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OMOLOGIA SINGOLARE E COOMOLOGIA DI DE HAM · capitolo 3. coomologia di de rham 43 3.1. forme...

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OMOLOGIA SINGOLARE E C OOMOLOGIA DI DE R HAM Paolo Piccinni Appunti del corso di Topologia Algebrica, a. a. 2009-10 raccolti da Francesca Castelli e Alessandro Milanesi Sapienza - Università di Roma
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OMOLOGIA SINGOLARE E COOMOLOGIA DI DE RHAM

Paolo Piccinni

Appunti del corso di Topologia Algebrica, a. a. 2009-10

raccolti da Francesca Castelli e Alessandro Milanesi

Sapienza - Università di Roma

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Indice

Capitolo 1. OMOLOGIA SINGOLARE 5

1.1. INTRODUZIONE: CALCOLO COMBINATORIO DELL’OMOLOGIA DEL

TETRAEDRO. 5

1.2. NOTAZIONI E PRIME DEFINIZIONI 8

1.3. FUNTORIALITÀ DELL’OMOLOGIA SINGOLARE 13

1.4. INVARIANZA OMOTOPICA 16

Capitolo 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 19

2.1. ALGEBRA OMOLOGICA 19

2.2. SUDDIVISIONE BARICENTRICA E OMOLOGIA SINGOLARE PICCOLA 23

2.3. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 29

2.4. OMOLOGIA DELLE SUPERFICI COMPATTE 34

2.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI 39

Capitolo 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM 43

3.1. FORME DIFFERENZIALI SU APERTI DI Rn 43

3.2. APPLICAZIONI DIFFERENZIABILI E VARIETÀ DIFFERENZIABILI 48

3.3. PARTIZIONI DELL’UNITÀ E SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 53

3.4. LEMMA DI POINCARÉ E INVARIANZA OMOTOPICA 55

Capitolo 4. INTEGRAZIONE E TEOREMI DI STOKES 61

4.1. TEOREMA DI STOKES PER CATENE 61

4.2. VARIETÀ CON BORDO ED INTEGRAZIONE DI FORME A SUPPORTO

COMPATTO 65

Capitolo 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ 71

5.1. LA TECNICA DI MAYER-VIETORIS 71

5.2. LIMITI DIRETTI E INVERSI 74

5.3. DUALITÀ DI DE RHAM 76

5.4. DUALITÀ DI POINCARÈ E COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO 79

5.5. CARATTERISTICA DI EULERO E SEGNATURA 85

Bibliografia 91

3

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CAPITOLO 1

OMOLOGIA SINGOLARE

1.1. INTRODUZIONE: CALCOLO COMBINATORIO DELL’OMOLOGIA DEL TETRAEDRO.

Iniziamo con un calcolo, relativo all’omologia del tetraedro. Si tratta di omo-

logia simpliciale, dedotta dalla struttura combinatoria del poliedro. Lo studente

può sostituire, nelle considerazioni che seguono, il tetraedro oggetto dei calcoli

con qualunque altro poliedro che sia costruito sulla sfera S2. E’ particolarmente

semplice il caso del cubo (sei facce f1, ..., f6; dodici spigoli s1, ..., s12, otto vertici

v1, ..., v8).

Nel caso del tetraedro abbiamo solo quattro facce f1, f2, f3, f4, sei spigoli (o

lati) s1, s2, s3, s4, s5, s6, e quattro vertici v1, v2, v3, v4. Un’orientazione della sfera

S2 dà luogo a orientazioni coerenti della quattro facce. Si noti che ogni faccia

induce un’orientazione su ognuno dei suoi tre lati, e che due facce, coerentemente

orientate e (in questo caso sempre) adiacenti, danno luogo sul loro lato comune

a orientazioni opposte. Tutto ciò si esprime dicendo che il tetraedro è un poliedroorientabile. Inoltre un’orientazione di un lato induce un segno + o − su ognuno dei

suoi vertici, e lati coerentemente orientati e adiacenti inducono sul vertice comune

segni opposti.

Chiamiamo 2-catena del tetraedro ogni combinazione lineare a coefficienti in-

teri delle facce f1, f2, f3, f4; chiamiamo invece 1-catena ogni combinazione lineare

a coefficienti interi degli spigoli s1, s2, s3, s4, s5, s6, e infine chiamiamo 0-catenaogni combinazione lineare a coefficienti interi dei vertici v1, v2, v3, v4. Tali catene

formano dunque i seguenti gruppi abeliani:

C2 = 4∑i=1

nifi | ni ∈ Z = 2− catene,

C1 = 6∑i=1

misi | mi ∈ Z = 1− catene,

C0 = 4∑i=1

pivi | pi ∈ Z = 0− catene.

Chiamiamo bordo di una faccia orientata fi la somma degli spigoli che la de-

limitano, con le orientazioni indotte da quella di fi. Similmente il bordo di unospigolo orientato è p1 − p2, dove p1 e p2 sono i vertici (con segno, ovvero orientati)

che sono gli estremi dello spigolo orientato. Infine il bordo di un vertice è sempre

nullo. Indichiamo con il simbolo ∂ l’operatore di bordo.

5

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6 1. OMOLOGIA SINGOLARE

Quindi, riferendosi a una figura del tetraedro, risultano le relazioni

∂f1 = s1 + s2 + s3, ∂f2 = s4 + s5 − s2,

∂f3 = s6 − s3 − s5, ∂f4 = −s1 − s4 − s6,

∂s1 = v2 − v1, ∂s2 = v3 − v2, ∂s3 = v1 − v3,

∂s4 = v4 − v1, ∂s5 = v2 − v4, ∂s6 = v3 − v4.

Infine, ∂vi = 0 per i = 1, 2, 3, 4.

Per stabilire quali, tra le 2-catene, hanno bordo nullo, consideriamo un arbitra-

rio elemento c2 ∈ C2, ovvero:

c2 = n1f1 + n2f2 + n3f3 + n4f4,

e imponiamo la condizione ∂c2 = 0. Ciò implica:

n1∂f1 + n2∂f2 + n3∂f3 + n4∂f4 = 0,

e quindi (n1 − n4)s1 + (n1 − n2)s2 + (n1 − n3)s3 + (n2 − n4)s4 + (n2 − n3)s5 +(n3 − n4)s6 = 0. Ne segue n1 = n2 = n3 = n4 = α. Pertanto la condizione ∂c2 = 0implica:

c2 = α(f1 + f2 + f3 + f4).

Dunque una 2-catena ha bordo nullo soltanto se coincide con un multiplo in-

tero di tutto il tetraedro orientato, inteso come somma delle sue quattro facce

orientate. Una 2-catena a bordo nullo è detta 2-ciclo. Con calcoli simili pos-

siamo anche ottenere le condizioni perché una 1-catena c1 sia un 1-ciclo, ovve-

ro risulti ∂c1 = 0. Infatti, se c1 =∑6i=1misi, ∂c1 = 0, abbiamo subito che

m1(v1−v4)+m2(v3−v1)+m3(v4−v3)+m4(v2−v1)+m5(v3−v2)+m6(v4−v2) =0. Ordinando l’espressione in modo da evidenziare i coefficienti dei sei vertici

v1, ..., v6, ne segue:

m1 = m2 + m4 = m3 + m6, m5 = m4 − m6 = m3 − m2.

Il precedente è un sistema lineare omogeneo di quattro equazioni in sei incognite, e

come subito si vede, il rango della matrice dei coefficienti è 3. Il bordo di un vertice

invece è sempre nullo per cui ogni 0-catena è anche uno 0-ciclo.

Osserviamo ora che, utilizzando gli omomorfismi di bordo, si costruisce in mo-

do naturale la seguente successione di gruppi abeliani, detto complesso delle catenesimpliciali del tetraedro:

0 ∂→ C2∂→ C1

∂→ C0∂→ 0.

Dal numero delle facce, lati e vertici del tetraedro, abbiamo subito gli isomorfismi:

C2∼= Z4, C1

∼= Z6, C0∼= Z4,

e osserviamo che dai calcoli precedenti abbiamo che

ker(∂ : C2 → C1) ∼= Z ⊂ C2 ' Z4,

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1.1. INTRODUZIONE: CALCOLO COMBINATORIO DELL’OMOLOGIA DEL TETRAEDRO. 7

e

ker(∂ : C1 → C0) ∼= Z3 ⊂ C1.

E’ anche chiaro che

ker(∂ : C0 → 0) = C0∼= Z4.

Calcoliamo ora i sottogruppi immagine tramite ∂ dei gruppi di catene. Riguardan-

do le espressioni dei bordi delle singole facce, vediamo subito che una 1-catena6∑i=1

misi è bordo di una 2-catena c2 = n1f1 + n2f2 + n3f3 + n4f4 se e solo se

risultano verificate le relazioni:

m1 = n1 − n4, m2 = n1 − n2, m3 = n1 − n3,

m4 = n2 − n4, m5 = n2 − n3, m6 = n3 − n4.

Il rango della matrice dei coefficienti (per gli ni) è tre, che è quindi anche il rango

dell’immagine: Im(∂ : C2 → C1) ∼= Z3. Di fatto, tale sottogruppo, isomorfo a

Z3, coincide con il nucleo di ∂ : C1 → C0: infatti anche quest’ultimo è isomorfo

a Z3, ed include il precedente! Quest’ultima osservazione è conseguenza del fatto

fondamentale che SEMPRE la composizione ∂ ∂ di due successivi omomorfismi di

bordo è l’operatore nullo. Questo si vede sul tetraedro sulle singole facce f1, ..., f4:

la 0-catena che è bordo del bordo di ogni singlola faccia fi è sempre la 0-catena

nulla.

Infine, una 0-catena4∑i=1

piv1 è bordo di una 1-catena se, e soltanto se:

p1 = m1 − m2 − m4,

p2 = m4 − m5 − m6,

p3 = m2 − m3 + m5,

p4 = m3 − m1 + m6.

Anche in questo caso la matrice dei coefficienti ha rango tre, e dunque Im(∂ : C1 →C0) ∼= Z3. Definiamo quindi i seguenti sottogruppi dei gruppi delle catene, e

ricordiamo nuovamente che il bordo di un bordo è sempre nullo:

Bk := Im(∂ : Ck+1 → Ck) j Zk := ker(∂ : Ck → Ck−1),

e i sottogruppi Bk e Zk di Ck si dicono rispettivamente gruppo dei k-bordi e gruppodei k-cicli simpliciali del tetraedro. Nel caso del tetraedro abbiamo gli isomorfismi

Z2∼= Z, B2

∼= 0,

Z1∼= Z3, B1

∼= Z3,

Z0∼= Z4, B0

∼= Z3.

Definiamo infine i seguenti gruppi abeliani, detti gruppi di omologia simpliciale deltetraedro:

Hk =ZkBk

=ker(∂ : Ck → Ck−1)Im(∂ : Ck+1 → Ck)

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8 1. OMOLOGIA SINGOLARE

Da quanto sopra risulta:

H2∼= Z, H1

∼= 0, H0∼= Z.

Come accennato sopra, calcoli analoghi possono essere svolti nel caso del cubo

o di altro poliedro sferico, e conducono alla stessa struttura astratta dei gruppi

di omologia. E’ ancora più facile effettuare il calcolo dell’omologia per il ”biedro”

(poliedro topologico costruito sulla superficie sferica S2 e formata da sole due facce,

due spigoli, e due vertici). Il caso più semplice è tuttavia quello del ”monoedro”

(poliedro sferico con solo una faccia, nessuno spigolo e un vertice: realizza S2

come compattificazione con un punto di R2). Per ognuna di tale scelte; cambia

certamente la struttura dei gruppi delle k-catene, dei k-cicli e deii k-bordi. tuttavia;

la struttura sopra ottenuta per i gruppi di omologia simpliciale del tetraedro rimaneinvariata per ogni poligono sferico, ovvero costruito sullo spazio topologico S2.

Ciò suggerisce che la costruzione dell’omologia possa fornire invarianti topolo-

gici. L’approccio all’omologia che viene seguito dal prossimo paragrafo (omologiasingolare), fornisce strutture algebriche che sono a priori invarianti topologici degli

spazi cui sono associate.

1.2. NOTAZIONI E PRIME DEFINIZIONI

In

Rq = R× R× ...× R (q volte), q > 0

consideriamo la topologia euclidea, e in esso il sottospazio costituito dal q-cubostandard:

Iq = I × I × ...× I (q volte),

essendo I = [0, 1]. Per q = 0 poniamo I0 = 0; per q = 1, 2, 3, Iq è rispettivamente

un segmento, un quadrato, un cubo. Sia X uno spazio topologico qualsiasi.

DEFINIZIONE 1. Ogni applicazione continua T : Iq −→ X si dice un q-cubosingolare su X. Le j-esime facce di T (j = 1, ..., q) sono i (q − 1)-cubi singolari

AjT, BjT : Iq−1 −→ X definiti, utilizzando le coordinate di Rq−1 e di Rq, dalle

formule

(AjT )(x1, ..., xq−1) = T (x1, ..., xj−1, 0, xj , ..., xq−1),

(BjT )(x1, ..., xn−1) = T (x1, ..., xj−1, 1, xj , ..., xn−1).

Le facce del tipo AjT si dicono facce inferiori, mentre le BjT si dicono facce supe-riori. L’immagine tramite un q-cubo di ogni vertice di Iq si dice vertice del q-cubo

singolare.

Se T è un omeomorfismo sull’immagine, allora T ha esattamente 2q facce: q

inferiori (A1, ..., Aq) e q superiori (B1, ..., Bq). Il numero dei vertici di T è allora

evidentemente 2q.

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1.2. NOTAZIONI E PRIME DEFINIZIONI 9

PROPOSIZIONE 2. Per ogni q-cubo singolare T e se i < j valgono le seguentiidentità di faccia

AiAjT = Aj−1AiT, BiBjT = Bj−1BiT,

AiBjT = Bj−1AiT, BiAjT = Aj−1BiT.

DIMOSTRAZIONE. E’ sufficiente applicare la precedente definizione analitica

delle facce inferiori e superiori. Per esempio, la prima identità segue dal fatto

che, se i < j, risulta:

AiAjT (x1, ..., xq−2) = AiT (x1, ..., xi−1, 0, xi, .., xq−2) =

= T (x1, ..., xi−1, 0, xi, ..., xj−2, 0, xj−1, ..., xq−2) =

= AiT (x1, ..., xj−2, 0, xj−1, ..., xq−2)) = Aj−1AiT (x1, ..., xq−2).

Denotiamo con Qq(X) il gruppo abeliano libero costituito dalle combinazioni

lineari formali, finite e a coefficienti interi di q-cubi singolari, ossia

Qq(X) :=

∑finita

nαTα : nα ∈ Z, Tα è un q-cubo singolare

.

DEFINIZIONE 3. Diremo che T : Iq −→ X è un q-cubo singolare degenere, o

semplicemente degenere, se l’applicazione T non dipende da una delle coordinate

di Rq.

Denotiamo con Dq(X) il gruppo abeliano libero costituito dalle combinazioni

lineari formali, finite e a coefficienti interi di q-cubi singolari degeneri, ossia

Dq(X) :=

∑finita

nαTα : nα ∈ Z, Tα è un q-cubo singolare degenere

.

Dal momento che Dq(X) ⊂ Qq(X), è ben definito il gruppo quoziente

Cq(X) = Qq(X)/Dq(X)

che chiameremo gruppo delle q-catene singolari di X.

DEFINIZIONE 4. Per ogni q-cubo singolare T : Iq −→ X, il bordo ∂qT di T è

l’elemento di Qq−1(X) definito come

∂qT =q∑j=1

(−1)j [AjT −BjT ] .

Associando ad ogni T ∈ Qq(X) il suo bordo ∂qT ∈ Qq−1(X) si definisce la

seguente applicazione ∂q : Qq(X) −→ Qq−1(X), estensione lineare del bordo:

∂q

(∑nαTα

)=∑

nα∂q (Tα) .

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10 1. OMOLOGIA SINGOLARE

Siccome ∂q(Dq(X)) ⊂ Dq−1(X), è ben definita l’applicazione di bordo

∂q : Cq(X) −→ Cq−1(X)

sulle classi laterali di Qq(X) mod Dq(X).

DEFINIZIONE 5. Il sottogruppo Zq(X) := ker ∂q ⊂ Cq(X) si dice gruppo degliq-cicli singolari, mentre il sottogruppo Bq(X) = im∂q+1 ⊂ Cq(X) si dice gruppodegli q-bordi singolari.

TEOREMA 6. ∂2 = 0, ossia ∂q ∂q+1 = 0.

DIMOSTRAZIONE. Per linearità, è sufficiente dimostrare che ∂q(∂q+1(T )) = 0per ogni T cubo singolare. Abbiamo che

∂q(∂q+1(T )) = ∂q

q+1∑j=1

(−1)j [AjT −BjT ]

=q+1∑j=1

(−1)j [∂q (AjT )− ∂q (BjT )] =

=q+1∑j=1

(−1)j[

q∑i=1

(−1)i [AiAjT −BiAjT ]−q∑i=1

(−1)i [AiBjT −BiBjT ]

]=

=q+1∑j=1

(−1)jq∑i=1

(−1)i [AiAjT −BiAjT +BiBjT −AiBjT ] =

=q+1∑j=1

q∑i=1

(−1)j+i [AiAjT −BiAjT +BiBjT −AiBjT ] =

=∑i≥j

(−1)i+j [AiAjT −BiAjT +BiBjT −AiBjT ] +

+∑i<j

(−1)i+j [AiAjT −BiAjT +BiBjT −AiBjT ] .

Dalle identità di faccia discende che

∂q(∂q+1(T )) =∑i≥j

(−1)i+j [AiAjT −BiAjT +BiBjT −AiBjT ] +

+∑i<j

(−1)i+j [Aj−1AiT −Bj−1AiT +Bj−1BiT −Aj−1BiT ]

e dunque, ponendo k = j − 1, si ottiene

∂q(∂q+1(T )) =∑i≥j

(−1)i+j [AiAjT −BiAjT +BiBjT −AiBjT ] +

+∑i≤k

(−1)i+k+1 [AkAiT −BkAiT +BkBiT −AkBiT ] .

Per ottenere la tesi basta allora ribattezzare gli indici della prima sommatoria

ponendo j = i e k = i.

Da quest’ultimo Teorema discende immediatamente il seguente

COROLLARIO 7. Per ogni q ∈ N abbiamo che Bq(X) = im∂q+1 ⊂ ker ∂q =Zq(X).

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1.2. NOTAZIONI E PRIME DEFINIZIONI 11

DEFINIZIONE 8. Il gruppo quoziente Hq(X) := Zq(X)/Bq(X) si dice q-esimogruppo di omologia singolare di X.

Abbiamo quindi associato ad ogni spazio topologico X un gruppo abeliano

Hq(X) per ogni q ≥ 0. L’applicazione di bordo permette di costruire il complessodelle catene singolari di X, ossia la successione di omomorfismi

−→ Cq(X)∂q−→ Cq−1(X)

∂q−1−→ Cq−2(X) −→ ...∂2−→ C1(X) ∂1−→ C0(X) ∂0−→ 0,

tale che l’immagine di ogni omomorfismo è contenuta nel nucleo del successi-

vo. Cerchiamo ora di capire come calcolare Hq(X). Cominciamo con il caso più

semplice.

TEOREMA 9. Se X = x0 è un punto, allora

Hq(X) ∼=

0, q ≥ 1Z, q = 0

.

DIMOSTRAZIONE. Se q ≥ 1 si ha Qq(X) = Dq(X) e dunque Cq(X) = 0.

Pertanto il complesso delle catene singolari è

−→ Cq(X) = 0∂q−→ Cq−1(X) = 0 −→ ...

∂2−→ C1(X) = 0 ∂1−→ C0(X) ∂0−→ 0.

Ma allora non può che essere Hq(X) = Zq(X)/Bq(X) = 0. Se q = 0 abbiamo

che I0 = 0 e quindi l’unico T : I0 −→ X genera il gruppo abeliano Q0(X) =nT : n ∈ Z ∼= Z, inoltre D0(X) = 0. Pertanto C0(X) ∼= Z e B0(X) = im∂1 = 0,

dunque H0(X) ∼= Z.

Per il calcolo dell’ q-esimo gruppo di omologia singolare è utile conoscere le

componenti connesse per archi di X. Ricordiamo che uno spazio topologico X si

dice connesso per archi se per ogni coppia di punti x, y ∈ X esiste un’applicazione

continua γ : I −→ X tale che γ(0) = x e γ(1) = y, mentre una componente connessaper archi di uno spazio topologico X è un elemento massimale nella famiglia dei

sottospazi connessi per archi di X ordinata per inclusione. Ne segue che ogni

spazio topologico è unione delle sue componenti connesse per archi. Vale allora la

seguente:

PROPOSIZIONE 10. Supponiamo che X =⋃τ∈ΓXτ , dove le Xτ sono le com-

ponenti connesse per archi di X. Allora

Hq(X) = ⊕τ∈ΓHq(Xτ )

per ogni q ≥ 0.

DIMOSTRAZIONE. Se q ≥ 0 allora Qq(X) = ⊕τ∈ΓQq(Xτ ) dato che l’immagi-

ne continua di uno spazio connesso per archi è ancora connessa per archi, quin-

di per lo stesso motivo deve essere Dq(X) = ⊕τ∈ΓDq(Xτ ). Pertanto Cq(X) =⊕τ∈ΓCq(Xτ ). Si vede poi immediatamente che l’applicazione ∂q manda Cq(Xτ ) in

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12 1. OMOLOGIA SINGOLARE

Cq−1(Xτ ) quindi Zq(X) = ⊕τ∈ΓZq(Xτ ) e Bq(X) = ⊕τ∈ΓBq(Xτ ) e allora Hq(X) =⊕τ∈ΓHq(Xτ ).

Da quest’ultima Proposizione e dal Teorema precedentemente dimostrato di-

scende il seguente

COROLLARIO 11. L’omologia singolare della ”0-sfera” S0 := x ∈ R : |x| = 1 =−1, 1 è data da:

Hq(S0) ∼=

0, q ≥ 1,Z⊕ Z, q = 0.

Osserviamo che i generatori di H0(S0) sono T1 : I0 −→ 1 e T−1 : I0 −→−1.

In relazione ad ogni singola componente connessa per archi di uno spazio

topologico, abbiamo la seguente:

PROPOSIZIONE 12. Se X è uno spazio topologico connesso per archi alloraH0(X) ∼= Z.

DIMOSTRAZIONE. Per qualsiasi spazio topologico X abbiamo che

H0(X) = Z0(X)/B0(X),

dove Z0(X) = C0(X) (poiché ∂0 : C0(X) −→ 0); quindi H0(X) = C0(X)/B0(X).Siccome ogni c0 ∈ C0(X) è combinazione lineare a coefficienti interi di 0-catene

singolari T : I0 −→ X possiamo considerare allora l’applicazione φ : C0(X) −→ Zdefinita ponendo

φ

(∑nαTα

)=∑

nα.

Si tratta, come si vede subito, di un omomorfismo di gruppi. Se dimostriamo che

kerφ = B0(X) = im∂1 la dimostrazione è conclusa grazie al Primo Teorema di

Isomorfismo per i gruppi.

Cominciamo col provare che B0(X) ⊆ kerφ. Se c0 ∈ B0(X) allora ∂1(c1) = c0,

con c1 =∑nαTα ∈ C1(X) e dunque

c0 = ∂1

(∑nαTα

)=∑

nα∂1(Tα) =∑

nα (−A1Tα +B1Tα) .

Si vede allora chiaramente che la somma dei coefficienti di c0 è nulla.

Proviamo poi che kerφ ⊆ B0(X). Se c0 ∈ kerφ allora c0 =∑nαTα con∑

nα = 0. Dobbiamo dimostrare che c0 è bordo di qualche c1 ∈ C1(X). Se

T0 : I0 −→ x0 ⊂ X, risulta

c0 =∑

nαTα − T0

∑nα =

∑nα(Tα − T0).

Ogni Tα è un’applicazione della forma I0 −→ xα ⊂ X e dunque possiamo con-

siderare l’arco cα : I −→ X tra x0 e xα (che è un elemento di C1(X)) per ogni α.

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1.3. FUNTORIALITÀ DELL’OMOLOGIA SINGOLARE 13

Ma allora Tα − T0 = ∂1(cα), vale a dire

c0 =∑

nα(Tα − T0) =∑

nα∂1(cα) = ∂1

(∑nαcα

)con

∑nαcα ∈ C1(X).

Conseguenza immediata della precedente Proposizione è il seguente:

COROLLARIO 13. Per ogni spazio topologico X =⋃τ∈ΓXτ , con Xγ compo-

nente connessa per archi di X ∀ τ ∈ Γ, si ha H0(X) = ⊕τ∈ΓZ, ovvero H0(X) èsomma diretta di gruppi ciclici infiniti (ciascuno isomorfo a Z), con un addendo incorrispondenza di ogni componente connessa per archi di X..

ESEMPIO 14. Con la topologia euclidea indotta, Q è totalmente sconnes-

so. Dunque, utilizzando l’omologia del punto e il corollario precedente si ottiene

immediatamente che

H0(Q) ∼= ZZ ∼= R

Hq(Q) ∼= 0, q 6= 0.

1.3. FUNTORIALITÀ DELL’OMOLOGIA SINGOLARE

CENNI SU CATEGORIE E FUNTORI.

DEFINIZIONE 15. Una categoria C consiste di:

1) una classe Ob(C), i cui elementi si dicono oggetti della categoria;

2) per ogni coppia di oggetti X,Y , un insieme indicato con HomC(X,Y ) (o con

C(X,Y )) detto insieme dei morfismi da X a Y . Se f ∈ HomC(X,Y ) si usa anche la

notazione f : X −→ Y ;

3) per ogni X ∈ Ob(C), un morfismo speciale 1X ∈ HomC(X,X), che si dice

morfismo identico;

4) per ogni terna X,Y, Z ∈ Ob(C), una legge di composizione

: HomC(X,Y )× HomC(Y,Z) −→ HomC(X,Z),

tale che valgano i seguenti assiomi: a) la legge di composizione è associativa; b)

il morfismo 1X agisce come elemento neutro della legge di composizione per ogni

oggetto X di Ob(C).

Vediamo qualche esempio di categoria.

ESEMPI.

(1) La categoria che ha come oggetti gli insiemi e come morfismi le applica-zioni tra insiemi.

(2) La categoria che ha come oggetti gli spazi vettoriali e come morfismi le

applicazioni lineari.(3) La categoria che ha come oggetti i gruppi e come morfismi gli omomorfi-

smi di gruppi.

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14 1. OMOLOGIA SINGOLARE

(4) La categoria che ha come oggetti gli spazi topologici e come morfismi le

applicazioni continue.

Diamo anche le definizioni di funtore covariante e di funtore controvariante.

