ordinanza 11 giugno 2003, n. 204 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 18 giugno 2003, n. 24);Pres. Chieppa, Est. Contri; De Simone c. Cirimbilla e altro; interv. Pres. cons. ministri. Ord.Trib. Roma 9 aprile 2002 (G.U., 1 a s.s., n. 48 del 2002)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 9 (SETTEMBRE 2003), pp. 2221/2222-2223/2224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198405 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico di
un dipendente del servizio per l'informazione e la sicurezza
democratica (Sisde) per il reato di sottrazione di atti o docu
menti concernenti la sicurezza dello Stato, la Corte d'assise
d'appello di Roma, con ricorso depositato il 23 aprile 2002, ha
sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei con
fronti del comitato parlamentare per i servizi d'informazione e
di sicurezza e per il segreto di Stato, in relazione all'opposizio ne del segreto di Stato, comunicata con nota del presidente del
comitato medesimo in data 19 febbraio 2002; che la corte ricorrente lamenta che il presidente del comitato
parlamentare, al quale era stata richiesta l'esibizione di alcuni
documenti, abbia opposto il vincolo del segreto, ai sensi del
l'art. 11 1. 24 ottobre 1977 n. 801 (istituzione e ordinamento dei
servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), in difetto dei necessari presupposti;
che, in particolare, ad avviso della ricorrente, benché il citato
art. 11 disponga che i componenti del comitato sono vincolati al
segreto relativamente alle informazioni acquisite, alle proposte e
ai rilievi inerenti alle linee essenziali delle strutture e dell'atti
vità dei servizi, tale vincolo non si estende fino al punto di
comprendere anche la documentazione che sia pervenuta al co
mitato per vie non istituzionali, come si sarebbe verificato nella
fattispecie; che pertanto la ricorrente chiede a questa corte di valutare il
corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presup
posti di applicabilità dell'art. 11 1. n. 801 del 1977, così come
esercitato dal comitato parlamentare con l'indicata nota del 19
febbraio 2002, non potendo procedere ulteriormente, poiché
l'opposizione del segreto impedisce l'adozione di ogni decisio
ne fondata su una prova generica. Considerato che in questa fase del giudizio di mera delibazio
ne senza contraddittorio appaiono sussistere i requisiti soggetti vi e oggettivi richiesti dall'art. 37 1. 11 marzo 1953 n. 87, per ché possa configurarsi un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la cui risoluzione spetti alla competenza di questa
corte;
che, in particolare, sotto il profilo soggettivo, sussiste la le
gittimazione della Corte d'assise d'appello di Roma a sollevare
conflitto, in quanto organo giurisdizionale competente a dichia
rare definitivamente la volontà del potere che rappresenta, in
posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione; che anche il comitato parlamentare per i servizi di informa
zione e di sicurezza e per il segreto di Stato è legittimato a resi
stere al conflitto, essendo competente a dichiarare definitiva
mente, nell'ambito delle materie di sua spettanza, la volontà del
potere cui appartiene; che, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione anche in
punto d'ammissibilità, deve dichiararsi esistente la materia del
conflitto, in quanto la ricorrente Corte d'assise d'appello di
Roma lamenta la lesione di attribuzioni costituzionalmente ga rantite, in relazione all'opposizione del segreto di Stato da parte del comitato parlamentare.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara ammissi
bile, ai sensi dell'art. 37 1. 11 marzo 1953 n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte d'assise d'appello di Roma nei
confronti del comitato parlamentare per i servizi di informa
zione e di sicurezza e per il segreto di Stato, con il ricorso in e
pigrafe.
nalità, essendo sufficiente il rinvio alla norma che, proprio consideran do prevalenti i predetti interessi pubblici, aveva preventivamente esclu so l'accesso, v. Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2001, n. 4064, Foro it.,
Rep. 2001, voce Pubblica sicurezza, n. 22. Per l'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 262
c.p., nella parte in cui, non specificando in maniera sufficiente i pre
supposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti ammini
strativi alla cui trasgressione deve seguire la pena, si porrebbe in con
trasto con il principio di legalità, v. Corte cost. 28 giugno 2002, n. 295,
id.. Rep. 2002, voce Spionaggio, n. 2, commentata da Macchia, in Dir.
e giustizia, 2002, fase. 28, 18.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 11 giugno 2003, n. 204 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 giugno 2003, n.
