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Opificio delle Pietre Dure: restauri nella basilica di...

Date post: 16-Feb-2019
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1 Opificio delle Pietre Dure: restauri nella basilica di Santa Croce di Firenze Giotto, Stigmate di San Francesco, arco di ingresso della cappella Bardi Maestro di Figline, Assunzione, arco di ingresso della cappella Tolosini-Spinelli Intervento di restauro: novembre 2010 - marzo 2013 Soprintendenti: Isabella Lapi, Cristina Acidini e Marco Ciatti Direzione dei lavori: Cecilia Frosinini, Marco Ciatti e Cristina Improta Direzione Tecnica del settore: Fabrizio Bandini Cappella Bardi: Mariarosa Lanfranchi e Paola Ilaria Mariotti Cappella Tolosini-Spinelli: Fabrizio Bandini e Alberto Felici Il restauro delle due fasce dipinte sul transetto della basilica di Santa Croce, sopra l’arco di ingresso delle cappelle Bardi e Tolosini-Spinelli, ha visto impegnato il Settore di Restauro delle Pitture Murali dell’Opificio delle Pietre Dure dalla fine del 2010 al marzo 2013. L'8 giugno del 2009 venne siglato un accordo tra l'Opera di Santa Croce, l'Università di Kanazawa in Giappone e l'Opificio delle Pietre Dure che prevedeva il restauro delle fasce laterali alla Cappella Maggiore, ossia l'Assunzione della Vergine del Maestro di Figline in corrispondenza dell’arco di ingresso della Cappella Tolosini-Spinelli e le Stigmate di San Francesco di Giotto in corrispondenza dell’arco di ingresso della Cappella Bardi. Il restauro è stato possibile grazie alla donazione del prof. Takaharu Miyashita, che ha deciso di devolvere l'eredità lasciata dai genitori a questo scopo culturale e di conservazione dell’arte. L’accordo seguiva a distanza di cinque anni quello che, ad opera degli stessi enti e grazie alla donazione del generoso finanziatore Tetsuya Kuroda, aveva dato inizio, nel 2005, ai lavori di restauro della Cappella Maggiore della stessa basilica di Santa Croce dipinta da Agnolo Gaddi, giunto a conclusione nel 2010. Il prof. Takaharu Miyashita, finanziatore di questo restauro delle cosiddette “fasce laterali”, dopo essersi laureato in storia dell’arte in Giappone e specializzatosi poi a Firenze con Alessandro Parronchi, ha vissuto per undici anni a Firenze dal 1973 al 1984, collaborando strettamente, alla Facoltà di Magistero, con Fosco Maraini. Dal 1984 Takaharu Miyashita insegna all'Università di Kanazawa, in Giappone, Storia dell'arte occidentale ed ha fondato, nella stessa Università, un centro studi per la pittura in affresco italiana, estremamente attivo anche nel campo della diagnostica e della replica dei materiali antichi. La decorazione degli esterni delle cappelle nelle antiche chiese medievali era una prassi assolutamente consolidata che iconograficamente completava il ciclo pittorico che si svolgeva sulle pareti interne e in un certo senso lo riassumeva per il visitatore e lo introduceva al fedele. Nel caso di chiese di ordini religiose, come la Santa Croce medievale, prima fondazione francescana fuori dall’Umbria, essendo la presenza dell’iconostasi un divisorio che impediva ai fedeli il libero accesso all’area del coro e del transetto, le decorazioni sopra gli archi di ingresso erano quelle che i fedeli
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Opificio delle Pietre Dure: restauri nella basilica di Santa Croce di Firenze

Giotto, Stigmate di San Francesco, arco di ingresso della cappella Bardi Maestro di Figline, Assunzione, arco di ingresso della cappella Tolosini-Spinelli

Intervento di restauro: novembre 2010 - marzo 2013 Soprintendenti: Isabella Lapi, Cristina Acidini e Marco Ciatti Direzione dei lavori: Cecilia Frosinini, Marco Ciatti e Cristina Improta

Direzione Tecnica del settore: Fabrizio Bandini Cappella Bardi: Mariarosa Lanfranchi e Paola Ilaria Mariotti Cappella Tolosini-Spinelli: Fabrizio Bandini e Alberto Felici

Il restauro delle due fasce dipinte sul transetto della basilica di Santa Croce, sopra l’arco di ingresso delle cappelle Bardi e Tolosini-Spinelli, ha visto impegnato il Settore di Restauro delle Pitture Murali dell’Opificio delle Pietre Dure dalla fine del 2010 al marzo 2013. L'8 giugno del 2009 venne siglato un accordo tra l'Opera di Santa Croce, l'Università di Kanazawa in Giappone e l'Opificio delle Pietre Dure che prevedeva il restauro delle fasce laterali alla Cappella Maggiore, ossia l'Assunzione della Vergine del Maestro di Figline in corrispondenza dell’arco di ingresso della Cappella Tolosini-Spinelli e le Stigmate di San Francesco di Giotto in corrispondenza dell’arco di ingresso della Cappella Bardi. Il restauro è stato possibile grazie alla donazione del prof. Takaharu Miyashita, che ha deciso di devolvere l'eredità lasciata dai genitori a questo scopo culturale e di conservazione dell’arte. L’accordo seguiva a distanza di cinque anni quello che, ad opera degli stessi enti e grazie alla donazione del generoso finanziatore Tetsuya Kuroda, aveva dato inizio, nel 2005, ai lavori di restauro della Cappella Maggiore della stessa basilica di Santa Croce dipinta da Agnolo Gaddi, giunto a conclusione nel 2010. Il prof. Takaharu Miyashita, finanziatore di questo restauro delle cosiddette “fasce laterali”, dopo essersi laureato in storia dell’arte in Giappone e specializzatosi poi a Firenze con Alessandro Parronchi, ha vissuto per undici anni a Firenze dal 1973 al 1984, collaborando strettamente, alla Facoltà di Magistero, con Fosco Maraini. Dal 1984 Takaharu Miyashita insegna all'Università di Kanazawa, in Giappone, Storia dell'arte occidentale ed ha fondato, nella stessa Università, un centro studi per la pittura in affresco italiana, estremamente attivo anche nel campo della diagnostica e della replica dei materiali antichi. La decorazione degli esterni delle cappelle nelle antiche chiese medievali era una prassi assolutamente consolidata che iconograficamente completava il ciclo pittorico che si svolgeva sulle pareti interne e in un certo senso lo riassumeva per il visitatore e lo introduceva al fedele. Nel caso di chiese di ordini religiose, come la Santa Croce medievale, prima fondazione francescana fuori dall’Umbria, essendo la presenza dell’iconostasi un divisorio che impediva ai fedeli il libero accesso all’area del coro e del transetto, le decorazioni sopra gli archi di ingresso erano quelle che i fedeli

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vedevano da lontano e alla quali, quindi, era demandato il senso meditativo e immaginifico della devozione. I due esempi sottoposti ad intervento di restauro sono opera di Giotto (cui spetta anche la decorazione interna della Cappella Bardi, con Storie di San Francesco) e di uno dei suoi più importanti ed enigmatici collaboratori ad Assisi, l’anonimo Maestro di Figline (nel presente caso l’Assunta è l’unica parte sopravvissuta di un ciclo, verosimilmente dedicato alla Vergine, che affrescava la sottostante cappella e che oggi è perduto). Entrambe le fronti delle cappelle furono accomunate da un destino di obliterazione poiché del corso del Settecento vennero scialbate, così come tutto il transetto della basilica, fino a quando, nella seconda metà del secolo successivo, vennero riscoperte nel corso della generale operazione di ripristino. Le operazioni di descialbo e poi di ricostruzione in stile delle parti perdute vennero eseguite da Gaetano Bianchi. Questo intervento, molto aggressivo ed invasivo, incise pesantemente sullo stato di conservazione di entrambe le pitture, ma soprattutto quello dell’Assunta, che era stata dipinta quasi interamente a secco. Nonostante entrambe le opere avessero avuto un intervento di restauro filologicamente più avanzato, nel corso del XX secolo, era oggi assolutamente necessario provvedere al loro restauro per ulteriori fenomeni di degrado che si erano prodotti e per l’esigenza di restituire loro un livello di leggibilità e di apprezzamento compromesso dal passare del tempo e dalla oggettiva difficoltà di sottoporle ad operazioni anche minime di manutenzione. L’Opificio ha affrontato l’intervento con un intento anche di tipo scientifico e conoscitivo nei confronti delle diverse tecniche artistiche, utilizzando tecniche di indagine e poi materiali di restauro di avanguardia per garantire una migliore tenuta nel tempo delle operazioni. Nell’auspicio che il passo successivo sia il restauro dell’altrettanto danneggiato e compromesso ciclo di Giotto, interno alla Cappella Bardi, uno dei testi capitali della pittura occidentale.

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Giotto, Stigmate di San Francesco; Adamo ed Eva;

arco d’ingresso della Cappella Bardi

Prima del restauro Dopo il restauro L'intervento di restauro L’intervento di restauro ha interessato diversi soggetti decorativi: le Stigmate di San Francesco, in un riquadro immediatamente sopra l’arco d’ingresso, accompagnate in basso, inserite entro cornici polilobate, nei pennacchi dell’arco, da due teste identificate come i Progenitori; e la decorazione, per la maggior parte geometrica, ai due lati della bifora, comprendente la parete e lo strombo della finestra.

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Autore delle Stimmate e dei Progenitori è Giotto, che qui dipinge, contestualmente alle Storie di San Francesco, che decorano l’interno della Cappella Bardi, verso la fine della sua attività (anni Venti del sec. XIV). Non conosciamo invece gli autori della fascia decorativa superiore, ma stilisticamente l’esecuzione è da collocarsi presumibilmente piuttosto verso la fine del Trecento, vicino alla decorazione della Cappella Maggiore. Si tratta quindi di due aree distinte, accomunate però da un destino simile di obliterazione poiché del corso del Settecento vennero entrambe scialbate, fino a quando, nella seconda metà del secolo successivo, vennero riscoperte nel corso della generale operazione di ripristino della Basilica. Le operazioni vennero eseguite da Gaetano Bianchi che ricostruì le lacune in modo imitativo. Lo stato di conservazione disomogeneo delle varie zone era il risultato della differenza della tecnica originale, essenzialmente a buon fresco per la parte alta, con larghe aree dipinte a secco, cioè mediante un legante organico, nelle parti autografe di Giotto. La storia conservativa proseguì con un restauro risalente al 1937, in occasione delle celebrazioni per il sesto centenario della morte di Giotto, a cura di Amedeo Benini sotto la direzione di Ugo Procacci (U. Procacci, Relazione dei lavori eseguiti agli affreschi di Giotto nelle cappelle Bardi e Peruzzi in S. Croce, Rivista d’Arte, XIX, Firenze, 1937). L’intervento dell’Opificio, iniziato nel 2011, alla visione ravvicinata, mostrava la presenza di molte velature a nascondere le lacune provocate nell’Ottocento dalla rimozione del bianco insieme ad alcuni resti di questo scialbo; ridipinture di bassa qualità per alcune lacune importanti, come quelle della braccia del crocifisso; nuove dorature per le aureole e una falsante ricostruzione dei raggi che andavano a creare le stimmate. Al prodotto di questi interventi si erano poi sommati anche nuovi fenomeni di degrado come distacchi della pellicola pittorica dal supporto, zone in cui gli intonaci stessi si erano distaccati dalla muratura, evidenti fratture che percorrevano la scena in diagonale e fenomeni di produzione di gesso, assai pericoloso per la conservazione della pittura. Le nostre operazioni hanno seguito una progressione tale da garantire innanzitutto la stabilità della pellicola cromatica degradata e perciò in parte distaccata; quindi la rimozione delle sostanze sovrammesse e insieme del gesso contaminante, differenziando la metodologia rispetto soprattutto la tecnica esecutiva e lo stato di conservazione delle diverse stesure pittoriche e conservando talora parte delle ridipinture, così come si sono fatte salve pressoché tutte le integrazioni ottocentesche della cornice che ne ricostruivano il tracciato; il consolidamento finale della pellicola pittorica per riparare i danni del gesso e per ripristinare in parte la capacità di resistenza ai fattori di degrado dovuti all’ambiente di conservazione e/o al supporto; il ripristino dell’adesione tra gli strati di supporto insieme alla rimozione delle vecchie stuccature lungo le fratture, le stesse che, durante la fase di riempimento delle molte lacune nell’intonaco, sono state risarcite lasciando spazio tra i bordi sconnessi della pittura. In questo caso si tratta infatti di un fenomeno in continua evoluzione e dipendente dalle condizioni generali termiche e statiche della costruzione. La fase finale ha riguardato la restituzione della leggibilità dell’immagine; in questa fase è stato scelto di ripristinare l’originale tracciato dei raggi delle stimmate, la cui ricostruzione era resa possibile dalle incisioni sull’intonaco e dalle tracce di materia antica, mediante l’utilizzo di velature di un materiale che dell’oro ha solo la lucentezza, cioè la mica, un minerale silicatico polverizzato e legato con gomma arabica per l’utilizzo nel restauro e operando quindi in modo reversibile; e di sostituire le brutte integrazioni delle lacune delle braccia del crocifisso con una ricostruzione esemplata sulla posizione e la forma delle braccia del Crocifisso di Ognissanti che, grazie ad alcuni residui ritrovati sotto le stuccature, si è rivelato pressoché sovrapponibile a quello delle Stigmate. Le abrasioni sono state abbassate mediante velature trasparenti di colore, mentre la integrazione delle lacune è avvenuta tramite selezione cromatica.

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2.

Maestro di Figline, Assunta

arco d’ingresso della Cappella Tolosini-Spinelli

Prima del restauro Dopo il restauro L'intervento di restauro

L’intervento di restauro ha riguardato sia la decorazione ad affresco, coeva probabilmente alle pitture della Cappella Maggiore di Agnolo Gaddi, attorno alla finestra, sia la scena sottostante raffigurante l’Assunzione della Vergine, attribuita al Maestro di Figline e risalente ai primi decenni del Trecento. Come molte altre decorazioni trecentesche presenti in varie parti della chiesa, anche queste erano state celate da un intervento settecentesco di scialbatura e solo nella seconda metà del'Ottocento erano state riscoperte ad opera del celebre restauratore Gaetano Bianchi. L’intervento di descialbo ha quasi sicuramente avuto ripercussioni sullo stato conservativo delle pitture, soprattutto la scena dell’Assunta, completamente eseguita con tecnica a secco, che ha perso, durante questa operazione, molte delle sue campiture pittoriche. Gaetano Bianchi, com’era consuetudine nei restauri ottocenteschi, aveva completato il suo intervento con la ricostruzione delle parti perdute e con pesanti ed estese ridipinture sul testo pittorico originale. Negli anni quaranta del secolo scorso le pitture erano state oggetto di un nuovo restauro ad opera di Amedeo Benini. In questa occasione furono rimosse molte delle ridipinture ottocentesche. Le pitture, al momento del nostro intervento, iniziato nel 2011, erano interessate da un accumulo di polvere e altri materiali di deposito, e l’alterazione dei protettivi applicati nei precedenti restauri conferiva poi una generale patina bruna a tutta la pittura. In alcune parti la pellicola pittorica si presentava esfoliata e decoesa e gli strati d’intonaco erano in diversi punti distaccati e pericolanti. La pittura della scena dell’Ascensione della Vergine del Maestro di Figline è stata dipinta con una tecnica diversa rispetto alla decorazione sovrastante: tutta la pittura è risultata eseguita a secco su due sole pontate d’intonaco la cui giuntura corre orizzontalmente alla metà circa del dipinto. La tecnica esecutiva ha sicuramente influito, complice anche la descialbatura ottocentesca, sul cattivo stato conservativo con cui l’opera è giunta fino a noi. Le caratteristiche tecniche e materiche della pittura hanno richiesto anche una metodologia di restauro diversa da quella adottata per la decorazione soprastante. Non è stato necessario effettuare interventi preconsolidanti in quanto quello che rimaneva della pellicola pittorica non presentava fenomeni di esfoliazione e non si sono riscontrate manifestazioni di solfatazione. Prima della pulitura è stato quindi sufficiente proteggere le sole lamine metalliche originali. Su due parti ben distinte di pittura, la campitura gialla della mandorla che circoscrive la Madonna e la stesura grigia di preparazione del cielo, è stato necessario sostituire la metodologia tradizionale di pulitura con un intervento con strumentazione Laser. Questo ha permesso di ottenere una omogeneità di pulitura senza intaccare le stesure pittoriche originali che erano particolarmente delicate e sensibili anche alla sola azione dell’acqua. I numerosi piccoli residui della scialbatura settecentesca sono stati rimossi meccanicamente a bisturi.

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Terminata l’operazione di pulitura è stato ritenuto utile e necessario effettuare un trattamento protettivo per conferire alla pellicola pittorica una maggiore stabilità e resistenza, rendendola meno sensibile all’umidità ambientale. La reintegrazione pittorica, che ha concluso il restauro, è stata realizzata, con pigmenti stabili ad acquerello, con l’abbassamento di tono a velatura delle abrasioni e con ricostruzioni differenziate a selezione cromatica delle lacune reinterpretabili. Le reintegrazioni presenti sui rifacimenti d’intonaco pregressi, sono state mantenute, adattandole cromaticamente al tono che la pittura originale ha riacquistato dopo la pulitura. Un intervento di restauro pittorico particolare è stato effettuato nella parte interna della mandorla che circoscrive la Madonna; questa zona era stata eseguita dall’artista con lamina d’oro applicata a missione su una stesura pittorica di colore bruno. Purtroppo quasi tutto l’oro è andato perduto mentre sono rimaste più tracce della preparazione bruna; gli interventi di restauro pregressi avevano reinterpretato questa situazione conservativa conferendo a questa parte della mandorla un tono bruno. Col nostro intervento abbiamo cercato di suggerire una più corretta lettura coprendo le parti brune di preparazione con stesure pittoriche di mica (un minerale silicatico polverizzato e legato con gomma arabica per l’utilizzo nel restauro) in modo da ottenere un effetto di tono cromatico e di brillantezza simile a quello che doveva avere la lamina d’oro originale. 3.

Le indagini diagnostiche

Come consuetudine per ogni intervento di restauro, anche nel caso delle pitture murali che rivestono le pareti sopra l'arco d'ingresso delle Cappelle Tolosini-Spinelli e Bardi di Santa Croce, ai lati della Cappella Maggiore, prima di iniziare il nostro intervento di conservazione è stata svolta un’accurata campagna diagnostica. Le informazioni che hanno prodotto le indagini, scientifiche, fotografiche, storico artistiche e di archivio, sono state di fondamentale importanza per definire le finalità e le scelte metodologiche dell’intervento di restauro. I grandi progressi scientifici e tecnologici che negli ultimi decenni hanno interessato la diagnostica applicata al restauro, hanno permesso di realizzare una campagna di indagini approfondita e mirata ai problemi emergenti prima dell’intervento, dopo una prima analisi autoptica delle superfici che ha portato alla registrazione grafica, le cosiddette mappe tematiche, dello stato di conservazione e della tecnica esecutiva. In contemporanea con questa prima fase ispettiva e ugualmente utili all’individuazioni di zone da indagare, sono state eseguite riprese fotografiche ad alta risoluzione, a luce visibile e radente e con tecniche speciali, di tutta la decorazione pittorica. Individuate le problematiche da indagare, la prima fase dell’accertamento diagnostico ha previsto il ricorso alle sole tecniche di indagine non invasive realizzate con strumentazioni portatili, che non richiedono cioè il prelievo di micro campioni, e che sono quindi estremamente rispettose dell’integrità della pittura. Proprio per la sua non invasività questo tipo di campagna diagnostica è stata a volte ripetuta, come valido strumento di controllo dell’intervento, anche durante e dopo il restauro. Solo su alcuni punti, per chiarire gli aspetti diagnostici non precisamente accertabili con le indagini non invasive, è stato necessario fare ricorso a prelievi di micro campioni analizzati con tecniche e strumentazioni di laboratorio. I due cantieri delle fasce decorative sono stati inoltre inseriti come casi-studio all'interno del Progetto regionale TEMART "Tecniche avanzate per la conoscenza materica e la conservazione del patrimonio storico-artistico", progetto approvato dalla Regione Toscana, Direzione Generale Politiche Formative, Beni e Attività Culturali, nell'ambito del Programma Operativo Regionale "Competitività Regionale e Occupazione" cofinanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (POR CreO FESR 2007-2013), per la validazione di metodologie e di strumentazioni messe a punto nell'ambito del progetto. La campagna diagnostica ha coinvolto il Laboratorio Scientifico dell'Opificio delle Pietre Dure e molte altre istituzioni del CNR e di Università, partner dell'OPD, nonché figure professionali esterne sotto la direzione dell'Istituto. La grande massa di dati raccolti durante le campagne diagnostiche e le operazioni di restauro sono stati digitalizzati e archiviati in un apposito database avvalendosi del programma Modus Opera creato da Culturanuova di Massimo Chimenti, da cui è possibile estrarre, anche online, e quindi velocemente e con facilità, le informazioni sulle pitture e sul restauro svolto.


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