DEFINIZIONE 16. Un funtore covariante F : A → B dalla categoria A a valori

nella categoria B è una legge che associa ad ogni oggettoX ∈ A un oggetto F (X) ∈B e ad ogni morfismo f : X −→ Y , tra oggetti di A, un morfismo F (f) : F (X) −→F (Y ), tra i rispettivi oggetti di B, in modo tale che valgano le proprietà:

F (f g) = F (f) F (g), F (1X) = 1F (X).

Un funtore controvariante F : A → B è, similmente, una legge che associa ad

ogni oggetto X ∈ A un oggetto F (X) ∈ B e ad ogni morfismo f : X −→ Y , tra

oggetti di A, un morfismo F (f) : F (Y ) −→ F (X), in modo tale che valgano le

proprietà:

F (f g) = F (g) F (f), F (1X) = 1F (X).

Si può osservare che, assegnata una categoria C è sempre definita la categoriaopposta C0, avente gli stessi oggetti di C, Ob(C0) = Ob(C), mentre Hom0

C(X,Y ) =HomC(Y,X) per ogni coppia di oggetti X,Y in Ob(C0). Si vede facilmente che un

funtore controvariante F : A → B è invece covariante quando lo si considera da Aa B0 oppure da A0 a B.

DEFINIZIONE 17. Un morfismo f : X −→ Y tra oggetti di una categoria Csi dice un isomorfismo se esiste un morfismo g : Y −→ X tale che f g = 1Y e

g f = 1X . Chiameremo tale morfismo inverso di f e lo denoteremo con f−1.

PROPOSIZIONE 18. Sia f : X −→ Y è un isomorfismo tra oggetti di unacategoria C . L’ inverso di f è unico. Se poi F : C → D è un funtore covariante, alloraanche F (f) : F (X) −→ F (Y ) è un isomorfismo tra gli oggetti della categoria D.

DIMOSTRAZIONE. Segue direttamente dalle definizioni.

IL FUNTORE DI OMOLOGIA SINGOLARE. Vogliamo ora osservare come la co-

struzione dell’omologia singolare dia luogo a funtori covarianti dalla categoria Topdegli spazi topologici alla categoria Gr dei gruppi. Abbiamo già visto il ”funtore

di omologia singolare” applicato agli spazi topologici, oggetti della categoria Top.

Dobbiamo ora occuparci di associare ad ogni funzione continua f : X −→ Y tra

spazi topologici un omomorfismo di gruppi f∗ : Hq(X) −→ Hq(Y ), per ogni q ≥ 0.

Procediamo per gradi, seguendo i vari passi della costruzione dell’omologia

singolare . Se f : X −→ Y è una qualsiasi funzione continua tra gli spazi topologici

X,Y e T : Iq −→ Y un q-cubo singolare di X, la composizione f] (T ) := f Tva da Iq a Y ed è dunque un q-cubo singolare di Y . Estendendo per linearità si

può definire f] : Qq(X) −→ Qq(Y ) ponendo f] (∑nαTα) =

∑nαf](Tα). Dato che

f](Dq(X)) ⊆ Dq(Y ), si può passare ai quozienti.

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1.3. FUNTORIALITÀ DELL’OMOLOGIA SINGOLARE 15

E’ quindi ben definito, per ogni q, l’omomorfismo di gruppi abeliani:

f] : Cq(X) −→ Cq(Y ),

e osserviamo che f](AjT ) = Ajf](T ) e f](BjT ) = Bjf](T ). Pertanto f](∂nT ) =∂nf](T ) e quindi il seguente diagramma

...∂q+2−−−−→ Cq+1(X)

∂q+1−−−−→ Cq(X)∂q−−−−→ Cq−1(X)

∂q−1−−−−→ ...

f]

y f]

y f]

y...

∂q+2−−−−→ Cq+1(Y )∂q+1−−−−→ Cq(Y )

∂q−−−−→ Cq−1(Y )∂q−1−−−−→ ...

è commutativo (ossia ∂qf] = f]∂q). Ne segue subito che f] porta cicli in cicli e

bordi in bordi: f](Zq(X)) ⊆ Zq(Y ) e f](Bq(X)) ⊆ Bq(Y ). Si può dunque passare

ai quozienti Hq(X), Hq(Y ) e definire tra essi un’applicazione, che verrà denotata

con f∗. La definizione formale è:

f∗ = f∗q : Hq(X) −→ Hq(Y ), [u] 7−→ f∗u = [f]u]

dove u è un q-ciclo in Zq(X) e f]u è l’immagine di u tramite f] (ossia un q-ciclo in

Zq(Y )). La notazione con le parentesi quadre [·] è relativa alle classi di equivalenza

nei gruppi quoziente.

TEOREMA 19. (DI FUNTORIALITÀ) .a) Se idX : X −→ X è l’identità, allora (idX)∗ = idHq(X);

b) Se Xf−→ Y

g−→ Z sono applicazioni continue, allora (g f)∗ = g∗ f∗.

DIMOSTRAZIONE. La dimostrazione di a) è ovvia, mentre b) segue dalla pro-

prietà associativa della composizione

(g f)](T ) = (g f)(T ) = g f T = g](f T ) = g] f](T ).

COROLLARIO 20. Se Xf−→ Y è un omeomorfismo allora Hq(X)

f∗−→ Hq(Y ) èun isomorfismo di gruppi per ogni q ≥ 0.

DIMOSTRAZIONE. Segue dal Teorema di Funtorialità. Nel dettaglio, sia f un

omeomorfismo daX in Y con inversa f−1 : Y → X. Allora f−1f = idX e ff−1 =idY e, sfruttando il precedente teorema (f−1)∗ f∗ = idHq(X) e f∗ (f−1)∗ =idHq(Y ). Ne segue che f∗ e (f−1)∗ sono isomorfismi uno l’inverso dell’altro (per

ogni q ∈ Z) e quindi anche (f−1)∗ = (f∗)−1.

Abbiamo, in definitiva, definito un funtore covariante Hq : Top → Gr , per

ogni q ≥ 0, che associa ad ogni spazio topologico X il gruppo abeliano Hq(X) e ad

ogni funzione continua f : X −→ Y l’omomorfismo di gruppi Hq(f) = f∗ definito

poco sopra. Hq si dice funtore di omologia singolare in dimensione q.

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16 1. OMOLOGIA SINGOLARE

1.4. INVARIANZA OMOTOPICA

Cominciamo con la seguente:

DEFINIZIONE 21. Due applicazioni f, g : X −→ Y tra spazi topologici si

dicono omotope se esiste un’applicazione continua, detta omotopia, F : X×I −→ Y

tale che F (x, 0) = f(x) e F (x, 1) = g(x) per ogni x ∈ X. In tal caso scriveremo

f ≈ g

In sostanza un’omotopia tra due applicazioni continue, come nella definizione,

definisce una famiglia continua di applicazioni continue

Ftt∈I := Ft : X −→ Y : Ft(x) = F (x, t), t ∈ I .

La relazione di omotopia è di equivalenza nell’insieme delle applicazioni continue

tra i due spazi X e Y . Infatti un’applicazione continua f : X −→ Y è omotopa a se

stessa mediante l’applicazione F (x, t) = f(x) (la relazione è riflessiva). Abbiamo

poi che se f è omotopa a g mediante l’applicazione F , come nella definizione,

allora l’applicazione G(x, t) = F (x, 1 − t) è un’omotopia tra g ed f (la relazione è

simmetrica). Infine se f è omotopa a g mediante F e g è omotopa ad h mediante G

allora l’applicazione

H(x, t) =

F (x, 2t) per t ∈

[0, 1

2

]G(x, 2t− 1) per t ∈

[12 , 1]

è un’omotopia tra f ed h (la relazione è transitiva).

TEOREMA 22. (DI INVARIANZA OMOTOPICA) . Se f, g : X −→ Y sono applica-zioni omotope allora f∗ = g∗.

DIMOSTRAZIONE. Usiamo l’omotopia F : X × I −→ Y tra f e g per definire

omotopie di catene, cioè degli omomorfismi ϕq : Cq(X) −→ Cq+1(Y ), per ogni

q ≥ 0, che verificano la seguenta proprietà

∂q+1 ϕq − ϕq−1 ∂q = (−1)q+1 [f] − g]] ,

dove f], g] sono state definite in funzione di f, g nella sezione precedente. Possiamo

visualizzare la situazione con il seguente diagramma:

...∂q+2

> Cq+1(X)∂q+1

> Cq(X)∂q> Cq−1(X)

∂q−1> ...

...∂q+2

> Cq+1(Y )

f] g]∨ ∂q+1

>

ϕq

<Cq(Y )

f] g]∨ ∂q

>

ϕq−1

<Cq−1(Y )

f] g]∨ ∂q−1

> ...

Supponiamo per un attimo di aver definito gli omomorfismi ϕq con le proprietà

asserite, e sia [u] ∈ Hq(X) e u′ ∈ Zq(X) ⊆ Cq(X) un suo rappresentante. Allora

∂qu′ = 0 e dunque

∂q+1 ϕq(u′)− ϕq−1 ∂q(u′) = ∂q+1 ϕq(u′) = (−1)q+1 [f]u′ − g]u′]

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1.4. INVARIANZA OMOTOPICA 17

Pertanto f]u′ − g]u

′ è un bordo, per ogni [u′] ∈ Hq(X), ed abbiamo quindi la

conclusione del teorema: f∗ = g∗.

E’ dunque sufficiente costruire le omotopie di catene ϕq, e a tale scopo partiamo

dai cubi T : Iq −→ X. Definiamo:

(ϕqT )(x1, ..., xq, xq+1) = F (T (x1, ..., xq), xq+1)

(le xi variano in [0, 1]) e osserviamo che tale applicazione può estendersi per linea-

rità ad omomorfismo ϕq : Cq(X) −→ Cq+1(Y ). Per 1 ≤ j ≤ q risulta, in modo

naturale, Aj(ϕqT ) = ϕq−1(AjT ) e similmente Bj(ϕqT ) = ϕq−1(BjT ) mentre

Aq+1(ϕqT )(x1, ..., xq) = F (T (x1, ..., xq), 0) = f(T (x1, ..., xq)) = f]T (x1, ..., xq)

e

Bq+1(ϕqT )(x1, ..., xq) = F (T (x1, ..., xq), 1) = g(T (x1, ..., xq)) = g]T (x1, ..., xq).

Pertanto:

∂q+1(ϕqT ) =q+1∑j=1

(−1)j [Aj(ϕqT )−Bj(ϕqT )] =q∑j=1

(−1)j [Aj(ϕqT )−Bj(ϕqT )] +

+(−1)q+1 [f]T − g]T ] =q∑j=1

(−1)j [ϕq(AjT )− ϕq(BjT )] + (−1)q+1 [f]T − g]T ] =

= ϕq−1(∂qT ) + (−1)q+1 [f]T − g]T ] ,

ed il Teorema è dunque dimostrato.

DEFINIZIONE 23. Due spazi topologici X e Y si dicono omotopicamente equi-valenti se esistono due applicazioni continue f : X −→ Y e g : Y −→ X tali che

g f è omotopa all’identità X −→ X, cioè g f ≈ idX , e f g è omotopa all’identità

Y −→ Y , cioè f g ≈ idX . In tal caso f e g si dicono equivalenze omotopiche e

scriveremo X ≈ Y .

Ovviamente due spazi topologici omeomorfi sono anche omotopicamente equi-

valenti.

DEFINIZIONE 24. Uno spazio topologico X si dice contraibile se è omotopi-

camente equivalente ad un punto.

COROLLARIO 25. Se X ≈ Y allora Hq(X) ∼= Hq(Y ) per ogni q ≥ 0.

DIMOSTRAZIONE. Se X ≈ Y , dal Teorema di Funtorialità e dal Teorema di

Invarianza Omotopica segue che

g∗ f∗ = (g f)∗ = (idX)∗ = idHq(X)

f∗ g∗ = (f g)∗ = (idY )∗ = idHq(Y )

e pertanto f∗ e g∗ sono isomorfismi di gruppi, uno inverso dell’altro.

ESEMPIO 26. Rn è contraibile. Sia infatti −→x0 ∈ Rn, f(−→x ) = −→x0 per ogni−→x ∈ Rn e g : −→x0 −→ Rn tale che g(−→x0) =

−→0 . Risulta allora (f g)(−→x0) = −→x0 =

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18 1. OMOLOGIA SINGOLARE

id−→x0, mentre g f : Rn −→ Rn è omotopa a idRn mediante F : Rn × I −→ Rn,

F (−→x , t) = t−→x con t ∈ [0, 1].

COROLLARIO 27. Hq(Rn) ∼= Z se q = 0, mentre Hq(Rn) = 0 se q ≥ 0.

ESEMPIO 28. Sia Sn−1 := −→x ∈ Rn : ‖−→x ‖ = 1 la (n− 1)-sfera. Allora X :=Rn−1 −

−→0≈ Sn−1. Consideriamo infatti le seguenti applicazioni continue f :

X −→ Sn−1, f(−→x ) =−→x‖−→x ‖ e g : Sn−1 −→ X l’inclusione di Sn−1 ⊂ Rn. Risulta,

banalmente, che f g = idSn−1 mentre gf ≈ idX mediante l’omotopia F : X×I →X, F (−→x , t) = t−→x + (1− t)

−→x‖−→x ‖ .

Quest’ultimo esempio ci tornerà utile quando avremo calcolato l’omologia sin-

golare della sfera. Ricordiamo infine la seguente

DEFINIZIONE 29. Sia Y un sottospazio topologico di uno spazio topologico

X. Chiameremo retrazione di deformazione ogni applicazione continua r : X −→ Y

tale che, se i : Y −→ X è l’inclusione, allora r i = idY e i r ≈ idX . Se una tale

applicazione esiste diremo che Y è un retratto per deformazione di X.

ESERCIZIO 30. Dimostrare che i gruppi topologici O(n), U(n) e SO(n) sono

retratti per deformazione rispettivamente di GLn(R), GLn(C) e GL+n (R).

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CAPITOLO 2

LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

2.1. ALGEBRA OMOLOGICA

La costruzione del Capitolo precedente che ci ha portato a definire l’omologia

singolare suggerisce di formalizzarne gli aspetti puramenti algebrici. Essi si collo-

cano nella cosiddetta Algebra Omologica, nella quale non è necessario prendere

in considerazione spazi topologici, connessione per archi, ecc. Cominciamo con

qualche definizione.

DEFINIZIONE 31. Sia C· := (Cq, ∂q)q∈Z una famiglia di coppie dove ogni

Cq è un gruppo abeliano e ∂q un omomorfismo di gruppi tra Cq e Cq−1 ( ∂q :Cq −→ Cq−1 ), per ogni q ∈ Z. Chiameremo tale famiglia complesso di catene se

∂q ∂q+1 = 0 (o equivalentemente se im∂q+1⊆ ker ∂q) per ogni q ∈ Z. Sia D·

un’altro complesso di catene.

Un morfismo di catene ϕ· : C· −→ D· tra complessi di catene è una famiglia

ϕ· := ϕqq∈Z di omomorfismi di gruppi della forma ϕq : Cq −→ Dq tali che il

seguente diagramma

...∂q+2

> Cq+1

∂q+1> Cq

∂q> Cq−1

∂q−1> ...

...∂q+2

> Dq+1

ϕq+1∨ ∂q+1

> Dq

ϕq∨ ∂q

> Dq−1

ϕq−1∨ ∂q−1

> ...

sia commutativo. Il morfismo ϕ· si dice isomorfismo se tutti i ϕq sono isomorfismi

di gruppi.

Il gruppo quoziente Hq(C·) = ker ∂q/im∂q+1 si dice q-esimo gruppo di omologiadel complesso di catene C·.

PROPOSIZIONE 32. (FUNTORIALITÀ) . i) Ogni morfismo di catene ϕ· : C· −→D· induce omomorfismi di gruppi ϕ∗ : Hq(C·) −→ Hq(D·).

ii) Dati i morfismi di catene C·ϕ·−→ D·

ψ·−→ E·, risulta (ψ· ϕ·)∗ = ψ∗ ϕ∗.iii) Se 1· : C· −→ C· è il morfismo identico, risulta (1·)∗ = idHq(C·).

DIMOSTRAZIONE. i) Sia u ∈ ker ∂q e poniamo ϕ∗ ([u]) = [ϕq(u)]. Risulta subito

che

∂q (ϕq (u)) = ϕq−1 (∂q (u)) = ϕq−1 (0) = 0,

dalla commutatività del diagramma; inoltre se u′ = u+ ∂q+1(v) allora

ϕ∗ ([u+ ∂q+1(v)]) = ϕ∗ ([u]) + ϕ∗ ([∂q+1(v)]) = ϕ∗ ([u]) + [ϕq (∂q+1 (v))]

19

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20 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

= ϕ∗ ([u]) + [∂q+1 (ϕq+1 (v))] = ϕ∗ ([u]) .

Pertanto ogni ϕ∗ è ben definita e va da Hq(C·) in Hq(D·). La ii) non è altro che

l’associatività della composizione di omomorfismi. La iii) è immediata.

Se denotiamo con Chain la categoria che ha come oggetti i complessi di catene

e, come morfismi, i morfismi di catene, dalla Proposizione precedente segue che

possiamo definire un funtore Hq dalla categoria Chain alla categoria Gr. Tale fun-

tore manda ogni complesso di catene C· nel gruppo Hq(C·) e che associa ad ogni

morfismo ϕ· : C· −→ D· l’omomorfismo ϕ∗ : Hq(C·) −→ Hq(D·). Inoltre, sempre

dalle proprietà di Funtorialità, segue che se ϕ· è un isomorfismo di catene allora ϕ∗è un isomorfismo di gruppi.

ESEMPI.

(1) CATENE SINGOLARI E OMOLOGIA SINGOLARE.

Se X è uno spazio topologico qualsiasi, in relazione a quanto detto nel

capitolo precedente, possiamo definire un complesso di catene C·(X)ponendo

C·(X) =

(Cq(X), ∂q) q ≥ 0(0,0) q < 0

dove Cq(X) è il gruppo delle q-catene singolari, ∂q è l’omomorfismo di

bordo, 0 è l’applicazione nulla e Hq(C·(X)) = Hq(X) è il q-esimo gruppo

di omologia singolare.

(2) CATENE SINGOLARI E OMOLOGIA SINGOLARE DI UNO SPAZIO TOPOLOGICO

X CON VERTICI IN UN PUNTO x0 ∈ X.

Si costruisce seguendo gli stessi passi con cui si arriva all’omologia sin-

golare, con la differenza che i q-cubi T : Iq −→ X considerati sono solo

quelli che mandano i 2q vertici di Iq nel punto x0 fissato in X (ad esem-

pio se T : I −→ X è un tale q-cubo allora T (1) = T (0) = x0, ossia T

è una curva chiusa). Tali applicazioni si dicono q-cubi con vertici in x0

e denoteremo l’insieme che formano con Ξ. Pertanto, analogamente al

caso dell’omologia singolare, si pone

Qq(X|x0) :=

∑nαTα : nα ∈ Z, Tα ∈ Ξ

,

Dq(X|x0) :=

∑nαTα : nα ∈ Z, Tα ∈ Ξ degeneri

,

Cq(X|x0) = Qq(X|x0)/Dq(X|x0), ∂q : Cq(X|x0) −→ Cq−1(X|x0).

Possiamo allora definire il complesso di catene relativo a questa omologia

ponendo

C·(X|x0) =

(Cq(X|x0), ∂q) q ≥ 0

(0, 0) q < 0

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2.1. ALGEBRA OMOLOGICA 21

e questo si dirà complesso delle catene singolari di X con vertici nel suopunto x0. La sua omologia, detta omologia singolare con vertici in x0, si

denota con il simbolo:

Hq(X|x0) := Hq(C·(X|x0)).

(3) CATENE SINGOLARI E OMOLOGIA SINGOLARE PICCOLA DI UNO SPAZIO TO-

POLOGICO X RISPETTO AD UN RICOPRIMENTO APERTO U DI X.

Anche qui si procede come con l’Omologia Singolare prendendo però i

q-cubi piccoli di U = Uβ, ossia quei q-cubi T : Iq −→ X tali che T (Iq) ⊆Uβ , per qualche Uβ ∈ U . Si pone allora:

Qq(X;U) :=

∑nαTα : nα ∈ Z, Tα è un q-cubo piccoli

,

Dq(X;U) :=

∑nαTα : nα ∈ Z, Tα è un q-cubo piccoli e degeneri

,

e similmente alle precedenti situazioni:

Cq(X;U) = Qq(X;U)/Dq(X;U), ∂q : Cq(X;U) −→ Cq−1(X;U).

Il complesso delle catene singolari piccole di ordine U si definisce allora

come:

C·(X;U) =

(Cq(X;U), ∂q) q ≥ 0(0, 0) q < 0

,

e la sua omologia, detta omologia singolare piccola di ordine U , si denota

con il simbolo:

Hq(X;U) := Hq(C·(X;U)).

Vogliamo ora stabilire un confronto tra omologia singolare e omologia singo-

lare con vertici in un punto di uno spazio topologico. E’ definito, per costruzione,

un morfismo di inclusione τ· : C·(X|x0) −→ C·(X). Il seguente teorema, di cui

omettiamo la dimostrazione (si veda p. es. [4]), consente di stabilire un confronto

tra il gruppo fondamentale π1(X) di uno spazio connesso per archi e il suo primo

gruppo di omologia singolare H1(X).

TEOREMA 33. τ∗ : Hq(X|x0) −→ Hq(X) è un isomorfismo di gruppi.

L’accennata relazione con il gruppo fondamentale è data dal seguente:

COROLLARIO 34. Sia X uno spazio topologico connesso per archi. L’applica-zione naturale che associa ad ogni cappio uscente da x0 il cappio stesso pensato come1-ciclo in X induce un omomorfismo suriettivo di gruppi

Φ : π1(X,x0) −→ H1(X),

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22 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

il cui nucleo è il sottogruppo dei commutatori in π1(X,x0). Risulta quindi:

H1(X) ∼=π1(X,x0)

[π1(X,x0), π1(X,x0)].

DIMOSTRAZIONE. Osserviamo in primo luogo che Φ è ben definita: se f ∼ f1

mediante l’omotopia F , allora pensando f, f1 come 1-cicli risulta f = f1 + ∂F .

Inoltre Φ è evidentemente suriettiva e risulta un omomorfismo di gruppi. Infatti se

[f ], [g] ∈ π1(X,x0) definiamo il 2-cubo T : I2 → X come

T (t, s) =

f(t+ 2s) per t+ 2s ≤ 1g( t+2s−1

t+1 ) per t+ 2s ≥ 1

(e ricordiamo che f · g =

f(2s) per 0 ≤ s ≤ 1

2

g(2s− 1) per 12 ≤ s ≤ 1

). Allora ∂T = f + g− εx0 −

f · g, essendo εx0 il cappio costante nel punto x0. Dunque:

Φ([f ] · [g]) = Φ[f · g] = Φ[f ] + Φ[g].

Osserviamo poi che, essendo H1(X) = imΦ ∼= π1(X)ker Φ abeliano, il sottogruppo

[π1(X), π1(X)] dei commutatori è contenuto in ker Φ. Si ha dunque un omomorfi-

smo indotto:

Ψ : π′1(X) :=π1(X)

[π1(X), π1(X)]−→ H1(X),

ed è ora sufficiente mostrare che Ψ è un isomorfismo. Per fare ciò consideriamo il

diagramma

C1(X|x0) = Z1(X|x0) l−→ π′1(X) (abelianizzato)

k ↓ ↓ ΨH1(X|x0) τ∗−→ H1(X)

,

dove, osservato che C1(X|x0) = Z1(X|x0), k è la proiezione con nucleoB1(X|x0); lè invece definito sui T : I → X (T (0) = T (1) = x0), associando la proiezione su π′1di [T ] ∈ π1(X,x0). Si noti che, poiché π′1 è abeliano, l si estende aQ1(X|x0) portan-

do D1(X|x0) nell’elemento neutro; dunque l : C1(X|x0) → π′1(X,x0) è suriettiva.

Poiché il diagramma commuta risulta

ker l ⊂ ker k = B1(X|x0).

D’altra parte della successione

C2(X|x0) ∂2−→ C1(X|x0) l−→ π1(X,xo)

risulta, con semplice omotopia, l ∂2 = 0. Dunque è anche:

B1(X|x0) ⊂ ker l,

e quindi B1(X|x0) = ker l. Ne segue che Ψ è un isomorfismo.

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2.2. SUDDIVISIONE BARICENTRICA E OMOLOGIA SINGOLARE PICCOLA 23

2.2. SUDDIVISIONE BARICENTRICA E OMOLOGIA SINGOLARE PICCOLA

Passiamo ora al confronto tra omologia singolare e omologia singolare piccola

di uno spazio topologico X. Vi è un morfismo di inclusione σ· : C·(X;U) −→ C·(X)tra i rispettivi complessi di catene. Dimostriamo il seguente:

TEOREMA 35. σ∗ : Hq(X;U) −→ Hq(X) è un isomorfismo di gruppi.

DIMOSTRAZIONE. Sia [v] ∈ Hq(X,U). Ricordiamo che per definizione σ∗[v] =[σ(v)]. Si devono dunque mostrare i seguenti fatti:

(a) σ∗ : Hq(X;U) −→ Hq(X) è suriettiva, cioè ogni classe di omologia si può

rappresentare con cicli piccoli di ordine U .

(b) σ∗ : Hq(X;U) −→ Hq(X) è iniettiva, cioè se σ∗[v] è lo zero di Hq(X),ovvero v = ∂u con u ∈ Cq+1(X), allora è anche v = ∂z con z ∈ Cq+1(X;U).

Articoleremo la dimostrazione in quattro passi. Ricordiamo preliminarmente il

seguente:

LEMMA 36 (Esistenza di un numero di Lebesgue). Sia (Y, d) uno spazio metri-co compatto e sianoX uno spazio topologico, f : Y → X un’applicazione continua e Uun ricoprimento aperto di X. Esiste allora un numero reale positivo δ, detto numero

di Lebesgue del ricoprimento U , tale che per ogni y ∈ Y e per ogni ε < δ l’insie-me f(B(y, ε)), dove B(y, ε) è la palla aperta di centro y e raggio ε, è interamentecontenuto in un aperto del ricoprimento U .

DIMOSTRAZIONE. L’immagine f(Y ) è un sottospazio compatto diX ed esistono

dunque U1, ..., Un tali che f(Y ) ⊂⋃ni=1 Ui. Per ogni i = 1, ..., n denotiamo con Ci

.=f−1(X − Ui) = Y − f−1(Ui) e con di : Y → R la funzione che misura la distanza

dal chiuso Ci. Sappiamo che le funzioni di sono continue e che di(y) = 0⇔ y ∈ Ci.Inoltre

⋂ni=1 Ci = ∅. Poniamo g : Y → R+ tale che g(y) = maxd1(y), ..., dn(y) >

0. Allora g è una funzione continua definita su uno spazio compatto, ammette

dunque minimo δ > 0. Tale minimo è il numero di Lebesgue cercato. Se infatti

y ∈ Y, ε < δ allora B(y, ε) è disgiunta da Ci, per qualche i = 1, ..., s, quindi

f(B(y, ε)) ∩ f(Ci) = f(X)− Ui = ∅, ovvero f(B(y, ε)) ⊂ Ui.

