante le
Articolo 22 Votazioni 1.Ciascun elettore può esprimere il voto per non più di sei candidati. Le schede devono essere preventivamente controfirmate dai componenti dell’ufficio elettorale ed essere riconsegnate chiuse dall’elettore. 2. Il voto, personale, diretto e segreto, viene espresso presso la sede della commissione presso la quale è espletata la funzione giurisdizionale. 3. Gli uffici elettorali locali presiedono alle operazioni di voto che si svolgono presso di esse e provvedono allo scrutinio di tutte le schede elettorali, previa apertura delle urne e conteggio delle schede, determinando il totale dei voti validi e il totale delle preferenze per ciascun candidato. Le operazioni di scrutinio hanno inizio il giorno successivo a quello di voto e di esse, come pure delle contestazioni decise ai sensi del comma 4, si deve dare atto nel processo verbale delle operazioni. 4. L’ufficio elettorale regionale decide a maggioranza sulle contestazioni sorte durante le
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operazioni di voto nonché su quelle relative alla validità delle schede, dandone atto nel processo verbale delle operazioni. 5. Al termine delle operazioni elettorali il verbale di scrutinio è trasmesso all’ufficio elettorale centrale che provvede alla proclamazione degli eletti ed alla loro prima convocazione.
operazioni di voto nonché su quelle relative alla validità delle schede, dandone atto nel processo verbale delle operazioni. 5. Al termine delle operazioni elettorali il verbale di scrutinio è trasmesso all’ufficio elettorale centrale che provvede alla proclamazione degli eletti.
Articolo 23 Proclamazione degli eletti. Reclami 1. L’ufficio elettorale centrale proclama eletti coloro che, nell’ambito di ciascuna categoria di eleggibili, hanno riportato il maggior numero di voti. A parità di voti è eletto il più anziano di età. 2. I reclami relativi alla eleggibilità e alle operazioni elettorali sono indirizzati al consiglio di presidenza e debbono pervenire alla segreteria dello stesso entro il quindicesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati. Essi non hanno effetto sospensivo. 3. Il consiglio di presidenza decide sui reclami nella sua prima adunanza.
Articolo 23 Proclamazione degli eletti. Reclami 1. L’ufficio elettorale centrale proclama eletti coloro che, nell’ambito di ciascuna categoria di eleggibili, hanno riportato il maggior numero di voti. A parità di voti è eletto il più anziano di età. I nominativi degli eletti sono comunicati al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze. 2. I reclami relativi alla eleggibilità e alle operazioni elettorali sono indirizzati al consiglio di presidenza e debbono pervenire alla segreteria dello stesso entro il quindicesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati. Essi non hanno effetto sospensivo. 3. Il consiglio di presidenza decide sui reclami nella sua prima adunanza. 3-bis. Nei quindici giorni successivi all’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica, di cui all’articolo 17, comma 1, il Presidente in carica del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria convoca per l’insediamento il Consiglio nella sua nuova composizione. 3-ter. Il Consiglio di Presidenza scade al termine del quadriennio e continua ad esercitare le proprie funzioni fino all’insediamento del nuovo Consiglio.
Articolo 24 Attribuzioni 1. Il consiglio di presidenza: a) verifica i titoli di ammissione dei propri componenti e decide sui reclami attinenti alle elezioni; b) disciplina con regolamento interno il proprio funzionamento; c) delibera sulle nomine e su ogni altro provvedimento riguardante i componenti delle commissioni tributarie; d) formula al Ministro delle finanze proposte per
Articolo 24 Attribuzioni 1. Il consiglio di presidenza: a) verifica i titoli di ammissione dei propri componenti e decide sui reclami attinenti alle elezioni; b) disciplina con regolamento interno il proprio funzionamento; c) delibera sulle nomine e su ogni altro provvedimento riguardante i componenti delle commissioni tributarie; d) formula al Ministro delle finanze proposte per
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l’adeguamento e l’ammodernamento delle strutture e dei servizi, sentiti i presidenti delle commissioni tributarie; e) predispone elementi per la redazione della relazione del Ministro delle finanze di cui all’art. 29, comma 2, anche in ordine alla produttività comparata delle commissioni; f) stabilisce i criteri di massima per la formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti; g) stabilisce i criteri di massima per la ripartizione dei ricorsi nell’ambito delle commissioni tributarie divise in sezioni; h) promuove iniziative intese a perfezionare la formazione e l’aggiornamento professionale dei giudici tributari; i) esprime parere sugli schemi di regolamento e di convenzioni previsti dal presente decreto o che comunque riguardano il funzionamento delle commissioni tributarie; l) esprime parere sulla ripartizione fra le commissioni tributarie dei fondi stanziati nel bilancio del Ministero delle finanze per le spese di loro funzionamento; m) esprime parere sul decreto di cui all’articolo 13, comma 1; m-bis) dispone, in caso di necessità, l’applicazione di componenti presso altra commissione tributaria o sezione staccata, rientrante nello stesso ambito regionale, per la durata massima di un anno; n) delibera su ogni altra materia ad esso attribuita dalla legge. 2. Il consiglio di presidenza vigila sul funzionamento dell’attività giurisdizionale delle commissioni tributarie e può disporre ispezioni nei confronti del personale giudicante affidandone l’incarico ad uno dei suoi componenti.
l’adeguamento e l’ammodernamento delle strutture e dei servizi, sentiti i presidenti delle commissioni tributarie; e) predispone elementi per la redazione della relazione del Ministro delle finanze di cui all’art. 29, comma 2, anche in ordine alla produttività comparata delle commissioni; f) stabilisce i criteri di massima per la formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti; g) stabilisce i criteri di massima per la ripartizione dei ricorsi nell’ambito delle commissioni tributarie divise in sezioni; h) assicura l’aggiornamento professionale dei giudici tributari attraverso l’organizzazione di corsi di formazione permanente, in sede centrale e decentrata nell’ambito degli stanziamenti annuali dell’apposita voce di bilancio in favore dello stesso Consiglio e sulla base di un programma di formazione annuale, comunicato al Ministero dell’economia e delle finanze entro il mese di ottobre dell’anno precedente lo svolgimento dei corsi; i) esprime parere sugli schemi di regolamento e di convenzioni previsti dal presente decreto o che comunque riguardano il funzionamento delle commissioni tributarie; l) esprime parere sulla ripartizione fra le commissioni tributarie dei fondi stanziati nel bilancio del Ministero delle finanze per le spese di loro funzionamento; m) esprime parere sul decreto di cui all’articolo 13, comma 1; m-bis) dispone, in caso di necessità, l’applicazione di componenti presso altra commissione tributaria o sezione staccata, rientrante nello stesso ambito regionale, per la durata massima di un anno; n) delibera su ogni altra materia ad esso attribuita dalla legge. 2. Il consiglio di presidenza vigila sul funzionamento dell’attività giurisdizionale delle commissioni tributarie e può disporre ispezioni nei confronti del personale giudicante affidandone l’incarico ad uno dei suoi componenti.
Articolo 29 Alta sorveglianza 1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri esercita l’alta sorveglianza sulle commissione tributarie e sui giudici tributari. Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze hanno facoltà di chiedere al consiglio di presidenza e ai presidenti
Articolo 29 Alta sorveglianza 1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri esercita l’alta sorveglianza sulle commissione tributarie e sui giudici tributari. Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze hanno facoltà di chiedere al consiglio di presidenza e ai presidenti
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delle commissioni informazioni circa il funzionamento della giustizia tributaria ed i servizi relativi e possono fare, al riguardo, le comunicazioni che ritengono opportune al consiglio di presidenza. 2. Il Ministro delle finanze presenta entro il 31 dicembre di ogni anno una relazione al Parlamento sull’andamento dell’attività degli organi di giurisdizione tributaria sulla base degli elementi predisposti dal consiglio di presidenza.
delle commissioni informazioni circa il funzionamento della giustizia tributaria ed i servizi relativi e possono fare, al riguardo, le comunicazioni che ritengono opportune al consiglio di presidenza. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze presenta entro il 30 ottobre di ciascun anno una relazione al Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell’anno precedente anche sulla base degli elementi predisposti dal Consiglio di presidenza, con particolare riguardo alla durata dei processi e all’efficacia degli istituti deflattivi del contenzioso.
Articolo 12 - Disposizioni transitorie 1. Le disposizioni del presente decreto entrano in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2016, ad eccezione dell’articolo 9, comma 1, lettere ee), gg) e hh) che entrano in vigore dal 1° giugno 2016, nonché di quella prevista dal comma 5 che entra in vigore dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale. 2. Fino all’approvazione dei decreti previsti dagli articoli 12, comma 4, e 69, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificati dall’articolo 10 del presente decreto, restano applicabili le disposizioni previgenti di cui ai predetti articoli 12 e 69. 3. Le disposizioni contenute nel comma 3 dell’articolo 16-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificati dall’articolo 10 del presente decreto, si applicano con decorrenza e modalità previste dai decreti di cui all’articolo 3, comma 3, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163. 4. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituito dal comma 1, lettera a), dell’articolo 11 agli incarichi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, si tiene conto anche del periodo maturato alla medesima data nelle relative funzioni. 5. A decorrere dal 1° gennaio 2015, i procedimenti giurisdizionali pendenti al 31 dicembre 2014 dinanzi alla cessata Commissione tributaria centrale proseguono innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio.
Articolo 13 - Disposizione finanziaria 1. Agli oneri derivanti dall’articolo 9, comma 1, lettera gg), valutati in 50,6 milioni di euro per l’anno 2016 e 86,8 milioni di euro per l’anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo di cui all’articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge 11 marzo 2014, n. 23. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.