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ordinanza 12 marzo 2004, n. 95 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 17 marzo 2004, n. 11); Pres....

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ordinanza 12 marzo 2004, n. 95 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 17 marzo 2004, n. 11); Pres. Zagrebelsky, Est. Flick; M.T.; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Milano 25 novembre 2002 (G.U., 1 a s.s., n. 13 del 2003) Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 1323/1324-1331/1332 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199290 . Accessed: 25/06/2014 05:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.82 on Wed, 25 Jun 2014 05:16:09 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 12 marzo 2004, n. 95 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 17 marzo 2004, n. 11); Pres. Zagrebelsky, Est. Flick; M.T.; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Milano 25

ordinanza 12 marzo 2004, n. 95 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 17 marzo 2004, n. 11);Pres. Zagrebelsky, Est. Flick; M.T.; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Milano 25 novembre2002 (G.U., 1 a s.s., n. 13 del 2003)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 1323/1324-1331/1332Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199290 .

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PARTE PRIMA 1324

questa corte in tema di notificazioni, secondo il quale è irragio nevole e lesivo del diritto di difesa che effetti decadenziali di

scendano, a carico delle parti del processo, dal ritardato compi mento di attività riferibili a soggetti diversi.

2. - La questione è inammissibile.

Il dubbio sulla legittimità costituzionale dell'art. 647 c.p.c. che il rimettente sottopone a questa corte si fonda sull'esplicita

premessa che l'opponente a decreto ingiuntivo, in quanto im

possibilitato ad iscrivere a ruolo la citazione il cui originale non

gli sia stato tempestivamente restituito dall'ufficiale giudiziario, subirebbe irragionevolmente gli effetti pregiudizievoli (impro cedibilità dell'opposizione) del ritardo a lui non imputabile; ar

gomentandosi esplicitamente l'impossibilità della tempestiva iscrizione a ruolo dal fatto che l'art. 165 c.p.c. non consentireb

be la costituzione in giudizio dell'attore prima del momento in

cui la notificazione si è perfezionata nei confronti del destinata

rio della notificazione stessa.

Siffatta interpretazione non è, tuttavia, coerente con i principi affermati da questa corte in tema di momento perfezionativo della notificazione (sentenze n. 28 del 2004, Foro it., 2004, I,

645, e n. 477 del 2002, id., 2003, I, 13) in quanto, poiché la no

tificazione si perfeziona per il notificante con la consegna del

l'atto all'ufficiale giudiziario, ne discende che da quel momento

possono essere da lui compiute le attività (tra cui, appunto, l'i

scrizione a ruolo) che presuppongono la notificazione dell'atto

introduttivo del giudizio, ferma restando, in ogni caso, la decor

renza del termine finale dalla consegna al destinatario.

Il rimettente — il quale, pure, non manca di rilevare come la

Corte di cassazione «abbia in generale chiarito la mancanza di

ostacoli normativi ad una costituzione anche prima della notifi

cazione della citazione» — del tutto apoditticamente, assume,

invece, che non può privarsi la parte «del diritto, riconosciutole

dal rito, ad iscrivere la causa a ruolo, sopportandone i costi,

previa verifica della ritualità della notifica», e pertanto si sottrae

all'obbligo di ponderare adeguatamente la possibilità di un'in

terpretazione adeguatrice della norma, ritenendo preclusivo di

tale possibilità l'interesse, di carattere meramente economico, dell'attore a non affrontare le spese d'iscrizione a ruolo prima di aver verificato la ritualità della notificazione.

Il rimettente tralascia così di considerare che la possibilità di

iscrizione a ruolo della causa prima del perfezionamento della

notificazione per il destinatario (con la c.d. velina) è già espli citamente prevista, nel caso di notificazione a mezzo posta, dal

l'art. 5, 3° comma, 1. 20 novembre 1982 n. 890 (notificazioni di

atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse

con la notificazione di atti giudiziari), e non tiene, inoltre, alcun

conto dell'esistenza di una norma, quale quella prevista dall'art.

291 c.p.c., che, in quanto consente all'attore di ottenere alla

prima udienza un termine per rinnovare la notificazione della

citazione viziata da nullità, senza incorrere in alcuna decadenza, di fatto limita il rischio economico dì una inutile iscrizione a ruolo alla sola, marginale ipotesi di notificazione del tutto inesi stente.

Conclusivamente, poiché il rimettente omette sostanzialmente di specificare la ragione per cui sarebbe precluso all'opponente di iscrivere la causa a ruolo dal momento della consegna all'uf

ficiale giudiziario per la notifica dell'originale dell'atto di cita

zione in opposizione e fino alla scadenza del termine decorrente

dal perfezionamento della notifica per il destinatario, la questio ne sollevata risulta priva della necessaria motivazione e, per tanto, inammissibile.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi bile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 647 c.p.c. sollevata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dal Tribunale di Terni con l'ordinanza in epigrafe.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 12 marzo 2004, n.

95 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 marzo 2004, n.

11); Pres. Zagrebelsky, Est. Fuck; M.T.; interv. Pres. cons,

ministri. Orci. App. Milano 25 novembre 2002 (G.U., la s.s., n. 13 del 2003).

Peculato, concussione, malversazione, percezione indebita di

erogazioni pubbliche — Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato — Rapporto con il reato di truffa —

Questione manifestamente infondata di costituzionalità

(Cost., art. 3, 10; cod. pen., art. 316 ter, 640 bis).

E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 316 ter c.p., il quale si troverebbe in posizio ne di «sostanziale specialità», nonostante la «formale sussi

diarietà», rispetto alla norma di cui all'art. 640 bis c.p., in

riferimento agli art. 3 e IO Cost. (1)

(1)1.- Per un primo commento (in senso critico) al provvedimento in

rassegna, v. O. Forlenza, La Consulta percorre i precedenti della Cas sazione e ribadisce l'esistenza del rapporto di sussidiarietà, in Guida al dir., 2004, fase. 14, 71.

La presente ordinanza affronta il delicato tema dei rapporti fra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pub bliche (art. 640 bis c.p.).

