ordinanza 13 ottobre 1999; Pres. Stanzani, Rel. De Franco; Segretario generale del Consiglio diStato c. TerzaniSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 4 (APRILE 2000), pp. 1301/1302-1305/1306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194555 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
vedimento di conferimento di un simile incarico, e non eviden
ziando alcuna ragione che a tale incarico gli dia diritto in virtù di consimili provvedimenti, corrispondeva esclusivamente a una
situazione di mero fatto, che evidentemente non può trovare
tutela come tale, in sede cautelare, e anzi poteva e doveva esse
re fatta cessare dall'amministrazione, così come in concreto è
avvenuto.
Il che comporta necessariamente la revoca dal provvedimento cautelare favorevole al Libutti.
TRIBUNALE DI ROMA; decreto 8 novembre 1999; Pres. Mi
siti, Rei. Nazzicone; ric. Roiate.
TRIBUNALE DI ROMA;
Società — Società di capitali — Quota in comproprietà — No mina di rappresentante comune (Cod. civ., art. 1105, 2347,
2482).
In caso di insanabile contrasto tra i comproprietari di una quo ta di società a responsabilità limitata, il tribunale può nomi
nare un rappresentante comune. (1)
(1) In argomento, con riferimento a casi di comproprietà azionaria, in senso analogo al decreto in rassegna, v. Trib. Roma 18 febbraio
1987, Foro it., Rep. 1987, voce Società, n. 382, e Giur. merito, 1987, 575, secondo cui la nomina non può comunque essere compiuta dal solo presidente ma dal tribunale in camera di consiglio, in ossequio al disposto dell'art. 1105 c.c. dettato in tema di comunione; contra, App. Roma 24 febbraio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 381, e Giur. merito, 1987, 575, che non ammette la nomina giudiziale del
rappresentante comune dei comproprietari di azioni, escludendo l'ap plicazione analogica delle norme sulla nomina del rappresentante degli obbligazionisti e dell'amministratore della comunione.
Le opinioni espresse in dottrina non paiono invece ravvisare ostacoli ad un intervento giudiziale per la nomina del rappresentante previsto dall'art. 2347 c.c.: in argomento, v. Bione, Le azioni, in Trattato dette società per azioni diretto da Colombo e Portale, voi. 2, Torino, 1991, 26; Formiggini, Il rappresentante comune delle azioni indivisibili, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 1236 ss.; Angelici, Le disposizioni generali sulla società per azioni, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, voi. 16, Torino, 1985, 211 s., ove ammette più in genere l'analogia con i vigenti principi in tema di comunione, osservando che «la stessa formula legislativa, ove si parla di comproprietà, può assu mere il significato (al di là della sua precisione tecnica) di un'indicazio ne a favore del proposto procedimento analogico»; in tema, v. ancora
Minervini, Coeredità di quota di accomandante e revoca del rappre sentante comune, in Foro it., 1951, I, 1138 ss.; Ferri, Esercizio dei diritti sociali nella comunione di quota e assemblea di seconda convoca zione netta s.r.t., in Riv. dir. comm., 1964, II, 332; Giannattasio, La nomina del rappresentante comune dei comproprietari di azioni sociali, in Giusi, civ., 1958, I, 178; con particolare riferimento all'art. 2417
c.c., v. CrviNiNi, I procedimenti in camera di consiglio, Torino, 1994, I, 476; lo stesso si ripete con specifico riferimento alla partecipazione societaria dei coniugi in comunione legale: Tanzi, Azioni e diritto di
famiglia, in Trattato dette società per azioni diretto da Colombo e Por
tale, voi. 2, Torino, 1991, 564; Jannarelli, Impresa e società ne! nuo vo diritto di famìglia, in Foro it., 1977, V, 282.
Tale opinione, del resto, appare in linea con il ritenuto carattere «ne cessario» della rappresentanza de qua (secondo un'affermazione comun
que non pacifica: in questo senso, cfr. Ferrara-Corsi, Gli imprendito ri e le società, Milano, 1987, 398; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1996, 294; contra, Ferri, Le società, Torino, 1987, 463 ss.; in giurisprudenza, v. Trib. Verona 1° marzo 1990, Foro it., Rep. 1990, voce cit., nn. 469, 490).