1o passo: Suddivisione baricentrica. Consideriamo l’insieme

Eq = ~e = (e1, ..., eq); ei = 0, 1,

dei vertici del q-cubo standard Iq; esso è in corrispondenza biunivoca con l’insie-

me dei cubetti che costituiscono la suddivisione baricentrica del cubo standard Iq.

Se T : Iq → X è un q-cubo singolare, allora per ogni ~e ∈ Eq si ha la seguente

”restrizione ingrandita al q-cubetto rappresentato da ~e”:

F~e T : Iq → X, (F~e T )(~x) = T (12

(~x+ ~e)),

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24 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

e la suddivisione baricentrica di T :

SdqT =∑~e∈Eq

F~e T.

Essa si estende per linearità Sdq : Qq(X) → Qq(X) e, essendo Sdq : (Dq(X)) ⊂Qq(X), passa al quoziente:

sdq : Cq(X)→ Cq(X).

E’ commutativo il diagramma di omomorfismi:

Cq(X)sdq−→ Cq(X)

∂ ↓ ↓ ∂

Cq−1(X)sdq−1−→ Cq−1(X),

come si deve ragionando sulle singole facce dei cubi.

Vale il seguente:

LEMMA 37. Per ogni catena u ∈ Cq(X), esiste un intero r = r(u) tale che

sd(r)q (u) ∈ Cq(X;U),

dove sd(r)q è l’operatore di suddivisione ripetuto r volte.

DIMOSTRAZIONE. Sia [u] =∑nαTα; mostriamo che esistono numeri naturali

rα con la proprietà asserita, e scegliamo r = min (rα). Se U = Uββ∈B , con-

sideriamo il ricoprimento aperto T−1α (Uβ)β∈B di Iq e sia δα un suo numero di

Lebesgue; allora, se rα è tale che√q

2rα< δα

è certamente sdrαq Tα ∈ Cq(X;U) [√q è la massima distanza tra due punti del

q-cubo standard ].

2o passo: Costruzione di un’omotopia di catene tra la suddivisione baricentrica el’identità. Vogliamo definire omomorfismi

ϕq : Cq(X)→ Cq+1(X)

tali che risulti:

sdq(u)− u = ∂q+1ϕq + ϕq−1∂q.

Procediamo così. Le seguenti funzioni η0, η1 : I2 → X

η0(x1, x2) =x1

2− x2, η1(x1, x2) =

x1+12−x2

se x1 + x2 ≤ 1

1 se x1 + x2 ≥ 1

hanno la proprietà che im η0 = [0, 12 ], im η1 = [ 1

2 , 1].Per ogni ~e ∈ Eq e per ogni q-cubo singolare T : Iq → X, q > 0, definiamo:

G~e T : Iq+1 → X

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2.2. SUDDIVISIONE BARICENTRICA E OMOLOGIA SINGOLARE PICCOLA 25

G~e T (x1, ..., xq+1) = T (ηe1(x1, xq+1), ..., ηeq (xq, xq+1)),

e quindi:

Φq : Qq(X)→ Qq+1(X), q > 0

Φq(T ) = (−1)q+1∑~e∈Eq

G~e T,

completando con l’assumere Φq : Q0(X) → Q1(X) l’applicazione nulla. Osservato

che Φq porta cubi degeneri in cubi degeneri, si hanno morfismi indotti:

ϕq : Cq(X)→ Cq+1(X), q ≥ 0.

Guardando alle singole facce, si riconosce che per ogni T : Iq → X risulta:

∂q+1Φq(T ) = SdqT − T − Φq−1∂q(T ) + cubi degeneri.

Ne segue che sulle catene:

∂q+1ϕq + ϕq−1∂q = sdqT − id.

3o passo: Omotopia di catene tra l’iterazione della suddivisione baricentrica el’identità. Si pone (omettendo gli indici sotto sd e ∂):

ψq = ϕq + sd ϕq + sd(2) ϕq + ...+ sd(r−1) ϕq.

Allora, ricordando che ∂sd = sd∂:

∂ψq + ψq−1∂ = ∂ϕq + sd ∂ϕq + sd(2) ∂ϕq + ...+ sd(r−1) ∂ϕq+

+ϕq−1 ∂ + sd ϕq−1 ∂ + sd(2) ϕq−1 ∂ + ...+ sd(r−1) ϕq−1 ∂ =

= sdq − id + sd(2) − sd+ sd(3) − sd(2) + ...+ sd(r) − sd(r−1) = sd(r) − id.

4o passo: Conclusione. Dunque:

∂q+1ψq + ψq−1∂q = sd(r)q − id,

dove sd(r)q : Cq(X)→ Cq(X;U). Osserviamo anche che:

u ∈ Cq(X;U) =⇒ ϕq(u) ∈ Cq(X;U) =⇒ ψq(u) ∈ Cq(X;U).

Dimostriamo infine le due proprietà (a) e (b) sopra enunciate:

(a) σ∗ : Hq(X;U) −→ Hq(X) è suriettiva.

DIMOSTRAZIONE. Sia [u] ∈ Hq(X); allora sd(r)q u ∈ Cq(X;U) e ∂(sd(r)

q u) = 0.

Poiché:

sd(r)q u− u = ∂q+1ψqu+ ψq−1∂qu

(il secondo addendo a destra essendo nullo), risulta che [u] = [sd(r)q u] ∈ Hq(X).

Dunque:

σ∗[sd(r)q u] = [u],

e [sd(r)q u] ∈ Hq(X;U).

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26 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

(b) σ∗ : Hq(X;U) −→ Hq(X) è iniettiva.

DIMOSTRAZIONE. Sia [v] ∈ Hq(X;U) con σ∗[v] = 0, cioè v = ∂u con u ∈Cq+1(X). Sia r tale che sd(r)

q u ∈ Cq+1(X;U). Poiché:

sd(r)q+1u− u = ∂q+2ψq+1u+ ψq∂q+1u = ∂q+2ψq+1u+ ψqv,

applicando ∂ risulta:

∂(sd(r)q+1u)− v = ∂(ψqv).

Pertanto:

v = ∂(sd(r)q+1u− ψqv),

la (q + 1)-catena z = sd(r)q+1u − ψqv essendo piccola di ordine U . Dunque [v] = 0

nell’omologia piccola, e la dimostrazione è completa.

DEFINIZIONE 38. Una successione di omomorfismi tra gruppi abeliani

...fq+2−→ Gq+1

fq+1−→ Gqfq−→ Gq−1

fq−1−→ Gq−1fq−1−→ ...,

con q ∈ Z, si dirà esatta in Gq se imfq+1 = ker fq, mentre si dirà esatta se imfq+1 =ker fq per ogni q ∈ Z.

Solitamente di ha Gq = 0 tranne al più per un numero finito di q ∈ Z.

ESEMPI.

(1) La successione

0 −→ Gf−→ H −→ ...

è esatta in G se e solo se f è un omomorfismo iniettivo.

(2) La successione

... −→ Gf−→ H −→ 0

è esatta in H se e solo se f è un omomorfismo suriettivo.

(3) La successione

0 −→ Gf−→ H −→ 0

è esatta se e solo se f è un isomorfismo.

(4) Ne segue che se la successione

0 −→ Gf−→ H

g−→ K −→ 0

è esatta allora, f è iniettivo, g è suriettivo e risulta

K ∼= H/ ker g ∼= H/imf ∼= H/G.

Se assumiamo che f sia iniettiva, g suriettiva e imf = ker g allora

vale anche il viceversa. Una successione esatta come quella appena vista

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2.2. SUDDIVISIONE BARICENTRICA E OMOLOGIA SINGOLARE PICCOLA 27

si dice successione esatta corta. Un esempio semplicissimo di successione

esatta corta è la seguente

0 −→ Z f−→ Z π−→ Z2 −→ 0,

dove f(n) = 2n e π è la proiezione alle classi resto modulo 2.

Noi saremo in particolare interessati a successioni esatte corte di complessi dicatene:

0 −→ C·ϕ·−→ D·

ψ·−→ E· −→ 0,

con ϕ· e ψ· morfismi. Si tratta dunque di diagrammi commutativi, che possono

anche essere infiniti nella dimensione verticale, del tipo:

↓ ↓ ↓

0 −→ Cq+1ϕq+1−→ Dq+1

ψq+1−→ Eq+1 −→ 0↓ ↓ ↓

0 −→ Cqϕq−→ Dq

ψq−→ Eq −→ 0↓ ↓ ↓

0 −→ Cq−1ϕq−1−→ Dq−1

ψq−1−→ Eq−1 −→ 0↓ ↓ ↓

dove ogni successione è esatta corta in orizzontale. Il prossimo Teorema, detto

Teorema Fondamentale dell’Algebra Omologica, chiarirà con le sue applicazioni

l’importanza delle successioni esatte corte di complessi di catene.

TEOREMA 39. (FONDAMENTALE DELL’ALGEBRA OMOLOGICA) . Consideriamola seguente successione esatta corta di complessi di catene

0 −→ C·ϕ·−→ D·

ψ·−→ E· −→ 0.

E’ possibile definire, per ogni q ∈ Z, omomorfismi

∂∗ : Hq(E·) −→ Hq−1(C·),

detti omomorfismi di connessione, in modo tale che la successione “lunga” formatadai gruppi di omologia dei tre complessi

... −→ Hq+1(E·)∂∗−→ Hq(C·)

ϕ∗−→ Hq(D·)ψ∗−→ Hq(E·)

∂∗−→ Hq−1(C·)ϕ∗−→

ϕ∗−→ Hq−1(D·)ψ∗−→ Hq−1(E·)

∂∗−→ Hq−2(C·) −→ ...

sia esatta.

DIMOSTRAZIONE. Dalle ipotesi abbiamo il seguente diagramma commutativo

di omomorfismi di gruppi

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28 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

(2.2.1)

0 > Cq+1

∨ ϕq+1> Dq+1

∨ ψq+1> Eq+1

∨> 0

0 > Cq

∂q+1∨ ϕq

> Dq

∂q+1∨ ψq

> Eq

∂q+1∨

> 0

0 > Cq−1

∂q∨ ϕq−1

> Dq−1

∂q∨ ψq−1

> Eq−1

∂q∨

> 0

∨ ∨ ∨

le cui “righe” costituiscono successioni esatte, ossia le ϕ sono iniettive, le ψ sono

suriettive e risulta imϕ = kerψ (cioè ψ ϕ = 0) mentre le “colonne” sono legate

dall’applicazione di bordo tali che im∂q+1 ⊆ ker ∂q. Strutturiamo la dimostrazione

in diversi passi.

1) DEFINIZIONE DI ∂∗. Sia zq ∈ Eq un ciclo (∂zq = 0). Esiste (e non è detto che

sia unico) un dq ∈ Dq tale che ψ (dq) = zq (per la suriettività di ψ). Sia dunque

xq−1 ∈ Cq−1 tale che ϕ (xq) = ∂dq. Un siffatto xq−1 deve esistere per forza, dato

che ψ (∂dq) = ∂ψ (dq) = ∂zq = 0 e quindi ∂dq ∈ kerψ = imϕ. Osserviamo che xq−1

è un ciclo. Infatti ϕ (∂xq−1) = ∂ϕ (xq−1) = ∂2dq = 0 e ϕ è iniettiva. Ha quindi

senso porre

∂∗ [zq] = [xq−1] .

Dobbiamo allora verificare che tale definizione è ben posta e che effettivamente ∂∗va da Hq (E·) in Hq−1 (C·). Se d′q è un altra scelta tale che ψ

(d′q)

= zq, risulterà

ψ(dq − d′q

)= zq − zq = 0, vale a dire dq − d′q ∈ kerψ = imϕ e dunque esiste un

cq ∈ Cq tale che ϕ (cq) = dq − d′q. D’altra parte, per quanto detto in precedenza,

esistono xq−1, x′q−1 ∈ Cq−1 tali che ϕ (xq−1) = ∂dq, ϕ

(x′q−1

)= ∂d′q e quindi, dalla

commutatività del diagramma, se ϕ (cq) = dq − d′q si ha anche ϕ (∂cq) = ∂dq − ∂d′q.Essendo ϕ iniettiva, deve essere ∂cq = xq−1 − x′q−1 e dunque la costruzione non

dipende dal rappresentante xq−1 scelto in [xq−1]. Infine se zq = ∂zq+1 (zq è un

bordo) sappiamo che esiste un dq+1 ∈ Dq+1 tale che ψ (dq+1) = zq+1 e quindi

ψ (∂dq+1) = ∂ψ (dq+1) = ∂zq+1 = zq. Ponendo dq = ∂dq+1 si ottiene che ∂dq = 0 e

quindi non può che essere xq−1 = 0 (essendo ϕ iniettiva).

2) ESATTEZZA DELLA SUCCESSIONE ESATTA LUNGA DI OMOLOGIA. Dobbiamo

dimostrare le seguenti inclusioni :

i) imϕ∗ ⊂ kerψ∗; ii) imϕ∗ ⊃ kerψ∗; iii) imψ∗ ⊂ ker ∂∗; iv) imψ∗ ⊃ ker ∂∗; v)

im∂∗ ⊂ kerϕ∗: vi) im∂∗ ⊃ kerϕ∗. Cominciamo da quelle più semplici.

i) Siccome ψ ϕ = 0, dalla funtorialità segue immdiatamente che ψ∗ ϕ∗ = 0,

vale a dire imϕ∗ ⊂ kerψ∗.iii) Se [zq] ∈ imψ∗ abbiamo che ψ∗ [dq] = [zq], ossia ψ (dq) = zq con ∂dq = 0.

Ma allora deve essere, per quanto già detto, xq−1 = 0. Pertanto imψ∗ ⊂ ker ∂∗.

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2.3. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 29

v) Sia [xq−1] = ∂∗ [zq] ∈ im∂∗ ⊂ Hq−1 (C·). Per costruzione, abbiamo che

ϕ (xq−1) = ∂dq con ψ (dq) = zq. Ma allora ϕ∗ [xq−1] = 0 ∈ Hq−1 (D·) ovvero

[xq−1] ∈ kerϕ∗ e dunque im∂∗ ⊂ kerϕ∗.Appena un po’ più elaborate sono le rimanenti verifiche.

ii) Sia [yq] ∈ Hq (D·) tale che ψ∗ [yq] = 0 ∈ Hq (Eq). Allora 0 = ψ∗ [yq] =[ψ (yq)] implica che ψ (yq) = ∂zq+1, per qualche zq+1 ∈ Eq+1, ed inoltre ψ (dq+1) =zq+1, per qualche dq+1 ∈ Dq+1. Poniamo allora y′q := ∂dq+1. Risulta

ψ(yq − y′q

)= ψ (yq)− ψ

(y′q)

= ∂zq+1 − ∂ψ (dq+1) = ∂zq+1 − ∂zq+1 = 0

e quindi yq−y′q ∈ kerψ = imϕ. Ne segue che esiste x ∈ Cq tale che ϕ (x) = yq−y′q,inoltre si tratta di un ciclo essendo l’immagine tramite ϕ, iniettiva, del ciclo yq−y′q.Pertanto

ϕ∗ [x] = [ϕ (x)] =[yq − y′q

]= [yq − ∂dq+1] = [yq]

vale a dire imϕ∗ ⊃ kerψ∗.iv) Sia [zq] ∈ ker ∂∗, vale a dire [xq−1] = ∂∗ [zq−1] = 0 da cui xq−1 = ∂cq, con

cq ∈ Cq. Sia poi dq ∈ Dq tale che ψ (dq) = zq. Calcolando il bordo di dq − ϕ (cq) si

ottiene

∂ (dq − ϕ (cq)) = ∂dq − ∂ϕ (cq) = ∂dq − ϕ (∂cq) = ∂dq − ϕ (xq−1) = 0,

dato che ϕ (xq−1) = ∂dq. Pertanto dq−ϕ (cq) è un ciclo, cioè [dq − ϕ (cq)] ∈ Hq (D·),e dunque

ψ∗ [dq − ϕ (cq)] = [ψ (dq)− ψ (ϕ (cq))] = [ψ (dq)] = [zq]

ovvero [zq] ∈ imψ∗(si ricordi che ψ ϕ = 0). Ne segue che imψ∗ ⊃ ker ∂∗.vi) Se [xq] ∈ kerϕ∗ allora ϕ∗ [xq] = [ϕ (xq)] = 0 ossia ϕ (xq) = ∂dq+1, per

qualche dq+1 ∈ Dq. Ne segue che ψ (dq+1) = zq+1 è un ciclo (il diagramma è

commutativo). Ma per definizione di ∂∗ dovrà aversi [xq] = ∂∗ [zq+1] ossia [xq] ∈im∂∗. Abbiamo allora provato che im∂∗ ⊃ kerϕ∗.

2.3. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

SiaX uno spazio topologico tale cheX = U∪V , con U, V aperti diX. Abbiamo

dunque il ricoprimento aperto U := U, V e su X l’omologia singolare piccola di

ordine U .

TEOREMA 40. Le inclusioni

C·(U)i·

C·(U ∩ V ) C·(X;U)j·

C·(V )

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30 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

dei complessi di catene singolari indicati inducono una successione esatta corta dicomplessi di catene

0 −→ C·(U ∩ V )ϕ·−→ C·(U)⊕ C·(V )

ψ·−→ C·(X;U) −→ 0,

dove ϕ· = (i·, j·) e ψ· = k· − l·.

DIMOSTRAZIONE. Bisogna dimostrare che ϕ· è iniettiva, ψ· è suriettiva è imϕ· =kerψ·. L’iniettività è ovvia per definizione. Sia allora q ∈ Z e consideriamo la

successione

0 −→ Cq(U ∩ V )ϕq−→ Cq(U)⊕ Cq(V )

ψq−→ Cq(X;U) −→ 0,

dove ϕq = (iq, jq) e ψq = kq − lq. Per verificare la suriettività di ψq osserviamo

che ogni c ∈ Cq(X;U) può essere scritto, per definizione, come c = cU + cV dove

cU ∈ C(U) e cV ∈ C(V ) (in modo non unico). Pertanto c = kq(cU ) − lq(−cV ).Dimostriamo ora che imϕq ⊇ kerψq. Se ψq(cU , cV ) = kq(cU ) − lq(cV ) = 0 allora

kq(cU ) = lq(cV ) ossia cU ≡ cV come elementi di Cq(U ∩ V ); quindi ϕq(cU ) =(cU , cU ) = (cU , cV ). Passiamo all’inclusione inversa: imϕq ⊆ kerψq. Sia x ∈ imϕq,

ossia x = (iq(y), jq(y)) con y ∈ Cq(U∩V ). Dunque ψq(x) = (kqiq)(y)−(lqjq)(y) =0.

Il prossimo risultato è di fondamentale importanza sia per il calcolo dell’omo-

logia singolare, sia per dimostrarne notevoli proprietà. La useremo quindi più volte

nel seguito.

TEOREMA 41. (MAYER-VIETORIS). Sia X uno spazio topologico tale che X =U ∪ V , U = U, V ricoprimento aperto di X. Si ha allora la seguente successioneesatta

... −→ Hq+1(U ∩ V )ϕ∗−→ Hq+1(U)⊕Hq+1(V )

χ∗−→ Hq+1(X) ∆∗−→∆∗−→ Hq(U ∩ V )

ϕ∗−→ Hq(U)⊕Hq(V )χ∗−→ Hq(X) ∆∗−→

∆∗−→ Hq−1(U ∩ V )ϕ∗−→ Hq−1(U)⊕Hq−1(V )

χ∗−→ Hq−1(X) ∆∗−→ ...,

detta Successione di Mayer-Vietoris.

DIMOSTRAZIONE. Dal Teorema precedente segue che la successione corta

0 −→ C·(U ∩ V )ϕ·−→ C·(U)⊕ C·(V )

ψ·−→ C·(X;U) −→ 0

è esatta e dunque, dal Teorema Fondamentale dell’Algebra Omologica abbiamo una

successione esatta

... −→ Hq+1(U ∩ V )ϕ∗−→ Hq+1(U)⊕Hq+1(V )

ψ∗−→ Hq+1(X;U) ∂∗−→∂∗−→ Hq(U ∩ V )

ϕ∗−→ Hq(U)⊕Hq(V )ψ∗−→ Hq(X) ∂∗−→

∂∗−→ Hq−1(U ∩ V )ϕ∗−→ Hq−1(U)⊕Hq−1(V )

ψ∗−→ Hq−1(X) ∂∗−→ ....

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2.3. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 31

TABELLA 1. Omologia delle Sfere

H0 H1 H2 H3 ... Hn ...S0 Z⊕ Z 0 0 0 ... 0 ...

S1 Z Z 0 0 ... 0 ...

S2 Z 0 Z 0 ... 0 ...

S3 Z 0 0 Z ... 0 ...

......

......

.... . .

... ...

Sn Z 0 0 0 ... Z ...

......

......

... ......

. . .

Ricordando che esiste un isomorfismo σ∗ : Hq(X;U) −→ Hq(X), ponendo χ∗ =σ∗ ψ∗ e ∆∗ = ∂∗ σ−1

∗ si ottiene la successione voluta.

Vediamo ora qualche importante applicazione del Teorema di Mayer-Vietoris

nel calcolo dell’omologia singolare di alcuni spazi.

COROLLARIO 42. (OMOLOGIA DELLE SFERE). La seguente tabella descrivel’omologia della n-sfera

Sn :=−→x ∈ Rn+1 : ‖−→x ‖ = 1

:

Dunque:

H0(Sn) ∼=

Z⊕ Z, n = 0

Z, n ≥ 1

e, per ogni q ≥ 1,

Hq(Sn) ∼=

Z, q = n

0, q 6= n.

DIMOSTRAZIONE. Ci riferiremo alla TABELLA 1. La prima riga e la prima colon-

na sono già state dimostrate. Infatti S0 = −1, 1 mentre Sn è connessa per per

archi, ogni n ≥ 1. Consideriamo gli aperti

U =−→x ∈ Sn : xn+1 > −

12

(emisfero boreale abbondante)

V =−→x ∈ Sn : xn+1 <

12

(emisfero australe abbondante).

Si vede facilmente che U, V sono connessi per archi mentre

U ∩ V =−→x ∈ Sn : −1

2< xn+1 <

12

ha come retratto di deformazione la sfera Sn−1 (si analizzi, a titolo di esempio, il

caso di S1). Pertanto per q ≥ 2, il Teorema di Mayer-Vietoris fornisce

−→ Hq(U)⊕Hq(V )χ∗−→ Hq(Sn) ∆∗−→ Hq−1(U ∩ V )

ϕ∗−→ Hq−1(U)⊕Hq−1(V ) −→,

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32 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

dove Hq(U) ⊕ Hq(V ) ∼= 0 ∼= Hq−1(U) ⊕ Hq−1(V ) e Hq−1(U ∩ V ) ∼= Hq−1(Sn−1).Per quanto detto abbiamo che ∆∗ è un isomorfismo e ciò suggerisce di procedere

per induzione su q. Quello che manca è allora la premessa induttiva che si ottiene

per q = 1. Distinguiamo due casi per n, cioè n = 1 e n > 1. Per n = 1 abbiamo:

H1(U)⊕H1(V )χ∗−→ H1(S1) ∆∗−→ H0(U ∩ V )

ϕ∗−→ H0(U)⊕H0(V )χ∗−→ H0(S1),

ossia

0 −→ H1(S1) ∆∗−→ Z⊕ Z ϕ∗−→ Z⊕ Z χ∗−→ Z −→ 0.

Siccome la successione è esatta, segue che ∆∗ è iniettiva, im∆∗ = kerϕ∗ e imϕ∗ =kerχ∗, inoltre χ∗ non è nulla, dato che imχ∗ deve coincidere con il nucleo dell’ap-

plicazione nulla. Quindi imϕ∗ ∼= Z e dunque im∆∗ ∼= Z. Supponiamo ora n > 1.

Abbiamo allora:

H1(U)⊕H1(V )χ∗−→ H1(Sn) ∆∗−→ H0(U ∩ V )

ϕ∗−→ H0(U)⊕H0(V )χ∗−→ H0(Sn)

ossia

0 −→ H1(Sn) ∆∗−→ Z ϕ∗−→ Z⊕ Z χ∗−→ Z −→ 0.

Come prima abbiamo che ∆∗ è iniettiva quindi H1(Sn) ∼= im∆∗ ∼= kerϕ∗e χ∗ è

non nulla. Allora imϕ∗ = kerχ∗ ∼= Z e dunque anche ϕ∗ è iniettiva. Ne segue che

H1(Sn) = 0. La tesi è ora immediata.

Dall”omologia delle Sfere si ottiene subito il seguente Teorema di invarianza

topologica della dimensione.

TEOREMA 43. (DELLA DIMENSIONE). Rn non è omeomorfo a Rm se n 6= m.

DIMOSTRAZIONE. Supponiamo esista un omeomorfismo f tra Rn ed Rm con

n 6= m. Allora X = Rn −−→

0

è omeomorfo a Y = Rm −f(−→0 )

. Ma X è

omotopicamente equivalente ad Sn mentre Y è omotopicamente equivalente ad

Sm−1. Dalla TABELLA 1 discende immediatamente che ciò porta ad un assurdo.

Una conseguenza del Teorema precedente è che due varietà topologiche di

dimensioni diverse non sono omeomorfe. Ricordiamo tuttavia che Rm ed Rn hanno

la stessa cardinalità.

Continuiamo con il calcolo dell’omologia di altri spazi. Ricordiamo che un bou-quet di r circonferenze (r ∈ N) è uno spazio topologico unione di r spazi omeomorfi

a S1 e che si intersecano tutti in un unico punto (FIGURA 2.2.1). Sia allora Xr un

bouquet di r circonferenze. Possiamo chiamare petali i sottospazi di Xr omeomorfi

ad S1 (così Xr ha r petali).

Lo spazio Xr può essere decomposto nell’unione di due aperti U e V , dove U

è ottenuto da Xr rimuovendo un arco da un certo petalo r1 (compresi gli estremi)

mentre V è ottenuto da Xr rimuovendo un arco da ogni altro petalo diverso da r1

(FIGURA 2.2.2).

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2.3. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 33

FIGURA 2.3.1. Bouquet di 5 Circonferenze

FIGURA 2.3.2. Nell’ordine gli aperti U, V, U ∩ V del Bouquet di 5 Circonferenze

Si vede facilmente che U ∩ V è contraibile, mentre U e V hanno come retratti

per deformazione un bouquet di r − 1 circonferenze Xr−1 ed S1 rispettivamente.

Ciò suggerisce, per il calcolo dell’omologia di Xr, di procedere per induzione su r.

COROLLARIO 44. Sia Xr un bouquet di r circonferenze. Allora

Hq(Xr) ∼=

Z q = 0

Zr = Z⊕ ...⊕ Z q = 10 q 6= 0, 1

.

DIMOSTRAZIONE. Come già osservato, conviene procedere per induzione su r.