La prima delle due norme — introdotta dalla 1. 29 settembre 2000 n. 300 — punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640 bis, chiunque, mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o atte stanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni do vute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanzia

menti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee; il fatto integra un mero illecito amministrativo se la somma percepita è uguale o inferiore a euro 3.999,96. La seconda nor ma — che costituisce una circostanza aggravante del reato di cui al l'art. 640 c.p. (Cass., sez. un.. 26 giugno 2002, Fedi, Foro it., 2002, II, 626) — prevede la reclusione da uno a sei anni se il fatto di cui all'art. 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre

agevolazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o ero

gati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. La prevalente giurisprudenza ha ritenuto che tra le due norme vi sia

un rapporto di sussidiarietà, nel senso che perché le condotte descritte dall'art. 316 ter integrino il reato di cui all'art. 640 bis occorre la pre senza di ulteriori comportamenti fraudolenti o maliziosi: ciò che si veri

fica, ad esempio, nel caso del soggetto che abbia creato i documenti falsi che hanno indotto in errore l'ente erogatore (Cass. 2 ottobre 2003, Cassisa, Guida al dir., 2004, fase. 7, 96 (m)). Nello stesso senso, v. Cass. 22 marzo 2002, Morandell, Foro it., Rep. 2002, voce Truffa, n.

18, e, per esteso, Guida al dir., 2002, fase. 37, 50, con nota di G. Ama

to, e Cass. pen., 2003, 1214, con nota di C. Manduchi (nella specie, in

applicazione di tale principio, la corte, respingendo un ricorso del p.m., ha ritenuto che correttamente fosse stata fatta rientrare nelle previsioni dell'art. 316 ter, 2° comma — sanzionata, in ragione dell'entità della somma indebitamente percepita, solo in via amministrativa — la con dotta consistita nella presentazione, a sostegno di una richiesta di con tributo della provincia per l'acquisto di un autoveicolo industriale, di una fattura recante l'indicazione di un prezzo maggiore di quello effet tivo); 30 ottobre 2001, Cogno, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 20, e, per esteso, Cass. pen., 2003, 2679, con nota critica di N. Madia, secon do cui la norma di cui all'art. 316 ter è destinata a coprire le aree che la

prima lascerebbe libere da sanzione penale, come nel caso del mero mendacio, di per sé non idoneo ad integrare l'ipotesi della truffa; 24 settembre 2001, Temmerle, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 20, e, per esteso, Dir. e giustizia, 2001. fase. 44, 40, con nota critica di A. Mil ler.

Si veda, altresì, G.i.p. Trib. Livorno 8 marzo 2002, Foro it.. Rep. 2002, voce Peculato, n. 14, e, per esteso, Foro toscano-Toscana giur., 2002, 262, con nota di M. Mannucci, secondo cui ricorre un rapporto di sussidiarietà e non di specialità tra le disposizioni di cui agli art. 316 ter e 640 bis-, sussidiarietà alla stregua della quale la prima norma può tro vare applicazione solo nel caso in cui possa escludersi l'applicabilità della seconda; ne consegue che l'ambito di operatività dell'art. 316 ter

appare quanto mai incerto e di assai problematica definizione. Nel senso, invece, della sussistenza di un rapporto di specialità tra le

due norme, cfr. Cass. 6 marzo 2003, Carminati, Ced Cass., rv. 224966, la quale ne deduce che, allorché la condotta incriminata sia consistita nella semplice attestazione di fatti non conformi al vero, integrata dal l'art. 316 ter c.p., ed il profitto conseguito dall'agente non raggiunga la

soglia minima di punibilità prevista dall'art. 316 ter, 2° comma, c.p., la condotta contestata non ha più rilievo penale e resta sanzionata solo in via amministrativa.

In dottrina, si pone in senso sostanzialmente adesivo al prevalente

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe la Corte d'appello di

Milano ha sollevato, in riferimento agli art. 3 e 10 Cost., que stione di legittimità costituzionale dell'art. 316 ter c.p., ag

giunto dall'art. 4 1. 29 settembre 2000 n. 300 (ratifica ed esecu

zione dei seguenti atti internazionali elaborati in base all'art. K.

3 del trattato sull'Unione europea: convenzione sulla tutela de

gli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles

orientamento della Cassazione, P. Semeraro, Osservazioni in tema di indebita percezione dì erogazioni a danno dello Stato, in Cass, pen., 2001, 2563. In senso contrario, Mannucci, nota a G.i.p. Trib. Livorno 8 marzo 2002, cit., afferma che mentre l'art. 2 1. 23 dicembre 1986 n. 898 sanziona la mera esposizione di dati e notizie false — condotta di per sé effettivamente non integrante la tipicità dell'art. 640 bis — lo stesso non può dirsi per le condotte descritte dall'art. 316 ter, atteso che la

giurisprudenza di legittimità ha da sempre ricondotto al concetto di «artifizi o raggiri» la formazione e allegazione di documenti falsi: con

seguentemente, l'unico margine di applicazione dell'art. 316 ter ri

guarderebbe le sole ipotesi di mendacio contemplate dall'art. 2 1.

898/86. Della stessa opinione è Amato, nota a Cass. 22 marzo 2002, cit., secondo il quale il legislatore, nel cercare di rafforzare la tutela dei

finanziamenti pubblici, ha involontariamente ottenuto l'effetto contra

rio, dal momento che. se si vuole attribuire un concreto spazio di ope ratività al reato di cui all'art. 316 ter, le condotte ivi previste

— che

teoricamente erano già ricomprese nel disposto di cui all'art. 640 bis —

sono adesso sanzionate con pena più lieve. Secondo Manduchi, nota a Cass. 22 marzo 2002, cit., poiché l'art. 316 ter non fa riferimento al l'elemento dell'induzione in errore, tale norma riguarderebbe le ipotesi non rientranti nell'ambito applicativo dell'art. 640 bis proprio per man canza del suddetto requisito, e cioè i casi di approfittamento dell'errore

altrui, i casi di procedure non implicanti alcuna verifica circa la veridi

cità delle dichiarazioni rese dal soggetto attivo e le ipotesi di mere

omissioni (questa, tra l'altro, sembra essere proprio la soluzione indi

cata dalla Corte costituzionale nel provvedimento in epigrafe). In senso

favorevole a tale ultima impostazione, cfr. S. Manacorda, Corruzione

internazionale e tutela penale degli interessi comunitari, in Dir. pen. e

proc., 2001, 422 ss.; in senso contrario, v. B. Bevilacqua, I reati dei

pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Padova, 2003, I, 591 s.