La possibilità di fare leva sulla disposizione dell'art. 1105 c.c. per ottenere la nomina giudiziale di un rappresentante comune dei soci è
comunque costantemente esclusa con riferimento alle società di perso ne, ove ammettere l'intervento giudiziale determinerebbe in sostanza una non consentita estensione dell'art. 2409 c.c. alle società di persone; in tal senso, v. Trib. Lecce 29 novembre 1989, ibid., n. 401, e Società, 1990, 516, con nota di Patelli; Trib. Ascoli Piceno 23 ottobre 1986, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 323, e Dir. fallim., 1987, II, 1046; 5 luglio 1986, Foro it., 1987, I, 1285, con nota di richiami, secondo
Il Foro Italiano — 2000.
Né l'art. 2482 c.c., né l'art. 2347 c.c. (cui il primo rinvia)
contemplano il potere del tribunale di nominare, su ricorso di un comproprietario delle azioni o della quota, il rappresentante comune.
Tuttavia, deve ritenersi applicabile in via diretta l'art. 1105, 4° comma, c.c., il quale prevede che, nella comunione dei beni, i comproprietari abbiano la facoltà di ricorrere all'autorità giu diziaria, in caso di impossibilità di assumere le decisioni relative alla cosa comune; il giudice provvede, nelle forme degli art. 737 c.p.c., a nominare l'amministratore della cosa comune.
Nel caso in esame della contitolarità delle quote od azioni, la partecipazione sociale, sia pure dotata di indubbia peculiari tà, tuttavia si presta alla qualificazione come bene suscettibile di titolarità congiunta in capo a più soggetti (sulla qualificazio ne della quota come bene mobile, cfr. Cass. 30 gennaio 1997, n. 934, Foro it., 1997, I, 2172): ad esso, quindi, è applicabile in via diretta la disciplina della comunione dei beni, in quanto non sia incompatibile appunto con la peculiarità del bene in
comproprietà (cfr., per condivisibili osservazioni sul punto, Trib. Verona 1° marzo 1990, id., Rep. 1990, voce Società, nn. 469,
490). Il rappresentante va individuato, per la correttezza così ga
rantita nell'adempimento dei suoi compiti, in un professionista, estraneo alle parti ed alla società.
Giova infine precisare che il decreto del tribunale si limita ad effettuare la designazione del rappresentante comune, con il quale si instaura tuttavia, previa accettazione dell'incarico da
parte del professionista ed accordo sul compenso inter partes, un rapporto di diritto privato (mandato o contratto d'opera) direttamente posto in essere dai soggetti titolari della partecipa zione sociale.
cui «la possibilità concessa dall'art. 1105 c.c. ai comunisti di chiedere al tribunale la nomina di un amministratore giudiziario, non è estensi bile in via analogica ai soci di società di persone». In dottrina, v. Bo naiti, La reazione del socio non amministratore alle irregolarità del l'amministratore nella società in nome collettivo, in Riv. società, 1996, 1311.
I
TRIBUNALE DI FIRENZE; ordinanza 13 ottobre 1999; Pres.
Stanzani, Rei. De Franco; Segretario generale del Consiglio di Stato c. Terzani.
TRIBUNALE DI FIRENZE;
Provvedimenti di urgenza — Impiegato dello Stato e pubblico — Revoca di incarico dirigenziale —
Reintegrazione — So
spensione degli atti amministrativi ostativi alla reintegrazione (Cod. proc. civ., art. 409, 669 terdecies, 700; d.leg. 3 feb
braio 1993 n. 29, razionalizzazione dell'organizzazione delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in ma
teria di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 1. 23 ottobre
1992 n. 421, art. 68; d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nuove dispo sizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro
nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle contro
versie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate
in attuazione dell'art. 11, 4° comma, 1. 15 marzo 1997 n.
59, art. 29).