Per r = 1 abbiamo che X1∼= S1 e quindi l’asserto è vero. Supponiamo allora

Hq(Xr−1) ∼=

Z q = 0

Zr−1 = Z⊕ ...⊕ Z q = 10 q 6= 0, 1

.

Dal Teorema di Mayer-Vietoris discende che la seguente successione

... −→ Hq+1(U ∩ V )ϕ∗−→ Hq+1(U)⊕Hq+1(V )

χ∗−→ Hq+1(X) ∆∗−→∆∗−→ Hq(U ∩ V )

ϕ∗−→ Hq(U)⊕Hq(V )χ∗−→ Hq(X) ∆∗−→

∆∗−→ Hq−1(U ∩ V )ϕ∗−→ Hq−1(U)⊕Hq−1(V )

χ∗−→ Hq−1(X) ∆∗−→ ...

è esatta, e noi sappiamo che Hq(U ∩ V ) = Hq(pt) e Hq(U)⊕Hq(V ) ∼= Hq(Xr−1)⊕Hq(S1). Ora se q ≥ 2 abbiamo che Hq−1(U ∩V ) = 0 e Hq(U)⊕Hq(V ) ∼= 0 e quindi:

0 −→ Hq(Xr) −→ 0,

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34 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

ossia Hq(Xr) = 0. Vediamo il caso in cui q = 1. Risulta:

0 ∆∗−→ H1(pt)ϕ∗−→ H1(Xr−1)⊕H1(S1)

χ∗−→ H1(Xr)∆∗−→

∆∗−→ H0(Xr−1)ϕ∗−→ H0(Xr−1)⊕H0(S1)

χ∗−→ H0(Xr) −→ 0

cioè, a meno di isomorfismi e ricordando che Xr è connesso per archi,

0 −→ Zr χ∗−→ H1(Xr)∆∗−→ Z ϕ∗−→ Z2 χ∗−→ Z −→ 0.

Per l’esattezza della successione si ha che χ∗ : Z2 −→ H0(Xr) ∼= Z è suriettiva

quindi ϕ∗ è iniettiva. Ma anche χ∗ : Zr −→ H1(Xr) è iniettiva quindi ker ∆∗ ∼= Zr.A questo punto basta osservare che ∆∗ può solo essere l’omomorfismo nullo. La

dimostrazione è conclusa.

2.4. OMOLOGIA DELLE SUPERFICI COMPATTE

Richiamiamo alcune definizioni, esempi e risultati utili. Una superficie (topo-logica) è una varietà topologica di dimensione 2, ossia uno spazio topologico di

Hausdorff a base numerabile e tale che ogni suo punto possiede un intorno aperto

omeomorfo al disco aperto

(x, y) : x2 + y2 < 1

. Siamo interessati alle superfici

compatte e connesse.

ESEMPI.

(1) La Sfera S2 :=

(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y2 + z2 = 1

è una superficie com-

patta e connessa.

(2) Il Toro T 2 := S1 × S1 è una superficie compatta e connessa. Ricordia-

mo che il Toro può ottenersi come spazio quoziente di un opportuno

sottospazio di R2. Più precisamente consideriamo il quadrato

Q :=

(x, y) ∈ R2 : x, y ∈ [0, 1]

e sia ρ la relazione su Q definita ponendo

(x, y)ρ(x1, y1)⇐⇒

y = y1, x = 0 e x1 = 1x = x1, y = 0 e y1 = 1

.

Lo spazio quoziente Q/ρ dotato della topologia quoziente è allora omeo-

morfo al Toro T 2 con la topologia di sottospazio in R3 (FIGURA 2.3.1).

(3) Il piano proiettivo P2R è una superficie compatta. Ricordiamo che può

ottenersi a partire da R3 −−→

0

identificando i punti sulla stessa retta

vettoriale. Siccome ogni retta vettoriale di R3 interseca S2 ∩ z ≥ 0rispettivamente in due punti o in un punto a seconda che tale retta sia

contenuta nel piano xy o meno, P2R può ottenersi anche a partire da S2 ∩

z ≥ 0 quozientando mediante la relazione di equivalenza che identifica

i due punti di intersezione con ogni retta contenuta nel piano xy. Pertanto

P2R può essere pensato come in FIGURA 2.3.2.

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2.4. OMOLOGIA DELLE SUPERFICI COMPATTE 35

FIGURA 2.4.1. Toro T 2

FIGURA 2.4.2. Piano Proiettivo P2R

OSSERVAZIONE 45. La Sfera ed il Toro sono esempi di superfici orientabili

nel senso che in entrambe è possibile distinguere due “faccie”, una “interna” e l’altra

“esterna”. Il Piano Proiettivo invece non è orientabile.

2.4.1. SOMMA CONNESSA DI SUPERFICI. Un modo per ottenere una nuova su-

perficie a partire da due superfici S1 ed S2 si ha attraverso la loro somma connessa,

S1#S2. Tale procedimento consiste essenzialmente nel selezionare due dischi (cioè

sottoinsiemi omeomorfi aE2 :=

(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 ≤ 1

) da entrambe le super-

fici S1, S2, uno per ognuna, si rimuove l’interno ad entrambi e si identifica il bordo.

Più precisamente siano E1, E2 due sottoinsiemi in S1, S2, rispettivamente, omeo-

morfi entrambi ad E2 e quindi omeomorfi tra loro. Sia f un tale omeomorfismo.

Risulta allora che E1 possiede un sottoinsieme D1 omeomorfo a E2 e lo stesso per

E2 con sottoinsieme D2 (contenuti strettamente). Allora S1#S2 si definisce come

lo spazio quoziente di (S1 −

D1

)t(S2 −

D2

)(unione disgiunta) modulo la relazione ≈ che identifica x ∈ ∂D1 con f(x) ∈ ∂D2,

cioè

S1#S2 :=

(S1 −

D1

)t(S2 −

D2

)≈

.

L’insieme che si ottiene, dotato della topologia quoziente, si dimostra essere anco-

ra una superficie. Ovviamente connessione e (l’eventuale) compattezza vengono

preservate dalla continuità della proiezione al quoziente. Dimostriamo prima di

tutto che si tratta di uno spazio di Hausdorff. Sia X il sottoinsieme di S1#S2 per

il quale ≈ non è la relazione banale. E’ chiaro che due punti qualsiasi contenuti in

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36 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

FIGURA 2.4.3. Toro con due Buchi S2

Y := S1#S2 −X possiedono intorni disgiunti. Siano x1 ∈ Y e x2 ∈ X e sia

π :(S1 −

D1

)t(S2 −

D2

)−→ S1#S2

la proiezione al quoziente. Se U è un aperto contenente x2 allora π−1(U) è unio-

ne di due aperti disgiunti, uno contenente x2 e l’altro contenente f(x2) (dato che

π−1(x2) = x2, f(x2)). Se W è un aperto contenente x2 opportunamente piccolo

allora f(W ) è un aperto contenente f(x2) e risulta π(W ∪ f(W )) è un aperto di

S1#S2. Basta allora prendere intorni abbastanza piccoli per concludere. Con di-

mostrazione analoga si risolve il caso in cui x1, x2 ∈ X. Rimane da dimostrare che

ogni punto possiede un intorno aperto omeomorfo a

(x, y) : x2 + y2 < 1

ma ciò

è praticamente ovvio, per come è definita ≈.

DEFINIZIONE 46. Chiameremo superficie orientabile di genere g ≥ 1 la somma

connessa Sg del Toro T 2 con se stesso g volte, ossia

Sg := T 2#T 2#...#T 2 g volte.

Chiameremo invece superficie non orientabile di genere r ≥ 1 la somma connessa

S[r] del Piano Proiettivo P2R con se stesso r volte, ossia

S[r] := P2R#P2

R#...#P2R r volte.

La superficie compatta orientabile S2 non è altro che una sorta di Toro con due

buchi (FIGURA 2.3.3).

Abbiamo il seguente importante Teorema di Classificazione. Per una dimostra-

zione può vedersi p. es. [4].

TEOREMA 47. (CLASSIFICAZIONE DELLE SUPERFICI COMPATTE E CONNESSE).Ogni superficie S compatta e connessa è omeomorfa a una tra le seguenti: S2, o Sgper qualche g ≥ 1, o S[r] per qualche r ≥ 1.

2.4.2. OMOLOGIA DELLE SUPERFICI COMPATTE E CONNESSE. Il nostro scopo

è calcolare l’omologia delle superfici compatte connesse. Per fare ciò dobbiamo

riflettere un attimo sulla loro costruzione. E’ possibile ottenere dei modelli di Sg e

S[r] a partire da poligoni topologici con opportune identificazioni dei lati. Pensiamo

ad esempio alla superficie S2 = T 2#T 2. Non è difficile rendersi conto che S2 può

ottenersi attraverso un procedimento simile a quello in FIGURA 2.3.4. In generale,

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2.4. OMOLOGIA DELLE SUPERFICI COMPATTE 37

FIGURA 2.4.4. Costruzione di S2

FIGURA 2.4.5. Costruzione di S[2]

per le superfici del tipo Sg, si avrà a che fare con un poligono con 4g lati. Nel caso

delle superfici del tipo S[r] la situazione è leggermente differente, in ogni caso non

è difficile convincersi che, pensando alla costruzione di S[2] = P2R#P2

R, si perverrà

ad un poligono di 2r lati. Ragionando sempre come su S[2] si capisce come vanno

identificati i lati per realizzare la somma connessa (vedi FIGURA 2.3.5).

Abbiamo allora il seguente Teorema.

TEOREMA 48. Risulta:

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38 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

1) Per ogni g ≥ 1

Hq (Sg) ∼=

Z q = 0, 2Z2g q = 10 q 6= 0, 1, 2

.

2) Per ogni r ≥ 1

Hq

(S[r]

) ∼=

Z q = 0Zr−1 ⊕ Z2 q = 1

0 q 6= 0, 1

.

DIMOSTRAZIONE. Ricordiamo che se Xr è un bouquet di r circonferenze allora

Hq(Xr) ∼=

Z q = 0

Zr = Z⊕ ...⊕ Z q = 10 q 6= 0, 1

.

1) Sia U il poligono senza bordo (quindi contraibile) e V il poligono senza

centro (si retrae a X2g, bouquet di 2g circonferenze, per l’identificazione dei lati).

Allora U ∩ V è omeomorfo al disco bucato (quindi si retrae a S1) e chiaramente

S2g = U ∪ V . Il caso in cui q 6= 0, 1, 2 è allora immediato. Consideriamo allora la

successione esatta

0 −→ H2(U ∩ V )ϕ∗−→ H2(U)⊕H2(V )

ψ∗−→ H2(Sg)∆∗−→

∆∗−→ H1(U ∩ V )ϕ∗−→ H1(U)⊕H1(V )

ψ∗−→ H1(Sg)∆∗−→

∆∗−→ H0(U ∩ V )ϕ∗−→ H0(U)⊕H0(V )

ψ∗−→ H0(Sg)∆∗−→ 0,

che, a meno di isomorfismi, si riduce a

0ψ∗−→ H2(S2g)

∆∗−→ Z ϕ∗−→ 0 ⊕ Z2g ψ∗−→ H1(Sg)∆∗−→

∆∗−→ Z ϕ∗−→ Z⊕ Z ψ∗−→ H0(Sg) ∼= Z ∆∗−→ 0

(si ricordi che S2g è connessa per archi). Dobbiamo allora calcolare H2(Sg) e

H1(Sg). Per concludere su H2(Sg) basta allora dimostrare che H2(Sg)∆∗−→ Z è

un isomorfismo con l’immagine, ma ciò è ovvio dato che la successione è esatta,

inoltre Z ϕ∗−→ 0⊕ Z2g è l’omomorfismo nullo (si pensi, ad esempio, al Toro) e quin-

di im∆∗ = kerϕ∗ ∼= Z. Per concludere su H1(Sg) basta dimostrare che Z ϕ∗−→ Z⊕Zè iniettiva. Ma ciò segue dal fatto che la successione è esatta (e per quanto detto

relativamente a Z ϕ∗−→ 0⊕ Z2g).

2) Analogamente al caso precedente sia U il poligono senza bordo, V il poligo-

no con bordo ma senza centro. Anche in questo caso U è contraibile, V si retrae a

Xr, il bouquet di r circonferenze, e U ∩V si retrae su S1. Ancora una volta l’asserto

è ovvio per q 6= 0, 1, 2, altrimenti abbiamo

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2.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI 39

0 −→ H2(U ∩ V )ϕ∗−→ H2(U)⊕H2(V )

ψ∗−→ H2(S[r])∆∗−→

∆∗−→ H1(U ∩ V )ϕ∗−→ H1(U)⊕H1(V )

ψ∗−→ H1(S[r])∆∗−→

∆∗−→ H0(U ∩ V )ϕ∗−→ H0(U)⊕H0(V )

ψ∗−→ H0(S[r])∆∗−→ 0,

che, a meno di isomorfismi, diventa

0ψ∗−→ H2(S[r])

∆∗−→ Z ϕ∗−→ 0 ⊕ Zr ψ∗−→ H1(S[r])∆∗−→

∆∗−→ Z ϕ∗−→ Z⊕ Z ψ∗−→ H0(S[r]) ∼= Z ∆∗−→ 0,

ricordando che S[r] è connessa per archi. Consideriamo l’omomorfismo Z ϕ∗−→ 0 ⊕Zr. A differenza del caso precedente, tale omomorfismo è non nullo, dato che

manda 1 ∈ Z in (0, (2, 2, ..., 2)) ∈ 0 ⊕ Zr (per vederlo si rifletta sul caso r = 1,

cioè su P2R). Pertanto 0

ψ∗−→ H2(S[r])∆∗−→ 0, essendo im∆∗ = kerϕ∗ = 0 e dunque

H2(S[r]) = 0. Per concludere su H1(S[r]) osserviamo che l’omomorfismo Z ϕ∗−→Z⊕Z è iniettivo, dato che la successione è esatta, quindi imψ∗ = ker ∆∗ = H1(S[r]).Ma imψ∗ = Zr/2Zr è isomorfo a Zr−1 ⊕ Z2 in quanto l’omomorfismo

(x1, ..., xr) −→ (x1 − xr, ..., xr−1 − xr, [xr]2)

(con [h]2 intendiamo la classe resto modulo 2 di h) ha come nucleo il sottogruppo

2Zr, come si vede facilmente. In definitiva H1(S[r]) ∼= Zr−1 ⊕ Z2.

2.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI

Ricordiamo la seguente:

DEFINIZIONE 49. Sia (A,+, ) un anello e sia (G,×) un gruppo abeliano. Si

dice che G è un A-modulo se è assegnata un’operazione di prodotto ∗ : A×G→ G

tale che, per ogni a1, a2 ∈ A, g1, g2 ∈ G si abbia

(1) a1 ∗ (g1 × g2) = a1 ∗ g1 × a1 ∗ g2,

(2) a1 ∗ (a2 ∗ g1) = (a1 a2) ∗ g1,

(3) (a1 + a2) ∗ g1 = a1 ∗ g1 × a2 ∗ g2.

Osserviamo esplicitamente che se (A,+, ) è un campo, si ottiene la definizione

di A-spazio vettoriale.

Ogni gruppo abeliano (G,+) può essere considerato uno Z-modulo, definendo

il prodotto nel modo seguente

n ∗ g =

g+...+g

n volten > 0,

0 n = 0,(−g)+...+(−g)

n volten < 0.

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40 2. LA SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

DEFINIZIONE 50. Si definisce rango di un gruppo abeliano (G,+), denotato

con rg(G), il massimo numero r di suoi elementi linearmente indipendenti, ovvero

tali che

n1g1 + ...+ nrgr = idG, con n1, ..., nr ∈ Z ⇔ ni = 0 per i = 1, ..., r.

ESEMPIO 51. Il gruppo abeliano (Z2,+) ha rango 0, risultando 2 · 1 = 0. In

generale, ogni gruppo ciclico di ordine finito ha rango nullo. Il gruppo Zr−1 ⊕ Z2

ha invece rango r − 1, come è immediato verificare.

DEFINIZIONE 52. Sia X uno spazio topologico tale che i gruppi di omologia

singolari Hq(X) siano tutti finitamente generati. L’intero bq = rg (Hq (X)) si dice

q-esimo numero di Betti di X.

ESEMPIO 53. Per esempio, per le superfici topologiche compatte, abbiamo:

bq(Sg) =

1 se q = 0, 2,2g se q = 1,0 altrimenti.

bq(S[r]) =

1 se q = 0,

r − 1 se q = 1,0 altrimenti.

DEFINIZIONE 54. Si dice Caratteristica di Eulero di X, spazio topologico tale

che tutti i gruppi di omologia singolare siano finitamente generati, la somma a

segni alterni dei numeri di Betti (quando tale somma è finita), cioè

χ (X) :=∑q∈N

(−1)q bq.

Ad esempio χ (Sg) = 2− 2g e χ(S[r]

)= 2− r.

E’ possibile, con ovvie varianti, trattare il caso dell’omologia singolare a coeffi-

cienti in un gruppo abeliano G. In tal modo si scrive

Qq (X;G) :=

∑finite

gαTα : gα ∈ G, Tα : Iq −→ X continue

,

Dq (X;G) :=

∑finite

gαTα : gα ∈ G, Tα : Iq −→ X continue e degeneri

,

Cq (X,G) :=Qq (X;G)Dq (X;G)

, ∂q : Cq (X;G) −→ Cq−1 (X;G)

la cui omologia verrà denotata con Hq (X;G). Valgono, con gli stessi argomenti

per dimostrarle, le seguenti proprietà:

(1) Funtorialità.

(2) Invarianza Omotopica.

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2.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI 41

(3) Omologia del punto

Hq (pt;G) =

G, q = 00, q 6= 0

.

(4) Successione di Mayer-Vietoris.

Due scelte interessanti si ottengono quando G = Z2, dove in particolare

Hq (Sg;G) =

Z2, q = 0, 2Z2g

2 , q = 1, Hq

(S[r];G

)=

Z2, q = 0Zr2, q = 1

,

e G = R dove:

Hq (Sg;G) =

R, q = 0, 2R2g, q = 1

, Hq

(S[r];G

)=

R, q = 0

Rr−1, q = 1.

In particolare nel caso delle superfici non orientabili, con la scelta dei coefficienti

nel campo R scompare il sottogruppo di torsione, l sottogruppo di Hq(X; Z) co-

stituito dagli elementi di ordine finito. Considerando a titolo di esempio il piano

proiettivo, rappresentato come poligono topologico con identificazione, si vede su-

bito che il ciclo c1 costituito dalla retta all’infinito non è un bordo se consideriamo

l’omologia a coefficienti interi, ma lo è nell’omologia a coefficienti reali: infatti c1 è

bordo di 12c2, essendo c2 la 2-catena del poligono rappresentante.

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CAPITOLO 3

COOMOLOGIA DI DE RHAM

3.1. FORME DIFFERENZIALI SU APERTI DI Rn

Siano (x1, x2, ..., xn) coordinate standard in Rn. Un’espressione formale del

tipo

∑1≤i1<...<iq≤n

ai1,i2,..,iqdxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq ,

dove (i1, ..., iq) ∈ Nq e gli ai1,i2,..,iq sono numeri reali, di dice q-forma esterna in Rn.

L’insieme delle q-forme esterne su Rn, denotato con Ωq, è uno spazio vettoriale

reale, come si vede facilmente. Una base per tale spazio è l’insieme

S =dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq

1≤i1<...<iq≤n

e dunque Ωq ha dimensione(nq

), risultando lo spazio vettoriale reale generato

dagli elementi di S. La somma diretta

Ω∗ :=n⊕q=0

Ωq,

dove poniamo per definizione Ω0 := R, si dice spazio delle forme esterne su Rn ed

ha dimensione∑nq=0

(nq

)= 2n, avendo come base l’insieme

n⋃q=0

dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq

1≤i1<...<iq≤n

.

Nello spazio delle forme esterne su Rn si può definire un prodotto ∧, detto prodottoesterno, che opera nel modo seguente(

dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq1)∧(dxj1 ∧ dxj2 ∧ ... ∧ dxjq2

)=

= dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq1 ∧ dxj1 ∧ dxj2 ∧ ... ∧ dxjq2e per il quale dxi∧dxj = −dxj∧dxi per ogni i, j (da ciò discende che dxi∧dxi = 0).

Con tale prodotto, esteso in modo ovvio alle forme esterne, Ωq diventa un’algebragraduata detta algebra delle forme esterne. Si noti che se a ∈ Ωp e b ∈ Ωq allora

a ∧ b = (−1)pqb ∧ a.

DEFINIZIONE 55. Sia U ⊂ Rn un aperto e siano x = (x1, ..., xn) coordinate

su U . Una q-forma differenziale su U è un’espressione formale del tipo

ω(x) :=∑

1≤i1<...<iq≤n

fi1,i2,..,iq (x)dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq ,

43

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44 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

dove (i1, ..., iq) ∈ Nq ed ogni fi1,i2,..,iq è una funzione in C∞(U). Spesso deno-

teremo una q-forma differenziale ω(x) semplicemente con ω, sottintendendo la

dipendenza da x ∈ U .

Denotando con Ωq(U) l’insieme delle q-forme differenziali su U , abbiamo che

tale insieme è uno spazio vettoriale reale di dimensione infinita (poniamo per

definizione Ω0 coincidente con C∞(U)). La somma diretta

Ω∗(U) :=n⊕q=0

Ωq(U)

è ancora uno spazio vettoriale di dimensione infinita per il quale è possibile definire

un prodotto esterno ∧ similmente alle forme esterne su Rn. Sulla struttura di tale

spazio, detto algebra delle forme differenziali torneremo tra poco, notiamo però che

anche in questo caso, se ω ∈ Ωq(U) e τ ∈ Ωp(U) allora ω ∧ τ = (−1)pqτ ∧ ω.

NOTAZIONE. Molto spesso sarà utile denotare una forma differenziale utiliz-

zando multiindici. Precisamente ponendo I = (i1, ..., iq) ∈ Nq con 1 ≤ i1 < i2 <

... < in ≤ n, si scriverà

ω =∑

fIdxI

dove fI := fi1,i2,..,iq e dxI := dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq . Poniamo infine |I| = q.

DEFINIZIONE 56. Data la q-forma differenziale

ω =∑

1≤i1<...<iq≤n

fi1,i2,..,iqdxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq

definiamo il differenziale (esterno) di ω come la (q+1)- forma

dω :=∑

1≤i1<...<iq≤n e j=1,..,n

∂fi1,i2,..,iq∂xj

dxj ∧ dxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq ,

che con la notazione in multiindici diventa

dω :=∑I,j

∂fI∂xj

dxj ∧ dxI .

Associando ad ogni q-forma differenziale il suo differenziale esterno si ottiene

un’applicazione lineare

d = dq : Ωq(U) −→ Ωq+1(U)

che chiameremo differenziale esterno.

OSSERVAZIONE 57. Una definizione alternativa di differenziale si ottiene

richiedendo che d soddisfi le seguenti proprietà:

i) Se q = 0 allora

df :=n∑i=1

∂fi∂xi

dxi.

ii) Se q > 0 e ω =∑I fIdxI allora

dω :=∑I

dfI ∧ dxI .

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3.1. FORME DIFFERENZIALI SU APERTI DI Rn 45

Il prossimo Lemma pone in relazione prodotto esterno e differenziale esterno.

LEMMA 58. Se τ ∈ Ωp(U) e ω ∈ Ωq(U) allora

d(τ ∧ ω) = dτ ∧ ω + (−1)pτ ∧ dω,

vale a dire d è un’antiderivazione.

DIMOSTRAZIONE. Siccome d è un’applicazione lineare, è sufficiente dimostra-

re il Lemma quando ω = fIdxI e τ = gJdxJ dove I = (i1, ..., iq) ∈ Nq e J =(j1, ..., jp) ∈ Np (ossia quando ω e τ sono monomi). Risulta allora dτ = dfI ∧ dxIe dω = dgJ ∧ dxJ , quindi per la definizione di differenziale e per le proprietà del

prodotto esterno

d(τ ∧ ω) = d (gJfIdxJ ∧ dxI) = d (gJfI) ∧ dxJ ∧ dxI =

= [(dgJ)fI + gJ(dfI)] ∧ dxJ ∧ dxI =

= fI(dgJ ∧ dxJ ∧ dxI) + gJ(dfI ∧ dxJ ∧ dxI) =

= (dgJ ∧ dxJ) ∧ fIdxI + (−1)p(gJdxJ) ∧ (dfI ∧ dxI).

Il Lemma è utile per la dimostrazione del seguente importante:

TEOREMA 59. d2 = 0.

DIMOSTRAZIONE. Dobbiamo dimostrare che dq+1 dq = 0 per ogni q. Suppo-

niamo q = 0. Per ogni f ∈ C∞(U) risulta

d(df) = d

(n∑i=1

∂fi∂xi

dxi

)=

n∑i=1

d

(∂f

∂xi

)∧ dxi =

=n∑i=1

n∑j=1

∂2f

∂xj∂xidxj

∧ dxi =n∑

i,j=1

∂2f

∂xj∂xidxj ∧ dxi.

Dato che ∂2f∂xj∂xi

= ∂2f∂xi∂xj

, la tesi segue dalle proprietà del prodotto esterno. Sup-

poniamo q > 0 e sia ω =∑I fIdxI con |I| = q. Allora

d2ω = d

(∑I

dfI ∧ dxI

)=∑I

d (dfI ∧ dxI) =

=∑I

[d2fI ∧ dxI + (−1)qd (dxI) ∧ dfI

]= 0

perchè d2fI = 0 = d(dxI).

Il Teorema precedente mostra che la famiglia

Ω·(U) = (Ωq(U), dq)q∈Z ,

dove poniamo dq = 0 e Ωq(U) = 0 se q < 0, è un complesso di cocatene, ossia il

differenziale esterno dq va da Ωq(U) a Ωq+1(U) (nei complessi di catene ∂q andava

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46 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

da Cq a Cq−1). Osserviamo poi che da Ω·(U) è possibile definire il complesso dicatene opposto

Ωopp· (U) :=

(Ωopp−q (U), dq

)q∈Z

dove Ωopp−q = Ωq di modo che dq : Ω−q −→ Ω−q−1. In definitiva se U è un aperto di

Rn risulta individuata la successione di applicazioni lineari:

Ω0(U) d−→ Ω1(U) d−→ ...d−→ Ωq(U) d−→ ......

d−→ Ωn−1(U) d−→ Ωn(U),

e per ogni q possiamo allora definire i seguenti sottospazi:

Zq(U) := ker dq = q-forme differenziali chiuse ,

Bq(U) := imdq−1 = q-forme differenziali esatte .

Dal fatto che d2 = 0 segue immediatamente che Bq(U) ⊆ Zq(U).

DEFINIZIONE 60. Lo spazio vettoriale quoziente

HqdR(U) := Zq(U)/Bq(U)

si dice q-esimo spazio di coomologia di De Rham dell’aperto U ⊂ Rn.