Sul punto, v., altresì, A. Bonfiglioli, in Cass. pen., 2003, 915; M.

Pellissero, in Legislazione pen., 2001, 1048 ss.; M. Mannucci, Pro

spettive di applicazione dell'art. 316 ter c.p. introdotto dalla I. n. 300

del 2000, in Cass. pen., 2001, 2563; M. Romano, Abusi di finanzia menti comunitari ed indebita percezione di erogazioni a danno dello

Stato, in Dir. pen. e proc., 2002, 271 ss.; I. Criscuolo, Peculato, truffa e indebita erogazione: le differenze di difficile applicazione, in Dir. e

giustizia, 2003, fase. 2, 77. II. - Il giudice a quo era investito, in sede di appello, del processo

penale nei confronti di soggetto imputato dei reati di cui agli art. 640 bis e 483 c.p. per aver conseguito dall'università di Milano, negli anni

1995 e 1996, un «tesserino mensa» ed una borsa di studio in misura

maggiore rispetto a quella effettivamente spettante, mediante artifizi

consistiti in false attestazioni circa la propria situazione patrimoniale e

reddituale. I giudici milanesi hanno ritenuto che il caso di specie rien

trasse nella previsione del nuovo art. 316 ter anziché in quella dell'art.

640 bis: invero, a dispetto dell'inciso contenuto nell'art. 316 ter («sal vo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640 bis»), fra le due norme vi sarebbe un rapporto di formale sussidiarietà ma di sostanziale

specialità, dal momento che, in base alla «secolare tradizione interpre tativa vigente in materia di truffa» il falso, nelle sue svariate forme di

rappresentazione (ivi comprese quelle elencate dall'art. 316 ter), rap

presenta nel diritto vivente lo strumento più comune per commettere una truffa. Per ritagliare uno spazio operativo alla nuova figura crimi

nosa, altrimenti condannata all'«ineffettività», la giurisprudenza di le

gittimità si sarebbe indotta a restringere il tradizionale concetto di «arti

fizi o raggiri», escludendo che le condotte indicate nell'art. 316 ter

rientrino in esso: ciò, peraltro, comporterebbe un'ingiustificata dispa rità di trattamento (in violazione dell'art. 3 Cost.) fra coloro che otten

gono contributi, mutui, finanziamenti o altre erogazioni da soggetti, enti o associazioni private mediante l'utilizzo o la presentazione di do

cumenti falsi o attestanti cose non vere — i quali verrebbero puniti con

la sanzione di cui all'art. 640 c.p. — e coloro che pongono in essere la

medesima condotta nei confronti di enti pubblici o comunitari, i quali verrebbero puniti, nei casi più lievi, solo con sanzione amministrativa.

Ciò posto, poiché l'intervento del legislatore mirava, in realtà, ad un

rafforzamento della tutela degli interessi finanziari pubblici e comunita

ri, vi sarebbe, altresì, un contrasto con l'art. 10 Cost., per violazione

degli impegni internazionali cui l'Italia è tenuta ad uniformarsi (la 1. n.

300 del 2000 è stata emanata in esecuzione di una serie di convenzioni

internazionali a tutela degli interessi finanziari delle Comunità euro

pee). Nel caso in cui, viceversa, si voglia estendere al reato di truffa

comune — prosegue il giudice a quo — l'interpretazione ristretta del

concetto di «artifizi o raggiri» (con esclusione, cioè, delle condotte

menzionate dall'art. 316 ter), ciò condurrebbe ugualmente ad una in

giustificata disparità di trattamento, questa volta dal punto di vista della

Il Foro Italiano — 2004.

il 26 luglio 1995, del suo primo protocollo fatto a Dublino il 27

settembre 1996, del protocollo concernente l'interpretazione in

via pregiudiziale, da parte della Corte di giustizia delle Comu

nità europee, di detta convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996, nonché della convenzio

ne relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coin

volti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri

persona offesa, dal momento che sarebbe concessa agli enti pubblici una tutela penale che verrebbe completamente sottratta agli enti privati: sarebbe inaccettabile, invero, una «differenziazione tanto abissale tra

pubblico e privato che arrivasse ad investire non già la misura della pe na, ma la stessa liceità della condotta».

Il giudice delle leggi, nel dichiarare manifestamente infondata la

questione, è partito dalla premessa che le censure avverso l'art. 316 ter sono sostanzialmente coincidenti con quelle mosse all'art. 2 1. 23 di cembre 1986 n. 898, che punisce coloro che, mediante esposizione di dati o notizie falsi, conseguono indebitamente contributi a carico del fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), salva l'ap plicazione di una semplice sanzione amministrativa pecuniaria ove la

somma indebitamente percepita non ecceda un determinato importo: tale norma era stata dichiaratamente introdotta proprio allo scopo di evitare che rimanessero impunite condotte difficilmente inquadrabili nella figura della truffa di cui all'art. 640 c.p. Peraltro, una parte della

giurisprudenza, sulla base di un risalente indirizzo secondo cui la sola

menzogna sarebbe stata sufficiente ad integrare il concetto di «artifizi o

raggiri», aveva negato la funzione sussidiaria dell'art. 2 1. 898/86 quali ficandola come norma speciale rispetto a quelle del codice penale; suc

cessivamente, intervenne lo stesso legislatore (art. 73 1. 19 febbraio 1992 n. 142) a sconfessare tale interpretazione introducendo in apertura all'art. 2 1. n. 898 cit., la clausola di sussidiarietà espressa «ove il fatto non configuri il più grave reato previsto dall'art. 640 bis c.p.». In tale contesto la Corte costituzionale (sent. 10 febbraio 1994, n. 25, Foro it., 1994, I, 1627) ha dichiarato infondata la questione di legittimità del

predetto art. 2, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto il reato in questione è destinato ad operare esclusivamente negli spazi non co

perti dagli art. 640 e 640 bis c.p. Sulla base di analogo ragionamento, la corte afferma, nella decisione

in rassegna, il carattere sussidiario e residuale dell'art. 316 ter rispetto all'art. 640 bis, come risulta sia dall'interpretazione letterale della

norma (in virtù della clausola di sussidiarietà espressa), sia da quella finalistica: invero, nel corso dei lavori parlamentari relativi alla 1. 300/00 (la quale, in esecuzione, tra l'altro, della convenzione di

