ordinanza 11 febbraio 1987; Giud. Pivetti; Associazione naz. funzionari di polizia - A.n.f.p. c.Min. interno e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1337/1338-1341/1342Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179924 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tali essendo le premesse in punto di fatto, ed esclusa la confi
gurazione del rapporto di subordinazione con l'associazione sin
dacale (che, peraltro, lo stesso ricorrente non prospetta), occorrerà
valutare se, secondo le regole della confederazione cui il sindaca
to appartiene, per l'attività prestata al Vernizzi competa una for
ma di compenso. Al proposito, prima ancora di esaminare il contenuto del rego
lamento della C.g.i.l. regionale (sul quale il ricorrente fa leva
per la sua rivendicazione) occorrerà puntualizzare i termini dello
schema astratto nel quale inserire il rapporto fra chi riveste una
carica elettiva in una associazione sindacale e l'associazione stes
sa, ciò apparendo pregiudiziale per una attenta valutazione delle
considerazioni sviluppate dal difensore del ricorrente in sede di
discussione della causa specie a proposito della presunta nullità
per violazione di legge del regolamento C.g.i.l. se interpretato nel senso voluto dall'associazione sindacale convenuta.
È giurisprudenza costante (che questo giudice senza riserva con
divide) l'esclusione del rapporto di dipendenza da cui ex art. 36
Cost, derivi l'obbligo di un proporzionato compenso nel caso di
adesione ad una associazione «di tendenza» affectionis causa: qui effettivamente manca la causa tipica del rapporto di collabora
zione oneroso che è l'offerta di una prestazione lavorativa contro
una retribuzione; al contrario, per definizione, il rapporto che
ci occupa è gratuito perché la prestazione non è offerta in vista
di un compenso, ma solo in ragione dell'adesione ideologica alle
finalità della associazione.
E se ciò può apparire «scontato» (ed addirittura superfluo per
ché, come già detto, il ricorrente non reclama la retribuzione alle
gando il rapporto di dipendenza) la rilevanza della puntualizzazione che precede si rivelerà utilissima al fine di fornire una esatta in
terpretazione della norma regolamentare invocata dal ricorrente
che andrà correttamente inquadrato nel contesto dei principi so
pra enunciati. La clausola n. 2 del regolamento del 1976 (identica a quelle dei regolamenti successivi) al fine della «fissazione dei
compensi e stipendi» prende in considerazione tre distinte catego rie: a) i dirigenti elettivi a pieno tempo; b) i funzionari di appara
to; c) il personale tecnico ed amministrativo.
Il sig. Vernizzi è dirigente elettivo ed in tale qualità reclama
il compenso.
Tuttavia, come si vedrà, egli non è dirigente elettivo a «pieno
tempo» come stabilito dal regolamento. Per dimostrare di esserlo il sig. Vernizzi, come accennato, ha
allegato (e provato) il suo consistente impegno continuativo e quo tidiano (anche per un rilevante numero di ore), cosi dimostrando
di aver lavorato «a tempo pieno» per il sindacato. V'è, tuttavia, che qui «tempo pieno» non è il contrario di «scappatempo» e,
per le ragioni che subito si diranno, la specificazione contenuta
nella clausola regolamentare non fa leva sulla quantità dell'impe
gno, ma (come pare più corretto) sulla circostanza che il dirigente elettivo (come le altre categorie di cui ai punti b e e) svolga la
sua attività sindacale in alternativa ad altra attività di lavoro re
tribuita.
Valgano le seguenti considerazioni.
a) Il significato letterale e corrente dell'espressione «tempo pie no» (o «pieno tempo») specie in considerazione della circostanza
che la clausola non è redatta con il ricorso ad una precisa termi
nologia giuridica, sembra essere quello che «profanamente» si at
tribuisce e cioè di attività esclusiva in favore dell'associazione ed
in alternativa ad una diversa attività retribuita (si pensi ai c.d.