Correttamente il giudice del lavoro, adito con richiesta di prov vedimento d'urgenza, ravvisando l'illegittimità della revoca
di un incarico dirigenziale pubblico, ordina la reintegrazione del dirigente nell'incarico e prende tutti i provvedimenti ri
chiesti dalla natura del diritto tutelato, ivi compresi la so
spensione sia dell'atto di revoca che di quello di trasferimen to del dirigente ad altro ufficio. (1)
(1-2) Non constano precedenti editi. 1 provvedimenti in epigrafe si distinguono per la piena applicazione
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1303 PARTE PRIMA 1304
II
TRIBUNALE DI FIRENZE; ordinanza 20 luglio 1999; Giud.
Bazzoffi; Terzani c. Segretario generale del Consiglio di Stato.
Provvedimenti di urgenza — Impiegato dello Stato e pubblico
— Revoca di incarico dirigenziale e trasferimento — Illegitti mità — Reintegrazione nell'incarico e sospensione degli atti
di revoca e trasferimento — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
409, 669 octies, 700; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 68;
d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, art. 29).
Il giudice del lavoro, adito con ricorso ex art. 700 c.p.c., che
ravvisi l'illegittimità degli atti amministrativi di revoca di in
carico dirigenziale pubblico (nella specie, di segretario gene rale di tribunale amministrativo regionale) e contestuale con
ferimento di incarico analogo in altra sede, può ordinare l'im
mediata reintegrazione nell'incarico del dirigente e sospendere
l'efficacia sia dell'atto di revoca che di quello di trasfe rimento. (2)
I
A parte alcune osservazioni a latere della controversia, atti
nenti al poco tempo concesso all'avvocatura dello Stato per di
fendere il suo assistito ed a una valutazione generale del signifi cato di un trasferimento di un dirigente pubblico nel nostro
ordinamento e nella nostra società, considerazioni che non for
mano specifico oggetto di una pronuncia, il reclamo si basa
essenzialmente su cinque motivi e cioè: — viene lamentato un vizio di ultrapetizione rispetto al prov
vedimento del giudice cautelare; — viene lamentato l'esercizio di una potestà cautelare la quale
esorbita dai poteri riconosciuti dal sistema; — si sostiene che il trasferimento del Terzani era perfetta
mente legittimo e che lo stesso era stato adottato dopo una lun
ga ed accurata istruttoria; — si sostiene, infine, l'assenza di un periculum in mora, trat
tandosi di danno comunque risarcibile; — si lamenta, infine, che il giudice abbia condannato il soc
combente alle spese, in contrasto con il disposto ex art. 669
septies c.p.c. Esaminati gli atti, osserva il collegio: — non sussiste alcun vizio di ultrapetizione. Se è vero, infatti, che il giudice ha disposto, oltre che la rein
tegra del Terzani anche la sospensione della di lui nomina pres so il Tar dell'Umbria, non è meno vero che tale secondo prov vedimento è, in qualche misura, necessariamente ricompreso nel
primo; la reintegra in una posizione importa, infatti, necessa
riamente, il venir meno del provvedimento di nomina in un'al
tra posizione; si tratta, dunque, in sostanza di una esplicitazio
ne, da parte del primo giudice, di tutti gli effetti già contenuti
in nuce nel provvedimento «principale», che è quello di reinte
gra nella posizione precedentemente ricoperta; — per quanto riguarda la seconda questione, ove si ritenga,
del 2° comma dell'art. 68 d.leg. 29/93, come modificato dall'art. 29
d.leg. 80/98. A fronte della riscontrata lesione del diritto soggettivo del dirigente
i giudici fiorentini hanno ritenuto non solo di ordinare la reintegrazione nell'incarico ma anche di dover sospendere gli atti di revoca dell'incari co e di trasferimento del dirigente ad altro ufficio.
Si osservi, a tale riguardo, che in sede di reclamo proposto dall'am ministrazione il tribunale ha affermato che i provvedimenti di sospen sione dell'atto di revoca e di trasferimento ad altro ufficio non sono altro che l'esplicitazione del provvedimento «principale», ossia dell'or dine di reintegrazione nell'incarico, del quale sono accessori, con conse
guente esclusione del vizio di ultrapetizione. In tal modo il provvedimento di reintegrazione garantisce effettività
di tutela e riconduce il rapporto tra amministrazione e dipendente in ambito perfettamente paritetico, nello spirito della nuova normativa:
gli atti amministrativi di revoca e trasferimento — (già) tipicamente autoritativi ed idonei a degradare la posizione del dipendente ad inte resse legittimo — assumono ora la valenza di «atti unilaterali che si inseriscono nella dinamica del rapporto contrattuale e di fronte ai quali non ha senso parlare di interessi legittimi» (cfr., in tal senso, molto
chiaramente, AA.VV., Riforma dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nuove leggi civ., 1999, 1441 ss.).