Bruxelles sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, ha introdotto la norma in questione) è emersa la preoccupazione che

talune delle fattispecie di frode identificate dalla convenzione — che

comprendevano condotte di falso in senso lato e di silenzio antidovero

so, senza che al tempo stesso fosse previsto il requisito dell'induzione in errore del soggetto passivo — potessero non rientrare nella sfera di

operatività dell'art. 640 bis; proprio per rispondere a tali esigenze è

stato introdotto il reato di cui all'art. 316 ter. Pertanto — conclude la

corte — è evidente che tale ultima norma sia volta ad assicurare agii interessi da essa considerati una tutela aggiuntiva e complementare ri

spetto a quella già offerta dall'art. 640 bis c.p., coprendo gli eventuali

spazi al di sotto della soglia di punibilità di tale norma, spazi la cui

concreta entità — correlata alla più o meno ampia sfera di operatività riconosciuta al delitto di truffa, avuto riguardo sia all'elemento degli «artifizi o raggiri», sia al requisito dell'induzione in errore — spetta al

l'interprete identificare, ma sempre nel rispetto dell'inequivoca voca

zione sussidiaria della norma di cui all'art. 316 ter.

* * *

La soluzione prescelta dalla Corte costituzionale suscita alcune per

plessità. I giudici della Consulta, invero, hanno salvato la norma di cui all'art.

316 ter dalla declaratoria di incostituzionalità sostenendo che essa

avrebbe un ambito di operatività diverso da quello dell'art. 640 bis, an

dando a coprire condotte meno gravi e rafforzando, così, la tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee; con riguardo ai concreti

profili differenziali fra i due reati, la corte sembra fare riferimento al

requisito dell'induzione in errore (del tutto assente nel corpo dell'art.

316 ter) e a quello degli «artifizi o raggiri» (non espressamente con

templato dalla norma de qua, che menziona alcune condotte tipiche: omissione di informazioni dovute, presentazione di documenti falsi,

ecc.). In ordine al primo profilo, dunque, la corte sembra suggerire che il

reato di cui all'art. 316 ter è configurabile in tutti i casi in cui l'eroga zione sia ingiustamente conseguita dall'imputato — mediante la com

missione di una delle condotte ivi previste — senza che da esse sia de

rivata l'induzione in errore di taluno, il che potrebbe avvenire nel caso

di procedure interamente automatizzate. Ma non si può fare a meno di osservare che, al momento, non ap

paiono esistenti meccanismi di tal genere, atteso che nell'ambito delle

procedure per la concessione di contributi, mutui, finanziamenti o ana

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PARTE PRIMA 1328

dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della

convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali

stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annes

so, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Delega al governo per la

disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giu ridiche e degli enti privi di personalità giuridica), che — sotto la rubrica «indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato»

loghe erogazioni da parte di enti pubblici o comunitari vi sono sempre uno o più soggetti che. in ultima analisi, debbono effettuare una valuta zione sulla domanda avanzata dall'interessato al fine di verificare se essa possieda i requisiti previsti dalla legge.

Ma vi è di più. Deve ritenersi, invero, che il requisito dell'induzione in errore, pur formalmente non contenuto nell'art. 316 ter, sia peraltro insito nella condotta descritta dalla norma in questione, proprio perché presupposto del reato è l'inganno in cui cade il pubblico impiegato chiamato a valutare le domande e la documentazione prodotta a sup porto delle stesse da parte dei richiedenti le erogazioni: in questo senso si sono espressamente pronunciate le sezioni unite della Cassazione (sent. 24 gennaio 1996, Panigoni, Foro it., 1996, II, 273, con nota di A.

Ferraro) che, a proposito del reato di cui all'art. 2 1. 898/86 (in tutto e

per tutto analogo a quello di cui all'art. 316 ter, come riconosciuto nel l'ordinanza in epigrafe), hanno affermato che «il contrasto [di giuris prudenza] non riguarda certamente la sussistenza o meno, nel reato di cui all'art. 2 1. 898/86, degli estremi 'induzione in errore', 'ingiusto profitto', 'altrui danno' caratteristici del delitto di truffa ma erronea mente ritenuti dall'impugnata sentenza 'del tutto assenti dal dettato dell'art. 2 . . .'; laddove invece tale norma sostanzialmente li prevede, essendo evidente che l'esposizione di dati falsi è funzionale all'indu zione in errore dell'Aima e che il conseguimento indebito dei contribu ti, conseguente all'attività ingannatoria dell'esposizione di dati falsi e all'induzione in errore, costituisce 'ingiusto profitto' con danno del l'Aima» (in questo senso, v. Bevilacqua, op. cit., 591 s.).

Dunque, tale strada non appare utilmente percorribile. Quanto al requisito degli «artifizi o raggiri», parimenti indicato dalla

corte come possibile criterio d'individuazione della sfera applicativa dell'art. 316 ter, non si può non convenire con il giudice a quo sul fatto che la presentazione o l'utilizzo di documenti falsi (a differenza della

semplice esposizione di dati o notizie falsi di cui all'art. 2 1. 898/86) integri, per «secolare tradizione interpretativa», un vero e proprio arti fizio ai fini della commissione del reato di truffa (anzi, probabilmente l'artifizio più comune in tal senso). Parimenti, deve ritenersi che anche «l'omissione di informazioni dovute», in base al pacifico orientamento

giurisprudenziale in materia, possa configurare un artifizio idoneo ad

integrare il reato di truffa (benché in dottrina siano stati sollevati molti dubbi sul punto): v., per tutte, Cass. 10 aprile 2000, Salerno, Foro it.. Rep. 2002, voce Truffa, n. 14, secondo cui l'artificio o il raggiro richie sti per la sussistenza del reato di truffa possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere. Ebbene, non pare revocabile in dub bio che il soggetto che intenda richiedere ad un ente pubblico o comu nitario una delle erogazioni menzionate nell'art. 316 ter abbia il dovere

giuridico di dichiarare l'eventuale presenza di cause — a lui note —

ostative alla concessione dell'erogazione. Pertanto, sembra che l'unica ipotesi in cui possa trovare applicazione