«funzionari di partito» che per far politica non lavorano).
b) Se, peraltro, l'espressione potesse interpretarsi come vuole
il ricorrente e cioè con riferimento alla quantità delle prestazioni
effettuate, conseguentemente il regolamento avrebbe dovuto pre vedere (cosa che non fa) più modeste forme di compenso per chi lavorasse a «mezzo-tempo», o per poche ore, e via di seguito: si vuol dire, cioè, che qui «pieno tempo», per tale ragione, non
può voler dire «impegno quantitativamente consistente» in alter
nativa ad impegni quantitativamente più modesti, perché se cosi
fosse il regolamento avrebbe senz'altro previsto una forma di com
penso (semmai minimo) anche per il dirigente elettivo che si atti
vasse un'ora al mese. Ciò subito suggerisce di escludere che la
clausola possa trovare una interpretazione in senso quantitativo, come sopra specificato, e conseguentemente ne sollecita una «qua litativa» (che, come si vedrà, è quella sostenuta dal sindacato
convenuto).
c) La ratio della previsione di un compenso per i dirigenti elet
tivi si evidenzia tenendo conto di quanto già affermato in pre
II Foro Italiano — 1987 — Parte 1ST.
messa e cioè della natura volontaristica del rapporto e della man
canza della causa tipica del rapporto di lavoro. La regola è, dun
que, la gratuità (se si eccettuano i veri e propri impiegati del
sindacato) perché la prestazione è volontaria; e se, dunque, il
regolamento prevede una forma di compenso, tale compenso non
può che essere destinato a supplire alla mancata retribuzione de
rivante da un diverso rapporto di lavoro e quindi il sindacato
sarà obbligato a corrisponderlo solo a quei dirigenti elettivi che
non siano in produzione (e cioè a quelli che non percepiscano una retribuzione da parte del datore di lavoro).
d) Per la interpretazione della clausola propugnata dal sindaca
to convenuto depone infine la sua costante e concreta applicazio ne (art. 1362, 2° comma, c.c.): sul punto questo giudice ha ritenuto
si svolgere attività istruttoria in esito alla quale è pacificamente risultato che il compenso è stato sempre corrisposto a chi fra
i dirigenti elettivi non fosse in produzione e quindi a chi non
percepisse aliunde una retribuzione.
Non v'è, dunque, dubbio sul significato della clausola regola mentare che va, pertanto, intesa nel senso del diritto a compenso in favore di chi, dirigente elettivo, sia impegnato in attività sinda
cale e non percepisca retribuzione dal datore di lavoro.
Per completezza questo giudice vuole anche darsi carico di un
ulteriore argomento sviluppato in sede di discussione orale dalla
tenace difesa del ricorrente; si è, infatti, sostenuta la illegittimità della clausola in esame (esattamente qualificata come negoziale)
per violazione di norme di legge ed in particolare prospettandosi una disparità di trattamento tra chi si attivi per il sindacato rima
nendo in produzione e chi al contrario lo faccia con impegno a tempo pieno: a parità di prestazione (ipotizzando che il primo sia quantitativamente impegnato a tempo pieno) il dirigente fuori
produzione percepirebbe il compenso e quello in produzione no.
Le premesse teoriche sulla esatta qualificazione dei rapporti di
collaborazione del tipo di quello che ci occupa (v. supra) consen
tono tuttavia di risolvere de plano ogni dubbio di validità, solo
che si ponga mente alla funzione suppletiva del compenso di cui
al regolamento, perfettamente in linea con l'adesione volontaria
alla associazione e la conseguente struttura di collaborazione gra tuita fra dirigente sindacale e sindacato: in buona sostanza si può altrimenti dire che nella ipotesi di cariche elettive la collaborazio
ne è gratuita, salvo un compenso sostitutivo nel caso del dirigente che in ragione del suo impegno sindacale rinunci alla retribuzione
derivante da un diverso rapporto di lavoro.
Cosi risolta la questione è evidente che non v'é motivo alcuno
per riscontrare la prospettata disparità di trattamento. (Omissis)
PRETURA DI ROMA; ordinanza 11 febbraio 1987; Giud. Pi
vetti; Associazione naz. funzionari di polizia - A.n.f.p. c. Min.
interno e altro.