Circa il diritto al mantenimento dell'incarico dirigenziale pubblico, cfr. Trib. Potenza, ord. 29 dicembre 1999, in questo fascicolo, I, 1297.
Il Foro Italiano — 2000.
come ha fatto il giudice, che si tratti, in sostanza, di un trasferi
mento di ufficio e che lo stesso sia stato adottato in carenza
dei presupposti dell'art. 2103 c.c., e che, inoltre, sussista una
illegittimità dell'atto di revoca, in quanto emanato per motivi
attinenti a periodi antecedenti all'incarico e come tali irrilevan
ti, con conseguente carenza di motivazione ed illegittimità del
l'atto stesso, deve concludersi nel senso che il giudice è abilita
to, ai sensi dell'ampia dizione dell'art. 68, 2° comma, a prende re tutti i provvedimenti richiesti dalla natura del diritto tutelato
e, quindi anche alla sospensione dell'atto illegittimo. (Omissis)
II
Ritenuto che il ricorso in via d'urgenza possa essere accolto,
per i seguenti motivi:
1. - Sotto il profilo della probabile fondatezza in diritto (fu mus boni iuris): i provvedimenti di revoca dell'incarico di segre tario generale del Tar Toscana emesso dal segretario generale del Consiglio di Stato il 16 giugno 1999 nei confronti di Terzani
Alessandro, e quello, conseguente, di assegnazione di analogo incarico presso il Tar Umbria a decorrere dal 1° luglio 1999, non sembrano adeguatamente fondati nella realtà di fatto.
La revoca è stata disposta (doc. 28 ric.), in conformità alle
previsioni dell'art. 22 c.c.n.l. comparto ministeri/area dirigenza e della circolare 24 settembre 1998 del segretario generale del
Consiglio di Stato, per «ragioni organizzative e gestionali»; ra
gioni ravvisate nella situazione di «tensione e contrasto» esi
stente tra il Terzani e magistrati e personale del Tar e provoca
ta, in misura rilevante, dal comportamento «impetuoso e non
formale» del medesimo ricorrente, già denunciata dai magistra ti Lazzeri e Radesi, avallata dal pres. Virgilio e riscontrata in
occasione dell'ispezione avvenuta nei giorni 11 e 12 gennaio 1999.
Peraltro, esaminando la relazione 27 gennaio 1999 alla luce
delle numerose smentite o precisazioni avverso dichiarazioni ri
lasciate dal personale durante l'ispezione stessa (v. lettere Mela
ni, Ferasin, Sabaté, Greco, Fiameni, Fuso, Colonnelli, lettera
Ciani e Tanzini), nonché delle ulteriori dichiarazioni favorevoli
al Terzani reperibili in atti (lettera 30 marzo 1999 di Gualandi
ed altri quindici, lettera 19 aprile 1999 pres. Berruti, lettera 12
aprile 1999 pres. Borea, lettera avvocati amministrativisti 22 mar
zo 1999, lettera giunta regione Toscana 2 aprile 1999), emerge con ogni verosimiglianza come la denunciata situazione sia con
finata ai rapporti tra il Terzani e due magistrati (su un organico di quindici), nonché tre o quattro dipendenti (su un organico di ventotto); e come le dichiarazioni di tali soggetti siano state
acriticamente accettate come fondate senza alcuna verifica o ri
scontro concreto.