ESEMPIO 61. Se U è un qualsiasi aperto di R3 abbiamo i seguenti isomorfismi

Ω0(U) −→ Ω3(U), f −→ fdx ∧ dy ∧ dz;

Ω1(U) −→ Ω2(U), f1dx+ f2dy + f3dz −→ f1dy ∧ dz + f3dz ∧ dx+ f3dx ∧ dy.

Osserviamo poi che Ω1(U) (e quindi anche Ω2(U)) è isomorfo allo spazio vettoriale

dei campi vettoriali U −→ R3 di classe C∞. Si riconosce quindi che d0 coincide con

l’operatore gradiente, e molto semplicemente anche che d1 coincide con l’operatore

rotore e d2 con l’operatore divergenza.

Può essere utile formalizzare le precedenti definizione con la seguente situa-

zione algebrica.

DEFINIZIONE 62. Sia R un anello commutativo. Un’algebra su R è un R-

modulo A su cui sia definita un’operazione binaria e bilineare di prodotto

∗ : A×A→ A,

(a, b) 7→ ab.

Se la coppia (A, ∗) risulta anche un monoide, ovvero il prodotto è associativo e

possiede un elemento neutro, si dice che A è un’algebra associativa. Un anello gra-duato A è un’anello che ammette una decomposizione in somma diretta di gruppi

abeliani additivi

A =⊕n∈Z

An

tale che l’operazione di prodotto soddisfi

a ∈ Ai, b ∈ Aj ⇒ ab ∈ Ai+j

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3.1. FORME DIFFERENZIALI SU APERTI DI Rn 47

ovvero AiAj ⊂ Ai+j per ogni i, j ∈ Z. Gli elementi di An si dicono omogenei digrado n e un ideale I di A si dice omogeneo se per ogni a ∈ I allora ak ∈ I per ogni

k, dove a = a1 + ... + ak + ... con ak ∈ Ak. Se I è un ideale omogeneo di A allora

anche AI ha struttura di anello graduato con

A

I=⊕n∈Z

An ∩ II

.

Un’algebra graduata è una R-algebra (A,+,×) tale che A, rispetto all’operazio-

ne di prodotto, sia un anello graduato. Un’algebra graduata si dice commutativa insenso graduato se, per ogni a ∈ Ai, b ∈ Aj , i, j ∈ Z si ha

a× b = (−1)ijb× a.

Un’algebra graduata C =⊕

n∈Z Cn che sia anche un complesso di cocatene

...→ Cq−1dq−1

→ Cqdq→ Cq+1 → ...

si dice infine un complesso differenziale e la coomologia di C come complesso di

cocatene da luogo a sua volta a un’algebra graduata H∗(C) =⊕

n∈Z Hq(C).

ALGEBRA DELLE FORME DIFFERENZIALI E ALGEBRA DI COOMOLOGIA SU APERTI

U ⊂ Rn. Vogliamo ora approfondire alcuni aspetti riguardanti lo spazio vettoria-

le Ω∗(U). È possibile definire su di esso un prodotto, il prodotto esterno ∧, nel

seguente modo:

ω ∧ τ =∑I,J

fIgJdxI ∧ dxJ , per ogni ω ∈ Ωq(U), τ ∈ Ωp(U),

quindi il prodotto di una q-forma con una p-forma è una (q+p)-forma. Il prodotto

esterno non è commutativo dal momento che dxi ∧ dxj = −dxj ∧ dxi per ogni i, j

(e quindi dxi ∧ dxi = 0) e dunque ω ∧ τ = (−1)pqτ ∧ ω. Dunque Ω∗(U) è uno

spazio vettoriale reale ed un anello commutativo in senso graduato, intendendo con

quest’ultima espressione che la proprietà commutativa del prodotto è regolata dai

gradi delle forme fattore secondo la seguente proprietà:

ω ∧ τ = (−1)pqτ ∧ ω.

Come abbiamo visto, il differenziale esterno agisce sul prodotto di forme differen-

ziali secondo la formula:

d(ω ∧ τ) = dω ∧ τ + (−1)qω ∧ dτ,

dove ω è una q-forma differenziale e τ una p-forma differenziale. Lavorando poi

con i sottospazi vettoriali Ωq(U) abbiamo definito i sottospazi Zq(U) e Bq(U), per

i quali Bq(U) ⊆ Zq(U). Consideriamo allora le somme dirette:

Z∗(U) :=n⊕q=0

Zq(U), B∗(U) :=n⊕q=0

Bq(U)

per i quali si avrà, ovviamente, B∗(U) ⊆ Z∗(U). Abbiamo il seguente importante:

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48 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

COROLLARIO 63. Nell’algebra graduata

Ω∗(U) = (ω0, ω1, ..., ωn) : ωq ∈ Ωq(U) per ogni q

le somme dirette Z∗(U) e B∗(U) sopra definite sono sottoalgebre di Ω∗(U) e B∗(U) èun ideale di Z∗(U).

DIMOSTRAZIONE. 1) Z∗(U) è un sottoanello di Ω∗(U), infatti se ω ∈ Zq(U) e

τ ∈ Zp(U) allora d(ω ∧ τ) = dω ∧ τ + (−1)qω ∧ dτ = 0, quindi ω ∧ τ ∈ Z∗(U).2) B∗(U) è un sottoanello di Ω∗(U), infatti se ϕ1 ∈ Bq(U) e ϕ2 ∈ Bp(U) allora

ϕ1 = dω e ϕ2 = dτ , con ω (q−1)-forma differenziale e τ (p−1)-forma differenziale.

Allora

d(ω ∧ ϕ2) = dω ∧ ϕ2 + (−1)pω ∧ dϕ2 = dω ∧ ϕ2 = ϕ1 ∧ ϕ2.

3) B∗(U) è un ideale di Z∗(U). E’ sufficiente dimostrare, per le proprietà del

prodotto esterno, che ω∧τ ∈ Z∗(U) per ogni ω ∈ Zq(U) e τ = dϕ ∈ Bq(U). Risulta

ω ∧ τ = ω ∧ dϕ = (−1)qd(ω ∧ ϕ).

Il Corollario precedente ci permette di dare la seguente definizione con la quale

concludiamo questa prima sezione.

DEFINIZIONE 64. L’algebra quoziente

H∗dR(U) := Z∗(U)/B∗(U)

si dice algebra di coomologia di de Rham di U ⊂ Rn (che nel seguito verrà denotata

anche con H∗ (M)).

Risulta quindi:

H∗dR(U) =n⊕q=0

HqdR(U).

3.2. APPLICAZIONI DIFFERENZIABILI E VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Siano (x1, ..., xn) e (y1, ..., ym) coordinate standard rispettivamente in Rn e Rm.

Un’applicazione f : Rn −→ Rm è definita mediante le sue componenti, ovvero il

sistema di funzioni scalari

f(x1, ..., xn) = (f1(x1, ..., xn), ..., fm(x1, ..., xn)).

Si pone dunque yi = fi(x1, ..., xn) per ogni i = 1, ...,m. Diremo che f : Rn −→ Rm

è di classe C∞ se le sue componenti fi : Rn −→ R, i = 1, ...,m, sono funzioni di

classe C∞. Quando n = m diremo che f : Rn −→ Rn è un diffeomorfismo se è

un omeomorfismo di classe C∞ insieme al suo inverso. Da ora in avanti utilizze-

remo, per le forme differenziali, una notazione mista tra indici e multiindici. Ogni

applicazione f : Rn −→ Rm di classe C∞ induce un’applicazione

f# : Ω0(Rm) −→ Ω0(Rn), f ](g) = g f

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3.2. APPLICAZIONI DIFFERENZIABILI E VARIETÀ DIFFERENZIABILI 49

che è, evidentemente, lineare. In generale se

ω =∑J

gJdyj1 ∧ ... ∧ dyjq , con J = (j1, ..., jq) ∈ Nq,

è una q-forma differenziale su Rm è definita un’applicazione

f ] : Ωq(Rm) −→ Ωq(Rn), f ](ω) =∑J

(gJ f) dfj1 ∧ ... ∧ dfjq .

TEOREMA 65. Nelle notazioni precedenti, il diagramma

(3.2.1)

...dq−2

−−−−→ Ωq−1(Rm) dq−1

−−−−→ Ωq(Rm) dq−−−−→ Ωq+1(Rm) dq+1

−−−−→ ...

f]y f]

y f]y

...dq−2

−−−−→ Ωq−1(Rn) dq−1

−−−−→ Ωq(Rn) dq−−−−→ Ωq+1(Rn) dq+1

−−−−→ ...

è commutativo.

DIMOSTRAZIONE. Bisogna dimostrare che d f ] = f ] d. Per la linearità è

sufficiente verificare il Teorema sui monomi. Sia ω = gJdyj1 ∧ ... ∧ dyjq ∈ Ωq(Rm).Abbiamo allora che

d(f ](gJdyj1 ∧ ... ∧ dyjq

))= d

((gJ f) dfj1 ∧ ... ∧ dfjq

)= d (gJ f) dfj1 ∧ ... ∧ dfjq

mentre

f ](d(gJdyj1 ∧ ... ∧ dyjq

))= f ]

(dgJ ∧ dyj1 ∧ ... ∧ dyjq

)=

= f ]

(m∑i=1

∂gJ∂yi

dyi ∧ dyj1 ∧ ... ∧ dyiq

)=

[m∑i=1

(∂gJ∂yi f)dfi

]∧ dfj1 ∧ ... ∧ dfjq =

=

[m∑i=1

(∂gJ∂yi f) n∑k=1

∂fi∂xk

dxk

]∧ dfj1 ∧ ... ∧ dfjq =

=

∑i,k

(∂gJ∂yi f)∂fi∂xk

dxk

∧ dfj1 ∧ ... ∧ dfjq = d (gJ f) dfj1 ∧ ... ∧ dfjq

e così l’asserto è dimostrato.

Il prossimo Teorema esprime il buon comportamento del differenziale rispetto

ai cambiamenti di coordinate.

TEOREMA 66. Il differenziale esterno è invariante in forma sotto cambiamentidi cordinate indotti da diffeomorfismi. Vale a dire se (x1, ..., xn) sono le coordinatestandard su Rn e (y1, ..., yn) un’altro sistema di coordinate su Rn (supponiamo allorache f sia un diffeomorfismo tale che f(x1, ..., xn) = (y1, ..., yn)) e se ω =

∑J gJdyJ

allora dω =∑J (dgJ) ∧ dyJ .

DIMOSTRAZIONE. Se g ∈ Ω0(Rn), esprimendo g nelle coordinate standard,

risulta che

dg =n∑i=1

∂g

∂xidxi

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50 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

mentre nell’altro sistema di coordinate si avràn∑j=1

∂g

∂yjdyj =

n∑j=1

∂g

∂yj

(n∑i=1

∂yj∂xi

dxi

)=

n∑j,i=1

∂g

∂yj

∂yj∂xi

dxi =

=n∑i=1

∂g

∂xidxi = dg.

Più in generale se ω =∑J gJ(y1, ..., yn)dyJ , cambiando coordinate, si può scrivere

ω =∑J

gJ(y1, ..., yn)dyJ =∑J,I

gJ(x1, ..., xn)∣∣∣∣∂yJ∂xI

∣∣∣∣ dxIdove

∣∣∣∂yJ∂xI

∣∣∣ indica il determinante jacobiano e gJ = gJ f−1. Pertanto

dω = d

∑J,I

gJ(x1, ..., xn)∣∣∣∣∂yJ∂xI

∣∣∣∣ dxI =

∑J,I

d

(gJ(x1, ..., xn)

∣∣∣∣∂yJ∂xI

∣∣∣∣) ∧ dxI =

=∑I,J

d (gJ(x1, ..., xn))∣∣∣∣∂yJ∂xI

∣∣∣∣ ∧ dxI +∑I,J

gJ(x1, ..., xn)d(∣∣∣∣∂yJ∂xI

∣∣∣∣) ∧ dxI .Notiamo allora che il primo addendo non è che

∑J dgJdyJ (per quanto dimostrato

inizialmente) mentre il secondo addendo è nullo.

OSSERVAZIONE 67. Per ogni applicazione differenziabile f : Rm −→ Rn,

segue dai precedenti enunciati che l’applicazione f ] : Ωq (Rn) −→ Ωq (Rm) por-

ta forme chiuse in forme chiuse, forme esatte in forme esatte, e induce pertanto

un’applicazione lineare f∗ : HqdR (Rn) −→ Hq

dR (Rm), per ogni q ≥ 0. Le applica-

zioni lineari f ] rispettano anche la struttura moltiplicativa dell’algebra delle forme

differenziali, e dunque le f∗ la struttura moltiplicativa della coomologia. entrambe

le famiglie di applicazioni lineari possono quindi compendiarsi in omomorfismi di

algebre

f ] : Ω∗ (Rn) −→ Ω∗ (Rm) , f∗ : H∗dR (Rn) −→ H∗dR (Rm) .

L’invarianza dell’espressione del differenziale rispetto a cambiamenti di coordi-

nate, derivante dall’ultimo risultato dimostrato, ci permette di definire il complesso

di de Rham anche su spazi che non sono necessariamente aperti di Rn (o sottospazi

di Rn) e la categoria naturale per fare ciò è quella delle Varietà Differenziabili. Avre-

mo dunque un funtore dalla categoria delle varietà differenziabili, con morfismi le

applicazioni differenziabili, alla categoria degli spazi vettoriali reali, con morfismi

le applicazioni lineari tra spazi vettoriali, e tale funtore risulta controvariante.

VARIETÀ DIFFERENZIABILI. In questa sottosezione richiamiamo brevemente al-

cuni concetti di Geometria Differenziale. Ricordiamo che una varietà topologicaM di dimensione n è uno spazio topologico di Hausdorff a base numerabile tale

che ogni suo punto possieda un intorno aperto omeomorfo alla palla aperta di Rn

(che possiamo supporre centrata nell’origine e di raggio 1). Un atlante della varietà

topologica M è una famiglia (Ua, fa)a∈A dove gli Ua sono aperti la cui unione

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3.2. APPLICAZIONI DIFFERENZIABILI E VARIETÀ DIFFERENZIABILI 51

è M (ossia Uaa∈A è un ricoprimento di M) ed ogni fa è un omeomorfismo tra

Ua ed una palla aperta di Rn. Ogni coppia (Ua, fa) si dice carta locale e definisce

quello che si può chiamare un sistema di coordinate locali intorno ad ogni punto

contenuto in Ua. Evidentemente ogni varietà topologica è dotata di atlante. Per

ogni Ua ∩ Ub 6= ∅ le composizioni

fa f−1b : fb(Ua ∩ Ub) −→ fa(Ua ∩ Ub)

si dicono funzioni di transizione (sono omeomorfismi tra aperti di Rn) e fornisco-

no i cambiamenti di coordinate su M (questo vuol dire che i punti di M possono

esser rappresentati da diversi sistemi di coordinate locali). Diremo che un atlan-

te (Ua, fa)a∈A è C∞, o differenziabile, quando le funzioni di transizione sono

diffeomorfismi di classe C∞(e diciamo che le carte sono C∞ compatibili).

DEFINIZIONE 68. Diremo che una varietà topologica M è dotata di una strut-tura differenziabile o C∞ se possiede un atlante differenziabile che sia massimale

rispetto all’inclusione. Una varietà topologica di dimensione n dotata di una strut-

tura differenziabile si dice varietà differenziabile di dimensione n o semplicemente

varietà di dimensione n.

Per le varietà differenziabili è possibile dare la definizione di funzione differen-

ziabile.

DEFINIZIONE 69. Una funzione f : U −→ R, dove U è un aperto della

varietà M con struttura differenziabile definita dall’atlante (Ua, fa)a∈A, si dirà

differenziabile se è differenziabile la funzione

f f−1a : fa(U ∩ Ua) −→ R

per ogni a ∈ A.

Per ogni punto p ∈ U esiste un aperto Ua contenente p. Si definisce la derivatadi f calcolata in p come

∂f

∂xi(p) =

∂(f f−1a )

∂xi(fa(p))

dove (x1, ..., xn) sono le coordinate locali di p. Questa definizione è ben posta

rispetto a cambiamenti di coordinate, nel senso che se l’applicazione fb definisce

intorno a p il sistema di coordinate locali (y1, ..., yn) diverso da quello indotto da faallora, in un opportuno intorno di p, si può scrivere

∂f

∂yj(p) =

∂(f f−1b )

∂yj(fb(p)) =

∂(f f−1a fa f−1

b )∂yj

(fb(p)) =

=n∑i=1

∂(f f−1a )

∂xi(fa(p))

∂xi∂yj

(fb(p)) =n∑i=1

∂f

∂xi(p)

∂xi∂yj

(p)

dove abbiamo posto(fa f−1

b

)(y1, ..., yn) = (x1, ..., xn), da cui si vede come la for-

mula di derivazione dipenda dal cambiamento di coordinate. Da ora in poi pense-

remo ad M dotata della struttura differenziabile indotta dall’ atlante (Ua, fa)a∈A.

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52 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

DEFINIZIONE 70. Lo spazio tangente ad M in p, denotato con TpM , è lo

spazio vettoriale generato dagli operatori ∂∂x1

(p), ..., ∂∂xn

(p) ed un campo di vettorisu Ua è una combinazione lineare

Xa =n∑i=1

fi∂

∂xi

dove le fi : Ua −→ R sono tutte funzioni differenziabili.

Si vede facilmente, con considerazioni analoghe alle precedenti, che se (y1, ..., yn)sono altre coordinate locali intorno a p ∈ Ua allora

∂xi=

n∑j=1

∂yj∂xi

∂yj.

Un campo di vettori su M è una collezione di campi di vettori della forma Xa

(campo si vettori su Ua), per ogni a ∈ A, tali che Xa e Xb coincidano su Ua ∩ Ub,per ogni a, b ∈ A. Analogamente abbiamo la seguente definizione.

DEFINIZIONE 71. Sia U ⊂M un aperto dell’atlante che definisce la struttura

differenziale diM . Diremo che ωU è una forma differenziale su U se, coerentemente

a quanto definito nel precedente capitolo, è una combinazione lineare formale del

tipo

ωU :=∑

1≤i1<...<iq≤n

fi1,i2,..,iqdxi1 ∧ dxi2 ∧ ... ∧ dxiq ,

dove i coefficienti sono funzioni differenziabili da U in R. Una forma differenziale ωsu M è una collezione di forme differenziali ωU definite sugli aperti U dell’atlante

di M che siano compatibili sulle intersezioni, vale a dire se i : U ∩ V −→ U ,

j : U ∩ V −→ V sono le inclusioni, allora

i] (ωU ) := ωU i = j] (ωV ) := ωV j.

Da quanto osservato relativamente ai cambiamenti di coordinati, risulta chiaro

come il differenziale esterno d ed il prodotto esterno sono ben definiti dalle loro

espressioni locali anche per le forme differenziali (globali) su varietà. Infatti poiché

risulta i] (τ ∧ ω) = i] (τ)∧ i] (ω), j] (τ ∧ ω) = j] (τ)∧ j] (ω), isharp (dω) = d(i] (ω)

)e j] (dω) = d

(j] (ω)

), sia ∧ che d si estendono allo spazio vettoriale Ω∗ (M) delle

forme differenziali su M . Ω∗ (M) è ancora un’algebra graduata commutativa (cioè

ω ∧ τ = (−1)pqτ ∧ ω) e quindi possiamo considerare il complesso di cocatene

Ω· (M) := (Ωq (M) , dq)q∈Z

detto complesso di de Rham di M . La coomologia di tale complesso si dice coomolo-gia di de Rham di M

H∗dR (M) := ker d/imd, dove d : Ω∗ (M) −→ Ω∗ (M)

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3.3. PARTIZIONI DELL’UNITÀ E SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS 53

ed eredita la struttura di algebra graduata commutativa

H∗dR (M) =n⊕q=0

HqdR (M) ,

vale a dire [τ ] ∈ HpdR (M) e [ω] ∈ Hq

dR (M) allora

[ω] ∧ [τ ] = (−1)pq [τ ] ∧ [ω] .

DEFINIZIONE 72. Un’applicazione tra varietà f : M −→ N si dice differen-ziabile se si esprime nelle coordinate locali (x1, ..., xm), (y1, ..., yn), rispettivamente

di M ed N , con funzioni differenziabili yi = fi(x1, ..., xm), i = 1, ..., n.

Con lo stesse osservazioni viste in precedenza, un applicazione differenziabile

f : M −→ N induce applicazioni lineari

f ] : Ωq (N) −→ Ωq (M) , f∗ : HqdR (N) −→ Hq

dR (M)

che possono estendersi ad omomorfismi di algebre

f ] : Ω∗ (N) −→ Ω∗ (M) , f∗ : H∗dR (N) −→ H∗dR (M) .

3.3. PARTIZIONI DELL’UNITÀ E SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS

Con le ipotesi fatte sulle varietà che intervengono nel nostro discorso, è possi-

bile dimostrare l’esistenza di partizioni dell’unità subordinate ad un ricoprimento

aperto. Ciò avrà notevoli applicazioni.

DEFINIZIONE 73. Sia M una varietè e U := Uaa∈A un suo ricoprimen-

to aperto. Una partizione dell’unità subordinata ad U è una famiglia di funzioni

ρa : M −→ Ra∈A di classe C∞, non negative e tali che:

a) suppρa := x ∈M : f(x) 6= 0 ⊂ Ua, per ogni a ∈ A;

b) Ogni p ∈M possiede un intorno aperto di M tale che∑a∈A ρa è una somma

finita in tale intorno;

c) Risulta: ∑a∈A

ρa ≡ 1.

La dimostrazione dell’esistenza di tali funzioni poggia sul seguente:

LEMMA 74. Sia Dr := x ∈ Rn : |x| < r. Esiste una funzione f : D3(0) −→ Rdi classe C∞ tale che

f(x) =

1, x ∈ D1

0 ≤ f(x) ≤ 1, x ∈ D2 \D1

0, x ∈ D3 \D2

.

DIMOSTRAZIONE. Consideriamo la funzione C∞ g : R −→ R ottenuta ponendo

g(x) :=

e

−1(t+1)(t+2) , t ∈ [−2,−1]

0, t /∈ [−2,−1].

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54 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

Definiamo, a partire da g, la funzione h(t)

h(t) =

´ t−∞ g(ξ)dξ´ −1

−2g(ξ)dξ

.

Si vede subito che h(t) è ancora di classe C∞. La funzione

f : D3 −→ R, f(x) = k(− |x|)

soddisfa, evidentemente, l’asserto.

Vale quindi il seguente:

TEOREMA 75. M ammette una partizione dell’unità subordinata ad ogni suoricoprimento aperrto.

DIMOSTRAZIONE. Diamo la dimostrazione solo nel caso in cui M sia compatta

(cfr. p. es. [5] per il caso generale). Utilizzando le carte diM si vede facilmente che

per ogni punto p ∈ M esiste una parametrizzazione gp : D3 −→ M tale che Up :=gp (D3) ⊂ Uα, con Uα aperto del ricoprimento U . Poniamo allora Wp := gp (D1) ⊂Up. La famiglia di aperti Wpp∈M ricopre M e quindi esistono p1, ..., ps ∈ M tali

che M si scrive come l’unione di Wp1 , ...,Wps (ovviamente M si scrive anche come

unione di Up1 , ..., Ups). Definiamo allora le funzioni θi ponendo θi = f g−1pi in

Upi e θi = 0 altrimenti (la funzione f è quella del Lemma precedente). Definiamo

infine

ρi :=θi∑si=1 θi

.

Allora

suppρi = suppθi ⊂ Upi ⊂ Uαi ,

inoltre la famiglia ρii=1,...,s soddisfa tutte le proprietà di una partizione dell’unità

subordinata al ricoprimento assegnato.

Nelle stesse ipotesi del Teorema precedente è possibile dimostrare l’esisten-

za di una partizione dell’unità σbb∈B tale che i supporti delle funzioni σb siano

compatti. In questo caso, tuttavia, l’insieme B degli indici è generalmente diverso

dall’insieme A degli indici che descrivono il ricoprimento aperto. .

SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS. Sia M = U∪V una varietà differenziabile,

con U, V due suoi aperti. Le inclusioni

Ui

k

U ∩ V M

j

l

V

inducono le seguenti applicazioni lineari tra spazi vettoriali:

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3.4. LEMMA DI POINCARÉ E INVARIANZA OMOTOPICA 55

0 −→ Ωq (M)ϕq−→ Ωq (U)⊕ Ωq (V )

ψq−→ Ωq (U ∩ V ) −→ 0,

dove ϕq (ω) =(k] (ω) , l] (ω)

), con ω ∈ Ωq (M), e ψq (α, β) = i] (α) − j] (β), con

α ∈ Ωq (U) e β ∈ Ωq (V ). Si riconosce subito che ϕq+1d = dϕq e ψq+1d = dψd

e dunque le famiglie ϕ· := ϕqq∈Z e ψ· := ψqq∈Z sono morfismi di complessi di

cocatene.

TEOREMA 76. La successione di complessi di cocatene

0 −→ Ω· (M)ϕ·−→ Ω· (U)⊕ Ω· (V )

ψ·−→ Ω· (U ∩ V ) −→ 0

è esatta corta.

DIMOSTRAZIONE. Si deve dimostrare che ϕ· , ψ· è suriettiva e imϕ· = kerψ·.Se ω ∈ Ω· (M) è tale che ϕ· (ω) = (0, 0) allora ωU = ωV = 0 e ciò implica che ω = 0,

pertanto ϕ· è iniettiva. Supponiamo ora (ωU , ωV ) = ϕ·(ω) con ω ∈ Ω· (M). Risulta

ψ· (ωU , ωV ) = i· (ωU )− j· (ωV ) = 0 ovviamente, quindi imϕ· ⊂ kerψ·. L’inclusione

inversa è ovvia. Rimane da dimostrare che ψ· è suriettiva. Sia ω ∈ Ω· (U ∩ V )e sia ρ1, ρ2 una partizione dell’unità subordinata al ricoprimento aperto U, V di M . Risulta (ρ1ω,−ρ2ω) ∈ Ω· (U) ⊕ Ω· (V ), come si vede facilmente. Pertanto

ψ· (ρ1ω,−ρ2ω) = (ρ1 + ρ2)ω = ω.

COROLLARIO 77. (SUCCESSIONE DI MAYER-VIETORIS). Sia M = U ∪ V , conU, V aperti di M . Si ha una successione esatta lunga di coomologia

...∆q−1

−→ HqdR (M)

ϕq−→ HqdR (U)⊕Hq

dR (V )ψq−→ Hq

dR (U ∩ V ) ∆q

−→∆q

−→ Hq+1dR (M)

ϕq+1

−→ Hq+1dR (U)⊕Hq+1

dR (V )ψq+1

−→ Hq+1dR (U ∩ V ) ∆q+1

−→ ....

DIMOSTRAZIONE. Basta applicare alla precedente successione esatta corta di

complessi di cocatene il Teorema Fondamentale dell’Algebra Omologica.

OSSERVAZIONE 78. Ispirandosi alla situazione già descritta per l’omologia

singolare, possiamo quindi definire un funtore controvariante tra la categoria delle

varietà differenziabili, con morfismi le applicazioni differenziabili, e la categoria

degli spazi vettoriali, con morfismi le applicazioni linearii tra spazi vettoriali. Que-

sta possibilità è una diretta conseguenza delle proprietà di funtorialità, in versione

controvariante, nel passaggio da applicazioni differenzialili f alle loro indotte f∗ in

coomologia di de Rham.

3.4. LEMMA DI POINCARÉ E INVARIANZA OMOTOPICA

Vogliamo ora sviluppare delle tecniche di calcolo per gli spazi vettoriali di coo-

mologia di de Rham di varietà differenziabili. Naturalmente, una delle tecniche

di calcolo è la successione di Mayer-Vietoris, descritta nel precedente paragrafo.

Dimostriamo ora il seguente:

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56 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

TEOREMA 79. (LEMMA DI POINCARÉ). Per q ≤ n si ha

HqdR (Rn) =

R, q = 00, q 6= 0

.

DIMOSTRAZIONE. Procediamo per induzione su n. Per n = 1 siamo sulla retta

reale, e l’isomorfismo

H0dR (R) :=

Z0 (R)B0 (R)

∼= R,

segue dal fatto che il sottospazio Z0 (R) delle 0-forme chiuse, coincide con quello

delle funzioni a derivata nulla su R, ossia le costanti; invece B0 (R) = 0, essendo

immagine dell’applicazione lineare nulla). Se invece ω (t) = f (t) dt allora

d

(ˆ t

0

f (ξ) dξ)

= ω

e dunque ogni 1-forma è esatta e si ha la tesi.

Supponiamo poi che l’asserto sia vero per n ≥ 1 e dimostriamolo per n + 1.

Consideriamo la proiezione

π : Rn × R −→ Rn, (x1, ..., xn, t) 7−→ (x1, ..., xn) := x

e la ”sezione nulla”

s : Rn −→ Rn × R, x 7−→ (x, 0)

applicazioni differenziabili per le quali, evidentemente, π s = idRn . Abbiamo

allora che le due applicazioni lineari

π∗ : H∗dR (Rn) −→ H∗dR(Rn+1

), s∗ : H∗dR

(Rn+1

)−→ H∗dR (Rn)

verificano s∗ π∗ = idH∗dR(Rn). Risulta invece s π 6= idRn+1 , ma tuttavia dimo-

streremo tra breve che π∗ s∗ = idH∗dR(Rn+1). Ne seguirà quindi che H∗dR (Rn)e H∗dR

(Rn+1

), e dunque la tesi per induzione su n. Per provare che π∗ s∗ =

idH∗dR(Rn+1) definiamo le seguenti omotopie di cocatene:

k : Ω∗(Rn+1

)−→ Ω∗ (Rn)

che, come vedremo tra un attimo abbassano di una unità il grado delle forme

differenziali, e verificano la seguente

idΩ∗(Rn+1) − π] s] = ± (d k ± k d) ,

dove la scelta dei segni dipende dal valore di q. Da tale proprietà segue subito

che,che se tali applicazioni lineari k esistono, allora abbiamo dimostrato quanto si

voleva.

Per definire le omotopie di cocatene k osserviamo che ogni ω ∈ Ω∗(Rn+1

combinazione lineare di forme di uno dei seguenti due tipi

(I) π] (α) f (x, t) , (II) π] (β) ∧ g (x, t) dt,

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3.4. LEMMA DI POINCARÉ E INVARIANZA OMOTOPICA 57

con α, β ∈ Ω∗ (Rn) e f, g : Rn+1 −→ R funzioni differenziabili. Definiamo allora

nei due casi:

k :

(I) π] (α) f (x, t) −→ 0

(II) π] (α) ∧ f (x, t) dt −→ π] (α)´ t

0f(x, ξ)dξ

,

con α ∈ Ω∗ (Rn) , f ∈ C∞ (R), estendiamo per linearità e verifichiamo le proprietà

che ci interessano.

Per le forme di tipo (I) abbiamo(idΩ∗(Rn+1) − π] s]

) (π] (α) f (x, t)

)= π] (α) f (x, t)− π] (α) f (x, 0)

ed anche

[± (d k ± k d)](π] (α) f (x, t)

)= ± (d k)

(π] (α) f (x, t)

)±(k d)

(π] (α) f (x, t)

)=

= 0± k

[π] (dα) f (x, t) + (−1)q π] (α) ∧

(n∑i=1

∂f

∂xi(x, t)dxi +

∂f

∂tdt

)]=

= ±k[π] (dα) f (x, t)

]± (−1)q k

[π] (α) ∧

(n∑i=1

∂f

∂xi(x, t)dxi +

∂f

∂t(x, t) dt

)]=

= ± (−1)q π] (α)ˆ t

0

∂f

∂ξ(x, ξ) dξ = π] (α) f (x, t)− π] (α) f (x, 0)

scegliendo opportunamente il segno in base a q.

Per le forme di tipo (II)

ω = π] (α) ∧ f (x, t) dt

si ha

dω = d(π] (α) ∧ f (x, t) dt

)= π] (dα) ∧ f (x, t) dt+

+ (−1)q π] (α) ∧

(n∑i=1

∂f

∂xi(x, t)dxi ∧ dt

),

quindi

k (dω) = π] (dα)ˆ t

0

f(x, ξ)dξ + (−1)q−1π] (α) ∧

(n∑i=1

dxi

ˆ t

0

∂f

∂xi(x, ξ)dξ

)mentre

dk (ω) = d

[π] (α)

ˆ t

0

f(x, ξ)dξ]

= π] (dα)ˆ t

0

f(x, ξ)dξ+

+ (−1)q−1π] (α) ∧

(ˆ t

0

(n∑i=1

∂f

∂xi(x, ξ)dxi

)dξ + f (x, t) dt

).

Pertanto, alleggerendo le notazioni,

dk (ω)−k (dω) = π] (dα)ˆ t

0

fdξ+(−1)q−1π] (α)∧

(ˆ t

0

(n∑i=1

∂f

∂xidxi

)dξ + fdt

)−

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58 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

−π] (dα)ˆ t

0

fdξ − (−1)q π] (α) ∧

(n∑i=1

dxi

ˆ t

0

∂f

∂xidξ

)=

= (−1)q−1π] (α) ∧

(ˆ t

0

(n∑i=1

∂f

∂xidxi

)dξ + fdt

)−

− (−1)q−1π] (α) ∧

(n∑i=1

dxi

ˆ t

0

∂f

∂xidξ

)=

= (−1)q−1w+(−1)q−1

π] (α)∧

[n∑i=1

dxi

ˆ t

0

∂f

∂xidξ −

n∑i=1

dxi

ˆ t

0

∂f

∂xidξ

]= (−1)q−1

w

e d’altra parte (idΩ∗(Rn+1) − π] s]

) (π] (α) ∧ f (x, t) dt

)= ω

dato che s] (dt) = 0.

Più in generale, per ogni varietà M sono definite le applicazioni

π : M × R −→M, (x, t) −→ x

s : M −→M × R, x −→ (x, 0) ,

dette rispettivamente proiezione e sezione nulla, tali che π s = idM . Si ha allora

che se Uα è un atlante per M allora Uα × R è un’atlante per la varietà M × R(si dimostri, per esercizio, che il prodotto cartesiano di due varietà differenziabi-

li Mm × Nnè una varietà differenziabile M × N di dimensione n + m, definita

dall’altante “prodotto diretto degli atlanti”), inoltre ogni (q + 1)-forma differen-

ziale in M × R è combinazione lineare di forme del tipo (I) e (II) come quelle

viste nella precedente dimostrazione del Lemma di Poincarè. Dunque si possono,

riprendere le precedenti definizioni delle omotopie di cocatene k (dove ora le coor-

dinate (x1, ..., xn) sono solo locali), e dimostrare in modo completamente identico

a quanto visto sopra, che

H∗dR (M × R) ∼= H∗dR (M) .

Di conseguenza

H∗dR (M × Rn) ∼= H∗dR(M × Rn−1

) ∼= H∗dR (M) .

Da ciò segue facilmente l’invarianza omotopica della coomologia di de Rham,

ma per concludere è utile ancora qualche osservazione. In primo luogo una defini-

zione di omotopia differenziabile tra applicazioni differenziabili, del tutto analoga

a quella di omotopia tra applicazioni continue, ma con la richiesta che l’omotopia

F : M × R → N tra f, g : M → N (che verifica F (x, 0) = f(x), F (x, 1) = g(x))abbia il parametro di omotopia t ∈ R. Due varietà differenziabili M e N di diranno

omotopicamente equivalenti (nella loro categoria Diff) se esistono applicazioni dif-

ferenziabili f : M → N, g : N →M tali che le due composizioni g f e f g siano

differenziabilmente omotope alle due identità su M e su N ..

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3.4. LEMMA DI POINCARÉ E INVARIANZA OMOTOPICA 59

LEMMA 80. Se f, g : M −→ N sono applicazioni differenziabilmente omotopetra le due varietà differenziabili M,N varietà, allora f∗ = g∗ : H∗dR(N)→ H∗dR(M).

DIMOSTRAZIONE. Possiamo supporre che l’omotopia F sia del tipo F : M ×R −→ N con F (p, t) = f(p) per t ≥ 1 e f(p, t) = g(t) per t ≤ 0. Siano allora s0, s1

le due sezionis0 : M −→M × R, p −→ (p, 0)

s1 : M −→M × R, p −→ (p, 1) .

Si vede immediatamente che f = F s1 e g = F s0. Per la funtorialità di ha

che f∗ = s∗1 F ∗ e g∗ = s∗0 F ∗, inoltre s∗0, s∗1 sono entrambe inverse di π∗ (ossia

s∗0 = (π∗)−1 = s∗1) e dunque la tesi è immediata.

TEOREMA 81. (DI INVARIANZA OMOTOPICA). Se M,N sono varietà omotopi-camente equivalenti risulta

H∗dR (M) ∼= H∗dR (N) .

DIMOSTRAZIONE. Segue dal lemma precedente con l’usuale argomento d fun-

torialità.

Per il calcolo dell’ H∗dR (M), analogamente all’omologia singolare, possiamo

servirci dei seguenti strumenti:

(1) Coomologia del punto;

(2) Invarianza Omotopica;

(3) Successione di Mayer-Vietoris.

Esempi/Esercizi.

(1) COOMOLOGIA DELLE SFERE. Risulta

HqdR (Sn) =

R, q = 0, n0, q 6= 0, n

per n ≥ 1, e

HqdR

(S0)

=

R× R, q = 0

0, q 6= 0,.

(2) COOMOLOGIA DEL BOUQUET DI CIRCONFERENZE. Risulta

HqdR(Xr) ∼=

R, q = 0

Rr = R⊕ ...⊕ R, q = 10, q 6= 0, 1

(3) COOMOLOGIA DELLE SUPERFICI COMPATTE. Risulta

HqdR (Sg) =

R, q = 0, 2R2g, q = 10, q 6= 0, 1, 2

,

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60 3. COOMOLOGIA DI DE RHAM

HqdR

(S[r]

)=

R, q = 0Rr−1, q = 10, q 6= 0, 1

.

Suggerimento. Per risolvere gli ultimi tre esercizi si consiglia di usare il seguen-

te risultato. Se la seguente successione di spazi vettoriali di dimensione finita

0 −→ V1 −→ V2 −→ ... −→ Vk−1 −→ Vk −→ 0

è esatta, risulta

k∑i=1

(−1)k dimVi = 0.

(La dimostrazione si ottiene facilmente per induzione su k, vedremo più avanti

qualche dettaglio).

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CAPITOLO 4

INTEGRAZIONE E TEOREMI DI STOKES

4.1. TEOREMA DI STOKES PER CATENE

Sia M una varietà differenziabile n-dimensionale e sia Ωq (M) lo spazio vetto-

riale delle q-forme differenziali su M .

OSSERVAZIONE 82. Su M possiamo definire, analogamente al complesso

delle catene singolari C· (M), il complesso delle catene singolari costruito a partire

da cubi C∞, Possiamo continuare in tal caso ad assumere coefficienti interi, ma per

i nostri fini sarà più conveniente riferirci in questo caso a coefficienti nel campo

reale R:

C∞· (M ; R) :=(C∞q (M ; R) , ∂q

)q∈Z

(assumiamo, come al solito, che per q < 0 vi siano spazi ed applicazioni banali) la

cui omologia è

H∞q (M ; R) := ker ∂q/im∂q+1,

con ∂q : C∞q (M ; R) −→ C∞q−1 (M ; R) omomorfismo di bordo.

Dimostreremo più avanti il seguente

TEOREMA 83. L’inclusione τ· : C∞· (M ; R) −→ C· (M ; R) delle catene C∞ nellecatene continue di M induce un isomorfismo:

τ∗ : H∞q (M ; R) −→ Hq (M ; R)

tra gli spazi vettoriali di omologia singolare C∞ e continua a coefficienti in R.

DEFINIZIONE 84. Sia T : Iq −→ M un q-cubo singolare C∞ e sia ω ∈Ωq (M). Si definisce l’integrale di ω su T ponendoˆ

T

ω =ˆIqT ]ω,

dove ricordiamo che T ]ω := ω T .

OSSERVAZIONE 85. Se G : Iq −→ Iq un diffeomorfismo che conserva l’orien-

tazione (determinante dello Jacobiano positivo), risulta

ˆTG

ω =ˆIq

(T G)] ω =ˆIq

(G] T ]

)ω =ˆIqT ]ω =

ˆT

ω.

Dalla definizione discende immediatamente che l’integrale di una q-forma dif-

ferenziale è nullo sui q-cubi degeneri e dunque si può estendere per linearità a

61

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62 4. INTEGRAZIONE E TEOREMI DI STOKES

Q∞q (M ; R) ponendoˆcq

ω :=∑

finitanα

ˆTα

w, cq =∑

finitanαTα ∈ Q∞q (M ; R)

ed anche a C∞q (M ; R). Infatti si vede immediatamente cheˆcq

ω =ˆaq

ω

quando cq è uguale ad aq a meno di q-cubi degeneri. E’ allora ben definita la formabilineare di integrazioneˆ

: C∞q (M ; R)× Ωq (M) −→ R, (cq, ω) −→ˆcq

ω.

TEOREMA 86. (TEOREMA DI STOKES PER CATENE). Sia cq ∈ C∞q (M ; R) eω ∈ Ωq−1 (M). Allora ˆ

cq

dω =ˆ∂cq

ω.

DIMOSTRAZIONE. Per la linearità dell’integrale è sufficiente provare il Teorema

per i monomi. Supponiamo allora che

T ]ω = f (x1, ..., xq) dx1 ∧ ... ∧ ˆdxi ∧ ... ∧ dxq,

con T : Iq −→ M di classe C∞ e dove abbiamo denotato con ˆdxi l’assenza di dxinel prodotto esterno. Ricordando come si calcola il ∂qT risulta:

ˆ∂qT

ω =q∑j=1

(−1)j[ˆ

AjT

ω −ˆBjT

ω

]=

=q∑j=1

(−1)j[ˆ

Iq−1(AjT )] ω −

ˆIq−1

(BjT )] ω].

Ma:

ˆIq−1

(AjT )] ω =

=

0, se i 6= j´

Iq−1 f (x1, ..., xi−1, 0, xi+1, ..., xq) dx1 ∧ ... ∧ ˆdxi ∧ ... ∧ dxq, se i = j,

e analogamente:

ˆIq−1

(BjT )] ω =

=

0, se i 6= j´

Iq−1 f (x1, ..., xi−1, 1, xi+1, ..., xq) dx1 ∧ ... ∧ ˆdxi ∧ ... ∧ dxq, se i = j,

per quanto detto sull’integrazione di q-cubi degeneri. Pertanto:

ˆ∂qT

ω = (−1)i[ˆ

Iq−1(AjT )] ω −

ˆIq−1

(BjT )] ω]

=

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4.1. TEOREMA DI STOKES PER CATENE 63

= (−1)iˆIq−1

[f (x1, ..., 0, ..., xq)− f (x1, ..., 1, ..., xq)] dx1 ∧ ... ∧ ˆdxi ∧ ... ∧ dxq.

D’altra parte si ha :

ˆT

dω =ˆIqT ]ω =

ˆIqd(T ]ω

)=ˆIqd(f (x1, ..., xq) dx1 ∧ ... ∧ ˆdxi ∧ ... ∧ dxq

)=

=ˆIq

∂f

∂xi(x1, ..., xq) dxi ∧ dx1 ∧ ... ∧ dxi−1 ∧ dxi+1 ∧ ... ∧ dxq =

= (−1)i−1ˆIq

∂f

∂xi(x1, ..., xq) dx1 ∧ ... ∧ dxq

e, per il Teorema Fondamentale del Calcolo, si ottieneˆT

dw = (−1)i−1

[ˆIq−1

(BjT )] w −ˆIq−1

(AjT )] w].

Dal confronto con la definizione di bordo segue la tesi.

CASI PARTICOLARI DEL TEOREMA DI STOKES PER CATENE. Dal Teorema di

Stokes per catene discendono i seguenti casi particolari.

1) TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO. Se f : [a, b] −→ R è una funzione

differenziabile, risulta

ˆ[a,b]

df =ˆ∂[a,b]

f = f (b)− f (a) .

2) TEOREMA DI GREEN in R2. Se ω = Adx+Bdy, con A,B funzioni differenzia-

bili, e D ⊂ R2 è un dominio limitato per il quale ∂D è una curva semplice, chiusa

e C∞, allora ˆD

[∂B

∂x− ∂A

∂x

]dx ∧ dy =

ˆ∂D

Adx+Bdy.

3) TEOREMA DI STOKES IN R3. Se ω = Adx+Bdy +Cdz, con A,B,C funzioni

differenziabili, eD ⊂ R3 è una superficie limitata tale che ∂D è una curva semplice,

chiusa e C∞, allora ˆD

rot (ω) =ˆ∂D

ω.

4) TEOREMA DELLA DIVERGENZA IN R3. Se ω = Pdx∧dy+Qdz∧dx+Rdx∧dy,

con P,Q,R funzioni differenziabili e D ⊂ R3 dominio limitato tale che ∂D è una

superficie chiusa e C∞, allora ˆD

div (ω) =ˆ∂D

ω.

LA FORMA BILINEARE DI DE RHAM. Esplicitiamo, per aperti particolarmente

semplici di R2 e R3, l’indicazione di forme generatrici di spazi di coomologia non

nulli.

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64 4. INTEGRAZIONE E TEOREMI DI STOKES

ESEMPIO 87 (Forme chiuse ma non esatte). Sia U = R2 \ (0, 0). Conside-

riamo la 1-forma

ω = − y

x2 + y2dx+

x

x2 + y2dy.

Verifichiamo che ω è chiusa ma non esatta su U ; ne segue 0 6= [ω] ∈ H1dR(U). Infatti

esistono 1-cicli su U lungo i quali l’integrale di ω è non nullo, p. es.:ˆS1=(x,y)∈R2|x2+y2=1

ω = 2π 6= 0.

Ciò è legato alla topologia di U : S1 non è un bordo su U . Se invece consideriamo

tutto R2 la circonferenza unitaria è ovviamente un bordo (del disco unitario chiuso,

che è anche un 2-cubo singolare su R2). Si osservi che la forma ω non è un elemento

di Ω1(R2), non essendo definita nell’origine. Si osservi anche che localmente ω =dτ , con τ = arctg( yx ), ma la forma τ non è definita su tutto U .

Osserviamo anche che Un = Rn \ (0, 0, ..., 0) si retrae per deformazione alla

sfera Sn−1. Tale retrazione è data da

R : Un × R→ Sn−1 ⊂ Un,

(x, t) 7→ (1− t)x + tx‖ x ‖

.

Quindi U è omotopicamente equivalente a S1 e la classe di coomologia della forma

ω|S1 genera H1dR(S1).

Similmente, sia V = R3 \ (0, 0, 0). La 2-forma differenziale

φ =xdydz + ydxdz + zdxdy

(x2 + y2 + z2)32

è chiusa ma non esatta e risultaˆS2=(x,y,z)∈R3| x2+y2+z2=1

φ = 4π 6= 0.

Come sopra, il valore non nullo dell’integrale dipende dal fatto che S2 non è un

bordo in V , e la classe di coomologia [φ] di tale2-forma chiusa genera H2dR(V ) =

H2dR(S2). La forma φ|S2 è detta una forma d’area.

Tornando alla situazione generale, osserviamo che la forma bilineare di inte-

grazione può essere ristretta al sottospazio dei q-cicli C∞ ed al sottospazio delle

q-forme differenziali chiuse, ossiaˆ: Z∞q (M ; R)× Zq (M) −→ R,

ricordando che cq ∈ Z∞q (M ; R) se e solo se ∂cq = 0 e ω ∈ Zq (M) se e solo se

dω = 0.

COROLLARIO 88. Se bq ∈ B∞q (M ; R), con bq = ∂cq+1 e se ω ∈ Zq (M), risulta

ˆbq

ω = 0.

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4.2. VARIETÀ CON BORDO ED INTEGRAZIONE DI FORME A SUPPORTO COMPATTO 65

DIMOSTRAZIONE. Applicando il Teorema di Stokes per Catene si ricava cheˆbq

ω =ˆ∂cq+1

ω =ˆcq+1

dω =ˆcq+1

0 = 0.

COROLLARIO 89. Se zq ∈ Z∞q (M ; R) e se ω ∈ Bq (M), con ω = dτ , risulta

ˆzq

ω = 0.

DIMOSTRAZIONE. Sempre dal Teorema di Stokes per Catene discende cheˆzq

ω =ˆzq

dτ =ˆ∂zq

τ =ˆ

0

τ = 0.

COROLLARIO 90. La forma bilineare di integrazione passa ai quozienti

ˆ: H∞q (M ; R)×Hq

dR (M) −→ R.

DIMOSTRAZIONE. Ponendoˆ[zq ]

[ω] :=ˆzq

ω, con [zq] ∈ H∞q (M ; R) , [ω] ∈ HqdR (M) ,

dai due Corollari precedentemente dimostrati, si vede immediatamente che tale

definizione è ben posta.

Dimostreremo tra poco che la forma bilineare di integrazioneˆ: H∞q (M ; R)×Hq

dR (M) −→ R

è non degenere, vale a dire l’applicazione lineare di dualità

dRD : HqdR (M) −→

[H∞q (M ; R)

]∗, [ω] −→ dRD (ω) : [zq] −→

ˆzq

ω ∈ R,

detta dualità di De Rham, è un isomorfismo tra spazi vettoriali.

4.2. VARIETÀ CON BORDO ED INTEGRAZIONE DI FORME A SUPPORTO COMPATTO

In questa sezione ci occuperemo dell’integrazione di forme a supporto com-

patto sia con Mn varietà differenziabile qualsiasi che varietà differenziabile con

bordo (di cui tra poco daremo la definizione) e dimostreremo il relativo Teorema

di Stokes.

DEFINIZIONE 91. Sia Mn una varietà differenziabile. Diremo che l’atlante

(Ua, fa)a∈A di Mn è orientato se le funzioni di transizione

ga,b := fa f−1b : fb (Ua ∩ Ub) −→ fa (Ua ∩ Ub)

hanno tutte determinante Jacobiano strettamente positivo. Diremo che la varietà

differenziabile Mn è orientabile se ammette un atlante orientato, e chiameremo

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66 4. INTEGRAZIONE E TEOREMI DI STOKES

orientata una varietà differenziabile orientabile su cui è stata fissata un’orientazio-

ne.

La seguente caratterizzazione è assai utile.

TEOREMA 92. Una varietà differenziabile Mn è orientabile se e solo se ammetteuna n-forma differenziale ω ovunque non nulla.

DIMOSTRAZIONE. Osserviamo preliminarmente che un diffeomorfismoG : Rn →Rn conserva l’orientazione se e solo se G]dx1 ∧ ...∧ dxn = λdx1 ∧ ...∧ dxn, con λ =jacobiano di G, quindi funzione strettamente positiva.

(⇐) Supponiamo esista ω ∈ Ωn(M) mai nulla su M . Mediante le carte ϕa :Ua → Rn si hanno forme indotte ϕ]adx1 ∧ ... ∧ dxn = faω con fa mai nulla. Si può

assumere fa > 0 per ogni a; infatti, se fb < 0 si sostituisca ϕb : Ub → Rn con la sua

composizione ϕb con lo scambio di x1 con x2: allora:

ϕ]bdx1∧dx2∧ ...∧dxn = ϕ]bdx2∧dx1∧ ...∧dxn = −ϕ]bdx1∧dx2∧ ...∧dxn = (−fbω,

e nell’atlante si consideri la carta (Ub, ϕb). Dunque le funzioni di transizione gab =ϕa ϕ−1

b : Rb → Rn portano dx1 ∧ ... ∧ dxn in un suo multiplo positivo. Ne segue

che l’atlante, eventualmente corretto come sopra indicato, è orientato.

(⇒) Viceversa sia (Ua, fa)a∈A un atlante orientato, e dunque

g]abdx1 ∧ ... ∧ dxn = ϕ−1 ]b ϕ]adx1 ∧ ... ∧ dxn = λdx1 ∧ ... ∧ dxn,

con λ funzione positiva. Ponendo ωa = ϕ]adx1 ∧ ... ∧ dxn risulta:

ωa = ϕ]bλωb = (λ ϕb)]ωb,

con f = λ ϕb funzione positiva in Ua ∩ Ub.Sia infine ρa una partizione dell’unità subordinata al ricoprimento aperto

Ua. Poiché ρa ≥ 0, con∑ρa ≡ 0, e poiché la forme ωa, dove definite, sono

multiple positive le une delle altre, ne segue che ω =∑ρaωa è una n-forma mai

nulla su M .

In virtù di quest’ultimo risultato possiamo introdurre nello spazio vettoriale

delle n-forme differenziali mai nulle su M = Mn, con M orientabile, una relazione

di equivalenza in modo da distinguere le orientazioni di Mn. Precisamente diremo

che ω1, ω2 ∈ Ωn (Mn) sono equivalenti se esiste una funzione differenziabile f :Mn −→ R positiva su M tale che ω2 = fω1. è chiaro che tale relazione è di

equivalenza e che vi sono esattamente due classi di equivalenza. Queste verranno

denotate con [M ] , [−M ] e si chiameranno orientazioni di M .

Per definire l’integrale su una varietà diffenziabile orientabileM su cui sia fissa-

ta un’orientazione [M ], consideriamo in particolare il sottospazio vettoriale Ωqc (M)di Ωq (M) costituito dalle q-forme differenziali a supporto compatto:

Ωqc (M) := ω ∈ Ωq (M) : supp (ω) è compatto .

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4.2. VARIETÀ CON BORDO ED INTEGRAZIONE DI FORME A SUPPORTO COMPATTO 67

DEFINIZIONE 93. SiaM una varietà differenziabile orientata e ω una n-forma

differenziale a supporto compatto. Si definisce l’integrale di ω su M ponendoˆM

ω :=∑a∈A

ˆUa

ρaω

dove ρaa∈A è una partizione dell’unità subordinata all’atlante orientato (Ua, fa)a∈Adi M e dove ˆ

Ua

ρaω :=ˆ

Rn

(f−1a

)]ϕaw, ∀ a ∈ A.

Notiamo subito che supp (ρaω) è compatto (essendo chiuso nel compatto supp (ω)),

e osserviamo che la somma ∑a∈A

ˆUa

ρaω

risulta finita dal momento che esistono solo un numero finito di aperti Ua che

intersecano supp (ω) (per le proprietà di una partizione dell’unità).

PROPOSIZIONE 94. La definizione di integrale suM di una n-forma a supportocompatto in M non dipende dalle scelte dell’atlante orientato di M e della partizionedell’unità ad esso subordinata.

DIMOSTRAZIONE. Sia (Vb, gb)b∈B un’altro atlante orientato e sia σbb∈B una

partizione dell’unità subordinata ad esso. Allora:∑b∈B

ˆVb

σbω =∑b∈B

(∑a∈A

ˆUa∩Vb

ρaσbω

)=∑a,b

ˆUa∩Vb

ρaσbω =

=∑a∈A

(∑b∈b

ˆUa∩Vb

σbρaω

)=∑a∈A

ˆUa

ρaω,

e quindi l’indipendenza della definizione dalle scelte fatte.

DEFINIZIONE 95. Uno spazio di Hausdorff a base numerabile M si dice una

varietà differenziabile con bordo se su esso è fissato un atlante massimale costituito

da carte

(Ua, fa)a∈A ∪ (Ub, fb)b∈B ,

dove ogni Ua è omeomorfo, tramite fa, ad una palla aperta di Rn mentre ogni Ub è

omeomorfo, tramite fb, ad un aperto di Hn := x ∈ Rn : xn ≥ 0, con le carte C∞

compatibili. L’insieme

∂M :=⋃b∈B

f−1b (x ∈ Hn : xn = 0)

si dice bordo di M .

Denoteremo le varietà con bordo indifferentemente con uno dei due simboli

M o (M,∂M). Le nozioni di orientabilità e di orientazione di una varietà diffe-

renziabile con bordo si danno nello stesso modo di quanto visto per varietà senza

bordo. Per esse anche vale la caratterizzazione mediante l’esistenza e il dato di

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68 4. INTEGRAZIONE E TEOREMI DI STOKES

una n-forma differenziale mai nulla. Similmente, si prova par varietà con bordo

l’esistenza di una partizione dell’unità subordinata a un suo arbitrario ricoprimento

aperto.

E’ particolarmente utile tener presente che il bordo del semispazio modello Hn

è ∂Hn ≡ Rn−1. Ciò consente in particolare (con un po’ di lavoro!) di verificare i

seguenti fatti:

1) Il bordo di una varietà differenziabile con bordo (M,∂M) di dimensione n

è una varietà differenziabile (senza bordo) dimensione n− 1.

2) Il bordo di una varietà differenziabile con bordo orientabile è una varietà

orientabile ed ogni orientazione di è possibile orientare coerentemente.

TEOREMA 96. (di Stokes per Varietà con Bordo). Sia (M,∂M) una varietà conbordo orientabile e orientata n-dimensionale, e fissiamo su ∂M l’orientazione indotta.Allora ˆ

∂M

ω =ˆM

per ogni ω ∈ Ωn−1c (M).

DIMOSTRAZIONE. Strutturiamo la dimostrazione in tre passi.

i) Supponiamo che esista un n-cubo singolare T di classe C∞, compatibile con

l’orientazione e tale che supp (ω) ⊂

imT . Supponiamo inoltre che ∂M ∩ ∂T = ∅.Dal teorema di Stokes per catene abbiamo in questo caso:ˆ

M

dω =ˆT

dω =ˆ∂T

ω = 0 =ˆ∂M

ω.

ii) Supponiamo che esista un n-cubo singolare T di classe C∞, compatibile con

l’orientazione e tale che supp (ω) ⊂

imT , la parte interna di T . Supponiamo inoltre

che ∂T intersechi ∂M solo in punti interni della n-esima faccia inferiore AnT . In

questo caso si avrà, sempre applicando il teorema di Stokes per catene:ˆM

dω =ˆT

dω =ˆ∂T

ω = (−1)nˆAnT

ω.

D’altra parte: ˆ∂M

ω = (−1)nˆIn−1

(AnT )] T = (−1)nˆAnT

ω,

e quindi la tesi.

iii) Nel caso generale, essendo ω a supporto compatto, solo un numero finito

di aperti Ua dell’atlante orientato fissato per la definizione di integrale interseca-

no supp (ω). Dunque, se ρaa∈A è una partizione dell’unità subordinata a tale

ricoprimento, abbiamo che i prodotti ρaω soddisfano le ipotesi citate in i) o in ii).

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4.2. VARIETÀ CON BORDO ED INTEGRAZIONE DI FORME A SUPPORTO COMPATTO 69

Poiché: ∑a∈A

ρa ≡ 1 =⇒∑a∈A

dρa ≡ 0,

risultaˆ∂M

ω =∑a∈A

ˆ∂M

ρaω =∑a∈A

ˆM

d (ρaω) =∑a∈A

[ˆM

dρa ∧ ω +ˆM

ρadω

]=

= 0 +∑a∈A

ˆM

ρadω =ˆM

dω.

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CAPITOLO 5

DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

5.1. LA TECNICA DI MAYER-VIETORIS

I due teoremi di dualità che vogliamo dimostrare in questo capitolo posso-

no ottenersi applicando opportunamente successioni di Mayer-Vietoris ad aperti di

ricoprimenti opportuni. Diamo pertanto la seguente:

DEFINIZIONE 97. SiaM = Mn una varietà differenziabile e sia V := Vbb∈Bun suo ricoprimento aperto. Diremo che V è un buon ricoprimento se tutte le

intersezioni finite Vi1 ∩ ... ∩ Vip di suoi aperti sono diffeomorfi a Rn.

Diamo subito un esempio di ricoprimento aperto che non è un buon ricopri-

mento. Sia M = Sn, n ≥ 1, e consideriamo su di essa il ricoprimento aperto

U =−→x ∈ Sn ⊂ Rn+1 : xn+1 > −

12

(emisfero boreale abbondante)

V =−→x ∈ Sn ⊂ Rn+1 : xn+1 <

12

(emisfero australe abbondante),

che abbiamo usato nel calcolo dell’omologia di Sn: L’intersezione dei due aperti ha

per retratto di deformazione Sn−1, e non è quindi diffeomorfa a Rn.

ESERCIZIO 98. Trovare un buon ricoprimento prima S1 e poi di Sn.

Il seguente fatto sarà per noi fondamentale.

TEOREMA 99. Ogni varietà differenziabile M ammette un buon ricoprimento.

DIMOSTRAZIONE. (Cenno). Si può procedere nel seguente modo. Si assegni

su M una metrica riemanniana g. Tale nozione definisce quella di geodetica su

M (che localmente è una curva di distanza minima tra due punti) e quella di ap-

plicazione esponenziale Exp : D ⊂ TpM −→ M , definita su vettori di modulo

sufficientemente piccolo dello spazio tangente TpM in un punto p alla varietà M .

L’applicazione esponenziale associa ad ogni tale vettore ~w tangente in p ad M il

punto di M corrispondente al valore 1 del parametro sull’arco di geodetica indivi-

duato da ~w. Un (non facile) teorema di Geometria Riemanniana dimostra che ogni

punto p di M possiede un intorno Up tale che ogni coppia di r, q in tale intorno

siano congiungibili con una geodetica tutta contenuta in Up (vedi p. es. [3]). Tali

intorni geodeticamente convessi costituiscono evidentemente un buon ricoprimento

di M .

DEFINIZIONE 100. Una varietà M si dice di tipo finito se ammette un buon

ricoprimento formato da un numero finito di aperti.

71

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72 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

Dal Teorema precedente si deduce immediatamente che ogni varietà compatta

è di tipo finito. Anche Rn è di tipo finito, ovviamente. Una prima applicazione di

questa nozioneè la seguente:

TEOREMA 101. Se M è una varietà di tipo finito allora HqdR (M) è uno spazio

vettoriale a dimensione finita per ogni q.

DIMOSTRAZIONE. Premettiamo la seguente osservazione. Supponiamo cheM =U ∪ V , con U, V aperti di M e che il Teorema valga per U, V e U ∩ V . Dalla

successione di Mayer-Vietoris

... −→ Hq−1dR (U ∩ V ) ∆q−1

−→ HqdR (M)

ϕq−→ HqdR (U)⊕Hq

dR (V )ψq−→ Hq

dR (U ∩ V ) ∆q

−→ ...

si ricava che imϕq = kerψq e kerϕq = im∆q−1. Il primo è dunque un sottospazio

di HqdR (U) ⊕ Hq

dR (V ), che per ipotesi ha dimensione finita; il secondo è invece

immagine di Hq−1dR (U ∩ V ), che anche stiamo supponendo avere dimensione finita.

Ne segue che anche HqdR (M) ∼= imϕq ⊕ kerϕq ha dimensione finita. Il Teorema si

può ora dimostrare per induzione sul numero p di aperti di un buon ricoprimento

finito di M . Se p = 1 si ha che M ∼= Rn ed il risultato è vero per il Lemma di

Poincarè. Supponiamo allora il Teorema vero per p aperti e dimostriamolo per p+1

aperti U0, U1, ..., Up−1, Up. Poniamo

U := U0 ∪ U1 ∪ ... ∪ Up−1, V := Up.

Per ipotesi induttiva il Teorema vale per U, V ed U ∩V = (U0∩Up)∪(U1∩Up)∪ ...∪(Up−1 ∩ Up).. Usando l’osservazione fatta all’inizio della dimostrazione, possiamo

concludere che allora il teorema vale anche per M .

Il precedente teorema può essere usato per dare esempi di varietà differenzia-

bili che non sono di tipo finito.

ESEMPIO 102. M := R2 \ Z2 non è una varietà di tipo finito. Infatti le 1-

forme del tipo ω(h,k) = dθ(h,k) , dove θ(h,k) è l’angolo che “gira” intorno al punto

(h, k) ∈ Z2, sono tali che ˆS1

(l,m)

ω(h,k) = 2πδ(h,k)δ(l.m),

dove S1(l,m) è una “piccola” circonferenza che avvolge il punto (l,m) e δ(l.m) è il

simbolo di Kronecker. Dunque H1dR (M) ha dimensione infinita.

Per proseguire abbiamo bisogno del seguente Lemma di algebra omologica.

LEMMA 103. (LEMMA DEI CINQUE). Consideriamo il seguente diagramma dispazi vettoriali

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5.1. LA TECNICA DI MAYER-VIETORIS 73

A1ϕ1> A2

ϕ2> A3

ϕ3> A4

ϕ4> A5

B1

α∨

ψ1

> B2

β∨

ψ2

> B3

γ∨

ψ3

> B4

δ∨

ψ4

> B5

ε∨

dove le applicazioni che vi appaiono sono tutte lineari. Se α, β, δ, ε sono isomorfi-smi, anche γ è un isomorfismo.

DIMOSTRAZIONE. γ(v) = 0 implica δϕ3(v) = ψ3γ(v) = 0, da cui ϕ3(v) = 0 e

v ∈ kerϕ3 = im ϕ2. Sia w ∈ A2 tale che ϕ2(w) = v, allora ψ2βw = γϕ2w = 0;

dunque βw ∈ kerψ2 = im ψ1. Se z ∈ B1 con ψ1(z) = β(w), esiste z′ ∈ A1 con

z = α(z′); è dunque v = ϕ2ϕ1z′ = 0, ovvero γ è iniettivo.

Sia x ∈ B3 e y = ψ3(x); allora y = δ(y′) per qualche y′ ∈ A4; poiché ψ4(y) = 0è anche ϕ4(y′) = 0, ovvero y′ ∈ im ϕ3; dunque esiste x′ ∈ A3 con ψ3γx

′ = δϕ3x′ =

y. Si ha quindi ψ3γx′ = ψ3x = y, da cui γx′ − x ∈ kerψ3 = im ψ2; se z ∈ B2

con ψ2z = γx′ − x e z′ ∈ A2 con z = βz′ è γϕ2z′ = ψ2βz

′ = γx′ − x; pertanto

x = γ(x′ − ϕ2z′), ovvero γ è suriettivo.

TEOREMA 104. Sia M una varietà qualsiasi. L’inclusione di complessi di catene

σ· : C∞· (M ; R) −→ C· (M ; R)

induce applicazioni lineari

σ∗ : H∞q (M ; R) −→ Hq (M ; R)

che sono isomorfismi di spazi vettoriali.

DIMOSTRAZIONE. Osserviamo in primo luogo che il Teorema di invarianza omo-

topica dell’omologia singolare continua a valere anche in omologia C∞. Procedia-

mo ora per passi.

i) Supponiamo che la varietà M sia di tipo finito, e procediamo per induzione

sul numero p di aperti di un buon ricoprimento. Il teorema è certamente vero per

p = 1. In tal caso infatti M ≈ Rn e la tesi segue dal fatto che Rn è contraibile.

Supponiamo allora il teorema vero per p aperti e dimostriamolo per p+ 1 aperti. Ci

servirà la seguente osservazione. Se M = U ∪V , con U, V aperti di M e se l’asserto

vale per U, V e U ∩ V allora vale anche per M . Infatti nell’ipotesi menzionata

abbiamo il diagramma commutativo:

H∞q (U ∩ V ) → H∞q (U)⊕H∞q (V ) → H∞q (M) → H∞q (U ∩ V ) → H∞q (U)⊕H∞q (V )

↓ ↓ ↓ ↓ ↓Hq(U ∩ V ) → Hq(U)⊕Hq(V ) → Hq (M) → Hq(U ∩ V ) → Hq(U)⊕Hq(V )

(l’applicazione lineare che si deve mostrare essere un isomorfismo è quella centrale)

e dunque il risultato segue dal Lemma dei Cinque. Pertanto se M = U0 ∪ ...∪Up ha

un buon ricoprimento formato da p+ 1 aperti, poniamo

U = U0 ∪ U1 ∪ ... ∪ Up−1, V = Up.

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74 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

Per ipotesi induttiva il teorema vale per U, V ed U ∩ V = (U0 ∩ Up) ∪ (U1 ∩ Up) ∪... ∪ (Up−1 ∩ Up)., e dunque per la precedente osservazione, il teorema vale anche

per M .

ii) Generalizziamo di un passo supponendo che M si scriva come unione nu-

merabile di aperti incapsulati, ossia

M =⋃n∈N

Un, U1 ⊂ U2 ⊂ ... ⊂ Un ⊂ ....

In queste ipotesi, se la tesi è vera per ogni aperto Ui allora la nozione di limitediretto di un sistema diretto di spazi vettoriali (cfr. paragrafo successivo) consente

di dedurre il teorema per la varietà M .

iii) Nel caso più generale in cui M è una varietà qualsiasi si può applicare il

Lemma di Zorn alla famiglia di aperti di M per i quali vale il teorema. Tale famiglia

contiene le unioni di tutti gli aperti U1 ⊂ ... ⊂ Un ⊂ ... e pertanto ammette elemen-

to massimale U . Se fosse M 6= U ogni punto p ∈ M \ U ammetterebbe un intorno

coordinato V non contenuto in U e, per l’argomento sviluppato il teorema sarebbe

vero per U ∪ V contenente U e si avrebbe una contraddizione con la massimalità

di U .

5.2. LIMITI DIRETTI E INVERSI

A completamento della dimostrazione dell’ultimo teorema, e per alcuni dei

teoremi che seguiranno, descriviamo le nozioni di limite diretto e limite inverso.

DEFINIZIONE 105. Un insieme Λ dotato di una relazione d’ordine parziale <

si dice insieme diretto se < è riflessiva, transitiva e se per ogni λ, µ ∈ Λ esiste un

ν ∈ Λ con λ < ν, µ < ν.

Esempi di insiemi diretti sono la totalità degli aperti di uno spazio topologico X,

dove U < V se U ⊂ V , e la totalità dei ricoprimenti aperti di X, dove U < V se Uè un raffinamento di V.

DEFINIZIONE 106. Un sistema diretto (di spazi vettoriali) sull’insieme diretto

Λ consiste di una famiglia Vλ, λ ∈ Λ di spazi vettoriali e di applicazioni lineari

jλµ : Vλ → Vµ

definite per ogni λ < µ e tali che:

i) jλλ è l’identità su Vλ,

ii) jλν = jµν jλµ.

Se per esempio Λ è l’insieme diretto costituito dagli aperti Uλ di uno spazio

topologico X (si pensi anche a X = M =⋃∞λ=1 Uλ del punto ii nella dimo-

strazione dell’ultimo teorema), allora gli spazi vettoriali H∞q (Uλ; R) o Hq(Uλ; R)costituiscono sistemi diretti rispetto agli indotti in omologia jλµ delle inclusioni

Uλ ⊂ Uµ.

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5.2. LIMITI DIRETTI E INVERSI 75

Se Vλ, jλµ è un sistema diretto su Λ, possiamo considerare lo spazio vettoriale

prodotto

V ′ = ×λ∈ΛVλ

e le inclusioni iλ : Vλ → V ′.

DEFINIZIONE 107. Lo spazio vettoriale quoziente

dir limVλ = V ′/V ′′

di V ′ modulo il sottospazio vettoriale V ′′ generato dagli elementi del tipo iµ jλµ(vλ)− iλ(vλ), dove vλ ∈ Vλ, si dice limite diretto del sistema diretto Vλ, jλµ.

Vale la seguente:

PROPOSIZIONE 108. Siano Vλ, jλµ e Wλ, kλµ due sistemi diretti sull’insie-me diretto Λ legati da isomorfismi αλ, αµ che rendono commutativi i diagrammi

Vλjαµ−→ Vµ

αλ ↓ ↓ αµWλ

kαµ−→ Wµ

.

Allora la famiglia αλ di isomorfismi induce un isomorfismo di spazi vettoriali

α : dir limVλ −→ dir limWλ.

Osserviamo che la precedente proposizione (la cui dimostrazione lasciamo per

esercizio) consente di completare la dimostrazione il punto ii) dell’ultimo teorema:

nell’ipotesi M =⋃∞λ=1 Uλ con U1 ⊂ ... ⊂ Uλ ⊂ ..., dalla compattezza dei supporti

delle catene singolari si ha infatti:

dir limCq(Uλ; R) ∼= Cq(M ; R),

dir limC∞q (Uλ; R) ∼= C∞q (M ; R),

e in omologia singolare:

dir limHq(Uλ; R) ∼= Hq(M ; R),

dir limH∞q (Uλ; R) ∼= H∞q (M ; R).

Consideriamo anche le seguenti nozioni, duali delle precedenti.

DEFINIZIONE 109. Un sistema inverso (di spazi vettoriali) sull’insieme diretto

Λ consiste di una famiglia Vλ, λ ∈ Λ, di spazi vettoriali e di applicazioni lineari

rλµ : Vµ → Vλ

definite per ogni λ < µ e tali che:

i) rλλ è l’identità su Vλ,

ii) rλν = rλµ rµν .

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76 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

Un esempio di sistema inverso è dato dagli spazi vettoriali di coomologia di de

Rham HqdR(Uλ), essendo Λ l’insieme diretto degli aperti Uλ della varietà differen-

ziabile M ; le applicazioni lineari rλµ sono le ”restrizioni” della classi di coomologia,

indotte dalle inclusioni Uλ ⊂ Uµ.

DEFINIZIONE 110. Il sottospazio vettoriale

inv limVλ ⊂ V ′ = ×λ∈ΛVλ

costituito dalle famiglie vλ tali che vλ = rλµvµ per ogni λ < µ, si dice limiteinverso del sistema inverso Vλ, rλµ.

Anche qui abbiamo:

PROPOSIZIONE 111. Siano Vλ, rλµ e Wλ, sλµ due sistemi inversi su Λlegati da isomorfismi βλ, βµ che rendono commutativo il diagramma

Vµrαµ−→ Vλ

βµ ↓ ↓ βλWµ

sαµ−→ Wλ

.

Allora la famiglia βλ induce un isomorfismo

β : inv limVλ −→ inv limWλ.

Si osservi che la definizione da noi data di forma differenziale ω = ωU su

una varietà differenziabile M può ora formalizzarsi nella scrittura:

Ωq(M) = inv limΩq(Uλ),

relativamente all’insieme diretto degli aperti coordinati diM . Poiché il differenziale

esterno commuta con le restizioni delle forme differenziali, si ha anche:

HqdR(M) = inv limHq

dR(Uλ).

5.3. DUALITÀ DI DE RHAM

Prima di dimostrare il Teorema di Dualità di De Rham premettiamo ancora due

osservazioni di algebra omologica. La prima delle due era già stata enunciata come

suggerimento a esercizi di calcolo della coomologia di de Rham.

PROPOSIZIONE 112. Sia

0 −→ V1f1−→ V2

f2−→ ...fk−1−→ Vk −→ 0

una successione esatta di applicazioni lineari tra spazi vettoriali a dimensione finita.Allora:

k∑i=1

(−1)i dimVi = 0.

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5.3. DUALITÀ DI DE RHAM 77

DIMOSTRAZIONE. Procediamo per induzione su k. Se k = 1 si ottiene la

successione esatta

0 −→ V1 −→ 0

e la tesi è ovvia. Supponiamo quindi che il risultato valga per k−1 e dimostriamolo

per k. Se la successione

0 −→ V1f1−→ V2

f2−→ ...fk−1−→ Vk −→ 0

è esatta, allora lo è anche la successione

0 −→ V1f1−→ V2

f2−→ ...Vk−2fk−2−→ imfk−2 −→ 0.

Ma quest’ultima è formata da k−1 spazi vettoriali, e dunque per l’ipotesi induttiva:

k−2∑i=1

(−1)i dimVi + (−1)k−1 dim (imfk−2) = 0.

D’altra parte

dimVk = dimVk−1 − dim (ker fk−1)

con ker fk−1 = imfk−2. Sostituendo si ottiene la tesi.

La seconda osservazione è la possibilità di dualizzare una successione esatta di

spazi vettoriali.

PROPOSIZIONE 113. Sia

... −→ V1f1−→ V2

f2−→ ...fk−2−→ Vk−1

fk−1−→ Vkfk−→ ...

una successione esatta di applicazioni lineari di spazi vettoriali. Se f∗i : V ∗i+1 −→ V ∗i èl’ applicazione lineare duale (detta anche trasposta) di fi (ossia f∗i ϕ (v) = ϕ (fi (v)),con ϕ ∈ V ∗i+1 e v ∈ Vi) allora la successione “dualizzata”

...←− V ∗1f∗1←− V ∗2

f∗2←− ...f∗k−2←− V ∗k−1

f∗k−1←− V ∗kf∗k←− ...

è esatta.

DIMOSTRAZIONE. Se ϕ ∈ ker f∗i allora ϕ (fi (v)) = 0 per ogni v ∈ Vi o anche

ϕ (w) = 0 per ogni w ∈ imfi. Pertanto ker f∗i è l’annullatore di imfi. Ma anche im

f∗i+1 è l’annullatore di imfi = ker fj+1. Infatti se ϕ = f∗i+1ϕ1 e se v ∈ ker fi+1 allora

ϕ (v) = ϕ1 (fi+1 (v)) = ϕ1 (0) = 0.

D’altra parte se ϕ (v) = 0 per ogni v ∈ ker fi+1 si può definire ϕ1 ∈ V ∗i+1 tale che

ϕ1 (fi+1 (w)) = ϕ (w), con w ∈ Vi+1, da cui ϕ = fi+1ϕ1.

Possiamo ora dimostrare il Teorema di De Rham.

TEOREMA 114. (DUALITÀ DI DE RHAM). Per ogni varietà differenziabile M eper ogni q, la forma bilineare

ˆ: H∞q (M ; R)×Hq

dR (M) −→ R

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78 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

è non degenere. Ciò è equivalente ad affermare che l’applicazione lineare di dualità diDe Rham

dRD : HqdR (M) −→

[H∞q (M ; R)

]∗, [ω] −→ dRD (ω) : [zq] −→

ˆzq

ω ∈ R

è un isomorfismo di spazi vettoriali.

DIMOSTRAZIONE. Strutturiamo la dimostrazione in diversi passi.

i) Se M = Rn, l’unico caso rilevante si ha per q = 0. Siccome Rn è contraibile,

la forma bilineare di integrazione manda la coppia (x0, f ≡ 1) in f(x0) = 1 e quindi

abbiamo la tesi.

ii) Supponiamo che M = U ∪V , con U, V aperti di M , e che l’asserto valga per

U, V e U ∩ V . Scrivendo la successione di Mayer-Vietoris della coomologia di de

Rham di M = U ∪ V , insieme alla dualizzata della successione di Mayer-Vietoris

dell’omologia singolare C∞, si ottiene un diagramma commutativo di cui scriviamo

cinque verticali. Il primo dei due diagrammi che seguono indica la prima, seconda

e terza verticale:

Hq−1dR (U)⊕Hq−1

dR (V ) → Hq−1dR (U ∩ V ) → HqdR (M) →

↓ ↓ ↓hH∞q−1(U)

i∗⊕hH∞q−1(V )

i∗→

hH∞q−1(U ∩ V )

i∗→

hH∞q (M)

i∗→,

nel secondo diagramma sono indicate terza, quarta e quinta verticale:

→ HqdR (M) → HqdR(U)⊕HqdR(V ) → HqdR(U ∩ V )

↓ ↓ ↓→

hH∞q (M)

i∗→

hH∞q (U)

i∗⊕hH∞q (V )

i∗→

hH∞q (U ∩ V

i∗ .Si deve mostrare che la terza verticale è un isomorfismo, nell’ipotesi che lo siano le

altre quattro. Ciò segue subito dal Lemma dei Cinque.

iii) Se supponiamo che M sia di tipo finito, allora la tesi segue facilmente per

induzione sul numero p degli aperti di un buon ricoprimento. Infatti per p = 1 si

ritorna al caso i) di Rn, Consideriamo dunque varietà con un buon ricoprimento di

p+ 1 aperti: M = U0 ∪ ... ∪ Up, e poniamo

U = U0 ∪ U1 ∪ ... ∪ Up−1, V = Up.

Per ipotesi induttiva il teorema vale per U, V ed U ∩ V = (U0 ∩ Up) ∪ (U1 ∩ Up) ∪... ∪ (Up−1 ∩Up)., e dunque per quanto visto al punto ii), il teorema vale anche per

M .

iv) Se M si scrive come unione numerabile di intervalli incapsulati per i quali la

tesi è vera, allora il teorema segue dall’ultima proposizione enunciata nel paragrafo

relativo ai limiti inversi.v) Se M è una varietà qualsiasi, il teorema segue infine applicando il Lemma

di Zorn alla famiglia di aperti di M per cui la tesi è vera. L’argomento è lo stesso

già usato in precedenza. Tale famiglia contiene le unioni di tutti gli aperti U1 ⊂... ⊂ Un ⊂ ... e pertanto ammette elemento massimale U . Se fosse M 6= U ogni

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5.4. DUALITÀ DI POINCARÈ E COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO 79

punto p ∈ M \ U ammetterebbe un intorno coordinato V non contenuto in U e,

per l’argomento sviluppato il teorema sarebbe vero per U ∪ V contenente U e si

avrebbe una contraddizione con la massimalità di U .

5.4. DUALITÀ DI POINCARÈ E COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO

Nella sua formulazione originaria, il Teorema di Dualità di Poincarè afferma che

seMn è una varietà compatta, orientabile e senza bordo, si ha per ogni q l’uguaglianzatra i numeri di Betti:

bq (M) = bn−q (M) .

Una formulazione più precisa viene dall’integrazione sulla varietà M , che sup-

poniamo ancora compatta, orientabile e senza bordo:ˆM

: Ωq (M)× Ωn−q (M) −→ R, (ω, ϕ) −→ˆM

ω ∧ ϕ.

Tale applicazione si può restringere alle forme chiuse:ˆM

: Zq (M)× Zn−q (M) −→ R,

Vale la seguente:

PROPOSIZIONE 115. Se (ω, ϕ) ∈ Zq (M)× Zn−q (M), il valore dell’integraleˆM

ω ∧ ϕ

dipende solo dalle classi ([ω] , [ϕ]) ∈ HqdR (M)×Hn−q

dR (M).

DIMOSTRAZIONE. Siano

ω′ = ω + dα ∈ Zq (M) , ϕ′ = ϕ+ dβ ∈ Zn−q (M) .

Allora ˆM

ω′ ∧ ϕ′ =ˆM

ω ∧ ϕ+ˆM

dα ∧ ϕ+ˆM

ω ∧ dβ +ˆM

dα ∧ dβ.

Applicando il Teorema di Stokes sulla varietà compatta orientabile M si vede im-

mediatamente che tutti gli integrali a secondo membro sono nulli tranne il primo.

Dunque: ˆM

ω′ ∧ ϕ′ =ˆM

ω ∧ ϕ,

come volevamo.

Grazie a quest’ultima Proposizione è possibile considerare la stessa applicazio-

ne di integrazione passando ai quozienti modulo le forme esatte. Dunque è ben

definita la forma bilineare

ˆM

: HqdR (M)×Hn−q

dR (M) −→ R, ([ω] , [ϕ]) −→ˆM

ω ∧ ϕ

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80 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

dalla quale discende l’applicazione lineare:

PD : HqdR (M) −→

[Hn−q

dR (M)]∗, [ω] −→ PD ([ω]) : [ϕ] −→

ˆM

ω ∧ ϕ,

detta applicazione di Dualità di Poincarè. Vogliamo ora introdurre gli strumenti

necessari per dimostrare il seguente:

TEOREMA 116. (DUALITÀ DI POINCARÈ NEL CASO COMPATTO). Se M = Mn

è una varietà compatta, orientabile e senza bordo, allora l’applicazione di Dualità diPoincarè PD è un isomorfismo per ogni q.

COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO. Ricordiamo che, per ogni varietà M ,

abbiamo denotato con Ωqc (M) lo spazio vettoriale delle q-forme differenziali a sup-porto compatto. Si tratta dunque di un sottospazio vettoriale di Ωq (M), per il quale

risulta che:

d (Ωqc (M)) ⊂ Ωq+1c (M)

(dato che per definizione supp (dw) ⊂ supp (w)). Possiamo quindi porre:

Hqc (M) :=

ker dqimdq−1

,

con dq : Ωqc (M) −→ Ωq+1c (M) differenziale esterno ristretto alle q-forme a suppor-

to compatto. Abbiamo così definito la nozione di coomologia a supporto compattodi M .

OSSERVAZIONE 117. Sia f : M −→ N è un’applicazione differenziabile

tra varietà. Osserviamo che il pullback pull-back f ]ω di una forma ω a suppor-

to compatto su N è una forma su M , ma non necessariamente a supporto com-

patto. Un semplice esempio che mostra questa possibilità è data dalla proiezione

π : M ×R −→M , con M compatta: ogni ω ∈ Ωq (M) ha allora supporto compatto,

ma il pull-back(π]ω

)= supp (ω)×R; in tale caso l’unica possibilità per mantenere

la compattezza del supporto tramite il pull-back è scegliere ω ≡ 0.

Dall’Osservazione precedente si comprende che non possiamo trasferire alla

coomologia a supporto compatto le proprietà di funtorialità della coomologia di

de Rham. Possiamo tuttavia considerare il cosiddetto push-forward di forme diffe-

renziali a supporto compatto mediante l’inclusione tra aperti di una fissata varietà

differenziabile M .

Più precisamente, ci interesserà considerare M = U ∪ V , con U, V aperti.

Sappiamo che le inclusioni danno luogo al diagramma:

Ui

k

U ∩ V M

j

l

V

.

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5.4. DUALITÀ DI POINCARÈ E COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO 81

Ora se ω ∈ Ωqc (U ∩ V ) ha supporto compatto, possiamo definire i]ω, j]ω le esten-sioni nulle di ω rispettivamente a U e V . Poniamo quindi:

i]ω :=

ω in U ∩ V0 in U − V

, j]w :=

ω in U ∩ V0 in V − U

.

In questo modo i]ω ∈ Ωqc (U) e j]ω ∈ Ωqc (V ). Similmente per (α, β) ∈ Ωqc (U) ⊕Ωqc (V ) si definiscono k]α, l]β le estensioni nulle rispettvamente di α e β ad M .

Abbiamo allora immediatamente che:

i]d = di], j]d = dj], k]d = dk], l]d = dl].

Sono pertanto definiti in questa situazione i seguenti morfsmi di cocatene

0 −→ Ω·c (U ∩ V )η.−→ Ω·c (U)⊕ Ω·c (V ) θ.−→ Ω·c (M) −→ 0

dove η. (ω) := (i]w,−j]w) e θ. (α, β) = k]α+ l]β.

TEOREMA 118. La successione di complessi di cocatene:

0 −→ Ω·c (U ∩ V )η.−→ Ω·c (U)⊕ Ω·c (V ) θ.−→ Ω·c (M) −→ 0

è esatta corta.

DIMOSTRAZIONE. Come sappiamo bisogna verificare che θ. è suriettivo, η. è

iniettivo e che im η. = ker θ., Le verifiche sono analoghe a quelle viste in preceden-

za, e diamo i dettagli solo per la suriettività di θ.. Sia ω ∈ Ωqc(M) e sia ρu, ρV una partizione dell’unità subordinata al ricoprimento aperto U, V di M . Allora ω

è immagine di (ρUω, ρV ω) ∈ Ωqc(U)⊕ Ωqc(V ), e le forme ρUω, ρV ω hanno supporto

rispettivamente supp ρU∩ supp ω, e supp ρV ∩ supp ω, dunque entrambi chiusi di

compatti e pertanto compatti.

COROLLARIO 119. La successione esatta corta

0 −→ Ω·c (U ∩ V )η.−→ Ω·c (U)⊕ Ω·c (V ) θ.−→ Ω·c (M) −→ 0

induce la seguente successione esatta di Mayer-Vietoris per la coomologia a supportocompatto:

... −→ Hqc (U ∩ V ) −→ Hq

c (U)⊕Hqc (V ) −→ Hq

c (M) −→ Hq+1c (U ∩ V ) −→

−→ Hq+1c (U)⊕Hq+1

c (V ) −→ Hq+1c (M) −→ ....

DIMOSTRAZIONE. Come per le precedenti successioni di Mayer Vietoris, si trat-

ta semplicemente di applicare il Lemma fondamentale dell’Algebra Omologica.

LEMMA DI POINCARÈ PER LA COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO.

TEOREMA 120. (LEMMA DI POINCARÈ PER Hqc (R)). Risulta

Hqc (Rn) =

R, q = n

0, q 6= n.

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82 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

DIMOSTRAZIONE. Procediamo per induzione su n. Se n = 1 i casi non banali

sono q = 0, 1. Per q = 0 , si noti che le 0-forme differenziali chiuse sono le costanti,

e per ogni funzione costante f(x) ≡ k 6= 0 si ha suppf = R, che non è compatto

Ne segue che H0c (R) si riduce alla sola costante nulla. Per q = 1, ogni 1-forma

differenziale ω(x) = g(x)dx è esatta (essendo differenziale di una sua funzione

integrale). Naturalmente:

ω a supporto compatto =⇒ g a supporto compatto

e dunque Ω1c (R) = Z1

c (R). Consideriamo allora il funzionale lineareˆR

: Z1c (R) −→ R, ω −→

ˆRω.

Se dimostriamo che in nucleo di questo funzionale è B1c (R) l’asserto segue dal Teo-

rema Fondamentale di Isomorfismo per spazi vettoriali. Sia ω = df , con suppf ⊂[a, b]; risulta allora: ˆ

Rdf =

ˆ b

a

df = f(b)− f(a) = 0,

ossia ω ∈ B1c (R). Se invece ω = gdx è tale che

´R ω = 0, allora la funzione g avrà

l’area del sottografico positivo uguale a quella del sottografico negativo in [a, b] (e

la funzione g risulterà nulla fuori da un compatto). Definendo allora

f(x) =ˆ x

0

g(t)dt

si ottiene una funzione differenziabile a supporto compatto (suppf ⊂ suppg ⊂[a, b]), ossia f ∈ Ω1

c (R) (e dunque la 1-forma ω è esatta come forma a supporto

compatto).

Passiamo ora all’argomento induttivo, supponendo che l’asserto valga per Rn

e dimostrandolo per Rn+1. Si tratta di un riadattamento della dimostrazione del

Lemma di Poincarè per la coomologia di de Rham. Anche in questo caso, ogni q-

forma differenziale ω a supporto compatto si può scrive come combinazione lineare

di forme di uno dei seguenti due tipi:

(I) π] (α) f (x, t) , (II) π] (α) ∧ f (x, t) dt

dove π] è il pull-back della proiezione canonica π : Rn+1 −→ Rn, e α una forma

differenziale su Rn. Definiamo allora una nuova applicazione π] ponendo

π] : Ω∗(Rn+1

)−→ Ω∗ (Rn) , π]ω :=

0, se ω è di tipo (I)

α´ +∞−∞ f(x, t)dt, se ω è di tipo (II)

.

L’applicazione così definita non è un pull-back e nemmeno un push-foward bensì

un’ integrazione sulla fibra relativa alla proiezione π : Rn+1 −→ Rn.

Dimostriamo che dπ] = π]d. Consideriamo forme di tipo (I), e calcoliamo:

π]d(π]αf(x, t)) =

= π]

(π]dαf(x, t) + (π]α)

n∑i=1

(−1)q∂f(x, t)∂xi

dxi + (π]α)(−1)q∂f(x, t)∂t

dt)

=

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5.4. DUALITÀ DI POINCARÈ E COOMOLOGIA A SUPPORTO COMPATTO 83

= (−1)qαˆ

R

∂f(x, t)∂t

dt = 0 = dπ]((π]α)f(x, t)),

essendo la funzione f a supporto compatto. Calcoliamo ora per forme di tipo (II):

π]d((π]α)f(x, t)dt) =

= π]

((π]dα)f(x, t)dt+ (π]α)

n∑i=1

(−1)q∂f(x, t)∂xi

dxidt),

e d’altra parte:

dπ]((π]α)f(x, t)dt) =

d(α

ˆRf(x, t)dt

)= dα

ˆRf(x, t)dt+ (−1)qα

n∑i=1

ˆR

∂f(x, t)∂xi

dxidt.

Si noti che due espressioni coincidono, e dunque in generale dπ] = π]d.

Sia poi e ∈ Ω1c (R) tale che

´R e = 1. Per ogni ω ∈ Ω∗c (Rn) poniamo:

e]ω = ω ∧ e ∈ Ω∗c(Rn+1

).

Anche in questo caso risulta de] = e]d. Seguendo ancora la linea di dimostrazio-

ne del Lemma di Poincarè per la coomologia dei de Rham, osserviamo che dalle

definizioni abbiamo subito:

π] e] = idΩ·c(Rn),

essendo tuttavia e] π] 6= idΩ·c(Rn+1).

Per concludere, è necessario definire delle omotopie di cocatene:

k = kq : Ωqc(Rn+1)→ Ωq−1c (Rn+1)

tali che risulti verificata l’identità:

dq kq+1 − kq+2 dq+1 = ±(idΩq+1(Rn+1) − e] π]).

Osserviamo che l’identità appena scritta consente di concludere la dimostrazio-

ne. Infatti, se ω ∈ Zq+1c (Rn+1), essa implica:

(e] π] − idΩq+1c (Rn+1))ω = dτ

con τ = ±dω ∈ Ωqc(Rn+1). Ne segue che le indotte π∗ e e∗ in coomologia a supporto

compatto verificano le proprietà

π∗ e∗ = idH∗c (Rn) mentre e∗ π∗ = idH∗c (Rn+1).

Rimane dunque solo da indicare la costruzione delle omotopie di cocatene kq.

Riferendoci ancora alla distinzione tra forme di tipo (I) e di tipo (II), le applicazioni

lineari kq sono definite dalle formule:

(I) α · f −→ 0(II) α · fdt −→ α

´ t−∞ f − αA(t)

´ +∞−∞ f

dove A(t) =´ t−∞ e. Lasciamo al lettore la verifica che tali applicazioni lineari kq

soddisfano l’indentità asserita.

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84 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

DUALITÀ DI POINCARÈ. Consideriamo ora una varietà differenziabileM = Mn,

orientabile e senza bordo, ma non necessariamente compatta. Abbiamo in questo

caso forme bilineari di integrazione su M :ˆM

: Ωq (M)× Ωn−qc (M) −→ R, (ω, ϕ) −→ˆM

ω ∧ ϕ,

nonchè le loro restrizioni alle forme chiuse:ˆM

: Zq (M)× Zn−qc (M) −→ R.

Abbiamo visto poi che cambiando rappresentanti in coomologia di de Rham l’inte-

grale non cambia; dunque si può considerare la stessa forma bilineare sui quozienti

modulo le forme esatte:ˆM

: Hq (M)×Hn−qc (M) −→ R, ([ω] , [ϕ]) −→

ˆM

ω ∧ ϕ.

E’ allora definita la seguente applicazione di Dualità di Poincarè

PD : Hq (M) −→[Hn−qc (M)

]∗,

[ω] −→ PD ([ω]) : [ϕ] −→ˆM

ω ∧ ϕ.

TEOREMA 121. (DUALITÀ DI POINCARÈ). L’applicazione lineare PD è un iso-morfismo .

DIMOSTRAZIONE. Utilizzeremo anche in questo caso la tecnica di Mayer Vieto-

ris, combinando le due successioni esatte lunghe per la coomologia di de Rham e

per la coomologia a supporto compatto.

i) In primo luogo, se M ≈ Rn, per i due lemmi di Poincarè, l’unico caso signi-

ficativo si ha per q = 0, e l’applicazione di dualità PD : H0dR(Rn) −→ [Hn

c (Rn)]manda k ∈ R nel funzionale

ω ∈ Ωnc (Rn) −→ˆ

Rnkω.

Il teorema si riduce allora all’implicazione

k, ω 6= 0 =⇒ˆ

Rnkω 6= 0.

ii) Sia M = U ∪ V , con U, V aperti di M e supponiamo che la tesi valga

per U, V e U ∩ V . Dobbiamo in questo caso considerare un diagramma costituito

dalla successione di Mayer-Vietoris della coomologia di de Rham e dalla dualizzata

della successione di Mayer-Vietoris a supporto compatto. Scriviamo cinque stadi

successivi di tale diagramma. Il primo, secondo, e terzo stadio sono:

HqdR(U)⊕HqdR(V ) → HqdR(U ∩ V ) → Hq+1dR (M) →

↓ ↓ ↓ˆHn−qc (U)

˜∗ ⊕ hH(cV )n− q

i∗→

ˆHn−qc (U ∩ V )

˜∗ →ˆHn−q−1c (M)

˜∗ →

e il terzo, quarto e quinto stadio:

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5.5. CARATTERISTICA DI EULERO E SEGNATURA 85

→ Hq+1dR (M) → Hq+1

dR (U)⊕Hq+1dR (V ) → Hq+1

dR (U ∩ V )

↓ ↓ ↓→

ˆHn−q−1c (M)

˜∗ →ˆHn−q−1c (U)

˜∗ ⊕ ˆHn−q−1c (V )

˜∗ →ˆHn−q−1c (U ∩ V )

˜∗ .

Si deve naturalmente verificare che il diagramma è commutativo, il che richiede un

argomento sui singoli singoli quadrati presenti nel diagramma (cfr. [1] per i det-

tagli). Applicando il lemma dei Cinque si ottiene infine dall’ipotesi che il teorema

vale anche per M .

iii) Se M è una varietà differenziabile di tipo finito si procede per induzione

sul numero p di un suo buon ricoprimento. L’argomento è lo stesso già più volte

utilizzato, p. es. nella dimostrazione del teorema di de Rham.

iv+v) Anche questi due passi sono identici a quelli usati nel teorema di Dualità

di de Rham. Si usa per il primo passo le proprietà dei sistemi diretti e inversi, e per

il secondo passo il lemma di Zorn.

Abbiamo la seguente immediata conseguenza.

COROLLARIO 122. Sia Mn una varietà differenziabile, compatta, orientabile esenza bordo. I suoi numeri di Betti verificano la seguente proprietà di simmetria:

bq (M) = bn−q (M) .

DIMOSTRAZIONE. Dal teorema precedente discende, essendo M compatta, che

Hqc (M) = Hq (M). Quindi:

HqdR (M) ∼=

[Hn−qc (M)

]∗ ∼= Hn−qc (M) = Hn−q

dR (M) .

5.5. CARATTERISTICA DI EULERO E SEGNATURA

Il Teorema di Dualità di Poincaré fornisce interessanti implicazioni sulla caratte-

ristica di Eulero per varietà compatte orientabili di ogni dimensione. Dimostriamo

il seguente:

COROLLARIO 123. Sia Mn una varietà differenziabile compatta, orientabile esenza bordo, e sia χ (Mn) la sua caratteristica di Eulero. Allora:

1) χ (Mn) = 0 se n = 2m+ 1.2) χ (Mn) ≡2 0 se n = 4m+ 2.

DIMOSTRAZIONE. Ricordiamo che χ (Mn) è, per definizione, la somma a segni

alterni dei numeri di Betti.

1) Dal Corollario precedente si ricava che

b0 = b2m+1, b1 = b2m, ..., bm = bm+1

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86 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

e dunque

χ (M) = b0 − b1 + ...+ (−1)n bn =⇒ χ(M2m+1

)= 0.

2) Analogamente al caso precedente si ha che

b0 = b4m+2, b1 = b4m+1, ..., b2m = b2m+2

e dunque χ(M4m+2

)≡2 b2m+1. Guardiamo ora la forma bilineareˆ

M

: H2m+1dR (M)×H2m+1

dR (M) −→ R, (ω, τ) −→ˆM

ω ∧ τ.

Si tratta di una forma bilineare non degenere ed antisimmetrica. Ciò basta per

concludere che s = b2m+1 è pari. Infatti la matrice A associata a tale forma soddisfa

la relazione A = −AT e dunque

0 6= detA = (−1)s det(AT)

= (−1)s detA.

Ne segue che s non può che essere pari.

Rimane da analizzare il caso in cui M è una varietà compatta, orientabile e

senza bordo di dimensione 4m. Analogamente ai casi precedenti si ricava che

χ(M4m

)= b0 − b1 + b2 − ...− b2m−1 + b2m − b2m+1 + ...− b4m−1 + b4m ≡2 b2m,

dunque χ (M) ha la stessa parità di b2m. Come nel caso precedente, guardiamo la

forma bilineare di integrazione nella dimensione intermedia:

ˆM

: H2mdR (M)×H2m

dR (M) −→ R, (ω, τ) −→ˆM

ω ∧ τ.

Per la dualità di Poincaré, essa è sempre non degenere, ma risulta ora simmetrica.

Usiamo per essa la notazione:

Φ :=ˆM

: H2mdR (M)×H2m

dR (M) −→ R,

e poniamo:

r := b2m, W r := H2m (M) .

Dunque la coppia (W r,Φ) costituisce uno spazio vettoriale r-dimensionale pseu-

doeuclideo, nel senso che la forma Φ è su W r un prodotto scalare (non degenere).

Risulta quindi:

b2m = p+ q

dove p e q sono, rispettivamente, gli indici di positività e di negatività del prodotto

scalare Φ. Ricordiamo dall’ Algebra Lineare che la differenza p− q si dice segnaturadi Φ. Possiamo pertanto definire il numero intero σ (M) = p − q segnatura della

varietà compatta orientata M4m.

COROLLARIO 124. Sia M4m una varietà compatta, orientabile e senza bordo.Allora:

σ(M4m

)≡2 χ

(M4m

).

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5.5. CARATTERISTICA DI EULERO E SEGNATURA 87

DIMOSTRAZIONE. Risulta

σ(M4m

)= p− q ≡2 p+ q = b2m ≡2 χ

(M4m

).

Più in generale, diamo la seguente:

DEFINIZIONE 125. Per ogni varietà Mn compatta, orientata e senza bordo il

numero intero

σ (Mn) :=

0 se n 6= 4m

σ(M4m

)come definito in precedenza, se n = 4m

si dice segnatura di M .

TEOREMA 126. Sia M = Mn una varietà compatta, orientabile e senza bordo.Supponiamo esista una varietà N = Nn+1 tale che ∂N = M . Allora χ (M) è pari.

DIMOSTRAZIONE. Sappiamo dai precedenti corollari che il Teorema è vero (an-

che senza l’ipotesi che M = ∂N), per n 6= 4m. Rimane il caso n = 4m. Sia I = [0, 1]e consideriamo la varietà con bordo N × I. Risulta allora

∂ (N × I) = [∂N × I] ∪ [N × ∂I] ,

ossia

∂ (N × I) = [M × I] ∪ [N × 1] ∪ [N × 0] .

Poniamo allora

U = ∂ (N × I) \ [N × 1] , V = ∂ (N × I) \ [N × 0] .

Si riconosce facilmente che U e V sono aperti di ∂ (N × I) di cui N è un re-

tratto di deformazione, mentre U ∩ V si retrae a ∂N = M . Possiamo dunque

scrivere la successione di Mayer-Vietoris di coomologia di de Rham della varietà

differenziabile ∂ (N × I) rispetto ai due suoi aperti U = ∂ (N × I) \ [N × 1] e

V == ∂ (N × I) \ [N × 0]:

...→ HqdR [∂(N × I)]→ Hq

dR (U)⊕HqdR (V )→ Hq

dR (U ∩ V )→ ...

Teniamo ora conto delle retrazioni di deformazione sopra indicate per U, V e U∩V ,

e ricordiamo che la somma a segni alterni della dimensioni in una successione

esatta è nulla. Ne segue:

4m+2∑q=0

(−1)q [bq (N × I)− bq (U)− bq (V ) + bq (U ∩ V )] =

= χ (∂ (N × I))− 2χ (N) + χ (M) = 0.

Ora essendo n = 4m risulta n + 1 = 4m + 1 e dim (N × I) = 4m + 2. Dunque

dim (∂ (N × I)) = 4m+1. Ma allora ∂ (N × I) è compatta, orientabile, senza bordo

e di dimensione dispari e dunque χ (∂ (N × I)) = 0. In conclusione:

χ (M) = 2χ (N) ,

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88 5. DUALITÀ DI DE RHAM E DI POINCARÉ

che implica la tesi.

OSSERVAZIONE 127. In generale χ (∂N) 6= 2χ (N) se n 6= 4m. Per esempio

sia D2 il disco unitario chiuso in R2 e N = D2. Allora ∂N = S1 ma χ(S1)

=

b0 − b1 = 0 mentre χ(D2)

= 1.

Un risultato più forte in questo ordine di idee è il seguente:

TEOREMA 128. (R. THOM 1954). Sia Mn una varietà differenziabile compat-ta, orientabile e tale che Mn = ∂Nn+1, per qualche varietà compatta orientabile (conbordo) Nn+1. Allora σ (Mn) = 0.

Esempi.

(1) Sia M2 = Sg, superficie compatta ed orientabile, g ≥ 1. Sappiamo che

χ (Sg) = 2− 2g e che la forma bilineareˆSg

: H1dR (Sg)×H1

dR (Sg) −→ R,

che a meno a meno di isomorfismi possiamo considerare come:ˆSg

: R2g × R2g −→ R,

è antisimmetrica e non degenere. Una base per H1dR (Sg) si ottiene con-

siderando la base duale della base ai, bii=1,...,g di H1 (Sg), utilizzata

nel calcolo dell’omologia singolare. In tale base duale, la matrice asso-

ciata alla forma´Sg

si rappresenta mediante una matrice antisimmetrica

costituita da blocchi 2× 2 del tipo(0 1−1 0

),

sulla diagonale principoale, e tutti gli altri elementi della matrice sono

nulli.

(2) Se M0 = x0 allora χ (M) = 1. D’altra parte un punto non è bordo

di alcuna varietà di dimensione 1. In questo caso la forma bilineare di

integrazione assume la formaˆx0

: R× R −→ R

e tale forma bilineare, essendo non degenere e simmetrica, si rappresenta

con la matrice A = (1).(3) Se M4 = S4 allora S4 è bordo del disco unitario, in simboli S4 = ∂D5,

χ(S4)

= 1 + 1 = 2 ma σ(S4)

= 0 dato che la forma bilineare di

integrazione è necessariamente la forma nulla.

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5.5. CARATTERISTICA DI EULERO E SEGNATURA 89

(4) Se M4 = CP 4, si verifica facilmente, usando p. es. la struttura di

complesso di celle di CP 2, che

HqdR

(CP 2

)=

R, se q = 0, 2, 40, se q 6= 0, 2, 4

Dunque χ(CP 2

)= 1 + 1 + 1 = 3, e non esiste pertanto alcuna varie-

tà compatta orientabile di dimensione 5 il cui bordo sia CP 2. Notiamo

che invece CP 1 ∼= S2 = ∂D3. Anche nel caso di CP 2 la matrice che

rappresenta la forma bilineare di integrazione è A = (1).

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Bibliografia

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Springer-Verlag, 1982.

[2] A. Hatcher, Algebraic Topology, Cambridge University Press, 2002.

http://www.math.cornell.edu/ hatcher/AT/ATpage.html

[3] S. Helgason, Differential Geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces, Pure and Applied

Mathematics, n. 80. Academic Press, 1978.

[4] W. S. Massey, A Basic Course in Algebraic Topology, Graduate Texts in Mathemaics, n. 127, Springer-

Verlag, 1991.

[5] F: W. Warner, Foundations of Differentiable Manifolds and Lie Groups, Graduate Texts in

Mathemaics, n. 94, Springer-Verlag, 1983.

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