PRETURA DI ROMA;
Sindacati — Repressione della condotta antisindacale — Ammi
nistrazione statale — Tutela di diritti soggettivi perfetti — Pro
cedimento — Inapplicabilità — Questione non manifestamente
infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 39; 1. 20 marzo
1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 4;
1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28,
37; 1. 29 marzo 1983 n. 93, legge-quadro sul pubblico impiego,
art. 23).
Avendo l'Associazione nazionale funzionari di polizia promosso
ricorso ex art. 28 l. n. 300/70 nei confronti del ministero del
l'interno e della presidenza del consiglio dei ministri, va solle
vata d'ufficio la questione di legittimità costituzionale degli art. 28 e 37 l. 20 maggio 1970 n. 300 e dell'art. 23, 1° comma,
I. 29 marzo 1983 n. 93, nella parte in cui escludono l'applicabi
lità nei confronti delle amministrazioni statali dell'art. 28 cit.,
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1339 PARTE PRIMA 1340
per la tutela di posizioni di diritto soggettivo proprie del sinda
cato, in riferimento agli art. 3, 24 e 39, 1° comma, Cost. (1)
1. - Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 28 1. n. 300 del
1970 nei confronti del ministero dell'interno e della presidenza del consiglio dei ministri e notificato il 22 febbraio 1987, l'Asso
ciazione nazionale funzionari di polizia - A.n.f.p. ha esposto che
il ministero dell'interno, nello scorso mese di ottobre, aveva con
vocato i sindacati di polizia per il negoziato (ancora in corso al
momento della proposizione del ricorso) relativo al rinnovo del
contratto nazionale di lavoro del settore, limitando peraltro l'in
vito al SIULP e al SAP ed escludendo invece l'A.n.f.p., della
quale il ministero aveva negato il carattere di maggiore rappre
sentatività, sulla scorta di un parere espresso dal dipartimento della funzione pubblica della presidenza del consiglio.
L'associazione sindacale ricorrente chiedeva quindi che il pre tore dichiarasse antisindacale la condotta del ministero dell'inter
no e disponesse la rimozione degli effetti di tale condotta, ordinando al ministero stesso e al capo della polizia, per quanto di sua competenza, di convocare immediatamente la rappresen tanza dell'A.n.f.p., onde farla partecipare ai negoziati previsti dall'art. 95 1. n. 121 del 1981.
2. - Costituendosi in giudizio, il ministero dell'interno e la pre sidenza del consiglio dei ministri hanno dedotto: a) improponibi lità e temporanea preclusione della domanda essendo pendente un giudizio per regolamento di giurisdizione richiesto nel corso
di un giudizio di opposizione a decreto ex art. 28 vertente tra
le stesse parti; b) preclusione e improponibilità — o, quanto me
no, obbligo di sospensione — essendo pendente il suddetto giudi zio di opposizione, posto che anche in quella sede era stato
denunziato come antisindacale il rifiuto di riconoscere il carattere
di maggiore rappresentatività all'A.n.f.p. e che il ricorso ex art.
28 da questa proposto era stato respinto; c) difetto di giurisdizio
ne, in ragione della non esperibilità della tutela ex art. 28 nei
confronti dello Stato e della conseguente inammissibilità di pro
nunzie, quali quelle qui richieste, tali da comportare la condanna
dell'amministrazione statale ad un facere o da incidere sui suoi
poteri di scelta discrezionale; d) difetto di legittimazione della pre sidenza del consiglio; e) difetto di integrità del contraddittorio,
per non essere stato convenuto il ministero della funzione pubbli
ca; f) incompetenza funzionale, per materia e per valore del pre
tore, in quanto l'eventuale azione proponibile a tutela del diritto
sindacale leso non è quella ex art. 28, ma semmai quella ordina
ria, nella normale sede contenziosa.
Nel merito, l'amministrazione resistente ha negato la sussisten
za dei denunziati connotati di antisindacalità del proprio operato e la mancanza dell'interesse ad agire.
