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ordinanza 14 luglio 1980; Pres. Montefrancesco, Est. Raneri; ric. Reder

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ordinanza 14 luglio 1980; Pres. Montefrancesco, Est. Raneri; ric. Reder Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 55/56-85/86 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171301 . Accessed: 28/06/2014 13:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.150 on Sat, 28 Jun 2014 13:16:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 14 luglio 1980; Pres. Montefrancesco, Est. Raneri; ric. Reder

ordinanza 14 luglio 1980; Pres. Montefrancesco, Est. Raneri; ric. RederSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 55/56-85/86Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171301 .

Accessed: 28/06/2014 13:16

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PARTE SECONDA

mente possibile conciliare l'immediatezza del rimedio invocato

con la esigenza di procedere causa cognita, onde elidere o ridurre

al minimo il pericolo che, adottato il rimedio ex art. 40, risulti

poi inammissibile il conflitto ed indebitamente imposta la so

spensione cautelare.

Ma poiché la corte è chiamata a provvedere (udite le parti ed espletate le indagini opportune) nella stessa composizione con la quale è competente a decidere definitivamente, non v'è

ostacolo acché, trovandosi essa riunita per deliberare sulla ri

chiesta di sospensione, nel contempo estenda l'esame alle que stioni di ammissibilità della domanda di risoluzione di con

flitto.

Dovrebbe da ciò discendere l'illegittimità dell'ordinanza in

esame, con i naturali effetti di sconfinamento della corte nella

sfera di attribuzione di questo tribunale, giacché il sistema, con

le rilevate garanzie predisposte per la pronunzia dei provvedi menti interlocutori, vieta interventi cautelari col rischio che si

verifichino, senza nulla aver tentato, situazioni di interferenza

tra organi costituzionali, nel senso già precisato. Fosse vero il contrario, l'intervento cautelare o non dovrebbe

mai essere consentito in ossequio a quella peculiarità dei con

flitti tra Stato e regioni, che secondo l'opinione comune riposa

appunto nell'immediatezza della risoluzione, con la conseguente immediata rimozione della situazione di illegittimità costituzio

nale eventualmente determinatasi (e allora dovrebbe ritenersi

che gli art. 40 legge 87/1953 e 28 reg. 1956 siano illegittimi per violazione dell'art. 134 Cost, perché consentono al giudice costi

tuzionale di adottare provvedimenti cautelari anche a costo della

insussistenza di un conflitto, potendo invece emettere con cogni zione piena le statuizioni definitive nel contesto di un giudizio di per sé immediato), ovvero almeno lo strumento in discorso

dovrebbe essere consentito solo quando la corte, a sua insin

dacabile delibazione preliminare, ritenga, fatti salvi i definitivi

accertamenti, che un conflitto effettivamente sia insorto.

3) Delle due, quest'ultima interpretazione, lasciando integre le

rilevate peculiarità dei conflitti tra regioni e Stato, sembra coe

rente con l'interpretazione che il legislatore ordinario ha dato

dell'art. 134 Cost., risultante dalla lettera degli art. 37 e 39 legge

87/1953, che fanno riferimento ad un conflitto effettivamente

insorto e non alla mera prospettazione di conflitto: «...se in

sorge ... il conflitto; se la regione invade...; può proporre ri

corso la regione la cui sfera di competenza sia invasa...» ; men

tre sintomaticamente diversa è l'espressione usata dal legislatore all'art. 2, in tema di giudizi di legittimità costituzionale: « quan do una regione ritenga che la legge ... invade la sfera ... ».

È autorizzata, quindi, la conclusione che gli art. 40 legge

87/1953 e 28 reg. rispettano la costituzionale, implicita, previ sione che le ordinanze di sospensione vengano adottate dalla

corte previo esame di ammissibilità dei relativi conflitti, con le

rilevate, invalidanti conseguenze in caso contrario.

4) Ove, però, dovesse ritenersi che il testo della norma non

consenta l'interpretazione proposta, le citate disposizioni po trebbero risultare in contrasto, per le ragioni esposte a sostegno del conflitto qui denunziato, con gli art. 25, 101, 102, 104, 134

Cost., per cui la corte, verificata la non manifesta infondatezza della eccezione ed attesa la rilevanza della questione ai fini della

risoluzione del conflitto, potrebbe dichiararne incidentalmente

l'illegittimità, in conformità al rito sin'ora seguito. 5) Sussistono, a parere del collegio, i presupposti soggettivi e

oggettivi previsti dall'art. 37 legge 87/1953. Dal punto di vista soggettivo, pacifico ormai che la corte, il

solo tra gli organi costituzionali cui l'art. 134 Cost, attribuisce la competenza a risolvere i conflitti (che, quando insorgono, de vono necessariamente essere risolti), possa assumere la duplice qualità di giudice e parte (Corte cost. 26 aprile 1968, n. 39, id., 1968, I, 1097), deve altresì riconoscersi che anche il tribunale denunziarne ha nella fattispecie tutti i requisiti di legittimazione soggettiva, sia perché, vertendosi in tema di revoca di provvedi menti inoppugnabili (Corte cost. 27 marzo 1969, n. 78, cit.; Cass. 22 marzo 1977, Merlino, cit.), egli è nell'attuale fase del pro cedimento penale contro il Piacenti l'unico organo giudizia rio competente in via definitiva (cioè in ultima istanza) a cono scere dell'istanza di revoca presentata nell'interesse del predetto imputato, sia anche perché, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (sent. 228 del 17 luglio 1975, id., Rep. 1975, vo ce Corte costituzionale, n. 42), « organi competenti a dichia rare definitivamente la volontà del potere cui appartengono sono i singoli organi giurisdizionali, che esplicano la loro fun zione in situazione di indipendenza costituzionalmente garan tita, senza che rilevi la proponibilità di gravami predisposti a tutela di interessi diversi ».

Dal punto di vista oggettivo, poi, il denunziato conflitto in

volge l'applicazione sia dell'art. 134 Cost, sia delle richiamate

norme costituzionali sulla funzione giurisdizionale, che secondo

il tribunale è menomata in dipendenza della ordinanza n. 94 del

18 giugno 1980, da ritenere illegittima perché emessa prescin dendo del tutto dalla valutazione sull'ammissibilità del conflitto

sollevato dalla regione siciliana con ricorso del 24 aprile 1980, ordinanza con la quale la corte, avendo sospeso il noto provve dimento del Pretore di Augusta, conseguenzialmente impedisce al collegio ricorrente di svolgere, con pienezza di efficacia e di

autonomia, in attesa della risoluzione del conflitto tra regione e

Stato, la giurisdizione penale avente per oggetto la pronunzia sulla richiesta di revoca della sospensione del Piacenti dagli uf

fici di assessore e deputato regionale. Pertanto il tribunale, con questa ordinanza, delibera di pro

porre ricorso alla Corte costituzionale, a norma degli art. 37

segg. legge 11 marzo 1953 n. 87 perché la stessa, risolvendo il

denunziato conflitto di attribuzione, dichiari, previa pronuncia, occorrendo, dell'illegittimità costituzionale degli art. 40 cit. legge e 28 reg. 16 marzo 1956, nel senso precisato in motivazione,

l'illegittimità, per violazione degli art. 25, 101, 102, 104, 134 Cost., dell'ordinanza emessa il 18 giugno 1980, n. 94, non sostenuta dal

preliminare giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione

proposto dalla regione siciliana nei confronti dello Stato con ri

corso del 24 aprile 1980, e statuisca, annullando il provvedi mento impugnato, che con lo stesso è stata temporaneamente sottratta a questo tribunale la funzione giurisdizionale penale nel

la parte in cui, con la sospensione della sentenza del Pretore di

Augusta limitatamente alla disposta applicazione provvisoria di « pena accessoria » a Salvatore Piacenti, si impedisce di conoscere

sull'istanza di revoca del menzionato interdetto pretorile in rela

zione agli uffici di deputato e assessore regionale.

Visti gli art. 140 cod pen. - 485 cod. proc. pen., revoca il prov vedimento di applicazione provvisoria della privazione dei pub blici uffici, adottato dal Pretore di Augusta con sentenza del 18

febbraio 1980 nei confronti di Salvatore Piacenti, limitatamente

alla parte in cui è stata disposta anche la privazione provvisoria

degli uffici di consigliere comunale, provinciale e di quartiere nonché degli uffici non aventi competenza nel settore della tutela

dell'ambiente.

Si riserva di provvedere, all'esito della risoluzione del conflitto

testé proposto, sulla richiesta di revoca della sospensione del Pia

centi dagli uffici di assessore e deputato regionale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE MILITARE TERRITORIALE DI BARI; ordinan

za 14 luglio 1980; Pres. Montefrancesco, Est. Raneri; ric.

Reder.

TRIBUNALE MILITARE TERRITORIALE DI BARI;

Liberazione condizionale dei condannati — Militare responsabile di crimini di guerra — Ammissibilità — Condizioni — Fat

tispecie (Cod. pen., art. 176).