l'art. 316 ter, in luogo del più grave reato di cui all'art. 640 bis, sia

quella della mera esposizione di dati o notizie falsi (contemplata dal l'art. 2 1. 898/86); in questo senso si è espresso anche Mannucci, nota a G.i.p. Trib. Livorno 8 marzo 2002, cit. Invero, per costante giuris prudenza, la menzogna può costituire raggiro idoneo ai fini della truffa solo se accompagnata da ulteriori circostanze suscettibili di rafforzare le dichiarazioni mendaci (v., per tutte, Cass. 3 giugno 1997. Milano, Foro it., 1999, II, 130, con nota di P. La Spina, la quale afferma che qualora il soggetto agente, allo scopo di conseguire un'erogazione pub blica, non si sia limitato ad esporre dati e notizie falsi, ma li abbia raf forzati mediante altri subdoli accorgimenti, quali la formazione e utiliz zazione di falsi documenti, ricorreranno gli estremi del delitto punito dall'art. 640 bis c.p.; qualora, invece, il soggetto si sia limitato ad esporre dati non veritieri, troverà applicazione la norma sussidiaria contenuta nell'art. 2 1. 898/86).

Viceversa, in presenza dell'utilizzo di documenti falsi per ottenere le erogazioni di cui all'art. 316 ter — scartata la possibilità di far leva sul requisito dell'induzione in errore — l'interprete si trova di fronte al l'alternativa di ritenere configurabile il reato di cui alla predetta norma, con evidente violazione del principio di uguaglianza rispetto ai casi in cui la medesima condotta è commessa in danno di privati (essendo pu nita con la più grave pena di cui all'art. 640); oppure ritenere sussi stente il reato di cui all'art. 640 bis, disapplicando sic et simpliciter la norma di cui all'art. 316 ter.

Al fine di evitare le suddette incertezze interpretative, si sarebbe po tuta seguire la strada della declaratoria di parziale incostituzionalità dell'art. 316 ter quanto meno in relazione alla condotta di utilizzazione o presentazione di documenti falsi, integrante, per definizione, il con cetto di «artifizi o raggiri» di cui all'art. 640 c.p. [A. Fanelli]

Il Foro Italiano — 2004.

— punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, «chiunque

mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di do

cumenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'o

missione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre

erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o

erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità euro

pee»; prevedendo, altresì, l'applicazione di una semplice san

zione amministrativa pecuniaria quando la somma indebita mente percepita è pari o inferiore ad un determinato importo;

che il giudice a quo premette di essere investito, in grado di

appello, del processo penale nei confronti di persona imputata del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni

pubbliche, di cui all'art. 640 bis c.p. (oltre che di quello di cui

all'art. 483 c.p.), per aver conseguito dall'università degli studi

di Milano, negli anni 1995 e 1996, benefici ed erogazioni (in particolare un «tesserino mensa» ed una borsa di studio) di en tità maggiore rispetto a quella ad essa effettivamente spettante, tramite «artifizi» consistiti in false attestazioni circa la propria situazione patrimoniale e reddituale: reato per il quale era stata

pronunciata, in primo grado, sentenza di condanna appellata dall'imputato;

che, ad avviso del rimettente, il fatto per cui si procede rien trerebbe attualmente nella previsione del nuovo art. 316 ter c.p.: donde la necessità di stabilire quale rapporto intercorra tra tale

previsione sanzionatoria e la norma incriminatrice di cui all'art.

640 bis c.p., oggetto dell'imputazione; che, secondo il giudice a quo, la «formale sussidiarietà» del

l'art. 316 ter rispetto all'art. 640 bis c.p. — risultante dalla

clausola di riserva con cui la prima norma si apre («salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640 bis») — si scon

trerebbe con la «secolare tradizione interpretativa» per cui il fal

so, nelle sue diverse manifestazioni (comprese quelle descritte nell'art. 316 ter), rappresenta la forma più comune e tipica di estrinsecazione degli «artifizi o raggiri», costitutivi del delitto di

truffa; che a fronte di tale «insanabile contraddizione» tra «formale

sussidiarietà» e «sostanziale specialità» della norma impugnata, la giurisprudenza di legittimità si sarebbe indotta — onde rita

gliare uno spazio operativo alla nuova figura criminosa, altri menti condannata ali

' « ineffetti vità» — a restringere il tradizio

nale concetto di «artifizi o raggiri», escludendo che le condotte indicate nell'art. 316 ter c.p. rientrino in esso;

che alla stregua di tale orientamento, peraltro, l'imputato nel

giudizio a quo dovrebbe essere assolto, dato che il fatto a lui ascritto non risulterebbe punibile né ai sensi dell'art. 640 bis

c.p., per assenza — in tesi — dell'artifizio o raggiro; né in base all'art. 316 ter c.p., trattandosi di fatto commesso in data ante riore a quella di entrata in vigore di tale norma;

che a parere del rimettente, tuttavia, l'art. 316 ter c.p. viole rebbe l'art. 10 Cost., in quanto la nuova disposizione

— intro dotta al dichiarato scopo di rafforzare la tutela penale degli inte ressi finanziari delle Comunità europee, in attuazione di specifi ci obblighi internazionali — avrebbe prodotto il risultato esat tamente opposto, facendo sì che condotte in precedenza pacifi camente integrative dell'ipotesi criminosa di cui all'art. 640 bis

c.p. beneficino oggi del più mite trattamento sanzionatorio pre figurato dalla norma impugnata;

che inoltre — essendo la fattispecie di cui all'art. 640 bis c.p. uno «sviluppo» della «figura base di truffa» prevista dall'art. 640 c.p., tanto da essere considerata quale semplice circostanza

aggravante di tale reato — occorrerebbe chiedersi se il concetto

più ristretto di «artifizio o raggiro», elaborato a proposito del l'art. 640 bis c.p., valga anche in rapporto alla figura generale di cui all'art. 640 c.p.;

che peraltro, qualunque risposta si dia a tale interrogativo, si avrebbe una «palese irrazionalità di disciplina», atta a porre l'art. 316 ter c.p. in contrasto con l'art. 3 Cost.;

che, in particolare, ove si ritenga che l'anzidetta nozione ri stretta di «artifizio o raggiro» non si estende alla fattispecie «comune» di truffa di cui all'art. 640 c.p., si profilerebbe una

ingiustificata disparità di trattamento della truffa in danno di ente pubblico o comunitario rispetto a quella commessa in dan no di un soggetto privato: chi ottiene erogazioni da un privato mediante documenti falsi, difatti, sarebbe comunque punibile ai sensi dell'art. 640 c.p. (al pari di chi, allo stesso fine, si avvalga di altri artifizi o raggiri); mentre nel caso dell'ente pubblico o