3. Valutando le eccezioni pregiudiziali al solo fine di dare in
gresso alla delibazione sulla rilevanza della successiva questione di costituzionalità, il pretore osserva:
a) Secondo la resistente l'effetto sospensivo del regolamento di giurisdizione non riguarda solo il procedimento in cui esso è
proposto, ma tutte le azioni tra le stesse parti che abbiano il me
desimo petitum sostanziale. Ciò in quanto la sentenza della Corte
di cassazione che risolve una questione di giurisdizione è vinco
lante anche al di fuori del procedimento in cui è emessa, sempre ché si tratti della stessa lite fra i medesimi soggetti (Cass. 6458/85, Foro it., Rep. 1985, voce Giurisdizione civile, n. 101).
A questo riguardo è da rilevare che l'efficacia preclusiva della
statuizione sulla giurisdizione non può essere addotta a fonda
mento di una estensione della già nefasta efficacia sospensiva del
regolamento. Comunque, tale efficacia preclusiva richiede, per essere operante, l'identicità di lite e non soltanto l'identità di que stione.
b) L'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario appare infondata, posto cha la posizione soggettiva qui fatta va
(1) Il problema della tutela (effettiva) dei diritti sindacali nei confronti delle amministrazioni statali resta uno dei grandi nodi irrisolti del nostro sistema giuridico; anche in questo campo (come in altri, si pensi, ad esem
pio, al problema della sospensione dell'esecuzione fiscale), la magistratu ra è costretta ad intervenire con pronunzie (inevitabilmente) contrastanti
per assicurare una concreta tutela a diritti costituzionalmente garantiti ma (talvolta, volutamente) negletti dal legislatore.
Per ogni riferimento in materia cfr. Trib. Firenze 22 novembre 1986, che sarà riportata in un prossimo fascicolo.
li Foro Italiano — 1987.
lere dall'A.n.f.p. (diritto di partecipare alle trattative per il rin
novo del contratto di lavoro) non è correlata a posizioni soggetti ve inerenti al rapporto di impiego di singoli dipendenti (cfr. sez.
un. 4389/84 e successive, id., 1984, I, 2105). Per quanto concerne il richiamo ai limiti posti dagli art. 4 e
5 1. 2248 del 1865, ali. E, ai poteri del giudice ordinario, ove
alcuna delle domande proposte contrasti con i detti limiti, la con
seguenza è che la domanda non sarà accolta e non che la contro
versia sia esclusa dalla cognizione del giudice ordinario.
c) la deduzione concernente l'integrità del contraddittorio non
appare accoglibile: il ministro della funzione pubblica non è par te del rapporto su cui è destinata ad incidere la pronunzia richie
sta. La disapplicazione di un suo provvedimento (supponendo per
ipotesi astratta, che sia da considerare provvedimento l'avviso
espresso in ordine alla non sussistenza del requisito della maggio re rappresentatività in capo all'A.n.p.f. — il che è peraltro giuri dicamente impossibile) non implicherebbe di certo la sua
partecipazione al processo quale litisconsorte necessario.
d) Non appare fondata neppure l'eccezione di difetto di com
petenza del pretore, posto che per il provvedimento richiesto è
competente esclusivamente il pretore, mentre la non esperibilità del procedimento ex art. 28 nei confronti dello Stato pone que stione di ammissibilità e non di competenza.
4. Ciò premesso, è appunto preliminare, all'indagine sulle altre
questioni e sul merito del ricorso proposto dall'A.n.f.p., l'esame
del punto concernente l'ammissibilità del procedimento ex art.
28 nei confronti dello Stato.
Al riguardo, il pretore ritiene di dover sollevare d'ufficio la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 1. 20 maggio 1970 n. 300, dell'art. 28 della medesima legge e dell'art. 23, 1°
comma, 1. 29 marzo 1983 n. 93 nella parte in cui escludono l'ap
plicabilità dell'art. 28 1. 300 del 1970 per la tutela di posizioni di diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato e non cor
relate a posizioni soggettive inerenti al rapporto di impiego di
singoli dipendenti, quando il datore di lavoro è lo Stato, per con
trasto con gli art. 3, 24, 1° e 2° comma, e 39, 1° comma, Cost.