Va ammesso alla liberazione condizionale il militare condannato

all'ergastolo per crimini di guerra che: a) ha effettivamente scontato oltre ventotto anni di pena; b) ha dimostrato di tro varsi nell'impossibilità di adempiere le obbligazioni civili deri vanti dai reati commessi; c) ha tenuto, durante il tempo di ese cuzione della pena, un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento (nella specie, il tribunale militare ha ammesso al beneficio della liberazione condizionale il mag giore delle SS Walter Reder, responsabile dell'eccidio di Marza

botto, valutando positivamente, ai fini del giudizio sul sicuro

ravvedimento, a) i rapporti intrattenuti dal detenuto con i

compagni di prigionia, con il personale carcerario, con perso nalità della vita politica, culturale, religiosa; b) la sua volontà

di espiare le riconosciute proprie colpe, scevra da atteggiamenti di autocommiserazione ed autogiustificazione, con l'accettazio ne della condanna; c) il suo desiderio di reinserimento nella società dimostrato con l'attività di lavoro e di studio, e con ma

nifestazioni di altruismo e di solidarietà sociale). (1)

(1) Numerosi, e in larga parte presi in considerazione dalle riviste giuridiche, i provvedimenti resi nella vicenda processuale del mag giore delle SS Walter Reder, responsabile di crimini di guerra contro popolazioni civili dei territori occupati: Trib. supremo militare 16 marzo 1954 (Foro it., Rep. 1955, voce Circostanze di reato, nn. 303

310) condanna W. Reder alla pena dell'ergastolo per aver compiuto od aver ordinato di compiere, in funzione del suo grado di maggiore dell'esercito tedesco operante in Italia, massacri indiscriminati di ap partenenti alla popolazione civile del territorio occupato, pur se, in alcuni casi, siano stati atti di reazione ad ostilità perpetrate da ignoti

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GIURISPRUDENZA PENALE

Il Tribunale, ecc. — Ritiene in fatto. — Il maggiore Walter

Reder, appartenente alle forze armate tedesche, — dopo aver

partecipato, nel corso della seconda guerra mondiale, a diverse

campagne di guerra su vari fronti, meritandosi, per gli atti di va

lore compiuti, decorazioni e una promozione per merito di guer ra, subendo anche la perdita del braccio sinistro, riportando pure

civili; ili seguito, Trib. supremo militare 21 febbraio 1956 (id., Rep. 1957, voci Amnistia, n. 116, Reato politico, nn. 2, 3, Tribunale mili

tare, n. 5), nega, ai fini dell'applicabilità del condono previsto dal d.

pres. n. 922/1953, che gli appartenenti alle forze armate tedesche pos sano essere considerati appartenenti a formazioni armate; nel 1974 lo

stesso tribunale con ordinanza del 24 luglio (id.. Rep. 1975, voce Li berazione condizionale dei condannati, n. 15) solleva questione di co stituzionalità degli art. 34 e 35 r. d. 9 settembre 1941 n. 1023, per violazione degli art. 13, 24, 2° comma, e 111, 2° comma, Cost., nella

parte in cui attribuiscono la decisione sulla domanda di liberazione condizionale al ministro da cui dipendeva il militare condannato al

tempo del commesso reato, anziché ad un organo giurisdizionale di

adeguato livello, questione risolta nel senso della sua illegittimità co

stituzionale da Corte cost. 22 luglio 1976, n. 192 (id., 1977, I, 33, con nota di richiami, e in Giur. costit., 1976, I, 2254 e 1977, I, 400, con note di Stellacci e Corso); sempre nel 1976 il Tribunale supremo mi

litare con sentenza 15 dicembre (Foro it., Rep. 1977, voce cit., nn.

34-38) respinge il ricorso di Reder avverso l'ordinanza del Tribunale

territoriale di La Spezia 19 ottobre 1976 (inedita) sulla non ammissi

bilità del condannato alla liberazione condizionale, sussistendo dubbi

sul suo sicuro ravvedimento; ancora, inoltrato ricorso straordinario

avverso tale ultima sentenza, nel quale viene eccepito difetto di giuris dizione dell'autorità militare e violazione di legge in ordine alla man

cata concessione della liberazione condizionale, la Cassazione con sen

tenza 2 aprile 1977 (id., 1978, II, 114, con nota di richiami), ritiene

infondato l'eccepito difetto di giurisdizione; infine, a seguito del ri-,

getto di una nuova istanza di liberazione condizionale, Trib. supre mo militare 30 ottobre 1979 (Giust. pen., 1980, II, 179) annullando la

decisione di primo grado, in un primo tempo rinvia la decisione, per un nuovo esame, allo stesso Tribunale militare di La Spezia, diversa

mente composto, ma poi con ordinanza 29 aprile 1980 (inedita) ri

mette gli atti per motivi di ordine pubblico al Tribunale territoriale

di Bari, il quale ha deciso con l'ordinanza che si riporta.

In generale, sull'art. 176 cod. pen., da ultimo, v. Corte cost. 10

maggio 1979, n. 8, Foro it., 1979, I, 1106, con nota di richiami.

Per riferimenti, sui reati commessi in tempo di guerra da militari

stranieri in territorio italiano, v. Assise Trieste 29 aprile 1976, id.,

1976, II, 313, con nota di richiami, che ha ritenuto sussistente il reato

comune di omicidio volontario, mentre esulano gli estremi di delitti

contro la legge e gli usi di guerra, qualora il comandante di un re

parto speciale delle SS, avente compiti di persecuzione razziale, di po

lizia politica e di repressione della guerriglia, operante in Italia (zona

costiera dell'Adriatico settentrionale) dall'ottobre 1943 sino alla ri

tirata delle truppe tedesche, abbia disposto la soppressione, in un edi

ficio (Risiera di San Sabba) munito di forno crematorio, di ebrei e

di persone sospette di appartenenza al movimento partigiano od a par

titi politici ostili.

• * •

Per completezza di informazione, riportiamo il testo di alcune inter

pellanze ed interrogazioni sul caso Reder proposte alla Camera dei de

putati, nonché della risposta data dal sottosegretario di Stato per la

difesa Bandiera (seduta del 24 novembre 1980).

Presidente. L'ordine del giorno reca lo svolgimento delle seguenti

interpellanze; « I sottoscritti chiedono di interpellare il presidente del consiglio

dei ministri e i ministri di grazia e giustizia, delia difesa e degli af

fari esteri, per sapere — premesso: che nel marzo 1979, com'è noto, il Tribunale militare di La Spezia

ha per la seconda volta respinto la domanda di liberazione condizio

nale del maggiore delle SS Walter Reder, condannato all'ergastolo, re

sponsabile, oltre che di altri crimini, di una delle più inumane stragi

di donne, vecchi e bambini volute dal nazismo con il massacro della

popolazione di Marzabotto; la suddetta decisione è stata annullata

dal Tribunale supremo militare che ha in un primo momento rinviato

il giudizio allo stesso Tribunale militare di La Spezia diversamente

composto; che il 29 aprile di quest'anno, in accoglimento di analoga richiesta

del procuratore generale, lo stesso Tribunale supremo militare ha ordi

nato la rimessione del giudizio relativo alla liberazione condizionale

del maggiore Reder al Tribunale militare di Bari ai sensi dell'art. 285

cod. pen. mil. pace, per motivi di ordine pubblico. Si legge nella mo

tivazione del suddetto provvedimento che ' nella fattispecie è da pre

vedere che saranno senz'altro organizzate manifestazioni che potranno

turbare l'ordine pubblico ' e che r non può sostenersi che tali manife

stazioni non possano provocare episodi di violenza, con grave turba

mento dell'ordine pubblico, giacché nessun episodio del genere si è

verificato in precedenza; bisogna, infatti, tener presente che, se ma

nifestazioni esteriori di turbamento non si sono verificate, è solo per

ché le decisioni finora emesse sono state sempre conformi ai desiderata

dei manifestanti; nulla esclude che il comportamento dei manifestanti

sia diverso qualora venga emessa una decisione non gradita

una paralisi nel braccio destro e facendo ritorno, poi, volonta

riamente, dopo un periodo di degenza in ospedale militare, sul fronte di Lubiana — nel mese di maggio dell'anno 1944, ve niva inviato in Italia, già occupata dalle truppe tedesche, e, in data 24 maggio 1944, assumeva il comando del 16° battaglione SS Panzer Aufklarung Abteilung, facente parte della 16* SS

che si è ora appreso, con profondo sdegno e preoccupazione del l'opinione pubblica democratica e antifascista dell'intero paese, che il criminale nazista Reder è stato ammesso dal Tribunale militare di Bari alla liberazione condizionale, con la inflizione della misura di 5 anni di internamento nel penitenziario militare di Gaeta, misura che peraltro consentirebbe la riconsegna dello stesso all'Austria mediante eventuale atto del governo:

