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OMINIZZAZIONE, ETOLOGIA ED EVOLUZIONE NEL … · alla società il suo carattere complesso e vivo di...

Date post: 16-Feb-2019
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Studi Umanistici Corso di Laurea Triennale in Filosofia OMINIZZAZIONE, ETOLOGIA ED EVOLUZIONE NEL PENSIERO DI RENÉ GIRARD Relatore : Prof. Gianfranco MORMINO Elaborato finale di: Lorenzo BERTOLESI Matricola n. 775986 Anno Accademico 2012 – 2013
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

Facoltà di Studi Umanistici

Corso di Laurea Triennale in Filosofia

OMINIZZAZIONE, ETOLOGIA ED EVOLUZIONE

NEL PENSIERO DI RENÉ GIRARD

Relatore : Prof. Gianfranco MORMINO

Elaborato finale di:

Lorenzo BERTOLESI

Matricola n. 775986

Anno Accademico 2012 – 2013

«Credo che potrei voltare la schiena e andare a vivere con gli animali, sono così placidi e contenti,

Mi fermo e li contemplo per ore e ore. [..]

Essi mi rivelano i loro rapporti con me e io li accetto,Mi recano testimonianze di me, e dimostrano chiaramente

che le hanno in loro possesso.

Mi chiedo dove mai abbiano raccolto queste testimonianze,Forse anch'io sono passato da quelle parti, tempi infiniti or

sono, e con negligenza le ho lasciate cadere?

Per conto mio, avanzando allora, ora, sempreRaccogliendo e rivelando sempre più,con velocità sempre

maggiore,Infinito e onnigeno, loro simile tra le varie specie,

Non troppo sdegnoso verso quelli che ostentano i miei ricordi,Ne scelgo uno che amo, col quale m'avvio come con un fratello»

Non so da dove hanno preso quei segni, Io senza saperlo potrei essere passato per quella via secoli fa e averli

negligentemente lasciati cadere, Nel mio muovermi in avanti allora, ora e sempre,

Raccogliendone e mostrandone altri, senza sosta e velocemente,

Infinito e onnigeno e simile, a loro, Senza troppo discriminare chi somiglia a quelli che mi somigliano,

Scegliendo qui qualcuno che amo, scegliendo di andare con lui come un fratello

(W. Whitman, Il canto di me stesso 32)

«il disordine (condotte casuali, competizioni, conflitti) è ambiguo: è da una parte uno degli elementi costitutivi

dell'ordine sociale (varietà, differenziazione, elasticità, complessità), ma d'altra parte resta nello stesso tempo

disordine, cioè minaccia di disintegrazione. Qui, di nuovo, la minaccia costante che il disordine mantiene è ciò che dà

alla società il suo carattere complesso e vivo di riorganizzazione permanente».

(E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p. 45).

1

Indice:

Introduzione...................................................................................................3

1. Il processo di ominizzazione: ricostruzione dell'ipotesi di René Girard...91.1 Uno sguardo al passato........................................................................................91.2 Capro espiatorio e salvezza umana....................................................................191.3 Contrattualismo: un'ipotesi poco verosimile.....................................................24

2. Etologia..........................................................................................................282.1 Mimetismo e Violenza: Girard e l'etologia........................................................282.2 Risoluzione attraverso il capro espiatorio: ri-direzione dell'aggressività e legame......................................................................................................................482.3 Questione di mimetismo....................................................................................59

3. Evoluzione, Ominizzazione e Teoria Mimetica..........................................633.1 Evolution Theory , Mimetic Theory: due teorie a confronto..............................633.2 Religione, Cultura e selezione di gruppo...........................................................703.3 Evoluzione e Sistemi Auto-organizzatori...........................................................80

4. Istituzioni sociali nate dal meccanismo vittimario....................................894.1 Il significante trascendentale.............................................................................904.2 Divieti e Riti.......................................................................................................954.3 Domesticazione ed agricoltura........................................................................1024.4 Regalità............................................................................................................106

Conclusione.................................................................................................109

2

Introduzione

La varietà culturale, le diverse abitudini ed i bizzarri rituali – tipici di ogni società –

affascinano da sempre moltissimi pensatori, viaggiatori ed osservatori, i quali non possono

redimersi dal riflettere sulla differenza culturale; si pensi ad Erodoto che – nelle sue Storie

– ci narra dello stupore che i Greci mostrarono nei confronti delle abitudini funebri degli

Indiani, e viceversa1; anche Montaigne muove la sua sottile attenzione su tale tema,

facendo notare lo strano comportamento dell'europeo 'civilizzato' che – agli occhi del

'selvaggio' – pone i suoi escrementi nasali all'interno di un lembo di stoffa pregiata,

portandosela appresso tutto il giorno. Questo medesimo interesse si concretizzerò con la

nascita dell'antropologia culturale, disciplina nata con l'ambizioso compito di studiare in

modo programmatico le diverse culture mondiali; tale indagine, guardando al particolare,

non dimenticava certo il generale, ed è per questo che la ricerca sul campo era condita con

una fine ricerca teorica e speculativa: le culture si presentavano molto diverse, ma – in

fondo – all'orizzonte si stagliavano delle 'regolarità', dei fenomeni universali, all'insegna

dei quali si poteva ipotizzare e, poi, declamare una pagliuzza, un singolo aspetto o rituale,

dal quale divampò la cultura umana (si pensi alla proibizione dell'incesto o la regole

dell'esogamia). Ben presto, però, l'antropologia abbandonò questo atteggiamento teorico, a

causa dell'incapacità esplicativa delle teorie elaborate; questioni quali l'origine delle forme

culturali, delle credenze religiose e dei riti ad esse associati, vennero accantonate e questo

generò nuovi interessi e nuove riflessioni. Una delle problematiche maggiori era il

problema della religione, il cui ruolo e funzione rimasero a lungo incomprese, o peggio : gli

atteggiamenti superstiziosi che la caratterizzavano, finirono per stigmatizzare l'immagine

della religione come irrazionalità e falsità. La rinuncia a tentare di comprendere queste

istituzioni non fu però universale, e tra le diverse teorie che tentano di sgrovigliare la

matassa culturale spiccano i testi di Girard.

Ispirato dalla teorizzazione del desiderio mimetico, Girard s'immerge totalmente

nella questione antropologica, donando al pubblico una rivoluzionaria lettura del concetto

di sacro, di rito ed in generale del concetto di Cultura; la domanda che guida la riflessione

1 «Una volta Dario, durante il suo regno, convocò i Greci del suo seguito e chiese loro per quale somma avrebbero accettato di cibarsi dei cadaveri dei loro padri morti; ed essi risposero che non lo avrebbero fatto mai, per nessuna somma. Subito dopo Dario chiamò degli Indiani, della tribù dei Callati, tribù in cui si usa cibarsi dei propri genitori, e domandò loro, in presenza dei Greci (che potevano seguire i discorsi grazie a un interprete), per quale somma avrebbero acconsentito a cremare sul rogo i loro padri; ed essi protestarono a gran voce invitando Dario a non dire empietà. Le usanze sono usanze, c’è poco da fare, e a me sembra che Pindaro l’abbia espresso molto bene dicendo: “La tradizione è regina del mondo”» (Erodoto, Storie, III, 38).

3

girardiana (in queste opere antropologiche) è questa: «Perchè la credenza nel sacro? Perchè

ovunque riti e divieti, perchè non vi è mai stato un ordine sociale, prima del nostro, che non

appaia dominato da una entità soprannaturale?»2. Ne La Violenza ed il sacro viene espressa

la teoria del capro espiatorio, idea molto semplice, chiara e per questo sovente imputata di

riduzionismo e fantasia: questa fu la mia stessa opinione la prima volta che ne sentii

parlare; le difficoltà che suscitava, le problematiche così complesse che riusciva a

sbrogliare così facilmente mi spronarono ad affrontare i diversi testi del 'critico letterario'

con un atteggiamento di radicale scetticismo: fu così che venni folgorato, e dovetti

ricredermi. Girard propone un'ipotesi di una coerenza e di un interesse sorprendente, la cui

efficacia trova spesso delle conferme; non intendo qui sostenere che la teoria mimetica sia

al cento per cento esatta, soprattutto per la strutturazione 'generale' che Girard ne da: molti

problemi sono da risolvere, molte difficoltà sono ancora all'orizzonte; è però una realtà –

credo innegabile – che l'argomentazione mimetica sia una fonte proficua di spunti e

intuizioni forti, utili per comprendere attentamente i nostri desideri ed i nostri

comportamenti; molti sforzi e molti pensatori dall'estrazioni accademiche più diverse

s'interessano alla teoria mimetica, confrontandosi a fondo con le sconvolgenti intuizioni del

suo teorico; tale ipotesi trova feconde applicazioni in antropologia, in psicologia ed in

molte altre discipline. René Girard propone una rilettura della Cultura e delle religioni

arcaiche davvero affascinante, che influenza totalmente il nostro modo di affrontare i

problemi classici dell'antropologia, e non solo: la rilettura che da dei grandi romanzieri

europei e dei maestri della tragedia greca, costringe il lettore ad un cambio di 'occhiali da

lettura', consegnandoci testi il cui nuovo significato – da lui scovato – determina il crollo di

tutto quello che credevamo di sapere su opere che pensavamo aver esaurito.

Con l'individuazione del meccanismo vittimario Girard crede di aver portato alla

luce non solo una semplice ipotesi, ma una vera e propria teoria della Cultura (dunque del

religioso) la quale po' considerarsi la vera realtà universalmente antropologica. Detta

ipotesi – ampliata in Delle Cose nascoste sin dalla fondazione del mondo – si presenta

dunque come una lente ermeneutica delle realtà sociali umani, capace di rendere conto in

modo coerente e – come dice Girard – 'scientifico' di quella particolare specie che

possiamo definire homo religiosus: nutrendosi dello studio dei rituali religiosi e delle opere

mitologiche, l'autore ha l'ambizioso compito di sgrovigliare la complessa realtà umana,

rispondendo ad una delle questione più titaniche riguardanti l'origine della cultura, ed in

fondo, dell'uomo stesso. Molto fiducioso ed audace, Girard si spinge oltre la soglia della

2 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., pp. 17-18.

4

storia documentata, gettandosi in un passato ancestrale, nel quale uomo ed animale

vivevano uno fianco all'altro, proprio come fece Rousseau quando – immerso nelle

boscaglie francesi – elaborò il celebre Discorso sulla Disuguaglianza; Girard è molto

ardito nelle sue ricerche e nelle sue speculazioni, ed è per questo motivo che fui molto

colpito dalla sua ipotesi dell'ominizzazione: un'ipotesi appena abbozzata ma che,

nonostante le diverse lacune, si presenta estremamente efficace e disarmante, in grado di

superare il fugace affresco lasciato da Freud in Totem e Tabù; la questione

dell'ominizzazione è d'importanza capitale, proprio perché è solo sapendo da dove siamo

partiti che possiamo davvero capire totalmente dove (e come) andare o più semplicemente

in che modo poter affrontare i problemi che via via la nostra società sviluppa; ogni riforma

sociale o personale (possibile e non utopiche), ogni discorso teorico sulla nostra Cultura,

sul rapporto con il pianeta e gli altri esseri viventi che lo abitano, trova la sua marcia

iniziale nella scoperta delle nostre origini.

Cosa vi è di davvero fondamentale nella risposta che da Girard a tale questione? La

superiorità dell'ipotesi di Girard si rivela nella ricostruzione di stampo biologico-

evoluzionistico: se davvero si vuole rendere conto dell'uomo e della nascita della cultura,

tale atteggiamento non può essere ignorato, come invece spesso avviene. Non si deve

stabilire una cesura tra le diverse discipline, affermando la totale superiorità dell'uomo e

delle sue costruzioni culturali; dobbiamo invece glorificare la teoria darwiniana e la

potenza esplicativa che essa presenta, e – per ricostruire il percorso fatto dai nostri antenati

– non ci si può sottrarre a questo paradigma; ecco perchè l'inevitabile confronto con

l'etologia innalza notevolmente l'ipotesi girardiana: l'uomo è un animale, ed in quanto tale

deve essere concepito; attuando un lavoro di osservazioni comparate, molto si può capire,

sia su di noi sia sul resto dei viventi. Il nostro pensatore getta così un veloce affresco

dell'ancestrale svolgimento degli eventi che hanno portato un particolare insieme di gruppi

pre-umani a sviluppare la genesi di tutte le forme culturali, fornendo un'interessante ipotesi

della nascita della Cultura e, di conseguenza, dell'uomo, riuscendo – nel contempo – a

conciliare gli aspetti etologici – negando dunque qualsivoglia falsa specificità umana – ed

inscrivendo tutto in una cornice evoluzionistica, creando in questo senso una 'teoria

darwiniana della cultura umana'. Il rapporto con l'etologia apre un interessante spiraglio per

comprendere la posizione dell'uomo nel mondo: la teoria dell'ominizzazione di Girard, se

inscritta a dovere nella teoria darwiniana, muove di fatto una critica implicita alle teorie

antropocentriche, muovendo dalla convinzione che quelle che possono essere definite

'peculiarità' dell'umanità nascono sul terreno comune che riunisce tutti i viventi: il concetto

5

di mimesis è il terreno fertile su cui ogni vivente cammina, la prova evidente che non esiste

alcun tipo di differenza essenziale tra l'uomo ed altri animali, contrariamente a molte

presunzioni che da sempre l'umanità si auto-proclama3; seguendo tale argomentazione fino

in fondo, possiamo notare come Girard traccia il percorso dell'umanità come una semplice

evoluzione lineare, che – basandosi su determinate condizioni fisiologiche – ha condotto

l'uomo a doversi dotare di un determinato sistema culturale e simbolico, pena l'estinzione:

tale sistema simbolico, sviscerato fino in fondo, non è nient'altro che un gioco di equilibri,

gerarchie ed ordine che ha condotto l'uomo a sviluppare quello che viene presentata da

Girard come la soglia del simbolico, baluardo delle conquiste culturali umane. Proprio in

quest'ultimo frangente, si può notare una tensione nelle riflessioni girardiane: attraverso

detta ipotesi, infatti, Girard definisce la nascita del simbolico come un'inevitabile punto di

discontinuità, di rottura: «Gli etologi insistono troppo sulle radici comuni e non vedono il

salto fondamentale (se vogliamo evitare di dire rottura) tra cultura umana e comportamento

animale, causato dall'emergere della sfera simbolica»4. E' interessante notare come tale

divario non è un punto di partenza, quanto piuttosto un risultato selettivo nato

dall'eccessiva violenza intra-specifica dilagante all'interno delle società pre-umane; è

attraverso il meccanismo del capro espiatorio che dal livello simbolico è riuscito ad

emergere, attraverso – in primo luogo – il linguaggio: «per avere un potere simbolico è

necessario trovare una fonte esterna che abbia forzato il linguaggio a emergere, che abbia

costretto i primati a sviluppare una forma simbolica sofisticata e a mio modo di vedere

questa fonte è il meccanismo del capro espiatorio»5. Dalle premesse di partenza, che di

fatto ponevano una visione non antropocentrica ed 'egualitaria', tale valutazione

dell'emergenza del simbolico definisce la situazione umana quasi come, appunto, una

rottura: sebbene impossibile da cancellare, tale tensione è presente nell'ipotesi

sull'ominizzazione, ma nonostante ciò, mantiene un notevole interesse proprio nel suo

costante confronto con l'etologia, che permette lo spunto di una riflessione fondata sul

rifiuto di leggere il mondo attraverso una filosofia fondata sull'esistenza di una 'scala

dell'essere'.

Purtroppo, non è tutto oro quello che luccica: se è vero che Girard tenta di riunire in

un'unica teoria diverse discipline, molte ne rimangono accantonante; se davvero si vuole

comprendere come l'uomo è comparso, molte altre discipline e molte altre osservazioni

3 Questo non identifica Girard come un critico dell'antropocentrismo, tutt'altro: tuttavia, radicalizzando alcune sue intuizioni, penso sia possibile identificare queste riflessioni per meglio posizionare l'uomo all'interno del mondo.

4 R. Girard, Origine della Cultura, cit., p. 73.5 Ivi, p. 74.

6

devono essere ancora fatte; la strada per la soluzione definitiva è ancora lontana.

Questo non vuol dire confutare l'ipotesi di Girard, ma neanche confermarla; la sua

ricostruzione, fondata sul desiderio mimetico e sul meccanismo del capro espiatorio, può

dimostrare alcune lacune archeologiche, ecologiche ecc, ma è innegabilmente un'ipotesi

feconda di intuizioni, suggestioni e lampi di genio; il ruolo riconosciuto alla religione ed il

suo legame con la società: fulcro dell'ipotesi di Girard, questo legame riflette un modo

veramente innovativo di capire le dinamiche umane e le loro evoluzioni: tra le molte teorie

della genesi umana, raramente ci si sofferma sulle dinamiche sociali ed interrelazionali,

preferendo una descrizione dell'aumento cerebrale e linguistico; a colpire il lettore è

l'aspetto strettamente sociologico che Girard ha in mente, in quanto consegna la genesi

dell'umanità, della cultura e della religione a delle dinamiche sociali e collettive,

comprendendo aspetti ecologici e 'tecnologici': la religione è un fattore contingente, il cui

ruolo è facilmente riconoscibile in termini di adattamento e non in termini di 'rivelazione',

'tendenza psicologica infantile'; altro aspetto forte, e per questo molto criticato –

specialmente dall'etnologia – è la convinzione ('darwiniana' se così possiamo dire) di poter

identificare un'unica matrice comune per tutte le culture umane, nate da un unico e

medesimo meccanismo: per quanto teoricamente ingenuo possa sembrare, è un tentativo

che riesce a cogliere nel segno, conferendo alla teoria di Girard grande forza.

Per questo motivo, ho deciso di affrontare le riflessioni sull'ominizzazione, tentando

di mettere alla prova e di valutare ciò che dell'ipotesi di Girard era solo abbozzato, non

completamente teorizzato: molto è cambiato nell'etologia e – soprattutto – nello studio dei

primati; per questo motivo ho tentato di confrontare le ipotesi di Girard con le osservazioni

compiute da diversi studiosi dei nostri simili, la cui complessità sociale risulta affascinante

ed illuminante. In secondo luogo, l'aspetto evolutivo che l'ipotesi presenta non viene mai

studiato ed esplicato del tutto; la sua riflessione intorno alla selezione di gruppo, si presenta

lacunoso, ma non è tutto: sotto la guida delle riflessioni di Morin, ho tentato di descrivere

in modo esaustivo la struttura formale e implicita dell'ipotesi di Girard, inscrivendola in

un'ottica neo-darwiniana: seguendo questa strada possiamo compiere una rilettura

complessiva delle dinamiche descritte da Girard (crisi mimetiche e nuovo ordine generato)

il cui andamento si ritrova in gran parte dei sistemi viventi. Riprendendo le teorie della

complessità e dell'auto-organizzazione, la ricostruzione girardiana è in grado di presentarsi

come un ulteriore strumento di comprensione sociale, in grado di giustificare appieno le

dinamiche più difficilmente accettabili, tra cui spicca l'idea di crisi come fondante di un

nuovo ordine. Per concludere, ho ripreso la ricostruzione che Girard fa – in Delle cose

7

nascoste – dell'evoluzione delle diverse istanze culturali 'universali' come il rito, il divieto,

ecc, muovendo dal meccanismo vittimario, concludendo il quadro dell'origine della cultura

e della sua evoluzione: un unico grande principio in grado di abbracciare l'enorme

variabilità culturale umana.

Questo studio, si presenta dunque come una prova, un tentativo di verificare e

comprendere realmente un'ipotesi teorica che difficilmente può essere verificata o

falsificata; non vuole definire l'assoluta esattezza di detta ipotesi, ma tenta di valutarne gli

aspetti audaci ma per questo degni di nota, specialmente il legame con l'evoluzione e

l'etologia; detto questo, sono convinto che – se non di verità si vuole parlare – nelle opere

di Girard si presenta una forza argomentativa ed una potenza esplicativa davvero

affascinante e folgorante, tanto da non poter essere ignorata.

8

I

Il processo di ominizzazione: ricostruzione dell'ipotesi di René Girard

1.1 – Uno sguardo al passato

Nel tentare una delucidazione del processo graduale che ha condotto alla nascita

dell'umano, sviluppatosi da gruppi pre-umani ancora privi di una cultura, dobbiamo

necessariamente osservare quali siano quei fattori peculiari della nostra specie: infatti,

partendo da semplici elementi contingenti, Girard tenta un'esplicazione della possibile

modalità di evoluzione che ha casualmente condotto l'umanità a doversi dotare di un

sistema culturale, a convivere in complesse società – dotate di rituali, divieti, istituzioni e,

dunque, di una religione – e tutto ciò che questo comporta. Dobbiamo dunque compiere

uno sforzo mentale, nel tentativo di focalizzare un momento più che remoto, con in mano

solo poche informazioni e congetture derivanti dall'archeologia, dall'etologia e, perché no,

dalle sottili intuizioni che le scienze umane possono darci.

Per comprendere come l'uomo si è evoluto e differenziato, Girard compie una serie

di osservazioni su diversi fattori strettamente fisico-biologici e sociali. Inoltre, può essere

molto proficuo un confronto con il mondo animale: evidentemente, furono determinate

caratteristiche – puramente casuali – che portarono alla nascita della cultura, evento che

dev'essere ricostruito in una prospettiva evolutiva, non finalistico-antropocentrica: i divieti

– pietre angolari della cultura – non sono stati consegnati all'uomo come dono, come le

tavole dei comandamenti mosaici. In questa prospettiva, l'origine della cultura va pensata

come la manifestazione di un elemento puramente casuale, la cui comparsa ha permesso

una maggiore fitness del genere umano, dimostrandosi come un fattore in grado di

orientare i gruppi pre-umani ad un modello di vita particolarmente innovativo e fecondo.

Diversi fattori dovettero caratterizzare quel particolare 'proto-umano', la cui

differenza con il resto dei primati era difficilmente reperibile: oltre all'elevata grandezza

del cervello, si deve considerare il lungo periodo di svezzamento del neonato umano, il

problema della sessualità permanente e quello dell'aggressività crescente, minaccia la cui

gravità aumentò di pari passo con attività quali la caccia, una forma elementare di guerra

oltre che all'utilizzo di armi rudimentali, ma comunque efficaci nel loro compito. Tentiamo

di tratteggiare, sulla scorta di Girard, le diverse tipicità umane, semplici elementi che

9

dovettero portare allo sviluppo della cultura come ad un insieme di divieti e riti senza i

quali l'uomo non avrebbe potuto sopravvivere.

Osservando la nascita di un cucciolo di antilope, ad esempio, ci sorprendiamo delle

abilità che esso immediatamente dimostra, in primis la capacità di camminare – più o

meno abilmente. Questo stupore deriva dal confronto con una delle caratteristiche

fondamentali della specie umana, e cioè la terribile debolezza del neonato: di fronte

all'antilope ogni 'cucciolo d'uomo' sembra tremendamente privo di ogni capacità: «Il peso

delle cure verso i figli nello scimmione nudo è molto più grave che in qualunque altra

specie vivente»6; ne consegue che, proprio come nei primati, prima che il neonato diventi

autonomo, sono indispensabili lunghi periodi, ed è Girard stesso che osserva in modo

perspicace: «Rispetto alla prole degli altri mammiferi il neonato umano è più vulnerabile e

debole, e lo rimane per un periodo di tempo estremamente lungo, più lungo relativamente a

quanto avviene nel regno animale»7.

Durante questo periodo, per permettere lo sviluppo completo del notevole cervello

umano, sono stati inevitabili dei moduli di comportamento 'sociali' che, non solo hanno

permesso alla femmina di poter nutrire ed accudire il neonato, ma che hanno portato la

collaborazione del maschio8; abbiamo di fronte un processo di co-implicazione e di

reciproco aumento della complessità, sia del cervello che della struttura sociale: entrambi i

fattori non fanno altro che fomentarsi a vicenda, portando ad un continuo accrescimento

reciproco, per cui da un lato l'evoluzione cerebrale dell'infante è resa possibile da una

precisa organizzazione sociale, la quale permette una sempre maggiore crescita

intellettuale9. Dobbiamo dunque tentare di immaginare dei veri e propri proto-umani che,

viventi in piccoli gruppi10 (società,branchi), collaborarono per permettere la sopravvivenza

6 D. Morris, Lo scimmione nudo, cit., p. 109. L'intero capitolo III si occupa dell'allevamento della prole nello scimmione nudo; in esso, vengono riportati diverse osservazioni utili per comprendere la caratteristiche dell'uomo anche in questo campo, e fra le diverse annotazioni, l'autore da molto peso all'imitazione, atteggiamento che sembra fondamentale e d'intensità elevata nell'uomo: «la prole impara rapidamente per mezzo dell'imitazione, processo che nella maggior parte dei mammiferi è relativamente poco sviluppato, mentre nella nostra razza è splendidamente approfondito e perfezionato» (Cfr. Ivi., p.134).

7 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 111. 8 Con questo non vorrei intendere collaborazione in termini matrimoniali: il modello basilare dovette essere

lontano da quello famigliare; la collaborazione maschile deve essere intesa in termini sociali e comunitari: per questo motivo sia i gruppi di scimpanzé sia le comunità dei bonobo offrono spunti interessanti.

9 Morin parla infatti di 'giovanilizzazione' nel caso dell'uomo: «Di conseguenza, il processo di evoluzione biologica dell'ominide è di carattere neotenico, cioè il rallentamento dello sviluppo ontogenetico tende a conservare nell'adulto i caratteri infantili o giovanili, e anche a lasciare il processo incompiuto» (Cfr. E. Morin, Il paradigma perduto, cit., 86). Dello stesso parere è Morris, secondo il quale la nudità dell'uomo si basa – anche ma non solo – sulla neotenia.

10 Della stessa idea è Darwin: «Giudicando dalle abitudini dei selvaggi e dal maggior numero dei quadrumani, gli uomini primitivi e anche i loro progenitori somiglianti alle scimmie, probabilmente vissero in società». (Cfr. C. Darwin, L'origine dell'uomo, cit., p. 66).

10

della prole e, di conseguenza, dell'intero branco: questa situazione, lungi dal postulare una

famiglia tradizionalmente intesa, può essere confermata dall'osservazione delle scimmie

antropomorfe, un'utilissima finestra per comprendere le nostre origini. Molte osservazioni

mostrano come, sia nel caso degli scimpanzé che nel caso dei bonobo (ma anche nel caso

dei babbuini) siano assenti forme familiari composte da madre-padre-prole: se il legame

madre/figlio risulta notevolmente forte e prolungato11, non possiamo giungere ad affermare

che la famiglia sia una 'forma originaria', almeno non per noi esseri umani.

Dall'osservazione dei nostri cugini sulla scala evolutiva, siamo portati ad dipingere l'uomo

primitivo vivente in grandi gruppi sociali, governati da dinamiche interne e già 'politiche',

nonostante la famiglia non fosse ancora sorta12.

Pensando in questi termini, dobbiamo già accantonare l'ipotesi che Rousseau

elabora nel celebre Discorso sulle origine della disuguaglianza, nel quale viene presentato

l'uomo naturale, un animale solitario che, vagando per la foresta, riusciva a sopravvivere

grazie alla sua perfettibilità e alla sua capacità di adattamento. Proprio questo testo, però,

ci permette di identificare una questione rilevante: la risoluzione dei conflitti tra questi

uomini; durante un ipotetico incontro di questi animali solitari, era possibile la ricaduta in

un conflitto a causa di diversi motivi, uno dei quali poteva essere il nutrimento: di fronte

ad un esemplare estremamente minaccioso ed imponente, la paura della sconfitta era

abbastanza forte da portare l'altro esemplare a scansare agilmente la lotta, semplicemente

con «venti passi dentro la foresta»13.

Questa valida ed interessante soluzione pacifica è purtroppo inattuabile in una

situazione di vita 'associata', sia che si tratti di umani che di animali, soprattutto se teniamo

conto delle riflessioni girardiane sua forza attrattiva che il desiderio mimetico comporta;

inoltre in un gruppo dove ogni membro costituisce – si presuppone – una risorsa

11 Frans de Waal, criticando Lévi-Strauss arriva a dimostrare che i casi di accoppiamento incestuoso tra madre/figlio siano rarissimi nei primati da lui studiati; non solo: proprio il legame affettivo che lega la madre alla sua prole viene considerato come il fondamentale processo che portò alla formazione dell'empatia. (Cfr. Frans de Waal, Il bonobo e l'ateo, cit., pp. 89-90).

12 Il legame rapporto sessuale – fecondazione non dovette essere facilmente comprensibile, almeno in tempi remoti come questi; per questo motivo credo sia possibile criticare tutte le ricostruzioni basate sul legame madre-padre-figlio, in quanto viziate da un'immagine già evoluta dell'umanità: un esempio di questa concezione si trova in Morris, che ne La scimmia nuda postula la sessualità 'monogama' come la via che condusse ogni uomo a formare una famiglia (Cfr. La scimmia nuda, cit., pp. 67-69.). Una diversa ipotesi sul legame sociale si trova in Le scimmie cacciatrici: presso i primati si osserva diffusamente la capacità di manipolazione femminile, le quali contratterebbero le prestazioni sessuali in cambio dell'ottenimento della carne,e dunque di un nutrimento ambitissimo: «Di solito, nelle società di primati umano e non umani, i maschi procurano la carne e poi cercano di usarla per manipolare o controllare le femmine» (Cfr. Le scimmie cacciatrici, cit., p. 18).

13 Jean-Jacques Rousseau, Origine della disuguaglianza, cit., pp. 69-70.

11

fondamentale per la sopravvivenza della prole e del gruppo stesso, il conflitto non può

risolversi con la dissoluzione della comunità stessa: come in un branco, è chiaro che la

convivenza comporti una serie di moduli comportamentali che istituiscano una gerarchia,

permettendo il controllo di determinanti atteggiamenti.

Ci si pone di fronte il grande problema di questi gruppi: nelle diverse forme di

società animali (umani e non) i conflitti sono delle realtà innegabili; pensiamo al periodo

dell'accoppiamento, durante il quale gli scontri tra gli esemplari maschi aumentano

notevolmente: in un dato scenario, il controllo dell'aggressività è un fattore fondamentale.

Non si deve commettere un errore importante, postulando la capacità – negli animali come

in noi – di salvaguardare determinati individui del gruppo da una possibile aggressione:

Lorenz, nelle sue osservazioni nota che la pulsione aggressiva esplode unicamente tra

animali della stessa specie14: quando un predatore azzanna la preda per sfamarsi, non

mostra nessuna modificazione fisica riconducibile all'aggressività; anche nella difesa della

prole o del cibo, i segni che denotano aggressività non sono così marcati come nel caso

della lotta tra maschi per il possesso della donna o del territorio. Lorenz mette sugli occhi

di tutti una verità che non sempre appare tale : la maggiore violenza , in tutti gli animali è

intraspecifica ed è questo l'enorme problema che, nell'ipotesi girardiana, si affaccia fin da

subito.

Se il vero problema è il controllo dell'aggressività, per sopravvivere ogni gruppo ed

ogni società, deve necessariamente far fronte ad una minaccia del genere; nel caso degli

animali 'superiori' la soluzione, osservata dagli etologi, sfocia in modelli comportamentali

definiti dominance patterns: quando tra due esemplari dilaga lo scontro, il vincitore –

grazie a delle inibizioni istintuali – non uccide lo sconfitto, ma lo lascia allontanare;

quest'ultimo però, accetta la sottomissione, lasciando al vincitore il podio di maschio alfa,

posizione che garantisce delle priorità notevoli. Questa rudimentale società è pervasa da

una precisa gerarchia, che raramente viene turbata.

I dominance patterns devono considerarsi inattuabili nella realtà pre-umana, e ciò a

causa di diversi fattori che contribuiscono al dilagare inarrestabile del conflitto: se molti

primati sono «tranquilli onnivori»15 non altrettanto possiamo dire per i gruppi dei nostri

antenati.

14 Lorenz scrive: « l'aggressività intra-specifica, l'aggressività nel vero e stretto senso della parola». (Cfr. K. Lorenz, L'aggressività ,cit., pp. 65-66).

15 R. Girard, Delle cose nascoste , cit., p. 112.

12

La minaccia della violenza, viene acuita anche da fattori rilevanti: la caccia e la

guerra tra i primi gruppi umani:

«I nostri progenitori [..] sono divenuti molto presto, durante il processo di ominizzazione, carnivori e cacciatori. Nel parossismo della caccia, sono necessarie delle forti scariche di adrenalina, che possono anche verificarsi in altri momenti, in seno al gruppo famigliare»16.

Il problema della violenza intraspecifica, o meglio del controllo della violenza,

appare estremamente complesso a causa sia della caccia, sia – e soprattutto – dalla

guerra17 che scorreva – in modo estremamente rudimentale – tra gli uomini primitivi: essa

«si sviluppa in maniera evidente tra gruppi molto vicini, ossia tra uomini che nulla

obiettivamente distingue sul piano della razza, del linguaggio, delle abitudini culturali».18

Attingendo dalle riflessioni girardiane, sappiamo come nel pieno parossismo della

guerra e della caccia, l'uomo si abitua a versare il sangue, ed inebriato dalle scariche di

adrenalina che queste attività determinano, ben presto finirà per rivolgere la sua violenza

all'interno del gruppo familiare: «Tra l'esterno nemico e l'interno amico non c'è reale

differenza»19. La tragedia euripidea di Eracle, che possiamo a ragione leggere come la

tragedia di un reduce incapace di superare quella che oggi è la nevrosi da guerra, è

ovviamente una tragedia vecchia quanto il genere umano: «La rabbia, quando ci si

abbandoni ad essa, è centripeta. Più è esasperata, più tende a orientarsi verso gli essere più

vicini e più cari»20. La triste realtà dell'omicidio intrafamigliare è un tetro evento che

conferma questa tendenza dell'escalation assassina e a nulla serve postulare istinti

'famigliari': «Affermare che esiste un istinto naturale a preservare i proprio congiunti è

evidentemente privo di senso, dal momento che, come è ben visibile, tra gli uomini

l'assassinio intra-familiare esiste, anche se non è la regola»21.

Dobbiamo però soffermarci su queste riflessioni. Girard, forse un po'

ingenuamente, vede nella caccia una via d'abitudine della violenza; da un lato, tale

concezione ha una sua rilevanza, basti pensare alle intuizioni di Plutarco riprese da Kant22,

16 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 112.17 La centralità della guerra è diffusamente citata anche da Darwin. (Cfr. C. Darwin, L'origine dell'uomo,

cit., cap. I).18 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 112.19 Ibid.20 Ibid.21 G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 217.22 Kant, ad esempio, scrive: «chi usa essere crudele verso di essi [gli animali] è altrettanto insensibile verso

gli uomini. Si può conoscere il cuore d'un uomo già dal modo in cui egli tratta le bestie. Hogarth ha raffigurato in una sua incisione l'inizio della crudeltà, quando i bambini la praticano già verso gli animali, comprimendo la coda ai cani e ai gatti; in un altra incisione egli rappresenta l'evolvere della crudeltà con

13

confermate dalle moderne ricerche psicologiche: la violenza verso un animale è

un'avvisaglia della violenza contro l'uomo; ma è anche vero che, sempre sulla stregua di

Lorenz23, possiamo afferma che non può solo detta violenza, determinare una crisi in grado

di devastare una comunità: i lupi24, impropriamente dipinti come gli animali più feroci, non

si dilaniano tra di loro, tutt'altro: ad un'adeguata violenza esterna, fa da contraltare

un'efficace serie di inibizioni sociali; in secondo luogo, come Girard nota, si sono

osservati casi di caccia con aspetti rituali anche in alcuni gruppi di primati25; possiamo

quindi ipotizzare che la caccia, indirizzando ad una violenza esterna, non sia un fattore

così determinante: nelle scimmie, spesso essa è un'inevitabile forma di aggressività

territoriale26; si può ipotizzare che il passaggio al consumo di carne sia stata una

conseguenza di tale realtà, accentuata dall'uso di rudimentali armi, il vero fattore rilevante.

Per quanto riguarda la guerra, la questione diventa più delicata: Girard, senza

troppo approfondire la questione, ipotizza la presenza di una tale attività, senza poi

spiegare come essa vada intesa; in questo può forse venirci incontro Canetti, il quale

definisce la guerra come una conseguenza della caccia: a mutare è solo la preda27. Anche in

questo caso, possiamo avanzare un'ipotesi: è molto probabile che degli scontri tra gruppi

distinti avessero luogo, ma la forma di tale 'guerra' era terribilmente rudimentale, colpendo

dei gruppi tra i quali non si poteva scorgere nessuna differenza; è probabile, inoltre, che la

guerra non facesse altro che dividere gruppi originariamente uniti, attraverso la

disgregazione violenta.

l'investimento di un bambino, e quindi il culmine della crudeltà con un assassinio, mostrando così in modo tremendo il prezzo della crudeltà.» (I. Kant, Lezioni di etica, a cura di A. Guerra, Laterza, Roma-Bari 1991 pp. 273/275.)

23 «Così si arriva al paradosso singolarmente commovente che i predatori più sanguinari, soprattutto il lupo [..], siano fra gli animali forniti di più sicure inibizioni a uccidere che ci siano sulla terra». (K. Lorenz, L'aggressività , cit., p 176).

24 La questione diventa in realtà molto fitta: l'aumento dell'aggressività umana potrebbe derivare anche dal fatto che, a differenza dei lupi, la struttura sociale e individuale non deriva da gruppi di cacciatori carnivori, come i grandi predatori; in La Scimmia Nuda, Morris elabora un'evoluzione umana che deriva proprio da un connubio tra le abitudini dei primati e quelli dei carnivori, fornendo un'interessante ipotesi su tali questioni. Che siano forse entrambe le tendenze (diverse) a creare aspetti sociali peculiari?

25 Cfr. R. Girard, Origine della Cultura, cit., p. 45.Diversi studi sull'argomento dimostrano che presso i primati la caccia non ha come fine l'alimentazione, in quanto essa inizia quando già sono sazi: la carne rimane più che altro un alimento prelibato, che però non comporta ricerca attiva; la caccia ha più che altro un risvolto sociale e quasi rituale.

26 Questo fenomeno è molto interessante se letto tramite le riflessioni di Lorenz, che osserva come molti attacchi di pesci verso altri siano una conseguenza di una vera e propria 'invasione territoriale'. (Cfr. Lorenz, L'aggressività, cit., pp. 70-71).

27 Canetti , nel definire le mute – forme primigenie di massa – definisce la muta di caccia in questi termini: «Quando una truppa eccitata va in caccia di un uomo che vuole punire, si tratta ancora di una formazione analoga alla muta di caccia. Ma se quell'uomo appartiene a un altro gruppo che non può abbandonarlo, ecco una muta contro l'altra. I componenti dei due gruppi nemici non sono molto diversi [..]. Nella forma originaria di guerra i due gruppi sono così ravvicinati da potersi distinguere con difficoltà; si battono nel medesimo modo, hanno armi pressoché identiche.» (E. Canetti, Massa e Potere, traduzione di Furio Jesi, Adelphi, Milano 1981, pp. 118-119).

14

Ciononostante, Girard ha un'intuizione molto potente: caccia e guerra hanno portato

ad un innalzamento della violenza intraspecifica perchè , grazie all'elevata massa cerebrale

umana, l'uomo ha iniziato ad utilizzare determinati oggetti, come sassi e bastoni28, i quali

sono delle armi molto pericolose ed efficaci, seppur rudimentali: questi sono i fattori che

determinarono il crollo di inibizioni istintuali. Quindi, se nel 'parlamento degli istinti''29

animali, accanto all'istinto che porta alla lotta intraspecifica, ve ne è un altro che inibisce

quest'ultimo, portando la lotta tra animale ad esiti non mortali, questo non sembra potersi

applicare alla realtà preumana: «Non si può credere che questo tipo di controllo [il

controllo istintuale animale] si estenda automaticamente alle pietre e alle altre armi

artificiali il giorno in cui gli ominidi cominciano ad usarle»30.

Questo non vuol dire dipingere l'uomo come un animale 'perverso': definizioni –

preconfezionate – come queste non fanno che eludere le vere spiegazioni, creando etichette

fasulle ed insensate (ciò vale anche per antropologie che hanno come potenza esplicativa la

cattiveria innata dell'uomo o il peccato originale); dunque, lungi dal postulare una sorta di

perversione originaria dell'uomo, Girard si rifà a fattori strettamente contingenti: grazie

all'evoluzione cerebrale umana, ben presto le pietre, usate come armi, vennero scagliate

anche all'interno, nelle lotte intraspecifiche e nei duelli: con in pugno un sasso, anche un

semplice colpo può essere fatale: «Se invece di lanciarsi dei rami come a volte fanno, gli

scimpanzé imparassero a lanciarsi delle pietre, la loro vita sociale sarebbe sconvolta»31.

Leggendo la cosa solo in questi termini, verrebbe però elusa quella che per Girard è

la vera peculiarità dell'uomo: l'ipermimetismo. La maggiore massa cerebrale di cui i nostri

antenati erano dotati porta inevitabilmente ad un incremento della mimesis: non serve

ricordare cosa sosteneva Aristotele32; molti recenti studi sui neuroni specchio hanno

dimostrato che la loro presenza nei macachi33, gli consente di imitare anche azioni ed

espressioni umane; l'imitazione – ad esempio presso gli uccelli – è fondamentale per

l'apprendimento del canto da esemplari già adulti; se dunque gli animali dimostrano una

spiccata tendenza all'imitazione, il nostro progenitore doveva sicuramente distinguersi

28 L'utilizzo di oggetti come mezzo per apparire più minaccioso, oltre che per assolvere determinati problemi è ampiamente attestato anche nei diversi primati.

29 Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit., cap. VI.30 R. Girard, Delle cose nascoste , cit., pp. 113-114.31 Ivi., p. 114.32 «L'uomo si differenzia dagli altri animali nell'essere il più portato ad imitare». (Aristotele, Poetica, trad.

Diego Lanza, ed. speciale per corriere della sera , Milano , 48b 5-10).33 http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/li-futuro-dei-neuroni-specchio

15

come il più abile; a pari passi con l'evoluzione della massa cerebrale, anche l'imitazione

deve essere dilagata a dismisura, fino al parossismo: «Vi è motivo di pensare che la

potenza e l'intensità dell'imitazione aumentino con il volume del cervello in tutta la

discendenza che porta all'Homo sapiens».34.