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

comunitario, detta tipologia di condotta costituirebbe «il discri

mine per un rilevante mutamento della sanzione», che diverreb

be addirittura solo amministrativa nei casi più lievi (art. 316 ter, 2° comma, c.p.);

che ove si ritenga, invece, che il concetto più ristretto di «arti

fizio o raggiro» vale anche per la truffa comune — soluzione,

peraltro, priva di qualsiasi riscontro nel «diritto vivente» — si

determinerebbe una disparità di trattamento di segno opposto: in

danno, cioè, dell'offeso «privato»; che in quest'ultima prospettiva, difatti, si accorderebbe agli

enti pubblici e comunitari una tutela penale (quella contro le

frodi commesse mediante utilizzazione di falsa documentazio

ne) della quale sarebbero -— in tesi — completamente privi i

soggetti privati: assetto, questo, inaccettabile sul piano costitu

zionale, in quanto — a fronte di fatti identicamente lesivi della

sfera patrimoniale — la natura pubblica o privata della persona

offesa potrebbe ragionevolmente influire solo sulla misura della

pena, ma non sulla stessa liceità penale della condotta;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il presi dente del consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'av

vocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questio ne sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che i dubbi di legittimità costituzionale dell'art.

316 ter c.p., formulati dalla corte d'appello rimettente, risultano

sostanzialmente coincidenti — quanto alla premessa fondante

— con quelli in passato sollevati, in riferimento al solo art. 3

Cost., riguardo alla previsione punitiva di cui all'art. 2 1. 23 di

cembre 1986 n. 898 (conversione in legge, con modificazioni,

del d.l. 27 ottobre 1986 n. 701, recante misure urgenti in mate

ria controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio di

oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti co

munitari nel settore agricolo): norma che — punendo con la re

clusione da sei mesi a tre anni chi, mediante esposizione di dati

o notizie falsi, consegue indebitamente contributi a carico del

fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), salva l'applicazione di una semplice sanzione amministrativa

pecuniaria ove la somma indebitamente percepita non ecceda un

determinato importo — è del tutto omologa, per ratio e struttu

ra, a quella oggi sottoposta a scrutinio;

che il citato art. 2 1. n. 898 del 1986 era infatti finalizzato —

secondo quanto si affermava nella relazione alla proposta di

legge e come emergeva, altresì, dai lavori parlamentari — a raf

forzare la tutela penale delle sovvenzioni comunitarie, evitando,

in specie, che potesse rimanere impunito chi ottenesse indebite

erogazioni dal Feoga mediante la mera esposizione di dati o no

tizie falsi: e ciò a fronte della «constatata riluttanza, nella prati ca amministrativa ed in quella giudiziaria», a far rientrare detta

condotta nel paradigma degli «artifizi o raggiri», richiesti ai fini

della configurabilità del delitto di truffa, di cui all'art. 640 c.p.

(cfr. sentenza di questa corte n. 25 del 1994, Foro it., 1994, I,

1627); che la funzione sussidiaria che, nell'intenzione del legisla

tore, la fattispecie era destinata ad assolvere rispetto alla truffa — e, poi, rispetto alla truffa aggravata per il conseguimento di

erogazioni a carico dello Stato, di enti pubblici o delle Comu

nità europee, di cui all'art. 640 bis c.p., successivamente intro

dotto dall'art. 2 1. 19 marzo 1990 n. 55 (nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione della pericolosità sociale) — venne tut

tavia negata da una parte della giurisprudenza, che qualificò, vi

ceversa, l'art. 2 1. n. 898 del 1986 come norma speciale — e

dunque prevalente, nel caso di concorso apparente —

rispetto a

quelle del codice penale; che tale tesi si fondava, in specie, sul rilievo che, secondo un

risalente indirizzo giurisprudenziale, la sola menzogna sarebbe

stata già di per sé sufficiente, in via generale, ad integrare il

concetto di «artifizi o raggiri», onde il fatto sanzionato dall'art.

2 1. n. 898 del 1986 sarebbe rientrato pieno iure nel perimetro

applicativo dell'art. 640 c.p. (e poi dell'art. 640 bis c.p.), se non

fosse stato per gli elementi specializzanti costituiti dalla specifi cità del soggetto passivo e dalla natura del profitto conseguito

dall'agente: prospettiva nella quale, peraltro, la norma de qua — con eterogenesi dei fini — avrebbe di fatto determinato un

indebolimento della tutela delle sovvenzioni comunitarie, riser

vando, in pratica, un trattamento sanzionatorio più mite —

tenuto conto dei livelli delle pene edittali e della prevista de

gradazione della violazione in semplice illecito amministrativo,

Il Foro Italiano — 2004.

al di sotto di un determinato importo — a fatti altrimenti sog

getti alla più severa sanzione comminata dalle norme del codice

penale; che il legislatore ritenne, quindi, di dover sconfessare aper

tamente tale interpretazione, aggiungendo in apertura dell'art.

2 1. n. 898 del 1986 — con l'art. 73 1. 19 febbraio 1992 n. 142

(disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'ap

partenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunita

ria per il 1991) — una clausola di sussidiarietà espressa, volta

ad escludere l'operatività della previsione punitiva nel caso di

configurabilità del delitto di cui all'art. 640 bis c.p. («ove il

fatto non configuri il più grave reato previsto dall'art. 640 bis

c.p »); che — sul presupposto che l'art. 2 1. n. 898 del 1986 si po

nesse comunque in rapporto di specialità rispetto agli art. 640 e

640 bis c.p., con il conseguente irrazionale effetto sopra eviden

ziato — la norma venne sottoposta a scrutinio di costituzionalità

per contrasto con l'art. 3 Cost.: questione che la corte dichiarò

tuttavia infondata, rilevando come — alla luce della inequivoca ratio della disposizione impugnata e del successivo intervento

del legislatore del 1992 — la disposizione stessa fosse destinata

ad operare esclusivamente negli spazi non già «coperti» dalle

citate norme del codice (cfr. sentenza n. 25 del 1994 e ordinanza

n. 433 del 1998, id., Rep. 1999, voce Agricoltura, n. 70); che l'odierno giudice a quo pone, analogamente, a base dei