24); Pres. Chieppa, Est. Contri; De Simone c. Cirimbilla e
altro; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Roma 9 aprile 2002 (G.U., la s.s., n. 48 del 2002).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione — Conduttore — Successione nel contratto — Cessazione
della convivenza «more uxorio» — Mancanza di prole co
mune — Omessa previsione — Questione manifestamente
infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 6).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 6 l. 392/78, nella parte in cui non prevede
che, in caso di cessazione della convivenza more uxorio, il
convivente rimasto nella detenzione dell'immobile adibito ad
abitazione succeda al conduttore nel contratto di locazione
anche in mancanza di prole comune, in riferimento all'art. 3
Cost. (1)
Ritenuto che il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 9
aprile 2002, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 6 1. 27 luglio 1978 n.
392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui non prevede che, in caso di cessazione della convivenza
more uxorio, al conduttore di un immobile ad uso abitativo suc
ceda nel contratto di locazione il convivente rimasto nella de
tenzione dell'immobile, anche in mancanza di prole comune;
che il rimettente, che ha già sollevato nel medesimo giudizio la stessa questione di legittimità costituzionale, dichiarato mani
festamente inammissibile con ordinanza n. 61 del 2002 (Foro
it., 2002, I, 1641), per carente descrizione della concreta fatti
specie, provvede ad integrare la motivazione, indicando com
piutamente gli elementi in fatto; che il giudice a quo, dopo aver richiamato le ragioni già
esposte nella precedente ordinanza a sostegno della pretesa ille
gittimità costituzionale, osserva come nella coscienza sociale la
posizione del convivente possa ormai essere equiparata a quella del coniuge, pur in mancanza di figli comuni, soprattutto quan do la convivenza si sia protratta per molti anni e sottolinea l'e
sigenza di consentire la successione nel contratto nel caso di
cessazione della convivenza senza prole comune come partico larmente avvertita anche in relazione alla fondamentale impor tanza assunta dal bene-abitazione;
che pertanto, ad avviso del rimettente, sarebbe necessario ri
conoscere il diritto di abitazione al convivente rimasto nella ca
sa comune, poiché altrimenti la norma sembra ledere il principio di eguaglianza sia con riguardo alla posizione del coniuge che a
quella del convivente con prole comune;
che è intervenuto nel giudizio il presidente del consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata;
che, in particolare, ad avviso della difesa erariale, le sentenze
della Corte costituzionale n. 404 del 1988 (id., 1988, I, 2515) e
n. 559 del 1989 (id., 1990,1, 1465), che pure hanno configurato il diritto all'abitazione quale diritto fondamentale degno di ade
guata tutela, non potrebbero invocarsi nella fattispecie, nella
quale non ricorre l'esigenza di tutela di un nucleo familiare, per mancanza di prole comune.
Considerato che il Tribunale di Roma sollecita una pronuncia additiva con la quale si affermi il diritto del convivente more
(1) L'ordinanza rileva la profonda disomogeneità sia delle caratteri
stiche della convivenza more uxorio rispetto a quelle del rapporto co
niugale (da cui discende, come dalla stessa corte già ritenuto in nume
rose occasioni, la mancanza di un'esigenza costituzionale di parifica zione di trattamento delle due situazioni), sia della situazione di cessa
zione della convivenza in presenza di prole, rispetto alla cessazione di
quella senza prole. La stessa questione, già sollevata nel medesimo processo dal giudice
a quo, era stata dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto di
motivazione sulla rilevanza, da Corte cost., ord. 15 marzo 2002, n. 61, Foro it., 2002,1, 1641, con nota di richiami.
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2223 PARTE PRIMA 2224
uxorio a succedere nel contratto di locazione, allorché sia ces
sata la convivenza e non vi sia prole comune; che il giudice a quo considera la norma impugnata lesiva del
principio di eguaglianza, sia con riguardo alla posizione del co
niuge sia con riguardo a quella del già convivente con prole comune;
che, come questa corte ha più volte affermato, la convivenza
more uxorio, basata svlY affectio quotidiana, liberamente ed in
ogni istante revocabile, presenta caratteristiche così profonda mente diverse dal rapporto coniugale da impedire l'automatica
assimilazione delle due situazioni al fine di desumerne l'esigen za costituzionale di una parificazione di trattamento (tra le tante, ordinanza n. 491 del 2000, id., Rep. 2001, voce Matrimonio, n.
168; sentenza n. 352 del 2000, id.. Rep. 2000, voce Azione pe nale tra congiunti, n. 2; ordinanza n. 313 del 2000, id., 2002, I,
356); che le stesse considerazioni valgono in relazione alla compa
razione tra la cessazione della convivenza con prole e la cessa zione di quella senza prole, trattandosi, pure in questo caso, di
situazioni del tutto disomogenee, rispetto alle quali non sono in
vocabili né il principio di eguaglianza, né le argomentazioni contenute nella sentenza n. 404 del 1988, la cui ratio decidendi
per la conservazione dell'abitazione alla residua comunità fa miliare si fondò appunto sull'esistenza di prole naturale e quindi
sull'esigenza di tutelare un nucleo familiare; che pertanto la prospettata questione deve dichiararsi manife
stamente infondata.
Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°
comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 1. 27 luglio 1978 n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 11 giugno 2003, n. 203 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 giugno 2003, n.
24); Pres. Chieppa, Est. Bile; Azienda casa Emilia-Romagna (Acer) c. Piconese e altri. Ord. Trib. Modena 18 luglio 2002
(G.U., la s.s., n. 40 del 2002).
Edilizia popolare, economica e sovvenzionata — Alloggi del l'Istituto autonomo case popolari — Morosità dell'asse
gnatario — Decreto ingiuntivo con ordine di rilascio —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; r.d. 28 aprile 1938 n. 1165, approvazione del t.u. delle dispo sizioni sull'edilizia popolare ed economica, art. 32; 1. 27 lu
glio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urba ni, art. 55).
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 r.d. 28 aprile 1938 n. 1165, nella parte in cui prevede che
gli istituti autonomi per le case popolari, nelle ipotesi di mancato pagamento di rate di fitto, possono chiedere al giu dice di ingiungere, con decreto, all'inquilino moroso di pa gare entro un determinato termine, disponendo lo sfratto in caso di inadempienza, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
(1) Come si rammenta in motivazione, la questione di costituziona lità dello speciale procedimento monitorio previsto dall'art. 32 r.d. 1165/38 era stata già ritenuta infondata da Corte cost. 22 dicembre 1969, n. 159, Foro it., 1970,1, 381 (che, tuttavia, aveva dichiarato ille
gittimi il 3° ed il 7° comma dell'articolo, nella parte in cui prevedeva no, per il pagamento dei canoni scaduti e per l'opposizione all'ingiun zione, termini eccessivamente esigui, più brevi di quelli stabiliti dal l'art. 641 c.p.c. per il comune procedimento ingiuntivo) e, successiva
II Foro Italiano — 2003.
Diritto. — 1. - Il Tribunale di Modena propone la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 r.d. 28 aprile 1938 n.
1165 (approvazione del t.u. delle disposizioni sull'edilizia po polare ed economica). La norma prevede che gli istituti per le
case popolari possono richiedere al giudice di ingiungere, con
decreto, all'inquilino moroso di pagare il dovuto entro un certo
termine dalla notifica, trascorso il quale si procede allo sfratto; contro il decreto l'inquilino può proporre opposizione, e il giu dice può in casi gravi sospendere l'esecuzione.
Il rimettente ritiene che questo procedimento violi gli art. 3 e
24 Cost., in quanto assoggetta gli assegnatari di alloggi di edili zia residenziale pubblica ad una disciplina ingiustificatamente deteriore rispetto agli altri conduttori di locazioni abitative e le
de il loro diritto di difesa. Al riguardo, pone in rilievo che i conduttori comuni, in caso
di morosità, possono essere chiamati in giudizio dal locatore
con il procedimento per convalida di sfratto e non sono assog
gettati, come gli assegnatari, ad un ordine di sfratto emesso
inaudita altera parte; fruiscono di un termine di comparizione non concesso agli assegnatari; possono esercitare il diritto di di
fesa nella fase speciale del procedimento per convalida oppo nendosi ad essa personalmente, senza il ministero di un difenso
re, necessario invece per l'opposizione al decreto di cui alla
norma impugnata; possono, a differenza degli assegnatari, pro porre opposizione tardiva; possono sanare la morosità, fruendo
del «termine di grazia» previsto dall'art. 55 1. n. 392 del 1978, non concesso agli assegnatari.
mente, da Corte cost. 19 novembre 1991, n. 419, id., 1992, I, 302, con nota di richiami e osservazioni di F. Donati (riportata anche in Giust. civ., 1992, I, 313, con nota di N. Izzo, e Giur. costit., 1991, 3565, con nota di R. Bin), nella cui motivazione si auspicava, peraltro, un inter vento del legislatore volto a rendere la disciplina in questione più ri
spettosa della rilevanza costituzionale del diritto all'abitazione. La corte, ponendosi nel solco di tali precedenti, conferma che le pe
culiari caratteristiche della disciplina sostanziale delle locazioni aventi ad oggetto alloggi di edilizia residenziale pubblica giustificano un trat tamento processuale differenziato, osservando come, in realtà, le censu re mosse dal giudice a quo si appuntino su talune differenze normal mente intercorrenti tra i procedimenti di tipo monitorio, qual è quello prescelto nella sua discrezionalità dal legislatore del 1938, e quelli in trodotti con la notifica di un atto. Il profilo inerente all'impossibilità per l'assegnatario di opporsi personalmente al decreto d'ingiunzione e
sfratto, senza ricorrere ad un legale, viene agevolmente liquidato in ba se al rilievo che la possibilità della difesa personale, ammessa nella fa se sommaria del procedimento per convalida di sfratto di cui agli art. 657 ss. c.p.c., costituisce eccezione alla regola generale. Non si manca, peraltro, di sottolineare: a) da un lato, che, contrariamente alle aspetta tive del giudice rimettente, un'eventuale declaratoria di illegittimità co stituzionale della norma impugnata non varrebbe a rendere applicabile alle locazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica la disciplina sulla sanatoria della morosità prevista dall'art. 55 1. 392/78, essendo tali rapporti esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 5 stessa legge, in tema di valutazione della gravità dell'inadempimento del conduttore nel pagamento della pigione; b) dall'altro lato, che, essendo l'esecuzio ne dello sfratto ex art. 32 r.d. 1165/38 condizionata al mancato paga mento del canone entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. (elevato a
quaranta giorni dal d.l. 432/95, convertito con modifiche nella 1.
534/95), l'assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica può sanare la morosità nel termine di quaranta giorni dalla notifica del de creto d'ingiunzione e sfratto, venendo così a trovarsi, in definitiva, in una situazione più vantaggiosa di quella in cui si troverebbe se il loca tore agisse per la risoluzione del contratto con il rito ordinario o con il
procedimento per convalida di sfratto, giacché in entrambi tali casi, at tesa la rilevata inapplicabilità del c.d. termine di grazia ex art. 55 1. 392/78 ai rapporti locatizi in discorso, l'adempimento successivo alla
proposizione della domanda non potrebbe impedire la pronunzia di rila scio.
Circa l'ambito di operatività dell'art. 55 1. 392/78, nel senso che il meccanismo di sanatoria della morosità previsto da tale norma, pur po tendo essere utilizzato sia nel procedimento speciale per convalida di sfratto ex art. 658 c.p.c., sia nel caso di azione ordinaria di risoluzione contrattuale ex art. 1453 c.c. (v., da ultimo, Cass. 24 febbraio 2000, n. 2087, Foro it., 2000, I, 1130, con nota di richiami), può trovare appli cazione solo con riferimento alle locazioni abitative ordinarie, soggette al regime di determinazione legale del canone, attesa la stretta correla zione tra il predetto art. 55 e l'art. 5 1. 392/78, in tema di valutazione della gravità dell'inadempimento, v. Cass. 28 aprile 1999, n. 272/SU, id., 1999, I, 1774, con nota di richiami di D. Piombo; e, successiva mente, Cass. 18 ottobre 2001, n. 12743, id., 2002, I, 68; Corte cost., ord. 14 dicembre 2001, n. 410, ibid., 313; Cass. 23 gennaio 2002, n. 741, id., Rep. 2002, voce Locazione, n. 307. [D. Piombo]
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