Ne segue che: — ove al complesso di tali atti (revoca dell'incarico dirigen
ziale a Firenze/conferimento di analogo incarico a Perugia) si
assegni la sostanziale natura di un trasferimento d'ufficio (così come inizialmente era stata denominata la procedura e come
parrebbe doveroso, visto che la nomina a Perugia non è stata
accompagnata dalla stipula di un nuovo contratto di lavoro), allora non si configurano quelle esigenze organizzative, tecniche
e produttive di cui parla l'art. 2103 c.c., applicabile al rapporto ex art. 1 e 4 d.leg. 29/93 (testo aggiornato dal d.leg. 80/98): invero, il contrasto «caratteriale» con un numero di magistrati e dipendenti di minima entità rispetto all'organico complessivo, a fronte dell'unanime plauso del foro amministrativo ed alle
attestazioni di stima acquisite agli atti, evidenzia come non vi
fosse in realtà alcun pericolo per la funzionalità del Tar ed il
suo prestigio, tale da imporre la rimozione del ricorrente; — ove si limiti l'attenzione al solo atto di revoca dell'incari
co, allora manca il presupposto di un tale provvedimento. Ricordando infatti che la revoca dell'incarico dirigenziale può
conseguire solo ai risultati negativi dell'attività amministrativa
e della gestione o al mancato raggiungimento degli obiettivi (art. 21 d.leg. 29/93, come sostituito dal d.leg. 80/98), e comunque a motivate ragioni organizzative e gestionali oppure in seguito all'accertamento dei risultati negativi di gestione o della inosser
vanza di direttive (art. 22, 6° comma, c.c.n.l.), basterà osserva
re che la revoca è avvenuta per motivi che si riferiscono tutti
a periodi temporalmente anteriori all'affidamento dell'incarico di dirigenza generale, e come tale irrilevanti ai fini di valutare il comportamento del Terzani nell'incarico stesso.
In altre parole, il Terzani è stato valutato negativamente co
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
me dirigente generale per fatti avvenuti anteriormente all'affi
damento di tale incarico: l'atto di revoca è dunque illegittimo
perché sostanzialmente immotivato, anche senza tener conto del
contrasto tra tale giudizio e quello di «ottimo per il complesso delle sue qualità morali e di carattere, le doti intellettuali e pro
fessionali, la capacità organizzativa e per il rendimento offerto»
elargito al Terzani dal presidente del consiglio di amministra
zione il 16 giugno 1998 (doc. 32). Di qui l'illegittimità degli atti anzidetti, e la possibilità, per
il giudice dell'urgenza, di adottare «tutti i provvedimenti richie
sti dalla natura dei diritti tutelati» (art. 68 d.leg. 29/93, nel
testo sostituito dal d.leg. 80/98). 2. - Sotto il profilo del pericolo nel ritardo: al di là dei disagi
sul piano personale ed economico lamentati dal ricorrente, non
più in grado di affrontare senza conseguenze un accentuato pen
dolarismo, si manifestano, nel caso di specie, gravi lesioni a
beni immateriali di ancor superiore importanza; non si può ne
gare che il trasferimento del quale egli è stato fatto oggetto,
per la sua valenza intrinsecamente punitiva e sanzionatoria di
presunte inefficienze o carenze caratteriali, è gravemente lesiva
della sua dignità personale e del prestigio acquisito nel corso
della vita lavorativa (di cui è prova la documentazione agli atti).
La gravità della situazione, unitamente all'opportunità di in
tervenire immediatamente al fine di evitare che la posizione la
vorativa di cui è causa, tuttora vacante, venga coperta con altra
persona, con inevitabili, conseguenti complicazioni sul piano per
sonale e processuale, giustifica ampiamente l'adozione dei ri
chiesti provvedimenti urgenti, che si determinano nel senso che
segue. Per questi motivi (omissis)
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 19 luglio 1999; Giud. Ca
lendino; Soc. Sassoli rappresentanze (Avv. U. e F. Toffo
letto, Tradati) c. Soc. Vaillant.
TRIBUNALE DI MILANO;
Agenzia (contratto di) e agente di commercio — Indennità di
fine rapporto — Derogabilità ad opera della contrattazione
collettiva (Cod. civ., art. 1751; d.leg. 10 settembre 1991 n.
303, attuazione della direttiva 86/653/Cee, relativa al coordi
namento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti
commerciali indipendenti, a norma dell'art. 15 1. 29 dicembre
1990 n. 428 (legge comunitaria 1990)).
Va affermata la prevalenza della disciplina di cui all'art. 1751
c.c. (nel testo previgente alla riforma del 1999), rispetto al
trattamento previsto dalla contrattazione collettiva, nel caso
in cui l'agente ne abbia fatto richiesta, e sussista una delle
due condizioni contemplate dal 10 comma della disposizione
codicistica, attesa la sua inderogabilità a svantaggio dell'a
gente medesimo. (1)
(1) La pronuncia in rassegna va collocata nell'ambito dei passaggi
legislativi concernenti la disciplina del contratto di agenzia, che ha subi
to negli ultimi anni una serie di frammentarie modifiche, con il prevedi bile risultato di rendere complessa l'applicazione intertemporale delle
norme codicistiche novellate. La prima riforma (applicata dal Tribunale
di Milano), varata col d.leg. 10 settembre 1991 n. 303 (Le leggi, 1991,
I, 2176), si pensava essere stata finalmente completata con il d.leg. 15
febbraio 1999 n. 65 (id, 1999, I, 843). In realtà, la 1. 21 dicembre 1999
n. 526 (legge comunitaria 1999, id, 2000, I, 639), all'art. 28, ha riserva
to un'ulteriore revisione dell'art. 1746 c.c., concernente l'annosa pro blematica dello «star del credere» (da ultimo, la vicenda è ampiamente affrontata da F. Di Ciommo, Il contratto di agenzia tra nuove regole e vecchie incertezze: lo «star deI credere» ancora al vaglio della Cassa
zione (nota a Cass. 3 giugno 1999, n. 5441), in Foro it., 1999, I, 2192). Il quadro degli interventi, tuttavia, non sembra essere ancora definiti
vamente esaurito, specie laddove si ponga mente alle ultime pronunce delle corti, di giustizia Ce e di Cassazione, volte a sancire la disapplica
li. Foro Italiano — 2000.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 18 aprile 1997 la s.a.s. Sassoli Guido rappresentanze («Sasso
li») evocava in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la Vail
lant s.p.a. (già Siabs s.p.a.), deducendo che:
1) Sassoli e Siabs avevano stipulato nel 1985 un primo con
tratto, sottoscritto nel 1985, a tempo determinato;
2) Sassoli e Vaillant avevano poi stipulato nel 1993 un secon
do contratto, integralmente sostitutivo del precedente, a tempo
indeterminato, cessato il 31 maggio 1995 per effetto del recesso
comunicato dalla preponente il 10 maggio 1995;
zione dell'obbligo di iscrizione all'albo dell'agente, che, tuttavia, è an
cora vigente nel nostro ordinamento (per un'esauriente panoramica sul
punto, cfr. Corte giust. 30 aprile 1998, causa C-215/97, id., 1998, IV, 193, con nota di R. Pardolesi; Cass. 18 maggio 1999, n. 4817, id., 1999, I, 2542, con nota di A. Palmieri). È del tutto evidente che anche sotto questo profilo il legislatore dovrà (prima o poi) fare chiarezza.
L'odierna decisione del Tribunale di Milano affronta uno dei delicati
aspetti del contratto d'agenzia, qual è sempre stato l'indennità di fine
rapporto, disciplinata dall'art. 1751 c.c. e dai relativi accordi collettivi
dei vari settori interessati. Questa duplicazione di fonti pone, di volta in volta, l'interprete dinanzi alla scelta di applicare l'accordo collettivo, richiamato, per esempio, nel contratto, o l'art. 1751 c.c., invocato dal
l'agente in presenza di un trattamento più favorevole e di un'agevole dimostrabilità della sussistenza di uno dei requisiti previsti dal 1° comma.
Una parola autorevole sulla questione sarebbe potuta derivare dalla
Corte costituzionale, che, però, ha evitato — attraverso un'ordinanza
di inammissibilità processuale — di pronunciarsi sulla legittimità del
l'art. 1753 c.c. nella parte in cui consente alle norme collettive, agli usi o alle pattuizioni individuali di derogare alla disciplina posta dal l'art. 1751 c.c. in tema di indennità di fine rapporto, a svantaggio del
subagente di assicurazione (Corte cost., ord. 17 luglio 1998, n. 280,
id., 1998, I, 3464). Il tema della compatibilità tra disciplina codicistica e contrattazione
collettiva ha alimentato il dibattito più consistente nella dottrina e giu risprudenza dopo la riforma del 1991. Si è sostenuto (da ultimo, v.