propri dubbi di legittimità costituzionale del nuovo art. 316 ter

c.p. l'assunto per cui la norma denunciata avrebbe in pratica as

sicurato un trattamento sanzionatorio più favorevole a fatti di

indebita percezione di contributi a danno dello Stato, di enti

pubblici o delle Comunità europee: fatti che — al lume della

«tradizionale» lettura giurisprudenziale del concetto di «artifizi

o raggiri» — ricadrebbero «pacificamente» nella sfera punitiva

della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pub

bliche, di cui all'art. 640 bis c.p.; che anche in questo caso va peraltro osservato, in senso con

trario, che il carattere sussidiario e «residuale» dell'art. 316 ter

c.p. rispetto all'art. 640 bis c.p. — a fronte del quale la prima

norma è destinata a colpire unicamente fatti che non rientrino

nel campo di operatività della seconda — costituisce un dato

normativo assolutamente inequivoco; che la chiara lettera della disposizione impugnata

— la quale esordisce anch'essa con una clausola di salvezza dell'art. 640

bis c.p. — si coniuga infatti puntualmente sia con la finalità ge

nerale del provvedimento legislativo che ha introdotto la dispo sizione stessa, sia con l'obiettivo specifico della sua introduzio

ne;

che, quanto al primo profilo, l'art. 316 ter è stato infatti inse

rito nel codice penale dalla 1. 29 settembre 2000 n. 300, nel

quadro delle misure di adeguamento dell'ordinamento italiano

agli obblighi derivanti dalla convenzione sulla tutela degli inte

ressi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26

luglio 1995: convenzione il cui art. 2 imponeva agli Stati mem

bri di punire le frodi lesive dei predetti interessi — quali defi

nite dall'art. 1 — con sanzioni penali «effettive, proporzionate e

dissuasive», comprensive, almeno nei casi di «frode grave», di

pene privative della libertà personale che possano comportare

l'estradizione; salva la facoltà di stabilire sanzioni di natura non

penale per le frodi «di lieve entità», riguardanti un importo to

tale inferiore a 4.000 Ecu; che la norma censurata non era peraltro prevista dall'origina

rio disegno di legge governativo di ratifica della suddetta con

venzione, nella convinzione — esplicitata nella relazione — che

l'art. 640 bis c.p. fosse già sufficiente a soddisfare gli obblighi comunitari in parola, segnatamente per quanto atteneva alle fro

di «in materia di spese», delineate dall'art. 1, lett. a), primo e

secondo trattino, dello strumento;

che nel corso dei lavori parlamentari, è emersa tuttavia la

preoccupazione che talune delle fattispecie di frode identificate

dalla convenzione — le quali comprendevano non soltanto con

dotte di falso in senso lato («utilizzo o ... presentazione di di

chiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti»), ma an

che di mero silenzio antidoveroso («mancata comunicazione di

un'informazione in violazione di un obbligo specifico»), senza

che al tempo stesso fosse previsto il requisito dell'induzione in

errore del soggetto passivo, caratterizzante il paradigma della

truffa — potessero in realtà non rientrare nella sfera di operati

vità del citato art. 640 bis c.p.;

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PARTE PRIMA 1332

che onde evitare una eventuale inadempienza, per tal aspetto, agli obblighi comunitari — scartata l'idea iniziale di aggiungere all'art. 640 bis c.p. un ulteriore comma, che riconducesse

espressamente alla fattispecie della truffa aggravata le condotte descritte nella convenzione — si è optato per la soluzione di co niare una nuova disposizione sanzionatoria —

quella, appunto, dell'art. 316 ter c.p.

— modellata (anche per quanto attiene alla

preliminare clausola di salvezza dell'art. 640 bis c.p.) sulla fal

sariga dell'art. 2 1. n. 898 del 1986, e che riproduce quasi alla

lettera, quanto alla descrizione della condotta sanzionata, la formula dell'art. 1 della convenzione: disposizione che — nel comminare sanzioni più miti di quelle previste dall'art. 640 bis

c.p. — è peraltro eloquentemente indicativa dell'intento legis

lativo di reprimere, con essa, fatti di minore gravità, sul piano del disvalore di condotta, rispetto a quelli attinti dalla norma

principale; che appare dunque evidente — alla luce tanto del dato nor

mativo, quanto della ratio legis — come l'art. 316 ter c.p. sia volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela

aggiuntiva e «complementare» rispetto a quella già offerta dal l'art. 640 bis c.p., «coprendo», in specie, gli eventuali margini di scostamento —

per difetto — del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode «in materia di spese», quale delineata dall'art. 1 della convenzione: margini la cui concreta entità — correlata alle più o meno ampie «capacità di

presa» che si riconoscano al delitto di truffa, avuto riguardo sia all'elemento degli «artifizi o raggiri», in qualunque forma rea

lizzati, sia al requisito dell'induzione in errore — spetta all'in

terprete identificare, ma sempre nel rispetto della inequivoca vocazione sussidiaria della norma oggi sottoposta a scrutinio;

che. in altre parole, rientra nell'ordinario compito interpreta tivo del giudice accertare, in concreto, se una determinata con dotta formalmente rispondente alla fattispecie delineata dall'art. 316 ter c.p. integri anche la figura descritta dall'art. 640 bis c.p., facendo applicazione, in tal caso, solo di quest'ultima previsio ne punitiva;

che — nella prospettiva della natura meramente sussidiaria e residuale della norma impugnata — è ben vero che l'art. 316 ter

c.p. si presta, nell'intenzione del legislatore, a reprimere taluni

comportamenti che, se posti in essere in danno di soggetti pri vati — o anche di soggetti pubblici, quando non si discuta del l'indebita erogazione di sovvenzioni — restano privi di sanzio ne: ma ciò senza che ne derivi affatto la lesione dell'art. 3 Cost, ventilata dal rimettente, posto che — come correttamente osser va l'avvocatura generale dello Stato — la previsione di una tu tela penale rafforzata, anche quanto ad ampiezza, delle finanze

pubbliche e comunitarie contro le frodi, rispetto alla generalità degli altri interessi patrimoniali, costituisce ragionevole eserci zio di discrezionalità legislativa, tenuto conto della specialità dell'interesse offeso, nonché del carattere «minore» delle viola zioni di cui si discute (evidenziato anche dall'applicazione di una semplice sanzione amministrativa al di sotto di una certa

soglia), rispetto a quelle integrative del delitto di truffa; che, alla luce di quanto precede, resta ovviamente esclusa an

che l'ipotizzata violazione dell'art. 10 Cost.; e ciò a prescindere da ogni possibile rilievo circa la pertinenza del parametro evo cato e dalla circostanza che la convenzione sulla protezione de

gli interessi finanziari delle Comunità europee non imponeva agli Stati membri — come il giudice a quo sembra supporre —

un inasprimento delle sanzioni penali anteriormente previste per le violazioni in parola, ma solo la comminatoria di sanzioni ri

spondenti ai requisiti stabiliti all'art. 2 della convenzione stessa:

requisiti il cui rispetto, da parte della legislazione nazionale, il rimettente non pone affatto in discussione;