Possiamo a ragione ipotizzare che fu proprio la notevole «crescente potenza [del

cervello e quindi della mimesis] a far scattare il processo di ominizzazione»35. Pensando

alle nostre origini, dovremmo vedere quindi delle dinamiche psicologiche terribilmente

simili a quelle che Girard evidenzia nelle sue riflessioni sul desiderio mimetico (basti

pensare alla dinamica modello/discepolo): ciò che ci caratterizza è quindi fin dall'inizio –

e poi sempre più intensamente – un'innata intensità del desiderio.

L'aumento delle capacità mentali, portarono all'esasperazione della mimesi, la quale

si intromise anche nelle zone che i dominance patterns lasciavano come privilegio ai

'vincitori': la tipicità dell'uomo per Girard – l'ipermimetismo – fa crollare l'apparente

solido equilibrio delle società animali36 e non è difficile immaginare cosa possa conseguire

da ciò: «le rivalità mimetiche tra uomini sfociano facilmente nella follia e

nell'assassinio»37.

Legato all'ipermimetismo, emerge anche il problema della sessualità: in primo

luogo, la stabilità sociale non può essere nata dalla sessualità:

«nulla suggerisce che presa in se stessa [la sessualità permanente] abbia questo potere. Nei mammiferi, i periodi di eccitazione sessuale sono contrassegnati da rivalità tra i maschi. Il gruppo animale è allora particolarmente vulnerabile alle minacce esterne. Non c'è ragione di vedere nella sessualità permanente un fattore di ordine piuttosto che di disordine»38.

Se uno dei maggiori motivi dei conflitti è il possesso delle femmine, è chiaro che

già solo la sessualità periodica è motivo di aumento del conflitto; una sessualità

permanente non può, quindi, essere altro che un ulteriore motivo di tensione prolungata!

Dando man forte alla violenza, l'ipermimetismo rincara la dose fomentando il passaggio

alla sessualità permanente.

«Il ruolo considerevole degli incitamenti mimetici nella sessualità umana, l'eccitazione per esempio, il ruolo del voyeurismo, ecc. suggeriscono che il passaggio dalla sessualità periodica di tipo animale alla sessualità permanente dell'uomo potrebbe radicarsi nella intensificazione della mimesi [..] questo

34 R Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 122.35 Ivi., p. 123. 36 Come questo avvenga, verrà mostrato nel capitolo sull'Etologia: lì, sarà fatta attenzione a ciò che Girard

definisce mimesi d'appropriazione e mimesi d'antagonismo.37 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 123.38 Ivi., p. 114.

16

essenziale legame con il mimetismo conferisce alla sessualità umana il suo carattere ancora più conflittuale della sessualità animale, e la rende di per sé inadatta a favorire l'armonia dei rapporti tra gli uomini, oppure la stabilità dei partners sessuali».39

Prima di giungere alla soluzione proposta da Girard, la celebre teorizzazione del

capro espiatorio, risulta interessante un confronto con le teorie elaborate da Edgar Morin

nel suo Il paradigma perduto. Proprio come ammette il teorico della mimesi, molte

osservazioni vengono liberamente tratte da tale testo, il quale tratteggia e ricostruisce la

complessità di cause che condussero alla formazione dell'homo sapiens: molte sono le

suggestioni che Girard ha liberamente tratto da tale lavoro, lasciandone molte senza

un'adeguata tematizzazione. Entrambi gli autori si focalizzano sul processo di

ominizzazione, traendo da diverse discipline le osservazioni sui nostri avi: tale processo è

per entrambi una storia reale, un «gioco di interferenze che presuppone degli avvenimenti,

delle eliminazioni, delle selezioni, delle integrazioni, delle migrazioni, degli scacchi, dei

successi, dei disastri, delle innovazioni, delle disorganizzazioni e delle riorganizzazioni»40.

Il filosofo della complessità deve quest'appellativo al suo peculiare metodo e

proprio in questo testo possiamo osservare una riflessione estremamente acuta ed

omnicomprensiva, tendente a tracciare il lungo percorso che spinse i primi ominidi a

divenire sapiens: vengono considerate non solo la dimensione socio-culturale, ma anche

riflessioni sulle caratteristiche dei primi ominidi, oltre che i grandi mutamenti ecologici e le

loro restrittive conseguenze; il tentativo di Morin si dimostra anch'esso dominato dalla

volontà di ricongiungere gli studi antropologici con quelli eto-biologici, la cui rottura è un

fatto increscioso e dannoso per la scienza dell'uomo. Come l'homo sapiens si sviluppò,

quali furono le condizioni della sua apparizione? Tale atteggiamento risulta essere più

ampio di quello girardiano, il quale soprassiede superficialmente ad una serie di questioni,

trattate invece da altri studiosi.

Secondo Morin: «il linguaggio e la cultura devono cronologicamente precedere

sapiens e logicamente condizionare l'evoluzione biologica ultima che termina nel suo

cervello di 1500 cm3»41. Non si può spiegare l'uomo in base all'ampiezza cerebrale dei

sapiens, in quanto questo è il punto di arrivo; in questo vediamo una sorta di 'mancanza' nel

discorso girardiano: in Delle cose nascoste moltissime questioni vengono trattate con

39 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 123.40 E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p. 60.41 Ivi., p. 57.

17

eccessiva leggerezza, forse proprio perché riprese dal filosofo della complessità, molto più

incline a comprendere la centralità di diversi fattori; secondo Morin la posizione verticale e

la locomozione bipede42 permisero la differenziazione dell'ominide da altri primati; da

questo discendono le prime peculiarità: «il bipedismo apre la possibilità dell'evoluzione

che porta a sapiens: la posizione eretta libera la mano, la mano libera la mascella, la

verticalizzazione e la liberazione della mascella liberano la scatola cranica dalle costrizione

meccaniche che pesavano precedentemente su di essa, e questa diventa atta a allargarsi a

favore di un “locatario” più ampio»43. In secondo luogo, Girard non si pone neanche il

problema della forza44 e del modo in cui i primi gruppi pre-umani dovettero affrontare le

diverse difficoltà esterne; Morin comprende inoltre la centralità del mutamento ecologico,

che portò alla scomparsa progressiva della foresta, rimpiazzata dalla savana; fattori come la

curiosità infantile e la neotenia sono tutte ricondotte in un grosso calderone di idee e

suggestioni, che – mi preme sottolineare – Girard non tematizza a fondo, senza che questo

influisca più di molto sulla validità della sua ipotesi: semplicemente, l'accusa di

riduzionismo viene qui ad assumere molta importanza: egli si focalizza soprattutto

sull'aspetto sociologico della questione, cioè sulle dinamiche sociali che portarono al

controllo delle azioni violente; giunti ad un buon controllo dell'ambiente, all'uso di diversi

strumenti (fuoco ecc) e con determinate caratteristiche (bipede, pollice ecc) l'uomo giunse

ad un livello evolutivo notevole, ma non ancora culturale. Se quindi Girard vede

nell'ipermimetismo la genesi della crisi violenta, è chiaro che egli si focalizza su un aspetto

peculiare, e forse in un periodo 'storico' già avanzato; l'utilizzo del fuoco, il bipedismo,

l'evoluzione del pollice ecc. sono tutti fattori che non vengono tematizzati, ma rimangono

in una sorta di sfondo implicito, mentre giganteggiano tematiche primariamente sociali.

Questa critica alla completezza del discorso girardiano non ne mina l'efficacia: sappiamo

che i diversi ominidi dovettero giungere ad un determinato sviluppo prima di affrontare le

eccessive scariche mimetiche: non fu chiaramente il confronto con il mondo esterno a

42 L'importanza della locomozione bipede venne messa in luce già da Darwin: «Solo l'uomo è divenuto un bipede e credo che si possa almeno in parte comprendere come egli sia giunto ad assumere la posizione eretta la quale costituisce uno dei suoi caratteri più cospicui. L'uomo non potrebbe aver raggiunto la sua attuale posizione di dominio nel mondo senza l'uso delle mani che sono così meravigliosamente adatte ad agire secondo il suo volere.[..] Se è un vantaggio per l'uomo stare eretto sui piedi e avere le mani e le braccia libere, del che non può esservi alcun dubbio, per il suo successo nella battaglia per la vita, allora non posso scorgere nessuna ragione per cui non debba essere stato vantaggioso per i progenitori dell'uomo assumere sempre più la posizione eretta e divenire bipedi. In tal modo sarebbero stati più capaci di difendersi con pietre o bastoni, di attaccare la loro preda o di ottenere altrimenti il cibo». (Cfr. C. Darwin, L'origine dell'uomo, cit., p. 58).

43 E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p. 58. 44 Nel moderno – e non solo – dibattito sulla nascita dell'homo sapiens, si stagliano due grandi correnti di

pensiero: chi dice che l'uomo fosse un mammifero piccolo, docile ed indifeso, chi invece sostiene il contrario, mostrando la forza dei moderni primati.

18

favorire la cultura, quanto piuttosto dinamiche endogene e sociologiche, ed in ciò la

profondità di Girard non trova eguali; ed in effetti, un evento così importante come

l'avvento della cultura si dovette presentare quando le differenti specie di ominidi si furono

già sviluppate ma non completamente specializzate:

«Siamo di fronte dunque a degli esseri che pur non essendo gli antenati dell'uomo raggiungono, tecnicamente e sociologicamente, il livello umanoide, e possiamo vedere l'antenato dell'uomo partire, tecnicamente e sociologicamente, da un livello già raggiunto da una o più specie diverse di primati. [..] è altamente probabile che non soltanto gli arnesi, ma la caccia, il linguaggio, la cultura siano apparsi nel corso dell'ominidizzazione, prima che nascesse la specie propriamente umana di sapiens»45.

Sia per Morin46 che per Girard, la formazione dell'umano è un processo, un

percorso che non identifica un p0 dal quale tutto si generò: ogni discorso evolutivo è

invece un percorso lungo e graduale, che comprende il concorso di molteplici cause.

Morin, però, si rivela più abile nel far dialogare una complessità di fattori che, integrandosi

e implicandosi l'un l'altro, furono la leva dell'ominizzazione: fattori ecologici, genetici,

pratici, cerebrali, sociali e culturali; a vari livelli corrispondono varie modificazione sempre

più complesse: «Questo ci indica già che l'ominidizzazione non si potrebbe concepire

soltanto come un'evoluzione biologica, né soltanto come un'evoluzione socioculturale, ma

come una morfogenesi complessa e a molte dimensioni risultante da interferenze genetiche,

ecologiche, cerebrali, sociali e culturali»47.

La posizione di Girard presenta dunque alcune lacune, ma allo stesso tempo è in

grado di rendere conto in modo assai più coerente molteplici fattori, tra cui il controllo

della violenza e il processo che portò ad un'ampiezza cerebrale così alta; è la costruzione

generale ad avere un'efficacia notevole, mentre da un punto di vista complessivo, abbiamo

una ricostruzione lacunosa e, in alcuni punti, superficiale.

1.2 – Capro espiatorio e salvezza umana

Le diverse peculiarità dei gruppi proto-umani appaiono tutt'altro che promettenti:

«Le forti dosi di aggressività che resero possibile ai nostri progenitori diventare cacciatori,

la sessualità permanente, le nuove armi, la stessa fragilità dei neonati sono tutte condizioni

45 E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p.53.46 «Questo significa che l'ominidizzazione è un processo complesso di sviluppo sprofondato nella storia

naturale dal quale emerge la cultura» (Cfr. Ibid.)47 Ivi., p. 59.

19

che aggravano[..] la sopravvivenza»48. Il problema fondamentale è quindi il controllo della

violenza, il cui dilagare a macchia d'occhio è reso possibile dalle elevati doti mimetiche;

come l'uomo ha potuto sopravvivere? In fondo, tale sopravvivenza non può essere data

semplicemente per scontato: evitando l'estinzione, deve essere scattato un nuovo modello

comportamentale sociale.

«when mimetic and acquisitive violence leaps exponentially, made possible by enhanced brain capacity, driven by accelerating mimetic and acquisitive rivalry, made doubly perillous by the vulnerability of prolonged human infancy and by the superior destructive power of artefact weapons – at the point, in short, where terminal crises threaten to extinguish whole groups and communities of hominids, and of early man unless...»49

La risposta di Girard è l'ipotesi del meccanismo vittimario; il dilagare delle lotte

interne al gruppo rende insostenibile la gerarchia dei dominance patterns, la cui scomparsa

conduce repentinamente ad una vera e propria crisi di indifferenziazione: se infatti nelle

lotte tra individui di una società animale lo scontro non genera ulteriori azioni violente,

istituendo la gerarchia dominante/dominato, nel caso dell'ipermimetismo umano i privilegi

del vincitore sono continuamente violati (e questo, è bene notarlo, sempre grazie

all'eccesso di mimesis, per cui l'imitazione dell'esemplare dominante – il modello –

pervade tutti gli aspetti del suo prestigio, conducendo i discepoli ad invadere quegli 'spazi'

che nelle gerarchie animali sono di appannaggio dei vincitori); scardinata tale ordine, la

violenza dilaga50 – sempre a causa della spiccata mimesis – propagandosi come una

terribile epidemia che infetta chiunque presti anche solo uno sguardo alla lotta. Si ricade

quindi in una rudimentale forma di crisi mimetica: crollano le differenze, ogni individuo ne

assume un altro come modello-ostacolo e contro di lui orienta la sua pulsione aggressiva; è

facile intravedere che questa dinamica, applicata ad ogni individuo, porterà ad una lotta

generalizzata tra doppi, nella quale l'intensità della mimesis cancella l'oggetto che aveva

suscitato lo scontro, e la rivalità si mostra come unico movente; «La rivalità, insomma, si

purifica di qualsiasi esteriore posta in gioco, si fa rivalità pura o di prestigio».51

Quella che nella mitologia sarà dipinta come una catastrofe naturale che sconvolge

la comunità al suo interno (basti pensare alla Peste che apre l'Edipo Re, trasfigurazione di

una crisi mimetica) dovette dunque dilagare in questi primi gruppi sociali ipermimetici.

48 G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 216.49 http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Thinking%20the%20human.pdf50 Che l'indifferenziazione porti alla crisi è un'idea fondamentale di Girard : «Non sono le differenza ma la

loro perdita a provocare la rivalità pazza, la lotta a oltranza tra gli uomini» (R. Girard, La Violenza e il Sacro, cit., p. 77).

51 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 43.

20

Questa dilaniante 'lotta di tutti contro tutti' hobbesianamente intesa, anomala per

proporzioni e gravità nel mondo animale, deve necessariamente52 trovare una nuova forma

di soluzione, un nuovo motore 53.

L'ipotesi del capro espiatorio appare dunque lampante e geniale allo stesso tempo:

quello che Girard ha delineato ne La Violenza e il Sacro diviene lo strumento per pensare

alle modalità di controllo della violenza: la risoluzione violenta contro un'unica ed

innocente vittima espiatoria si presenta come una lente ermeneutica adeguata non solo per

comprendere miti e riti, ma anche per indagare le nostre origini. Nel pieno dell'escalation

mimetica, svanisce la dimensione oggettuale e l'unica cosa evidente che rimane è il

conflitto: l'enorme carica energetica desiderante non può fare altro che colpire gli altri

membri del gruppo: «Per la mimesi l'unico campo di possibile applicazione sono gli stessi

antagonisti. Si produrranno allora, in seno alla crisi, delle sostituzioni mimetiche di

antagonisti».54

Si deve quindi ipotizzare che, ricaduti nel parossismo mimetico, ad un tratto la

violenza si polarizza verso un'unica vittima, che, diviene il polo magnetico che attira la

scarica aggressiva per tutti i membri del gruppo – il modello/ostacolo: la mimesi che aveva

portato all'escalation e alla divisione, ora «riunisce facendo convergere due o più individui

su un identico avversario che vogliono tutti abbattere».55 Seguendo il funzionamento del

desiderio mimetico, sappiamo che più gli sguardi mirano ad un oggetto, più esso viene

osservato e desiderato: alla stregua, più un singolo antagonista diviene il doppio mimetico,

più egli diviene il centro delle pulsioni aggressive:

«arriverà necessariamente il momento in cui l'intera comunità si ritroverà raccolta contro un individuo unico. La mimesi dell'antagonista suscita dunque un'alleanza di fatto contro un nemico comune e la conclusione della crisi, la riconciliazione della comunità, non consiste in nient'altro».56

Si compie così un vero e proprio linciaggio collettivo, delle cui brutalità possiamo

solo immaginare attraverso la lettura della mitologia o forme particolarmente cruente di

sacrifici57 ; questo omicidio è il primo realmente unanime e ha come risultato la cessazione

52 Scrivo necessariamente, intendendo questo termine senza legare alcuna prospettiva finalistica: se gli uomini sono sopravvissuti, ciò fu una conseguenza della “scoperta” di un nuovo meccanismo, che si distacchi da quello animale, in quanto, se la gerarchia sociale non culturale non fosse giunta in crisi, non si riesce a concepire il motivo della nascita dei divieti; questo non vuol dire negare la validità delle osservazioni di Lorenz ma questo sarà trattato in seguito.

53 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 124.54 Ivi., p. 44.55 Ibid.56 Ibid.57 Basti pensare al cruente rito del «pasto totemico» del cammello descritto da Robertson Smith (Cfr. S.

Freud, Totem e Tabù , cit., pp. 161-162).

21

della violenza: non vi sarà ripetizione mimetica di tale uccisione (almeno non

immediatamente). Tale omicidio, che possiamo tranquillamente definire fondatore, riporta

la pace all'interno del gruppo: «è solo una violenza in più, una violenza che si aggiunge ad

altra violenza, ma è la violenza ultima, l'ultima parola della violenza»58.

Può forse essere prematuro ipotizzare tutte quelle forme di metamorfosi che ogni

immolazione costruisce intorno al capro espiatorio (mostruosità, identificazione come

individuo non appartenente al gruppo); ma è certo che la ritrovata stabilità causata dalla

morte della vittima conduca la comunità non solo alla certezza della sua colpevolezza ,in

quanto fautore della crisi, ma anche alla sua trascendenza e potenza salvifica, in quanto

proprio la sua morte riporta la pace: «La comunità si percepisce come del tutto passiva di

fronte alla sua vittima, che appare, invece, il solo agente responsabile della vicenda».59 La

creazione dell'ambivalenza del sacro trova qui la sua genesi.

Tale sequenza di eventi apparirà sempre più rozza ed elementare se risaliamo nel

passato, ma conserverà tutta la sua efficacia: «questo meccanismo deve esercitare a tutti i

livelli sulle rivalità gli effetti, curativi e preventivi analoghi, fatte le debite proporzioni, a

quelli esercitati mediante i divieti e i rituali pienamente umanizzati»60. L'immolazione

vittimaria, dietro la spinta dell'ipermimetismo, si presenta così come un perfetto

meccanismo sociale che permette di far esplodere le rivalità mimetiche in tutta la loro

grandezza, ri-direzionando tale potenza violenta su di un unico 'capro'; il linciaggio dovette

creare un effetto ben più catartico di quello che si tenta di creare tramite la ripetizione

rituale: cessate le violenze, la crisi scompare, e la calma è ritrovata.

Ristabilita una pace sociale, la terribile esperienza appena vissuta deve aver portato

ad una forma estremamente rudimentale di divieto, il quale non ha conservato la sua

efficacia: ma, lungi dall'estinzione, la nuova crisi non fa altro che riprodurre lo stesso

meccanismo, e ciò non può fare altro che bene per la comunità:

«Possiamo concepire l'ominizzazione come una serie di stadi che permettono di assoggettare intensità mimetiche sempre crescenti, separate le une dalle altre da crisi catastrofiche ma feconde, perché fanno scattare di nuovo il meccanismo fondatore e assicurano a ogni tappa dei divieti sempre più rigorosi all'interno e dei canali rituali, più efficaci verso l'esterno».61

È proprio in questa coazione a ripetere dell'assassinio collettivo che l'umanità è

riuscito ad elaborare una doppia concezione di violenza: da un lato si trova la violenza

58 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 42. 59 Ivi., p. 45.60 Ivi., p. 124. 61 Ibid.

22

negativa, terribilmente centripeta, frutto della crisi mimetica; dall'altro – invece – la

violenza riconciliatrice e benefica per la comunità, cioè quella che unisce la comunità nel

linciaggio di uno solo: una violenza buona (per la comunità, non certo per la vittima

innocente); questa dualità, oltre che esplicare l'ambivalenza intrinseca nella concezione del

'sacro'62 permette anche la creazione di 'santuari' interni al gruppo dal quale la violenza

debba essere evitata : «si comprende come i gruppi di coabitazione siano potuti diventare

dei santuari di relativa non-violenza nel momento in cui, all'esterno le attività violente si

sviluppavano a dismisura»63. Questa logica del discernimento può essere già definita

'culturale', in quanto resa possibile dal meccanismo della vittima espiatoria : si creano così

degli individui verso i quali la violenza non si dirige, fattore che ogni gruppo sociale deve

necessariamente avere per salvare se stesso: questo può avvenire solo espellendo

l'aggressività all'esterno (o verso un membro interno reso o creduto esterno).

Non dobbiamo qui cadere però nella credenza che, dal corpo di questa prima

vittima fuoriescano tutte quelle complessità culturali come il linguaggio, i riti ed i divieti:

non è tanto in questo meccanismo di ridirezione della violenza che l'umanità vede la sua

forza, quanto nella sua ripetizione: «E si capisce anche come, a ogni stadio, delle

istituzioni più elaborate abbiano favorito un nuovo avanzamento mimetico, che

determinava una nuova crisi e così di seguito, in un movimento a spirale che umanizzava

sempre più l'antropoide»64; la dimensione culturale trova nella ripetizione il suo

fondamento e ciò comporta una lunga fila di vittime immolate65. Non si tratta quindi di

pensare alla formazione dell'uomo come ad un momento unico e irripetibile, quanto

piuttosto ad un evento che, lentamente e progressivamente , trova nella ripetizione la sua

efficacia: l'ominizzazione è quindi un processo graduale nel quale sono sopravvissuti solo

quei particolari gruppi che, riuscendo a ri-direzionare l'aggressività verso un unico capro

espiatorio e ripetendo in modo rituale tale sequela di eventi, sono riusciti a trovare un

modo per arginare la violenza ed evitare che quest'ultima dilaniasse la società dall'interno,

62 Equivalente al pharmakos greco è, nello stesso tempo sia il male che distrugge che la forza che salva: «Tale conclusione violenta, da forte impatto emotivo, trova le sue “forme fossili tarde” nei miti fondatori e ,soprattutto, nei riti sacrificali, estesi nella maggior parte delle comunità; in entrambi i casi, «la vittima dell'omicidio fondatore viene vista come responsabile dello straordinario passaggio dall'eccitazione alla calma, assumendo così agli occhi dei suoi linciatori uno status del tutto eccezionale, preludio alla sua collocazione in una categoria differente da quella degli individui comuni». (G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cfr., p. 219).

63 R. Girard , Delle cose nascoste, cit., p. 124.64 Ibid.65 Già Freud in L'uomo Mosè e la religione monoteistica sentì la necessità di ipotizzare una ripetizione

commemorativa dell'omicidio 'fondatore'.

23

portandola al collasso e – definitivamente – alla scomparsa66; è la ripetizione rituale che

conferisce una solidità sociale e una prosperità culturale.

Proprio nel momento culminante della crisi sociale e violenta, l'uomo trova la

possibilità – non la necessità – di nascere: e grazie a quella potenza mimetica che porta lo

sguardo del gruppo a concentrarsi su di unica vittima, abbiamo quel primo omicidio:

«proprio la potenza della mimesi convoglia verso un'unica vittima gli impulsi violenti,

consentendo l'innesco del fenomeno della vittima espiatoria»67.

Girard è in queste riflessioni un sottile pensatore: da un lato riesce a darci una

panoramica, seppure generale, del processo che ha portato alla comparsa della cultura,

inscrivendo tutto questo in una cornice evoluzionistica, e dall'altro, utilizza la stessa leva

per esplicare la genesi delle forme diverse forme culturali: linguaggio, riti, divieti ed altre

istituzioni vengono ricondotti alla vittima ed al suo linciaggio.

1.3 – Contrattualismo: un'ipotesi poco verosimile

Cultura, religione ed umanità sono presentate come figlie di un omicidio fondatore,

poi ritualmente commemorato: il parricidio originario di Freud delineato in Totem e Tabù è

dunque un'efficace intuizione, che però naufraga di fronte all'assegnazione di ruoli

familiari ad attori che, di fatto, si scagliano contro un primo venuto e non contro il padre

geloso. Il primo passo che portò all'umano è quindi un evento concreto, reale e corporeo e

cioè il cadavere di quella prima vittima, simbolo di futuri omicidi rituali: è «la rottura

dell'assassinio collettivo, il solo capace di assicurare delle organizzazioni fondate su divieti

e rituali, per quanto embrionali siano».68

Potrebbe sorgere un'obiezione a tale ricostruzione; se è vero che l'incremento del

cervello porta ad una maggiore mimesi, è possibile ipotizzare che proprio tale aumento

porti una consapevolezza maggiore e dunque ad una capacità di intraprendere atti di

collaborazione, cooperazione e di organizzazione i quali, lungi dal postulare un'origine

cruenta, mettano in luce la capacità dell'uomo di risolvere l'escalation violenta grazie alla

ratio: siamo qui di fronte all'ipotesi contrattualistica, in qualsiasi forma essa voglia essere

presentata; in fondo, sebbene partendo da antropologie radicalmente diverse, sia l'ipotesi

66 Senza tale meccanismo molte popolazioni dovette soccombere sotto il peso delle violenze intestine, proprio come la popolazione Kaingang descritta ne La Violenza e il sacro (Cfr. pp. 82-83).

67 G. Mormino, Il confronto con l'altro, p. 218. 68 Ibid.

24

hobbesiana (che nasce dalla lotta di tutti contro tutti) sia quella di Locke (che nasce da uno

stato di natura fondamentalmente pacifico) fanno leva sulla razionalità dell'uomo: la

comprensione di una vita migliore porta gli uomini a diverse forme di vita associata, la cui

forma può variare a secondo dei termini del contratto stipulato; quest'ipotesi, lungi

dall'essere appannaggio degli autori del pre e post illuminismo viene, in modo molto

sottile, delineata anche da Freud in Totem e Tabù: nonostante la geniale intuizione

dell'omicidio fondatore, sono le costruzioni psicanalitiche (ed edipiche) che portano Freud

a ipotizzare un patto tra i fratelli, i quali comprendendo che senza i divieti paterni,

sarebbero ricaduti nella lotta generalizzata per le donne, riportano in 'vita' la figura paterna

attraverso i suoi divieti (divieto di cibarsi dell'animale totemico e divieti di unirsi alle

donne del gruppo)69.

Ulteriore confronto utile con queste tematiche è quello con Burkert, il quale vede

nel fenomeno della caccia collettiva la pietra angolare sulla quale la struttura umana si è

innalzata; anche in lui, vi è la consapevolezza della pericolosità di questa attività per la

pace sociale: «l'autodistruzione dell'uomo a opera dell'uomo fu pertanto sin dall'inizio un

pericolo costante»70. La problematica della violenza, similarmente a Girard e Lorenz, viene

risolta con un procedimento che espelle l'aggressività all'esterno del gruppo, permettendo

inoltre di cementare i legami interni; ma la sua spiegazione appare in fondo ancora

macchiata di un'idea contrattualistica: la caccia collettiva viene presentata come un atto

basato su una notevole capacità di organizzazione e suddivisione sociale dei ruoli;

ipotizzare che essa abbia potuto portare alla soglia di ominizzazione riflette ancora una

forte valorizzazione della ragione. In fondo, appare molto più legittima l'idea che la società

sia formata spontanemente e casualmente, e non sia un frutto maturo e consapevole come

può essere l'atto di un'assemblea costituente.

Senza dover chiamare in causa Girard, possiamo già muoverci verso una critica del

contrattualismo, in quanto pone un'eccessiva razionalità e cognizione: la sola evoluzione

graduale del cervello non può spiegare l'emergenza di divieti e regole; in questo,

allontanandoci dall'ipotesi strutturalista, possiamo tranquillamente ricordare Freud, il quale

postulava come prima forma sociale il divieto (dal quale segue la regola), in quanto esso

dissuade dalla violenza e dai conflitti, permettendo una pace interna: solo dalla stabilità

69 La ricostruzione freudiana non è così semplice: accanto alla “soluzione razionale” emerge anche il risvolto psicologico, che egli stesso definisce «obbedienza retrospettiva» : «prendendo le mosse dalla coscienza di colpa del figlio, crearono i due tabù fondamentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso edipico». (S. Freud , Totem e Tabù, cit., p. 166).

70 Burkert, Homo necans, p. 32. (Cfr. G. Mormino, Il confronto con l'Altro., cit., p 222).

25

che questo comporta, si potranno istituire delle regole.

Oltre a queste semplici notazioni, l'ipotesi girardiana mantiene la superiorità sul

contrattualismo, grazie alle riflessioni sulla violenza: se si pensa al parossismo che ogni

crisi mimetica porta nei gruppi di ominidi al momento di massima tensione, pensare ad una

soluzione non-violenta appare davvero una cosa inverosimile. In Origine della cultura e

fine della storia, vi è il confronto con l'ipotesi di Eric Gans, il quale delinea un'ipotesi

sull'origine fondata sulla mediazione linguistica, negando quindi la validità della violenza:

«La risoluzione della crisi mimetica non sarebbe avvenuta necessariamente attraverso il meccanismo del capro espiatorio, ma avrebbe seguito invece un percorso completamente diverso, in cui il linguaggio emerge come intermediario privilegiato, impedendo alla violenza di propagarsi»71.

Girard sottolinea di nuovo la sua ipotesi violenta, per cui «Io credo invece che ci

debbano necessariamente essere forme di associazione non linguistica all'inizio, forme che

stanno fra l'animale e l'umano. [..] Deve esistere già una soluzione non linguistica al

problema della violenza»72. La prospettiva del capro espiatorio e della violenza mimetica

deve essere il fulcro della cultura, e dunque il fattore che fa sorgere il linguaggio; l'ipotesi

di Gans, in fondo contrattualistica, è contraddittoria: immaginarsi una risoluzione

linguistica durante il parossismo della crisi è semplicemente assurdo; sulla scorta di

Girard, possiamo sicuramente affermare che postulare – a fondamento delle società umane

– un patto tra gentiluomini, non è nient'altro che una forma radicale di méconnaissance73.

Forme di prevenzione violente lontane dal capro espiatorio esistono, ma sono chiaramente

successive alla prima uccisione, in quanto sono un risultato di chi, provando sulla pelle gli

effetti della crisi, tenti di organizzare la società in un successivo momento. Dove

primeggiava l'omicidio, esso inizia a scomparire, portando «allo sviluppo di modalità di

controllo alternative: all'inizio, riti, tabù e proibizioni; successivamente il linguaggio e le

istituzioni culturali»74. Possiamo anche aggiungere che l'ipotesi del linciaggio, non solo

supera la soluzione linguistica, ma la sussume: la risoluzione necessariamente deve essere

avvenuta prima della nascita del linguaggio! Solo così si riescono a spiegare quelli che

sono i caratteri che sottostanno a processi di neotenia (ritenzione in età adulta di caratteri

giovanili), tipicità biologiche umane : «perdita di peli, ossa dell'arcata sopraccigliare

71 R. Girard, Origine della Cultura, cit., p. 95.72 Ibid.73 Questo non significa negare il ruolo della collaborazione nell'uomo: proprio come nelle osservazioni sul

desiderio mimetico, Girard non nega gli aspetti positivi, ma – contrariamente alla maggior parte degli studiosi – focalizza la sua attenzione sulle conseguenze cruente.

74 R. Girard ,Origine della cultura, cit., p. 98.

26

piccole, incapacità di deambulazione nei neonati eccetera»75; questi fattori, squisitamente

umani, sono frutto certamente di interazioni culturali e spinte biologiche-adattive, ma

difficilmente gli studiosi comprendono come e quando essi si sono manifestati; per Girard,

invece, furono precedenti ad un linguaggio raffinato (e cioè ad un fase antichissima, in cui

la cultura non aveva forme complesse), in quanto si svilupparono grazie alla soluzione

sacrificale che, creando le inibizioni sociali contro la violenza, ha portato alla protezione

delle «femmine del branco e in questa maniera hanno reso possibile prolungare nel tempo

la cura dei cuccioli»76. Queste particolarità e differenze tipiche del genere umano furono

un risultato garantito dalla cultura (e dunque, dalla religione) che «ha addomesticato

l'uomo»77.

75 R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 9676 Ibid77 Ivi., p. 97.

27

II

Etologia

1.1 – Mimetismo e Violenza: Girard e l'etologia

Tra le diverse sottigliezze che l'ipotesi girardiana dell'ominizzazione illumina,

l'attenzione che l'autore dedica all'etologia è di particolare interesse. Lo studio dei

comportamenti animali, soprattutto nel campo relazionale, si presenta come una feconda

fonte di spunti riflessivi, aprendo una finestra impossibile da ignorare proprio per un'ipotesi

che – a detta dello stesso Girard – si inscrive in una cornice evoluzionistica: dipingere

l'uomo come un ente estraneo – e dunque superiore – all'ordine e alle leggi naturali, non

può fare altro che produrre ipotesi viziate nella forma fin dalla partenza: come il pensatore

francoamericano afferma «la presente ipotesi ha di superiore il fatto di eliminare tutte le

false specificità dell'uomo»78. Girard segue il consiglio spinoziano, per cui l'uomo non deve

essere pensato come un dominio all'interno di un dominio79; in termini evolutivi, solo

attraverso il raffronto con l'affascinante verità etologica l'antropologia può pensare in modo

adeguato l'origine della cultura umana, fattore necessariamente interno all'evoluzione della

specie, sviluppatosi come modello comportamentale–sociale in grado di dominare le

violenze intra-specifiche. L'uomo è un membro della famiglia dei primati ed in quanto tale

il suo comportamento più profondo trova qui le sue radici: condividiamo molto più di

quanto si tenda ad ammettere con il resto delle scimmie antropomorfe (scimpanzé, bonobo,

gorilla ed oranghi) ed il loro studio si presenta un'ottima risorsa per tentare di comprendere

– in una via non riduzionista – non solo perchè essi agiscano in un certo modo, ma anche

per rileggere in modo nuovo noi stessi. E' necessario però un avvertimento: proprio come

noi, anche le scimmie antropomorfe si sono notevolmente evolute rispetto a quel ceppo

comune da cui anche i nostri antenati dovettero svilupparsi80, e dunque, osservare

78 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., pp 116-117.79 B. Spinoza, Etica dimostrata con metodo geometrico, III Prefazione, trad. it. a cura di Emilia Giancotti,

Pgreco edizioni. 80 «Gli scimpanzé moderni, [..] sembrano essersi mantenuti più simili al nostro comune progenitore. Sarebbe

tuttavia un errore assumere che i primi esseri umani fossero molto simili agli attuali scimpanzé semplicemente perché assomigliavano più a loro che all'uomo moderno. A tutti gli effetti, gli esser umani e gli scimpanzé sono separati da dodici milioni di anni di evoluzione[..]: un lasso di tempo abbastanza lungo per produrre profondi cambiamenti».(Craig B. Stanford, Scimmie cacciatrici, cit., p. 27). Tale ammonimento , estremamente utile e calzante, viene posto al termine di una lunga riflessione sull'utilità dell'osservazione dei primati, in quanto fungono da modello “analogico” di confronto: tramite le integrazioni di quello che sappiamo – grazie alle diverse discipline – sulle condizioni anatomiche, ecologiche ed ambientali sui primi uomini, possiamo attingere dal comportamento dei primati per quel che concerne le relazioni sociali.

28

l'evoluzione e il modo di rapportarsi che tali affascinanti animali ci offrono è di fatto molto

utile, non solo per comprendere quali siano le spinte comuni – le forze naturali ed

ancestrali – che condividiamo con loro (dandoci un aiuto nel pensare a cosa sia realmente

frutto della nostra società, e cosa invece sia più recondito e radicato in noi) ma anche

perché, mancando del tutto l'osservazione primaria dei nostri antenati, possiamo

compensare tali lacune osservando modelli sociali utili per compiere analogie sulle

modalità di relazioni che anche i nostri antenati condividevano; l'osservazione delle diverse

tribù e società umane, viene così affiancato ad un interesse riguardante altri animali non

umani, dando notevole peso al mimetismo, all'aggressività, alla violenza e, naturalmente,

alla sua risoluzione.

Quest'ammirevole tentativo di Girard, viene espressamente fatto nel tentativo di

superare l'ottusità dell'etnologia strutturalista, la quale – incapace di situare la cultura su

uno sfondo naturale – si chiuse nella sua nicchia disciplinare, tagliando confronti produttivi

con la tradizione etologica, la cui utilità per la comprensione umana è d'importanza

capitale: è l'autore del desiderio mimetico a definire la sua ipotesi come un «tentativo di

combinare etologia ed etnologia»81. Aperto il dialogo tra questo due discipline, Girard

intende mostrare le caratteristiche peculiari dell'uomo, identificando uno sfondo comune (e

cioè l'imitazione) che condividiamo con il resto dei viventi, ma anche indicando la

peculiarità: l'ipermimetismo! La differenza capitale, secondo Girard, non riguarda

l'essenza, e cioè una tipicità appartenente solo all'uomo che lo eleva ai vertici della 'scala

dell'essere', quanto piuttosto l'intensità dell'imitazione, fattore presente in tutto il regno

animale: stiamo dunque parlando di una leggera differenza fisiologica, che però ha –

nell'ipotesi girardiana – l'aspetto di una leva fondante; l'ipotesi tenta di vedere il comune

tra l'uomo e l'animale,accantonando l'antropocentrismo umano, con la consapevolezza di

non essere altro che una specie tra le altre, la cui storia evolutiva ha condotto a determinati

traguardi; Girard traccia un percorso di ominizzazione muovendo dallo sfondo animale, ed

eliminando i fattori espressamente già umani frutti della cultura82: un'ipotesi come quella

Per un'interessante chiarificazione sul nostro passato ancestrale, e sulle riflessioni tecniche riguardanti il confronto tra lo studio dei primati e quello umano, Cfr Craig B Stanford, Scimmie cacciatrici.

81 R. Girard , Origine della cultura, cit., p. 67.82 A tal proposito, va notato che Girard, criticando la tradizione etologica, giunge a identificare una rottura

tra l'uomo e l'animale , definendo quindi la nostra specie come altro: l'autore parla infatti di 'salto fondamentale' (Cfr. R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 73); questo alterità non è però una condizione di partenza, quanto una conseguenza inevitabile determinata dalla nascita della cultura; Girard definisce infatti il capro espiatorio come un elemento che fece aumentare esponenzialmente le dimensioni del cervello umano, generando la specie simbolica. Rispetto a questa posizione, molti autori nel campo dell'etologia tendono a smussare tale 'rottura', definendo un maggiore senso di continuità. Un interessante punto di vista, sono gli scritti di Ian Tattersall: egli tende a dipingere l'evoluzione umana (e non solo) come un processo che funzioni per rotture. In una sua intervista, egli afferma che «la documentazione

29

freudiana di Totem & Tabù, per quanto interessante, è stata definita da molti autori come un

circolo vizioso, postulando una nozione di 'padre' che invece dovrebbe spiegare83 .

In quest'indagine, com'è da aspettarsi, l'attenzione di Girard si sofferma in primo

luogo sull'imitazione. La mimesis è, secondo Girard, il motore fondamentale delle

dinamiche desiderative umane, ma non per questo si presenta come un appannaggio della

nostra specie (soprattutto se pensiamo che l'aggettivo usato per l'imitazione è appunto

scimmiottare): è la mimesi di appropriazione che determina il comune, infatti «è un dato [la

mimesi di appropriazione] che gli animali hanno in comune con gli uomini»84. Oggi più che

mai, l'imitazione è oggetto di un'attenzione davvero sorprendente: i progressi delle

neuroscienze nello studio dei neuroni specchio hanno portato molti studiosi

all'osservazione dei primati, nella ricerca di verità analoghe, ed è importante ricordare che

la scoperta dei celebri neuroni fu fatta in primo luogo nei macachi reso; la quasi

complessità degli studi verte molto – per non dire unicamente – su un'imitazione positiva e

pedagogica, fattore che determina riflessioni sociologiche incentrate sulla cooperazione e

sull'altruismo85; Girard non nega certo questo frangente, bensì, seguendo le intuizioni

riguardo al desiderio mimetico umano in quanto genesi del conflitto, nota come «In certe

specie la propensione a imitare e quella che chiamiamo l'indole rissosa, litigiosa,

costituiscono evidentemente una sola e identica cosa; si ha a che fare con la mimesi di

appropriazione»86.

Casi di imitazione vengono effettuati in moltissimi casi: l'etologo Lee Dugatkin,

studioso dei pesci arcobaleno, giunse ad ipotizzare che la scelta dei compagni fatta dalle

femmine di questa specie sia basata sul principio 'io voglio quello che vuole lei': «Una

femmina di pesce arcobaleno corteggiata da due maschi finisce per associarsi a uno dei due

mentre un'altra femmina segue l'intero processo da un acquario contiguo. Quando la

seconda femmina «voyeuse» viene posta in presenza degli stessi maschi per vedere quale

dei due preferirà, ella segue la scelta della sua compagna»87.

fossile mostrava l'evidenza di un cammino con interruzinoi e periodi di assenza di cambiamento» (Cfr. http://cultura-nuova.blogspot.it/2012/09/evoluzione-intervista-ian-tattersall.html).

83 Cfr Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, trad. it. di Alberto M. Cirese e Liliana Serafini Feltrinelli, Milano 1972, p. 629.

84 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 116.85 Solo per citare un esempio, Frans de Waal, noto primatologo, incentra i suoi studi su scimmie –

antropomorfe e non – mettendo in luce l'importanza dell'empatia, della cooperazione e sull'altruismo, lasciando solo alcune traccie di studi sulla violenza. Nell'uomo, lo sviluppo delle capacità cognitive fondamentali per la cooperazione implica d'altro canto nuove esigenze sociale , tra cui la crescente dose di aggressività.

86 Ivi., p. 117.87 Frans de Waal, Naturalmente buoni, cit., p 96. Nelle pagine seguenti , de Waal propone una serie di studi

nei quali viene studiato il mimetismo e l'imitazione in molti pesci e molluschi.