A. Venezia, L'indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia e la giurisprudenza recente, in Contratti, 1999, 73) che i criteri contenuti
negli accordi economici del 1992 non siano in linea con il nuovo testo
dell'art. 1751 e con la direttiva 86/653/Cee. Tuttavia, un nutrito orien
tamento, nel quale si colloca, con le dovute distinzioni, la pronuncia in rassegna, è incline a dichiarare compatibile la contrattazione colletti va con la direttiva — in attuazione della quale si è riformato, nel 1991, l'art. 1751 c.c. —, limitatamente all'aspetto della determinazione del
l'indennità, ove questa risulti nel caso concreto migliorativa. La pro nuncia in parola, in particolare, pone l'accento sull'approccio da segui re, che deve essere orientato, previa valutazione del caso concreto, al
l'applicazione del trattamento ritenuto più favorevole all'agente (in tal
senso, v. Pret. Forlì 17 febbraio 1997, e Pret. Piacenza 7 gennaio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce Agenzia, nn. 28, 29, e Lavoro giur., 1997, 383, con nota di D. Zavalloni, Art. 1751 c.c. e accordi «ponte»: verso un «revival» della teoria del cumulo?-, Pret. Milano 7 gennaio 1997, Pret. Torino 19 marzo 1996, e Pret. Milano 17 dicembre 1996, Foro
it., Rep. 1997, voce cit., nn. 30-33, e Mass. giur. lav., 1997, 717, con
nota di F. Bortolotti, L'indennità di scioglimento del rapporto di agen zia ed il problema della validità dei c.d. «accordi ponte»; Pret. Reggio Emilia 5 gennaio 1996, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 26; in dottrina, la posizione è sostenuta anche da E. Saracini-F. Toffoletto, Il con
tratto d'agenzia. Art. 1742-1753, in Commentario diretto da P. Schle
singer, Milano, 1996, 505). Va ribadito che, in giurisprudenza, si danno casi in cui è stato rileva
to un trattamento più favorevole in seguito all'applicazione del contrat
to collettivo: Pret. Viterbo-Civita Castellana 1° dicembre 1994, Foro
it., Rep. 1995, voce cit., n. 40, e Mass. giur. lav., 1995, 107, con nota
di M.A. Rossi, Contratto di agenzia: l'attuazione del nuovo art. 1751
c.c.; Orient, giur. lav., 1995, 192, con nota di C. Fossati, Interpreta zione del nuovo testo dell'art. 1751 c.c. e sua compatibilità con la disci
plina collettiva; Contratti, 1995, 403, con nota di R. Baldi, Indennità
di fine rapporto nel contratto di agenzia; Riv. it. dir. lav., 1995, II,
772, con nota di F. Toffolletto, Il nuovo art. 1751 c.c. e l'accordo
economico collettivo 27 novembre 1992 per gli agenti: un contrasto in
sanabile; e ancora Trib. Viterbo 24 novembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 39, e Lavoro giur., 1998, 862, con nota di D. Zavalloni, Ancora in tema di indennità ex art. 1751 c.c.; Trib. Torino 19 dicembre
1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 40. In questa direzione, con
accenti più marcati, si colloca Trib. Milano 10 ottobre 1998 (Contratti,
2000, 56, con nota critica di P. Tradati, L'indennità di fine rapporto e la direttiva 86/653), che ha sostenuto, controcorrente, la tesi del netto
favore riservato dagli accordi collettivi di per sé, in quanto gli stessi
sarebbero sempre invocabili dagli agenti, mentre l'operatività dell'art.
1751 è subordinata alla ricorrenza di determinati presupposti. Per contro, non mancano pronunce in cui l'accordo economico col
lettivo è stato giudicato radicalmente in antitesi con lo spirito e la ratio
dell'art. 1751 (Pret. Roma 6 dicembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce
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