Il sistema di tutela dei diritti sindacali nel pubblico impiego — quale risulta delineato dalle note sentenze emesse dalle sezioni
unite della Corte di cassazione il 26 luglio 1984 a seguito delle
pronunzie della Corte costituzionale del 5 maggio 1980, n. 68
(id., 1980, I, 1553) e del 16 ottobre 1982, n. 169 (id., 1983, I, 862) — può essere cosi sintetizzato: anche le associazioni sindaca
li del pubblico impiego sono titolari iure proprio di diritti sogget tivi perfetti alla libertà ed attività sindacale e all'esercizio del diritto
di sciopero e tali diritti trovano la loro fonte direttamente nelle
norme costituzionali e nelle leggi ordinarie di attuazione; l'art.
24, 1° comma, Cost, impone di riconoscere razionabilità da par te delle associazioni sindacali di tutti i diritti soggettivi di cui esse
sono titolari; ove si tratti di diritti sindacali correlati con posizio ni soggettive inerenti al rapporto individuale di impiego di singoli
dipendenti, il sindacato è legittimato a far valere tali diritti da
vanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva; con riferimento ai diritti sindacali in senso stretto (cioè ai diritti esclusivamente afferenti al sindacato in relazione ad attività, ad
esempio, assemblee, propaganda, sciopero, partecipazione alle trat
tative o ad organismi di controllo o di gestione, ecc. — non con
nesse ai rapporti dei singoli dipendenti) le forme di tutela
giurisdizionale sono invece diverse a seconda che si tratti di sin
dacati che organizzano impiegati statali o di sindacati che orga nizzano dipendenti di altri enti pubblici non economici. Per questi
ultimi, infatti, è emesso il ricorso alla tutela di cui all'art. 28
1. 300 del 1970 (con conseguente inapplicabilità dei limiti di cui all'art. 4 1. 20 marzo 1865 n. 2248). Per i primi, invece, è escluso
il ricorso all'art. 28 ed i diritti in questione sono azionabili da
vanti al giudice ordinario esclusivamente nelle forme ordinarie.
Le richiamate pronunzie delle sezioni unite appaiono aver deli
neato — sul piano del diritto vivente — un tessuto normativo
diverso rispetto a quello preso in considerazione dalla citata pro nunzia della Corte costituzionale del 1980. Ed un ulteriore ele
mento di rilevante novità è stato introdotto non solo — e forse
non tanto — dalla citata 1. 93 del 1983, quanto dalla pronunzia della Corte costituzionale del 28 luglio 1985, n. 190 (id., 1985,
I, 1881), con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 21, ultimo comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 nella par te in cui limita l'intervento d'urgenza del giudice amministrativo
alla sospensione dell'esecutività dell'atto impugnato e non con
sente al giudice stesso di adottare, nelle materie sottoposte alla
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d'urgenza più idonei
ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul meri
to, le quante volte vi sia il fondato motivo di temere che il diritto
fatto valere sia minacciato da un pregiudizio grave e irreparabile. In questo contesto appare in primo luogo priva di una ragione
vole giustificazione la differenziazione esistente tra le forme di
tutela gurisdizionale di cui può avvalersi, in caso di lesione di
diritti sindacali in senso stretto, il sindacato che organizza dipen denti statali rispetto a quelle riconosciute al sindacato che orga nizza dipendenti di altri enti pubblici non economici.
Gli argomenti svolti nella motivazione della pronunzia n. 68
del 1980 per confermare la legittimità dell'esclusione dello Stato dall'ambito di applicabilità dell'art. 28, sono infatti riferibili alla differenziazione tra le forme di tutela dei diritti sindacali vigenti
per il lavoro prestato nell'impresa rispetto a quelle previste per il pubblico impiego in generale, ma non possono in alcun modo
valere a giustificare una disparità di trattamento, sotto questo
profilo, tra sindacato dell'impiego statale e sindacato dell'impie
go pubblico relativo ad altri settori della p.a. E del resto nessun
commentatore è mai riuscito a trovare un solo argomento idoneo
a giustificare questa specifica disparità di trattamento.
Il secondo argomento esposto dalla Corte costituzionale nella
pronunzia citata, che si riferiva alle serie difficoltà che l'estensio
ne dell'art. 28 ai sindacati del pubblico impiego avrebbe determi
nato nelle ipotesi di comportamento antisindacale realizzato
attraverso una lesione di diritti inerenti al rapporto di impiego di singoli dipendenti, ha trovato un superamento nel già visto
indirizzo della Cassazione, che ha previsto per tali ipotesi la tute
la del sindacato davanti alla magistratura amministrativa. Donde
la limitazione della questione qui sollevata alla tutela dei soli di
ritti sindacali in senso stretto.
Non sembra che sia necessario diffondersi sull'entità e sulla
gravità della disparità di trattamento in esame (tra sindacati del
l'impiego statale e sindacati del pubblico impiego non statale,
per quanto attiene alla tutela dei diritti sindacali in senso stretto), essendo sufficiente ricordare che il procedimento ex art. 28, per i caratteri di urgenza e di effettività della tutela da esso appresta ta e per il fatto di non incontrare il limite dell'art. 4 della 1.
2248 ali. E, rappresenta una garanzia incomparabilmente più ef
ficace di quella fornita dalle forme ordinarie di tutela davanti
al giudice ordinario. Quanto a queste ultime, infatti, vi è da os
servare che il menzionato limite ai poteri del g.o., stabilito dal
l'art. 4, rende concretamente non realizzabile la tutela anticipatoria
d'urgenza a mezzo dell'art. 700 c.p.c., ciò che, data la natura
dei diritti in questione, costituisce già di per sé privazione di una
effettiva tutela giurisdizionale (cfr. Corte cost. n. 294 del 1984,
id., 1985, I, 651). Quest'ultimo rilievo mette poi in luce un'ulteriore disparità in
giustificata di trattamento normativo tra situazioni sostanziali equi valenti.
Mentre, infatti, nel caso di lesione di diritti sindacali correlati, il sindacato dell'impiego statale può richiedere al giudice ammini
strativo, a seguito della citata pronunzia n. 190 del 1985, le ido
nee misure di tutela urgente a contenuto anticipatorio che valgano a salvaguardare il diritto da pregiudizi gravi ed irreparabili, nel
caso di lesione di diritti sindacali in senso stretto il medesimo
sindacato rimane del tutto sprovvisto di mezzi di tutela urgente ed effettiva. La diversità tra le posizioni soggettive in questione
(diritti sindacali in senso stretto e diritti sindacali correlati) non
sembra investire alcun profilo idoneo a rendere ragionevolmente
giustificabile una cosi radicale differenza di disciplina in ordine
alle forme ed al grado di efficacia della tutela giurisdizionale. La enunciata disparità si traduce in una riduzione (che a sua
volta può significare in molti casi una privazione) della effettiva
tutela giurisdizionale dei diritti sindacali in senso stretto del sin
dacato che organizza i dipendenti statali e si pone quindi in con
trasto con l'art. 24, 1° comma, Cost.
L'insufficiente ed inefficiente tutela giurisdizionale apprestata
per tali diritti costituisce infine un attentato all'attività e alla li
bertà sindacale, con conseguente violazione dell'art. 39 Cost.
Il Foro Italiano — 1987.
PRETURA DI TARANTO; sentenza 20 dicembre 1986; Giud.
Dioguardi; Trocino (Aw. Del Vecchio) c. Soc. i.t.c. (Avv. De Franco).
PRETURA DI TARANTO;
Lavoro (rapporto) — Permessi retribuiti per dirigenti sindacali
esterni (Cod. civ., art. 1229; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento, art. 30).