30

Il comportamento mimetico, si configura in primo luogo come didattico: nella

riserva del fiume Gombe, gli scimpanzé, secondo quanto riportato da Jane Goodall,

mostrano ampiamente come, soprattutto durante l'infanzia, i piccoli siano predisposti per

l'imitazione di determinati atteggiamenti fondamentali per la futura sussistenza; basti

pensare a come , durante quell'attività conosciuta come 'pesca delle termiti'88, i cuccioli

osservano sovente la madre durante queste lunghe sedute, finendo per tentare di riprodurre

lo stesso iter, prendendo però bastoncini qualunque limitandosi a imitare movimenti89;

nell'adolescenza attraverso il gioco e l'imitazione dei compagni più adulti, i giovani

apprendono le regole sociali a cui dovranno attenersi, in modo da comportarsi

adeguatamente verso i rispettivi compagni90: «Esso impara qual'è più forte di lui; quali

hanno madri di rango maggiore della sua e che potrebbero “vendicarsi”, in caso di

contestazione, con conseguenze assolutamente spiacevoli. Esso scopre quale dei suoi

compagni po' venire intimidito da una dimostrazione di forza e quale di loro, in una

situazione analoga, si potrebbe rivoltare e smascherare il bluff. In altre parole, esso impara

qualcosa della complessa struttura della società degli scimpanzé»91. L'imitazione non ha

sempre uno scopo realmente utile, come nei casi sopracitati: de Waal descrive diverse

forme di imitazione 'giocose': «Uno dei modi in cui i giovani dello zoo di Arnhem si

divertivano era seguire in fila indiana una femmina di nome Krom, che significa

«deforme», tutti con la stessa, patetica andatura»92.

Queste, ed altre osservazioni, permettono di definire il comportamento mimetico

come fondamentale in tutto il regno animale, uomo compreso; maggiore quantità di

imitazione, vengono garantiti da una maggiore complessità cerebrale e cognitiva93, e per

questo Girard pone sul podio di questa piramide l'uomo, con affianco lo scimpanzé, la cui

massa cerebrale gli permette non solo una semplice imitazione (definita imitazione

88 Durante la stagione in cui le termiti nidificano, molti scimpanzé prendono posizione di fronte ai loro nidi, per poter 'gustare' la carne di questi insetti; per avere una pesca efficace, i primati si servono di rami e piccoli legni che, modificati e resi adatti per lo scopo, vengono infilati nei termitai, fungendo come esca: aspettando il momento giusto, lo scimpanzé estrae il suo arnese, a cui sono rimaste attaccati gli insetti.

89 «Una volta all'inizio della stagione, Flo [madre di Fifi] decise di lavorarsi un termitaio che era parzialmente coperto di foglie morte. Le aperture delle gallerie che portavano al nido erano ostruite e ci volle un bel po' prima che Flo, grattando tutto in giro, trovasse un buon posto per pescare. Anche Fifi si da fare cercando ma non le riuscì di trovare una buona apertura tanto che finì per andare a sedersi accanto a Flo e a osservarla intensamente» (Cfr. J. Goodall, L'ombra dell'uomo, cit., p 186). Questa osservazione da parte di Fifi, venne effettuata più volte nell'arco di un paio d'ore.

90 Per un interessante resoconto della fasi di crescita degli scimpanzé Cfr. Jane Goodall, L'ombra dell'uomo, cap 12.

91 J. Goodall, L'ombra dell'uomo , cit., p. 175.92 F. de Waal Naturalmente buoni, cit., p. 97.93 Tale correlazione rimane di fatto un presupposto nella teoria girardiana, che necessita di approfondimenti.

31

primaria, e cioè senza la componente desiderativa), ma addirittura un'approssimazione di

una mimesis di appropriazione: «Nella sua forma più completa, l'imitatore adotta la

prospettiva del modello e ne riconosce sia lo scopo sia il metodo per raggiungerlo»94; ed è

proprio in questo senso che intravediamo il pericolo che un lettore di Girard già conosce:

«mai si fa cenno ai comportamenti di appropriazione. E' evidente, invece che i

comportamenti di appropriazione, svolgendo un ruolo importantissimo negli uomini così

come in tutti gli esseri viventi, sono suscettibili d'essere copiati»95. Accecati da Platone, il

quale presentò l'imitazione amputandone la «dimensione acquisitiva che è anche la

dimensione essenziale»96 , gli studi sull'uomo (e sul resto degli animali) non hanno

compreso l'inevitabile conseguenza brutale di due mani che, mimeticamente, confluiscono

su di un unico oggetto (a prescindere da qualsiasi esso sia, come Girard insegna). E se «il

comportamento di certi mammiferi superiori, in particolare delle scimmie, sembra

preannunciare quello dell'uomo lo si deve quasi esclusivamente, forse, al ruolo già

importante, ma non ancora così importante come nell'uomo, svolto dal mimetismo di

appropriazione»97.

Stando all'interpretazione girardiana della realtà sociale umana, il conflitto si

presenta come il fattore che maggiormente influisce sulle dinamiche relazionali, ed è

proprio attraverso la capacità di gestire (o ri-direzionare) tale potenza aggressiva che

l'uomo riuscì a ergere il suo palazzo culturale98; ma, ci potremmo chiedere, cosa si possa

dire della dimensione conflittuale nei diversi animali, osservazioni che Girard riporta solo

in modo schematico. Fonte fondamentale di queste osservazioni è Lorenz, che nel testo

L'aggressività, focalizza la sua riflessione sui diversi benefici evolutivi che si possono

osservare in tale pulsione (il testo, nella sua versione originale, definisce l'aggressività con

l'appellativo Il cosiddetto male) donandoci una proficua riflessione intorno ai fenomeni di

violenza e conflitto in campo etologico: «l'aggressività intraspecifica non ci appare

94 Ivi., cit., p. 97. Proprio in queste pagine, l'autore definisce questa capacità come fondamentale per lo sviluppo di un certo genere di empatia.

95 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 2396 Ibid.97 Ibid.98 Ancora una volta, è utile notare come Girard non definisca il conflitto come la parte preponderante dei

rapporti sociali, perchè, se così fosse, l'uomo non avrebbe potuto gestire delle continue violenze incontrollate. La riflessioni girardiana va letta come un'analisi dei momenti di crisi, dalle quali scaturisce la spirale violenta! Questo ci rende comuni al resto del mondo animale, nei quali si osserva un totale crollo dei freni inibitori (in campo aggressivo e sessuale) durante casi di sovraffollamento o epidemia documentati (fenomeni definibile come 'crisi'), nei quali i freni e le regole dettate dalla gerarchia svaniscono. La crisi e la violenza sono fasi 'sporadiche' (rispetto alla vita quotidiana), la cui incisività ha però portato l'uomo a dover armarsi di nuovi strumenti – culturali- per riportare la calma.

32

assolutamente come un fatto diabolico [..] bensì come uno strumento essenziale

dell'organizzazione di tutti gli istinti per la conservazione della vita»99; è proprio questo

l'atteggiamento che Girard condivide.

In fase preliminare è opportuno definire cosa s'intenda con aggressività: la lotta

inter-specifica, quella che possiamo definire lotta 'fra ci mangia e chi vien mangiato'100 non

può essere descritta in termini di aggressività: «il bufalo non suscita «l'aggressività» del

leone che lo abbatte»101 e proprio lo studio dei mutamenti fisiologici degli animali durante

la caccia dimostra che i predatori, nel momento prima del morso, non mostrano

modificazioni riconducibili ad azioni aggressive: «nell'attimo drammatico prima del salto,

neanche il leone è arrabbiato»102; il rapporto predatore/preda, importante da sottolineare,

non conduce mai all'estinzione, in quanto si instaura un 'equilibrio' ecologico tra preda e

predatore, proprio come Darwin aveva ipotizzato103. In realtà, già Darwin aveva compreso

l'esistenza di un equilibrio totale tra le diverse specie, che si stabilizzava nella 'nicchia

ecologica'; i leoni non stermineranno mai le zebre a cui danno la caccia, proprio perchè

«quel che minaccia direttamente l'esistenza d'una specie animale non è mai il «nemico che

intende mangiare» ma sempre e soltanto il concorrente»104. Lorenz mette già in luce una

verità molto utile nella riflessione girardiana: è dall'ambiente intra-specifico che le

difficoltà emergono, difficoltà in grado di minacciare il benessere e la sopravvivenza della

specie; l'ambiente esterno è si il primo 'avversario' per la sopravvivenza, ma non l'unico: è

nella capacità del gruppo di far fronte alla dimensione conflittuale che trovano genesi una

pluralità di comportamenti innovativi (segnali di pacificazione e sottomissione) oltre che

delle vere e proprie forme di organizzazione sociale, non ultima quella umana che, come

ogni altro animale sociale, deve continuamente sopire il più possibile la violenza intestina.

Molto più vicino a comportamenti aggressivi, si presenta il cosiddetto mobbing, un

comportamento di difesa effettuato dal branco per contrattare e difendersi dai predatori:

bovini e maiali domestici si spingono fino ad attaccare i lupi che minacciano il branco;

anche la celebre reazione critica, viene posizionata sotto l'albero dell'aggressività: con

l'impossibilità di scappare e 'le spalle al muro' , molti animali reagiscono con una vera e

99 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 85.100 Ivi, p. 61.101 Ibid..102 Ivi., p. 62.103 C. Darwin, L'origine della specie, cit., p. cap 3.104 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p.61.

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propria lotta disperata contro un predatore che impedisce ogni via di fuga (a questo tipo di

combattività si fa risalire anche la difesa dei cuccioli da parte di alcune madri). Entrambi

questi atteggiamenti incidono sulla fitness della specie, apportando quindi notevoli vantaggi

evolutivi: «ognuno dei combattenti raggiunge col suo comportamento un evidente

vantaggio, e «deve» raggiungerlo nell'interesse della conservazione della specie. Anche

l'aggressività intra-specifica, l'aggressività nel vero e stretto senso della parola, svolge una

funzione di conservazione della specie»105.

Lorenz, a questo punto, si pone la domanda riguardo alla funzione dell'aggressività

intra-specifica, la vera aggressività: perchè si sviluppò, e quali vantaggi dovette

predisporre? «Da buoni darwinisti, e per buone ragioni già ampiamente esposte ci

dobbiamo domandare per prima cosa quale sia la funzione di conservazione della specie, la

lotta che svolge, in condizioni naturali o per meglio dire pre-culturali, contro gli

appartenenti a una stessa specie e che ha causato, per un processo di selezione, l'avanzato

sviluppo del comportamento di lotta intra-specifico presso tanti animali superiori»106.

Secondo Darwin, la raison d'étre dell'aggressività si scovava nella capacità di creare una

prole migliore, in quanto frutto di individui superiori: la competizione per il dominio

sessuale, ha il fine di generare una prole 'migliore' per l'intera specie; tutte le riflessioni

sulla selezione sessuale ne L'origine dell'uomo107 hanno come asse portante la dimensione

conflittuale; spesso queste lotte si verificano in animali con abitudini non territoriali:

grazie ai combattimenti interni, si sono sviluppati validi strumenti difensivi contro i nemici

esterni: «i maschi di codeste specie animali si combattono aspramente e drammaticamente

ed è indubbio che la selezione risultante da questo comportamento aggressivo porti alla

evoluzione di difensori della famiglia e della mandria particolarmente grandi e

agguerriti»108. Oltre a questa verità darwiniana, Lorenz presenta una variegata complessità

esplicativa; in primo luogo, si può trarre una risposta dalla semplice osservazione ecologia:

«Al pericolo che, in una parte del biotopo a disposizione, una troppo densa popolazione di

una specie animale esaurisca tutte le sorgenti di nutrimento e soffra la fame, mentre un'altra

parte resti inutilizzata, viene ovviato da una mutua ripulsione che agisce sugli animali della

stessa specie influenzando il loro normale spacing out[..] Questa è in parole povere la più

105 K. Lorenz, L'aggressività, cit., pp. 65-66.106 Ivi., pp. 66-67.107 C. Darwin, L'origine dell'uomo, parte seconda.108 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 76.

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importante funzione dell'aggressività intra-specifica per la conservazione della specie»109.

Proprio come in una piccola cittadina, un novello medico deve posizionarsi il più lontano

da uno già in attività per avere affari migliori, allo stesso modo due maschi territoriali si

conquistano due territori molto lontani per non darsi fastidio nel gestire le risorse; è chiaro

che qui Lorenz sta pensando a quel tipo di aggressività definita territoriale, da lui osservata

soprattutto parlando di alcuni pesci della barriera corallina (tra i quali spiccano i ciclidi, il

cui comportamento in cattività è notevolmente aggressivo); l'osservazione subacquea della

barriera, permette di definire ogni piccolo spazio una 'nicchia ecologica' (o biotopo) nella

quale diverse specie convivono in modo armonioso, in quanto ognuno ha una sorta di

ruolo; ma «ognuna di queste specie è però rigorosamente determinata a che nessun

rappresentante della stessa specie si annidi nel suo piccolo territorio»110. Il dominio di un

determinato esemplare si traduce in un segnale di proprietà, che varia da specie a specie: i

colori variopinti dei pesci, i canti degli uccelli, l'urina dei mammiferi che segna il territorio

ecc. Questi 'territori' servono per descrivere la propensione alla lotta di ogni specie, e più ci

si avvicina al centro, più l'aggressività aumenta, e viceversa111; l'esempio delle due coppie

di ciclidi che convivono lottando in un acquario, permette di far comprendere come tale

aggressività «assolve in maniera assolutamente ideale il compito di distribuire animali di

una stesse specie con «giustizia» rispetto a tutto l'insieme di quella specie, per tutta l'area

disponibile»112.

Non tutto è cosparso di tale luce positiva, in quanto alle potenzialità positive e

riconosciute all'aggressività, fanno da contraltare quelle negative, nei quali l'uomo

primeggia: il comportamento aggressivo ha effetti potenzialmente distruttivi, per cui «a

causa di questi il comportamento aggressivo, più di altre proprietà e funzioni, può venire

distorto fino al punto del grottesco e del disadatto»113. In molti casi, quando la relazione con

l'ambiente esterno diviene meno competitiva e ardua, sono proprio le spinte interne al

gruppo che possono condurre a dei 'vicoli ciechi' dell'evoluzione, dando forma a casi in cui

non si riesce a comprendere l'utilità di un determinato organo o comportamento, tanto da

risultare controproducente: calzante è l'evoluzione delle corna del cervo, la cui scomodità si

109 Ivi., p. 67.110 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 70.111 Questo spesso genera spassose osservazioni, nelle quali «Al perseguitato che si avvicina al proprio

quartier generale, torna il coraggio, mentre quello del persecutore scema in proporzione alla distanza percorsa in territorio nemico. Infine quello che poc'anzi fuggiva, fa dietrofront e attacca tanto repentinamente quanto energicamente il precedente vincitore, e, prevedibilmente, a sua volta lo batte e lo scaccia» (Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 73).

112 Ivi., p. 75.113 Ivi., p. 79.

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rivolge contro la conservazione della specie stessa; perchè si sviluppano delle forme

naturali che difficilmente sono risultati da forme adattive rispetto all'ambiente? «Questo

accade ogni volta che è esclusivamente la concorrenza fra gli appartenenti alla stessa

specie, senza rapporto con l'ambiente extra-specifico, a condurre la selezione»114. Proprio

come nel caso del cervo, l'eccessiva aggressività umana di cui ci parla Girard, può essere

definita come un fattore poco comprensibile in una logica unicamente evolutiva (in quanto

non va a vantaggio della sopravvivenza della specie): in realtà, è proprio il contrario, in

quanto, proprio perchè dotato di una tale dose di aggressività l'uomo si vide costretto a

ricorrere a forme rituali, senza le quali, la violenza l'avrebbe sterminato, come molte altre

specie prima di lui. La nostra cultura viene letta come un risultato dell'elevata competizione

generata da un eccessivo mimetismo:

«Ma soprattutto è più che probabile che l'intensità distruttiva della pulsione aggressiva, tuttora un male ereditario dell'umanità, sia la conseguenza di un processo di selezione intraspecifica che ha agito sui nostri avi per circa quarantamila anni, ossia per tutto il paleolitico superiore. Quando l'uomo ebbe conquistato le armi, i vestiti, e un principio di organizzazione sociale, per cui potè superare i pericoli della fame, del freddo e del venir mangiato dai grossi animali feroci, e questi pericoli cessarono di essere i fattori essenziali a determinare la selezione, deve aver avuto inizio una maligna selezione intra-specifica»115.

Tornando alla valutazione del ruolo dell'aggressività, in parallelo con le riflessioni

girardiane, osserviamo detta funzione nella struttura sociale; nel caso dei primati , e non

solo, non si osservano scontri quotidiani, lotte continue: ogni organizzazione di più

individui tende a controllare, e dissuadere, il più possibile la violenza, e, come abbiamo

detto, la genesi della maggioranza dei conflitti sono i comportamenti nati dalla mimesi di

appropriazione; proprio dall'osservazione del conflitto mimetico negli animali, Girard può

parlare – sulla scorta dell'etologia – di società animali, rette dai 'dominance patterns':

queste forme sociali, che seguono allo scontro, non fanno altro che determinare una

'gerarchia di potere e di diritti'116 nella quale l'individuo vincitore può predisporre delle

femmine e del cibo come meglio crede, mentre il perdente, chinando il capo, non può fare

altro che accettare la sconfitta e la subordinazione che da essa consegue. Quest'ordine

«impedisce la prosecuzione interminabile delle rivalità mimetiche. Gli etologi hanno

114 Ivi., p. 78.115 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 80.116 In campo etologico, molti autori definiscono tale ordine gerarchico come 'ordine di beccata', divenuto un

modello paradigmatico per le società animali rette da regole gerarchiche.

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ragione di affermare che i dominance patterns svolgono un ruolo analogo a quello di certe

differenziazioni e suddivisione talvolta gerarchiche, anche se non sempre, nelle società

umane; si tratta di incanalare i desideri in direzioni divergenti e di rendere impossibile la

mimesi di appropriazione»117. Nelle sue riflessioni sulle funzioni dell'aggressività, Lorenz

nota l'importanza del principio gerarchico, la cui estensione fra le diverse specie animali

conferma l'enorme utilità evolutiva che esso apporta. Questo principio serve per arginare la

lotta fra i membri di una comunità, proprio come le società umane tenteranno di fare

attraverso riti e divieti; fondata e generata dalla violenza, questa gerarchia non può

eliminare del tutto la pulsione aggressiva, in quanto la sua stessa presenza genera

un'inevitabile tensione tra chi sta più in alto e chi sta più in basso: gli animali sono

ambiziosi, in tal senso118. Possiamo quindi affermare che una delle funzioni sociali

dell'aggressività è la stabilizzazione e la regolamentazione dei rapporti interni! Una

dominazione come quella degli scimpanzé viene sovente descritta come tirannica: il

maschio dominante presente, attraverso le sue dimostrazioni di forza impone la sua

precedenza , ad esempio, durante le sedute di alimentazione, oltre che nel caso dei rapporti

sessuali: nel caso dei babbuini e dei macachi, la gerarchia viene definita sempre più

verticale, mancando diversi atteggiamenti di 'condivisione' che invece gli scimpanzé, per

quanto brutali, possono mostrare119. L'aggressività che impone un esemplare al vertice della

gerarchia, ha come risultato anche un'autorità di un certo tipo per cui, l'animale alfa diviene

il modello120 verso cui tutti osservano: lui da l'allarme, lui viene ascoltato e imitato!121 Il

singolo individuo – o il gruppo – dominante appare come il centro degli sguardi del

gruppo: il 'modello' diviene ovviamente oggetto d'imitazione. La cosa interessante da

117 R. Girard, Delle cose nascoste, p. 118.118 Molto suggestive, a riguardo, sono le diverse tecniche 'politiche' che gli scimpanzé utilizzano nei loro

intricati e complessi giochi di potere. (Cfr. Frans de Waal, La politica degli scimpanzé, Bari, Laterza, 1984 ).

119 E' bene notare, che definizioni di 'società gerarchiche', 'maschio dominante' sono di fatto mezzi per comprendere determinati atteggiamenti: nel caso della maggior parte degli studi etologici, tali definizioni appaiono molto povere, in quanto non tengono in conto la reale complessità delle relazioni sociali studiate: non si fa altro che definire uno schema con cui confrontarsi, proprio come nel caso della teoria girardiana, una teoria che mantiene toni generali, ma non per questo da ignorare.

120 Credo sia molto adeguato usare la terminologia girardiana di ' modello' anche nel caso degli animali: questo non lascia presupporre una completa identità fra i comportamenti delle specie diverse, ma permette un ottimo confronto analogico, soprattutto nella descrizione dei nostri antenati nel loro decorso di ominizzazione.

121 L'imitazione avviene soprattutto nei confronti dei membri di alto rango; un esperimento di M. Yerkes dimostro tale tendenza: venne insegnato ad uno scimpanzé di basso rango ad estrarre delle banane da un congegno appositamente costruito; il risvolto sociale fu interessante: gli esemplari di rango superiore gli sottraevano le banane, senza osservare il modo di ottenerle dalla scatola; solo quando gli addestratori insegnarono ad un maschio di alto rango a usare il congegno, il resto del gruppo lo imitò. Ancor più evidente è il caso dei babbuini, nei quali vi è un vero e proprio 'senato' coordinatori di ogni operazione del branco.

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notare , che non sempre viene fatta vedere dagli etologi è che «l'imitazione verte su tutti gli

atteggiamenti ed i comportamenti degli animali dominanti, esclusi i comportamenti di

appropriazione»122. Il punto che preme sottolineare a Girard, dunque, è che tra le diverse

aree su cui verte l'imitazione, vi sono 'campi' in cui essa è totalmente vietata, ma solo se

sono presenti fisicamente gli esemplari dominanti: ne consegue che le rinunce imposte dai

dominance patterns non sono un risultato del disinteresse per gli oggetti vietati! I

subordinati rinunciano palesemente a ciò che viene considerata esclusivo appannaggio dei

superiori123! Questo dimostra non solo un notevole interesse nei confronti di quegli oggetti

prioritari per il 'modello', ma conferma inoltre che l'imitazione porta gli individui a

desiderare tutti le stesse cose; sempre Goodall ci descrive la 'fila' per accoppiarsi con Flo, e

il mancato interesse verso altre femmine più giovani; notare che Flo, veniva 'perseguitata'

da Goliath e David, i due maschi di rango maggiore124. Ironicamente, proprio questo genera

notevoli atteggiamenti machiavellici da parte dei subordinati, i quali spesso devono

aspettare che il maschio gerarchicamente superiore se ne vada, per poter – esempio –

prendere una banana non vista da esso: se dovesse prenderla subito, egli se ne

impadronirebbe; oltre ogni immaginazione, sconvolgente è la scoperta delle sottili

manipolazioni attuate da un giovane maschio, Figan, utilizzate per nutrirsi delle banane

nascoste su un albero che solo egli individuò; infatti quando infatti uno scimpanzé, durante

una fase di riposo, si alza e si allontana, crea una tendenza mimetica, per cui tutti,

lentamente lo seguono; sfruttando questo meccanismo, il giovane fece allontanare tutti,

ripresentandosi all'accampamento dopo poco, mangiando tranquillamente tali banane; la

costanza di tale atteggiamento dimostrò la sua intenzionalità e la sua premeditazione125!

Questa straordinaria gerarchia, dissuadendo i conflitti intraspecifici, è in grado di

creare una notevole coesione sociale, nella quale l'imitazione è completamente direzionata

verso forma positive, prendendo forma dall'animale modello, il coordinatore 'generale' del

gruppo: «è lui che determina l'atteggiamento del gruppo, che da il segnalo dell'attacco o

della fuga ecc.»126.

122 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 118.123 Diversi studi, sia sui macachi sia sugli scimpanzé, diedero spessore scientifico all'espressione “quanto il

gatto non c'è, i topi ballano”: gli esemplari subordinati copulavano con femmine di rango superiore nel caso dei macachi, mentre nel caso degli scimpanzé vengono compiute manovre per attirare in disparte una femmina: addirittura, nei babbuini, è stato documentato un'intenzionale (così possiamo presumere) limitazione sonora delle urla durante l'accoppiamento. (Cfr. http://www.lescienze.it/news/2013/02/14/news/tradimento_e _nella_societ_dei_babbuini- 1506763/)

124 Cfr. J. Goodall, L'ombra dell'uomo, cit., cap 7.125 Ivi., pp. 112-113.126 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p.119.

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L'esemplare che possiamo definire 'maschio alfa' si comporta infatti da vero e

proprio 'tiranno' in alcuni comportamenti: secondo le osservazioni di diversi primatologi,

nel caso degli scimpanzé l'arrivo del maschio dominante – sempre preceduto da grida

facilmente riconoscibili – si caratterizza per le carica di esibizione (soprattutto se sono

presenti maschi che con lui tentano di competere), azione 'minacciosa' finalizzata alla

dimostrazione ed affermazione di potenza; giunto nel gruppo, nel caso sia presente del cibo

prelibato, se ne appropria tranquillamente! Per comprendere la forza dell'autorità di un

maschio dominante, basti leggere le pagine di Jane Goodall: «Fu a questo punto che

cominciai a sospettare che Goliath fosse lo scimpanzé maschio di rango più alto di tutta la

zona[..]. Se capitava che William e Goliath si muovessero contemporaneamente verso la

stessa banana era William che si faceva in disparte e Goliath che afferrava il frutto. Se

Goliath s'imbatteva in un altro maschio adulto lungo uno stretto sentiero nella foresta

continuava imperterrito il suo cammino mentre l'altro gli cedeva il passo.[..] Un giorno lo

vidi addirittura scacciare un altro scimpanzé dal nido per impossessarsene»127.

Ciononostante, società sempre più gerarchiche si configurano come società stabili, dove il

maschio alfa si prende cura dei più deboli, intervenendo nel casi di conflitto: per esempio

nelle taccole, Lorenz parla di 'virtù cavalleresca', per cui il più forte interviene nel conflitto

prendendo la parte del più debole. Tale situazione, ha un enorme vantaggio: infatti, definita

la gerarchia, in ogni momento ogni esemplare comprende il suo ruolo, sa chi ha la

precedenza rispetto ad altri nell'alimentazione e durante l'accoppiamento; come si può

sovente notare, durante il calore di una femmina, i maschi di scimpanzé, per la maggior

parte dei casi, non lottano per copulare, ma, aspettando ognuno il proprio turno, si

accoppiando seguendo l'ordine gerarchico; lo stesso vale per il cibo: i giovani devono

attendere che l'animale di maggior rango lasci – esempio – delle banane o accolga la

supplica di cibo di alcuni simili, e così facendo vengono di fatto sventate delle potenziali

situazioni conflittuali128. La formazione della gerarchia, quindi, funge proprio come mezzo

per dissuadere in conflitti: la forza di un individuo (ed anche la sua capacità di manipolare i

suoi amici ecc) gli consente di avere la precedenza in determinati campi, ed è proprio il

rango che determina il limite dei comportamenti imitativi: per cui ogni esemplare può

127 J. Goodall, L'ombra dell'uomo, cit., p 82.128 De Waal ci racconta lo scrupoloso ordine con cui le madri scimpanzé, con i loro piccoli, ogni mattina

attendevano il 'loro turno' per porsi sulla piattaforma per poter aprire e gustare le noci; con un ritmo quasi rituale, si poteva osservare un preciso ordine di esecuzione :«Quando vediamo una società disciplinata, dietro essa c'è spesso una gerarchia sociale. Questa gerarchia che determina chi può mangiare o accoppiarsi per prima, ha in definitiva le sue radici nella violenza. [..] Se una delle femmine di rango inferiore e il suo piccolo avessero tentato di accedere alla postazione prima del loro turno, la situazione avrebbe potuto evolversi al peggio» (Cfr. F. de Waal, Il bonobo e l'ateo , cit., p 184.)

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imitare anche il maschio alfa nella pesca, ma non vedremo usurpare la precedenza nel caso

dell'alimentazione.

Questo non vuol dire che i conflitti siano assenti nelle società animali; cambi di

gerarchia non mancano, tutt'altro; spesso infatti un maschio giovane 'minaccia' o manca di

rispetto al maschio dominante, inaugurando così una serie di continue affermazioni di

potenza, le quali possono portare a lotte cruente. Lo scontro e l'aggressività negli animali ci

permette così di approfondire il discorso riguardante l'uomo. Fattore che determina il

vertice della gerarchia è principalmente la forza: l'esemplare di rango più elevato si

dimostra come il più forte; la supremazia viene ribadita con pompose dimostrazioni di

potenza, atte a spaventare ed intimorire gli avversari, che – solitamente – si esibiscono in

azioni di sottomissione, atte a dimostrare subordinazione; gli scimpanzé, ad esempio,

affermano il loro dominio assumendo modificazioni fisiologiche aggressive (pelo irto,

emettono urla) e attuando una carica urlante, accompagnata da lanci di qualunque oggetto

gli capiti a tiro (spesso i cuccioli, non in grado di capire l'imminente carica, vengono usati

come rami da lanciare..); queste cariche risultano sempre più intense e frequenti nel

momento in cui sono presenti individui che minacciano la posizione dell'esemplare di

rango più elevato, che si atteggia in modo minaccioso per sancire il suo dominio; quando

questo avviene, l'esemplare 'sfidante' può fuggire impaurito, affermando così la sua

inferiorità, oppure può rispondere caricando a sua volta, esibendo cioè la sua potenza.

Queste cariche hanno valenza dimostrativa ed assumono quasi un carattere 'rituale':

nell'etologia, la maggior parte degli scontri cruenti viene preceduto da tali gesti, con fini

unicamente dimostrativi; si parla di 'lotta rituale', il cui scopo è appunto la misurazione

della potenza dell'avversario: quando, un esemplare inizia a intaccare gli ambiti vietati

dalla gerarchia, il maschio dominante reagisce cercando di marcare il suo dominio; nel caso

degli scimpanzé, infatti, durante le cariche, un maschio fa come se dovesse attaccare, senza

però terminare in un attacco vero e proprio; solo queste cariche possono dimostrarsi

efficaci nella definizione del più forte. Lorenz, parla di questi combattimenti come veri e

proprie 'prove di forza', in modo che agisca la«selezione del più forte, senza che venga

sacrificato o anche semplicemente danneggiato uno degli individui»129; presso la famiglia

dei teleostei (pesci) si è osservato un particolare rituale che precede lo lotta vera e propria: i

due pesci che si 'sfidano', mordendosi reciprocamente la bocca, non fanno altro che

misurare le proprie forze senza danneggiarsi a vicenda (in quanto le mascelle dei due pesci,

129 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 159.

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essendo corazzate, non ricevono un vero danno dalla mascella di un altro esemplare):

questa prima fase non è altro che l'avvisaglia del vero scontro cruento, che non

necessariamente scoppia: la fase preliminare assolve ad un compito, in quanto il rivale più

debole può rinunciare in base alla forza percepita durante il 'prendersi per la bocca': è

infatti la dimostrazione di sottomissione il vero interruttore che genera il cambio di

gerarchia, a prescindere che lo scontro ci sia stato o no! Durante le sue osservazioni al

fiume Gombe, Goodall potè osservare un cambio di gerarchia privo di combattimenti

cruenti: Mike, in grado di usare delle latte metalliche durante le cariche, si dimostrava

sempre più aggressivo e Goliath, divenne lentamente sempre più impaurito dal

quell'esemplare sempre più forte e minaccioso, tanto che il cambio di gerarchia si definì

senza una lotta vera e propria130! A questi atti di 'ribellione' accennati, si osservano risposte

di sottomissione, in quanto sono le dinamiche comunicative a sancire l'ordine: l'individuo

che rifugge lo scontro, prostrandosi in segno di sottomissione o semplicemente fuggendo

impaurito, dimostra la sua inferiorità e, di contrasto, la superiorità dello sfidante;

riaffermato il suo dominio, il vincitore stabilisce l'ordine turbato, creando ancora una serie

di atteggiamenti, la cui imitazione porterebbero ad una sensazione di “affronto” e, quindi,

di minaccia del potere, a cui seguirebbe una manifestazione di forza.

Non sempre, però, le cose vengono risolte pacificamente: quanto più la tensione

cresce, in concomitanza con l'acuirsi del ritmo delle minacce rituali, tanto più lo scontro

vero e proprio si avvicina. Dobbiamo in primo luogo notare che i duelli, nella maggior

parte dei casi, non terminano con la morte degli sfidanti; lo scontro – per quanto cruento

possa apparire – finisce con la vittoria di un esemplare, il quale sancisce il suo dominio e la

sua maggior forza: dopo questa affermazione di superiorità, la lotta non continua, in quanto

lo scopo dello scontro è finalizzato a 'mettere al suo posto' (o scalzare) l'avversario: solo

l'uomo sembra essere dominato da un «desiderio di torturare e umiliare qualcuno su cui ha

già dimostrato la propria superiorità»131.

130 Cfr. J. Goodall, L'ombra dell'uomo, cit., cap 10.131 A. Storr, L'aggressività nell'uomo, cit., p. 125. Interessante soffermarsi un attimo su quest'affermazione:

la causa che Storr individua come genesi di tal comportamento, è la maggiore capacità di identificazione dell'uomo nel suo avversario che, insieme all'empatia e all'altruismo (capisco la sofferenza in X e allora lo aiuto) porta anche alla crudeltà! De Waal ipotizza un rapporto di proporzionalità diretta tra capacità cognitive e capacità di identificazione, osservando soprattutto le conseguenze positive; lui e Girard appaiono entrambi su due poli opposti: chi pone la totale attenzione all'empatia, chi alla violenza! A difesa di Girard, possiamo affermare che in lui vi è una consapevolezza dell'empatia, fonte di collaborazione sociale e altruismo, ma vi è una centralità della violenza proprio a causa del silenzio che ruota intorno ad essa; secondo il critico letterario, proprio durante le crisi mimetiche, scatenate da un ipermimetismo, si ha la scomparsa dell'empatia! In casi di crisi 'sociali' anche nel caso di molti animali si possono osservare tensioni, in cui la collaborazione viene meno: Jane Goodall ci descrive lo strano

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Di importanza capitale, in tali circostanze, sono i segnali di pacificazione o

sottomissione, messaggi inequivocabili che mostrano la palese sconfitta: vengono innescate

delle inibizioni, le quali portano alla repentina fine dell'attacco, determinando la fine dello

scontro e con esso l'affermazione di sottomissione nei confronti del vincitore: se dunque

l'istinto all'aggressività è una pulsione attiva, altrettanto attiva è l'inibizione, che impedisce

o modifica l'azione violenta; i moduli comportamentali si sono sviluppati sotto la pressione

selettiva dei comportamentali aggressivi: abbiamo – spesso – due azioni assolutamente

contrarie: «l'animale che cerca di calmare un compagni di specie fa di tutto [..] per non

irritarlo»132. Nel caso dei galli, ad esempio, l'azione aggressiva, che è determinata dalla

fiera messa in mostra della cresta rossa e dei bargigli, vede come atteggiamenti di

pacificazione la riparazione della testa sotto l'ala, in modo che non vengano visti ne cresta

ne bargigli; molti animali invece, mostrano le proprie 'armi' come minaccia, ma nella

pacificazione le nascondono: «Dato però che l'arma non serve quasi mai solo per l'attacco,

ma sempre anche per la difesa, questa forma dell'atteggiamento di pacificazione ha il grave

inconveniente che ogni animali che l'esegue si disarma in un modo estremamente

pericoloso, anzi in molti casi offre indifeso all'aggressore potenziale il punto più

vulnerabile del suo corpo»133. L'incredibile diffusione di questo atteggiamento ne dimostra

però l'efficacia: «Sarebbe in effetti un'impresa suicida quella di un animale che volesse

offrire all'improvviso al nemico, che fino a un momento prima era in forte eccitazione

combattiva, una parte vulnerabilissima del corpo indifesa, confidando proprio sul fatto che

la contemporanea interruzione degli stimoli innescanti la lotta è sufficiente a impedire

l'attacco»134. Tale difficoltà, acuita dalla foga eccitazione della lotta, ci permette però di dire

che se l'improvviso mettersi in posizione di sottomissione frena l'imminente attacco, allora

«possiamo supporre con notevole certezza che venga innescata una inibizione attiva

attraverso quella determinata specifica situazione di stimolo»135. Il cambio di atteggiamento

è impressionante, e se un momento prima il lupo attacca ferocemente l'altro, in seguito al

segnale, si osservano atti di rassicurazione – come il grooming. Il perchè le forme di

sottomissione si modellino su comportamenti infantili o su tecniche evocanti

l'accoppiamento, è facilmente comprensibile: prima di avere un significato sociale, essi

atteggiamento che caratterizzò la riserva di scimpanzé durante un'epidemia di poliomelite; Pepe, gravemente deformato dalla malattia, venne inizialmente ignorato; data la sua insistenza, vennero dimostrati azioni di carica nei suoi confronti e , in un secondo momento, anche attacchi violenti (Cfr. J. Goodall, L'ombra dell'uomo, cit., p. 210).

132 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 178133 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 179134 Ivi., p. 79.135 Ivi., p. 180.

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avevano già il carattere d'inibizione verso membri deboli del gruppo (il babbuino , per

esempio, mostra al vincitore le natiche eseguendo gli stessi movimenti che le femmine in

calore compiono per attirare la copulazione: con la monta del vincitore si ha la

riappacificazione). L'esistenza delle inibizioni favoriscono la fitness e la sopravvivenza:

«Se una razza vuole sopravvivere, non può permettersi di andare in giro massacrando i

propri simili. L'aggressività specifica va quindi soppressa e controllata e quanto più potenti

e feroci sono le armi di una specie particolare per uccidere la preda, tanto più forti devono

essere le inibizioni a servirsene per risolvere le controversie tra rivali.[..] Le specie che

hanno mancato di obbedire a questa legge sono estinte da tempo»136.

Non sempre, però, le inibizioni funzionano in modo adeguato: pensare agli animali

come macchine che reagiscono in modo istintivo a degli stimoli esterni significa assumere

un atteggiamento estremamente riduzionista; il fatto che spesso lo scontro non sia mortale,

non nega un possibile esito contrario , ed il racconto riportato da de Waal, in cui l'alleanza

tra due maschi di scimpanzé portò prima alla castrazione e poi all'uccisione del maschio di

rango elevato, ne è un terribile esempio137; (da notare che questa azione avvenne ai danni di

un esemplare particolarmente geloso in campo sessuale: è possibile che la forza del

desiderio eccessivamente bloccata, dovette portare ad un alto livello di violenza

parossistica?).

Si giunge dunque alla differenza peculiare in campo di violenza: la violenza umana

si traduce in uno scontro mortale e omicida, cioè in forme violente che non vengono

placate da segnali d'inibizione o di sottomissione, ma che eccitano se stessi in modo

cronico e parossistico, contagiando coloro che osservano! La cultura, secondo Girard, si

fonda su un omicidio che conclude un'escalation di omicidi, generati da vendette e contro-

vendette anch'esse violente. Come Girard giunge a questa effettiva e radicale differenza tra

noi ed il resto del mondo animale? Potrebbe infatti sembrare che l'ipotesi sia caratterizzata

da un pregiudizio di fondo riguardante l'uomo, l'unico essere vivente eccessivamente

sanguinario e violento; in realtà, diverse sono le vie attraverso cui la violenza può diventare

facilmente incontrollabile138.

136 D. Morris, La scimmia nuda., cit., p. 171.137 «Nella colonia di scimpanzé di Arnhem, per esempio, nel corso di una lotta per i privilegi sessuali e per

li potere un maschio venne castrato e ucciso da altri due maschi coalizzati» (Cfr. F. de Waal, Naturalmente buoni, cit., p. 54.)

138 Leggere Lorenz è molto affascinante e proficuo, ma possiamo scorgere un leggero errore riguardante le sue riflessioni sull'aggressività: il suo modello pulsionale (criticato come 'sciacquone Lorenz') prospetta una vera e propria scarica dell'aggressività su determinati bersagli, finita la quale, la pulsione si placa; se tale discorso può avere una coerenza nel caso della pulsione sessuale, nel caso della violenza si può

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Soffermiamoci ancora sull'etologia; le uccisioni, nel caso degli animali, si osservano

durante scontri nei quali i segnali di pacificazione non vengono recepiti in modo

adeguato139; questi gesti, come già detto, sono in definitiva generati dalla paura

dell'avversario, il quale dimostra una maggiore forza; i desideri dello sconfitto vengono

dunque ridimensionati, e la mano che tentava di appropriarsi mimeticamente dei beni del

suo avversario 'di rango maggiore' si ritrae; a questa vittoria segue una rivendicazione della

superiorità, che s'impone – sempre attraverso la paura e la forza – su tutti i membri del

gruppo. A far dirottare l'ago di questo equilibrio è l'ipermimetismo, ed è qui che la logica

del discorso girardiano si fa incalzante: la spinta che porta l'uomo ad una violenza

degenerata è causa di un'incapacità di contenimento della bramosia! La forza del desiderio

umano supera la semplice imitazione animale, generando un'imitazione d'intensità così

impressionante, che la dimostrazione di forza di un individuo (che si configura come

modello) non è abbastanza forte per generare il timore e la conseguente rinuncia

dell'oggetto desiderato: sembra che venga qui sussurrato per la prima volta il celebre

avvertimento mimetico che il modello enuncia con la sua potenza, e cioè il 'sii come me'.

La differenza sta tutta qui: dove la paura e la forza sono deterrenti abbastanza intensi da

generare sottomissione, la maggiore fame desiderativa umana porta ogni individuo a volere

tutto ciò che l'individuo di maggior rango possiede, e tale intensità viene soppressa solo

con la morte; la maggiore imitazione presente nell'uomo, dunque, non può condurre ad uno

scontro che sancisce una nuova gerarchia (come nel caso dei dominance patterns), quanto

piuttosto ad una serie di scontri sempre più cruenti, durante i quali un'azione violenta non

porta alla sottomissione, ma conduce a reazioni sempre più violente: la spirale mimetica

degenera lentamente in una violenza collettiva; una volta osservate e compiute azioni

aggressive, nel sangue viene rilasciata una quantità di adrenalina eccezionale e tanto più la

violenza dilaga, tanto più essa diviene intensa, permettendo una diminuzione della paura

derivante dallo scontro; la degenerazione sociale, ad opera delle diverse vendette, conduce

notare un'incoerenza; soprattutto nell'uomo la violenza non fa nient'altro che chiamare a rapporto ulteriore violenza: una volta innescata, difficilmente il desiderio violento può essere fermato! La scarica definitiva, come nota egregiamente Girard, si avrà quando non vi sarà rappresaglia in seguito ad un'azione violenta che si presenta come definitiva.