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente in fondata.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del l'art. 316 ter c.p., sollevata, in riferimento agli art. 3 e 10 Cost., dalla Corte di appello di Milano con l'ordinanza indicata in epi grafe.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 marzo 2004, n. 85

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 marzo 2004, n. 11); Pres. Zagrebelsky, Est. Vaccarella; Cioppa e altri (Avv.

Palma) c. Min. interno. Comune di Bellona (Avv. Romano). Orci. Tar Campania 23 gennaio 2003 (G.U., la s.s., n. 28 del

2003).

Elezioni — Elezioni comunali — Contenzioso — Giudizio davanti alla magistratura amministrativa — Prova testi moniale — Inutilizzabilità — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 111; cod. civ., art. 2700; cod. pen., art. 479; d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle

leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle am ministrazioni comunali, art. 83/11).

È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 83/11. 5° comma, d.p.r. 16 mag gio 1960 n. 570, nella parte in cui. non derogando ai sistemi

probatori ordinari del giudizio avanti alle magistrature am

ministrative, limita, in materia elettorale, alle sole risultanze documentali i poteri istruttori fruibili per la definizione del

merito, escludendo in particolare l'utilizzabilità della prova testimoniale, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost. (1)

( I ) Nel caso di specie i ricorrenti deducevano che si sarebbero verifi cate gravi irregolarità: alla fine della prima giornata di votazione in

quanto al momento della chiusura del seggio, riscontrata la mancanza di una scheda vidimata, per ritrovare la stessa il presidente aveva pro ceduto all'apertura dell'urna e, quindi, aveva esaminato le schede vo tate, finché, trovata una scheda bianca, l'aveva prelevata e inserita tra le schede non votate. Di ciò non veniva fatta menzione nel verbale, ma i ricorrenti avevano tentato di provare la suddetta circostanza mediante dichiarazioni sottoscritte da due persone.

La Corte costituzionale rileva l'erroneità del presupposto interpreta tivo del giudice a quo, secondo cui la verità di circostanze non risul tanti dal verbale delle operazioni elettorali può essere provata con strumenti diversi dalla querela di falso, osservando come, nella specie, l'efficacia di piena prova dell'attestazione contenuta nel verbale può essere posta in discussione solo attraverso la querela di falso ai sensi dell'art. 2700 c.c., per cui la questione sollevata risulta essere priva di rilevanza per la risoluzione del giudizio a quo.

In ordine ai mezzi attraverso i quali è possibile contestare la veridi cità di un verbale di operazioni elettorali, v. Cons. Stato, sez. V, 6

maggio 1995. n. 724, Foro it.. Rep. 1995, voce Elezioni, n. 210. secon do cui l'autenticità delle firme in un verbale di operazioni elettorali può essere contestata solo mediante il procedimento della querela di falso, dato che il verbale è atto pubblico, nel senso stretto e specifico definito dall'art. 2699 c.c. e che, a norma del successivo art. 2700, l'atto pub blico fa prova, fino a querela di falso, della provenienza dell'atto stesso dal pubblico ufficiale che figura averlo formato; 30 marzo 1994, n. 216, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 58, secondo cui il valore di atto fidefacente del verbale delle operazioni elettorali non può essere invocato per con trastare i risultati dell'accertamento istruttorio, disposto dal giudice, atteso che la regola posta dall'art. 2700 c.c. — secondo cui «l'atto pub blico fa piena prova, fino a querela di falso» dei «fatti che il pubblico ufficiale attesta ... da lui compiuti» — che non serve quando vi sia dif formità tra due originali dello stesso atto pubblico, neppure vale, quan do tra i fatti attestati vi sia contrasto tale da rendere impossibile la loro contemporanea verità, ad impedire la ricostruzione dei fatti che dia spiegazione degli errori compiuti dal pubblico ufficiale e men che me no a tener per vera, ai fini dell'annullamento delle operazioni compiute, l'inspiegabilità dei fatti che viceversa siano pienamente spiegati da al tre constatazioni e accertamenti.

Nel senso che la certificazione medica, in relazione alla diagnosi in essa riportata che attesti un impedimento a votare, non riveste l'effica cia probatoria dell'atto pubblico e perciò non fa fede fino a querela di falso, potendo essere discrezionalmente valutata dal presidente del seg gio elettorale, v. Tar Molise 16 febbraio 1991, n. 13, id., Rep. 1991, voce cit., n. 93; 13 luglio 1990, il. 195, id., Rep. 1990, voce cit., n. 103; Tar Campania, sez. II, 30 aprile 1987, n. 108, id.. 1988, III. 119, con nota di richiami.

Sugli estremi integranti il delitto di falsità ideologica in atto pubblico di cui all'art. 479 c.p., v. Cass. 9 maggio 2001, Annunziata, id., 2002, II. 123. con nota di richiami; 16 gennaio 2001, Graziani, id.. 2001. II, 403, con nota di richiami.

Per l'affermazione secondo cui nel giudizio elettorale, la prova te stimoniale non è ammissibile e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non possono essere lo strumento surrettizio per introdurvela, v. Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2000, n. 3631, id., Rep. 2000, voce cit.. n. 164; Tar Campania 16 luglio 1998. n. 2425, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 172; Tar Molise 11 luglio 1995, n. 185, id.. Rep. 1995. voce cit., n. 194.

La Corte costituzionale (sent. 30 marzo 1992, n. 140, id., 1992, I,

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