La contrattazione collettiva, nel determinare le modalità di eser
cizio dei permessi di cui all'art. 30 l. 300/70, deve conformarsi al principio di bilanciamento degli interessi, adeguatamente ri
spettato con la previsione della necessità della preventiva co
municazione al datore della richiesta (nella specie, è stata pure ritenuta in contrasto con la norma di cui all'art. 1229 c.c. la
clausola del contratto collettivo che stabilisce che debba co
munque essere garantito in ogni reparto lo svolgimento dell'at
tività produttiva). (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso ritualmente notifica
to Trocino Domenico conveniva avanti questo pretore, in funzio
ne di giudice di lavoro, la società I.t.c. s.r.l. esponendo di lavorare
alle dipendenze di tale società e di avere richiesto quale dirigente
provinciale della F.i.o.m.-C.g.i.l. ed ai sensi dell'art. 30 statuto
dei lavoratori un permesso sindacale retribuito di otto ore per il giorno 21 marzo 1986 che pretestuosamente, non veniva accor
dato. Concludeva, chiedendo la declaratoria della illegittimità del
rifiuto opposto dalla società datrice di lavoro, prospettandosi un
interesse alla pronuncia in relazione alla prosecuzione del rappor to di lavoro ed alle conseguenti ulteriori richieste. La società con
venuta, costituitasi, contrastava la domanda e ne chiedeva il rigetto, assumendo che in virtù dell'art. 4 disc. gen. sez. I del contratto
collettivo nazionale di categoria i permessi sindacali potevano es
sere ottenuti soltanto qualora fosse stato garantito, comunque, in ogni reparto lo svolgimento dell'attività produttiva e tale con
dizione, nel caso di specie, non risultava assolta per le assenze
degli altri componenti della squadra di lavoro nella quale era in
serito il ricorrente. (Omissis) Motivi della decisione. — L'art. 30 dello statuto dei lavoratori
riconosce ai componenti degli organi direttivi provinciali e nazio
nali delle associazioni sindacali il diritto a fruire di permessi retri
buiti secondo le norme dei contratti di lavoro. Tale diritto non
è espressamente sottoposto ad alcuna condizione rimenandosi il
legislatore alle pattuizioni collettive «dei contratti di lavoro» per la determinazione delle modalità, che, secondo l'insegnamento della
Suprema corte (Cass. n. 5847/85, Foro it., 1986, I, 647; 2693/84,
id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1239), devono confor
marsi al principio del bilanciamento degli interessi, al quale deve,
altresì, attenersi l'autorità giudiziaria quando viene chiamata al
l'integrazione delle pattuizioni ex art. 1374 c.c. Orbene, nel caso
oggetto di decisione la norma collettiva, già garantisce adeguata mente la prosecuzione dell'attività produttiva nell'ottica del ridet
to bilanciamento, mediante l'onere della preventiva comunicazione
della richiesta. Non appare, perciò, coerente l'ulteriore rafforza
mento dell'interesse del datore di lavoro, riconnesso all'interpre tazione prospettata della clausola contrattuale. La pattuita
garanzia, infatti, non può far ricadere sui componenti degli orga ni direttivi sindacali richiedenti gli effetti di una inadeguata orga nizzazione produttiva che, peraltro, è nell'esclusiva disponibilità del datore di lavoro. Trattasi, come appare evidente, di impossi bilità sopravvenuta imputabile che non può essere opposta al cre
ditore e non esonera il debitore dalla prestazione, alla stre
gua dei principi generali delle obbligazioni. Né varrebbe invo
care la limitazione convenzionale collettiva della responsabi
(1) Cfr., per una posizione ancora più rigida circa i poteri della con
trattazione collettiva in materia di permessi ex art. 30 1. 300/70, Cass.
23 novembre 1985, n. 5847, Foro it., 1986, I, 647, con nota di richiami
in cui si dà conto del dibattito sul punto. In senso conforme a Cass. 5847/85 cit., cfr. Pret. Pavia 10 dicembre
1986, giud. De Angelis, soc. Fedegari Autoclavi c. UILM, inedita a quel che consta, che ha confermato il provvedimento ex art. 28 1. 300/70 emesso
il 13 settembre precedente, ugualmente inedito. Per quanche spunto sulla problematica in questione cfr. G. Perone,
Lo statuto dei lavoratori, in Trattato di diritto privato, diretto da P.
Rescigno, Torino, 1986, 882.
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