139 A riguardo, uno esperimento su alcuni tacchini, mostra che l'azione aggressiva può di fatti scontrarsi con l'errore del segnale di sottomissione o della sua percezione; durante il periodo di cova, delle tacchine sorde si comportavano come le loro simili, difendendo a spada tratta qualsiasi minaccia potenziale potesse avvicinarsi al loro nido; ovviamente, un livello così alto di aggressività, doveva essere compensato da una forte inibizione che impedisce di attaccare il piccolo appena nato; proprio tale studio dimostrò che, in mancanza dell'udito, le tacchine che non sentivano il pigolato dei loro figli, li considerano come una minaccia nel nido, e furono uccisi dalle madri stesse. (Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit., pp. 162-163).

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sempre più ad una violenza sanguinaria: se quindi il tal maschio alfa reagisce attaccando lo

sfidante, possiamo ipotizzare una lotta che non si configura come un semplice duello, ma

una vera lotta che dilaga a livello collettivo grazie al propagarsi del mimetismo!

Una delle prime perplessità che potrebbe sorgere è pensare ad animali che si

vendicano e, dunque, che provano risentimento nei confronti di altri individui; si potrebbe

pensare, in fondo, che tale dinamica sia troppo umana140 per essere appartenuta a degli

ominidi, o ad altri animali; se prendiamo questa replica seriamente, la soluzione di Girard

al problema dell'ominizzazione diventerebbe, a mio avviso, un po' più debole: si dovrebbe

infatti supporre uno scontro tra due individui, che però coinvolge molti esemplari solo sulla

base della semplice imitazione. In realtà, possiamo allontanare tranquillamente tale dubbio,

osservando cosa avviene in altre specie. Gli esempi migliori, in questi casi, derivano dagli

scimpanzé, caratterizzati da una politica sempre più complessa ed affascinante: molti

individui sono in grado di formare vere e proprie alleanze, determinate sia dalla parentela

che da rapporti che possiamo definire di amicizia; la capacità di mantenere il potere – o di

rovesciarlo – si basa in gran parte sulla capacità di avere dalla propria parte un buon

numero di alleati, e questo avviene attraverso la distribuzione di favori, di cure e di aiuto

reciproco: in molti casi osservati, la semplice presenza di un amico genera molta fiducia

negli individui; non solo, in vista di un amico in difficoltà, molti individui si aggiungono

alla lotta141. De Waal, ci racconta che nel momento in cui un celebre maschio dominante

vide un giovane piuttosto turbolento compiere cariche dimostrative per minare il suo

potere, egli, sapientemente, raggruppò i suoi 'alleati' attraverso una seduta di grooming

collettivo, aspettando il momento opportuno per ridimensionare la sua spavalderia con una

punizione collettiva142. Durante momenti molto tesi, inoltre, gli scimpanzé sono sempre in

140Estremamente accattiva una citazione di Lorenz, per obiezioni come queste: «Intendiamoci, anche se uso queste espressioni io non voglio «umanizzare» gli animali: occorre soltanto tenere presente che il cosiddetto «troppo umano» è quasi sempre un «pre-umano», qualcosa quindi che è comune a noi e agli animali superiori. Credetemi, io non proietto per nulla qualità umane sugli animali, anzi, faccio proprio il contrario, mostrando quanto sia ancor forte e profonda l'eredità animale nell'uomo». (Cfr. K. Lorenz, L'anello di Re Salomone, cit., pp. 70-71).

141«Improvvisamente David corse per un certo tratto incontro a Mike e immediatamente Goliath lo raggiunse aggiungendo a quello dell'amico il proprio furibondo richiamo. Mike comincia ad esibirsi, partendo alla carica attraverso la radura contro un altro gruppo di maschi che urlando fuggì ma poco dopo si unì a David e Goliath che stavano ancora urlando. A un certo punto vi erano cinque grossi e potenti maschi, compreso il capo di un tempo, Goliath, contro uno solo. Nuovamente Mike partì alla carica attraverso la radura e all'unisono, con David alla testa, gli altri gli furono dietro. Mike, questa volta gridando, si precipitò su un albero seguito dagli avversarsi» (Cfr. J. Goodall, L'ombra dell'uomo, cit., p. 135-136).

142«un maschio alfa può ricevere una sfida decisiva da un maschio più giovane, che scaglia sassi verso di lui o fa una dimostrazione impressionante di un attacco, con tutti i suoi peli ritti, avvicinandosi un po' troppo al boss. Questo è un modo per valutare il sangue freddo del capo. I maschi alfa esperti ignorano

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cerca di rassicurazioni e questo determina ulteriori momenti per crearsi alleati e sostenitori;

ovviamente, le alleanze si osservano anche nelle fila dei maschi intenti a rovesciare la

gerarchia, ed è interessante notare che «Non è inconsueto che uno scimpanzé dominante

metta alle corde un compagno qualche tempo dopo un confronto in cui quest'ultimo,

insieme a un certo numero di altri individui, gli si era contrapposto»143; questo chiaro

esempio di vendetta è solo uno dei numerosi casi di vendette premeditate da parte degli

scimpanzé. Interessante il caso dei macachi, la cui rigidità sociale comporta diverse

modalità di azione: quando un individuo di rango più basso subisce un torto da un

individuo di rango maggiore, può sfogare la frustrazione su un individuo di rango a lui

inferiore, e solitamente, la vittima scelta mostra legami con il molestatore: «tutto ciò che

può accadere è che si formi un'alleanza in difesa del bersaglio più giovane, dando luogo ad

una faida»144. Date queste osservazioni, possiamo facilmente ipotizzare che tali dinamiche

'politiche' avvenissero anche presso i nostri progenitori, semplicemente differendo per

intensità e sottigliezza machiavellica: non viene difficile però immaginarsi una vera e

propria lotta fra diversi 'gruppi', ingenerata proprio da uno scontro tra due diversi

esemplari, tanto più che, come molti studi dimostrano, nei momenti che precedono gli

scontri, i maschi tendono a richiamare gli alleati con urla e con le braccia. Definita

probabile la dinamica della vendetta diventa molto più sensata l'ipotesi girardiana della

lotta di tutti contro tutti: le diverse dinamiche vendicative e collettive della violenza,

facilmente portano ad una possibile aggressività ingenerata e continua, proprio come quella

che dovette caratterizzare gli uomini in via di ominizzazione.

Ancora una volta, il fattore distintivo dell'uomo è una violenza implacabile

determinata da una mimesis così intensa da far prevalere la dimensione conflittuale a livelli

praticamente assenti nella vita quotidiana dei nostri cugini nella scala evolutiva; tale furia

'omicida' che ci caratterizza, è in realtà una conseguenza 'fisiologica' ad un cervello più

sviluppato, che ricade in una spirale di conflitti mimetici insopportabili per i dominance

patterns!

totalmente questo chiasso, come se neppure se ne accorgessero, dopo di che si prendono tutto il tempo necessario per praticare il grooming ai loro alleati prima di lanciare una controffensiva più tardi nel corso della giornata.» (F. de Waal, Il bonobo e l'ateo, cit., p. 186)

143F. de Waal, Naturalmente buoni, cit., p 203. Cfr anche F. de Waal, Il bonobo e l'ateo , cit., p. 160: «Gli scimpanzé compiono anche rappresaglie. Se hanno perso uno scontro contro un gruppo di altri scimpanzé che si sono alleati, possono aspettare la giusta occasione per pareggiare il conto. Se incontrano uno degli altri da solo, senza l'appoggio dei suoi compari, lo aggrediscono immediatamente[..]. Per lo più però, uno scimpanzé sconfitto da un gruppo di quattro aspetta fino a quanto uno dei suoi aggressori sta perdendo contro qualcun altro: questa è l'occasione perfetta per unirsi alla rissa e rendere più gravosa la sconfitta del suo vecchio nemico».

144 F. de Waal,, Naturalmente buoni, cit., p 205.

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Ma l'adrenalina e l'ipermimetismo, furono probabilmente accentuati da ulteriori

fattori, i quali rendono ancor più fondate le ipotesi di Girard. In primo luogo la presenza di

armi artificiali, che conducono ad crollo della funzione dei segnali d'inibizione: « Innati

meccanismi di comportamento possono venire completamente sbilanciati da piccoli

cambiamenti apparentemente insignificanti delle condizioni ambientali, e tale è la generale

incapacità di rapido adattamento che in condizioni sfavorevoli una specie può estinguersi

del tutto»145. Questo non vuol dire negare che gli uomini siano privi di tali segnali, ma,

inizialmente dovettero faticare ad essere compresi, in quanto lo strumento diventa di

difficile gestione inibitoria: «C'è poco da sorprendersi dunque se l'evoluzione degli istinti

sociali e quel che più conta l'evoluzione delle inibizioni sociali non hanno potuto tenere

testa al rapido sviluppo che è stato imposto alla società umana dal progresso della cultura

tradizionale, soprattutto di quella tecnica»146. Dall'alto della sua intelligenza, l'uomo non si

è dispensato di turbare l'ordine naturale che l'animale non sembra aver perso; se per

Rousseau le arti e le scienze hanno corrotto l'uomo, secondo Lorenz l'uomo è dovuto

divenire altro dall'essere 'naturale' , a causa dell'incapacità dei soli istinti di reggere all'urto

della cultura:

«Ovviamente i meccanismi del comportamento istintivo non riusciranno a far fronte alle nuove circostanze che la cultura inevitabilmente produsse ai suoi primi albori. Abbiamo elementi per credere che i primi inventori di arnesi di selce, gli australopitechi africani, usassero prontamente la loro nuova arma non soltanto per uccidere selvaggina ma anche per far fuori i loro compagni di specie. L'uomo di Pechino, il Prometeo che imparò a conservare il fuoco, lo usò per arrostire i suoi fratelli: accanto alle prime tracce di uso regolare del fuoco giacciono le ossa mutilate e abbrustolite del Sinanthropus pekinensis stesso»147.

Con la presenza della armi l'uccisione diventa molto più semplice e, con le armi a

distanza, i segnali che creano inibizioni non funzionano; il problema delle armi portò ad un

vero e proprio paradosso mai visto in natura, in quanto, tanto più un animale è feroce, tanto

meglio le inibizioni sociali funzionano148! Questo equilibrio venne meno con l'introduzione

di strumenti paragonabili ai denti aguzzi di veri predatori, ma usati da animali privi delle

inibizioni necessarie: «Tutti i suoi guai gli derivano dall'essere fondamentalmente una

145 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 89.146 Ivi., cit., p. 301-302.147 Ivi., p. 302.148«Nessuna pressione selettiva si formò nella preistoria dell'umanità per generare meccanismi inibitori che

evitassero l'uccisione di conspecifici finché, tutto d'un tratto, l'invenzione di armi artificiali portò lo squilibrio fra la capacità omicidiale e le inibizioni sociali[..]. C'è da rabbrividire al pensiero di un essere della eccitabilità e irascibilità di uno scimpanzé , o di tutti i primati preumani, che brandisce una mazza benl affilata» (Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 304.)

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innocua creatura onnivora che manca di armi naturali (fisiche) con la quali ammazzare una

grossa preda, e che manca quindi anche di quei meccanismi di sicurezza incorporati che

vietano ai carnivori «professionisti» di abusare del loro potere fatale per distruggere

compagni di specie»149.

L'ipermimetismo è un carattere sviluppatosi lentamente, insieme alla crescita del

cervello (per questo la situazione umana - e non in fase di ominizzazione - è definita da

Girard come caratterizzata da desideri eccessivamente mimetici) e l'aggressività cronica

nell'uomo è una conseguenza di tutti questi fattori, tutti determinanti a favorire la

violenza150! Nel corso dell'ominizzazione, l'uomo dovette divenire tanto più abile a gestire

le risorse e l'ambiente in cui vive, fattore che – da un punto di vista evolutivo – ha portato

ad una selezione dominata da dinamiche interne al gruppo sociale, grazie ad una maggiore

competizione! Attraverso le armi artificiali, che determinano il crollo delle inibizioni, e

l'ipermimetismo, che invece innesca dinamiche desiderative eccessivamente potenti,

abbiamo i due fattori che condussero l'uomo all'omicidio fondatore, cioè a ridirezionare

della pulsione aggressiva (redirected activity) verso un altro oggetto che non ha suscitato la

pulsione, ma che finisce per assorbirne gli effetti, in modo da evitare di colpire soggetti

vicini e cari; tutto ciò genera un sistema culturale la cui funzione nient'altro è che sostituire

la gerarchia animale generando divieti analoghi a quelli animali che impediscono il

mimetismo. Il meccanismo vittimario assolve inoltre alla risoluzione di un dubbio che

divideva etnologie ed etologi: «ci sono sempre delle forme sociali fondate già sulla mimesi,

anche tra gli animali, ed esse devono crollare, colpite da crisi mimetiche, perchè appaiano

delle forme nuove e più complesse, fondate sulla vittima espiatoria»151.

2.2 – Risoluzione attraverso il capro espiatorio: ri-direzione dell'aggressività e legame

I continui scontri, non potendo terminare nelle consuete gerarchie, minacciano la

sopravvivenza del genere umano proprio al suo albore. La risoluzione si trova nel secondo

149 K. Lorenz., L'aggressività , cit., p. 302.150A tal proposito, le riflessioni di D. Morris ne La scimmia nuda risultano molto suggestive: secondo

l'autore, durante il periodo di ominizzazione, l'uomo dovette gestire dosi di aggressività sempre crescente, in quanto, all'aggressività territoriale che deriva dall'assunzione di un tipo di vita sedentario, si deve aggiungere l'aggressività 'gerarchica' che deriva dalla nostro retaggio di primate; in aggiunta, la nuova formazione 'familiare' che egli immagina, acuì notevolmente le tensioni all'interno del gruppo, a causa della 'gelosia' dei maschi per il possesso delle singole femmine. Non concordando completamente con la ricostruzione che l'autore fa del processo di ominizzazione, credo però che tale definizione in campo di aggressività abbia una valenza rilevante. (Cfr. D. Morris, La scimmia nuda, cit., cap V- La lotta.)

151R. Girard, Delle cose nascoste, p. 125.

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pilastro dell'edificio teorico girardiano, l'ormai noto meccanismo del capro espiatorio, in

grado di convogliare tutte le tensioni e pulsioni violente su di un unico bersaglio,

riportando così la pace. Girard definisce tale processo come una metamorfosi

dell'imitazione, che da mimesi d'appropriazione diviene mimesi di antagonismo; la mimesi

di appropriazione è quell'insieme di comportamenti che possono degenerare in una crisi

mimetica, conseguenza terribile della convergenza di molti desideri esasperati su di un

unico appiglio; immaginiamo una crisi sempre più cruenta e parossistica, nella quale il

mimetismo – evidentemente oltre al limite 'normale' – conduce alla cancellazione

dell'oggetto del desiderio, che si mostra come un mero espediente per lo scontro: ciò che

rimane in seno alla comunità è il conflitto sanguinario in quanto tale. La comunità si

deforma in una massa indistinta di doppi e di antagonisti, nella quale la potenza mimetica

di appropriazione trova il suo sfogo direttamente sugli individui, bersagli della violenza più

sanguinaria: «Per la mimesi l'unico campo di possibile applicazione sono gli stessi

antagonisti. Si produrranno allora, in seno alla crisi, delle sostituzioni mimetiche di

antagonisti»152. La divisione suscitata dalla mimesi d'appropriazione, che porta al conflitto

per il possesso di un oggetto, diviene mimesi di antagonismo la quale «riunisce facendo

convergere due o più individui su un identico avversario che vogliono tutti abbattere»153.

Come sappiamo, il conflitto mimetico dilaga e si propaga come un'epidemia, per cui, se la

mimesi d'appropriazione su un oggetto si spande esponenzialmente in una società di

imitatori, allo stesso modo dovremmo immaginare il dilagare della mimesi d'antagonismo

su di un unico bersaglio, che diviene lentamente il centro gravitazionale delle attenzioni;

più gli sguardi mirano ad un oggetto, più esso viene osservato e desiderato: alla stregua, più

un singolo antagonista diviene il doppio mimetico, più si configura come il centro delle

pulsioni aggressive: «arriverà necessariamente il momento in cui l'intera comunità si

ritroverà raccolta contro un individuo unico. La mimesi dell'antagonista suscita dunque

un'alleanza di fatto contro un nemico comune e la conclusione della crisi, la riconciliazione

della comunità, non consiste in nient'altro»154. La mimesi di antagonismo può essere letta

come quel meccanismo che permette la metamorfosi di una violenza 'cattiva' – perchè

dilania e spezza la società – in una violenza 'buona' – che riunisce grazie al sacrificio di un

unico bersaglio, la cui morte permette di drenare via dalla comunità tutti gli antagonismi e

tutte le divisioni. Può essere proficuo interpretare questo meccanismo del capro espiatorio

come un processo di ri-direzione dell'aggressività: per ri-direzione, intendiamo un'azione

152R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 44153Ibid.154Ibid.

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che trova uno sfogo pulsionale ai danni di un oggetto che non è la causa scatenante di detta

pulsione; in questo caso, la violenza che ognuno esercita su un determinato bersaglio viene

a polarizzarsi su di un unico individuo, che funge da vero e proprio parafulmine: non era lui

ad aver suscitato inizialmente la reazione violenta, ma è lui a subirne le conseguenze,

permettendo un adeguato sfogo pulsionale e, d'altro canto, non richiamando in causa

ulteriore violenza.

A destare sorpresa, è l'effetto conciliatorio di questo processo: infatti, se la mimesi

d'appropriazione divide in modo netto il gruppo, la mimesi d'antagonismo riunisce tutti

contro un unico bersaglio, generando così – per quanto cruento possa sembrare – una

comunità solidale e di nuovo in pace: «Una volta che la mimesi d'appropriazione

oggettuale ha compiuto la sua opera di divisione e di conflitto, si trasforma in mimesi

dell'antagonista che tende invece a raccogliere e unificare la comunità»155. Il linciaggio

genera si una comunità di assassini complici, ma è proprio questa complicità che determina

la fine delle violenze, il ritorno della pace, oltre che la cooperazione e l'aiuto reciproco.

Tutto questo processo può essere considerato sensato per dei gruppi pre-umani? In

fondo, l'ipotesi girardiana trae le sue fondamenta da osservazioni di gruppi sociali già in

possesso di una cultura, la cui origine viene posta in un passato ancestrale, per venir

presentata contemporaneamente come origine dell'uomo stesso; in fondo tale processo

induttivo e genealogico potrebbe essere capzioso, in quanto postula alla base dell'uomo

processi non validi per un gruppo di ominidi non ancora 'culturali'. Per conferire maggiore

credito all'ipotesi del capro espiatorio, ancora una volta, l'etologia permette interessanti

delucidazioni. Quale altro ruolo possiamo assegnare all'aggressività? Può davvero una

violenza che dilania la società polarizzarsi su un'unica vittima, creando una società di

assassini solidali ed uniti? E' davvero possibile fondare un legame solidale su un omicidio?

Nelle sue acute pagine relative all'aggressività, l'etologo austriaco Lorenz dimostra in modo

eccellente il nesso tra aggressività e amicizia, postulando in modo innovativo la pulsione

aggressiva come condizione sine qua non lo sviluppo di un vero rapporto sociale sarebbe

impossibile! Per vincolo si può definire quel tipo di legame che tiene unite due

individualità156 e che, in una determinata società, può ramificarsi tra i diversi membri,

creando un gruppo in cui l'aiuto reciproco e la cooperazione fungono da norma, come

accade negli animali sociali. Lungi dall'essere solo un male, l'aggressività diviene l'asse

155R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 45.156Nelle riflessioni di Lorenz, la centralità dell'individualità è fondamentale: in schiere anonime, come

banchi di pesci, il vincolo non si concretizza, mancando la possibilità di un rapporto tra due individualità.

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portante della socialità – paradossalmente; la semplice ri-direzione di un'azione aggressiva

permette la conquista di una vetta fondamentale per ogni individuo, presentandosi come

«l''espediente più geniale che l'evoluzione abbia inventato per costringere l'aggressività su

binari innocui»157. La posizione dell'etologo dimostra tutta la sua apparente paradossalità,

giungendo a definire ogni tipo di legame positivo, sia l'amicizia che tutti i vincoli realmente

sociali, come conseguenze derivanti dalle dosi inevitabili di aggressività che emergono

dalle tensioni intra-specifiche, squisitamente ri-indirizzate: «il vincolo personale s'è

formato nel corso del grande divenire senza alcun dubbio nel momenti in cui, presso

animali aggressivi, si sia resa necessaria la collaborazione di due o più individui ai fini

della conservazione della specie»158.

Per cogliere il nesso che intercorre tra bonding e aggressività, Lorenz ci illustra una

serie di esempi sensazionali, tratti direttamente dalle sue osservazioni; l'esistenza e la forza

di questo nesso ci permette una migliore comprensione di enigmatici comportamenti

'rituali' i quali, apparendo immediatamente aggressivi, si risolvono in gesti amorevoli:

«The link between (redirected) aggression and bonding is also evident, curiously and challengingly, in mating. In many different mammalian species, sexual encounters look like fights, sometimes accompanied by thrashing about, loud noises, and (in cats) mock biting, scratching, and caterwauling, followed by a final act of pushing away (’rejection’) that looks distinctly unfriendly. Among humans, too, aggression is sometimes diverted into sexual behaviour. This is a well-known pattern in certain dysfunctional (abnormal or poorly functioning) relationships. Fighting or arguments are part of a semi-ritual pattern that ends in “kissing and making up».159

La ri-direzione dell'aggressività, a favore del vincolo, non ha come prova solo la

tensione aggressiva che vige attorno alla sessualità. In termini di 'amicizia', molto

intrigante è la 'danza a carattere strettamente rituale' delle gru: la cerimonia si apre con la

classica manifestazione di potenza, condita con tutta una serie di segnali aggressivi come

ali aperte, becco in alto; ma:

«questa minacciosa rappresentazione della propria temibilità viene [..] rapidamente allontanata dall'avversario con una conversione di 180 gradi: ora l'uccello, sempre ancora con le ali spiegate, presenta al compagno la nuca indifesa[..] Per alcuni secondi l'uccello «danzante» permane in quella posizione e esprime così con un comprensibile simbolismo che la sua minaccia d'attacco non è diretta contro il compagno, ma tutto al contrario lontano da questi, verso l'infame mondo circostante, e qui giù echeggia il motivo della difesa dell'amico. Dopodichè la gru si volta di nuovo verso l'amico e ripete di fronte a questi la

157K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 99.158Ivi., p. 274.159http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Thinking%20the%20human.pdf

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dimostrazione della sua grandezza e potenza, si gira immediatamente dopo ed esegue ora significativamente un finto attacco contro un qualsiasi oggetto sostitutivo, preferibilmente contro una grù li accanto non amica [mancando la quale], anche contro un pezzettino di legno o un sassolino che viene preso col becco e lanciato tre, quattro volte in aria»160.

L'alleanza e l'amicizia tra i due esemplari viene appunto cementata da una riconversione di

un attacco verso l'esterno.

Gli esemplari maschi dei pesci ciclidi sono animali terribilmente territoriali e di

conseguenza estremamente aggressivi; gli attacchi che, ad esempio, un esemplare compie

non si indirizzano solo verso altri maschi, ma anche ai danni di esemplari femmine che si

insinuano nel suo territorio desiderose di accoppiarsi; lentamente, però, l'aggressività

scema lentamente, attraverso l'esibizione di rituali di sottomissione, azioni di

corteggiamento e, fortunatamente, anche grazie ad una buona dose di abitudine161.

Raggiunta una sorta di stabilità, però, la femmina muta radicalmente atteggiamento,

abbandonando la timidezza iniziale ed esibendo comportamenti sempre più superbi e

sfrontati, proprio nel centro del territorio del suo compagno (dove l'aggressività tocca il

vertice massimo di intensità). Il decorso degli eventi è però sconvolgente: l'eccitazione

dell'esemplare maschio tocca il picco, a causa di tali provocazioni, e « quindi si precipita

verso la sua femmina, assume anche lui la posizione dell'imporsi col fianco [posizione

simbolo di aggressività e di minaccia], lancia alcuni colpi di coda e per frazioni di secondo

sembra che la voglia speronare, e poi [..] passa effettivamente al furibondo attacco.. ma

non contro la sua femmina, evitandola di stretta misura, invece contro un altro compagno

di specie: in circostanze naturali regolarmente contro il vicino di territorio»162. Abbiamo di

fronte un tipico caso di attività ri-diretta: un azione «innescata da un oggetto, siccome

questo provoca contemporaneamente stimoli inibitori, viene sfogata su di un altro

oggetto»163; di conseguenza, a scatenare l'azione violenta è stata l'esemplare femmina, la

quale, però, essendo la compagna e dunque esibendo contemporaneamente segnali inibitori,

genera un'inversione di rotta da parte del ciclide, che, all'apice dell'eccitazione, scarica la

sua aggressività su un nemico posto nelle vicinanze!164Se possiamo provare questa

160K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 234.161Se, l'aggressività non degenera in omicidio, lentamente l'abitudine ad un altro individui attenua la

violenza che li viene riservata.162K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 229.163Ibid.164Le inibizioni che possono suscitare una ri-direzione, possono essere scatenate dalle motivazioni più

diverse, per cui «un animale si avvicina da una certa distanza all'oggetto della sua rabbia, soltanto nell'avvicinarsi si accorge poi di quanto in realtà sia terrificante l'avversario e, dato che non riesce più a

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sensazione nel nostro quotidiano, colpendo un innocente tavolino al posto di chi ci fa

infuriare, comprendiamo immediatamente l'utilità sociale di un meccanismo che dissuade i

conflitti interni; ma c'è di più: infatti, s'instaura un legame profondo tra i due attori di

questo spettacolo. Essendo fonte di minaccia e di disgregazione sociale, la ri-direzione

dell'attacco è un espediente fondamentale 'utilizzato' da Madam Evoluzione per dirottare

l'aggressività «in canali innocui e di frenare i suoi effetti dannosi alla conservazione della

specie»165. Ma come possa cementarsi un rapporto definibile 'vincolo'? Soffermiamoci

ancora presso i ciclidi: le osservazioni esposte, non riguardavano una scelta deliberata fatta

al momento da un singolo pesce, ma documenta un'azione ritualizzata e solidificatasi

durante il processo filogenetico: azioni di questo tipo caratterizzano ormai pulsioni

peculiari all'interno del 'parlamento degli istinti' di ciascuna specie166, permettendo lo

sviluppo di un legame tra il maschio che attacca e la femmina che ha generato l'inibizione

all'aggressione, in quanto questa peculiare azione viene eseguita esclusivamente con la

presenza del partner che ha innescato l'azione: «Appartiene infatti all'essenza di questa

particolare cerimonia di pacificazione, che ognuno degli alleati la possa celebrare solo con

l'altro e non con un individuo qualsiasi della sua specie, mentre l'autonoma pulsione

aggressiva, da cui è nata, può venire sfogata indiscriminatamente su ogni individuo

anonimo della specie»167. Nato , probabilmente – sostiene Lorenz – da un evento casuale,

gli agenti dell'evoluzione hanno selezionato un comportamento utile, ed è da qui che il rito

ha trovato la sua genesi: ovviamente, l'origine 'oscura' viene spinta nel sottosuolo in modo

che nessuno possa trovarla168. Nel caso dei ciclidi, dunque, abbiamo un doppio vantaggio:

frenare l'attacco, ormai avvito, riversa la sua rabbia su un qualche innocente essere che si trova lì accanto» (Cfr, K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 230).

165Ivi., p 109.166Secondo Lorenz è necessario parlare di riti anche per gli animali: essi sono quell' insieme di movimenti,

comportamenti e gesti che, «perdono, nel corso della filogenesi, la loro specifica funzione originaria e diventano pure cerimonie «simboliche» »(Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit, p 99). Tenute in conto le debite differenze con i riti umani, esse svolgono in realtà funzioni similari, specialmente osservando dal punto di vista funzionale. Un determinato comportamento, ad esempio la ri-direzione di un attacco, può essersi sviluppato, come nel caso dei ciclidi, come mezzo per cementare il rapporto fra i coniugi, ed evitare che l'esemplare maschio uccidesse la femmina; l'atteggiamento, si è lentamente radicato nei comportamenti istintivi della specie, in quanto si è dimostrato utile per la sopravvivenza della specie; nel corso della filogenesi tale atteggiamento è andato in contro ad una 'schematizzazione' , assumendo delle connotazione squisitamente rituali; quest'atteggiamento si dimostra come un'azione a scopo 'comunicativo', e questo viene confermato dalle esagerazioni mimetiche e gestuali che ogni rito animale dimostra. La caratteristica interessante, in questo caso, è lo sviluppo di un nuovo bisogno istintuale, per cui, il ciclide che ri-direziona l'attacco, ha l'istinto di fare questo solo con il suo partner: in questo modo, si innesca un nuovo bisogno istintuale, nato dalla ri-direzione dell'aggressività.

167K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 233.168Questa interpretazione del rito è estremamente interessante: «Il rito nato dall'attacco ri-diretto somiglia

quindi, al suo primo apparire, molto più al suo prototipo non ritualizzato che non al suo successivo pieno sviluppo. [..] Nella cerimonia completamente sviluppata il «simbolo» si è allontanato molto di più da quel che viene simbolizzato e l'origine della cerimonia viene oscurata sia dalla «teatralità» dell'intera reazione sia anche dal fatto che con tutta evidenza la cerimonia viene celebrata per amor della stessa. Saltano agli

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se da un lato si salvaguardia il 'rapporto tra coniugi' dalla distruzione dell'aggressività,

quest'ultima non viene persa, tutt'altro: in quanto pesci territoriali, l'aggressività dilaga

verso nemici esterni, altri maschi, i quali sfogano le pulsioni aggressivi tra loro: se questo

scontro venisse impedito (come nel caso di acquari artificiali) la violenza porterebbe

all'omicidio della compagna e della possibile prole, come purtroppo spesso accade.

Altrettanto intrigante è la cerimonia del “saluto” presso i germani reali, che si

differenzia di poco da un'aggressione: il cosiddetto saluto è un rito che viene celebrato da

due coniugi di germano reale in seguito ad una lunga separazione; il suo svolgimento è

semplice: seguendo un determinato richiamo, il maschio si dirige verso la sua compagna,

mostrando un atteggiamento inizialmente aggressivo, per poi – alla fine – fiondarsi sulla

compagna in modo maestoso e suggestivo, ma definitivamente pacifico: è così

caratteristico che viene appunto definito un saluto tra amanti; l'intensità di questo rito è

direttamente proporzionale al lasso di tempo che ha diviso i due coniugi; la funzione

assolta dal rituale è l'eliminazione del pericolo dell'aggressività, la cui inibizione viene

meno dato il lungo lasso di tempo che ha diviso i compagni (l'abitudine rende l'aggressione

molto rara)! Tale cerimonia, definita del giubilo trionfale non è nient'altro che una forma

ritualizzata che si è trasformata in un rito di pacificazione, muovendo da un'iniziale

'attacco', in modo molto simile al processo rituale dei ciclidi; essa trova forme più

complesse in molte specie di oche. In alcuni casi, la minaccia di un maschio che nuota

verso la femmina viene ri-diretta verso un vicino, nei confronti del quale anche la femmina

inizia a dare segnali di minaccia: il coniuge ri-direziona l'aggressività – inizialmente rivolta

verso la compagna – ai danni di uno sconosciuto, azione utile per la formazione di una

'coppia unita ai danni di un nemico comune'; presso la casarca al minimo segno di minaccia

della compagna, il «maschio però non reagisce tanto con un ritualizzato minacciare senza

guardarla, ma con un effettivo, violento attacco al vicino da lei definito nemico»169. E se

l'attacco va a buon fine, la coppia termina con un giubilo trionfale e cioè con un saluto con

effetto benefico e alla stabilità relazionale. Il ruolo dell'attacco preventivo ad un terzo ha

come funzione l'eliminazione dell'aggressività all'interno della coppia, la quale cementa

così il suo rapporto; la riprova avviene quando tale attacco non va a buon fine, «accade non

troppo di rado che all'improvviso, come su comando, i coniugi [..] si azzuffino l'uno contro

occhi molto di più la sua funzione e il suo simbolismo che non la sua origine» (Cfr. K Lorenz, L'aggressività, cit., p 231).

169K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 239.

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l'altra, e comincino a darsele di santa ragione»170. Il giubilo trionfale va a vantaggio della

coppia proprio perchè, in questi animali 'monogami' esso viene eseguito solo con un

determinato compagno, generando un vero e proprio vincolo di amicizia (non si parla di

coppie eterosessuali, anche perchè il giubilo può unire due maschi, dando vita a una coppia

sovente al vertice dell'ordine, data la loro maggior forza). Diventa chiaro che l'aggressione

preventiva a terzi, serve non solo per scaricare la tensione aggressiva di un maschio, ma

anche per mantenere solido un legame che viene cementato attraverso l'aggressione

esterna, e laddove venga a mancare, la violenza si fa centripeta, proprio come la mancata

esecuzione di un sacrificio, che fa dilagare la crisi mimetica all'interno di una società

sacrificale.

Presso le oche, il giubilo si è espanso ad un livello 'collettivo', riuscendo a tenere

riuniti gruppi piuttosto numerosi, nei quali si osservano alti livelli di collaborazione.

Interessante vedere che in questa specie l'azione aggressiva venga fatta prima del saluto:

non è raro che «un compagno, in genere il più forte membro del gruppo, nelle coppie

quindi sempre il maschio, si accinga a un attacco contro un avversario vero o apparente, lo

combatta e torni poi, dopo una vittoria più o meno convincente, salutato a voce spiegata dai

suoi»171. Dopo aver scaricato l'aggressività verso l'esterno, il maschio mostra un maggiore

amore ed affetto per il suo gruppo, oltre che una minore dose di aggressività: il rapporto tra

le due componenti è infatti di crescita inversa! Addirittura, quando le dimensioni del

gruppo aumentano notevolmente (nel periodo delle migrazioni), il giubilo trionfale

conduce i diversi maschi a coalizzarsi con gli arrivi di alcune nuove oche, creando una

formazione a cono che, da un lato, minaccia i nemici, ma dall'altro consolida il gruppo, che

saluta i protettori proprio con il giubilo. La forza esclusiva del vincolo, generata appunto

dall'aggressività verso esterni, crea un gruppo estremamente coeso172, il cui rapporto si

rivela durevole: esso viene definito un rito il cui scopo è l'unione dei membri della società

delle oche, ed è proprio nella ripetizione che trova la sua funzione unificatrice.

Tutte questi diversi esempi, ci permettono di sottolineare due notevoli aspetti. In

primo luogo, l'esistenza di un legame di implicazione tra l'aggressività e il vincolo

170K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 242.171Ivi., p 241.172Un tal funzionamento si può osservare nella definizione che Canetti fa delle masse doppie (Cfr. E.

Canetti, Massa e Potere, cit., cap I.): in questo genere di masse, si genera una complicità tanto più straordinaria, tanto più si scaricano ingiurie e infamie verso l'esterno, nei confronti dei quali si tende ad un vero e proprio processo di 'demonificazione'; a favore di questo, basti pensare al confronto tra Russia e USA durante la guerra fredda.

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personale: il legame che unisce due oche che si salutano con il giubilo trionfale viene

sancito da un preventivo e precedente attacco ai danni di un membro esterno alla coppia: il

'rimedio sovrano' che le Eumenidi cantano in Eschilo, evoca appunto pace all'interno della

polis attraverso l'odio verso i nemici173 ! Questo modulo comportamentale, secondo Lorenz,

è un classico esempio di adattamento convergente174 in quanto, sebbene in forma più

complessa, si può osservare in differenti specie, uomo compreso! Ed ecco, secondo Girard,

qual'è stata l'acutezza di queste osservazioni: notare non solo la capacità di 'scaricare' una

violenza verso un membro 'esterno' al gruppo (nel caso delle oche si parla di coppia), in

modo che tale pericolo non dilaghi all'interno di esso, ma soprattutto è fondamentale la

funzione consolidatrice che tale azione determina! Se il vincolo nasce da un'aggressione

comune, la lettura della società umane che da Girard – generata cioè da una comunità che si

avventa su una vittima – trova la sua forma primigenia in diversi animali! Questo

meccanismo «sembra [..] il primo abbozzo del futuro meccanismo vittimario proprio nel

suo ruolo di forza “idraulica” che tende a scaricare l'aggressività interdividuale su terzi»175.

La vittimizzazione è dunque un modulo comportamentale la cui forma non è

esclusivamente umana, ma , in forme diverse, si trova in molti animali: forse azzardando,

possiamo parlare di 'proto-forme di vittimazzione' o di un meccanismo vittimario

istintivo176: la soluzione vittimaria non può far altro che attingere a moduli

comportamentali, in fondo già presenti nel funzionamento di tutti gli organismi viventi, i

quali – non necessariamente – assumono forme diverse, a causa delle novelle esigenze

umane, i quali 'ridisegnano' tendenze già esistenti177. Tali suggestioni permettono di

spiegare la socialità e il ruolo catartico che l'omicidio fondatore ha negli uomini: «l'atto di

convogliare l'aggressività interspecifica di un dato gruppo contro un elemento esterno (o un

elemento interno percepito come esterno) crea una forte coesione nel gruppo stesso e

potrebbe essere una delle ragioni per la quale le società primitive ricorrevano all'omicidio

rituale: per rafforza i legami sociali»178.

173«Prego che in questo paese / non s'oda il fragore, / del Dissidio, goloso d'angoscia. / Non s'imbeva la polvere / di bruno sangue: spasimo / di perdizione – morte a saldo di morte - / a desolare la terra. / Festosa corrispondenza d'affetti, / in cara armonia d'intenti / e , nell'odio, cuori che si fondono in uno: / Così sia! Ecco il rimedio sovrano» Cfr. Eschilo, Eumenidi in Orestea, Milano , Garzanti, 1991, p. 257.

174Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 275.175R. Girard, Origine della cultura, cit. p. 71.176In La pietra dello scandalo, Girard definisce il meccanismo del capro espiatorio come «una fonte di

buone mutazioni biologiche e culturali» (Cfr, R. Girard, La pietra dello scandalo, trad. it. A cura di Giuseppe Fornari, Adelphi, Milano 2004, p. 126).

177Allo stesso modo anche la gerarchia umana si ridisegna sulla base di una gerarchia animale, venendo però modellata attraverso la potenza di ogni singolo. La soluzione che vede Girard, lascia presagire un'ideale politico basato su gerarchie e differenze ben radicate: tale lato conservatore di Girard (più o meno voluto) deriva da un'idea di crisi descritta come crollo delle differenze.

178R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 72.

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La rilevante differenza con Lorenz, è però la sua mancata attenzione al 'branco' e la

focalizzazione su singole coppie che, dunque, non possono applicarsi al modello evolutivo

sociale a cui Girard pensa quando elabora la sua ipotesi dell'ominizzazione. Lorenz non

elabora un discorso per animali sociali, pensando dunque in termini di amicizia personale

(probabilmente, questo a causa del tipo di animali studiati da Lorenz,in prevalenza oche)179;

l'esempio delle oche che formano una 'falange' di colli minacciosi si dimostra

estremamente suggestivo per una dimensione collettiva; la ricerca di proto-forme di capro

espiatorio e di vittimazione può risultare molto utile, sempre tenendo conto delle notevoli

differenze che un essere ipermimetico può generare: secondo Girard anche il fenomeno

della caccia presso gli scimpanzé, che ha affascinato molti studiosi, può essere definito una

'piega etologica'180, una tendenza a scovare vittime per scanalare l'aggressività181; sia presso

il fume Gombe, sia in Tanzania, si sono osservati rapporti tesissimi e violenti (fino

all'assassinio) tra diversi gruppi di scimpanzé o anche tra scimpanzé e babbuini182! Non

possiamo, in fondo, imporre il linciaggio come un momento unico e straordinario, ma «si

tratta di definire tutta una serie di stadi nel lungo processo evolutivo che ha portato al

meccanismo del capro espiatorio nella sua struttura e funzione definitiva»183. Questi

atteggiamenti, secondo Girard, dimostrano l'insorgere di moduli comportamentali che

s'indirizzano verso una dimensione collettiva e vittimaria, ma che non riescono ad

irrompere nel piano simbolico a causa del mancato sviluppo cerebrale delle scimmie. Il

179L'aggressività, in animali sociali come scimpanzé, bonobo, noi ecc non viene determinata solo da stimoli singolari o da un temperamento forte; questo 'modello individuale' può essere affiancato da quello che de Waal definisce 'modello relazionale': «il comportamento aggressivo è il prodotto di conflitti di interessi fra individui che condividono una storia (e un futuro). Esso presuppone un equilibrio fra tendenze che separano gli individui e tendenze che li uniscono, e ha per oggetto individui la cui coesione è determinata dall'attaccamento e da senso di appartenenza allo stesso gruppo. [..] solitamente l'aggressione non è un evento che si risolve in un unico episodio ma è parte di una serie di incontri da positivi a negativi, attraverso i quali il rapporto assume un andamento ciclico» (Cfr, de Waal, Naturalmente buoni, cit., p. 224.)

180Cfr. R. Girard, Origine della cultura,cit., p. 75.181Per quanto riguarda la caccia presso gli scimpanzé, non sono convinto del suo legame con la

vittimizzazione: in primo luogo, sia Boesch che Standford definiscono il comportamento venatorio degli scimpanzé come non intenzionale: durante le loro ricerche di cibo vegetale, se si imbattono in altre scimmie minori, si attiva una caccia; più che sull'azione stessa della caccia, è dunque sui successivi avvenimenti che l'attenzione dovrebbe ricadere, primo fra tutte l'eccessiva 'esultanza' di una caccia ben riuscita, che presenta – in questo senso – aspetti rituali.

182Per un'interessante accenno dei rapporti scimpanzé babbuini, i resoconti di Jane Goodall sono delle fonti molto proficue; in secondo luogo, è bene sottolineare che anche i rapporti tra diversi gruppi di bonobo si sono rivelati più tesi di quanto le osservazioni di de Waal definiscono: secondo diversi studi di Gottfried Hohmann, il tasso di aggressioni intra-specifiche è tendenzialmente lo stesso tra bonobo e scimpanzé; (Cfr. Hohmann, Gottfried; Fruth Barbara (novembre 2003). Intra- and Inter-Sexual Aggression by Bonobos in the Context of Mating. Behaviour; oppure Cfr. http://www.lescienze.it/news/2008/10/13/news/il_bonobo_a_caccia_di_primati-578065/)

183 R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 76.

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vero discrimine che negli animali sociali mancherebbe, è la dimensione totalitaria che

invece il linciaggio umano avrebbe, unanimità derivata dall'ipermimetismo; per quanto

riguarda questa unanimità, sono convinto che le dinamiche riferenti le vendette e 'faide' tra

scimpanzé precedentemente esposte permettano una notevole prova a favore di una

partecipazione che sfiori la dimensione collettiva, o che almeno la renda plausibile;

presento qui due resoconti molto suggestivi: invocare la totale unanimità è una

conseguenza logica se si segue il percorso logico tracciato dall'iperimitazione umana. Uno

dei resoconti più stupefacenti descrive una seduta di pasto di alcuni bonobo, durante la

quale un esemplare maschio diviene particolarmente molesto nei confronti di una madre –

con accanto il suo cucciolo – 'colpevole' del tentativo di toccarlo; la reazione del gruppo fu

stupefacente: scoppiò un vero e proprio attacco collettivo e coordinato (che non si concluse

con un omicidio) compiuto con un'aggressività e urla mai registrate in queste pacifiche

antropomorfe:

«Volker salta su un ramo che regge Amy e il suo piccolo. Per un secondo la femmina sembra perdere l'equilibrio ma poi conserva una salda resa e spinge Volker via dal ramo. Il maschio salta a terra, seguito da Amy che lancia urli furibondi. La discesa dall'albero di Volker e Amy scatena un pandemonio, poiché altre femmine e maschi adulti saltano giù dall'albero e in pochi secondi la foresta si trasforma in un campo di battaglia. La scena è in gran parte occultata dalla densa vegetazione, ma il rumore spaventoso prodotto agli urli dei bonobo indica che questa non è una finta battaglia, bensì uno scontro furibondo.» 184

Pensare ad un'azione collettiva, che comporti un intervento di tutti i membri della

comunità, non è dunque una realtà così impensabile; in fondo, soprattutto nel caso delle

antropomorfe come bonobo e scimpanzé, molte dinamiche politiche sono dominate da una

vasta rete di alleanze che s'intersecano sotto le righe di una precisa gerarchia185; non

bisogna dimenticare che , nel vortice dei conflitti per la dominanza, gli scimpanzé vengono

sostenuti dagli esemplari femmine e spesso sono proprio questi sostegni ad esser l'ago della

bilancia; nel caso dei bonobo, inoltre, sono proprio le femmine a porsi in una posizione

maggioritaria rispetto ai maschi (si parla infatti di 'sorellanza'). Interessante è la descrizione

del comportamento di Jimoh, maschio alfa della colonia di Arnhem che iniziò ad inseguire

Socko – una femmina – in modo particolarmente aggressivo; quest'ultima, iniziò a gridare e

mostrare ghigni di paura:

«Prima che l'alfa riuscisse nel riuscisse nel suo intento, parecchie femmine che

184Cfr. G. Hohmann, B. Fruth , Is blood thicker than water?, in Among African Apes pp. 61-67. 185«E' qualcosa in cui molti primati eccellono: nella competizione interna, la loro arma più potente è

l'alleanza di due parti contro una terza». (F. de Waal, Naturalmente buoni, cit., p. 222).

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stavano assistendo da vicino alla scena iniziarono a emettere una serie di abbaiamenti «woaow». Questo suono indignato viene usato contro gli aggressori e gli intrusi. Da principio le femmine si guardarono intorno per vedere come il resto del gruppo stesse reagendo, ma quando anche altre si aggiunsero, e particolarmente la femmina di rango più elevato, l'intensità dei loro richiami aumentò rapidamente fino a che furono tutte unite in un coro assordante. [..] Una volta che le isolate voci di protesta diventarono un coro, Jimoh interruppe l'attacco con un ghigno nervoso sulla faccia[..]. Se non si fosse comportato di conseguenza, senza dubbio, le femmine avrebbero concertato un'azione per metter fine alla persecuzione di Socko»186.

Non sembra mancare molto a un vero e proprio linciaggio, soprattutto se , al posto

di inseguire una debole femmina, al centro dell'attenzione vi fosse uno scontro cruento.

Possiamo dunque concludere che, quel particolare meccanismo del capro espiatorio,

non è nient'altro che uno schema che trova le sue radici nel campo biologico, nelle diverse

forme comportamentali animali che permettono la costituzione di solidarietà e

cooperazione, muovendo dall'aggressività; tale meccanismo, come i dominance patterns,

non riesce a sopportare le nuove spinte derivanti dall'ipermimetismo, e viene dunque

ridisegnato secondo le nuove esigenze che portarono alla formazione di un sistema

culturale che, secondo la prospettiva girardiana, caratterizza l'umano: un nuovo modello

comportamentale che trae la sua linfa dall'animalità187, ma che, riformato in una nuova

direzione, riuscì a instaurare quel processo che portò l'uomo a divenire, lentamente, quello

che oggi possiamo osservare: ancora una volta, è bene sottolineare che l'irruzione nel piano

simbolico, 'rottura' che caratterizza l'umanità, si radica in un processo evolutivo e

contingente, basato su di una peculiarità fisiologica, senza che questo determini alcun tipo

di gerarchia nei viventi.

2.3 – Questione di mimetismo

Prima di concludere potrebbe essere utile fermarsi a riflettere su alcuni punti

interessanti. L'antropologia che Girard traccia è innegabilmente di stampo pessimistico:

186F. de Waal, Naturalmente buoni, cit., p.121.187Degno di nota, è l'opera di W. Burket, La creazione del sacro , nella quale l'autore presenta delle

caratteristiche universali nei fenomeni religiosi, identificando tali realtà come formate sulla base di una serie di caratteristiche riscontrabili anche presso gli animali: «io propongo l'esistenza di schemi biologici di azioni, reazioni e sentimenti attivati ed elaborati mediante pratiche rituali[..]. La religione segue le orme della biologia» (Cfr W. Burkert, La creazione del sacro, cit., p. 221.). Nella sua interpretazione, ad esempio, l'offerta sacrificale ad un dio, in cambio di favori, può trovare il suo 'scheletro biologico' nel comportamento definibile pars pro toto , per cui si accetta il sacrificio di una parte di se (come un dito) , al fine di salvare l'intero; «Dunque uno schema rituale millenario, diffuso da un capo all'alto del mondo ed espresso in racconti, sogni e culti religiosi di antiche civiltà, ha analogie in un programma biologico operante in vari stadi dell'evoluzione e in varie specie animali» (Ivi., p.62.)

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come un moderno maestro del sospetto egli da luce ad osservazioni concernenti realtà

cruente, sanguinarie (e per tanto non sempre studiate), giungendo a dipingere l'uomo, i suoi

desideri e la sua origine privilegiando quell'insieme di aspetti che non ci elevano

moralmente, tutt'altro; l'uomo girardiano, questo primate ipermimetico, si caratterizza

molto più vistosamente come assassino: pensare alla totalità della nostra cultura come nata

da una serie – e molto lunga – di omicidi a danni di innocenti, può essere scomodo; le sue

teorie trovarono una forte resistenza, soprattutto mancando dirette prove di questo omicidio

e di questa concezione sacrificale; ecco perchè, nei testi girardiani, uno degli elementi

basilari, senza il quale la teoria non terrebbe, è la concezione del misconoscimento o

méconnaissance188: l'omicidio reale fondatore, oscuro segreto celato dietro ogni mito e rito,

viene sottilmente (più o meno bene) cancellato attraverso le più diverse strategie narrative,

travisando il racconto, ad esempio, lasciando intendere che una vittima 'cada' da una rupe,

al posto che esserci spinto189. Questo processo di misconoscimento potrebbe giungere

anche ad intaccare l'ipotesi dell'ominizzazione, andando a mostrare l'insensatezza

dell'ipotesi sviluppata da Girard. Vi sono infatti alcune osservazioni che potrebbero indurre

addirittura ad ammettere la validità di tale l'ipotesi, solo con alcune correzioni, che però

quali cancellerebbero il peso delle reali intuizioni dell'autore.

In primo luogo, si potrebbe postulare una violenza fondatrice, se si aggiungesse ad

hoc un deterrente a favore della scintilla scatenante tale crisi: come dimostra la maggior

parte degli studi su animali in cattività, uno dei fattori che fa degenerare la violenza è

l'esponenziale crescita sociale di un gruppo: non serve scomodare l'etologia per capire che,

in casi di un sovraffollamento, il cibo diventi un bene sempre più raro e che questo possa

portare ad un aumento esponenziale della violenza (sicuramente non inibito da un ambiente

compresso, dove i movimenti sono minori e lo spazio personale ridotto al minimo); diversi

studi sulle galline da uova (tenute in allevamento in cui lo spazio vitale era inferiore al

normale) certificarono casi di cannibalismo e automutilazioni. Anthony Storr, riprendendo

188Molto interessante il suggestivo suggerimento di Henri Atlan, il quale considera il misconoscimento come un suppellettile inutile nella teoria di Girard, un 'rimasuglio' dell'influenza freudiana. (Cfr. http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Atlandraft.pdf)

189É ne Il capro espiatorio che Girard sottolinea bene il processo di misconoscimento della violenza all'interno dei miti: «La volontà di cancella le rappresentazioni della violenza governa l'evoluzione della mitologia» (Cfr. R Girard, Il capro espiatorio, cit., cap VII.). Secondo l'autore, si può osservare un processo che tende ad eliminare in primo luogo la dimensione collettiva della violenza, sostituita con un azione individuale; in secondo luogo, è quest'ultima violenza viene cancellata. Si compie così «l'eliminazione di ogni traccia di queste tracce [e cioè delle tracce dell'omicidio collettivo celato inizialmente]» (Cfr. Ibid., p.125).

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diversi studi etologici190, ci conferma tale realtà: «Uno dei pochissimi catalizzatori che

fanno precipitare gli scontri tra animali della medesima specie sino ad un esito mortale è

appunto una grande riduzione del territorio, riduzione che si verifica soprattutto tra gli

animali allo stato selvatico, quando smettono di funzionare, come ogni tanto accade, i

dispositivi automatici che regolano le nascite e le morti»191. In casi straordinari ed

eccezionali di sovrappopolamento, il livello di aggressività tra gli individui compie un

balzo esponenziale, «circostanza che può sfociare in combattimenti mortali oppure in uno

sterminio dovuto a morbi di tipo epidemico»192; oltre che a casi di cattività, questa

situazione può scatenarsi anche in ambienti naturali, com'è documentato per i conigli

selvatici, nei quali scoppia «una rapida diffusione della mortalità a seguito di malattie che

si rivelano frutto della grave tensione insorgente nell'ambito della specie in

soprannumero»193. In tutti questi casi anomali, si potevano osservare una crescita della

violenza a causa del 'crollo' dei livelli inibitori: «tutti gli stimoli che innescano

l'aggressione e il comportamento di lotta intraspecifica subiscono un pauroso abbassamento

dei loro valori di soglia»194.

Il sovraffollamento potrebbe essere una delle possibili cause collaterali che

porterebbero l'uomo ad una violenza ingiustificata, salvando dunque l'immagine dell'essere

morale, incolpando la sua tendenza assassina a cause esterne195; tale ipotesi diventa

suggestiva non appena si leggono diversi resoconti riguardanti casi di cannibalismo,

ipersessualità studiati in ratti e gatti; uno studio zoologico di P. Leyhausen, offre un

resoconto interessante da un punto di vista girardiano: «Quanto più affollata è la gabbia,

tanto più scarsa è la gerarchia relativa. Alla fine emerge un despota, compaiono dei 'paria',

spinti alla frenesia e a tutti i tipi di comportamento nevrotico dai continui e spietati attacchi

da parte di tutti gli altri; la comunità si trasforma in una folla malvagia.»196. Crollo della

gerarchia, violenza incontrollata: tutte modificazioni caratteristiche dell'imminente crisi

mimetica che precede l'escalation delle vendette: nella sua opera di discernimento della

190Diversi studi riguardano gli ippopotami (R. Verheyen, Monographie étologique de l'hippopotame, Institut des Parc Nationaux du Congo Belge, 1954), oppure di studi in giardini zoologici, dove non solo la grandezza limitata del territorio fa aumentare la dose di aggressività, ma anche perchè impedendo la fuga, l'esemplare dominante giunge all'omicidio.

191Anthony Storr, L'aggressività umana, cit., p 51.192Ibid.193Anthony Storr, L'aggressività umana, cit., p. 52.194 K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 96.195Si può ricordare, ad esempio, la risoluzione che Rousseau da al problema della teodicea: per

salvaguardare la bontà dell'uomo, e l'esistenza di un Dio misericordioso, la malvagità viene vista dal ginevrino come conseguenza della vita in società. (Cfr. J.J. Rousseau, Lettera sulla provvidenza).

196P. Leyhausen, The communal organization of solitary mammals, in Symposia of the Zoological Society of London, 1965, pp.249-263. La citazione è presente in R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 85.

61

mitologia, sia le epidemie, sia il crollo delle differenze erano avvisaglie del

misconoscimento mitologico, atte a celare la crisi mimetica. Secondo Girard «Se questa

ipotesi sui meccanismi di risposta a situazioni di stress potesse essere estesa agli ominidi

avremmo una prova di quel genere di comportamento deviante tipico della frenesia

dionisiaca.[..] Dioniso è un altro nome per il parossismo tipico delle crisi sociali in cui

emergono motivi e strutture etologici.»197. Tutte queste situazioni di stress nel caso degli

animali, determinando l'insorgere di tendenze riconducibili alla spirale mimetica,

potrebbero dare ulteriore credito alla definizione di una crisi mimetica che sia in realtà una

crisi di sovraffollamento; durante carestie, epidemie o catastrofi, le nostre società mostrano

il loro volto sempre meno nobile: basti pensare ai resoconti europei riguardanti le epidemie

di peste.

Un'ipotesi piuttosto suggestiva quella che appare sotto questa prospettiva: se in casi

di sovrappopolazione o di situazioni estreme di stress, i meccanismi animali reagiscono con

forme sempre più simili al meccanismo del capro espiatorio, perchè non ipotizzare che

l'uomo possa essersi dilaniato durante una carestia o un'epidemia, e fu proprio dalla società

in rovina che le gerarchia animali crollarono definitivamente, portando ad un'inevitabile

violenza incontrollata e, dunque, dall'emergere del meccanismo vittimario? Che la peste

tebana dell'Edipo re sia una realtà e che, in un secondo momento, scateni la crisi mimetica?

In questo caso, la rottura radicale che portò all'umanità non viene giustificata da

un'uccisione suscitata da una violenza scoppiata e dilagata senza una ragione (o meglio, la

ragione è il mimetismo), bensì la lotta interna, conclusasi con l'immolazione di un

innocente, fu una conseguenza del crollo di una gerarchia definita a causa di continue morti

epidemiche?198 Discorsi come questi postulano una causa esterna che, come conseguenza,

condurrebbe ad una crisi sociale e mimetica; il sovraffollamento può benissimo essere una

conseguenza, da un lato di un brusco cambiamento ambientale che, in concomitanza con un

maggiore sviluppo cerebrale, permise all'uomo condizioni di vita migliori: anche Darwin

notava che ogni specie aumenta progressivamente199, e questo faceva esplodere il

meccanismo della selezione degli individui più adatti; la crescita esponenziale di una

197 R. Girard, Origine della cultura, cit., pp. 85-86.198Quest'ipotesi non deve sembrare priva di senso: durante le epidemie di peste, ogni regola sociale ed

altruista sembrava svanire; che l'uomo – nei momenti delle catastrofi – faccia emergere da se delle spinte egoistiche, è tristemente noto anche nell'odierno 'sciacallaggio' verificatosi proprio in seguito alle devastazioni compiute dai terremoti.

199Darwin in L'origine della specie, postula una variazione ad aumento geometrico di ogni specie, ognuna delle quali è dotata di meccanismi per 'limitare' la crescita delle nascite; ma in casi in cui «le condizioni di vita sono state favorevolissime e quindi [..] vi è stata una minore distruzione dei vecchi e dei giovani e che quasi tutti i giovani si sono potuti riprodurre» allora un aumento esponenziale è possibile. (Cfr C. Darwin, L'origine della specie, cit., p. 71).

62

determinata specie in una nicchia ecologica fa scatenare una densa selezione intra-

specifica, in quanto le capacità adattive di detta specie gli permettono un comodo

adattamento ecologico. Pensare che l'uomo primitivo, grazie alle sue abilità potesse

sfamarsi più facilmente, proteggere la prole con mezzi migliori e dunque condurre la vita in

maniera ottimale, potrebbe giustificare un aumento esponenziale del gruppo sociale; a ciò,

segue un caso di sovraffollamento, e cioè un caso in cui la crisi sociale attende la sua

manifestazione.

L'essenza di quest'ipotesi si misura nella determinazione di una causa esterna come

ragione della violenza umana: se è sensato ammettere che la mancanza di risorse, generate

ad esempio da un sovraffollamento, o di un crollo gerarchico a causa di un brusco

cambiamento ambientale, possa costituire un deterrente per lo scoppio della violenza,

secondo Girard «nemmeno la scarsità di beni è sufficiente a spiegare le forme

straordinariamente complesse e ritualizzate che la violenza assume nel mondo umano: «tale

sovrappiù fa tutt'uno con il sovrappiù di mimetismo legato all'accrescimento del

cervello»200. Postulare un catalizzatore esterno nell'ipotesi girardiana, significa operare un

fraintendimento dell'ipotesi nella sua completezza: Girard elabora un sistema concettuale

estremamente coerente e complesso, che trova nel mimetismo la sua pietra angolare: è

proprio l'elevata dose di mimetismo a permettere lo scoppio della violenza, ma bisogna

ricordare che anche la risoluzione trova la sua possibilità nell'imitazione eccessiva; in

secondo luogo, l'ipotesi si propone di osservare l'evoluzione umana come sviluppatasi da

dinamiche interne al gruppo e alla capacità di gestire la violenza201; essendo un animale

molto abile nell'adattamento, e con un cervello già piuttosto elevato, l'unico modo per

giustificare un aumento cerebrale così intenso è lo studio delle dinamiche intra-specifiche,

le quali hanno agito da pressione selettiva sulla forma di tale massa cerebrale; la suggestiva

ipotesi di Robin Dunbar202 mostra il rapporto tra complessità sociale ed evoluzione

cerebrale: l'evoluzione cerebrale diventò un'esigenza per dominare e risolvere «problemi di

approvvigionamento e problemi di organizzazione sociale, di rapporti di parentela e così

via»203; secondo Girard, fu però la capacità di gestire la violenza incontrollata ad essere

200G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 218.201A tal proposito, alcuni studi di casi si sovraffollamento di scimpanzé, dimostrò che i casi di aggressione

non aumentarono di molto; la cosa che mutò fu l'intensità delle 'zuffe', mentre per la frequenza non si notano eccessivi mutamenti; venne dimostrata una tendenza maggiore nel risolvere i conflitti attraverso il grooming, una sorta di continuo tentativo di 'calmare' la situazione, chiaramente percepita come maggiormente tesa. (Cfr. F. de Waal, Naturalmente buoni, cit., pp. 255-256)

202Cfr. R. Dunbar, L. Barret, J. Lycett, L'evoluzione del cervello sociale, ed. it. a cura di F Rossi, Espress Edizioni.

203 R. Girard, Origine della cultura, cit., pp. 84-85.

63

l'araldo del genere umano. Sono le dinamiche sociali, nella loro complessità, che

determinarono la nascita della cultura; è ad esse che Girard riconosce il peso maggiore

nelle sue riflessioni che, fondandosi sulla teoria mimetica, si mostrano in grado di

comprendere i fattori esterni, ma senza esserne dominati. Delineando tali riflessioni, può

essere proficuo osservare in che modo Girard s'inserisca in un'ottica evoluzionistica, e di

che tipo essa sia.

64

III

Evoluzione, Ominizzazione e Teoria Mimetica

3.1 – Evolution Theory , Mimetic Theory: due teorie a confronto

Nell'ampia riflessione critica e dialogica sviluppatasi negli ultimi anni intorno al

pensiero di René Girard, una delle più interessanti discussioni si focalizza sul rapporto che

lega la teoria mimetica (soprannominata MT) e la teoria evoluzionistica di Charles Darwin

(ET): tale raffronto conduce i sostenitori di Girard a definire la teoria mimetica come un

punto di svolta paradigmatica nel campo degli studi antropologici e sociologici, arrivando

ad investire l'autore con il titolo di 'Darwin delle scienze umane'204: come la teoria

dell'evoluzione ha riunito i biologi e i naturalisti, allo stesso modo la teoria mimetica dovrà

riunire sotto di se tutti gli studiosi delle scienze umane205. La teoria mimetica viene

paragonata da Dupuy206 ad una cattedrale eretta sul desiderio mimetico, il vertice

fondamentale di tutto l'edificio; accanto a questo, vi è indubbiamente l'ipotesi del capro

espiatorio: questi due punti di forza vengono considerati le nuove lenti ermeneutiche per

indagare ed illuminare le realtà umane, culturali e religiose, tanto da venir considerati

l'analogo della selezione naturale nel campo culturale207. È sul capro espiatorio e sul

desiderio mimetico che Girard ha costruito in molti anni la sua teoria, «dipanando un unico

filo di pensiero, “one long argument” - mutando le parole di un grande rivoluzionario

britannico, Charles Darwin – un solo lungo ragionamento che parte dall'origine del mondo

e si ferma sulla soglia del sentimento apocalittico»208.

La vicinanza tra i due autori si focalizza, ovviamente, a livello teorico, le cui

strutture ed metodologie vengono spesso confrontate da molti studiosi dalle estrazioni

accademiche più varie: il vivo interesse che si registra in tale direzione fu così ampio che

204Un esempio, lo si vede qui: http://www.australiangirardseminar.org/?p=149. Nell'intervista, Scott Cowdell definisce Girard “The Charles Darwin of Human Sciences”.

205Il vantaggio delle scienze biologiche era dunque visto dalla capacità di riunire sotto un unico vessillo le diverse teorie sugli organismi, garantito dalla teoria dell'evoluzione. Elliot Sober afferma «biologists interested in culture are often struck by the absence of viable general theories in the social sciences. All of biology is united by the theory of biological evolution. Perhaps progress in the social sciences is impeded because there is no general theory of cultural evolution.» (Sober 1994: 486) (Cfr. http://www.imitatio.org/uploads/tx_rtgfiles/Rene_Girard_Fudamantal_Anthropo.pdf)

206J.-P. Dupuy, “Mimésis e morphogénèse”, in M Deguy e J.-P. Dupuy (a cura di) René Girard et le problème du Mal, Grasset, Parigi 1982, p. 225.

207Inutile sottolineare qui che la teoria di Darwin subì dei mutamenti: la teoria dell'evoluzione è tutt'oggi sottoposta a diverse discussioni, è stata arricchita grazie alle scoperte in diversi campi, ma è bene sottolineare che il principio fondamentale della selezione naturale non è mai stato negato, vantando dunque un valore di 'infallibilità' degna di nota.

208R. Girard, Origine della cultura, cit., introduzione, p. XVI.

65

vennero organizzati simposi interdisciplinari dedicati al rapporto tra la teoria mimetica e

quella evoluzionistica209, in modo da poter confrontare e rapportare il legame tra le due

scuole di pensiero; in secondo luogo, tale tema viene dipanato all'interno dell'opera

Origine della cultura e fine della storia210 nella quale gli autori (Pierpaolo Antonello e João

Cezar de Castro Rocha) interrogano Girard, tentando di riproporre in modo sintetico il suo

lungo ragionamento privilegiando il confronto tra questi due grandi autori e le teorie da

loro elaborate.

In cosa consiste, dunque, l'analogia tra le due teorie? In primo luogo, si osserva un

vero e proprio parallelismo da un punto di vista metodologico. Se prendiamo la definizione

che da Serres, possiamo definire la teoria mimetica come una «teoria darwiniana della

cultura» in quanto «propone una dinamica, mostra una evoluzione e fornisce una

spiegazione universale»211. La teoria darwiniana dell'evoluzione, così lucidamente esposta

dall'autore in L'origine della specie, può essere estremamente sintetizzata, definendola

come una teoria dalla portata universale che, muovendo da un'unica 'forza', da un solo

principio – cioè la selezione naturale – definisce l'intero processo evolutivo della nascita

delle differenti specie animali, viventi ed estinte, sviluppatasi da forme di vita semplici;

una teoria, dunque, che identifica un principio fondamentale in grado di spiegare l'immensa

diversità delle specie e dei generi di tutti gli esseri viventi: si tratta dunque di una

spiegazione universale, in quanto la selezione naturale è una legge che permea tutto il

mondo vivente, rendendo chiari i meccanismi occulti ma fondanti ed ancora operanti nel

mondo degli organismi. Il principio che sottende e guida tutte le osservazioni di Darwin, è

quello della selezione naturale:

«Grazie a questa lotta per la vita, qualsiasi variazione, anche se lieve, qualunque ne sia l'origine, purché risulti in qualsiasi grado utile ad un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei suoi rapporti infinitamente complessi con gli altri viventi e col mondo esterno, contribuirà alla conservazione di quell'individuo e, in genere, sarà ereditata dai suoi discendenti. Quindi anche i discendenti avranno migliori possibilità di sopravvivere. [..] A questo principio [..] ho dato il nome di selezione naturale»212.

Tale costruzione teorica, non priva di difficoltà, propone una sorta di principio

209Il sito http://www.thinkingthehuman.org/ raccoglie tutti i Paper tratti dai diversi simposi intorno a questo tema.

210A onor di cronaca, ogni capitolo dell'opera citata si apre con una citazione di Charles Darwin211«Per quanto riguarda i gruppi umani, René Girard sta a Darwin come George Dumézil sta a Linneo,

perchè propone una dinamica, mostra una evoluzione e fornisce una spiegazione universale» (M. Serres, Atlas, Julliard, Parigi 1994, pp. 219-220).

212C. Darwin, L'origine della specie, cit., p. 68.

66

teorico con cui si può tentare di rendere conto della totalità delle diverse forme di vita,

muovendo da pochi ed essenziali fattori: il quid fondamentale della teoria dell'origine delle

specie viene racchiusa nello schema del 'corallo della vita' che spiega l'origine delle

differenti specie sviluppatesi da un punto di partenza: da esso dilagano nuove forme vitali

che, differenziandosi per fattori causali e contingenti, hanno potuto avere successo o meno;

come è ormai noto, secondo il celebre naturalista, la selezione naturale agisce secondo un

insieme di variazioni casuali, e solo quelle mutazioni che risultano utili ed adatte

all'ambiente circostante possono trovare la sopravvivenza: «modificazioni estremamente

leggere della struttura o delle abitudini di un solo abitatore spesso potranno dargli un

vantaggio sugli altri ed ulteriori modificazioni dello stesso tipo potranno, in molti casi

accrescere ulteriormente il vantaggio»213; la posizione darwiniana, mettendo in primo luogo

questi fattori elimina l'esigenza di una spiegazione teleologica, identificando solo in alcuni

fattori casuali e contingenti la responsabilità del successo – o dell'insuccesso – delle specie

vivente214: «Nella conservazione degli individui e delle razze favorite, nell'incessante lotta

per l'esistenza, noi individuiamo un agente selettivo potentissimo e sempre operante. [..]

Nascono più individui di quanti ne possano sopravvivere. Una minima differenza di peso

sulla bilancia stabilirà quale individuo debba sopravvivere e quale morire, quale varietà o

specie debba crescere di numero e quale debba decrescere e giungere finalmente

all'estinzione»215.

L'ipotesi di Darwin ed il principio della selezione naturale sono oggi una realtà

ormai paradigmatica, nonostante l'impossibilità di falsificazione – secondo la definizione di

Popper: la ET è infatti un'ipotesi teorica, che, sulla base di osservazioni e comparazioni,

gioca la sua elaborazione a livello ipotetico; non può porre in laboratorio gli elementi della

sua analisi, come non può osservare direttamente il processo della nascita di diverse specie:

una delle vie privilegiate da Darwin fu la via analogica rispetto alla selezione domestica

compiuta dall'uomo, che mostrava senza ombra di dubbio che, in base ai capricci

dell'allevatore, si poteva selezionare un determinato carattere degli esseri viventi che si

stava allevando; sostituendo la mano dell'uomo con quella della 'natura', il principio della

selezione naturale prese forma: ancora una volta, è bene sottolinearlo, questo non

supponeva alcun progetto dietro le varie forme di vita, ma semplicemente una serie di

213C. Darwin, L'origine della specie, cit., p. 85.214Inutile dire che la teoria dell'evoluzione di Darwin è estremamente più complessa, senza considerare le

moltissime conquiste che in questi secoli l'evoluzione è stata in grado di conquistare. Già lo stesso Darwin in L'origine dell'uomo e la selezione sessuale identifica una forte importanza anche a tale selezione, senza cancellare la centralità di quella naturale; secondo Darwin, il motore principale – ma non esclusivo – è la selezione naturale, che , muovendo da mutazione casuali, determina chi riuscirà a sopravvivere chi no.

215Ivi., p. 377.

67

modificazioni casuali che aumentano la capacità di sopravvivere di alcuni individui216. Ed è

proprio da questo particolare aspetto della teoria, che possiamo notare la somiglianza con

la teoria mimetica. Girard, alla stregua del teorico dell'evoluzionismo, definisce due

processi fondamentali (il desiderio mimetico ed il meccanismo vittimario) identificando

essi stessi come motori trainanti che esplichino l'enorme varietà culturale riconducendo ad

un unico punto di partenza, in grado – inoltre – di saper giustificare le forme differenti che

oggi si possono osservare; per cominciare, possiamo inoltre notare che la fiducia che

Girard pone nella sua teoria deriva dalla sua concezione di alcune forme culturali,

considerate come fattori universali nelle culture diverse (basti pensare al rito ed al divieto).

L'influenza della teoria darwiniana si ritrova anche nella convinzione che pratiche

universali nei gruppi umani, quali riti, divieti e religione, debbano essere spiegate non

come rivelazioni compiute da enti sovrannaturali, bensì come realtà sociali che devono la

loro presenza alla capacità di garantire la sopravvivenza: «per Girard la spiegazione

razionale di pratiche universalmente diffuse non può venire che dall'individuazione delle

funzioni adattive che esse svolgono, in una prospettiva che ne spieghi l'affermarsi e il

perdurare»217; e dunque «se l'ipotesi darwiniana della selezione naturale, spiega i

meccanismi che regolano l'evoluzione delle specie animali, con la teoria del capro

espiatorio Girard fornisce un meccanismo di base che rende conto della nascita e

dell'evoluzione della cultura»218. La teoria mimetica si propone «come un principio

genetico che rende conto in maniera economica della nascita della cultura umana e come

nuovo paradigma antropologico di tipo generativo capace di spiegare alcuni degli aspetti

apparentemente paradossali, dello sviluppo culturale e tecnico dell'uomo»219. Esistendo

diverse forme culturali, sempre più lontane e complesse, Girard elabora un vero e proprio

scavo archeologico e genealogico, il cui fine è determinare e scovare la forma semplice

dalla quale tutte le forme culturali si sono sviluppate; in questa direzione, l'influenza di

Durkheim e della sociologia diviene evidente dalla modalità in cui Girard considera la

religione, e cioè la culla di ogni cultura: fattore sociale fondamentale per la sopravvivenza

di ogni gruppo, la religione si sviluppa dalla crisi mimetica e dalla sua risoluzione

216Insisto su questo punto, perchè è importante comprenderlo in relazione alla teoria di Girard: il meccanismo del capro espiatorio non è stato fatto per sopravvivere, ma si è dimostrato come il fattore che ha permesso la sopravvivenza: «The genesis of the scapegoating mechanism – to take up the figure that is at the core of Girard’s anthropology of violence and the sacred, but also one about which radical misunderstandings abound – was not invented by humankind in order to keep its violence in check». (Cfr. http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Naturalizing%20Mimetic%20Theory.pdf).

217G Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 211.218R. Girard, Origine della cultura, cit., introduzione, p. XVI.219Ibid.

68

sacrificale, determinando le primigenie forme culturali, le cui istanze successive (miti,

divieti e riti) potranno testimoniare l'oscura origine; basta compire un veloce raffronto con

la teoria dell'evoluzione per capire che il meccanismo sacrificale nel suo complesso

(comprendendo anche il desiderio mimetico) si presenta a sua volta come l'equivalente

della selezione naturale nella teoria di Darwin: è la forza selettiva e assolutamente casuale,

che determina dei moduli comportamentali che permettono la sopravvivenza e un aumento

di fitness in quei gruppi che lo attuano: casualmente, solo i gruppi che sono stati in grado di

attuare l'omicidio sono riusciti a superare il problema della violenza intestina, senza essere

sterminati. Da queste primigenie forme di cultura, si svilupparono moltissime ulteriori

forme, che privilegiano diversi aspetti dell'omicidio originario, incanalandoli in riti, divieti

e narrandoli nelle mitologie.

Un ulteriore punto di contatto tra le due teorie, si può osservare nel campo

epistemologico: sia l'origine dalla specie, sia l'ipotesi di Girard sull'origine della cultura,

ponendosi in tempi storici inaccessibili220, si propongono valide in quanto riflessioni

ipotetiche e teoriche, nei confronti delle quali una falsificazione in laboratorio è

impossibile, infatti :

«The analogy with Darwin also extends to the scientific status to be given to mimetic theory: here are two hypotheses, neither capable of being quite proven experimentally, given the abyss of lost and unobservable time necessary to the production of the phenomena in question, but each having great authority by virtue of its tremendous explanatory power in relation to the phenomena concerned, the data we do have and the constant patterns of interrelation implicit in their appearing. If Girard's theory is true, then, it is likely to become increasingly ‘verifiable’ in these same terms»221.

Se quindi, sotto consiglio di Dupuy, consideriamo le due teorie da un punto di vista

strettamente formale,222 notiamo immediatamente questa determinata scelta epistemologica

e metodologica, anti-popperiana, non falsificabile che «si basa su un uso evidenziale e

comparativo dei dati antropologici ed etnologici, inclusi i miti e i riti, letti da Girard come

220Rispondendo a chi gli critica di non effettuare ricerche sul campo, Girard rispende «Come si fa a condurre una ricerca sul campo su fatti che sono avvenuti durante un periodo di tempo di migliaia d'anni?»(Cfr . R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 109).

221http://www.imitatio.org/uploads/tx_rtgfiles/Rene_Girard_Fudamantal_Anthropo.pdf222«My methodological advice is then the following: let us set up the dialogue between MT and ET at the

level of the formal models that structure the one and the other. We will avoid the many pitfalls that await those who carelessly smuggle biological notions into the social and cultural realms and vice versa, and we will focus on the interesting questions: it is likely that biological selforganization as seen by ET, and social and cultural self-organization as seen by MT, share fundamental traits and differ in their material implementations» (Cfr http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Naturalizing%20Mimetic%20Theory.pdf).

69

veri e propri 'reperti fossili' della evoluzione culturale dell'uomo, e in cui in filigrana si

scorgono le tracce dell'assassino fondatore»223.

In realtà, proprio quest'ultimo punto è uno dei temi più delicati nella teoria

mimetica (forse anche più della teoria dell'evoluzione, la quale trova ormai un'accettazione

praticamente universale, anche grazie alle conferme derivanti dalle altre discipline) la quale

si basa completamente sull'analisi delle diverse mitologie e degli studi antropologici sui

rituali di molte popolazioni: in teorie che indagano campi di questo livello, le prove dirette

vengono meno, ed in quanto tale «le teorie devono essere valutate con criteri diversi, e

comunque la raccolta di dati fisici e culturali è il punto di partenza per tutte le teorie

elaborate in questi campi»224.

Nel campo metodologico e nella scelta delle prove, troviamo un ulteriore punto di

contatto tra le due teorie; se di prove dirette non è dato di trovarne, nel caso della teoria

mimetica (e di molte altre teorie elaborate per le scienze umane) ad assumere una notevole

credibilità sono le prove indirette e circostanziali, le quali possono essere pensate come

«indizi in un romanzo giallo»225. Uno degli studiosi che tratta il tema in modo più rilevante

è Hocart che, nell'opera Kings and Councillors, dedica un'ampia riflessione alla questione

delle prove in relazione a tematiche antropologiche e religiose:

«Esiste un malinteso diffuso, ma naturale, secondo il quale le prove dirette sono necessariamente migliori di quelle circostanziali, e anzi, sono l'unico tipo di prova veramente soddisfacente [..] . Le prove dirette non solo non bastano a dare una spiegazione, possono addirittura suggerire quella sbagliata, perchè raccontano solo parte dei fatti, dando invece l'impressione di raccontare il tutto»226.

La validità delle prove circostanziali si può riscontrare anche nel caso della teoria di

Darwin, la quale mise in primo piano un cranio fossile fino ad allora rimasto inosservato:

nel momento in cui la teoria, secondo la quale l'uomo discende da una forma semplice

precedente, ha assunto un'aura di verità, anche il fossile ha ricevuto la sua meritata

attenzione227. Fondamentali nel caso della teoria mimetiche, le prove circostanziali

223R. Girard, Origine della cultura, cit., introduzione pp. XVI-XVII.224Ivi., p. 125225Cfr. Ivi., p. 126.226Per Hokart Cfr. R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 127227Sempre Hocat, «Il primo cranio di Gibilterra fu scoperto nel 1848 e passò praticamente inosservato.

L'origine della specie apparve nel 1859. Solo quando la gente si fu del tutto abituata all'idea che l'uomo discendesse da una creatura scimmiesca il cranio fu riportato alla luce e proposto come anello di congiunzione nella catena delle testimonianza probanti. Non fu certo la prova diretta dell'esistenza dell'uomo-scimmia a convincere i biologi. Piuttosto, dopo essersi convertiti sulla base di testimonianze comparative, si misero alla ricerca di una prova diretta che potesse confermare le loro deduzioni»(Cfr R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 128).

70

vengono considerate da Girard altrettanto valide che quelle dirette, soprattutto grazie al

fatto che esse furono efficaci nel caso della teoria darwiniana, «perchè [..] come nella teoria

dell'evoluzione le prove circostanziali non solo siano state decisive, ma abbiano anche reso

possibile scoprire la prova diretta, che ai nostri occhi appare oggi così essenziale. Lo stesso

accade per la teoria mimetica. Non esiste una prova diretta a sostegno dell'affermazione

apparentemente fantastica secondo cui l'omicidio fondatore è reale e universale»228.

Le più importanti prove indirette che si possono presentare sono i miti ed i riti,

definiti come veri e propri fossili culturali, ed è attraverso un'adeguata comparazione

universale che si può giungere al meccanismo fondante di tutte le culture; traendo dalla

letteratura e dalla mitologia le prove, la teoria girardiana – agli occhi dei più – sembra

perdere di credibilità, in quanto i racconti riscontrabili nelle diverse mitologie «non

vengono considerati nemmeno come possibili distorsioni della verità»229; inoltre, è anche

vero che l'enorme varietà rende difficoltosa una classificazione univoca, la cui validità crea

spesso resistenze e critiche: da tempo, ormai, l'obiettivo di definire una teoria della nascita

della cultura è abbandonata dall'antropologia230, che guarda con sospetto ogni tentavo che

non tenga in conto dell'ormai immensità di tutte le culture esistenti; non a caso, fra le molte

critiche mosse a Girard, spicca l'accusa di riduzionismo. Proprio come una teoria evolutiva

o una congettura paleontologica, si ricorre ai fossili ed alle ipotesi che, basate su

comparazioni e deduzioni, permettono un discorso di tipo genealogico-induttivo

dell'evoluzione culturale:

«I riti sono senz'altro un po' come dei fossili culturali, e la prova più importante per la teoria mimetica è la violenza rituale più che i miti stessi. Il problema rimane sempre quello di riempire i vuoti, di trovare una dizione complessiva, una teoria – come la teoria mimetica o il darwinismo – nella quale le singole testimonianze, siano esse fossili o riti, si incastrino come pezzi di un puzzle a comporre una spiegazione assolutamente convincente del fenomeno in questione»231.

228R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 128.229Ibid. Interessante sottolineare che questi è uno dei punti più controversi nella riflessione di Girard, proprio

come si può osservare nei testi successi a Delle cose nascoste : ad esempio, ne Il capro espiatorio troviamo infatti un tentativo di dimostrare la validità di tale concezione, come nel caso dei diversi testi di persecuzione nei confronti degli ebrei durante la peste (il primo capitolo è dedicato infatti a Guillaume de Machaut e la sua canzone contro gli ebrei, considerati i veri colpevoli della peste). A questo, Girard afferma: «Comunque, opporsi a qualsiasi tipo di ricerca comparata significa opporsi al pensare stesso. Non c'è dubbio che chi fa lavoro di comparazione corra dei rischi. Primo fra tutti, il rischio di non riuscire a raccogliere prove che siano considerate sufficienti. Ma se nessuno ha più il coraggio di rischiare, se nessuno formula ipotesi audaci e di ampio respiro, che senso ha fare ricerca?» (Cfr. R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 109).

230Interessante ricordare che la teoria di Girard (compiuta nell'opera Delle cose nascoste) trovò un panorama antropologico dominato da Lèvi-Strauss, la cui posizione si fonda su un rifiuto della ricerca delle origini.

231R. Girard, Origine della cultura, cit., p 129.

71

Difficoltà ulteriore che si riscontra in questa ricerca comparativa è l'omicidio

fondatore, la cui verità è sempre messa in dubbio dall'opera di méconnaissance, rendendo

ancora più complessa la validità delle prove: «Eliminare le tracce di un omicidio significa

esserne profondamente implicati. Nel caso dell'omicidio fondatore è l'inizio della cultura

stessa a essere profondamente implicato, ed è questo che ci rifiutiamo di riconoscere»232.

Ma se il mito si basa su un fondamentale misconoscimento dell'omicidio – più o meno

evidente – il legame dell'assassinio con le forme culturali umane diviene chiaro grazie al

rito (che culmina con il sacrificio), il cui andamento ripetitivo permette alle forme culturali

di radicarsi durante le ripetizioni rituali dell'omicidio originario; esso «rappresenta il nesso

tra l'uccisione originale e le istituzioni culturali intese come risultato di una pratica

rituale[..]. Il rito è il tentativo di ripetere lo svolgersi del meccanismo del capro espiatorio e

generalmente tende a rappresentare separatamente le diverse parti del processo»233. Ogni

rito non fa altro che accentuare un particolare aspetto, che viene sempre più privilegiato a

scapito degli altri che – lentamente – vengono posti nel dimenticatoio: ecco perchè fornire

una ricostruzione dell'evoluzione di ogni rito è particolarmente complesso. Ulteriore luogo

di ricerca è la letteratura, usata come prova indiretta della regolarità del comportamento

umano: sia il desiderio mimetico sia il capro espiatorio, furono teorizzati 'scoperti'

dall'analisi da diversi testi: nei diverse opere classiche scorrono la maggior parte di spie ed

indizi, i quali devono anche essere 'tradotti' dallo studioso.

3.2 – Religione, Cultura e selezione di gruppo

Dopo aver osservato la somiglianza metodologica, teorico-formale tra le due teorie

possiamo ora sottolineare come l'ipotesi dell'ominizzazione di Girard sia intrisa ed inscritta

in un'ottica evoluzionistica, nutrendosi dei metodi e delle riflessioni aperte dal dibattito

intorno alle teorie darwiniane: è in quest'ipotesi che possiamo davvero misurare la validità

'scientifica' della riflessione di Girard. Senza ombra di dubbio, la cornice biologico-

evolutiva è di fondamentale importanza per una teoria sull'origine della cultura e sul

processo di ominizzazione ed è Girard stesso che ammette il profondo legame con questa

prospettiva: «Per me rimane evidente e fondamentale la necessità di fondere cultura e

biologia per poter spiegare l'evoluzione umana»234. Questo significa abbandonare gli

interessi di settore e tentare di legare studi biologici, naturalistici, etologici, etnologici ed

232R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 142.233 Ivi., p. 67.234Ivi., p. 129.

72

antropologici: solo compiendo questa sintesi si può rendere conto in modo soddisfacente

della genesi culturale umana che, non potendo più essere pensata come un frutto unico

'caduto' dal cielo, viene presentata come un semplice risultato di una determinata selezione:

«O crediamo alla continuità dell'evoluzione umana, all'innesto del culturale sul naturale, o

cadiamo in un puro errore metafisico e idealistico che vede l'uomo e la cultura come

assolutamente separati dalla natura e semplicemente apparsi dal nulla»235. Bisogna

necessariamente chiudere le porte al pregiudizio antropocentrico, che soggiace ad ogni

definizione preconfezionata della natura umana, ricercando invece quali fattori avrebbero

potuto condurre ad un successo evolutivo della specie che divennero sapiens, non tanto

rispetto all'ambiente esterno, quanto alle minacce interne che inevitabilmente vengono a

crearsi in ogni gruppo animale. In quanto umile membro della natura, l'uomo deve

riconoscere la sua posizione e deve iniziare a ripensare se stesso secondo quelle stesse

leggi che governano il resto dei viventi: «l'uomo varia nel corpo e nella mente,e [..] le

variazioni sono determinate sia direttamente che indirettamente dalle stesse cause che

obbediscono alle medesime leggi generali degli animali inferiori. [..] perciò saltuariamente

debbono essere stati esposti [i gruppi umani] a una lotta per l'esistenza e conseguentemente

a una rigida legge di selezione naturale»236.

In questa ricerca, lo sguardo girardiano vede una solida pietra angolare: «la

religione è la madre di tutta la cultura»237; tramite la teoria evolutiva, possiamo pensare alla

religione non come ad un evento scaturito da una rivelazione divina, ma semplicemente

come una realtà strettamente sociale ed adattiva: divieti e religioni sono 'istituzioni'

univoche ed universali, che riuniscono intorno a se tutti i gruppi umani e, dunque,

possiamo tranquillamente ipotizzare, come fa E.O. Wilson che «la religione non può essere

una costruzione culturale superflua o dannosa, ma deve per forza possedere un intrinseco

valore come strumento di adattamento, altrimenti sarebbe stata scartata dalla storia umana

come fenomeno culturale di nessuna rilevanza»238. Girard assume una prospettiva

sociologica, osservando la religione in modo sottile: in fondo, in quanto fenomeno

universale la religione non deve essere letta in termini di verità teorica, ma deve essere

giudicata in base alla funzione e cioè in base – per dirla con Durkheim – alla sua verità

pratica: la religione, quindi la cultura, è un elemento dedito alla riorganizzazione sociale e,

secondo Girard, essa permette la polarizzazione della violenza contro un unico capro

235R. Girard, Origine della cultura, cit, p. 131. 236C. Darwin, L'origine dell'uomo, cit., p. 55.237R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 67.238E. O. Wilson, Sociobiologia. La nuova sintesi, trad. it. Zanichelli, Bologna 1979, pp. 567-568.

73

espiatorio, evitando che la violenza dilaghi. Girard «shares the Durkheimian view that it is

impossible to understand the evolution of culture if we discount the emergence and the

evolution of religion as a distinctively human phenomenon. [..] For RG, as for Durkheim,

religion is the great matrix of all things cultural: initially, in its first beginnings, culture is

not distinct from religion»239. L'acutezza sociologica girardiana può benissimo essere

paragonata a quella di Rousseau del Il contratto sociale, nel quale egli è in grado di vedere

verità simili sulla religione, attraverso la figura del mitico Legislatore (sconvolgente, in

entrambi i pensatori, il loro cambio di linguaggio quando ad essere sotto esame è la

religione cristiana).

Interna al funzionamento naturale, la religione non si presenta come un ente

sovrannaturale (se non agli occhi degli uomini) ma come un semplice modulo

comportamentale endogeno, la cui funzione (che si rivela efficace) è di controllare la

violenza, canalizzata interamente verso un singolo individuo. In un contesto delineato

dall'antropologia girardiana, l'animale uomo si trova immerso nel sangue della violenza

mimetica che, nel parossismo della crisi, si conclude attraverso il noto meccanismo

sacrificale: questo strumento, madre di cultura e religione, ha il ruolo adattivo tipico dei

'rituali animali' descritti da Lorenz, e cioè ri-direziona tutta la violenza verso la vittima,

permettendo la sopravvivenza della specie, minacciata dall'escalation mimetica: «La

religione ha un valore adattativo, di aumento della fitness della specie, ed è ciò che

differenzia gli esseri umani dagli altri animali, perchè attraverso il sacrificio la religione

crea cultura e istituzioni»240. La cultura viene quindi presentata come un principio di

organizzazione che, nata assolutamente in modo casuale, permette l'arrivo di un nuovo

ordine del gruppo sociale, garantendo la base della soglia simbolica, che – come detto in

precedenza – costituisce per Girard la tipicità dell'umanità; la teoria «offers in this way to

account for the emergence of culture for endogenous reasons: i.e. finding their causation

not simply in the physical evolution of specific individuals within a given species, but

rather in the emergence of systemic group behaviour, which eventually andgradually

shapes the co-evolution of both the physical and the socio-cultural potentials of this given

species.»241

Tramite quest'esplicazione, il meccanismo viene definito sia come un fattore

contingente, sia come «un puro fatto meccanico (ancorché non deterministico) costruito da

239http://www.imitatio.org/uploads/tx_rtgfiles/Pre-symposium_Briefing.pdf240R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 68.241 http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Thinking%20the%20human.pdf

74

processi psicologici e sociali istintivi»242. In quanto meccanismo, esso è meccanico perchè

«si sviluppa a fasi e ogni fase produce o favorisce l'apparire della successiva»243; il

meccanismo è assolutamente non deterministico o teleologico: ancora una volta, abbiamo

di fronte un sistema che può sembrare teleologico in quanto, dal momento in cui ci si pone

come un osservatore esterno, lo si può considerare come il fattore che ha permesso

all'uomo di sopravvivere; ma non per questo dobbiamo supporre che esso venga attuato

appositamente per quello: il successo è si un caso, ma ne determina il perdurare. Deve

essere ben chiaro questo punto, che determina la totale casualità del meccanismo in

questione: una mutazione assolutamente casuale, il cui successo emerse in un secondo

momento; è l'analogo del becco dei fringuelli studiati da Darwin: la mutazione che alcuni

di essi riscontrano oggi nel becco, non fu 'premeditata' ma, semplicemente, si manifestò

dimostrandosi più efficace: lo stesso dobbiamo pensare del meccanismo del capro

espiatorio.

«Non significa però che il meccanismo mimetico sia deterministico perchè non implica affatto che ogni gruppo sociale che si trovi in una situazione di crisi mimetica giunga necessariamente alla risoluzione del capro espiatorio[..]. Io non ho mai sostenuto che il meccanismo mimetico sia deterministico. È invece probabile che un certo numero di gruppi sociali in età preistorica non siano sopravvissuti proprio perché non hanno trovato il modo di affrontare le crisi mimetiche che si sono scatenate al loro interno. E' concepibile anche che alcuni gruppi abbiano temporaneamente risolto alcune delle loro crisi attraverso il linciaggio di vittime innocenti, ma che non siano riusciti poi a riattivare simbolicamente questo evento attraverso una qualche forma di ritualità a esso collegata e abbiano per questo ceduto di fronte alla crisi successiva»244.

Bisogna quindi notare, da un lato, una concezione della religione tramite la

prospettiva durkheimiana, considerandola come un vero e proprio fatto sociale autonomo,

che però permise la sopravvivenza dei diversi gruppi sociali che, adottandola, riuscirono a

convogliare la violenza verso un'unica vittima immolata: «è a livello di gruppo sociale che

si deve ricorrere alla selezione darwiniana, soprattutto dal punto di vista della teoria

mimetica»245. E' quindi un meccanismo che salva il gruppo, e che, se non attuato o ripetuto,

determina l'estinzione causata dalla lotta intestina: questo è un ulteriore via che porta a

«rinforzare l'adattabilità del gruppo»246. La visione che Girard ci propone si rifà di nuovo

ad un livello in cui la cultura non è ancora esistente, evitando ogni sorta di circolo vizioso o

242R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 39.243Ibid.244R. Girard, Origine della cultura, p. 39.245Ivi., p. 69.246Ibid;

75

tautologico; fra i diversi problemi che sorgono in un gruppo animale, fondamentale è il

controllo della violenza e, come sappiamo dalle osservazioni sull'etologia, il meccanismo

del capro espiatorio non è nient'altro che un modulo d'azione che, attuato dal gruppo

sociale, determina la cessazione della violenza, garantendo il ritorno della pace e di

patterns comportamentali nuovi rispetto a quelli istintivi animali. La cultura si pone come

un fattore sviluppatosi a partire dalle dinamiche stesse del gruppo, come un vero e proprio

'nuovo istinto' che guida le azioni della comunità, anche in un successivo momento.

Pierpaolo Antonello, nel paper introduttivo ad uno dei simposi condensa in poche parole il

senso dell'ipotesi di Girard:

«MT provides in this way a mechanism and a model of dynamic (i.e. genetic and generative) social interaction. This mechanism or model is based on instinctual structures and patterns already observable in animal behaviour; but it also produces unexpected, emergent, social behaviours. These constitute new forms of emerging social organization which we can only be described as “cultural”, since they provoke the development of “proto-institutions”, and these in turn become the regulatory principles which stabilize and reinforce the cohesion of the social group - something no longer based on instinctual, and proto-cultural patterns (like the hierarchical system of social organization in animals, or their submission rituals, etc), but now on fully symbolic codes and properly ritual practices. This is to describe, in general terms, the nature of the evolutionary process of hominisation as MT allows us to conceive it».247

Determinato tale scenario teorico, è bene sottolineare che Girard parla

espressamente di selezione di gruppo, affermando – forse in termini provocatori verso una

lunga tradizione che vedeva nella religione una risposta a bisogni psicologici individuali248

– che «siamo in quello stadio liminale dell'evoluzione culturale in cui non ha senso parlare

di autonomia dell'individuo»249. La religione dunque s'impone come un meccanismo

evolutivo, che non si sviluppa da pulsioni individuali: il meccanismo vittimario non è altro

che uno «strumento fondamentale di protezione contro la violenza naturale intraspecifica

che tutti i gruppi di ominidi si sono trovati prima o poi a scatenare per ragioni puramente

etologiche»250. Ancora una volta, è l'influenza culturale europea – che Girard definisce

'romantica' – la causa di questo fraintendimento: l'individuo diventa il centro di ogni

riflessione e speculazione – non per ultimo nel caso della psicologia – e lungi da tali

posizioni, il critico letterario preferisce definire la psicologia umana come una psicologia

247http://www.imitatio.org/uploads/tx_rtgfiles/Pre-symposium_Briefing.pdf248Se pensiamo alla posizione che Freud esprime in L'avvenire di un illusione comprendiamo come la

posizione di Girard si dimostri diversa: se da un lato il padre della psicanalisi individua nei bisogni infantili la vera leva che porta a proiettare nei cieli un 'padre onnipotente', secondo Girard le dinamiche religiose si possono invece identificare con le dinamiche sociali.

249R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 69250Ibid.

76

'interindividuale'.

Seguendo queste riflessioni forse è utile soffermarsi sul concetto di selezione che

qui Girard propone, in primo luogo sulla suddetta selezione di gruppo. Nel moderno

dibattito sviluppatosi sull'evoluzione si vennero a sviluppare una serie di riflessioni volte a

rendere ancor più complete la teoria darwiniana, fondata sulla selezione naturale, ma non

ancora completata: Darwin stesso affermava che la selezione naturale non era l'unico

fattore determinante, sebbene fosse il principale. Fra le tante difficoltà che oggi la biologia

evolutiva tenta di sbrogliare, sorge il problema dell'altruismo, che, in termini di selezione

naturale appare paradossale: se ogni individui persegue il proprio interesse e la propria

conservazione, difficilmente si comprendono azioni come il 'sacrificio' per un altro

consimile, o per il bene del gruppo: spiegare tutto questo in termini di fitness si rivelò

problematico; questa difficoltà riflette in verità interessanti riflessioni sul concetto di

selezione individuale e non, permettendo un ripensamento della teoria evolutiva. Fra le

diverse teorie sviluppatesi a riguardo, si possono ricordare la teoria del gene egoista di

Dawkins proposta in ambito sociobiologico (teorie che vedono l'altruismo come un forma

di egoismo) oppure quella della selezione parentale che E. O. Wilson sostenne per

moltissimi anni; lui stesso in La conquista sociale della terra ci definisce in che modo tale

teoria spiegava i comportamenti egoistici e altruisti: «la selezione di parentela, che avrebbe

creato a livello di gruppo una proprietà denominata fitness inclusiva, è stato un concetto

attraente, perfino allettante. Secondo questa teoria, i genitori, la prole, i cugini e gli altri

parenti collaterali sono legati indissolubilmente dalla coordinazione e dall'unità di intenti

resa possibile dall'agire disinteressato degli uni verso gli altri»251; egli stesso fu un

sostenitore di questa posizione ma, in seguito ad una serie di modelli matematici e tentativi

sperimentali, tale concetto crollò di validità e di coerenza252. Una teoria che, invece, sembri

'sbrogliare la matassa' è invece la selezione di gruppo (o selezione multilivello) la cui

forma generale era già stata proposta da Darwin in L'origine dell'uomo:

«Possiamo vedere che nei più rozzi stadi della società gli individui più sagaci, quelli che inventavano o usavano le migliori armi o stratagemmi, e che erano maggiormente capaci di difendersi, potevano allevare un maggior numero di figli. Le tribù che comprendevano un maggior numero di uomini così dotati, potevano aumentare di numero e soppiantare altre tribù»253.

251E. O. Wilson, La conquista sociale della terra, cit., p. 61.252Per una interessante rassegna di tali tematiche cfr. E. O. Wilson, La conquista sociale della terra, cit., cap

18.253C. Darwin, L'origine dell'uomo, cit., pp. 111-112.

77

Secondo tale punto di vista, a fianco della selezione naturale che intercorre tra i

singoli membri di un qualsiasi gruppo – nel quale vengono selezionati i singoli individui

con determinate mutazioni in grado di aumentare il successo riproduttivo dell'individuo – si

posiziona un'ulteriore selezione, quella riguardante il gruppo sociale nel suo complesso –

che riguarda invece la capacità di tale gruppo di riuscire a sopravvivere nel suo insieme, sia

nei confronti dell'ambiente, sia nei confronti di altri gruppi; il processo è a doppia

influenza: quando un gruppo, nel suo insieme, possiede caratteristiche di adattamento

superiori alla medie delle caratteristiche degli individui che lo compongono, l'esistenza del

gruppo aumenta la fitness individuale. In tale direzione, come sostiene Wilson, è facile

comprendere in che modo dei piccoli vantaggi che i singoli individui riescono ad avere

all'interno del proprio gruppo (come ad esempio una nuova invenzione) determinino una

lenta reazione a catena, per cui il vantaggio dilaga dal singolo al gruppo, la cui capacità di

soverchiare l'ambiente – o eventualmente altri gruppi vicini – ne aumenta notevolmente la

fitness. Questa teoria, non a caso definita selezione multilivello, viene vista da Wilson

come l'unico fattore che permette di spiegare i comportamenti eusociali, riscontrabili in

molti insetti 'sociali' e sorprendentemente anche nell'uomo: «La via verso l'eusocialità era

tracciata sulla carta da una competizione fra la selezione basata sul successo relativo degli

individui all'interno dei gruppi contrapposta al successo relativo fra i diversi gruppi»254; una

conseguenza che può passare inosservata è la duplice influenza che tale processo può

avere, in quanto, se è vero che la fitness del singolo può migliorare quella del gruppo, è

anche vero che il processo diventa anche reciproco: «In generale, è prevedibile che la

competizione fra gruppi influenzerà la fitness genetica di ogni membro [..] verso l'alto o

verso il basso. Una persona può morire o restare invalida e perdere la sua fitness genetica

individuale come risultato di una maggiore fitness di gruppo durante, per esempio, una

guerra o sotto una dittatura spietata.»255.

Come spesso capita, le potenti intuizioni girardiane vengono di fatto ignorate in

queste riflessioni intorno all'altruismo e allo sviluppo della cooperazione nei gruppi; la

posizione di Wilson è molto proficua nel momento in cui ci permette di capire in che modo

una selezione di tipo individuale (come è quella naturale definita da Darwin) possa

accompagnarsi ad un tipo di selezione a più ampio spettro; nel campo della biologia la

questione è in realtà ancora aperta, lasciando irrisolta la problematica dell'altruismo; in

seguito al 'fallimento' del concetto di selezione di parentela, la selezione di gruppo appare

254E. O. Wilson, La conquista sociale della terra, cit., p. 21.255Ivi., p. 63.

78

una teoria ancora debole; essa non riscosse mai molto successo, soprattutto perchè molti

studiosi notano che la selezione naturale mantenga ancora una sua superiorità, riuscendo a

spiegare anche le dinamiche di gruppo; trascendendo tale questione, possiamo solo

riconoscere a Wilson un'ottima credibilità: che la selezione multilivello sia un buon

concetto, è dimostrato anche dal fatto che Darwin aveva già intravisto questa possibilità.

La selezione multilivello trova la sua applicazione anche nella riflessione di Girard;

come già noto, il carattere tipico dell'uomo è l'iper-mimetismo, ma non dobbiamo

dimenticare che tale fattore è da associare ad una maggiore grandezza cerebrale;

proseguendo oltre a tale 'postulato' della teoria girardiana, credo sia possibile pensare

l'ipermimetismo come ad una casuale mutazione a livello mentale, collegata con un

aumento di taglia cerebrale: possiamo facilmente supporre il vantaggio che un singolo

individuo può trarre dalla sua spiccata capacità d'imitazione (dovuta da una maggiore

ampiezza cerebrale); tale mutazione, com'è sensato ipotizzare, deve essere stato un fattore

di superiorità selettiva, a favore della fitness individuale: l'esemplare ipermimetico, più

audace e scaltro, riuscì ad avere successo sugli altri esemplari, aumentando il numero della

prole e quindi aumentando il livello cerebrale del gruppo (a lungo andare), la cui diffusione

determina un maggiore fitness del gruppo; come dice Wilson «i tratti (bersagli) su cui

agisce esclusivamente la selezione fra gruppi sono quelli che emergono dalle interazioni fra

i membri di ogni gruppo. Interazioni come la comunicazione, la divisione del lavoro, la

dominanza e la cooperazione nell'adempimento dei compiti comuni. Se la qualità di queste

interazioni favorisce la colonia che li utilizza rispetto alle colonie che utilizzano altre

interazioni o interazioni meno intense, i geni che prescrivono le loro prestazioni si

propagheranno nella popolazione di colonie con il passare di ogni generazione di

colonie»256. Come già definito in precedenza, dall'essere un pregio, la maggior dose di

imitazione diviene una minaccia quando diffusa a livello collettivo, sfociando ben presto

nelle violenze che, a loro volta, si concludono in un modello sacrificale salvifico per la

comunità che lo mette in pratica; riuscendo a gestire il surplus di mimetismo e di

cerebralizzazione, sventando la minaccia dell'autogenocidio, il gruppo sociale che è in

grado di ritualizzare l'omicidio fondatore si troverà in mano uno strumento che permette un

maggior successo su gruppi che non lo utilizzano, ma non solo: se il gruppo è in grado di

sopravvivere in modo ottimale, tale maggior fitness ricade anche sui singoli membri, che

riscontreranno un maggiore sviluppo cerebrale grazie alla ritualizzazione (come si vedrà

nel capitolo 4, viene visto da Girard come la scuola che permise la nascita del linguaggio).

256E. O Wilson, La conquista sociale della terra, cit., p. 186.

79

La concezione della selezione multilivello si impone come concetto fondamentale per la

teoria di Girard, per il quale l'antropologia deve «spiegare come la selezione abbia operato

a livello di gruppi sociali, assicurando la sopravvivenza a quelli che riuscirono a dotarsi di

strumenti efficaci per far fronte ai pericoli che incombevano su di loro»257.

Il gruppo che utilizza il meccanismo del capro, si trova inevitabilmente anche in

grado di sviluppare lentamente comportamenti cooperativi ed altruistici, la cui genesi si

potrebbe riscontrare in quell'atto coordinato ed unanime che ha portato al linciaggio: in

questo senso, è interessante leggere le parole di Pievani intorno alla problematica

dell'altruismo: «paradossalmente, potrebbe essere il conflitto fra gruppi la ragione della

diffusione dell'altruismo all'interno del gruppo»258. Se quindi quando si parla di selezione di

gruppo si è spesso orientati a dei gruppi la cui migliore cooperazione aumenta le

probabilità di sopravvivenza, con Girard possiamo porre la cooperazione ad un livello

successivo di evoluzione: «Elliot Sober and E.O. Wilson in Unto Others: The Evolution

and Psychology of Unselfish Behavior do aptly bring back the need to think out the

evolution of culture in terms of “group selection” (or “multilevel selection”): groups that

cooperate better may have out-reproduced those which did not. But notice here that, in MT

terms, groups which were able to find a means to regulate and control internally generated

violence and infighting must assuredly have out-reproduced and out-lived those which did

not»259.

Possiamo quindi affermare che la riflessione evoluzionistica, che in questa pagine si

configura come 'selezione di gruppo', ricerca il fattore che determina la sopravvivenza di

alcuni gruppi umani, o preumani, i quali possono ben a ragione considerarsi i nostri

antenati, diversamente da altre proto-società che, incapaci di sviluppare tale meccanismo

sono scomparse, non lasciando la minima traccia della loro esistenza. Questo non vuol dire

negare l'importanza dei fattori individuali, ma, attraverso il concetto di selezione

multilivello, possiamo identificare l'ipermimetismo (accompagnato da una maggiore massa

cerebrale) come un fattore – una mutazione – estremamente favorevole al singolo

individuo, fattore che gli permette un maggiore successo personale; la maggiore ampiezza

cerebrale deve aver contribuito ad una migliore capacità di relazionarsi con l'ambiente e

con gli altri individui, facendo in modo che il tal individuo avrà una prole maggiore,

influenzando – sul lungo tempo – l'andamento dell'intero gruppo; maggiore ampiezza

cerebrale può voler dire anche migliore capacità intellettiva e dunque una migliore capacità

257G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p 214.258T. Pievani, La teoria dell'evoluzione, ed. Il Mulino, Bologna 2010 , p. 72.259http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Thinking%20the%20human.pdf

80

inventiva; di conseguenza, il vantaggio che si sviluppa dal singolo individuo si dipana e si

ampia a tutto il gruppo, il quale risulta essere estremamente più sviluppato degli altri

gruppi preumani; la conseguenza dell'ipermimetismo – seguendo il pensiero di Girard – è

la violenza intestina: ed ecco che entra in gioco il meccanismo vittimario, che solo se

attuato, ripetuto e ritualizzato ha permesso la salvaguardia dalla violenza e di conseguenza

la sopravvivenza. Il linciaggio si mostra quindi come un modulo comportamentale che,

sviluppatosi dalle dinamiche di gruppo e dalle relazioni tra gli individui, si conclude con

un'azione unanime che riporta la pace, e conduce alla costituzione dei divieti ecc. In questa

via, solo alcuni gruppi sono riusciti a gestire tali dinamiche, divenendo società 'culturali',

mentre, per quanto riguarda il resto, non possiamo fare altro che ipotizzare una loro

scomparsa, schiacciati dall'incapacità di gestire tali pulsioni distruttive; questo non vuol

dire negare altri mezzi di evoluzione (come può essere la caccia, il fuoco, il bipedismo ecc)

ma significa identificare la cultura come un frutto che si sviluppa da dinamiche endogene e

strettamente sociali (non divine, in quanto umane) che permette di gestire e di organizzare

un gruppo non più in grado di gestire le pulsioni animali. Credo sia lecito pensare alla

cultura come ad un fattore che non è nato in risposta a difficoltà esterne ed ambientali:

queste difficoltà spinsero l'uomo a divenire bipede, ad usare il fuoco e servirsi di alcuni

strumenti260. Ciò non vuol dire definire la religione come un meccanismo appositamente

inventato per sopravvivere ma, casualmente, alcuni gruppi riuscirono a gestire la violenza

in questo modo, e solo quei gruppi che sono riusciti a creare delle proto-istituzioni sono

stati in grado di sopravvivere e avere una forma culturale che, come si sa, non è nient'altro

che un meccanismo di auto-generazione di complessità cerebrale e sociale: una volta

innescato un sistema culturale, s'instaura un regime di duplice crescita: l'esponenziale salto

cerebrale dell'uomo venne reso possibile dal linguaggio e dalle altre forme culturali, tutti

fattori che garantirono una maggiore complessità sociale, organizzativa. Da notare la sottile

costruzione girardiana, la quale rifiuta ogni immagine preconfezionata dell'uomo, come

'destinato' da un quid interiore alla rivelazione di una religione: il fenomeno socioreligioso

viene analizzato come fattore contingente e squisitamente sociale–non teleologico che

«vista inevitabilmente dalla parte dei gruppi sopravvissuti, ne ricostruisce a ritroso il

cammino senza nascondersene l'accidentalità e individuando le esatte leggi che l'hanno

260Girard compie una riflessione sull'uomo, senza evidenziare tutta l'evoluzione che egli ha compiuto: in lui vi è una sorta di generalità, di schema, il quale 'ipotizza' un andamento sociale; proprio per questo rimanda a Morin – in Delle cose nascoste – per una riflessione intorno a tutti questi aspetti. I gruppi pre-umani a cui pensa Girard sono dunque già notevolmente evoluti, ma non hanno ancora avuto bisogno della cultura.

81

reso possibile»261.

3.3 – Evoluzione e Sistemi Auto-organizzatori

L'ipotesi di Girard presenta la cultura sotto una luce molto interessante: essa appare

– in primo luogo – come un principio che, gestendo il disordine generato dalla crisi

mimetica, è in grado di generare un sistema di gerarchia e di organizzazione che, alla

stregua dei sistemi gerarchici animali, regolamenta ed ordina i rapporti sociali, sventando il

più possibile la violenza all'interno del gruppo; si tratta dunque di un vero e proprio

principio di organizzazione, non programmato o pensato dagli attori sociali, che scaturisce

'spontaneamente', 'casualmente': la crisi sociale portò ad un linciaggio, grazie al quale il

gruppo riuscì a sopravvivere; è l'osservatore che, in seguito, nota la valenza centrale di

questo meccanismo, la vera ancora di salvezza umana. Se il gruppo riesce a stabilizzare e

ritualizzare il linciaggio, riuscirà a costituire una vera e propria società culturale, la quale

attua un continuo aumento della complessità sociale e cerebrale: solo un tale schema – che

contempli una spiegazione dell'esponenziale crescita del sistema culturale – può

giustificare diversi aspetti oscuri del nostro sistema culturale, squisitamente complesso.

Leggendo la teoria girardiana in questi termini, si può capire completamente il tipo

di modello formale che Girard ha in mente – più o meno coscientemente – e in che modo

esso appare coerente ed in linea con l'evoluzione. Come Girard stesso afferma in Delle

cose nascoste, fonte imprescindibile delle sue riflessioni sull'origine dell'uomo è l'opera Il

paradigma perduto di Edgar Morin, conosciuto come il 'filosofo della complessità'; il testo

è estremamente suggestivo ed interessante, in quanto fornisce una panoramica generale

dell'origine dell'uomo alla luce delle rivoluzioni scientifiche avvenute in campo biologico,

ecologico, etologico e, come dice Morin stesso, della 'scienza dell'uomo', una «scienza

nuova»262 che permette di pensare l'uomo non più sotto una luce unidirezionale e

riduzionista, ma inscrivendolo in una serie di sguardi diversi, aumentando sempre più la

complessità delle riflessioni (e delle discipline) che lo riguardano, in modo da creare una

scienza multidisciplinare in grado di rendere conto di tutti gli aspetti dell'uomo, da

considerarsi come un'entità singola e non spezzettata in base alla disciplina con cui si

riflette; questo atteggiamento è una riposta all'eccessiva chiusura di ogni 'sapere' che,

261G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 212.262E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p 205.

82

incapace di comunicare con gli altri, creava immagini incomplete ed erronee dell'uomo

stesso:

«Questa dualità antitetica uomo/animale, cultura/natura cozza contro l'evidenza: è evidente infatti che l'uomo non è costituito di due parti sovrapposte, bio-naturale l'una, psico-sociale l'altra, è evidente che egli non è attraversato da nessuna muraglia cinese che separa la parte umana dalla parte animale[..]Così, la biologia era rinchiusa nel biologismo, cioè una concezione della vita limitata all'organismo, come l'antropologia nell'antropologismo, cioè una concezione insulare dell'uomo»263.

Il fattore più interessante della riflessione del filosofo della complessità, da questo

punto di vista della teoria di Girard, è sicuramente la riflessione intorno ai sistemi auto-

organizzatori, sistemi capaci di creare dell'ordine da una situazione di disordine (celebre la

formula 'order from noise'). Di cosa si sta parlando? La teoria della nascita della cultura di

Girard, si presenta come una teoria di stampo evoluzionistico, che può essere compresa

totalmente solo se si arriva a concettualizzarla in termini di 'sistemi': il gruppo sociale deve

essere considerato un sistema vivente che non solo genera disordine, entropia (crollo nella

crisi mimetico-sociale) ma anche ordine ed organizzazione: attraverso il meccanismo del

capro espiatorio, i diversi gruppi gestiscono l'aumento di disordine, ed è grazie a ciò che

possono salvarsi, auto-organizzandosi, sempre sulla base delle spinte interne che

dominano ogni gruppo; questo movimento che dal disordine conduce all'ordine,

all'organizzazione, non è una particolarità dei gruppi umani, ma è un vero e proprio

principio fondamentale dei sistemi, sia artificiali che viventi: la grande differenza sta nella

capacità del sistema vivente di gestire una dose sempre maggiore di disordine, che va a

favorire un ordine nuovo, una nuova organizzazione sempre più complessa (in termini

scientifici si parla di complexity from noise): è qui che si gioca la grande differenza tra le

innovazioni cibernetiche ed elettroniche e l'essere vivente! Questo aspetto della riflessione

girardiana può essere notevole e favorisce un ulteriore confronto tra le più diverse

discipline; per usare le parole di Henri Atlan, : «Having as little to do with phenomenology

as with essentialism, Girard’s thought is mechanistic in kind. From this point of view, he

himself wanted his theory to be a mechanistic theory of cultural evolution as Darwinism is

a mechanistic theory of biological evolution. I will try to show that this challenge was met

to some extent, especially when one considers current models of self-organization for

complex biological and other systems, including developmental and evolutionary

processes»264. Quest'approccio tramite la teorie dei sistemi auto-organizzatori è

263E. Morin, Il paradigma perduto, cit., pp. 20-21.264http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Atlandraft.pdf

83

fondamentale per comprendere la prospettiva di Girard in tutta la sua ampiezza ed in tutta

la sua profondità: tali tematiche non sono trattate da Girard stesso, ma la sua ipotesi mostra

chiaramente una forma ed una coerenza che vengono ispirate da un approccio del genere;

pensando al gruppo sociale come ad un sistema vivente, aperto e complesso che, in quanto

tale, è costretto a gestire dosi sempre maggiori di entropia (e quindi di disordine, di

rumore), la risoluzione del capro espiatorio assume maggiore credibilità, in quanto non

solo è coerente ad un modello formale che identifica una capacità auto-organizzativa la cui

essenza è interna al gruppo (nega ogni intervento esterno, superiore, e dunque salva

l'immagine dell'uomo che Girard ci consegna) ma tale risultato permette anche di

comprendere l'organizzazione 'rituale-sociale' che si presenta dopo il linciaggio. Non solo;

proprio la teoria della complessità, permette di comprendere l'insieme delle conseguenze

rituali-linguistiche generate dal capro espiatorio (trattate completamente nel capitolo

successivo) pensati come strumenti generatori di una maggiore complessità, sviluppatasi da

una minore dose iniziale.

Credo che la posizione di Girard possa apparire fantasiosa o debole, in alcuni punti,

ma nel momento in cui la si legge attraverso la teoria dei sistemi auto-organizzatori,

assume una valenza ed una coerenza eccezionale, che non può essere inosservata. Ed è

dalle pagine di Morin (oltre che da pensatori come Atlan, Dupuy, Dumouchel265 ecc.) che

quest'ipotesi può essere apprezzata in tutta la sua grandezza.

Sempre ne Il paradigma perduto, Morin parla di una rivoluzione in campo

scientifico avvenuta sotto la guida del pensiero complesso, rivoluzione che investe la

biologia, l'ecologia e tutte le scienze psicologiche e sociali. Le teorie sull'informazione di

Shannon e di cibernetica ad opera di Wiener elaborarono proficue scoperte per le macchine

artificiali, ma trovarono utili applicazioni in campi quali la biologia, la sociologia e la

psicologia, discipline che, trovandosi incapaci di affrontare i nuovi paradigmi con termini

adeguati, ripresero i termini usati in cibernetica, come macchina, informazione, codice ecc.

Nel caso della biologia si tende a parlare di una 'apertura verso il basso' verso i fenomeni

fisico-chimici: non si aveva più a che fare con materie viventi, ma piuttosto con sistemi

viventi, cioè sistemi che presentavano un'organizzazione complessa, comprensibile

partendo dal livello chimico-molecolare. Questo salto 'epistemologico' metteva in luce il

fatto che «la macchina è una totalità organizzata, non riducibile ai suoi elementi costitutivi,

265Per un'interessante ricostruzione di tali concetti, come complessità, auto-organizzazione ecc, utile è il saggio L'auto-organisation: du social au vivant et du vivant au social, di J.-P. Dupuy e P. Domouchel (Cfr. http//science.societe.free.fr/documents/pdf/STS5_Dupuy_et_Dumouchel.pdf).

84

i quali non potrebbero essere correttamente descritti isolatamente muovendo dalle loro

proprietà particolari»266. L'apertura verso il basso diventa 'verso l'alto' nel momento in cui

tali modelli si dimostrano egualmente validi per i fenomeni psico-sociali e antropologici: i

principi teorici della cibernetica divennero applicabili in diversissimi campi, fattore che

provocò una visione del mondo legata al concetto di disordine, ordine e organizzazione;

come notò Schrödinger , «la vita significa tendenza all'organizzazione, alla complessità

crescente, cioè alla negazione dell'entropia. [..] È il paradosso dell'organizzazione vivente,

il cui ordine informazionale che si costruisce nel tempo sembra contraddire un principio di

disordine che si diffonde nel tempo»267. Questo paradosso non fa altro che mettere in luce

una logica che leghi ordine e disordine, tramite una teoria della complessità. Questa teoria

trovò la sua ulteriore rivoluzione in von Neumann che, riflettendo sulle macchine

artificiali, portò ad una migliore comprensione dei viventi: se gli automi artificiali non

facevano altro che degenerare, la macchina vivente

«sebbene costituita di elementi poco affidabili (molecole che si degradano, cellule che degenerano), è estremamente affidabile; da un lato essa è in grado eventualmente di rigenerare, ricostituire, riprodurre gli elementi che si degradano, cioè di autoripararsi, dall'altro essa è in grado eventualmente di funzionare nonostante il “guasto” locale; cioè di realizzare i suoi fini con mezzi di fortuna, mentre la macchina artificiale è tutt'al più in grado di diagnosticare l'errore dopo essersi fermata»268.

Altra differenza importante identificabile riguarda la questione dell'errore – detto

'rumore' – e l'effetto che esso genera nei sistemi artificiali e in quelli viventi: «mentre il

disordine interno, cioè in termini di comunicazione, il “rumore” o l'errore, degrada sempre

la macchina artificiale, la macchina vivente funziona sempre con una parte di “rumore”, e

l'accrescersi della complessità, lungi dal diminuire la parte di rumore tollerata,

l'accresce»269. Si delinea all'orizzonte il concetto chiave di complessità, nozione

fondamentale che arrivò con von Neumann: «la complessità non solo significava che la

macchina naturale mette in gioco un numero di unità e di interazioni infinitamente più

elevato che la macchina artificiale, essa significava altresì che l'essere vivente è sottoposto

a una logica di funzionamento e di sviluppo totalmente diversa, una logica nella quale

intervengono la non determinazione, il disordine, il caso come fattori di un'organizzazione

superiore o di autorganizzazione»270. Ecco perchè la nozione di vita si trovò molto più

266E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p. 24.267Ivi., p. 25.268Ivi., p. 26.269Ibid..270 Ivi., p. 27

85

colma di significato: autorganizzazione e complessità erano le nuove parole chiave.

Ulteriori mutamenti si ebbero in ecologia, dove la nozione di Natura assunse un nuovo

significato: gli esseri viventi, in una determinata 'nicchia ecologica' (biotopo), entrano in

rapporto con l'ambiente stesso, ed entrambi costituiscono una unità globale definibile

ecosistema: esso si presentava come un'organizzazione spontanea e casuale fondata da un

insieme di dipendenze, relazioni ed interazioni tra gli organismi. Ne segue che la relazione

che intercorre tra l'individuo e il suo ecosistema non si configura come un rapporto tra due

entità chiuse, quanto piuttosto come un «rapporto integrativo tra due sistemi aperti dove

ciascuno è parte dell'altro, costituendo un tutto unico. [..] La natura non è più disordine,

passività, ambiente amorfo: è una totalità complessa. L'uomo non è più un'entità chiusa in

rapporto a questa totalità complessa: egli è un sistema aperto in rapporto di

autonomia/dipendenza organizzatrice in seno a un ecosistema»271. Un discorso analogo può

essere effettuato intorno alla visione degli animali e dei loro comportamenti (già affrontate

nel capitolo precedente): lontani dalla riduttiva visione cartesiana degli animali, l'etologia

dipingeva società animali sempre più complesse, fatte da individui che compivano scelte,

decisioni, intrattenevano rapporti di diversa natura, non molto lontani da quello che noi

stessi intratteniamo con le altre persone.

Ciò che possiamo apprendere da questa nuova prospettiva, è la visione dell'uomo e

della società, ora da vedere attraverso la «complessità organizzazionale dei sistemi

viventi»272 che possono essere definiti sistemi auto-organizzatori; se pensiamo all'uomo

come ad un automa naturale, in contrapposizione a quelli artificiali, dobbiamo in primo

luogo definire la centralità – per quest'ultimi – dell'errore, definito rumore-disordine:

«Disordine è qualsiasi fenomeno che, in rapporto al sistema considerato, sembra obbedire

al caso e non al determinismo del sistema stesso, tutto ciò che non obbedisce alla stretta

applicazione meccanica delle forze secondo gli schemi di organizzazione prefissati»273; il

disordine, in un sistema artificiale, determina una crescita di entropia, fattore che comporta

la degradazione-disordinazione del sistema stesso; invece, l'organismo vivente «funziona

malgrado e con la presenza del disordine, del rumore, dell'errore, i quali, non comportando

necessariamente un aumento di entropia del sistema, non risultano necessariamente

degenerativi, e possono persino fungere da rigeneratori»274. Non tanto un paradosso se si

271E. Morin, Il paradigma perduto, cit., 29.272Ivi., p. 115.273Ibid.274Ivi., p. 116.

86

considera l'uomo come un sistema vivente consistente in un processo di riorganizzazione

permanente, che utilizza – assorbendo ed espellendo – l'entropia che produce. «E' questo

fenomeno di riorganizzazione permanente che da ai sistemi viventi flessibilità e libertà in

confronto alle macchine. [..] il sistema auto-organizzatore è tanto più complesso quanto

meno strettamente è determinato, in quanto gli elementi che lo costituiscono sono dotati di

una relativa autonomia, e le loro complementarità non si possono empiricamente e

logicamente dissociare da concorrenze o antagonismi, cioè di nuovo da un certo

“rumore”»275.

In questo contesto, il rumore si sviluppa in relazione all'evoluzione e all'aumento

della complessità del sistema; può condurre a mutazioni genetiche (nella trasmissione del

messaggio genetico) ma anche a mutazioni innovative, portatrici di una maggiore

complessità: in questi casi l'errore stesso favorisce e arricchisce il sistema e l'informazione.

Ne consegue che «il cambiamento e l'innovazione, nel campo del vivente, non si possono

concepire che come il prodotto di un disordine che arricchisce perchè diviene fonte di

complessità.[..] Dunque, ogni sistema vivente è minacciato dal disordine ma nello stesso

tempo se ne nutre. Ogni sistema vivente è contemporaneamente sfruttato e sfruttatore

dell'entropia»276. La riflessione di Morin, si presenta inizialmente come illuminante per il

singolo uomo, presentato come singolo individuo; nel momento in cui inizia a riflettere in

termini sociali, egli mantiene il suo atteggiamento 'complesso', giungendo a pensare sia al

sistema sociale sia agli individui che lo costituiscono in termini di sistemi viventi aperti, le

cui interazioni generano i reciproci rapporti tra i due. Stando così le cose, potremmo dover

pensare al gruppo sociale dei proto-umani a cui Girard allude, in termini di sistema,

trovando dunque un ottimo ponte di confronto e di riflessione.

Se pensiamo alla società come ad un sistema, dobbiamo in primo luogo parlare di

un sistema 'complesso', e questo significa un sistema nel quale gli elementi che lo

compongono interagiscono attraverso continue relazione ed interdipendenze; nel caso dei

sistemi sociali e culturali, la definizione di sistema complesso viene arricchita dalla

capacità di auto-organizzazione: «l’autorganizzazione avviene quando un sistema, superata

una certa soglia di complessità, o si disintegra o crea nuove strutture capaci di coordinare e

organizzare in modo più semplice gli elementi del sistema; l’evoluzione biologica o lo

sviluppo di nuovi sistemi sociali può essere vista come una serie di disastri e

275E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p. 116276Ivi., p. 117.

87

autorganizzazioni»277. Questa particolare capacità dei sistemi viventi non risponde ad una

sorta di 'disegno' che li governa: bisogna cancellare ogni sorta di convinzione finalistica,

ogni idea di demiurgo che crea secondo un determinato schema; tali sistemi sono

totalmente governati dalla casualità, ma il loro effettivo successo determina un'efficacia

che fa pensare ad un percorso già determinato: « It is a random procedure that takes on an

aura of necessity»278. Le esatte dinamiche seguite da tali sistemi, rimangono di fatto

oscure: l'unica cosa che si può affermare è la coesistenza e la cooperazione di ordine e

disordine; «Il disordine offre la varietà e le possibilità di evoluzione del sistema e gli

elementi del sistema “provano” ad aggregarsi in strutture più complesse e dinamicamente

stabili. La nuova stabilità è raggiunta grazie alla gerarchizzazione del sistema in

sottosistemi ordinati: il sistema troppo complesso si autorganizza dividendosi in

sottosistemi che cooperano in modo gerarchico alla funzionalità del sistema complesso»279.

Il sistema, trova dunque la sua organizzazione innovativa e maggiormente complessa in

quanto , da un lato, trova un'indeterminatezza che genera disordine, ma allo stesso tempo

riesce a compiere una nuova organizzazione che si presenti come più complessa, in quanto

riesce a gestire il rumore in un modo più efficace. Ci si pone di fronte agli occhi una triade

inaspettata, costituita da ordine–disordine–(auto)organizzazione, la quale ci conduce alla

comprensione di fenomeni che, instaurati dal disordine, istituiscono forme organizzate

nuove, le quali portano di nuovo all'ordine: la complessità, dunque, viene generata dalla

continua crescita che ordine e disordine si recano reciprocamente; il migliore modo di

evitare la scomparsa, è una continua rigenerazione e riorganizzazione:

«Il sistema sociale è il tipico esempio in cui l’azione di “disturbo” rispetto una struttura spesso è utilizzato per far evolvere il sistema stesso attraverso l’autorganizzazione:[..] nei fenomeni sociali, al cui centro è l’idea di sistema autopoietico, cioè capace di autotrasformarsi grazie alla capacità del sistema di scomporsi in sottosistemi dotati di autonomia, questa attività e propria del sistema e sfugge a ogni pianificazione razionale dell’uomo»280.

Nel momento in cui tale modello teorico si applica all'ipotesi girardiana

dell'ominizzazione ne comprendiamo la complessità e la validità; bisogna sempre ricordare

che in Girard ogni crisi mimetica è sinonimo d'indifferenziazione, dissolvenza dell'ordine

precostituito: nel caso degli uomini e delle società, basti ricordare l'interpretazione che

l'autore da della Roma descritta nel Giulio Cesare, e cioè una Roma in cui gli uomini di

277http://www.vitellaro.it/silvio/aggiornamento/Compless_CIDI/Compless_gen.doc278http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Naturalizing%20Mimetic%20Theory.pdf279 http://www.vitellaro.it/silvio/aggiornamento/Compless_CIDI/Compless_gen.doc280http://www.vitellaro.it/silvio/aggiornamento/Compless_CIDI/Compless_gen.doc

88

mestieri vagano senza regole, senza impegni, senza un abito che definisca il loro status281;

nel caso del processo di ominizzazione, le differenze che crollano sono quelle dei

dominance patterns la cui scomparsa getta il gruppo in una lotta dilaniante: il crollo delle

differenze, non è nient'altro che crisi mimetica, e dunque, puro disordine, rumore; come

dice Morin :«Che cos'è una crisi? E' un aumento del disordine e dell'indeterminatezza

all'interno di un sistema [..] provocato da o provoca esso stesso il blocco dei dispositivi

organizzazionali, in particolare regolatori (feed-back negativi) determinandovi da una parte

una certa rigidità, d'altra parte lo sbocco di potenzialità fino allora inibite»282.

L'ipermimetismo genera una crisi, un disordine la cui pressione rompe le normali gerarchie

animali, incapaci di funzionare: ma ecco che la possibilità della sopravvivenza, si cela

proprio nell'organizzazione stessa del cervello umano, il cui ipermimetismo ricade nella

soluzione sacrificale; gli elementi interni del sistema sociale, caduti in un disordine mai

visto, riesco però a muoversi in una nuova direzione, in grado di generare un nuovo ordine

e una nuova organizzazione! Atlan definisce l'ipotesi di Girard come un problema legato

alla dimensione sociale, o per meglio dire, alla differenziazione:

«Girard analyses this mechanism in more precise fashion, and insists on the role of violence. It intervenes in the two moments of the mechanism: at the stage of undifferentiation and at the stage of differentiation. At the stage of undifferentiation there is the violence of all against all, and mimesis is the source of an absolutely generalized violence. At the stage of differentiation there is the violence of the expulsion of the victim, and this time mimesis makes the violence of all converge against one. It is there, in the determination of who will be expelled, that randomness intervenes in the fillip of chance that orientates the system towards one social form rather than another.»283

Secondo lo studioso, l'intero meccanismo del capro espiatorio può essere visto come un

generatore di differenze a partire dall'indifferenziazione, apprezzando come Girard

definisce il processo sulla base dell'imitazione284. L'imitazione è il fattore perturbante,

creatore di disordine, ma è, allo stesso tempo, il fattore che permette un nuovo tipo di

organizzazione, un nuovo ordine nato dal disordine: 'order from noise'.

281R. Girard, Il teatro dell'individa, tr. it. Luciani G, Adelphi 1998, capitolo sul Giulio Cesare. 282E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p 139; corsivo mio.283 http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Atlandraft.pdf284«it is a matter of the passage from an undifferentiated state to a differentiated state. To obtain a

differentiated state, one must obviously start out from an undifferentiated (or less differentiated) state and see how it becomes differentiated. When one reflects on the ideas of undifferentiation and differentiation, one perceives that repetition or redundancy is a particular case of undifferentiation. Manifestly, imitation is an operator of repetition or redundancy. Imitation furnishes peculiar and fundamental examples of undifferentiation. One of the interesting points in Girard's theory is that it shows us how, out of these undifferentiated states,differentiated states may arise».(Cfr.http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Atlandraft.pdf).

89

Le potenzialità di cui parla Morin, sono insite nelle diverse specie di pre-umani, ma

solo i gruppi che sono stati in grado di far emergere un nuovo modello di organizzazione

sono riusciti a sopravvivere, ripetendo il meccanismo e creando una forma sociale

maggiormente complessa; è forse in questa maggiore complessità che si deve osservare la

vera essenza della cultura: essa è probabilmente un tipico caso di 'complexity from noise' e

cioè una forma inedita di organizzazione, la cui complessità era insita nelle potenzialità dei

primi uomini: in secondo luogo, la cultura è stata in grado di generare una complessità

sempre più vertiginosa, generando quel senso di 'parzialità' insita in ogni scoperta umana:

l'epigono sapiens è giustamente affiancato da Morin a quello di demens, non a caso: « il

disordine (condotte casuali, competizioni, conflitti) è ambiguo: è da una parte uno degli

elementi costitutivi dell'ordine sociale (varietà, differenziazione, elasticità, complessità),

ma d'altra parte resta nello stesso tempo disordine, cioè minaccia di disintegrazione. Qui, di

nuovo, la minaccia costante che il disordine mantiene è ciò che dà alla società il suo

carattere complesso e vivo di riorganizzazione permanente.[..] una società si autoproduce

senza sosta perchè senza sosta essa si autodistrugge»285.

Il meccanismo sacrificale, è dunque una sorta di principio organizzatore,

stabilizzatore, capace di far convergere la violenza non in modo centripeto, ma verso un

singolo capro espiatorio; è una forma endogena, un meccanismo – come dice Dupuy :

«morphogenetic: they are capable of generating new forms. They are simple but their

simplicity brings about complexity»286.

Se quindi l'origine della cultura si ritrova nel meccanismo del capro espiatorio, cosa

è in grado di creare, e come ciò avvenne? La complessità cultura che oggi noi possiamo

osservare, non è nient'altro che un risultato di un lungo percorso. Sancito il ritorno

all'ordine, l'omicidio sacrificale permette l'elaborazione di una nuova forma sociale

maggiormente complessa, in grado di assorbire dosi maggiori di disordine e di garantire

una quanto meno duratura fase di ordine, inevitabilmente momentanea; ma

contemporaneamente, tale nuova forma è generatrice di maggiore complessità: ricadendo

nel disordine, non si fa altro che determinare nuovo ordine culturale, con tutte le conquiste

che questo comporta; stiamo qui descrivendo il meccanismo della Cultura umana, il cui

ritmo evolutivo è parossistico ed inedito. La complessità viene quindi re-inserita in un

regime di produzione continua di forme maggiormente superiori, secondo un ritmo che

285E. Morin, Il paradigma perduto, cit., p 45.286http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Naturalizing%20Mimetic%20Theory.pdf

90

solo un sistema culturale può produrre: solo quest'ipotesi permettere di rendere conto della

nascita e della relativa evoluzione di istituzioni sociali: il linciaggio originario, per Girard,

è in grado di generare nuove forme culturali sempre più complesse quali il linguaggio, la

domesticazione animali e, ovviamente, il divieto ed il rito.

91

IV

Istituzioni sociali nate dal meccanismo vittimario

Girard, fiducioso dell'efficacia della sua ipotesi antropologica, non si accontenta di

esplicare il processo che portò all'origine dell'uomo, ma – dilagandosi all'interno della sfera

culturale e simbolica – rende manifesta la realtà che soggiace alla nascita della Cultura

umana, che vanta un linguaggio complesso, la dimensione rituale, i divieti ed altre

istituzioni complesse; muovendosi tra le varie sfide lasciate in sospeso da diverse

discipline, Girard riconduce tutta la Cultura ad un unico tassello, il medesimo che portò

molti gruppi pre-umani a sopravvivere: il meccanismo vittimario. La cultura nella sua

interezza può essere dunque letta come un frutto prelibato caduto dal patibolo

dell'immolazione sacrificale. Quest'ipotesi, ad un primo sguardo, può sembrare fantasiosa

ed ambiziosa: se così fosse – si potrebbe pensare – vi dovrebbero essere prove evidenti,

trattandosi di una realtà manifesta; in primo luogo è dunque fondamentale notare che

Girard contempla la possibilità dell'evoluzione delle forme culturali, le quali hanno ormai

smarrito la loro origine reale e cruenta287: contro la concezione del 'platonismo culturale'288

che concepisce le istituzioni come entità immutabili fin dalla loro apparizione, Girard

oppone la sua ipotesi – estremamente coerente – secondo la quale la molteplicità delle

istituzioni presenti non è nient'altro che il risultato dell'inevitabile mutamento delle forme

culturali, le quali compiono continue metamorfosi, ancora oggi in corso; forte di tale

concezione, Girard non rinuncia a risalire alla radice comune di tutte le forme culturali che,

nate da esigenze sociali ed umane, sono facilmente riconducibili al meccanismo che ha

generato l'umanità stessa: ancora una volta, è accattivante osservare il metodo 'darwiniano'.

Un'unica e sola genesi: in seguito, in base a semplici fattori contingenti, le istituzioni si

evolvono seguendo le più diverse strade, a seconda dell'aspetto dell'omicidio rituale

privilegiato; tramite la prospettiva mimetica, avendo in mano il meccanismo vittimario e il

rito vivente «si tengono le due estremità della catena e la «decostruzione», perché riesca

finalmente a compiersi, è anche una «ricostruzione» che si effettua a partire dalla matrice

comune»289. Si affrontano così le istituzioni come elementi puramente storici, umani ed

adattivi i quali, fin dal primo momento, sono sottoposti ad inevitabili mutazioni e

differenziazioni. Un'ipotesi 'definitiva' e scientifica, come si propone quella girardiana,

287La cosa sarà più chiara quando si parlerà – ad es – della domesticazione, della monarchia ed, anche, del sacrificio stesso.

288Cfr. R. Girard, Delle cose nascoste , cit., p. 81.289Ivi., p. 84.

92

deve necessariamente ricondurre tutte le realtà sociali ancora poco comprensibili ad un

unico principio: dimostrato che il meccanismo del capro espiatorio ha condotto l'uomo ad

essere quello che è, esso deve esplicare i diversi passi compiuti dalla specie durante il suo

lungo cammino.

4.1 – Il significante trascendentale

La dimensione rituale dell'omicidio vittimario ha generato una vera e propria

discontinuità tra atteggiamenti animali ed 'umani', rendendo possibile la strutturazione di

un sistema di segni e significazione complesso, qual'è quello umano. Se dovessimo

focalizzarci sull'evento primordiale si deve notare, come sottolinea Girard, che il

meccanismo vittimario, sin dalla sue prime apparizioni, si presenta come «una prodigiosa

macchina per destare [..] la prima attenzione non istintuale»290. La frenesia sanguinaria

della crisi si nutre della vittima, la cui morte genera un momento eccezionale: cessata la

scarica distruttiva, la comunità conquista la calma e la pace, trovandosi immersa in un

silenzio la cui intensità è difficile da contenere: questa nuova situazione, creatasi

dall'uccisione unanime, è diametralmente opposta al delirio della crisi, ed è proprio tale

unicità che deve aver creato uno stupore ed un'attenzione non indifferente291. Come un

centro gravitazionale, la vittima attrae a se tutto lo stupore, come prima aveva polarizzato

la violenza: «al di là dell'oggetto puramente istintuale [..] c'è il cadavere della vittima

collettiva ed è questo cadavere a costituire l'oggetto primario per questo nuovo tipo di

attenzione»292. Sul corpo della vittima, oltre ai colpi violenti inflitti dalla comunità, si

cristallizza un'attrazione quasi sacra: vi è qui l'origine dell'elaborazione dell'ambivalenza

sacra, il capro come unico principio di caos e di ordine293. Nucleo dello stupore e

dell'attenzione, l'intero evento si radica nella mente dell'osservatore, pronto a riemerge in

tutta la sua forza ogni qualvolta il linciaggio unanime si ripeterà. Ecco perché, conclude

290R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 128.291Ancora una volta possiamo gettare uno sguardo all'etologia: de Waal, ci dipinge il toccante atteggiamento

di 'lutto' che colpì una colonia da lui studiata; l'inaspettata morte dell'antropomorfa Dorothy, creò un vero e proprio convoglio funebre: il gruppo, collettivamente, rimane in silenzio osservando il corpo mentre veniva portato via. Ecco come egli descrive la scena: «Parecchie scimpanzé si raccolsero intorno alla carriola sua cui era esposto il suo corpo, che suscitò un'attenzione intesa (ma stranamente silenziosa) da parte della comunità della riserva». (Cfr. Frans de Waal, Il bonobo e l'ateo, cit., p. 237).

292R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 128.293Altro interessante punto di vista è quello di Lorenz, il quale riflette sulle possibili implicazioni che il

primo Caino dovette provare di fronte al cadavere dell'assassinato: «il primo Caino, dopo aver atterrato un membro della sua orda con una mazza, fosse profondamente scosso dalle conseguenze della sua azione. [..] Ad ogni modo andiamo sul sicuro che il primo assassinio abbia subito riconosciuto tutta l'enormità della sua azione.» (Cfr. K. Lorenz, L'aggressività, cit., p. 132). In Lorenz vi è una sottolineatura della consapevolezza dell'omicidio, la cui unicità porterebbe alla creazione dei divieti d'assassinio.

93

Girard, tale evento «ha prodotto una specie di “cortocircuito” cognitivo e percettivo che

richiede una qualche forma di elaborazione »294.

Realisticamente, Girard non pensa ad un unico evento fondatore in grado di creare,

quasi d'incanto, una rete significativa che permetta l'emergere di un sistema di

classificazione: non ricadendo nell'idea della Genesi, dove l'uomo viene creato dal fango

con un singolo atto, si ritorna a quella logica evolutiva dove, sempre attraverso la

ripetizione, la vittima (sostitutiva) richiama una nuova attenzione, riportando alla luce il

ricordo di quell'evento fondamentale. Non si tratta quindi di un'elaborazione delle

significazioni del sacro come un effetto immediato, ma come un lungo processo, fatto di

«stadi, forse i più lunghi di tutta la storia umana, durante i quali queste significazioni non

sono ancora veramente presenti. [..] si è sempre in cammino verso il sacro, ma non vi sono

ancora concetti o rappresentazioni»295. Ogni singolo omicidio non fa altro che contribuire

cumulativamente a questa attenzione verso la vittima, che evoca la duplicità di sensazioni

di pharmakon, sensazioni via via più radicate nella mente.

Dal cadavere linciato, fuoriescono spinte ed attenzioni nuove con «un valore che

struttura ogni ulteriore differenza; il sacro, nella sua duplice accezione di benefico e di

malefico, scaturisce dal cadavere della vittima come una forza esterna e autonoma, da

maneggiare con grande cautela»296. L'elaborazione di un modo di pensare, la cui

organizzazione si costruisce attraverso la differenziazione che il sacro istituisce, ci permette

di definire la vittima come il primo significante trascendentale che emerge da uno strato di

totale indifferenza e confusione: l'unico fattore degno di nota che si staglia e che emerge

dall'indistinto. L'uccisione, lungi dal generare un senso di colpa fondante e retroattivo,

genera lo sviluppo di un sistema simbolico di significazione, che non funziona come lo

strutturalismo vorrebbe, e cioè come un sistema fatto di opposizioni binarie (l'idea lévi-

straussiana del Crudo e il Cotto) nel quale ogni significato è tale grazie al suo opposto, ma

piuttosto si struttura come l'emergere di un unico grande significante da una massa caotica

e confusionaria. L'apparato simbolico umano quindi non è binario, ma funziona tramite

un'eccezione che sorge dal magma confuso, eccezione che, in realtà, genera un significante

di per se ambiguo: il sacro nella sua duplice valenza, malvagia e salvifica, è un paradigma

in grado di sussumere le posizioni strutturaliste, superandole tramite una sintesi 'hegeliana',

capace cioè di mostrarne l'errore; l'opposizione binaria risiede nell'ambiguità del sacro, ma

di fatto, il sistema di significazione umana si costruisce per eccezione da confusione.

294R. Girard, Origine della Cultura ,cit., p.76.295R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 129.296G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 223.

94

Ancora una volta, non sarà dunque la primigenia uccisione ad essere fondamentale, quanto

piuttosto la sua commemorazione rituale: «la cultura nel suo complesso è un sistema

sacrificale fondato sulle rielaborazione emotiva di un'uccisione collettiva» 297. Sventando

la crisi con una nuova vittima sostitutiva, essa non potrà che ricordare ed evocare quel

primo evento miracoloso; abbiamo di fronte così una nuova vittima sacrificale che si

manifesta come il simbolo di quel primo evento: «viene ad essere [questa vittima

sostitutiva] il primo segno inventato da questi ominidi; per la prima volta qualcosa sta al

posto di qualcos'altro»298. La complessità cognitiva di quest'operazione, da un lato richiede

una massa cerebrale molto sviluppata, ma, dall'altro dovette fungere da «forma di pressione

evolutiva, un elemento della selezione naturale che costringe i primi ominidi a diventare

sapiens»299. Il meccanismo del capro espiatorio è dunque un meccanismo che alimenta

l'evoluzione del cervello umano: come già definito in precedenza, è in queste dinamiche

che Girard identifica la 'soglia' che determina la nascita della soglia simbolica, fattore

tipicamente umano; inoltre il sistema rituale e culturale non fa altro che contribuire a

questo sviluppo: la ripetizione, che porta ad un 'rafforzamento cognitivo'300 può trovare

nell'imitazione un ottimo luogo di sviluppo, ed ecco come quell'efficace ed universale

costrutto sociale che è il rito, si rivela l'insegnante migliore del genere umano: «il rito [..]

da una parte rivela la struttura dei nostri meccanismi cognitivi, dall'altra funziona come uno

strumento pedagogico in mano alle società primitive»301.302

Inoltre a riprovare quest'idea di significazione (unicità/indistinto) è il rito stesso: nel

processo rituale troviamo un unico elemento (cioè la vittima o ciò che ritualmente appare

come tale) che emerge dalla massa, attraverso una selezione casuale e aleatoria, tipica della

maggior parte dei riti: «un tale modello si ritrova nei rituali proprio perché è ricalcato,

insieme a tutte le altre istituzioni rituali, sull'operazione della vittima espiatoria. Esso [..] è

un modello della simbolicità più rudimentale»303. Sulla scia delle riflessioni di Roger

297G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 224298R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 77.299Ibid.300Ivi, p. 82.301Ibid.302Interessante notare un'osservazione derivata dal confronto tra bambini e scimpanzé durante un

esperimento riguardo alle scatole distributrici di caramelle; un soggetto umano, mostrava come prendere le caramelle, eseguendo anche una serie di gesti inutili, che non apportavano i dolci; l'esperimento mostrò che, se da un lato gli scimpanzé si mostrarono in grado di capire quali fossero i movimenti validi per prendere le caramelle, mentre i bambini ripeterono tutto in modo identico: molti esperti parlarono qui di 'iperimitazione', ma a ciò de Waal pone una tendenza da parte dell'uomo, nell'agire mimeticamente, seguendo una sorta di 'fede' nell'azione dello sperimentatore: tale credenza , che è fonte di una credenza religiosa, è una caratteristica particolarmente umana; interessante affiancare tale pensiero con le riflessioni sulle modalità di ritualizzazione compiuta dai primi ominidi nella riflessione girardiana (F. de Waal, Il Bonobo e l'ateo, cit., pp. 247-248).

303R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 130.

95

Caillois304 Girard vede in quest'ordine di simbolicità l'origine dei giochi d'azzardo, nei quali

viene valorizzato solo il processo casuale che porta alla scelta dell'elemento rituale: unicum

dell'umanità, questi giochi d'azzardo non rappresentano altro che l'immolazione sacrificale;

infatti, «Anche nelle forme più attenuate di sorteggio, si vedono polarizzarsi sull'eletto le

significazioni multiple del sacro»305 ed il caratteristico caso del 'gâteau des rois' ne è un

innocua dimostrazione.

La vittima, fonte di significazione originaria e via via sempre più straordinaria,

appare dunque come il significante trascendentale, per cui «Il significante è la vittima. Il

significato è tutto il senso attuale e potenziale attribuito dalla comunità a questa vittima e ,

per suo tramite, ad ogni cosa»306. Quel primo corpo immolato come vittima, è quindi il

primigenio segno, ambivalente come il sacro: responsabilità della crisi e riconciliazione,

sono ciò che si cerca di riprodurre nella ritualità accennata nei primi gruppi umani!

«L'imperativo rituale fa tutt'uno dunque con la manipolazione dei segni»307. Costretti dal

mimetismo a rivivere le crisi, gli uomini non possono far altro che trovare la riconciliazione

nella ripetizione del segno, e cioè tramite sacrifici che rievochino la catarsi: ecco il

processo che porta allo sviluppo del linguaggio e della scrittura: «arriva il momento in cui

la vittima originaria, invece che da nuove vittime, sarà significata da qualcosa di diverso

dalle vittime»308 attraverso quel misconoscimento della violenza che pervade la società

umana.

Altra questione spinosa è quella linguistica:

«il linguaggio articolato[..] deve anch'esso costituirsi a partire dal rito, a partire dalle urla e dalle grida che accompagnano la crisi mimetica e che il rito deve pure riprodurre [..] queste grida dapprima inarticolate cominciano a ritmarsi e a ordinarsi come i gesti della danza, attorno all'atto sacrificale, poiché tutti gli aspetti della crisi sono riprodotti in uno spirito di collaborazione e di intesa»309.

Secondo Girard, un linguaggio – inteso come un sistema chiuso di fonemi e segni,

attraverso i quali si può riuscire a comunicare – è un sistema complesso che merita una

spiegazione; tramite lo studio dei primati, si è osservato che posseggono un insieme di

segni, attraverso i quali riescono a comunicare riferendosi al mondo esterno mentre non

304Autore di Les jeux et les hommes.305R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 131.306Ivi, p. 132.307Ivi. p. 133.308Ibid.309Ibid.

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riescono a comprendere i «segni che si riferiscono gli uni agli altri»310: questa dimensione,

che di fatto caratterizza il nostro modo di comunicare, è quello che potremmo definire la

'soglia simbolica'; anche Girard vede nel linguaggio un elemento fondamentale che ci

differenzia dal resto del mondo animale. Ma come la dimensione simbolica può sorgere?

La vittima sacrificale, si configura come un centro attraverso il quale diviene possibile una

comunicazione tra i membri del gruppo i quali possono riferirsi a quell'elemento, che

essendo percepito come esterno, permette una comunicazione ed un'interazione sociale

intorno e riguardo ad esso; non dobbiamo pensare che, cominciata tale comunicazione,

essa svanisca insieme al centro che l'ha evocata, tutt'altro: è necessaria la scomparsa di tale

centro, fatto che ha permesso un'elaborazione ed un'astrazione notevole, e di conseguenza

una complessità sempre più marcata. Centro d'attenzione e centro comunicativo: il primo

cadavere ucciso collettivamente appare come un sole, che irradia una luce di significazione,

contribuendo a creare il sistema linguistico e simbolico che «insegna alle persone a

comunicare, ad avere ognuna il proprio ruolo nella comunicazione con gli altri»311. Il ruolo

fondamentale di centro, però, sta nella sua scomparsa: «una volta che la comunicazione si è

stabilizzata in questo senso, il centro della significazione può anche dissolversi e

scomparire»312. Tramontando tal centro, ci lascia appunto il sistema simbolico, che

permette l'utilizzo del linguaggio e della dimensione rituale: la cultura, messa in moto da

questo nucleo religioso inizia la sua evoluzione da qui.

La prospettiva girardiana si giostra attorno alle difficoltà dei diversi settori del

sapere, incapaci di spiegare il salto che differenzia l'animale e l'uomo (un essere

'simbolico') : si deve trattare necessariamente di uno 'sconvolgimento' che ha portato ad una

rivoluzione nelle dinamiche sociali all'interno di questo gruppo, istituendo così un'insieme

di elementi sociali fortemente controintuitivi: ciò che determina la discontinuità nei

comportamenti animali deve quindi essere esplicato non come una semplice conseguenza

dell'encefalizzazione, ma piuttosto come una rottura radicale, che solo un evento

'traumatico' ha potuto generare! Per capire tale prospettiva, proficua è la riflessione sul

dono, difficile da pensare nella prospettiva animale, nella quale l'individuo dominante

prende tutto per se313: «Tutto il processo che ha visto non solo gli ominidi ma interi gruppi

310R. Girard Origine della cultura, cit., p. 77.311R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 78.312Ibid.313Anche in questo caso, Girard continua a sottolineare la rottura tra l'umano e il non umano: tale

prospettiva riguardo al dono dovrebbe essere approfondita, proprio perchè forme di attenzioni, gesti d'altruismo non sono assenti nella complessa vita dei primati: definire tali relazioni come dominate esclusivamente dal dominio del più forte è comunque riduttivo.

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sociali abbandonare l'usanza del prendere tutto per se e assumere il nuovo costume di dare

tutto all'altro con lo scopo di ricevere dall'altro è assolutamente controintuitivo»314.

Postulare una tendenza all'altruismo non è altro che eludere la domanda; ecco perchè,

ancora una volta, l'evento dell'uccisione collettiva s'impone come catastrofe necessaria che

portò ad una radicale rottura con i patterns comportamentali animali.

L'evoluzione cerebrale non può essere l'unico motore dell'emergenza del simbolico :

il temibile ricordo della crisi instilla nei membri del gruppo una rottura, che li porterà ad

agire diversamente dai modelli istintuali: «Solo se la gente si sente veramente minacciata

abbandonerà specifiche azioni; altrimenti l'appropriazione caotica avrà il sopravvento e la

violenza continuerò a crescere»315. Questa paura non può fare altro che nascere dal timore

di un'ulteriore crisi mimetica e per creare un legame sociale appare necessario la creazione

di una proibizione, che non potrà essere altro che una 'protezione dall'escalation

mimetica'316. Il primo omicidio è il calderone da cui fuoriesce tutto questo, ma soprattutto,

da cui si rivela la via della salvezza: «la scoperta della risoluzione attraverso un capro

espiatorio, che salva le proto-comunità da questa spaventosa crisi di violenza mimetica

viene poi disciplinata in un sistema rituale di norme e proibizioni»317 le quali

contribuiranno ad un'elaborazione sempre più sottile del sistema simbolico.

4.2 – Divieti e Riti

Oltre al linguaggio, Girard utilizza il meccanismo mimetico per esplicare due forme

universali delle società umane: il rito ed il divieto, baluardi della cultura. In tutte le società

che conosciamo, sappiamo che forme 'religiose' non sono mai mancate, connesse alle quali

si trovano sia dei tabù religiosi sia delle prescrizioni sacre e rituali.

Risalendo alla fine della storia si pone il problema della nascita della cultura e dei

suoi araldi: secondo Girard è possibile dare un'interpretazione unanime dell'origine di tutti i

divieti. I gruppi proto-umani sopravvivevano grazie alla ripetizione dei linciaggi vittimari,

unico mezzo per sventare le crisi mimetiche; con l'inevitabile pressione selettiva che esso

pone al cervello, è logico ipotizzare che questi gruppi tentino di porre rimedio alla terribili

crisi, che più volte li ha dilaniati; questo non solo tramite l'omicidio, ma anche prevenendo

314Ivi, p. 80.315R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 78.316Ibid.317Ivi, p. 81.

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il suo scoppio, evitando quindi di ripetere i diversi fattori scatenanti. Nella prospettiva

mimetica i soggetti agenti interpreteranno tutto secondo la 'mentalità primitiva' : di fronte

alla crisi e alla sua risoluzione per tramite della vittima, vi è una sorta di apprendimento

degli accadimenti, ed è chiaro che tali gruppi, incapaci di dare una spiegazione lucida,

tendano ad evitare il più possibile tutti i gesti che hanno suscitato la crisi, tra i quali si

distinguono anche i comportamenti mimetici! La minaccia della mimesi d'appropriazione,

forza in grado di disgregare una comunità, è arginata attraverso i divieti, il cui ruolo è

proibire e dissuadere la violenza e la mimesi che l'ha suscitata. Il rischio che minaccia la

comunità è sempre quello della violenza, fenomeno inevitabile: la violenza deve essere

eliminata dal gruppo, almeno nelle forme peggiori: «Non esiste cultura che non proibisca la

violenza all'interno dei gruppi di coabitazione. E insieme alla violenza effettiva sono

proibite tutte le occasioni di violenza, le rivalità troppo accese»318.

I divieti in primo luogo colpiranno tutte le violenze che si dirigono all'interno del

gruppo, punendole o vietandole; ma se in molti casi la ragione dei divieti è evidente –

vietare la violenza – in alcune società molti sono apparentemente inspiegabili e bizzarri: se

dunque l'antropologia si è sforzata di catalogare in modo coerente la totalità dei divieti,

spesso scontrandosi con l'incapacità di creare un'adeguata suddivisione, l'ipotesi girardiana

individua invece la radice comune che unisce tutti i divieti: i rituali che colpiscono i

gemelli, gli strani atteggiamenti riguardanti gli specchi o qualsivoglia comportamento

imitativo («Bisogna astenersi dal copiare i gesti di un altro membro della comunità, dal

ripetere le sue parole»319) , sebbene sembrino poter costituire una categoria a parte rispetto

ai divieti contro la violenza, in realtà, hanno formalmente la stessa matrice; particolari

rituali magici sono, a detta delle popolazioni 'primitive', creati per proteggersi dalla magia

definita 'imitativa'320 e questo sembra di gran lunga superare le molteplici suddivisioni

formali dei divieti degli osservatori. Se pensiamo ai divieti come a delle imposizioni atti ad

impedire il dilagare della violenza, è logico ipotizzare che il fine sia raggiunto a diversi

livelli: e dunque non solo bandire – per quanto possibile – direttamente la violenza, ma

anche impedire ciò che ha scatenato la crisi e cioè l'inevitabile scontro che deriva dall'avere

in comune l'oggetto dei desideri; è la mimesi d'appropriazione che scatena la crisi e dunque

i divieti mimetici «intendono scoraggiare la convergenza dei desideri sui medesimi oggetti

e proibiscono pertanto l'acquisizione di ciò che è più vicino e più facilmente

318R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 26.319Ibid.320Ibid.

99

conseguibile»321.

Ancora una volta, quest'incapacità dell'antropologia è un frutto del

misconoscimento, che comporta un diverso modo di catalogare la violenza: se per l'occhio

moderno «la violenza possiede un'autonomia concettuale, una specificità»322 e viene isolata

nell'ambito del legislativo, i popoli primitivi non la considerano come un fenomeno a se

stante: in modo saggio i divieti arcaici vedono laddove noi non vediamo più; la violenza

non si può isolare, ma essa vive in un contesto anch'esso mimeticamente violento, per cui

«allo stadio delle violenze esplicite il carattere imitativo è il più manifesto»323; se quindi i

'primitivi' vedono una linea di continuità tra vietare la violenza e vietare l'imitazione

eccessiva, essi dimostrano una notevole saggezza, in quanto comprendono come tutto ciò

che fa scaturire la degenerazione è collegato con il mimetismo e l'indifferenziazione (e tutto

ciò che fomenta la mimesi): per noi le due cose sono molto lontane324; il misconoscimento è

però un fattore che agisce medianti diverse strade, ed anche i diversi fronzoli estetici e le

trasfigurazioni inevitabili del sacro rendono la comprensione dei divieti più complessa: «le

società primitive reprimono il conflitto mimetico vietando tutto ciò che può suscitarlo,

certo, ma anche dissimulandolo dietro i grandi simboli del sacro, come la contaminazione,

la sporcizia ecc»325.

Tutti i comportamenti mimetici, o tutto ciò che evoca la crisi d'indifferenziazione

sono elementi potenzialmente devastanti per la comunità, in quanto riflettono la

consapevolezza del rischio della spirale mimetica: il timore dei gemelli , che può essere

inteso come una radicale lotta tra fratelli (topos nella mitologia per rappresentare la lotta tra

doppi) altro non è il timore del contagio dell'indifferenza, scintilla che scatena la violenza:

il divieto si configura quindi come protezione dalla violenza mimetica, prevenendo la crisi

d'indifferenziazione. Interessante vedere come anche il timore dei doppi contribuisce a

spiegare strani rituali e credenze magiche, come il timore che il proprio nome o alcuni parti

del proprio corpo (capelli, unghie ecc) cadono in mano ai nemici, i quali avrebbero potuto

inviare maledizioni o creare statue da punzecchiare, i cui danni si ripercuotono sul

321G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p 226.322 R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 26.323Ivi, p. 27.324Degno di nota è la riflessione di Girard sulla spirale della vendetta, la quale permette di comprendere il

legame tra violenza e mimesi; ogni uccisione non fa che rilanciare la violenza, che tramite un'escalation porta velocemente alla distruzione: «la vendetta a catena appre come il parossismo e la perfezione della mimesi. Riduce gli uomini alla ripetizione monotona dello stesso gesto assassino». (R. Girard, Delle Cose nascoste, cit., p. 28).

325R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 33.

100

malcapitato; in questi casi, il doppio appare come raffigurazione del nemico, contro il quale

si può scaricare la propria violenza: «La magia non è altro che un cattivo uso delle

proprietà malefiche della mimesi»326.

Nonostante i fronzoli, capiamo che la raison d'être di tutti i divieti è la mimesi

d'appropriazione, la quale è «all'origine di tutto perché i principali divieti [..] divieti di

oggetti, i divieti sessuali per esempio, e anche i divieti alimentari, vertono sempre sugli

oggetti più vicini, sui più accessibili»327. Leggendo da questa prospettiva, sia i divieti

dell'incesto che i tabù alimentari (riguardanti l'animale o la pianta totemica) divengono

comprensibili, in quanto abbiamo di fronte oggetti 'a portata di mano', i più suscettibile di

istigare degli scontri interni al gruppo:

«Gli oggetti vietati sono sempre quelli più vicini e accessibili perché sono i più suscettibili di provocare le rivalità mimetiche tra i membri del gruppo. Gli oggetti sacralizzati, gli alimenti totemici, le divinità femminili, avendo in passato già causato delle reali rivalità mimetiche, hanno conservato l'impronta del sacro. Per questo motivo diventano oggetto del più rigoroso divieto»328.

Lungi dall'avere un importanza rilevante, l'oggetto non può essere il fulcro della

spiegazione in quanto, come spesso accade in Girard, è solo il pretesto del conflitto! Divieti

sessuali o alimentari sono in realtà tutti orientati a dissuadere lo scoppio della violenza,

impedendo la fruizione di oggetti vicini: «i più suscettibili a divenire una posta in gioco per

rivalità distruttrici dell'armonia del gruppo, e della sua stessa sopravvivenza»329 .

La realtà etologica sembra favorire la lettura girardiana: proprio come noi, anche gli

animali «non rinunciano mai a soddisfare i loro appetiti e i loro bisogni il più vicino

possibile, non vanno mai a cercare lontano ciò che possono trovare sul posto o nelle

immediate vicinanze; non rinunciano mai all'oggetto più disponibile»330. Per una tale

rinuncia 'universale' non si può postulare ne un 'desiderio della regola'331 ne una razionalità

creatrice, piuttosto una leva prodigiosa che portò una rottura; ancora una volta, proprio i

temibili ricordi della crisi mimetica fungono da spinta: «la paura delle rivalità mimetiche, a

paura di ricadere nella violenza interminabile»332. La paura del mimetismo porta ai divieti

che prescrivono di non compiere quelle stesse azioni che portarono – o che possono portare

326Ivi, p. 30.327R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 101.328Ivi., p. 101. 329Ivi., p. 33.330 Ivi., p. 101.331Ivi., p.98; l'obiettivo polemico in queste pagine è ovviamente Lévi-Strauss e lo strutturalismo.332Ivi., p. 101.

101

– alla crisi; è chiaro che il cibo (in questo caso l'animale totemico, che, come spesso è stato

notato, è l'animale che si trova in maggior quantità nei pressi della popolazione che se ne

vieta l'alimentazione) e le donne (del gruppo) sono motivi di conflitti molto prossimi;

proprio come le donne del gruppo, anche l'animale totemico è avvolto dalla proibizione

sacra, e viene consumato proprio in seguito a particolari sacrifici (dinamica viene chiarita

tramite il rito).

Se ogni gruppo umano vivesse isolato, è chiaro che questa situazione porterebbe al

collasso sociale ed infine all'estinzione: fortunatamente, oltre ai tabù, nelle società c'è la

dimensione rituale: essa «spinge i membri di questi gruppi verso l'esterno, alla ricerca delle

vittime. E proprio a partire dai riti sacrificali si costituiscono le basi della cultura umana, in

particolare i modi dello scambio matrimoniale, i primi scambi economici»333. E' facile

ipotizzare che proprio da questi particolari divieti, sia nata una cooperazione tra gruppi

diversi, che ha permesso la nascita dell'esogamia e, potremmo dire, dello scambio rituale334:

studi confermano che le popolazioni che cacciano ritualmente il totem, senza mangiarlo, lo

scambiano con altre cibarie che altri gruppi si sono proibiti.

I divieti sono nati in modo casuale e 'adattivo' dalla crisi mimetica, e proprio

quest'origine simile ma locata in gruppi diversi spiega la apparenti grandi differenze

esteriori di questi rituali, per i quali viene trovata una lente ermeneutica in grado di dare

una spiegazione unitaria che, togliendo i drappi estetici, esteriori e fuorvianti, riesce a

risalire al loro quid: ancora una volta scolaro di Freud, Girard vede come leva della società

il divieto e non la regola positiva e prescrittiva (come invece fa lo strutturalismo).

Data questa visione del divieto, la spiegazione girardiana sembra naufragare quando

si presenta la dimensione rituale: la follia che in essa dilaga, è sovente generata dalla

violazione ossessiva delle azioni che i divieti impediscono; se il divieto si configura come

mezzo per dissuadere la mimesi e quindi la violenza, le dinamiche rituali si caratterizzano

come delle degenerazioni sociali, in cui la dimensione 'dionisiaca' e mimetica è la

preponderante: le danze, i canti e altri oggetti rituali – come le maschere – sono tutti

elementi che sembrano evocare l'indifferenziazione! Tra l'altro, questa contraddizione colpì

notevolmente la maggior parte dei primi etnografi: tali popolazioni venivano definite

'selvagge' proprio perchè violavano ritualmente tutti quei divieti 'insensati' che si davano;

333R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 102.334Per capire il funzionamento e la genesi dello scambio, utile sono le riflessioni sul rituale, poste poco

dopo.

102

«l'abbandono a vere e proprie orge trasgressive che caratterizza soprattutto la fase iniziale

di certi rituali»335sembra trascinare la società nella spirale orgiastica e violenta della

mimesi.

In realtà, questa contraddizione è solo apparente: divieto e rito sono due diversi

modi di arginare la crisi mimetica. Nel momento in cui i divieti iniziano ad essere inefficaci

– nei momenti di escalation mimetica, infatti, difficilmente la violenza viene frenata dai

soli divieti e dalle prescrizioni – la società può esser concepita come un organismo in cui le

pressioni mimetiche innalzano la pressione interna, rischiando di far scoppiare il sistema:

onde evitare che ciò degeneri in una crisi generalizzata, ogni società non fa altro che

indirizzare in modo 'innocuo' (tranne che per la vittima) le tensioni aggressive: «I riti

consistono nel trasformare, paradossalmente, in atto di collaborazione sociale la

disgregazione conflittuale della comunità»336. Se quindi le rivalità iniziano a rendere la

tensione sociale e mimetica insostenibile, il 'pensiero religioso' non fa altro che tentare una

diversa risoluzione, ispirandosi a come quella prima volta fu risolta: il sacrificio (momento

che conduce ogni azioni rituale, a prescindere dalle diverse forme che assume) non è altro

che una rappresentazione voluta del linciaggio di 'tutti contro uno', che già quella prima

volta aveva portato la pace. Ripetendo tale omicidio, la crisi viene sventata ritualmente.

Per generare la catarsi un sacrificio dev'essere preceduto dalle stesse dinamiche che

portarono all'omicidio: ecco perchè in tutti i riti sono obbligatorie tutte quelle azioni che i

divieti proibiscono! Essendo quest'ultimi creati per evitare la mimesi che induce alla crisi,

tali gesti non sono che la ripetizione rituale degli atteggiamenti mimetici: le danze, le lotte

rituali e i tutti riti spettacolarmente coreografici, basandosi sempre sugli effetti speculari e

mimetici, non fanno che riprodurre uno schema, e cioè quello dei «doppi, vale a dire di

partners che si imitano reciprocamente»337.

Il binomio rito-sacrificio si può quindi leggere come una teatralizzazione della crisi

e del linciaggio: la violenza sempre più incontenibile viene ri-direzionata nell'unico modo

che le società hanno appreso, e cioè l'uccisione unanime di una vittima inerme; nella

ricreazione mimetica della crisi e nel sacrificio finale si tenta di creare quell'effetto

liberatorio – catartico – che la prima uccisione aveva creato e ciò avviene solo se la

raffigurazione della crisi dei doppi e dell'indifferenziazione avviene nel modo giusto;

335G. Mormino Il confronto con l'Altro , cit., p. 227.336R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 37.337Ivi., p. 38.

103

chiave ermeneutica della rituale è infine «l'immolazione di una vittima animale o

umana.»338. Particolarmente rivelatori sono quei riti che, non avendo un momento preciso

in cui sono eseguiti, vengono attuati «per allontanare una minaccia di crisi del tutto

immediata»339. Abbracciando totalmente la crisi, «tutto si svolge come se si pensasse che la

disintegrazione simulata potesse evitare la disintegrazione reale»340. Sono così spiegate sia

le trasgressioni eccessive delle feste rituali, sia le 'antifeste' particolarmente austere basate

su azioni di rinuncia: «essa rappresenta la conclusione del parossismo, ovvero il momento

che si trova all'altra estremità del processo che la società ha vissuto la prima volta e che

precede immediatamente la riconciliazione»341.

I riti, attraverso l'evoluzione culturale, assumono le forme più differenti ma la

riduzione ad un'unica radice è esemplificata dal corpo della vittima: essa è vista come il

veicolo che permette la metamorfosi della mimesi negativa (interna alla società) in una

mimesi positiva, la buona mimesi rituale; uno di questi due aspetti può essere evidenziato –

o meno – dal pensiero religioso, che focalizza la sua attenzione ora «[sull']aspetto malefico

dell'operazione sacrificale, la magnetizzazione del cattivo sacro sulla vittima, ora

sull'aspetto benefico, la riconciliazione della comunità»342. Nel primo caso, la vittima viene

considerata come fonte malvagia, fonte di pericolo e di contagio: avremo riti in cui il

sacrificio viene compiuto da uomini addetti ai lavori, come boia e sacerdoti; nel secondo

caso, il linciaggio sarà invece collettivo, come ogni sacrificio che sottolinei l'unità della

comunità. Dando attenzione ad un momento piuttosto che ad un altro, il rito andrà incontro

ad una metamorfosi diversa e, tramite l'opera di méconnaissance, lentamente perderà la

vicinanza con l'origine violenta da cui deriva. Ci troviamo di fronte ad una prospettiva

estremamente coerente ed efficace, non solo in grado di portare le istituzioni sociali ad

un'unica radice, ma anche di rendere conto delle inevitabili evoluzioni e metamorfosi che

essi assumono!

Come precedentemente accennato, il rito permette inoltre lo sviluppo delle

dinamiche interazionali tra i diversi gruppi: la ritualizzazione vittimaria, data la sua

funzione catartica rappresentativa, cerca vittime 'perfette', che permettano cioè il doppio

transfert del sacro, ma dotate delle diverse peculiarità che rendono una vittima tale: oltre ai

difetti fisici, in questa sede è utile pensare alla percezione della vittima come membro

338Ivi, p. 40.339R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 39.340Ivi, p. 40.341G. Mormino, Il confronto con l'Altro, cit., p. 228.342Ivi., p. 69.

104

esterno non più interno, come doveva essere all'inizio; data la vastità di questo fenomeno si

può ipotizzare che «l'impulso rituale, la ricerca delle vittime, orienti i gruppi verso l'esterno

nel momento stesso in cui l'impulso del divieto rende impossibile ogni interazione vitale tra

i membri del gruppo»343. La spinta data dalla ricerca della vittima come bersaglio esterno,

fa configurare il rito (ma anche il divieto), come fonte di un'articolazione generatrice di una

«interazione sociale tra gruppi originariamente separati, o tra gruppi separati di recente

dalla stessa crisi mimetica, e si può immaginare che tale nuovo tipo di interazione,

presentandosi come una serie di scambi differiti e simbolizzati dal gioco sacrificale [..] si

sostituirà alle interazioni immediate della vita animale»344.

Lo scambio rituale, come il resto della cultura, viene così visto come frutto di

continui linciaggi: l'usura sacrificale può valorizzare l'ambito degli scambi, e cioè l'aspetto

meramente economico, portando dunque ad una istituzionalizzazione dello scambio come

tale, spingendo invece le ritualità violenta ai margini dell'azione; però, «può accadere

tuttavia che la violenza originaria perduri intatta e sfoci in istituzioni come le guerre rituali,

i riti dei cacciatori di teste, o quelle forme di cannibalismo che vertono su catture di

prigionieri»345; abbiamo quindi il solito iter culturale, per cui scambi e guerre rituali non

sono nient'altro che un'unica realtà, che si differenzia in basi al prediligere un fattore (la

violenza sacrificale) piuttosto che un altro (lo scambio commerciale).

4.3 – Domesticazione ed agricoltura

La spinta data dalla ricerca di vittime esterne e sicure costituì anche una feconda via

per le future trasformazioni dei gruppi umani: in primo luogo, essa sembra perfetta per

comprendere la domesticazione animale. Possiamo comprendere la modalità di sviluppo di

questa particolarità se la paragoniamo alla lettura che Girard da della guerra (e del

successivo cannibalismo rituale) presso i Tupinamba346: in questo caso, come i guerrieri

stessi ammettono, la guerra ha come scopo principale l'approvvigionamento di vittime

sacrificali; essi, venivano integrati nella comunità, diventando membri realmente interni,

conservando però il marchio del loro cruento destino; reso abbastanza interno – ma non

troppo – egli diventava la vittima perfetta, garantendo l'identificazione tanto quanto il

343.R. Girard, Delle cose nascoste, cit.,103.344Ibid.345Ivi, p. 104.346Cfr. R. Girard, La Violenza e il sacro, cit., pp. 380/382.

105

sacrificio richieda (non abbastanza per identificarsi 'empaticamente' con la vittima): il

prigioniero veniva così ucciso e poi mangiato ritualmente.

Questa 'spettacolare' azione, ha in realtà la stessa struttura formale dei riti sacrificali

che terminano con l'immolazione di un animale: quest'ultimi dovettero iniziare a vivere in

rapporto con gli uomini fungendo da riserva utile e sempre fruibile di vittime incapaci di

suscitare vendetta, ma abbastanza simili da poter generare la catarsi rituale; affinchè il

sacrificio funzioni, è chiaro che la vittima debba apparire abbastanza interna al gruppo ed

ecco cosa spinse i primi uomini a far soggiornare gli animali presso le società, a lavorarci

insieme ed a 'umanizzarli' (dunque renderli non sempre meno selvatici): «Penso che si sia

cominciato a trattare gli animali come esseri umani allo scopo di sacrificarli, sostituendo

vittime umane con vittime animali»347. Reso abbastanza interno, ma non troppo, la vittima

animale può facilmente sostituire quella umana, garantendo la scarica unanime

dell'aggressività.

Questo transfert è reso possibile anche dai fenomeni di metamorfosi 'mostruosa' che

la vittima assume agli occhi dei linciatori: la vittima espiatoria veniva spesso

inconsciamente rivestita di caratteri demoniaci e bestiali, e questi tratti sono facilmente

riscontrabili in modo trasfigurato presso gli animali. Il mostruoso, facile da costruire

intorno ad una vittima umana, può facilmente essere intravisto tra gli animali selvatici.

Dobbiamo inoltre ricordare cosa Girard afferma intorno alle vittime 'perfette': come detto in

precedenza, il rito (culminante sovente in forme sacrificali) avendo il ruolo di mettere in

scena il linciaggio fondatore, va alla ricerca di una vittima, la cui 'efficacia' si trova nella

sua capacità di sostituire il ruolo della vittima primigenia; scongiurando l'escalation delle

vendette violente, il sacrificio deve necessariamente essere l'ultimo assassinio, quello cioè

che non ne fa conseguire altri, proprio perchè la comunità è riunita in tale atto: questo

significa che la vittima ideale è la vittima che non fa nascere altra violenza; nessuno deve

prendere la parte della capro espiatorio, pena il malfunzionamento del sacrificio; ogni

sistema culturale, tende così inevitabilmente a selezionare quelle vittime della cui

debolezza si può confidare, e cioè vittime che non hanno voci a favore. Come sappiamo, in

molti dei sui testi Girard parla degli stereotipi della persecuzione348, o dei segni vittimari,

cioè delle deformità fisiche o sociali (pensiamo ad Edipo, uno straniero che zoppica), tutte

caratteristiche che permettono una facile polarizzazione delle tensioni mimetiche ed

aggressive, come il rituale del pharmakos Ateniese dimostra. I segni vittimari di fatti

347R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 87.348R. Girard, Il Capro espiatorio, cap. 2.

106

rendono la vittima abbastanza esterna per non permettere un legame empatico con essa,

salvaguardando la buona riuscita del sacrificio. Nel momento in cui comprendiamo che,

attraverso la domesticazione, alcuni animali sono riusciti a divenire in grado di suscitare

quel connubio tra identificazione/mostruosità comprendiamo quanto essi si configurino

come vittima ideale, proprio a causa della loro incapacità di vendetta: la domesticazione si

può quindi comprendere attraverso una 'mentalità religiosa', che scova negli allevamenti dei

sicuri serbatoi di vittime deboli, incapaci di vendicarsi349.

Spiegare la domesticazione in termini economici o programmatici è sciocco, anche

perchè, come nota Girard, «la domesticazione è all'inizio assolutamente anti-economica:

«gli animali addomesticati sono più piccoli di quelli selvatici, si ammalano più facilmente

di una serie di malattie da stress, e la quantità di germi e virus introdotti dagli animali

selvatici nella comunità umana è altissima»350. Solo col tempo, dimostrandosi un'ottima

fonte di risorse, la domesticazione sacrificale dovette diventare 'intensiva' ed alimentare,

secondo una logica sacrificale351. Durante il lungo periodo di 'preparazione sacrificale' –

quel momento che separa la scelta della vittima e la sua immolazione – l'animale può

dimostrare i segni di domesticazione (in base alle sue inclinazioni) ed è questo che può

portare il mutamento da animale solo sacrificale (diremmo quasi allo stato brado) ad

animale in grado di intrattenere rapporti positivi con l'uomo presso cui 'dimora': durante

questo lasso di tempo infatti, si può ipotizzare che l'osservazione dell'utilità dell'animale

abbia fatto in modo che esso venisse addomesticati con fini non solo sacrificali. Il fattore

tempo, legato alla tendenza dell'animale ad essere addomesticato, ha permesso la

comprensione di un possibile vantaggio economico: e come spesso accade «la

domesticazione [..] a poco a poco respinge ai margini la sua origine, [..] ma senza eliminare

349Prendendo seriamente le riflessioni girardiane, possiamo di fatto riflettere sulle modalità attraverso cui l'uomo è entrato in contatto con quegli animali da lui addomesticati: la violenza si configura come il primo contatto e la prima necessità che hanno spinto l'uomo ad entrare in 'comunità' (se così possiamo dire) con alcuni esseri viventi, semplicemente dilaniati per utilità sociale; proprio come oggi, dunque, è sul piano delle stragi che la domesticazione e l'allevamento esplicano il modo in cui le nostre società entrano in contatto con gli altri esser senzienti. Infine, la duplice aura di maligno/salvifico alla base del sacro che s'instaura su una vittima animale, può essere facilmente osservate nei nostri giorni nell'immagine del roditore usato nei laboratori: storicamente il ratto è il simbolo delle grandi epidemie che inducono a crisi sociali; tuttavia, fungendo da cavie per esperimenti medici, la loro morte li tramuta in portatrici di cure e salvezza.

350R. Girard, Origine della cultura., p. 88.351Interessante vedere come questa ricostruzione colleghi di fatto domesticazione con allevamento intensivo:

Plutarco si chiedeva perchè «non mangiamo di certo leoni e lupi per nostra difesa; al contrario, questi li lasciamo stare, mentre catturiamo e uccidiamo le bestie innocue e manseute, prive di pungiglioni, e di denti per morderci» (Cfr. Plutarco, Del mangiar carne, trad. Donatella Magini, Adelphi, Milano 2001-2011, p. 58); la risposta deriva immediatamente dalla nozione di domesticazione come granaio di vittime innocenti, la cui efficacia deriva dall'incapacità di vendicarsi.

107

questa volta l'immolazione»352.

Proficua e rivelatrice è l'interpretazione girardiana del rituale scarificale dell'orso

presso gli Ainu: essa è totalmente identica ad altri riti sacrificali del bestiame, ma è utile per

dimostrarne la tetra origine, in quanto rivela come l'animale, reso interno alla società, ha 'la

parte' della vittima, e nel caso dell'orso questo è evidente a causa dell'incapacità di divenire

un animale domestico: «Si può dunque pensare che la domesticazione sia solo un effetto

secondario, un sottoprodotto di una pratica rituale pressoché identica ovunque»353. Sono

quindi le inclinazioni naturali delle specie poste nella società che determinano la possibilità

della domesticazione, la quale si rivela come un secondo passaggio rispetto all'uso di

animali come vittime sacrificali354.

A riprova di quest'origine sacrificale, è il numero esorbitante di sacrifici umani

compiuti ritualmente nelle popolazione prive di animali domestici: «il processo di

sostituzione di esseri umani con animali non aveva avuto luogo»355: ancora una volta, nelle

dinamiche espiatorie non è l'oggetto (la vittima) un'utile fonte per la comprensione rispetto

alle dinamiche sociali: i riti che terminano con il sacrificio umano non sono nient'altro che

semplici varianti dei rituali che immolano un animale innocente. La cosa che conta è la

potenza dell'uccisione, in grado di mantenere un rapporto di continuità tra uomo ed

animale, rendendo possibile una sostituzione; ciò che appare importante nella 'mentalità

primitiva' è la comprensione del nesso causale uccisione–riappacificazione sociale! La

forza che scaturisce dall'ucciso è facilmente paragonabile a quella di un dio che,

dall'esterno, riporta la pace e, come nota Girard, «un animale cacciato [può] venire

simbolicamente equiparato a una divinità sacrificale»356.

Questo permette un'ulteriore riflessione intorno al fenomeno della caccia: essa, nelle

società primitive , è spesso condita con segni rituali; se, grazie alla costituzione del nostro

organismo, possiamo dire che la caccia umana non fu originata da motivi analoghi alla

caccia degli animali carnivori, possiamo ipotizzare che anch'essa sia originata da spinte

sacrificali: «Per capire l'impulso che ha potuto lanciare gli uomini all'inseguimento degli

animali più voluminosi e temibili, perchè si crei il tipo di organizzazione richiesto dalle

352Ivi., p. 93.353R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 94.354Interessante notare come tutte queste riflessioni sono investite dall'idea di un'evoluzione culturale, ma

anche di una evoluzione di carattere strettamente darwiniana, nelle quali casualmente alcuni animali vengono addomesticati altri no, e questo in base al tipo di animale con cui si entra in contatto; lo stesso sarà nel caso del re, il quale potrà assumere un potere centrale ed assoluto, oppure si presenterà solo come vittima, utile solo come capro espiatorio e senza alcun tipo di potere.

355R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 88.356Ivi., p. 91.

108

cacce preistoriche, è necessario e sufficiente ammettere che anche la caccia inizialmente è

un'attività sacrificale»357.

Si può però notare una tensione interna nelle riflessioni di Girard sulla caccia: non

si riesce bene a comprendere dove si possa istituire il discrimine tra una caccia sacrificale

ed una caccia che dovette precedere la ripetizione rituale del linciaggio; nelle osservazioni

etologiche, Girard definiva la caccia come una di quelle attività che acuivano la violenza in

seno ai gruppi pre-umani; sembra possibile ipotizzare una soluzione: dato che la violenza

unanime – e la successiva paura della crisi – genera diverse modalità comportamentali,

diverse da quelle istintuali, si può supporre che la caccia con fini sacrificali sia stata una

caccia sviluppatasi successivamente, mantenendo però le forme della caccia dei gruppi pre-

umani, laddove essa fungeva da sfogo dell'aggressività, non ancora con forme riconducibili

a quelle del capro espiatorio.

Proprio come per l'addomesticamento degli animali, anche l'agricoltura sembra

trovare la sua origine nel meccanismo sacrificale: anche più della domesticazione, la

scommessa insita nel processo dell'agricoltura, (rinuncia a del cibo sicuro ed immediato per

la speranza di un possibile cibo futuro) si presenta da un lato come una scelta azzardata, e

dall'altro sembra presupporre una capacità razionale notevole; anche la semina è

inizialmente un'azione anti-economica! Non dobbiamo dare per scontato che il legame

seme piantato/pianta futura sia una dinamica di semplice comprensione, basti solo pensare

al lasso di tempo che intercorre tra un'azione ed un'altra; ma dunque «che cos'è stato a dare

agli esseri umani l'idea di mettere dei semi sottoterra? Li hanno sepolti sperando che

risorgessero, come la comunità era rinata grazie al sacrificio»358. Prova di questo sembra

essere l'intimo legame che unisce riti sacrificali con l'agricoltura, oltre che l'interpretazione

rituale che molte società danno al ciclo vegetativo e stagionale: nascita e morte sono i due

poli fondamentali; lungi dall'essere un'interpretazione metaforica, questa esplicazione è la

stessa che ogni individuo apprende all'interno della scuola rituale. Il ciclo sepoltura e

speranza della resurrezione, imparato nell'ambito rituale, appare una spiegazione sensata

per la mentalità primitiva, certamente superiore a chi esplichi la semina come una azione

che sottintende una comprensione dei nessi biologici.

Fu dunque proprio grazie alla ripetizione rituale ed alla mentalità 'sacrificale' che si

arrivò a «incoraggiare (e quindi selezionare) questo comportamento (l'agricoltura) che non

357R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 97.358R Girard, Origine della cultura, cit., p. 91.

109

offriva ricompense di adattamento migliori di quelle già ottenute nelle economie di caccia-

raccolta o di pastorizia»359. I gruppi di cacciatori-raccoglitori, iniziarono a stanziarsi

stabilmente intorno ai luoghi sacri, la cui forza d'attrazione venne resa possibile dalla

potenza sacra che ogni immolazione doveva perpetuare: ben presto, tale luogo diveniva il

centro delle attività rituali, sacre e simboliche, come «seppellire semi insieme agli essere

umani, per esempio»360: fu seguendo questa strada che la logica dell'agricoltura e della

domesticazione dovette radicarsi, rendendo i gruppi di cacciatori e raccoglitori in grado di

approvvigionarsi maggiormente e quindi di stabilirsi. Possiamo quindi dire che tutti i

progressi portati dalla macchina sacrificale sembrano dare adito alla sua definizione come

'meccanismo che genera conoscenza'361 in quanto lo spazio rituale è «uno spazio dove la

manipolazione di oggetti e di segni acquista un valore esplorativo e comunicativo»362. Dallo

spazio delle prime tombe che l'uomo vide ed imparò a maneggiare in modo sempre più

abile le sue abilità cerebrali che, insieme alla società in cui viveva, venivano continuamente

accresciute dal meccanismo vittimario: «la tomba è al limite il primo e l'unico simbolo

culturale»363.

4.4 – Regalità

La spiegazione girardiana avanza imperterrita in una serie di istituzioni complesse e

particolari: in primo luogo possiamo pensare alla concezione della 'giustizia' che,

muovendosi in modo coerente con le sue riflessioni, viene presenta come una potenza in

grado di mettere fine all'escalation della vendetta364; interessante anche la sua sottile

notazione intorno alla figura del fabbro la cui marginalità rispetto alla società viene

esplicata grazie al ruolo di fomentatore di possibili violenze. Molto interessante appare

invece la dimostrazione dell'origine sacrificale della monarchia. Le osservazioni sulle

monarchie africane permettono una dimostrazione del fatto che «come ogni istituzione

umana la regalità è innanzitutto la volontà di riprodurre il meccanismo riconciliatore»365.

Ne La Violenza e il sacro Girard da una chiara lettura di queste particolari e complesse

monarchie: durante la cerimonia d'intronizzazione il re è obbligato a compiere una serie di

atti solitamente vietati; si osservano rapporti incestuosi (reali o teatralizzati), atti violenti,

banchetti di cibi proibiti! Queste trasgressioni non sono altro che mezzi rituali per fare del

359Ivi., 93.360R. Girard, Origine della cultura, cit., p. 93.361Ivi, p. 94.362Ibid.363R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 109.364«L'ultima parola della vendetta» (Cfr. La Violenza e il sacro, p. 32).365R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 72.

110

re la perfetta vittima: «se si fa del re un trasgressore [è per] castigarlo con la massima

severità»366. Se le accuse paranoiche che avevano suscitato il primo linciaggio erano

strumentali per giustificare l'uccisione della vittima, ora esse sono incarnate dal re e

confermano la sua colpevolezza agli occhi del popolo: non sono che deterrenti per

permettere una scarica aggressiva 'giustificata' contro tale monarca. «Le regole di quella

che chiamiamo l' «intronizzazione regale» sono le stesse del sacrificio; mirano a fare del re

una vittima capace di incanalare l'antagonismo mimetico»367. Reso un meritevole

colpevole, ben presto il re diviene il centro degli impulsi violenti, presentandosi come

quello che fu in origine, e cioè la vittima della violenza unanime.

Ma la regalità è anche e soprattutto potere e sovranità: secondo Girard, l'enorme

potere risiede nelle mani del monarca, è il frutto del retaggio del potere 'sovrumano e

terrificante'368 che la folla vede nella vittima; come questo potere diviene durevole?

Interessante vedere che, proprio come nel caso della domesticazione, anche un semplice

ritardo o rinvio sacrificale può incidere in modo notevole: «è necessario e sufficiente che la

vittima approfitti di un eventuale rinvio dell'immolazione per trasformare in potere effettivo

la venerazione atterrita che le portano i suoi fedeli»369. Nel semplice fluire del tempo, più il

re riesce a non essere sacrificato, più può usare la sua 'aura sacra' per influenzare la

comunità, sempre di più, finché «deve arrivare il momento in cui questa influenza è così

effettiva, la sottomissione della comunità così servile, che il sacrificio reale del monarca

diviene di fatto impossibile se non ancora impensabile»370. Il meccanismo di usura

sacrificale funziona legato alla temporalità: più ci si allontana dall'origine violenta, più il

linciaggio diventa di second'ordine e marginale rispetto all'istituzione vera e propria: il

misconoscimento e l'efficacia di tale forma politica dovette condurre alla forma monarchica

moderna. Ma questa non è l'unica strada che tale istituzione può percorrere: la contingenza

e le biforcazioni istituzionali permettono di privilegiare diversi fattori nelle istituzioni; se la

regalità può radicare il suo potere, altrove fu più efficace un'altra forma: dove la vittima

non riesce a 'depositare' il suo potere, sarà la realtà sacrificale quella privilegiata dal

pensiero religioso, per cui «La potenza religiosa della vittima si ridurrà a poco a poco a

privilegi insignificanti»371.

Definire le figure imponenti delle monarchia assolute originate da un meccanismo

366R. Girard, La Violenza e il sacro, cit., p. 152.367R. Girard, Delle cose nascoste, cit. p. 72.368Ivi, p. 74.369Ibid.370Ivi., p. 72.371Ivi., p. 75.

111

sacrificale, sembra una spiegazione molto fantasiosa, ma basta soffermarsi poco per

sciogliere le diverse difficoltà; una delle celebri frasi che succedevano alla morte dei re –

“Il re è morto, viva il re” – con Girard si può guardare con sospetto: che sia

un'esemplificazione del meccanismo sacrificale, che vede nella figura del monarca morto

un essere da glorificare in quanto è con la sua morte che riporta la pace? Altro interessante

esempio è l'aura sacra della monarchia, fattore molto diffuso. Dire che la monarchia è

sacra non vuol dire altro che perpetuare il misconoscimento della sua origine: al re non si

aggiunge una divinità, ma si può tranquillamente supporre che avvenga proprio il contrario,

per cui la sacralità della vittima sia il primo passo, a cui si lega immediatamente la regalità,

la quale potrà (o meno) diventare una carica istituzionale. Interessante osservare la

differenza tra il monarca e la divinità strettamente intesa: quando un sacrificio viene

compiuto per una divinità, viene accentuato l'aspetto del sacro già espulso dalla società, ed

ogni sacrificio si produrrà come un sacrificio che nutre la divinità: «esso in genere evolverà

nell'idea di una ripetizione affievolita, destinata a produrre del sacro, ma in più debole

quantità, e che sarà anch'esso espulso, andando ad accrescere e nutrire la divinità. Da ciò

deriva l'idea del sacrificio come offerta alla potenza sacra»372. Ecco perchè in origine è

necessario che rituale monarchico e divino sia necessariamente distinti, per cui se spesso si

dice che il re è un dio vivente, deve essere ricordato, con Girard, che il Dio è una specie di

«re morto o per lo meno “assente” »373.

372R. Girard, Delle cose nascoste, cit., p. 77.373Ivi, p. 79.

112

Conclusione

Secondo la teoria di Girard, l'uomo conquista la sua attuale immagine attraverso la

ripetizione rituale di un primo linciaggio fondatore, generato dagli antagonismi mimetici; il

ritorno della pace – risultato dell'assassinio di una vittima – dovette generare uno stupore

eccezionale, nuovo, non istintuale, permettendo la creazione di un terreno fertile sul quale

l'edificio culturale umano poté esser innalzato. L'ipotesi di Girard, muovendo dalla fiducia

che l'autore ripone nella verità della teoria mimetica è estremamente suggestiva, nonostante

presenti alcune lacune: il mio lavoro si è appunto focalizzato su alcune di esse, nel

tentativo di mettere alla prova e, parallelamente, esplicitare alcuni punti non

completamente tematizzati.

Girard tratteggia grossolanamente un percorso, tenta di ritrarre i nostri lontani

antenati nel loro passato ancestrale, ricercandone i punti di forza e di debolezza: la

presenza di un cervello molto sviluppato necessita un lungo periodo di svezzamento e di

conseguenza di un duraturo legame madre-figlio; alla stregua della maggior parte dei

primati a noi più simili, possiamo legittimamente ipotizzare l'esistenza di piccoli gruppi,

costituito da ambo i sessi, in cui gli esemplari maschili detenevano una superiorità basata

prevalentemente – ma non esclusivamente – sulla forza; pensando in generale agli animali

sociali, il primo problema che si staglia all'orizzonte, forse il più grande – una volta

'domato' l'ambiente esterno – è il controllo della violenza, la cui forza distruttiva ha un

andamento centripeto: è infatti dalle dinamiche sociali che l'evoluzione culturale deve aver

preso forma.

Qui subentra il grande contributo dell'etologia. Condivido totalmente la

preoccupazione dello stesso autore nei confronti dei comportamenti animali, fonti di molta

verità riguardanti l'uomo, ma allo stesso tempo considero le osservazioni dai lui riportate

non molto sostanziose; nonostante Girard affronti il tema in modo superficiale – anche a

causa di una scarsità di opere, rispetto ad oggi – non possiamo comunque negare la validità

delle sue ipotesi; soffermandomi maggiormente – ma non unicamente – sugli studi

primatologici (da opere di J. Goodall e di F. de Waal) ho potuto saggiare e confrontare le

tesi girardiane: moltissimi autori riconoscono un ruolo fondamentale all'imitazione, sia

come fonte di apprendimento per la mera sopravvivenza, sia come mezzo in grado di

uniformare l'esemplare al resto del branco: nel terreno dei mammiferi 'superiori'

l'importanza dell'imitazione viene considerata fondamentale, ed oggi – a seguito della

scoperta di neuroni specchio in alcuni primati – l'attenzione al tema sta aumentando; da tali

113

considerazioni, sono così passato alle dinamiche conflittuali: questo binomio, assoluta

novità ricavata dalle opere di Girard, mi ha permesso una peculiare visione sia della

violenza sia dei rapporti sociali nei sistemi gerarchici, permettendo di verificare l'immagine

dell'uomo primitivo che l'autore del mimetismo ci presenta; scolaro di Lorenz, Girard

determina la centralità dei dominance patterns come forma delle società animali: sistemi

sociali gerarchici, basati sulla forza (del dominante) e sulla paura (dei dominati)374 : le

realtà sociali animali riescono a funzionare proprio perché sono favorite le imitazioni

innocue e pedagogiche, ma sono vietate quelle potenzialmente conflittuali, in quanto il

maschio (od il gruppo) di rango più elevato ne detiene la proprietà; nel caso dei bonobo e

degli scimpanzé – sia in natura che in cattività – sono documentate vere e proprie 'regole di

precedenza e supremazia' , soprattutto nel caso dell'accoppiamento o durante i pasti: i

maschi di rango elevato, raggiungendo i compagni intenti a mangiare, esibiscono la loro

forza per poi appropriarsi dell'alimento che più li aggrada, anche sottraendolo a chi lo

detiene; lo stesso vale per l'accoppiamento: è il rango che determina la precedenza,

eliminando il più possibile la lotta. Tutte queste 'regole sociali' contribuiscono a dissuadere

il conflitto; questo non vuol dire afferma l'inesistenza della dimensione aggressiva: è su di

essa che si basa la gerarchia, ed è proprio quando lo status quo viene minacciato da

atteggiamenti che invadono le 'proprietà' del maschio di rango elevato che le tensioni e i

conflitti aumentano di livello; l'osservazione dei primati ci permette una comprensione

complessiva delle diverse possibilità di 'ritorno alla pace' (ordine) in seguito ad uno

scontro; quando – ad esempio – un giovane eccede il suo rango, può essere rimesso al suo

posto da una semplice carica di esibizione dell'esemplare alfa, la cui ferocia (dimostrativa)

genera una paura (e una conseguente rinuncia dei propri desideri) da parte

dell'insubordinato; se motivato, però, il giovane risponde alla minaccia aggressiva del

maschio dominante, inaugurando un periodo di tensioni e di manifestazioni di potenza

rituali: è chiaro che qui abbiamo di fronte delle dinamiche 'mimetiche' e conflittuali molto

simili a quelle osservate negli uomini. I maschi che si sfidano non perdono occasione per

minacciare il rivale con cariche dimostrative sempre più pericolose e spettacolari; la

tensione aumenta notevolmente, ed ai primi 'rituali' di minaccia reciproca, segue lo scontro

vero e proprio: raramente, però, questo si conclude con la morte dei duellanti e ciò grazie ai

complessi segnali d'inibizione e di sottomissione, che determinano la fine repentina dello

374Nel caso degli scimpanzé e dei bonobo si è spesso parlato di una vera e propria vita politica 'machiavellica': bisogna ancora una volta notare che, proprio come noi, anche tali primati hanno subito una notevole evoluzione, e possiamo identificare in questi 'giochi di corte' dei primati un ulteriore punto in comune con tali affascinanti esseri: ma stando così le cose, bisogna tentare di spiegare l'evoluzione di questi atteggiamenti (proprio come il caso dell'empatia e dell'altruismo).

114

scontro e il ritorno ad una gerarchia precisa. Tutte queste osservazioni etologiche,

permettono una più limpida riflessione intorno all'immagine che Girard da dell'uomo:

affermare – senza molte prove – che l'uomo si configura come un assassino incapace di

fermare la sua violenza, potrebbe far sorgere un dubbio sulla credibilità di tale ipotesi; la

particolarità dell'uomo è l'ipermimetismo (indotto da una maggior massa cerebrale) fattore

che induce ad una maggiore violenza all'interno dei gruppi pre-umani, nei quali l'intensità

del desiderio fa crollare la paura derivante dalla dimostrazione di forza: l'azione violenta

non fa altro che determinare una risposta altrettanto violenta; ecco il puro elemento

girardiano, il quale garantisce la coerenza del binomio crisi sociale–capro espiatorio:

quando il mimetismo è spasmodico, la violenza trova un libero sfogo difficilmente

arrestabile! L'ipermimetismo, in primis, non fa altro che innescare delle dinamiche

maggiormente violente, proprio a causa della continua imitazione di azioni sanguinarie.

Inoltre, comprendiamo che nel momento in cui – in un gruppo di scimpanzé – l'imitazione

superasse una soglia normale, i segnali inibitori potrebbero non avere effetto, conducendo

a veri e propri omicidi (alcuni fonti registrano casi del genere); analogamente, nel caso dei

gruppi pre-umani, un'esponenziale brama desiderativa conduce a scontri sempre più

cruenti, che degenerano in omicidio. Questa fine cruenta è acuita – nel caso degli uomini –

da un'insieme di fattori confluenti: in primo luogo, come sappiamo l'ipermimetismo, che

genera un'imitazione spietata degli atteggiamenti aggressivi; la violenza non fa altro che

chiamare se stessa, producendo un continum di azioni violente, inducendo anche a forti

scariche di adrenalina nel sangue, conducendo sia al crollo dei livelli inibitori, sia il venir

meno della paura; infine l'avvento delle armi artificiali – nei confronti dei quali mancano

segnali d'inibizione e capacità di controllo – rende estremamente più facile un assassinio.

Sia Girard che Lorenz giungono alla medesima conclusione: l'uomo dovette dotarsi di

nuovi sistemi gerarchici, nuove forme per controllare questa violenza: in una parola, di un

armatura culturale. L'ipotesi del capro espiatorio quindi, appare ancor quasi teleologica,

dotata cioè di un'aria di necessità, ma può mantenere ancora un'aurea fantasiosa: una

comunità che lincia un singolo, è davvero possibile? Può davvero tutto questo generare

della 'pace'? Sempre l'etologia, garantisce credibilità a tutto ciò: Lorenz dimostra, senza

ombra di dubbio, l'esistenza di un legame indissolubile frutto di un'aggressione comune a

danni di terzi; nel momento in cui delle forti tensioni sorgono all'interno di una coppia – ad

esempio di Oche – è affascinante osservare la ri-direzione comune dell'attacco ai danni di

una povera sfortunata che vaga nelle vicinanze: molti studiosi di Girard, parlano – in questi

casi – di forme istintuali di capro espiatorio! La ri-direzione delle tendenze aggressive che,

115

nate in un gruppo, vengono scaricate all'esterno, è definita da Lorenz la via che

l'evoluzione ha scovato per convertire le scariche violente all'esterno dei membri più vicini,

garantendo una buona pace sociale ed una scarica 'buona' di aggressività; siamo di fronte,

dunque, ad un modulo comportamentale comune negli esseri viventi, basato su di una sorta

di istinto 'vittimario', che viene ridisegnato dagli umani per delle nuove esigenze. Questo

'rimedio sovrano' viene osservato da Lorenz in moltissimi uccelli e in diversi pesci;

secondo Girard, una notevole capacità cerebrale permette una dimensione maggiormente

comunitaria, per cui la partecipazione al linciaggio assume una dimensione collettiva:

l'ipermimetismo umano fornisce quindi l'aspetto comunitario; molti esempi del genere si

trovano inoltre nei resoconti dei primatologi, soprattutto nel caso dei bonobo: quando una

madre percepisce che il figlio è in pericolo, a causa di un'eccessiva vicinanza di qualche

giovanotto curioso, è sconvolgente osservare la metamorfosi di una comunità di questi

pacifici esseri, riuniti ed urlanti alla caccia di un solo individuo; tutto questo contribuisce a

dare spessore alle intuizioni geniali enunciate in Delle cose nascoste. Mimetismo, proto-

forme di capri espiatori istintivi, grandi azioni violente collettive: l'etologia comparata

sembra dare maggior credito alle potenti intuizioni di Girard; con questo non penso sia

legittimo dipingere la natura come 'rossa di zanne e artigli' come diceva il poeta Alfred

Tennyson: la volontà di dissuadere i conflitti è comune a noi ed ai primati, ma è nei rari

momenti di violenza e crisi che si generano, i mutamenti e, nel caso dell'uomo, la crisi

diviene opportunità, apertura per un nuovo mondo culturale.

Il secondo aspetto valutato dal mio lavoro, è quello evolutivo; può detta ipotesi

ritenersi coerente con l'approccio darwiniano? In primo luogo, molti studiosi hanno messo

a confronto entrambe le teorie, osservando diverse somiglianze metodologiche e formali: la

teoria mimetica viene spesso definita una teoria darwiniana della cultura, ed è seguendo

tale atteggiamento che Girard definisce il linguaggio, il rito, il divieto e altre forme

culturali (quali l'addomesticamento animale, l'agricoltura, la monarchia ecc) come frutti

generati da un unico grande meccanismo, quello vittimario. Osservando però l'ipotesi

dell'ominizzazione, notiamo che il linciaggio unanime, oltre che fonte di tutte le forme

culturali, genera una nuova spinta evolutiva, presentandosi come il fattore che permise la

sopravvivenza del genere umano: se così non fosse, le pressioni determinate dalle violenze

interne avrebbero dilaniato i diversi gruppi dei primati ipermimetici; nel momento in cui

comprendiamo che l'attuazione e la ritualizzazione del linciaggio – sotto forma di sacrificio

rituale – garantirono ai gruppi umani il controllo delle eccessive dosi di violenza che

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dominano l'uomo, comprendiamo perché la 'Cultura' (ancora un tutt'uno con la religione)

viene definita come uno strumento di aumento della fitness; in tali termini il meccanismo

non può essere definito teleologico, ma puramente meccanico, e cioè un modulo

comportamentale la cui attuazione-ripetizione casuale ha determinato il successo di alcuni

gruppi, mentre altri venivano scomparendo a causa dell'eccessiva violenza; lo studio

'archeologico-culturale' ci permette d'identificare un atteggiamento rituale come un modulo

comportamentale particolarmente efficace; ecco perchè Girard si affianca al dibattito

moderno intorno all'evoluzionismo, parlando di selezione di gruppo: solo quei gruppi in

grado di ritualizzare il linciaggio sono riusciti a sopravvivere, perchè si sono dotati di

un'armatura culturale, che garantisse il buon uso della violenza.

Pensando all'ipotesi girardiana in termini evoluzionistici, l'aspetto più interessante

emerge dal confronto con la teoria dei sistemi complessi; sotto la guida di Edgar Morin,

possiamo pensare alle società umane in termini di un 'sistema complesso', cioè un sistema

costituito da diversi elementi che interagiscono tra loro, in un dato ambiente esterno; da tali

interazioni, si genera una determinata dose di 'rumore', di entropia, cioè di disordine, sotto

la cui pressione i sistemi artificiali mostrano il loro limite: la grandezza dei sistemi viventi,

invece, è di riuscire a generare una nuova organizzazione, un nuovo ordine muovendo da

un iniziale disordine, potenzialmente fatale! Non è detto che questo avvenga: i sistemi

incapaci di gestire dosi sempre maggiori di disordine collassano; un sistema vivente, per

poter sopravvivere all'inevitabile disordine che egli stesso produce, deve riuscire a

riorganizzare gli elementi che lo compongono, in modo da generare un nuovo ordine in

grado di gestire dosi sempre massicce di rumore, di errore: in questa direzione,

comprendiamo come la nuova organizzazione presenti una maggiore complessità, generata

da tale crisi. Secondo questa teoria, due sono i principi che si possono applicare ai sistemi

viventi complessi (definiti sistemi auto-organizzatori): si parla di order from noise e

complexity from noise. Questa ricostruzione sembra calzare a pennello all'ipotesi teorizzata

da Girard: i gruppo sociali umani, a causa dell'ipermimetismo, generano crisi mimetiche

potenzialmente fatali per la sopravvivenza; come sappiamo, ogni crisi generata dalla

mimesi è una crisi che fa crollare le differenze e le gerarchie (i principi d'ordine). Da tale

momenti di crisi–disordine non c'è altra strada che il crollo del gruppo, a meno che gli

elementi interni al sistema riescano, autonomamente, a generare una soluzione che

permetta il superamento della crisi, costituendo un nuovo ordine stabile: come dice Girard,

solo determinati gruppi riescono ad attuare il linciaggio collettivo, cioè riescono a gestire le

scariche violente mimetiche, polarizzandole su di un unico obiettivo il cui assassinio

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determina un nuovo ordine (culturale), che è a tutti gli effetti nato da un disordine. Non è

tutto: il nuovo ordine culturale, si presenta necessariamente più complesso di quello

precedente, garantendo una fonte inesauribile di complessità: è ciò che chiamiamo Cultura!

La teoria di Girard, vista in quest'ottica, riesce a spiegare il cammino dell'uomo, che,

nonostante le tante atrocità compiute nella storia, è riuscito a raggiungere delle vette

intellettuali, artistico-produttive davvero eccezionali; questo grazie alla Cultura, un

principio d'organizzazione, nato dal disordine ed in grado di garantire una complessità

apparentemente inesauribile: tutto questo, senza appellarsi (almeno in queste opere) ad

alcuna entità superiore, ma semplicemente a considerazioni contingenti e sociali.

L'interesse che quest'ipotesi può dimostrare è facilmente comprensibile: non resta altro che

completare sempre più il quadro ancestrale, nel tentativo di trovare conferme o smentite.

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Risorse in rete

Paper redatti dai diversi simposi dedicati al rapporto fra Girard e Darwin: sito di riferimento: http://www.thinkingthehuman.org/

http://www.imitatio.org/uploads/tx_rtgfiles/Rene_Girard_Fudamantal_Anthropo.pdf

http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Naturalizing%20Mimetic%20Theory.pdf

http://www.imitatio.org/uploads/tx_rtgfiles/Pre-symposium_Briefing.pdf

http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Thinking%20the%20human.pdf

http://www.imitatio.org/thinkingthehuman/Papers_files/Atlandraft.pdf

http://www. science.societe.free.fr/documents/pdf/STS5_Dupuy_et_Dumouchel.pdf

Altre:

http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/li-futuro-dei-neuroni-specchio

http://cultura-nuova.blogspot.it/2012/09/evoluzione-intervista-ian-tattersall.html

http://www.lescienze.it/news/2013/02/14/news/tradimento_e_nella_societ_dei_babbuini-1506763/

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http://www.lescienze.it/news/2008/10/13/news/il_bonobo_a_caccia_di_primati-578065/

http://www.australiangirardseminar.org/?p=149

http://www.vitellaro.it/silvio/aggiornamento/Compless_CIDI/Compless_gen.doc

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