1) quale giudizio politico, morale e logico diano del provvedimento di rimessione con cui il massimo organo della giustizia militare ita liana ha ritenuto di derogare alla competenza del tribunale territorial mente competente sulla base di una motivazione inaccettabile e sco pertamente strumentale agli effetti del conseguimento del risultato e

per di più costruita sulla previsione puramente gratuita di turbamento dell'ordine pubblico, smentita dalle precedenti manifestazioni che, pur esprimendo la ferma, radicale avversione dei superstiti, delle intere

popolazioni dei luoghi colpite dalle stragi e del sentimento demo cratico nazionale ad ogni atto di clemenza nei confronti del crimi nale nazista, si sono tuttavia svolte con assoluta dignità e compo stezza;

2) se non ritengano che la stessa supposizione di turbamento vio lento dell'ordine pubblico in un luogo, come La Spezia, relativamente vicino a quelle stragi, costituisca offesa a chi conserva memoria e so lidarietà profonde (che sono ben vive in tutta Italia) intorno al sacri ficio delle vittime e al significato di esso e si collochi piuttosto, in realtà, nella ricerca di condizioni più propizie per la liberazione del l'ex ufficiale delle SS;

3) se non ritengano politicamente e moralmente gravissimo il prov vedimento di liberazione del maggiore Reder, considerata la natura degli atti di inusitata e sistematica ferocia da lui compiuti, che è tale da simboleggiare l'essenza stessa del nazi-fascismo e se non re putino la sua condanna all'ergastolo tale da dover conservare un per manente valore di risposta democratica al disprezzo per l'altrui vita e la libertà degli uomini;

4) se non ritengano di dover prendere impegno solenne di evi tare in ogni modo, nella loro rispettiva responsabilità, ogni atto o

comportamento che possa comunque favorire la definitiva anticipata liberazione del maggiore Reder e la riconsegna al suo paese di

origine ». [Ricci et coeteri]

« 1 sottoscritti chiedono di interpellare il presidente del consiglio dei ministri e i ministri della difesa, di grazia « giustizia e degli affari esteri, per conoscere se risponda a verità che il provvedimento del Tribunale militare territoriale di Bari, che ha concesso la libera

zione condizionata a Walter Reder con l'obbligo di continuare a sog giornare nel carcere di Gaeta, abbia stabilito tale ultima disposizione in considerazione di una presunta qualità di prigioniero di guerra dello stesso Reder.

Ove tale notizia, fornita con qualche contraddizione ed incertezza dalla stampa, risponda a verità, gli interpellanti chiedono di cono scere in base a quali considerazioni giuridiche si pretende che l'Ita

lia abbia diritto di ritenere quale prigioniero di guerra e comunque in

tale condizione e stato una persona che le sia stata consegnata dalle

potenze che la detenevano in condizioni di prigionia di guerra per essere processata e per espiare la pena.

Chiedono di conoscere, nell'ipotesi in cui Walter Reder possa con

siderarsi essere stato prigioniero di guerra dell'Italia, se non si deb

be provvedere, una volta cessata l'espiazione della pena ed il titolo

per ritenerlo in forza della sentenza di condanna, alla sua immediata

restituzione al paese di cui è cittadino.

Chiedono di conoscere se il governo non ritenga preminente su ogni altra considerazione quella di far cessare l'intollerabile incongruenza

di mantenere nel nostro paese, che risulta essere in pace con tutti i

paesi del mondo, anche un solo prigioniero di guerra ». [Mellini et

coeteri].

« I sottoscritti chiedono di interpellare il presidente del consiglio dei ministri e i ministri della difesa e di grazia e giustiza, per sapere:

quale sa il giudizio del governo sulla ' vicenda Reder ' — ex mag

giore delle SS naziste e responsabile della strage di Marzabotto —

e in particolare sulla decisione del Tribunale supremo militare che il

29 aprile 1980 ha ordinato la remissione del giudizio relativo alla li

berazione condizionale dello stesso ex maggiore Reder al Tribunale

militare di Bari ai sensi dell'art. 285 cod. pen. mil. pace, per motivi di

ordine pubblico.

quale sia il giudizio del governo sull'ordinanza con cui il Tribu

nale militare di Bari ha ammesso l'ex maggiore delle SS naziste alla

liberazione condizionale, con la inflizione di cinque anni di interna

mento nel penitenziario militare di Gaeta;

quale sia il giudizio del governo sulle motivazioni del provvedi mento con cui il Tribunale militare di Bari ha ammesso alla libertà

condizionale l'ex maggiore delle SS naziste Reder, e in particolare

sulla spregevole definizione, in dette motivazioni contenuta, delle ini

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PARTE SECONDA

Panzer Granadier Division, comandata dal generale Max Simon

e operante agli ordini del feldmaresciallo Albert Kesserling, co

mandante in capo delle forze armate tedesche in Italia: le truppe

tedesche, schierate sul fronte «Cecina-San Vincenzo», avevano

il compito di contrastare l'avanzata delle truppe alleate e, nello

stesso tempo, di «combattere i partigiani»; il reparto coman

ziative partigiane nel corso della guerra di liberazione come ' atti vili di civili armati'». [Boato, Pinto, Mellini]

e delle seguenti interrogazioni:

Gualandi (ef coeteri), al presidente del consiglio dei ministri e ai

ministri della difesa e di grazia e giustizia, per sapere: se sono a conoscenza della sentenza n. 572/1979 del Tribunale mi

litare supremo, di annullamento dell'ordinanza del Tribunale militare

territoriale di La Spezia, che nel marzo scorso respinse la richiesta di libertà condizionale dell'ex maggiore delle SS Walter Reder;

se ritengono tollerabile che benefici come quelli della liberazione condizionale possano essere concessi, secondo quanto la sentenza del

Tribunale militare supremo afferma, a chi come il Reder si è mac

chiato di crimini fra i più gravi di cui possa essere colpevole un

uomo, mentre tali benefici sono preclusi agli autori di delitti di ra

pina, estorsione e sequestro di persona a scopo di rapina;

quali provvedimenti intendano prendere per la tutela della me

moria di tante vittime innocenti, del dolore delle popolazioni del

l'Appennino tosco-emiliano duramente colpite dalle rappresaglie nazi

ste, per garantire la naturale e giusta punizione del responsabile di

tante efferate stragi e la difesa dei principi antifascisti della Repub blica italiana;

Trombadori, al ministro della difesa, per conoscere:

1) se, a prescindere dalla libertà di giudizio sulla legittimità e

sulla giustezza della sentenza del Tribunale militare di Bari a fa

vore dell'ergastolano ex maggiore delle SS naziste Reder, non ravvisi

nel dispositivo affermazioni di tale gravità da reclamare l'attenzione

dell'esecutivo nei confronti degli estensori, non in quanto magistrati, ma in quanto pur sempre ufficiali delle forze armate italiane. E preci samente quella definizione della iniziativa partigiana nel corso della

guerra di liberazione nazionale che nel dispositivo si raccoglie dalla

bocca del ravveduto boia nazista come « atti vili di civili armati »

e l'affermazione aggravante che nel dispositivo si fa di quegli « atti

vili » come causa scatenante della strage di Marzabotto;

2) se ritenga, una volta presa in doverosa considerazione la gra vità di tali insulti ai valori della Resistenza, insulti tanto più intol

lerabili presso chi riveste una uniforme nazionale che dalla Resistenza

tiae tutti i motivi della sua sopravvivenza, legittimità e onorabilità, di avvalersi del diritto di nominare una commissione di disciplina alla quale deferire i responsabili della sentenza del Tribunale militare

di Bari fatta salva l'eventualità della denuncia penale dei medesimi

per gli specifici motivi sopra indicati a norma della legge contro il

vilipendio delle forze armate della Liberazione.

Trombadori, al ministro della difesa, per conoscere entro quali li

miti di domicilio, di orario, di mobilità, di attività lavorativa, di

rapporti con l'esterno, e sotto la sorveglianza di chi, il governo ha de

ciso che l'ex maggiore delle SS Reder debba trascorrere da prigioniero di guerra i cinque anni dettati come tempo massimo dal Tribunale

militare di Bari a seguito della sentenza che lo ha liberato dall'er

gastolo. Per sapere se il governo intenda fornire assicurazione che

non si avvarrà di poteri discrezionali per aggiungere alla clemenza

usata nei confronti del boia di Marzabotto quella dell'eventuale ces sazione del suo stato di prigioniero di guerra prima del compimento del quinto anno a far tempo dal deposito della sentenza del Tribunale

militare di Bari.

Queste interpellanze e queste interrogazioni, che vertono sullo stesso

argomento, saranno svolte congiuntamente.

L'on. Ricci ha facoltà di svolgere la sua interpellanza. Ricci. Signor presidente, onorevoli deputati, onorevole sottosegre

tario, i fatti alla base della nostra interpellanza sono noti; mi limi

terò, quindi, a riassumerli brevemente. Nel marzo 1979 il Tribunale

militare territoriale di La Spezia ha respinto la domanda di libera

zione condizionale avanzata nell'interesse del maggiore delle SS Wal

ter Reder, confermando una decisione con la quale analoga istanza era

stata respinta in precedenza (per l'esattezza tre anni prima). Tale de

cisione del Tribunale militare di La Spezia è stata annullata dal Tri

bunale supremo militare, il quale ha rimesso la questione, per un nuo

vo esame, allo stesso Tribunale territoriale di La Spezia, diversa

mente composto. Ma, il 29 aprile 1980, il Tribunale supremo militare

ha rimesso, per motivi di ordine pubblico, al Tribunale militare ter

ritoriale di Bari, la decisione in ordine al caso delicato e scottante.

Questi gli scarni fatti. Io non ho bisogno di ricordare al Parla

mento della Repubblica italiana chi è stato Walter Reder. Dirò sol

tanto che è stato condannato all'ergastolo nel 1951 quale comandante

dei reparti — per l'esattezza il 16° battaglione SS Panzer — che si

macchiarono delle più orrende stragi di vecchi, di donne, di bambini,

nell'Appennino tosco-emiliano, a Bardine di San Terenzio, a Valla, a Vinca di Fivizzano, a Monzone, a Marzabotto e in altre numerose

località di quella zona. Stragi inumane, accompagnate da incendi, da

distruzioni, da saccheggi. Credo vi siano dei crimini che, per la loro gravità, per la loro va

stità, per la loro ferocia, ed anche per il modo in cui si collocano

nella storia degli uomini, trascendono una dimensione semplicemente

dato dal maggiore Reder, l'8 agosto 1944, veniva ritirato dal fron

te di combattimento per essere impiegato contro la guerriglia e in

azioni di rastrellamento, sempre sotto il comando operativo di

visionale. A tal proposito, il citato feldmaresciallo Kesserling, con

apposito « ordine del giorno », emanato in data 17 giugno 1944,

aveva disposto che contro i partigiani si agisse con particolare se

personale ed umana. Sono i crimini contro l'umanità. È per questo che Marzabotto, insieme ad Oradour, insieme a Lidice, è diventato

l'emblema, il simbolo della barbarie moderna in cui si esprime la natura stessa, purtroppo permanente ed attuale (la strage di Bologna 10 testimonia), del fascismo e del nazismo. Ed ecco perché il sacri ficio di Marzabotto e delle altre popolazioni di quella zona tosco-emi liana rappresenta tutto ciò contro cui il popolo italiano, nelle sue

forze sane, nelle sue forze vive, ha combattuto attraverso il travaglio e la lotta della Resistenza.

Credo che quel martirio assuma il significato, al di là delle per

sone, di una condanna permanente del fascismo e del nazismo, come

negatori dei valori fondamentali che stanno alla base della stessa

essenza umana.

Vorrei, partendo da queste premesse — premesse che sono radi

cate nella storia del nostro paese e che devono illuminare la vita e

11 comportamento degli organi e la realtà della Repubblica, anche at

tualmente — ricordare alcune cose, ed innanzitutto la motivazione

con cui si è avuta la rimessione del processo da La Spezia che, lo

ripeto ancora, aveva negato per due volte la liberazione condizionale

di Reder, al Tribunale di Bari. Testualmente: « nella fattispecie è

da prevedere che saranno senz'altro organizzate manifestazioni che po tranno turbare l'ordine pubblico»; quindi: «non può sostenersi che

tali manifestazioni non possano provocare episodi di violenza, con

grave turbamento dell'ordine pubblico, giacché nessun episodio del ge nere si è verificato in precedenza; bisogna, infatti tener presente che, se manifestazioni esteriori di turbamento non si sono verificate, è solo

perché le decisioni finora emesse sono state sempre conformi ai desi

derata dei manifestanti: nulla esclude che il comportamento dei ma

nifestanti sia diverso qualora venga emessa una decisione non gra dita ».

Una motivazione incredibile ed estremamente grave, perché in essa

si dà atto che le prese di posizione che in precedenza vi furono av

vennero attraverso manifestazioni composte, da parte delle vittime, dei superstiti, dei familiari dei trucidati, intorno ai quali la solida

rietà democratica ed antifascista di tutto il paese si è espressa. Una

motivazione attraverso cui si reca offesa al sentimento dei superstiti e dei familiari delle vittime, supponendo in loro addirittura propositi di turbativa dell'ordine pubblico: inoltre si sostiene che quel senti

mento appartenga soltanto alle vittime ed ai superstiti, e non anche

alla coscienza, democratica ed antifascista, di tutto il paese.

Vorrei qui ricordare la dignità con cui il consiglio comunale di

Marzabotto si è espresso quando ha appreso la notizia della libe

razione di Reder. È stato infatti affermato: « Abbiamo sempre detto

e ripetuto che la pena dell'ergastolo inflitta a Walter Reder quale monito riguarda l'ideologia della violenza omicida e dell'odio contro

tutto ciò che è diritto e dignità dell'uomo. Profonda è l'amarezza, lo

sdegno; ma Marzabotto, che non ha mai nutrito sentimenti di ven

detta, vigilerà e continuerà con maggiore fermezza democratica il suo

impegno per la pace, la libertà e la collaborazione tra i popoli, che

sono i grandi ideali che hanno animato la Resistenza italiana ». Ma

allora veramente la motivazione dell'ordinanza di rimessione dà l'im

pressione di un pretesto e di una ricerca di condizioni più favorevoli

di quelle che si erano determinate a La Spezia per ottenere un prov vedimento di favore nei confronti del criminale nazista. Noi chiediamo

che il governo esprima il suo giudizio politico sul trasferimento del

processo, disposto sulla base di una motivazione che suona offesa

agli ideali, ai sentimenti democratici ed antifascisti di tutto il paese.

11 14 luglio 1980 la liberazione condizionale è stata puntualmente concessa dal Tribunale di Bari, il quale l'ha argomentata sulla base

di un affermato sicuro ravvedimento di Reder. Eppure si dà atto, nella sentenza stessa, che deponendo davanti ad un magistrato, Reder

ha affermato che gli atti che gli venivano attribuiti erano stati deter

minati da « atti vili di civili armati ». Queste sono le parole di Reder.

Ma grave è la motivazione — di cui io desidero leggere in questa sede un breve passo — con cui il Tribunale di Bari ha stabilito che

questa affermazione del criminale nazista non potesse non significare la sussistenza di quel « sicuro ravvedimento » che è previsto dalla leg

ge come una delle condizioni per la concessione della liberazione con

dizionale. D'altra parte 1— si dice nella sentenza — dette bande ar

mate (sono le formazioni partigiane!) « al pari dei legittimi belli

geranti, cosi come previsto dalle norme di diritto internazionale bel

lico e dallo stesso codice penale militare di guerra, potevano violare

o possono aver violato le norme di diritto bellico, commettendo od

avendo commesso reati contro le leggi e gli usi della guerra, o comun

que atti illeciti, ritenuti atti vili e catalogati come perfidi ai sensi

dell'art. 37, titolo III, del protocollo aggiuntivo alla convenzione di

Ginevra del 12 agosto 1949, allorché le loro azioni erano o pote vano essere proditorie o criminose ».

Mi domando, onorevoli colleghi, come sia possibile che giudici di

un tribunale della Repubblica si esprimano in questi termini, che in

seriscono in una valutazione di questo genere gli elementi — sia pure

accompagnati dal tentativo di dire cosa obiettiva — che suonano offesa

e vilipendio nei confronti delle forze della Liberazione italiana e pre

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GIURISPRUDENZA PENALE

verità, giacché, in detto «ordine del giorno», era detto testual

mente: « Presterò la mia protezione ad ogni ufficiale tedesco che

oltrepasserà la nostra consueta riservatezza nella scelta della se

verità dei metodi da adottare nel combattere i partigiani! ». I par

tigiani italiani, d'altra parte, partecipando alla guerra di libera

zione, lottavano con tutti i mezzi a loro disposizione per « scac

scindono completamente dalle condizioni storiche, dalle condizioni rea li, dal fatto che si stesse combattendo nel nostro paese una lotta per la sua liberazione dal fascismo e dall'occupante nazista, e per il suo riscatto. Non è concepibile che giudici della Repubblica, che trae la propria legittimazione e la propria esistenza proprio da quella lotta e da quell'esperienza, si esprimano in questi termini. Ed anche

qui, noi intendiamo conoscere il giudizio politico che il governo dà di questo passo della motivazione e le iniziative che eventualmente, di fronte alla gravità di queste affermazioni, ritenga di assumere.

Mi avvio rapidamente a concludere. Nell'emettere la propria ordi

nanza, il Tribunale militare territoriale di Bari ha ordinato l'interna mento per cinque anni, nello stabilimento militare in cui attualmente si trova, del criminale nazista Walter Reder; dopo questi cinque anni, a norma dell'art. 177 cod. pen., la pena potrà essere estinta. Ed ha

aggiunto che è facoltà del governo adottare provvedimenti in favore del condannato anche prima della scadenza del termine.

Credo che il problema non sia di chiedere al governo soltanto un

giudizio politico, come ho fatto in relazione alle precedenti afferma

zioni, ma un impegno preciso; l'impegno cioè, di fronte ad un atto dell'autorità militare che ha suscitato sdegno e condanna in tutte le

forze democratiche del nostro paese, a non usare alcuna discrezio nalità volta ad abbreviare quel periodo di internamento che, quanto meno, il criminale Reder dovrà ancora trascorrere nello stabilimento

carcerario.

Credo che nel momento grave che il nostro paese sta attraversando, un momento in cui come non mai vi è bisogno di pulizia e di chia

rezza, occorra ritrovare intorno alle istituzioni della Repubblica e

agli ideali della Resistenza il senso di un impegno significativo di

tutte le forze democratiche, ed un impegno particolare da parte del

governo. Presidente. L'on. Mellini ha facoltà di svolgere la sua interpellanza

e l'interpellanza Boato, di cui è confirmatario.

Mellini. Signor presidente, colleghi, signor rappresentante del go verno, sembra che nel nostro paese vi siano espressioni del potere che, anche di fronte ai dati più drammatici, più tragici della nostra

vita, della nostra storia, del nostro passato come del nostro presente,

non riescono ad uscire dall'approssimazione e dal grottesco; e questa,

purtroppo, è stata nel nostro paese persino la storia dei criminali di

guerra, di quei pochi criminali di guerra che nel nostro paese hanno

pagato per i loro crimini, per i delitti che eufemisticamente il codice

penale militare chiama « delitti contro gli usi di guerra », e che sono

poi i delitti contro l'umanità, commessi nell'ambito di quell'orrendo crimine contro l'umanità che è la guerra, che rappresenta sempre un

crimine contro l'umanità.

Ricordo ancora l'impressione suscitata in quest'aula quando si ebbe

notizia che il Tribunale militare territoriale di Roma aveva concesso

la liberazione condizionale di Kappler. Venne qui il presidente An

dreotti, e in sua presenza il sottosegretario per la difesa dichiarò che

il governo avrebbe fatto quanto era necessario perché quella decisione

non avesse corso. In realtà, si mentiva sapendo di mentire, perché

Kappler era libero, in quanto era stata disposta la sospensione della

pena, era stato emesso ordine di scarcerazione; cosa che venimmo a

sapere soltanto un bel giorno, in cui si venne a dire che era evaso

(e non era vero, perché se ne poteva andare in taxi, come era suo

diritto). Si era simulata la sua detenzione ignobilmente facendola pas

sare come la detenzione di un prigioniero di guerra, cosa assurda in

un paese che è in pace, per cui sarebbe stato un crimine detenerlo.

Vi era la simulazione di reato, cioè la simulazione di un sequestro di persona, perché questa è la realtà del caso Kappler, cui segui quel l'altra simulazione, che erano le dimissioni del ministro (o meglio il

cambio di un ministero con due, anche se di breve durata, ma que

sto non in funzione dei criminali di guerra, bensì per questioni di

« correnti » di partito).

Oggi, nei confronti dell'altro criminale di guerra, di Walter Reder,

viene emesso un provvedimento di liberazione condizionale, e que

sa volta non vi è stata impugnazione; ma esso ha fatto seguito a

quel minuetto ricordato qui dal collega Ricci; ecco perché dicevo

che non si riesce nemmeno ad affrontare i problemi tragici e dram

matici della nostra storia con quella dignità e con quella serietà per

cui si può errare, si può essere troppo duri o troppo indulgenti, ma

qui si riesce ad essere indulgenti senza essere generosi.

Quando si discusse in quest'aula della presunta liberazione di

Kappler, dissi che non mi scandalizzavo, diversamente da altri colle

ghi, perché un criminale di quella fatta veniva liberato dall'ergastolo,

perché dopo più di trent'anni di espiazione della pena — quando tut

te le cellule di un organismo sono cambiate — credo non si abbia

il diritto di scandalizzarsi se taluno viene rimesso in libertà.

Sono convinto peraltro che, di fronte alla liberazione dall'ergasto

lo di Reder, quanti l'accettano, l'approvano, la eseguono, debbono

dare atto che occorre immediatamente abolire la pena dell'ergastolo,

perché tutti gli ergastolani italiani insieme non hanno ucciso tante

persone quante ne ha uccise Walter Reder.

ciare le truppe tedesche dal sacro suolo della patria » e per fru

strare, comunque e dovunque, l'attività bellica del nemico inva

sore, in ottemperanza anche all'ordine ricevuto, avente natura

tattica, ed amanato nello stesso mese di giugno dal maresciallo

Pietro Badoglio (« Aggredite comandi e piccoli centri militari;

uccidete i tedeschi alle spalle, per poter sottrarvi alla reazione e

ucciderne altri! »).

Di conseguenza, credo che, accettando questo dato di fatto, si ac cetta quella liberazione dall'ergastolo per cui vogliamo un referendum

abrogativo. Quindi non ci scandalizziamo per il merito del provvedi mento.

Non possiamo non rilevare, però, che si è giunti nella manie ra più tortuosa, meno nobile, senza saper essere generosi, senza sa

per essere giusti. Vi si è giunti adottando un provvedimento ab

norme e, nel momento in cui si concede la liberazione condizionale, lo si fa a condizione che il cosiddetto liberato rimanga in carcere.

Questa è una proposizione di un'assurdità tale che non ha bisogno di

dimostrazione.

Reder resta in carcere adottando una strana misura di sicurezza; ma Reder aveva lo stato di prigioniero di guerra, anche se non era

prigioniero di guerra dell'Italia, ma eravamo obbligati dalle leggi in

ternazionali a trattarlo come tale. Io ebbi un carteggio con il presi dente Andreotti e una polemica su questo punto, quando si volle so

stenere che si aveva il diritto di trattenere Kappler (falsamente) a

titolo di prigioniero di guerra.

Questa volta non lo si dice, ma si afferma qualche cosa che impli citamente comprende questa proposizione; perché, in base all'art. 119

della convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, cessato lo

stato di guerra, si ha il diritto di trattenere il prigioniero di guerra che sia stato condannato per delitti o crimini, fino all'espiazione della

pena. Non si parla di misure di sicurezza e il codice penale militare di guerra, nell'accennare alla conversione delle pene e comunque al

passaggio di stato al momento in cui cessano le ostilità, dice che i

prigionieri di guerra che siano detenuti continuano ad esseré trattati

secondo le convenzioni internazionali, che non prevedono appunto l'adozione di misure di sicurezza.

Devo dire che vi era qualche inesattezza nella nostra interpellanza,

presentata sulla base delle prime notizie di stampa; poi, infatti, ab

biamo saputo che la detenzione era la condizione prevista dall'art. 230 cod. pen., e che si riferiva addirittura alla necessità di sal

vaguardare Reder. Non ripeterò, a questo proposito, le considera

zioni esposte dal collega Ricci; mi limiterò a sottolineare l'assurdità

della motivazione di ordine pubblico, anche perché chi conosce il Tri

bunale militare di Bari sa che si trova in una strada normale, men

tre quello di La Spezia è una specie di bunker all'interno dell'arsenale, dove sarebbe quindi difficile qualunque manifestazione di dissenso e

è certo il posto meno adatto per sollevare tumulti. Forse si temeva

che usassimo nei confronti di Reder lo stesso metro usato per gli obiettori di coscienza, per i quali il Tribunale di La Spezia per molto tempo usò, per cosi dire, una tariffa doppia.

Tornando sull'argomento, dirò che il presupposto era di dover es

sere trattenuto in Italia e quindi sempre quello del prigioniero di

guerra, e che il potere cui fa cenno il Tribunale militare di Bari è

del ministro della giustizia e non del ministro della difesa. È, quindi, il sottosegretario per la giustizia e non quello per la difesa che dovreb

be fornire una risposta a quella richiesta che, da punti di vista op

posti, noi e i colleghi comunisti avanziamo circa il permanere di

quella condizione di internamento.

Nel codice penale militare è prevista la possibilità che anche prima dello spirare del termine siano fatte cessare le misure di sicurezza, ma,

ripeto, nei confronti del prigioniero di guerra, nei confronti del quale

o si ammette che si ha diritto di ritenerlo in quanto prigioniero di

guerra, come avete detto falsamente per Kappler, o altrimenti la storia

della misura di sicurezza non si applicherebbe perché in base all'art.

119 della convenzione di Ginevra, essendoci stato consegnato come

prigioniero di guerra, allo scadere dell'espiazione della pena o del

provvedimento con cui è cessata l'espiazione della pena deve essere

riconsegnato al suo paese. Se esiste un qualsiasi elemento — e dall'analisi, anche giuridica, fin

qui condotta mi pare di si — per cui Reder debba rimanere nel no

stro paese in questa condizione assurda del liberato a condizione che

resti recluso (e in questo è insita una considerazione della sua posi

zione di prigioniero di guerra o comunque interviene questa sua po

sizione in ordine a quello che deve essere il suo status), la nostra

valutazione è che per questo relitto umano gli anni passati tra le

mura del carcere sono sufficienti, perché non crediamo che per nessun

crimine, compresi quelli contro l'umanità, sia necessaria la pena per

petua. Sia, dunque, rimandato immediatamente al suo paese. Non ab

biamo bisogno di prigionieri di guerra. Non abbiamo bisogno di mi

sure di sicurezza, anche perché esse dovrebbero consistere nel tenere

la persona lontano dall'ambiente criminogeno; e, quindi, Reder va te

nuto lontano dall'ambiente militare. Mandatelo in convento, mandatelo

dove vi pare, ma non tenetelo fra i militari, nell'ambiente criminogeno

in cui è nata la sua criminalità, che è espressione — con tutto il ri

spetto dovuto alle persone — istituzionalmente di un dato di aggressi

vità e di omicidio, che è lo stesso di quello di Kappler e di quello di

Reder. Mandatelo in un'altra parte, in un ambiente lontano dall'am

biente criminogeno. Perché si ha bisogno che per altri cinque anni

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PARTE SECONDA

Nel periodo 17 agosto 1944- 1° novembre 1944, in varie lo

calità italiane, comprese fra i territori della provincia di Massa

Carrara e della provincia di Bologna, le truppe tedesche, operanti in quelle zone e agendo talora con crudeltà inumana verso le

vittime, provocando pure incendi e distruzioni nei centri abitati, trucidavano circa tremila (3.000) civili, in genere abitanti di quei

rimanga tra quelle sinistre, ignobili mura del carcere di Gaeta? Per esorcizzare gli orrori di quella guerra? Collega Ricci, purtroppo la guerra è sempre orrore, ignominia, omicidio. E, certo, quei fatti si sono imposti a tutti come ignominia, orrore ed omicidio. Creto, dob biamo tener conto di questo fatto, che si è imposto a tutti: la guerra è sempre ignominia, omicidio. E perché abbiamo bisogno di questa larva umana tra le mura di quel carcere? Per esorcizzare i fantasmi della guerra — che, purtroppo, non sono fantasmi —, per esorcizzare i fantasmi che sono anche dentro di noi, per esorcizzare anche la no stra violenza. Ma allora, se volete farlo, liberate gli obiettori di co

scienza, diminuite le spese militari, producete gesti autentici di pace, e vada questa larva umana, vada quest'ultimo prigioniero di guerra, se ne torni via, lontano dal luogo, certo, dei suoi delitti. Non ne ab biamo bisogno! Credo che il significato profondo e vero, quale che sia stato lo sgomento del messaggio del popolo di Marzabotto, le conse

guenze ultime sono queste: via, via questi ricordi della guerra, ma via da dentro di noi, via dai nostri comportamenti! Questo è quello che noi dobbiamo alle vittime della guerra, questo è quell'atto di

giustizia che dobbiamo compiere con generosità, e senza quelle vol

garità e quelle tortuosità che sono state compiute. Sappiamo essere

generosi al di là, certo, anche della giustizia, ma comunque compien do un gesto che sia il segno di una civiltà giuridica e soprattutto del rifiuto della guerra e della violenza (Applausi dei deputati del gruppo radicale).

Presidente. L'onorevole sottosegretario per la difesa ha facoltà di

rispondere anche alla seguente interrogazione non iscritta all'ordine del giorno, concernente lo stesso argomento:

Bianco (et coeteri), al presidente del consiglio dei ministri e ai ministri della difesa e di grazia e giustizia, per conoscere:

il giudizio del governo sulla « vicenda » del maggiore delle SS Walter

Reder, dopo la decisione del Tribunale militare di Bari di concedere la libertà condizionale, con la inflizione della misura di 5 anni di in ternamento nel penitenziario militare di Gaeta.

Bandiera, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor presidente, onorevoli colleghi, rispondo anche a nome del presidente del consi

glio dei ministri, dei ministri di grazia e giustizia e degli affari esteri. Con ordinanza del 2 marzo 1979 il Tribunale militare territoriale

di La Spezia respingeva l'istanza inoltrata da Walter Reder per l'am missione alla liberazione condizionale. Tale ordinanza veniva succes sivamente annullata per violazione di legge e difetto di motivazione dal Tribunale supremo militare, con sentenza del 30 ottobre 1979, con rinvio, per nuovo esame, allo stesso Tribunale militare di La

Spezia con diversa composizione, come ci ha ricordato illustrando la sua interpellanza l'on. Ricci.

Con successivo provvedimento del 29 aprile 1980, il Tribunale su

premo militare ordinava che, per motivi di ordine pubblico, ai sensi dell'art. 285 cod. pen. mil. pace, gli atti relativi all'istanza di libera zione condizionale, già inviati al Tribunale militare territoriale di La

Spezia, fossero rimessi al Tribunale militare territoriale di Bari. Con l'ordinanza del 14 luglio 1980, il Tribunale territoriale di Bari

ha ammesso il Reder alla liberazione condizionale e lo ha conside ralo « tuttora prigioniero di guerra ».

Viene infatti detto nel dispositivo che il Reder, « appartenente alle forze armate tedesche, nella sua qualità di prigioniero di guerra non restituito al termine delle ostilità e ritenuto in espiazione di pena alla data dell'avvenuta cessazione dello stato di guerra », deve essere trat

tenuto, come internato, in apposito stabilimento, « sino a quando, de corso favorevolmente il periodo di esperimento (5 anni), rimarrà estinta la pena a lui inflitta, restando salva la possibilità, da parte dell'auto rità governativa, di adottare provvedimenti in favore dello stesso pri gioniero di guerra, ancora prima che intervenga l'estinzione della

pena ».

Ciò premesso, è da rilevare quanto segue. Primo. Non si è in grado di esprimere giudizi politici, morali e

logici su provvedimenti di natura puramente procedurale, quale quello di remissione del giudizio relativo alla liberazione condizionale del Reder al Tribunale di Bari, atteso che non vi sono elementi per rite nere che tale provvedimento abbia avuto alla base motivazioni reali diverse da quelle apparenti.

Secondo. In merito all'ordinanza — e con ciò rispondo all'inter

rogazione dell'on. Trombadori — con la quale il Tribunale di Bari ha concesso la liberazione condizionale al Reder, il ministro della difesa — nell'esercizio della sua libertà di giudizio, e pur nel ri

spetto dovuto ad un provvedimento dell'autorità giudiziaria — con divide le perplessità e le preoccupazioni insorte nell'opinione pub blica e tra gli operatori del diritto sulla validità delle argomentazioni addotte nell'ordinanza stessa a proposito della citata dichiarazione del

Reder, obiettivamente gravissima. Terzo. Tali perplessità e preoccupazioni — e mi riferisco ancora

all'interrogazione dell'on. Trombadori — non sembra tuttavia possano superare i limiti della validità tecnico-giuridica della motivazione del

provvedimento, per investire la correttezza dei giudici. Ciò soprat tutto in relazione all'interpretazione data da questi ultimi ad una

luoghi e in piccola parte già detenuti nelle carceri di Massa, fra

cui molti vecchi, donne e bambini: per tali uccisioni e per le

distruzioni e gli incendi, il maggiore Walter Reder, fatto prigio niero di guerra (era stato catturato dalle forze armate alleate nel

settembre 1945) e, successivamente, detenuto, prima, nel 1947, dalle forze armate britanniche (rilasciato libero da queste per

dichiarazione resa dal maggiore Reder al giudice militare di sorve glianza nel luglio 1978. La dichiarazione sarebbe del seguente te nore: «... proibendo alle truppe di fare rappresaglia contro la po polazione civile inerme come ritorsione per atti vili di civili armati ». In proposito il tribunale militare giunge a concludere che la frase suddetta « non ha quel preciso significato di condanna della Resistenza attribuito dal primo giudice » e significa unicamente che il deteneuto non eseguirebbe più — « a costo della sua vita » — gli ordini ri cevuti e proibirebbe qualsiasi rappresaglia contro la popolazione ci vile inerme, anche se ordinata come ritorsione.

L'ordinanza del Tribunale militare territoriale di Bari si sofferma

anche, con alcune interpretazioni di diritto internazionale bellico, sul la qualificazione giuridica da attribuire ai partigiani in tempo di guer ra e sulla liceità delle azioni da essi compiute. Anche questi argo menti sembrano utilizzati dai giudici di Bari al fine di escludere nel Reder la volontà di giustificare gli orrendi crimini commessi e di

vilipendere le forze della Resistenza. Gli stessi giudici si pronunciano definendo i partigiani italiani come coloro « che parteciparono attiva mente ed eroicamente alla guerra di liberazione e che esaltarono, con il loro eroismo e talora, o anche spesso, con il sacrificio della loro

vita, i valori, ormai imperituri, della Resistenza ».

Questa « non partecipazione » dei giudici di Bari a quanto, riferen dosi alle azioni partigiane, ha comunque dichiarato il Reder sembra confermata da altra frase contenuta nella motivazione dell'ordinanza

(« ... col riaffermare ed esaltare ognora gli alti valori storici e morali della Resistenza ... ») e pertanto si può ritenere che l'estensore e i

componenti del collegio giudicante non abbiano inteso attaccare, e tanto meno vilipendere, la Resistenza, la quale anzi è, in più parti nel testo dell'ordinanza, esplicitamente esaltata.

Quarto. All'attribuzione al Reder dello status di prigioniero di guer ra e alla determinazione dell'internamento, il Tribunale militare di Bari è giunto attraverso una serie di argomentazioni giuridiche e su tale decisione, ormai definitiva, nessun intervento è consentito all'ese cutivo. Questa è la risposta che si deve all'interpellanza dell'on. Mellini.

Dallo status suddetto consegue il trattamento attuale del Reder, che è appunto quello riservato dalle convenzioni internazionali, richiamate

nell'ordinanza, ai prigionieri di guerra. Specifiche disposizioni sui li miti di domicilio, di orario, di mobilità, ecc. saranno impartite al più presto, e sempre in conformità alle accennate convenzioni.

Quinto. 11 problema dell'eventuale « anticipata liberazione » del Re dere è, sempre sulla base dell'ordinanza dei giudici di Bari, di compe tenza del governo e potrà essere affrontato, in sede di consiglio dei

ministri, solo e se quando, nelle dovute forme, sarà posto. Comun

que, il ministro della difesa è contrario a qualsivoglia ulteriore forma di clemenza nei confronti di colui che la Resistenza italiana ri corderà sempre come il boia di Marzabotto.

Presidente. L'on. Trombadori ha facoltà di dichiarare se sia sod disfatto per l'interpellanza Ricci, di cui è confirmatario nonché per le sue interrogazioni.

Trombadori. Gli interpellanti e gli interroganti del gruppo del par tito comunista italiano si dichiarano insoddisfatti.

Personalmente, in parte ce ne dispiaciamo, perché il sentimento

personale del ministro che ha firmato le risposte alle nostre interpel lanze e interrogazioni, il ministro Lagorio (il primo ministro della di fesa appartenente, nella storia del nostro paese, al partito socialista ita

liano), è un sentimento chiaramente democratico e antifascista. E

questo sentimento traspare dalle risposte testé date ma non si tra

duce, purtroppo, nelle determinazioni e nelle conseguenze politiche e

disciplinari a nostro avviso necessarie.

In primo luogo, in queste risposte non vi è, non dico una condanna chiara dei motivi del trasferimento del processo dal Tribunale mi litare di La spezia a quello di Bari, ma almeno un giudizio politico obiettivo e severo.

Anzi, in luogo di questo giudizio politico obiettivo e severo, vi è l'affermazione che non si ha ragione di ritenere che i motivi di cri tica contenuti nelle nostre interpellanze e interrogazioni possano es sere accolti.

Devo invece confermare, a nome del gruppo comunista, che il trasfe rimento del processo dal Tribunale di La Spezia a quello di iBari con tinua a suonare, per il modo in cui si è svolto, strumentalmente pre determinato al verdetto di cessazione della pena per il criminale na zista. Se pressione, quindi, sui giudici c'è stata, essa non è venuta, come si dice con termine spregiativo, dalla piazza, ma esattamente da chi si ha ragione di ritenere che abbia non dico tramato, ma al meno manovrato in sede politica per il trasferimento del processo, con la mira di un obiettivo da raggiungere comunque!

Veda, onorevole sottosegretario, noi comunisti non siamo pregiudi zialmente contrari al principio della clemenza: siamo anzi per con vinzione favorevoli a questo principio, ma un conto è la clemenza concessa da chi vive attivamente ed in ogni campo della vita dello Stato come erede — e tale si sente — della tradizione e dei valori tramandati dai martiri, ed un conto è la clemenza concessa non dico

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GIURISPRUDENZA PENALE

cinque giorni sulla parola, si ripresentò puntualmente, dimostran do cosi di non volersi sottrarre alle sue responsabilità e di te nere nel massimo conto le regole dell'onore militare) e, quindi, nel carcere giudiziario militare di Bologna dal giorno 13 mag gio 1948, a disposizione dell'autorità giudiziaria militare italiana, — pur se egli, come risulta dalla motivazione della sentenza di

per complicità o simpatia (me ne guardo bene), ma certo per qual cosa che appare almeno come indifferenza ai motivi della condanna Ccommenti del deputato Mellini)-, indifferenza per i criminali nazisti e la loro natura, crimini non paragonabili nella storia dell'uomo ad al cun altro crimine commesso pur con efferata ferocia dall'uomo con tro l'uomo, crimini contro l'umanità che tali rimangono anche se commessi da un ufficiale in servizio, per ordine di un ufficiale su periore!

11 punto di traguardo ottenuto dalla lotta contro il nazismo ed il fa scismo, sancito nello spirito di Norimberga, è che a quegli ordini mai si possa più addivenire, in modo disciplinare, come obbedienti. Tutta la clemenza, tutta l'argomentazione per l'operazione di clemenza rea lizzata dal Tribunale di Bari, gira invece intorno al fatto che, benché

pentito proprio su questo punto e benché pentito per sua dichiara zione, con l'impegno che, ritrovandosi in quelle circostanze, mai più in tal modo si comporterebbe, Reder viene ancora considerato come un uomo che tuttavia si piegò ad un ordine superiore. Questo tipo di indifferenza non suona bene, non è all'altezza dello spirito delle nostre leggi, della Costituzione repubblicana, dell'eredità del marti rio della Resistenza! Per questo una clemenza concessa in quest'or dine, suona per noi come qualcosa da considerare in modo negativo.

In secondo luogo, interroganti ed interpellanti del partito comu nista si dichiarano insoddisfatti perché con le sue risposte il go verno accetta, o perlomeno non respinge, l'impostazione politica delle nostre interpellanze ed interrogazioni, vale a dire la distinzione nella

persona dei militari componenti il Tribunale militare di Bari fra ma

gistrati (il cui giudizio è insindacabile dall'esecutivo) ed ufficiali su

periori delle forze armate (pur sempre vincolati, in ogni loro espres sione, alla piena fedeltà ai valori della Costituzione e quindi agli idea li della Resistenza e della guerra di liberazione nazionale).

Se la risposta del governo su questo punto fosse stata che è netta

opinione del governo non essere incorsi i componenti del Tribunale militare di Bari in alcun vilipendio delle forze armate della liberazione e quindi nella trasgressione della legge che lo configura, il rifiuto del

governo alla nostra richiesta di procedere ad inchiesta disciplinare, sarebbe stato almeno privo di contraddizioni formali; ma la risposta del governo non è cosi' netta. Vi traspare appunto, come ho detto, il sentimento personale del ministro e di altri membri del governo (può darsi), rimasto quasi a metà. In sostanza, il governo è in dub bio e le parole le ha pronunciate poco fa l'onorevole Bandiera: non posso che ripeterle. « Si può ritenere che l'estensore ed i compo nenti il collegio giudicante non abbiano inteso attaccare e tanto meno vilipendere la Resistenza». Si può, dunque: perché non «si ritie ne »? Ancora: « Condivide il governo le perplessità e le preoccupa zioni insorte nell'opinione pubblica e tra gli operatori del diritto sul la validità delle argomentazioni addotte, a proposito della citata di chiarazione del Reder, obiettivamente gravissima ». Il governo condi vide queste perplessità, perché non le respinge, elimando cosi ogni dubbio di contraddizione formale nella sua risposta? Anche se allo stato di dubbio, queste affermazioni del governo avrebbero dovuto, a nostro avviso, produrre un altro atteggiamento nei confronti dei due ufficiali superiori di Bari nonostante il loro ricorso, citato dall'on. Ban diera, ad altre affermazioni che suonano di rispetto e persino di os sequio ai valori della Resistenza.

La questione è di valore generale, tocca il grande tema delle forze armate repubblicane, soprattutto delle scuole e delle accademie mili tari come palestra primaria dello spirito democratico ed antifascista e non solo e non tanto come conquista di più elevati livelli di con sapevole disciplina, quanto come radicamento irreversibile degli ideali di giustizia e di libertà della guerra di liberazione nazionale e della Costituzione repubblicana. On. Bandiera, vi è diffusa ed orgogliosa coscienza, in tutti i livelli di inquadramento delle forze armate della

Repubblica, del fatto che senza quella guerra di liberazione e senza la Resistenza antifascista e antinazista l'onore e la dignità delle stesse forze armate d'Italia, insanguinati ed infangati, questo onore e que sta dignità, dalle aggressione fasciste, non sarebbero stati rimessi in

auge? Vi è diffusa ed orgogliosa coscienza del fatto che la Resistenza fu, an

che militarmente parlando, una svolta rinnovatrice sulla cui irrever sibilità e sui cui sviluppi le forze armate sono chiamate a vigilare? Vi sono nelle scuole militari, nelle accademie, nelle caserme italiane i doverosi e giusti richiami alla storia del sangue versato in guerra dal

popolo italiano con, on. Bandiera finalmente, l'indicazione chia

ra di ciò che fu giusto chiedere al popolo come sacrificio della vita in guerra e ciò che giusto non fu nelle guerre ingiuste.

Il presidente della Repubblica è reduce da un viaggio in Grecia. Nessun presidente della Repubblica o membro del governo, da 40 anni a questa parte, si era recato sui luoghi dove avvenne la "strage im mane di Cefalonia. Proprio in nome della guerra di Grecia si può adottare il criterio di educazione ai valori della Resistenza: da una

parte l'amaro e disperato sacrificio di sangue del popolo italiano, sca

gliato a combattere nella guerra ingiusta di aggressione alla Grecia,

condanna, pronunciata nei suoi confronti, non aveva partecipa to, di persona, a nessuno degli eccidi perpetrati e a lui attri buiti — veniva rinviato al giudizio avanti al tribunale militare territoriale del luogo, in stato di custodia preventiva, per rispon dere degli « atti illeciti di guerra » compiuti, per cause non estra nee alla guerra, dalle truppe tedesche operanti ai suoi ordini e,

dall'altro il riscatto consapevole di un primo atto di ribellione al ne mico fascista e nazista. Vi è traccia di questo nell'educazione, nell'in segnamento, nello spirito, nelle aule delle scuole militari, nelle acca demie, nelle caserme italiane? Ne ho soverchio e fondato dubbio, e la sentenza del Tribunale di Bari, non per la sua clemenza, lo ripeto, che è questione opinabile, ma per il suo contenuto e per taluni passi del suo dispositivo, conferma questo mio dubbio.

In ogni caso un modo per fugare ogni dubbio ed ogni legittima preoccupazione in proposito — dico legittima, on. Bandiera — soprat tutto alle notizie infamanti che ci giungono in questi giorni in ordine ad alti ufficiali delle forze armate italiane, è anche quello di non la sciar passare senza critica e senza punizione nulla di ciò che possa, an che soltanto, far temere che nelle forze armate abbiano credito, o non suscitino il dovuto sdegno, affermazioni come quelle che i giudici di Bari hanno trascritto in modo non chiaro, dalla bocca del « boia di Marzabotto » e che purtroppo, è vero signor presidente, anche in que st'aula talvolta, da altre bocche ed in altre occasioni, abbiamo sen tito risonare.

Pres. L'on. Mellini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la sua interpellanza e per l'interpellanza Boato, di cui è cofirmatario.

Mellini. Signor presidente, se il collega Trombadori cortesemente me lo consente, vorrei dargli un chiarimento: gli estensori della sen tenza non sono militari, perché si tratta di un magistrato militare che ha lo status di impiegato civile dello Stato, anche se chiaramente inse rito nel tessuto militare ed espressione di un tribunale che ha carat teristiche militari.

Signor sottosegretario, a lei debbo dire che problemi di indipendenza della magistratura è meglio non evocarli quando si tratta di tribunali militari. Un alto magistrato militare ha detto che è un meccanismo sconcertante quello della magistratura militare, proprio in relazione al la sua indipendenza. Gli ufficiali superiori che ne fanno parte dipen dono gerarchicamente dal presidente; i magistrati, compreso quello giudicante ed estensore, dipendono gerarchicamente dal procuratore militare; quest'ultimo dal procuratore generale militare il quale a sua volta dipende gerarchicamente dal ministro di grazia e giustizia. Quindi lasciamo da parte l'indipendenza che è un eufemismo in que sto campo e teniamo presenti queste cose quando, come in questi giorni, sentiamo dire che uno scandalo nazionale che vede coinvolta la classe politica, come quello del SID, sarebbe attribuito alla giuris dizione di questa parodia di tribunale che è il tribunale militare. Non ci dobbiamo soltanto dolere per le pur gravissime espressioni verbali che denotano stati d'animo, ma anche per certi comportamenti che fanno parte della storia dei nostri tribunali. Non c'è bisogno di evo care qui la disponibilità al potere che hanno dimostrato i giudici militari anche dopo la guerra come, per esempio nel famoso processo per la mancata difesa di Roma nel quale riuscirono ad assolvere tutti i generali codardi che si accusavano tra di loro; riuscirono ad assol verli tutti con formula ampia per non aver commesso il fatto, per ché il fatto non sussisteva e per altre storie dì questo genere, attin gendo poi alla suprema carica della magistratura dopo aver scritto

quella sentenza. Quindi lasciamo da parte l'indipendenza della ma

gistratura!

Voglio ora sottolineare il punto centrale della mia interpellanza; la

risposta del sottosegretario ha aggravato le preoccupazioni che ave vamo espresso. Egli non ha voluto chiaramente sottolineare, ma ha dato per implicito che la condizione di prigioniero di guerra non è soltanto il privilegio del prigioniero di guerra detenuto o la salva guardia di quest'ultimo come prescritto dalla convenzione di Gine vra, ma è anche il presupposto — come ha sostenuto e come mi sem bra che il sottosegretario, anche se in maniera non molto chiara, ab bia dato per ammesso — del fatto che la detenzione non detenzione, la condizione di detenuto imposta come condizione per la liberazione nei confronti di Reder è legata a questo status di prigioniero di

guerra. Si è precisato che il potere esecutivo potrà (come stabilisce il codice

penale militare, nell'art. 74), nella persona del ministro di grazia e

giustizia, in qualsiasi momento liberare e far venir meno le cosid dette « misure di sicurezza » (che in questo caso si identificano con lo stato di detenzione) del detenuto militare, quale è oggi Reder.

Ebbene, soprattutto di fronte alla vostra affermazione ed al vostro sia pure implicito riconoscimento che Reder si trova qui perché è pri

gioniero di guerra, noi vi ripetiamo: mandatelo immediatamente nel

suo paese! È uno sconcio e uno scandalo che vi sia un prigioniero di guerra! Ciò è più grave delllo scandalo della tortuosità e dell'ipo crisia del provvedimento che lo ha liberato dalla condizione di erga

stolano. Torniamo a dire che ci fa piacere che da parte dei colleghi comunisti, pur nello sdegno più accentuato, forse per l'ipotesi di una

sua liberazione, tuttavia si sia sottolineato che non è la clemenza — non è questo il punto, collega Ricci, mi compiaccio di questa af

fermazione, della quale del resto non dubitavo ■— che può far velo.

Noi aggiungiamo di ritenere che questa simbolica abrogazione, que sto fatto che dovrebbe essere il prodromo dell'abrogazione della pena

dell'ergastolo non ci scandalizza affatto, ma vogliamo che siano trat

Il Foro Italiano — 1981 — Parte li- 5.

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Page 8: ordinanza 14 luglio 1980; Pres. Montefrancesco, Est. Raneri; ric. Reder

PARTE SECONDA

riconosciuto responsabile del reato continuato di « violenza con omicidio contro privati cittadini italiani » e del reato continuato di «incendi e distruzioni in paese nemico», per la uccisione di circa seicento (600) persone e per i concomitanti incendi e distru zioni dei centri abitati, commessi in Bardine di San Terenzio, frazione di Fivizzano, in Valla di Fivizzano, in Vinca di Fivizza

no, in Gragnola, in Monzone, in Ponte Santa Lucia, in Marza

botto — limitatamente, però, alle azioni compiute nelle frazioni di Casaglia, di Carpiane, di Caprara e di San Giovanni di Sopra e di Sotto — in Cà di Bavellino e in Casoni di Riomoneta, ve

niva condannato, con sentenza del 31 ottobre 1951, divenuta irre

te le conseguenze dall'ipocrisia che, dopo quella della motivazione, fa oggi schermo al provvedimento, che avrebbe potuto essere preso co me atto di generosità o di clemenza autentica e non questa semideten zione, condizionata ad uno status che ci fa orrore, perché finché ci sono prigionieri di guerra significa che si riconosce che questo stato di guerra, questa condizione di guerra permane. Respingiamola da noi, respingiamo — torno a dirlo — i fantasmi della guerra, respingiamo i fantasmi degli assassini, delle stragi, degli orrori, delle devastazioni in altro modo. