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OI 2020/03-Marzo... · 2020. 3. 5. · infrastrutture dei trasporti: un debito se-colare e che,...

Date post: 03-Oct-2020
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Settimanale di approfondimenti metropolitani Testata indipendente che non percepisce i contributi pubblici previsti dalla legge n. 250/90 in week Anno 10 numero 50 - 6 marzo 2020 - distribuzione gratuita - www.epolisbari.com CRIMINALITÀ La libertà negata ai ragazzi del Libertà MORTELLARO a pag 12 CULTURA Cinema: comanda la distribuzione CASELLA a pag 24 SANITÀ Corro a curarmi. Lontano da qui DAMIANI a pag 18 GRATIS PER VOI SECONDO UNO STUDIO DELL’OBI IL MEZZOGIORNO E L’ITALIA HANNO UN ENORME BACINO SU CUI INVESTIRE, MA BISOGNA CAMBIARE ROTTA, VALORIZZANDO IL RUOLO STRATEGICO DEL MEZZOGIORNO CAPITALE MEDITERRANEO CICCARESE a pag. 4 e MAROLLA a pag. 6
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Page 1: OI 2020/03-Marzo... · 2020. 3. 5. · infrastrutture dei trasporti: un debito se-colare e che, incredibilmente, ora ci vede esultare perché nel 2020 abbiamo un tre-no (uno) che

Settimanale di approfondimenti metropolitaniTestata indipendente che non percepisce i contributi pubblici previsti dalla legge n. 250/90

inweekAnno 10 numero 50 - 6 marzo 2020 - distribuzione gratuita - www.epolisbari.com

CRIMINALITÀ

La libertà negata ai ragazzi del LibertàMORTELLARO a pag 12

CULTURA

Cinema: comanda la distribuzioneCASELLA a pag 24

SANITÀ

Corro a curarmi.Lontano da quiDAMIANI a pag 18

GRATIS PER VOI

SECONDO UNO STUDIO DELL’OBI IL MEZZOGIORNO E L’ITALIA HANNO UN ENORME BACINO SU CUI INVESTIRE, MA BISOGNA CAMBIARE ROTTA,

VALORIZZANDO IL RUOLO STRATEGICO DEL MEZZOGIORNO

CAPITALEMEDITERRANEO

CICCARESE a pag. 4 e MAROLLA a pag. 6

Page 2: OI 2020/03-Marzo... · 2020. 3. 5. · infrastrutture dei trasporti: un debito se-colare e che, incredibilmente, ora ci vede esultare perché nel 2020 abbiamo un tre-no (uno) che

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ECONOMIA

LE OPINIONI

Settimanale di approfondimenti metropolitaniTestata indipendente che non percepisce i contributi pubblici previsti dalla legge n. 250/90

inweekAnno 10 numero 50 - 6 marzo 2020 - distribuzione gratuita - www.epolisbari.com

CRIMINALITÀ

La libertà negata ai ragazzi del LibertàMORTELLARO a pag 12

CULTURA

Cinema: comanda la distribuzioneCASELLA a pag 24

SANITÀ

Corro a curarmi.Lontano da quiDAMIANI a pag 18

GRATIS PER VOI

SECONDO UNO STUDIO DELL’OBI IL MEZZOGIORNO (E L’ITALIA) HANNO UN ENORME BACINO SU CUI INVESTIRE, MA BISOGNA CAMBIARE

ROTTA, VALORIZZANDO IL RUOLO STRATEGICO DEL MEZZOGIORNO

CAPITALEMEDITERRANEO

CICCARESE a pag. 4 e MAROLLA a pag. 6

di Michele Marolla

Il capitale del Sud è il MediterraneoUno studio che è anche una denuncia e una proposta sulle politiche di Governo

A pagina 4, una magnifica immagine aerea di una delle più preziose perle di Puglia: Gallipoli

6CULTURA

di Michele Casella

Cinema: comanda la distribuzione

2424

SANITÀ

di Vincenzo Damiani

Corro a curarmi.Lontano da qui

1818

5Alla prova dei fattidi Dionisio Ciccarese

11Scortesementedi Gianni Spinelli

17Multiversodi Waldemaro Morgese

23Il chiaro e l’oscurodi Leonardo Palmisano

29Danni collateralidi Pino Bruno

CRIMINALITÀ

di Domenico Mortellaro

La libertà negata ai ragazzi del Libertà

12

LE RUBRICHE

30In weekend

35Dove trovareEPolis Bari inweek

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ì, c’è un Sud che analizza, riflette, propone. C’è un Sud che rompe gli schemi di un’a-desione passiva e di pancia a slogan e pro-paganda, ma, allo stesso tempo, manda in frantumi atteggiamenti generati dal pre-giudizio politico e dallo snobismo pseu-doideologico. C’è un Sud che riflette sui suoi mali, sulle cause, ma anche sulle sue colpe. C’è un Sud che punta l’indice verso l’insensata sperequazione delle politiche di governo, ma poi si guarda allo spec-chio per riconoscere di non aver avuto una classe dirigente all’altezza del compi-to. Quale compito? Quello di opporsi con fermezza alle subdole angherie di strategie che hanno assegnato al Mezzogiorno un inconfutabile ruolo marginale; ma anche quello di denunciare l’inettitudine di una rappresentanza politica (sia nelle istituzio-ni locali, sia in quelle parlamentari) inca-pace di opporsi allo strapotere delle lobby del Nord.Prenderne atto è un grande passo in avan-ti. È l’inizio di un percorso che va soste-nuto per affrancarsi sia dal vittimismo meridionalista, sia dalla dipendenza delle

strategie di partito e di Governo che han-no dato comizi al Sud e risorse al Nord.Ed è fondamentale che accada oggi. È fon-damentale che gli intellettuali e gli studio-si meridionali, spogliandosi delle appar-tenenze politiche, ci offrano documenti e analisi che conducano a una visione veri-tiera della realtà e a un pensiero condiviso per provare ad uscire dalle secche della protesta inefficace o dalla condizione di SUDdito per tessera di partito.“Mezzogiorno in progress?”, lo studio-ricerca dell’OBI, di cui il collega Marolla ci riferisce con dovizia di particolari, nelle pagine che seguono, fa esattamente que-sto. E lo fa con un’operazione culturale che non è frequente dalle nostre parti: racco-gliere, intorno a un tema così delicato e sensibile, filosofi, economisti, sociologi e imprenditori. È un Sud che parte da po-sizioni e formazioni differenti, ma che si coagula intorno ad una insostenibile con-dizione di differenze nel Paese. Questo libro è una sfida. Lo è non solo per le 573 pagine che scoraggiano chiun-que viva immerso tra tweet, post e afo-rismi. Lo è perché lancia il suo guanto a due classi dirigenti. Una nazione che in modo ambiguo ha ricacciato il Sud in una condizione di arretratezza, distraendo ri-sorse economiche e sottraendo quelle in-tellettuali con un’emigrazione di qualità, persino sofisticata. Una locale, parolaia, che quando non corrotta o compromessa, è stata incapace di elaborare politiche di sviluppo, di scegliere la strada del merito che è l’unica capace di trattenere i nostri ragazzi, evitandone la fuga dai vicoli cie-chi dell’appartenenza. Oggi il rischio è anche maggiore per le furbate tattiche e strumentali della Lega

di Salvini che ha messo in campo le sue sirene per sedurre un elettorato sensibile agli slogan e al folklore di chi oggi sfoggia felpe intitolate alle nostre città e si fa ri-prendere mentre mangia focaccia e polpi. Cadere in questa trappola sarebbe fatale. D’altra parte, il limite di visione di quel movimento è paragonabile a quello di chi ha guidato il Sud nei decenni. Senza politiche di riequilibrio e di alline-amento non perde solo il Mezzogiorno, ma anche il Nord condannato a operare in un mercato ristretto e saturo. Loro non lo capiscono, noi non siamo stati capaci di spiegarglielo. Lo fa ora questo volume.È il Sud che ha bisogno di una moltitudi-ne di opere pubbliche. A cominciare dalle infrastrutture dei trasporti: un debito se-colare e che, incredibilmente, ora ci vede esultare perché nel 2020 abbiamo un tre-no (uno) che ci porterà a Napoli in 3 ore e mezza. Il che accade mentre nel mondo (anche in Italia) si progettano tratte per Hyperloop, il treno supersonico a levita-zione magnetica che “vola” a 1.223 km/h.Fantascienza per una politica bottegaia, preoccupata del proprio istinto di soprav-vivenza piuttosto che del futuro dei nostri ragazzi. Il sottotitolo di questo libro rom-pe un altro stereotipo: “Non siamo meri-dionalisti”. Sì, basta con meridionalismo di risulta. Abbiamo bisogno, alla prova dei fatti, di una classe dirigente consapevole che, come spiega questo studio, compren-da in quale posizione strategica si trovi il Sud nel Mediterraneo. Un capitale enor-me. Sotto il naso.

È arrivata l’ora che il Sudvolti pagina

DionisioCiccarese

alla prova dei fatti

Segnalazioni e suggerimenti a:[email protected]

S

Perle di PugliaPerle di Puglia | 5

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isogna tornare a una visione unitaria del Mezzogiorno, basta localismi e fe-deralismi d’accatto. Servono politiche per lo sviluppo gestite da un’autorità centrale. È la sintesi estrema della tesi che emerge dal volume “Mezzogiorno in progress? - Non siamo meridionali-sti”. Ne parliamo con Antonio Corvino, direttore generale di OBI - Osservato-rio di Economia e Finanza e coordina-tore del libro pubblicato da Rubbettino, di cui parliamo a parte in queste pagi-ne. Ne viene fuori una fotografia cruda, a tratti impietosa, sulle politiche per il Mezzogiorno. Cerchiamo di capire meglio qual è la strada che deve intra-prendere il Sud.“Non è un volume a tesi, quanto piut-

tosto un mosaico, abbiamo voluto mettere in fila le questioni aperte, che abbiamo chiamato cantieri. Intanto è diviso in due grandi settori: la parte relativa all’analisi rigorosa e scientifica delle questioni e quella dedicata alle testimonianze, Da una parte ci sono 30 tra economisti, sociologi, statistici, intellettuali che hanno preso in esame le varie questioni riguardanti il Mez-zogiorno e dall’altra abbiamo sentito le testimonianze di 30 tra imprenditori,

rappresentanti della società civile, che ci hanno raccontato le loro esperienze, la quotidianità che vivono”.

Insomma, avete messo insieme la teo-ria e la pratica.“Era il modo migliore per capire cos’e-ra successo e cosa può succedere. Alla fine c’è una domanda che emerge: cosa fare? Partendo dai dati inoppugnabi-li che parlano di deficienze, di ritardi. Qualcuno si è esercitato a individuare le colpe, ma non è fondamentale que-sto, anche se in alcuni saggi del nostro volume viene affrontata la questione della classe dirigente. E viene fuori un deficit di capitale sociale nel Mez-zogiorno: le classi dirigenti non sono state all’altezza. Tornando al cosa fare, abbiamo affrontato anche le questioni dei nuovi lavori, perché c’è una schizo-frenia tra il lavoro che manca e i lavori che si inventano. In questo i nuovi la-vori sono fondamentali e qui arriviamo al rapporto tra mondo dell’università, della formazione e mondo del lavoro. Poi, sul discorso delle prospettive dei nuovi lavori c’è un importante riferi-mento relativo al mare. Basti pensare che il Mediterraneo è uno dei più im-portanti al mondo dal punto di vista della biodiversità”.Viene fuori l’immagine di un Mez-zogiorno molto più articolato, ma anche frammentato, rispetto a quello

Il capitale Il capitale del Mezzogiornodel Mezzogiornoè il Mediterraneoè il Mediterraneo

che dovrebbe essere, con una tenden-za al “liberi tutti” che, non sempre, diventa liberazione delle risorse.“Sul territorio è presente la grande in-dustria, ci sono eccellenze, ma sino ad oggi non sono state in condizioni di creare il tessuto, per cui abbiamo pre-senze puntuali, ma tutto intorno c’è il deserto”.Il famoso sviluppo a macchia di leo-pardo, anziché espandere le macchie le ha fatte restringere?“Il Mezzogiorno non ha avuto uno svi-luppo a macchia di leopardo, è un ag-gregato unitario che è sottosviluppato in tutta la sua dimensione, nella quale ci sono delle presenze puntuali, che non sono macchie di leopardo o d’olio che tendono ad allargarsi. Ed è questo il problema e l’errore fatto nei decenni scorsi nella lettura del fenomeno Mez-zogiorno, che ha fatto immaginare la presenza, comunque, di aree di grande capacità, basti pensare ai distretti. Non è così. E su questo bisognerà lavorare, cominciando dalle questione della di-mensione logistica e delle infrastrut-ture sul territorio, uno degli aspetti cruciali per rimediare alla perdita di capacità competitiva e di sviluppo. Manca una visione unitaria del Mez-

MICHELEMAROLLA

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È giunta l’ora di superare i localismi e di tornare a una visione davverounitaria del Sud e del Paese

BAntonio Corvino

Infrastrutture dei trasporti: saldare le differenze

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zogiorno. L’alta capacità ferroviaria che arriva a Bari non è sufficiente, vanno messe insieme Calabria, Sicilia, la parte adriatica, quella jonica”.Ma con una classe dirigente poco effi-cace, come si può pensare di invertire la tendenza?“Da tutti i saggi emerge una indicazio-ne: non abbiamo bisogno di visioni lo-calistiche e federaliste, ma serve un’au-torità centrale, unica, che programmi, progetti e gestisca lo sviluppo del Mez-zogiorno. E questo scaturisce anche da-gli studi che ragionano sui fondi strut-turali”.Il problema del Mezzogiorno deve es-sere affrontato come il coronavirus?“In qualche modo sì. Se si pensa di ri-solvere la questione dello sviluppo del Sud lasciando a ciascun territorio di risolvere i suoi problemi, non andremo da nessuna parte. Il messaggio, che vale anche per la programmazione dei fon-di strutturali 2021-2027, è la necessità di una programmazione nazionale. Noi immaginiamo una macroregione Mez-zogiorno e quindi bisogna ragionare sulla programmazione dello sviluppo di questa macroregione”.Ma si era arrivati alla programma-zione dal basso dopo il fallimento, o

comunque gli scarsi risultati prodotti dalla programmazione centrale, Cas-sa per il Mezzogiorno, leggi 64, 488, etc…, che facciamo torniamo indie-tro?

“Intanto, la Cassa per il Mezzogiorno non ha fallito il proprio obiettivo, è sta-ta chiusa perché c’era una nuova teoria

dello sviluppo basata sulla convinzione che serviva favorire ulteriormente lo sviluppo del Nord, che poi per tracima-zione avrebbe di conseguenza favorito lo sviluppo meridionale. Una teoria che non ha funzionato, quindi bisogna tornare ad avere, nelle politiche di svi-luppo, una impostazione unitaria per il Mezzogiorno. Certo, poi si pone il problema della go-vernance, per questo siamo favorevoli a un’autorità nazionale che gestisca la questione con capacità commissariali. Infine, c’è una visione sulla quale tutti gli autori convergono: c’è un convitato di pietra ed è il Mediterraneo. Bisogna cambiare le politiche relative al Mediterraneo. Puntare alla coope-razione e alla pace in questa macroa-rea, significa mettere il Mezzogiorno al centro dello sviluppo. Basti pensare che il Pil dell’area africana e mediorien-tale del Mediterraneo che conta 500 milioni di persone, nonostante tutti i problemi che ha, cresce al ritmo del +4-5% annuo”.

La questione meridionale è stata rimossa da decenni dal di-battito politico ed economico del nostro Paese. Che senso ha un libro come “Mezzogiorno in progress? Non siamo meri-dionalisti” emerge dalla presentazione del presidente di OBI – Osservatorio di Economia e Finanza, Salvatore Matarrese.“Il Mezzogiorno nelle attuali condizioni non è utile al nostro Paese – scrive – se non per fare massa critica nei contesti internazionali o favorire, a livello nazionale, luoghi comuni che alimentano sentimenti populistici o proposizioni di au-tonomie regionali rafforzate di alcune parti politiche. L’Italia in ambito internazionale è penalizzata dal suo sistema eco-nomico e sociale a due differenti velocità. È quindi doveroso approfondire la conoscenza del Mezzogiorno, entrare nelle problematiche irrisolte e far crescere la consapevolezza che è un dovere del Paese mettere il Sud al centro delle politiche economiche e sociali di sviluppo. Lo hanno già fatto la Germania e la Spa-gna nell’affrontare con successo le si-tuazioni determinate da analoghi squi-libri territoriali presenti in quei Paesi”.Il volume è diviso in due parti: nella prima i saggi scientifici, nella seconda le interviste realizzate da Cinzia Ficco con imprenditori, professionisti, scien-ziati, artisti, giovani che hanno scelto di restare al Sud. L’Alleanza degli Istituti Meridionalisti, A.I.M. Pietre che par-lano, costituisce l’orizzonte di aggrega-zione e la prospettiva di condivisione entro cui il volume si colloca.I saggi partono dal racconto letterario di Antonio Corvino, che propone una metafora del percorso del Mezzogiorno tra suggestioni lega-te all’epopea mediterranea, e proseguono con l’analisi com-parata degli squilibri territoriali presenti in Italia, in Germa-nia e in Spagna, effettuata da Andrea Boltho, individuando fattori di natura sociale e sindacale che da noi hanno fatto da freno. Paola De Vivo si occupa della questione sociale, evi-denziando il grave deficit di classe dirigente che incombe sul Mezzogiorno, mentre Salvatore Sacco indaga la pervasività della criminalità, capace di fondersi e confondersi con l’eco-nomia. Giovanni De Falco punta sul lavoro, sull’elevato tasso di disoccupazione e il troppo basso tasso di occupazione, sul lavoro irregolare, sulla precarietà, sul lavoro che cambia, ar-rivando a indicare la necessità di un nuovo patto tra forma-zione, istruzione e università che punti a una fase totalmente nuova. Il saggio di Fredella, Jannelli, Dañobeitia, Squillante

indica il Mediterraneo come risorsa fondamentale per gli obiettivi di sviluppo del Mezzogiorno a patto che si presti grande attenzione ai temi della sostenibilità e della ricerca. E con una riflessione di Abdelouahab sul futuro dell’Algeria si chiude il cerchio del Mediterraneo come prospettiva co-mune dei popoli. Su ricerca e innovazione fanno il punto Gerardo Canfora, Filippo de Rossi, Massimo Squillante. Dal loro studio viene fuori che sul piano della ricerca il Mezzo-giorno regge il confronto nazionale e internazionale, ma molto resta da fare sul versante dell’innovazione. La nota da sempre dolente del credito tocca ad Antonella Malinconico, che registra come lo scollamento tra territori e banche, si-stema produttivo e credito, rimane praticamente inalterato. Una ricostruzione puntuale della storia dei finanziamenti al Sud è quella di Marcello Colantoni e Fabio Pinca, che hanno

anche rilevato come i ritardi che l’azio-ne di riequilibrio intendeva colmare sono rimasti sostanzialmente immuta-ti. Paolo Carnazza parte dalla crisi del 2008 e approda al complicato quadro delle imprese meridionali rispetto al piano impresa 4.0. Alessandro Panaro affronta la questione dei fondi europei e del loro utilizzo. Roberto Jannelli ap-profondisce natura e possibili rimedi al mancato impatto dei fondi europei. Il tema è anche nel saggio di Giovan-ni D’Orio e Rosetta Lombardo. Chiara Montefusco di districa nel difficile rap-porto tra piccole e microaziende e l’ag-gressività del fisco. Anna Maria Nifo e Gaetano Vecchione si occupano del

rapporto tra aziende, cittadini e pubbliche amministrazioni. Federico Pirro dà uno spaccato ampio della presenza della grande industria nel Mezzogiorno. L’importanza dei com-parti agricolo e agroalimentare emerge nel saggio di Giu-seppe Marotta, Concetta Nazzaro e Marcello Stanco, mentre il forte declino demografico nazionale e lo spopolamento e l’invecchiamento del Mezzogiorno sono l’argomento del saggio di Delio Miotti. Per fermare spopolamento e deserti-ficazione, secondo Pietro Massimo Busetta, il Mezzogiorno nei prossimi 10 anni deve creare 3-4 milioni di nuovi posti di lavoro, attraverso una serie di strumenti e di politiche. Il saggio di Francesco Saverio Coppola apre la seconda parte del volume, quella delle interviste, indicando la necessità di fare sistema, partendo da quello che c’è e da chi non si arren-de e lotta ogni giorno.

UNO STUDIO PER RIMETTERE AL CENTRO IL SUD

Interviste e saggi : imprenditori e studiosi sulla “questione meridionale”

FOCU

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Il Mezzogiorno paga il prezzo di classi dirigenti mai state all’altezza del compito: bisogna ancorasaldare le differenze strutturali con il resto d’Europa

Salvatore Matarrese

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l Coronavirus, al di là della non chia-rezza generale, ha riacceso le antiche fiamme Nord-Sud. Tanti luoghi co-muni, tra le consuete antiche veri-tà, una tiritera che comincia a essere stucchevole nei commenti sui giornali e nelle sortite spesso volgari sui social. Direi basta. Difendiamoci dal virus e diamo corpo ad una risalita che deve partire da noi, uniti e propositivi una volta per tutte.Venerdì scorso, guardando su Rai3 una puntata speciale di “PresaDiretta”, un programma finalmente intelligen-te, condotto da Riccardo Iacona, ho messo da parte il pessimismo e ho vi-sto lì, in fondo al tunnel, un Sud nuo-vo che nasce nella scuola, quella che dovrebbe essere la fabbrica vera della società di domani. Il cambio di passo nella didattica è qui, dove non ti aspet-ti, magari ignorato dalla stampa loca-le, più propensa a seguire la politica o gli inutili copia-incolla.“Presa-Diretta” ha raccontato le buo-

ne pratiche innovative in due istituti pugliesi. Ho appreso così dell’Istituto superiore “Pietro Sette” di Santera-mo in Colle, che tra dibattiti e flipped classroom, la “classe capovolta”’, è tra le scuole d’avanguardia, al pari dell’I-stituto “Galilei Costa” di Lecce, dove nelle lezioni di informatica del profes-sore Daniele Manni, gli studenti sono divisi in gruppi di lavoro, e ogni grup-po è una vera e propria start-up con

un progetto da sviluppare e un’app da costruire ex novo. Ragazzi impegnati, volitivi, carichi di entusiasmo.Ecco, è dalla scuola che deve ricomin-ciare il cammino del Sud. Partiamo noi prima del Nord, senza indugi. In

generale, siamo all’anno zero. L’ultimo rapporto dell’Ocse Pisa, che valuta i livelli di istruzione degli studenti nel mondo, segnala che gli studenti italia-ni sono ormai agli ultimi posti per le competenze scientifiche e nella com-prensione del testo. Leggono e non capiscono. Solo uno su venti sa distin-guere i fatti dalle opinioni. Il nostro si-stema scolastico non funziona, non è più un ascensore sociale. Si è fermato di fatto alla Riforma Gentile.Ora, visto che i Governi sonnecchia-no, tra riforme e contro-riforme su-perficiali, qualcosa si sta muovendo dal basso. “PresaDiretta” ha fatto il punto. E, finalmente, fra le scuole… rivoluzionarie, ci sono anche quelle del Sud, quelle pugliesi. Che si im-pegnano e fanno sistema. Certo, non basta. Bisogna insistere, estendere la rete virtuosa, copiando, ad esempio, dalla Finlandia, un modello studiato in tutto il mondo che ha scommesso sull’insegnamento.Ahinoi, l’Italia non è la Finlandia. E poi il Sud ha tanti problemi sul grop-pone. D’accordo. Ma proviamoci, sulla scia di Santeramo e Lecce. Si può. An-che da soli, senza aiuti.

La “rivoluzione”parta dai banchi:il Sud deveripartire così

I

scortesemente

GianniSpinelli

Segnalazioni e suggerimenti a:[email protected]

A Santeramo e a Lecce due esempi virtuosi capaci di trasmettere insegnamenti ed entusiasmo allo stesso tempo. Bisogna estenderela “rete”

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o si è detto e scritto tante volte. Vale, purtroppo, la pena ripeterlo: il quar-tiere Libertà è quello in cui più alto è il tasso che segna rapporti tra mino-renni e sistema dell’esecuzione penale. E questo dato porta quel pezzo della città in testa ad una classifica che non è cittadina, ma regionale. Tradotto in termini bruti, si sta dicendo che il quartiere Libertà è il pezzo di Puglia in cui, rispetto alla popolazione re-sidente, ci sono più minori giudicati colpevoli di un reato. Più delinquenti sotto i diciotto anni. Le ragioni? Non è facile approssimazione citarne due, strettamente connesse. Da una parte, gli scarsissimi interventi istituzionali per la costruzione di un welfare cultu-

rale, sociale ed economico. Dall’altro il dato che narra di un quartiere occu-pato stabilmente, da un ventennio, da due distinti sistemi criminali, capaci di offrire una alternativa mafiosa alla

condizione di esclusione sociale. Mercante e Caldarola: aristocrazia e quarto stato di quella Camorra bare-se che di quel pezzo di città ha davve-ro fatto il giardino di casa. Due clan per un lungo periodo ferocemente in guerra, con i Mercante a resistere da una parte e dall’altra i Caldarola, in-filati mani e piedi nel conflitto, per il tramite di altri satelliti della grande galassia che prende il nome della Fe-derazione Strisciuglio – le ultime sen-tenze hanno condannato le bocche di fuoco dei Telegrafo a pene pesantis-sime, per gli omicidi e le scorriban-de armate del 2012-2014. Mercante e Caldarola. Da una parte il vecchio Vangelo, fi-glioccio di Giosuè Rizzi e compare d’iniziazione di Antonio Capriati, ri-tenuto ancora un Maestro di Camorra anche a quarant’anni dagli atti fonda-tivi del sistema criminale barese. Dall’altra, quello che si è imposto andandosi a prendere i gradi prima al soldo di Raffaele Laraspata, poi al fianco di Domenico Strisciuglio: Lo-renzo Caldarola, che ancora oggi tutti continuano a conoscere come A’Vol – per la sua bravura, da giovanissimo,

nel furto con strappo. Mercante e Cal-darola: due clan diversissimi, uniti da qualche anno da un matrimonio di quelli che solo le grandi casate nobi-liari potevano progettare, per rinsal-dare un’alleanza e far scoppiare una pace duratura nel quartiere. È nelle mani di due figure così’ che, ancora, a dispetto delle sentenze, del-le carcerazioni, delle operazioni e dei blitz, il quartiere continua a sopravvi-vere. Preda sempre più di una enorme paranza che procede su due differenti livelli, dirigendo tutto dalle stanze dei bottoni a ridosso di Corso Italia. Da una parte, ancora, i Mercante, che sul Libertà agiscono in modo molto di-screto, controllando punti nevralgici e spesso attività commerciali piovute in capo a prestanome attraverso uno dei core business del boss Giusep-pe: l’usura. Dall’altra i Caldarola, che pur vivendo il quartiere prima di tut-to come storici residenti, gente cre-sciuta tra quelle strade, continuano ad applicare in modo sistematico la dottrina attraverso la quale la Fede-razione si è imposta in città: spaccio a tappeto e taglieggiamento – anche quello a tappeto, senza esclusione di colpi. Con quel tratto folle e nichilista

La libertà La libertà negata negata ai ragazziai ragazzidel Libertàdel Libertà

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ITÀ

LDOMENICO

MORTELLARO

È il quartiere che in Puglia ha il più alto numero di minori che compiono un reato. Accade in un luogo in cui alla povertà di interventi istituzionali corrisponde un efficiente welfarecriminale

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Il Processo Pandora ha apparentemente disarti-colato l’organizzazione criminale che faceva capo a Giuseppe Mercante. L’ha fatto imponendosi di frantumare i legami tra centrale del Libertà e ar-ticolazioni negli altri quartieri, assicurate dalle al-leanze con gruppi come Capriati e Diomede – sia quelli di sponda Carrassi che quelli stanziati al San Paolo. Inoltre, l’operazione prima ed il processo poi hanno dimostrato anche la capacità del sodalizio di replicare la propria operatività anche al di fuo-ri del territorio cittadino – ovunque preesistessero legami saldi con una delle tre famiglie in causa. Come pure, il processo ha dimostrato che esistono seri tentativi da parte delle vecchie organizzazioni di camorra di puntare a traffici diversi da quelli di strada – spaccio ed estorsione. Il processo con rito abbreviato si è concluso con 90 condanne.

PROCESSO PANDORA CHIUSO CON 90 CONDANNEdi cavallette, incapaci di fare altro che predare e razziare, senza curarsi del deserto che si lascia alle spalle. Senza curarsi del dettaglio non trascurabile che quel deserto, molto presto, sarà il panorama in cui gli stessi uomini del clan si troveranno a dover inventare un nuovo modo di sopravvivere. Per-ché l’aggressività con cui determinati core business vengono portate avanti – prima tra tutti l’opera sistematica di taglieggiamento dei negozianti – non ha pietà nemmeno davanti alle crisi sistematiche di un indotto di quar-tiere sempre più povero, sempre più debole. Le cavallette degli Strisciuglio non hanno il cuore tenero nemmeno davanti ad una serranda che si chiude, forse per sempre. Un enorme laboratorio di Camorra: anche questo è il Libertà. Da sempre. È il luogo in cui il Quarto Stato crimina-le della città si è schierato al fianco dei Laraspata, nel momento in cui questi ultimi lanciavano un’offensiva contro l’Aristocrazia Criminale, in nome di una logica paritaria per cui nessuno poteva impedire ad altri di fare mala-vita e di imporsi – Lorenzo Caldarola viene da quell’esperienza, e di strada al Libertà ne ha fatta, proprio reclutando

tanti affamati di affermazione crimi-nale come lui. Libertà è il quartiere dove un ex ua-gnone come Domenico Strisciuglio ha collaudato le prime forme di franchi-sing associativo o di affiliazione liqui-da, a progetto – le inspiegabili novità che hanno portato gli analisti e gli 007

dei ministeri a chiedersi come fossero possibili, certe intuizioni, nella testa di un semplice manovale di Camorra. Libertà è da qualche anno il quartiere dove due clan fino ad allora acerrimi nemici si stringono insieme con un matrimonio e decidono di dividere il quartiere, non tanto per aree e terri-

tori di pertinenza – troppo primitivo, come concetto. La sparitizione che l’alleanza sancisce è chiaramente una divisione di com-petenze rispetto ai business praticati. Al Libertà, ancora una volta, prima che altrove, a Bari – ormai dappertut-to se si guarda a come Capriati e Pa-risi, a Bari Vecchia e Japigia, abbiano abbandonato i traffici di strada rispet-tivamente e Milloni-De Felice e Paler-miti per rintanarsi nella gestione dei propri patrimoni attraverso attività criminali di secondo livello. Questo, com’è ovvio, non può tenerci tranquilli. Perché è indice di una nuo-va mutazione della Camorra in senso di maggior professionalizzazione. Ol-tre, proprio sul quartiere, la riflessione è imposta in modo obbligatorio pro-prio da quella definizione di cavallet-te data per descrivere gli Strisciuglio. Perché il nichilismo applicato non trova un solo bersaglio – gli esercen-ti taglieggiati. Quella tendenza a fare terra bruciata si esprime anche nel feroce reclutamento che le batterie continuano a portare avanti, parchet-to per parchetto, isolato per isolato, campo da gioco per campo da gioco. Un reclutamento reso improrogabile proprio dalle necessità che i processi e le sentenze impongono. Perché il si-

stema, quello degli Strisciuglio e quin-di anche dei Caldarola, resiste e tiene se la cassa corrente è assicurata. E c’è solo una cosa che tiene al sicuro i gua-dagni, quando si parla di spaccio: il numero di spacciatori in circolazione e il fatto che le linee di rifornimento non vengano messe in discussione. Eccolo, il dramma imposto alla gio-ventù del Libertà da questa forma particolare di Camorra a business ri-stretti. Il reclutamento non deve mai interrompersi. Ora più che mai, visto il numero impressionante di detenuti a seguito dei processi. Ed è un reclu-tamento in perenne ribasso, per quel che riguarda l’età media dei coltivati, ormai attorno ai quattordici, quindi-ci anni. Facile, in un contesto in cui è dogma la vicinanza tra ragazzino socialmente escluso e coetaneo spac-ciatore con scarpe griffate diverse ogni settimana, motocicletta rombante e aura di rispetto da cavaliere dell’apo-calisse metropolitano. È il contesto ancora fortemente esclu-dente, è quella differenza, quell’ascen-sore sociale prima che economico garantito dal rispetto e dal continuo ricircolo degli utili criminali, a cre-are i presupposti per la condanna di quel pezzo giovanissimo di città – che è pezzo di futuro prima di tutto. E

quel che più deve preoccupare è che, di fronte, a portare avanti questa po-litica, non ci sono clan governati da vecchi tromboni o quarantenni sca-fati – quelli che le intercettazioni del processo Pandora ritraevano attorno a Giuseppe Mercante a prendere lezioni di malavita. A reclutare in batteria, al Libertà, c’è la seconda generazione del clan Cal-darola: i figli dei poco più che adole-scenti che vent’anni fa si sono imposti prima sotto i Laraspata poi al fianco di Strisciuglio. Lo abbiamo visto, pro-prio all’inizio dell’anno passato, con gli arresti del gruppo di Ivan Caldaro-la, figlio minore di Lorenzo. L’abbiamo letta nelle trascrizioni delle intercetta-zioni a corredo di quegli arresti, la de-riva folle e senza futuro di quel pezzo di Bari. Una deriva così folle e appa-rentemente inarginabile che, in nome del profitto e delle logiche di Camor-ra, è tornata a mettere la morte nelle mani di quattordicenni, chiedendo a loro, prima che ad altri, di avvelenare i propri coetanei.

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to dopo in Italia lo stiamo vivendo in modo drammatico. In sovrappiù già da quel momento segnava una seria lace-razione dei rapporti fra il Governo e le Autonomie regionali, che poi si è acuita: a dimostrazione del fatto che la nostra Italietta non è preparata per affrontare crisi così gravi, cosa che d’altronde acca-de regolarmente quando per disdetta si verificano terremoti che comprometto-no intere città, le quali per capire quan-

do torneranno alla normalità devono affidarsi alla cabala. Certo, se invece di più o meno piccole Regioni avessimo poche Macroregioni, queste crisi sareb-bero molto meglio gestibili: ma l’acca-nirsi nel voler conservare le Regioni così come sono è un altro esempio della cor-ta veduta della politica ed anche dell’in-capacità di chi ci governa e amministra

multiverso

WaldemaroMorgese

La confusionecon cui è stata affrontata la prima fase del coronavirusha dimostrato quanto sia seria la lacerazione tra Governo e Regioni

Segnalazioni e suggerimenti a:[email protected]

ra che il caso dell’insegnante francese morto senza aver avuto rapporti con le zone colpite dall’epidemia mette in discussione perfino alcune linee guida dell’OMS e che, in Italia, la RAI an-nulla due servizi sul coronavirus per “consiglio” di un Governo ondivago (rendendo palese che l’informazione RAI è del principe, un po’ come quella della Corea del Nord), le incertezze del comune cittadino crescono. All’inizio di febbraio tre Regioni e una Provin-cia Autonoma del Nord chiesero che il periodo di isolamento previsto per chi rientrava dalla Cina fosse applicato an-che agli alunni cinesi. Una richiesta sen-sata, ad occhio e croce (almeno per un osservatore neutrale, non “prevenuto”), ma la risposta negativa che ebbero dal Governo fu di tipo ideologico ed anche falsamente rassicurante.È chiaro che la risposta data alle quattro istituzioni segnalava, allora, l’incredi-bile sottovalutazione dell’epidemia da parte governativa e ciò che è accadu-

di avere il coraggio di innovare.La considerazione che a questo punto viene spontaneo di fare riguarda il modo in cui stiamo affrontando, in Italia, altre crisi, come le problematiche climatiche, oggi già squassanti e che lo diverranno sempre più nei prossimi decenni. Per il Sud un problema gravissimo è l’inci-piente avanzare della desertificazione, causata dall’aumento delle temperatu-re globali, dalla riduzione delle piogge soprattutto estive e dalla cattiva gestio-ne delle risorse, come segnalano ormai gli istituti specializzati e anche il nostro CNR. Si azzardano cifre a questo proposito: a rischio desertificazione sarebbe il 21% del territorio nazionale, di cui il 41% è nel Sud (la Sicilia è interessata per il 70% del suo territorio, la Puglia per il 57%). Il Politecnico di Zurigo sostiene che le estati calde e secche sono destinate a di-ventare molto più frequenti, provocan-do desertificazione. Per la Puglia sarebbe una vera tragedia: oggi gli invasi, su cui si fonda tutta l’a-gricoltura che non emunge dalle falde (pratica questa già di per sé negativa), continuano a riempirsi, sia pure con maggiori difficoltà. Ma nel prossimo fu-turo cosa accadrà?

Gestire le emergenze? Con innovazionee trasparenza

O

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pugliesi che nel 2018 si sono trasfe-riti in altre regioni italiane per essere curati sono stati 39.540, una mobilità passiva del 9%; di contro, sono stati 19.919 i pazienti che hanno scelto la Puglia per essere assistiti (4,8% di mo-bilità attiva), quasi tutti residenti nel-le regioni del Sud: 5.428 sono lucani, 4.109 sono campani, 2.939 calabresi, 1.222 molisani. I dati si riferiscono solamente ai ricoveri in regime ordi-nario per acuti e sono estrapolati dal Rapporto annuale sull’attività di ri-covero ospedaliero elaborato dal mi-nistero della Salute sulla scorta delle schede di dimissioni (Sdo): l’indagine statistica evidenzia ancora ombre del sistema sanitario pugliese, qualche

passo in avanti, invece, mostra il set-tore dell’oncologia. I cosiddetti viaggi della speranza proseguono senza so-sta, ma dove vanno a curarsi i puglie-si? C’è un vero e proprio esodo verso la Lombardia, oltre 10mila pugliesi han-no scelto gli ospedali milanesi; 7.300, invece, hanno optato per le strutture dell’Emilia Romagna e 4.500 quelle del più vicino La-zio. Ma c’è chi ha raggiunto il Veneto (2.285 ammalati), Toscana (2.660) e Marche (2.482). Ci sono anche 2.600 pugliesi che hanno optato per la Ba-silicata. Quanto è costato questo mi-grare di ammalati pugliesi alle casse pubbliche? Il dato oscilla tra i 180 e 200 milioni di euro. Anche per svolgere riabilitazione, i pu-gliesi sono spesso costretti a rivolgersi a centri fuori re-gione: nel 2018 sono stati 3.306 i pa-zienti presi in carica da strutture non

pugliesi, una mobilità passiva molto alta, pari al 20,4% (i pazienti in totale sono poco più di 16mila). Per quanto riguarda i ricoveri in lungodegenza, invece, la mobilità passiva è stata del 12,4%, pari a 270 pazienti su un tota-le di 2.181; la mobilità attiva, invece, è stata appena dell’1,6%, cioè 32 am-malati presi in cura in Puglia e prove-

nienti da altre aree del Paese. E ora analizziamo i dati relativi alla delica-ta branca dell’on-cologia: dai 10mila pazienti oncologici del 2016 si è passati ai 4.864 del 2018, in tre anni è stato di-mezzato il numero dei pugliesi amma-lati di tumore che ha deciso di farsi curare fuori regio-ne. I conti, però, continuano a non tornare, il saldo tra mobilità attiva e

quella passiva resta negativo: a fronte di 2.502 pazienti provenienti da altre aree d’Italia (6,4% del totale degli am-

Corro a curarmi. Lontano da qui

VINCENZODAMIANI

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NIT

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È sempre la Lombardia la meta scelta per ottenere le cure migliori: un giochetto che costa tra i 180 e i 200 milioni

I I risparmi stanno permettendo alla Regione Pu-glia di bandire i concorsi e assumere nuovo per-sonale sanitario, ma la spesa farmaceutica resta ancora un tallone di Achille. Dal 2017 ad oggi, grazie ad una stretta sulle prescrizioni mediche e sugli acquisti dei medicinali griffati, sono sta-ti risparmiati circa 80 milioni di euro, però non è sufficiente: secondo l’ultimo monitoraggio dell’Aifa, l’agenzia nazionale del farmaco, fermo a settembre 2019, la Puglia è tra le quattro re-gioni che non rispetta il tetto imposto dalle nor-me del 7,96% sulla quota del riparto del fondo sanitario (le altre inadempienti sono Calabria, Campania e Abruzzo). In sostanza, per stare dentro questo parametro la Puglia da gennaio a settembre 2019 avrebbe dovuto spendere per la farmaceutica convenzionata lorda poco più di 450 milioni, invece ha sforato di 1,83 milioni di euro (452 milioni). Va molto male la farmaceu-tica per acquisti diretti: il limite di spesa fissato per il periodo gennaio-settembre 2019 era di 378 milioni, invece il costo sopportato dalle cassa pubbliche è stato di 611 milioni, uno scostamen-to di ben 232 milioni. I ritardi nell’avvio della centrale unica di acquisto impedisce di ottenere i risparmi desiderati.

COSTI FARMACI ALLE STELLE: DOV’È LA CENTRALE?

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malati oncologici), 4.864 pugliesi han-no optato per farsi curare o operare in ospedali del Nord (11,7% del totale). La Rop, la rete oncologica pugliese attivata circa due anni fa, comincia a dare i primi risultati ma i viaggi del-la speranza proseguono. I progressi ci sono e negli ultimi tre anni sono stati continui: nel 2016 i viaggi della spe-ranza furono oltre 10mila, nel 2017 si è passati a 5.490 e nel 2018 a 4.864. Una nuova limatura che, però, non è sufficiente ad allineare la Puglia alle regioni del Nord che continuano ad attrarre pazienti, arricchendo anche le proprie casse. Basta dare un’occhiata al flusso dei pugliesi che hanno deciso di curarsi fuori regione: 1.656 pazienti hanno scelto gli ospedali della Lom-bardia, un altro esodo che si somma a quello dei pazienti avuti in regime di ricovero ordinario (circa 10mila); 728 sono stati assistiti in Lazio, a Roma; 602 hanno raggiunto i centri specia-lizzati dell’Emilia Romagna, 484 quel-li del Veneto e 381 sono stati presi in cura dalle strutture della Toscana. In sostanza, trasferimenti in un’unica di-rezione, dal Sud verso il Nord. Dato confermato anche dalle cifre relative alla mobilità attiva: gli ospedali on-

cologici pugliesi, nel 2018, sono stati scelti da 729 campani, hanno attratto 620 lucani, 466 calabresi, 247 molisani e 72 residenti nel Lazio. I pazienti oncologici che dal Nord hanno raggiunto la Puglia per curar-si si contano quasi sulle dita di una mano. La Puglia è una delle sette regioni con la rete on-cologica attiva ed è l’unica al Sud, non a caso tra le Regio-ni del Mezzogiorno è quella che fa registrare i maggiori progressi. Lo certificano an-che i dati relativi agli inter-venti di chirurgia oncolo-gica sui cinque tumori più frequenti negli uomini e nel-le donne, e cioè quello alla mammella, al polmone, alla prostata, all’utero e al colon retto. Gli interventi chirur-gici sono aumentati dell’8 per cento nel 2018 rispet-to al 2017. I cinque tumori monitorati rappresentano la casistica più frequente e circa 11mila delle nuove diagnosi annue di tumore. Nello specifico, l’impennata maggiore di interventi si è avuto per il cancro alla prostata. Le operazioni nel 2018, infatti, sono stati il 21% in più rispetto al 2017, da 998 interventi si è passati a 1.230. Ben l’80 per cen-

to della chirurgia alla prostata è stata fatta in sei strutture pugliesi. Al pri-mo posto, il Miulli ad Acquaviva delle Fonti, seguita dagli ospedali Riuniti di Foggia, dal Policlinico di Bari, da Casa Sollievo della Sofferenza a San Gio-vanni Rotondo, dall’ospedale Cardinal

Panico di Tricase e infine dall’ospedale Valle d’Itria a Martina Franca. Per quanto riguarda invece gli inter-venti chirurgici per il cancro al seno, si registra un 8% in più rispetto al

2017. Complessivamente gli inter-venti sono stati 3.293. Di questi l’80 per cento (2.702) sono stati eseguiti in 11 strutture ospedaliere. Prime fra tutte, l’Irccs Giovanni Paolo II a Bari, seguite poi (in ordine decrescente) da Casa Sollievo della Sofferenza a San

Giovanni Rotondo, San Paolo e Policlinico a Bari, Città di Lec-ce, Perrino a Brindisi, Ospedali Riuniti a Foggia, Santa Maria e Mater Dei a Bari, cliniche D’A-more e Santissima Annunziata a Taranto. Per le patologie oncologiche riguardanti il cancro all’utero e il cancro al polmone, entrambe registrano nel 2018 un aumen-to di interventi del 5% rispet-to al 2017. Nel 2018 sono stati 721 gli interventi eseguiti per tumore al polmone, di cui 596 (l’80%) sono stati realizzati al Vito Fazzi di Lecce, seguito da Irccs Giovanni Paolo II a Bari, Casa Sollievo della Sofferenza a san Giovanni Rotondo, Ospe-dali Riuniti a Foggia e Policlini-co a Bari. Gli interventi eseguiti infine per il cancro all’utero nel

2018 sono stati 668, di cui l’80% (551) in dieci strutture. Infine per quanto riguarda il tumore al colon retto, gli interventi chirurgici nel 2018 sono aumentati del 4% rispetto al 2017.

LA MOBILITÀ SANITARIA PUGLIESE NEL 2018

Pugliesi che si curano fuori regione per malattie acute

39.540Pugliesi che si curano fuori regione per tumori

4.864Dove si curano i pazienti oncologici pugliesi?Lombardia 1.656Lazio 728Emilia Romagna 602Veneto 484Toscana 381

Quanti pazienti arrivano in Puglia?Campania 729Basilicata 620Calabria 466Molise 247Lazio 72

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a un fatto episodico. No, non è così. Questo virus è la dimostrazione che il mondo, che lo si voglia o no, è con-nesso. Connesso irreversibilmente. Ed è una cosa bella, perché il virus è uno, le potenzialità positive della globalizza-zione sono tantissime ed ogni giorno ne fruiamo. Quando possiamo accen-dere un computer e parlare con il mon-do che sta a distanze enormi, quando possiamo prenotare qualcosa sul web,

quando possiamo ricevere persone che vengono da altri continenti. Tutto si incrocia e tutto si integra, dove più, dove meno. A Bari meno che altrove, perché oggettivamente la città è meno

C

il chiaro e l’oscuro

LeonardoPalmisano

Segnalazioni e suggerimenti a:[email protected]

os’è la paura? Cosa il terrore? La città di Bari, come tutte, è stata bombardata via social da timori irragionevoli, per via della diffusione del Covid19. Un timo-re globale che ha usato i canali virtuali per propagarsi su scala planetaria. Come ha reagito Bari? Non ci sono sta-ti gli assalti ai supermercati, ma sono crollati i consumi culturali. Le librerie, ci dicono, hanno venduto molto meno. Così i botteghini di teatri e cinema. Ecco, la città che non consuma cultura, che vive in una sua sottocultura pres-soché perenne, rinuncia a quel poco di economia della cultura che ha. In nome del terrore, però, non si è ri-nunciato così benvolentieri a frequen-tare pizzerie e luoghi della ristorazione. Si è subito cancellata la voce ‘cultura’ dalla spesa e ci si è rintanati nella con-suetudine della tavola. Cos’è questo? Il sintomo di un virus più letale del ‘corona’: il virus dell’ignoran-za. Ignoranza che procede di pari passo con la decisione di ricondurre il virus

incastrata nelle reti globali dei flussi di persone, idee, beni e servizi. Ma anche Bari è dentro la globalizzazione. Il virus è un semplice rivelatore di veri-tà: esiste un mondo intersecato e questo mondo è così, punto. Nessuno riuscirà a far tornare indietro la lancetta dell’o-rologio del mondo. Nessuno potrà con-trapporsi alla crescita dell’integrazione tra mondo e mondo. Nessuno impe-dirà agli esseri umani di continuare a pensarsi come una cosa sola, non come isole infelici. Ci saranno intoppi, certo. Ci saranno ostacoli. Ci saranno oppo-sitori di risme diverse, ma la diffusio-ne del mondo nel mondo prevarrà. Ed anche Bari, a quel punto, potrà vedere aumentati i suoi flussi, i suoi scambi, le sue forze. Ne ha bisogno, perché la città è un po’ seduta su se stessa. La città non attrae diversità. Ecco. Attrarre diversità senza preten-dere di omologarla è la ricetta. Attrarre per creare pluralismo, fa di un territo-rio una qualità democratica: politica ed economica. Dobbiamo far questo, a Bari. Ricevere il mondo e crescere con lui.

Attrarrele diversitàsenzaomologarsi

La paura del coronavirus ha rivelato in modo plateale una grande verità: i popoli del mondo sono interconnessi. Possiamo “solo”integrarci

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proprio vero, il cinema di una vol-ta non esiste più, non solo perché la proposta audiovisiva ha subito muta-zioni di carattere narrativo e tecnico, ma anche perché le sale di proiezione hanno affrontato una trasformazione di carattere rivoluzionario. Così, men-tre cambiano i linguaggi, i ritmi e le strategie di marketing legate alla set-tima arte, allo stesso modo si trasfor-mano quegli spazi che nel ‘900 sono diventati fondamentali nella narrazio-ne per immagini. Ancora una volta il motivo principale è legato alla digita-lizzazione, che non solo ha permesso l’abbandono delle romantiche pellico-le, ma soprattutto ha permesso di am-pliare la proposta delle attività fruibili. Ecco che le sale non sono più deputate alla sola proiezione di film e docu-mentari, ma consentono lo streaming

di grandi eventi, il supporto tecnico per incontri e convegni, l’alternativa a stadi o teatri. A dettare legge, però, resta ancora la distribuzione, che pre-mia inesorabilmente i titoli destinati al grande pubblico, quelli cosiddetti “da cassetta”, che prediligono la risata facile e i sentimentalismi più patetici. Restano invece indietro i film d’autore, le sperimentazioni e le pellicole auda-ci, che se perdono terreno sul grande schermo lo guada-gnano nettamente su Web e smart tv. Eppure, negli scor-si anni, proprio la Puglia è stata deci-samente lungimi-rante attivando il progetto “D’Auto-re”, realizzato dalla Fondazione Apulia Film Commission al fine di valorizza le sale cinemato-grafiche di qualità. Si è dunque prov-veduto alla creazione di un circuito nel quale ciascuna sala poteva ottene-re un contributo massimo di 36.000

euro annuali. Obbligo per gli esercenti era quello di realizzare una program-mazione di qualità, con una selezione composta da almeno il 51% di film italiani ed europei. Nel 2017, però, questo idillio fra cinema d’essai e isti-tuzioni pubbliche si è interrotto, così come non è seguita un’interlocuzione determinante fra Agis, Regione Puglia

e AFC. Da ciò si è poi arrivati alla so-spensione delle at-tività dell’ABC, una delle case storiche del territorio per il grande cinema d’autore, ennesimo effetto di un net-to impoverimento dell’offerta cinema-tografica locale.Ma il cinema, come già detto, non si ferma e l’amplia-mento delle poten-zialità di spettacolo deve ora conciliarsi

con la dura legge della distribuzione. «Oggi le sale devono indirizzarsi su diversi tipi di pubblico», spiega Giulio Dilonardo, Presidente AGIS Puglia e

Cinema: comanda la distribuzione

ÈMICHELECASELLA

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Nella produzione sono cambiate tante cose per effetto dell’ingresso delle nuove tecnologie

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Basilicata e Vicepresidente nazionale ANEC. «C’è la necessità di affiancare il pro-dotto di qualità a quello commerciale - sostiene Dilonardo- così da rendere più sostenibili le attività. Vi è poi da sottolineare un’importante differen-ziazione: se parliamo di grandi città con un cinema monosala, la multipro-grammazione non è consentita, dun-que è più semplice optare per una spe-cializzazione sulla qualità. Se invece parliamo di sale di provincia, questa netta distinzione è ora superata, per-ché nei comuni in cui c’è una sola sala cinematografica è possibile optare per la multiprogrammazione. Sono però dell’opinione che questa opportunità dovrebbe essere estesa a tutte le sale, perché consente anche a piccole realtà di raggiungere più tipologie di pubbli-co».Negli ultimi anni, comunque, tanti sono stati gli investimenti e molte ri-sorse sono servite a ristrutturare e ri-pensare proprio questi luoghi. «In questo biennio il settore ha bene-ficiato di grossi interventi strutturali, a cui però non sono stati affiancati interventi sul sostegno della attività - prosegue Dilonardo - e oggi è errato

pensare che la scelta della program-mazione sia completamente nelle mani degli esercenti. È il mercato a dominare il piazzamento delle copie e se un film è prodotto da una major trova automaticamente più spazio nel-le sale. Si tratta di dinamiche di distri-buzione soverchianti».Ma come combattere l’omologazione imperante che si abbatte sulle possibi-lità di visione? Fra le poche, possibili, soluzioni c’è quella della formazione del pubblico, attività tanto auspicata quanto difficile da realizzare. L’uten-

te non solo deve essere a conoscenza della ricchezza dell’offerta, ma deve essere messo anche nelle condizioni di arrivare alla fruizione di prodotti differenti. «È sempre possibile creare nuovo pubblico attraverso operazioni di audience development, ma questo non può essere lasciato all’iniziativa autonoma dell’impresa - conclude Di-lonardo - e ci deve essere un raccordo fra il mondo della scuola, le istituzioni e le imprese di esercizio, solo così ci potrà essere una vera crescita del set-tore».

La rivoluzione dei multisala ha aumentato le possibilità di visione degli spettatori ma ha reso molto più complessa e competitiva l’attività dei gestori. Ce ne parla Francesco Santalucia, esercente del Multicinema Galleria di Bari e fondatore del consorzio Unici, che oggi raccoglie un importante gruppo di gestori di tutta Italia.Quali sono state le innovazioni più importanti degli ultimi anni nella gestione e nel ripensamento delle sale cinematografiche?Sicuramente l’innovazione più im-portante degli ultimi 30 anni ha ri-guardato l’avvento del digitale, che ha definitivamente sostituito la pellicola. Questo ha prodotto una serie di van-taggi per chi gestisce una struttura, come la possibilità di proiettare nella stessa sala contenuti differenti senza soluzione di continuità. In passato, ad esempio, un cartone animato lo si programmava sempre nella stessa sala, oggi si può opportunamente pro-grammare al pomeriggio in una sala grande e alla sera in una più piccola. Oggi, insomma, si può proiettare qualsiasi cosa, compati-bilmente con il rispetto dei diritti. Ad esempio, l’utente può guardare su grande schermo il contenuto di un cellulare o quel che viene inviato da un satellite. Di conseguenza le sale possono avere utilizzi molteplici, pratici non solo per il cinema ma anche per convegni e presentazioni, trasfor-mando all’occorrenza lo spazio in un palazzetto, un teatro o uno stadio.Gli eventi al cinema hanno ormai un peso significativo nella programmazione? Sono in grado di spostare in maniera importante l’operatività (e il fatturato) degli esercenti?In questo momento gli eventi incidono ancora poco, par-liamo di circa il 3% del fatturato annuo, ma penso vi siano grandi potenzialità di crescita. La gente si interessa sem-pre più a vedere contenuti complementari al cinema, ma soprattutto questi forniscono alle sale il senso di essere al passo coi tempi.Lei è favorevole alla liquidità fra cinema e televisione, in quanto media differenti sia per dinamiche distributive sia per attitudine creativa?Oggi le piattaforme online danno la possibilità di collegarsi

in qualsiasi momento per vedere un film, un evento e tanto altro. Le sale cinematografiche possono affiancarsi a questa offerta sempre più ampia, ma questa sfida non funziona se quel che proiettiamo viene poi programmato sul piccolo

schermo dopo appena 15 giorni. Ad ogni modo sarà il mercato, senza dub-bio, a regolamentare quel che accadrà.Il cinema d’autore sembra essere quello più penalizzato dalla pro-grammazione nelle sale, forse anche per l’ampia scelta delle piattaforme online e per la possibilità di guar-dare i film in lingua originale, lei è d’accordo?La crisi maggiore l’hanno avuta i ci-nema d’essai. Sono proprio i film in-dipendenti e d’autore ad aver risentito della crisi cinematografica, ma la di-minuzione di persone in sala è anche collegata alla nascita delle piattaforme web e della pay-tv. Oggi appena 10 film realizzano addirittura 1/3 degli incassi totali nazionali. A mio pare-re ci sono troppi film che arrivano al cinema, tantissimi anche scadenti, e

sono convinto che questo abbia allontanato lo spettatore più ricercato. Ormai ci sono cinema a Roma e Milano che proiettano film solo in lingua originale, ma al momento per Bari è impossibile.Le associazioni di categoria funzionano ancora? Hanno peso nelle decisioni a livello (non solo) istituzionale?Un po’ tutte le associazioni hanno perso rappresentanza, basta vedere cosa è accaduto ai sindacati e a Confindustria. Io però ci credo ancora, secondo me sono in grado di rag-giungere buoni risultati nell’interlocuzione istituzionale sia a livello locale che nazionale. Inoltre la loro utilità sta anche nei nei rapporti con distributori e produttori. Ormai il mer-cato è sempre più gestito da due grandi gruppi, UCI e The Space, che controllano poco meno del 50% del mercato. Abbiamo perciò deciso di costituire un nostro consorzio, chiamato Unici, che ci sta aiutando a raggiungere impor-tanti traguardi nel marketing e nei rapporti con le distri-buzioni. Unici è stato creato cinque anni fa da esercenti di Torino, Bari, Modena e Bergamo, poi abbiamo coinvolto 30 colleghi sul territorio nazionale e oggi valiamo il 15% del mercato. Il passo successivo sarà quello affiancare le as-sociazioni di categoria.

“IL PIÙ PENALIZZATO? È IL CINEMA D’AUTORE”

Da Francesco Santalucia del “Galleria” la descrizione del “mercato”

FOCU

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Giulio Dilonardo

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Di cosa si tratta? È la possibilità di dare due voti sulla scheda purché riguardanti due candidati di sesso diverso della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza. Nessun terremoto, nessuno sconvolgimento. Si vota già da molti anni con la doppia preferenza di genere nelle elezioni amministrative e in quindici del-le venti regioni. In Puglia ormai da dieci anni la mag-gioranza di centrosinistra ha tutti i voti

necessari per approvare la legge. Eppure nel 2012 il consiglio regionale pugliese affondò con il voto segreto la proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da trentamila firme – il doppio di quelle ne-cessarie - raccolte in tutta la regione dal movimento 50/50. Le donne scesero in piazza e occuparo-

no simbolicamente l’aula del consiglio regionale, ma i consiglieri uomini di cen-trodestra e centrosinistra si misero d’ac-cordo per lo scrutinio segreto e la legge fu bocciata. Qualcuno fece finta di essere dispiaciuto, altri festeggiarono con consi-derazioni e battute stupide e sessiste. La portavoce del movimento 50/50, Magda Terrevoli, ne ricorda alcune: “La Puglia è lunga ed una donna non può percorrere tanti chilometri per raggiungere la sede della Regione”; “in Consiglio regionale i bagni per le donne non sono sufficienti”; “le donne se sono brave riescono”; “nes-suno può avere gratuitamente il posto di consigliere!”. Altri commenti sono irripe-tibili. La resistenza maschile alla doppia prefe-renza di genere non è purtroppo prero-gativa dei consiglieri pugliesi. Qualche mese fa, ad ottobre, la legge è stata boccia-ta anche in Friuli Venezia Giulia, dove la maggioranza è di centrodestra. Insomma, invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia. Con una sola differenza: i consiglieri regionali friulani e giuliani ci hanno messo la faccia, non si sono na-scosti dietro il voto segreto. Quella faccia che invece i componenti dell’assemblea pugliese rischiano di perdere definitiva-mente se la legge non sarà approvata nel-le prossime sedute del consiglio. Stavolta però, a differenza di quanto è accaduto in passato, il movimento 50/50 minaccia un ricorso alla giustizia amministrativa.

UPino Bruno

danni collaterali

Segnalazioni e suggerimenti a:[email protected]

omini che temono le donne. I 45 consiglie-ri regionali della Puglia di sesso maschile hanno paura della legge sulla doppia pre-ferenza di genere. Se fosse approvata, nelle prossime elezioni di giugno il numero di donne elette potrebbe aumentare e mette-re in discussione la virilità dell’assemblea. Oggi gli uomini rappresentano il 90 per cento dei consiglieri e in assemblea le donne sono soltanto 5 su 50, ma eviden-temente soltanto l’idea di essere ridimen-sionati nei numeri manda i consiglieri uscenti nel panico. Quel che accade ormai da troppi anni nel più importante conses-so elettivo della Puglia è sconcertante. Poco importa che si tratti di misoginia, gi-necofobia, angoscia di castrazione o mero opportunismo. La legislatura è agli sgoccioli, mancano pochi mesi al voto per rinnovare consiglio e giunta, e si continua a temporeggiare. Si fa melina per evitare che anche la Puglia adotti la legge sulla doppia preferenza di genere in tempo per l’appuntamento elet-torale di inizio estate.

Alla Regionela maggioranza ha pauradelle donne?

Si parla tanto di parità (soprattutto nella maggioranza) ma la legge sulla doppia preferenza langue. I numeri ci sono, manca la... cultura

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“Dove sta Dino?”All’AnchecinemaVenerdì all’Anchecinema si esibirà Dino Abbrescia con lo spettacolo “Dove sta Dino?” diretto da Susy Laude, compa-gna dell’attore originario di Bari e con la direzione ar-tistica di Luca Parmigiani. Divertente, commuovente, dissacrante, sul pal-co, con inizio alle 21, Dino propone uno spas-soso monologo nel quale ripercorre alcune tappe importanti della sua vita, passando per il teatro, la fatica di inseguire un sogno partendo dal nulla, la fiction, il cinema e la famiglia, tra sogni e panzerotti.Bari, Corso Italia 112Infotel: 329 61122 91

Beppe Braida è Confuso e contentoVenerdì al Teatro Forma, per il terzo appuntamento di “Risol-levante Cabaret Teatro 2020” si esibirà Beppe Braida con il suo nuovo show “Confusi e conten-ti”. Il comico e conduttore (anche presentatore di “Striscia la noti-zia”) dalle 21 circa, con ironia ed esperienza, proporrà al pubblico monologhi e gag sullo smarri-mento della società che, ormai senza punti fermi, si rivolge ad internet per trovare la soluzione alle proprie problematiche.Bari, via Fanelli 206/1Infotel: 345 2682772

a cura di Valter Cirillo

Atomic Bass. Racconti da TohokuSabato alle 21, al Teatro Forma il quar-tetto, composto da Giuseppe Bassi, Javier Girotto, Sumire Kuribayashi e Giovanni Scasciamacchia, con Antonio Moscatello, presenterà il disco “Atomic Bass”. Questo progetto racconta tutti gli eventi che accad-dero e che accadono tutt’oggi a Tohoku, nel distretto di Fukushima, lì dove si consumò la tragedia dello tsunami e dello scoppio della centrale atomica nel 2011. Bari, via Fanelli 206/1Infotel: 080 5018161

Salomè sarà a Bari nel weekendAl Teatro Piccini per tutto il fine settimana (venerdì e sabato alle 21 e domenica alle 18) andrà in scena Sa-lomè di Oscar Wilde, con adattamento e regia di Luca De Fusco. In scena ci saran-no, tra gli altri, Eros Pagni, Gaia Aprea e Anita Barto-lucci.Bari, Corso Vittorio EmanueleInfotel: 080 5212484

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House Devotion al DFSabato, dalle 23, nella discoteca DF di Bisceglie (Bat), sarà proposto un party che vedrà alternarsi in consolle i dj e i vocalist dello staff House Devotion, progetto musicale for-mato da alcuni dei protagonisti delle stagioni del Divinae Folllie nei decenni ’90 e 2000.Bisceglie (Bat), via ponte Lama - Infotel: 328 6180827

Lucio Corsi in OfficinaSabato alle Officine degli Esordi farà tappa il “Cosa faremo da grandi? Il Tour” di Lucio Corsi. Il cantautore toscano, dopo aver fondato un duo musicale a Milano, continua la carriera da solista. Ha all’attivo due CD. Nel 2017 ha aperto i concerti del tour dei Baustelle e di Brunori SAS.Bari, via Crispi 5 – Infotel: 080 5947301

Regalo di Natale al PalazzoAl Teatro Palazzo, domenica alle 21, “Regalo di Natale” ispira-to al film di Pupi Avati. In scena Giovanni Esposito, Gigio Al-berti, Fulvio Pepe, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase. Regia: Marcello Cotugno; adattamento teatrale: Sergio Pierattini.Bari, Corso Sonnino 142 D – Infotel: 366 1916284

Una festa per gli amiciSabato al Kabuki si terrà il party “Off – Only for friends”. Durante questo appuntamento, a partire dalle 23, si dan-zerà con le selezioni musicali proposte dal dj Cicco Db, accompagnato dal vocalist Diony.Bari, piazzetta dei Frati Cappuccini 1 – Infotel: 346 6485178

V.A. Funkool! Al DexterDomenica al Dexter si esibisce il gruppo V.A. Funkool, composto da Elio Arcieri in voce, Fabio Delle Foglie alla batteria, Gianluca Fraccalvieri al basso, Vincenzo Gentile alle tastiere e Nico Gentile alla chitarra.Bari, via Giulio Petroni 127/A – Infotel: 335 7809055

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Dal Dirigente scolastico dell’Istituto Euclide-Caracciolo di Bari, Prof.ssa Giovanna De Giglio, abbiamo ricevuto una richiesta di rettifica con riferimen-to all’articolo pubblicato da Epolis Bari nella rubrica “Scortesemente” a firma di Gianni Spinelli intitolato: “Promuo-vere le scuole? Siamo in…..alto mare”. Di seguito pubblichiamo le precisazioni ricevute.

“La crociera messa in palio dalla scuo-la (tra l’altro non la classica crociera bensì attività di navigazione mirata ad apprendimenti didattici), non è fina-lizzata ad un vuoto divertimento o ad una vacanza, ma all’approfondimento, sotto un profilo teorico-pratico, di di-versi peculiari argomenti delle materie di studio dell’Istituto. Per di più negli anni scorsi alcuni nuovi alunni iscritti all’indirizzo aeronautico hanno benefi-ciato di una iniziativa di volo gratuita da usufruire nel corso dell’anno duran-te l’orientamento, poiché consona alla

scelta dell’indirizzo.In detta scuola, tra gli indirizzi attivati, vi sono il “Nautico” e “l’Aeronautico”, indirizzi rientranti “nel novero ufficiale del Ministero”, e proprio all’indirizzo Nautico è connessa l’iniziativa adottata.Infatti, il premio consiste in una mini-crociera di quattro giorni, di cui due giorni di navigazione, con laboratori didattici e momenti culturali, e un paio di pernottamenti nella città di Barcel-lona che presenta indubbi interessi storici, artistici e culturali. Il vincitore a bordo della nave potrà accedere alla sala macchine e partecipare ai labora-tori previsti ed organizzati. Si tratta di una iniziativa consona ai nostri futuri studenti che tra i nostri indirizzi posso-no scegliere anche tra Nautico ed Aero-nautico. Inoltre, nei percorsi PCTO che la scuola pianifica per i propri studen-ti l’esperienza della vita a bordo della nave è sempre privilegiata e ritenuta opportuna per gli iscritti all’indirizzo nautico. Nulla quindi che esuli dall’of-

ferta formativa dell’Istituto che pre-siedo. Abbiamo preferito, nell’ambito dell’autonomia scolastica, offrire una esperienza concreta di apprendimen-to in situazione perfettamente in linea con i nostri indirizzi e con la norma-tiva scolastica che ha istituito l’alter-nanza scuola lavoro come obbligatoria, oggi ribattezzata PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamen-to).D’altronde, si precisa che dall’inizio dell’anno scolastico l’Istituto Euclide ha ottenuto premi e riconoscimenti, come per esempio il 2° premio della Came-ra di Commercio di Bari per “Storie di Alternanza” e segnalazioni di merito per i prototipi realizzati dagli studenti dell’indirizzo aeronautico.Devo inoltre aggiungere che quest’an-no non soltanto non si è verificato un calo di iscrizioni, ma si è registrato un notevole incremento.”

La DirigenteProf.ssa Giovanna De Giglio

L’Istituto Euclide Caracciolo di Bari ci scrive

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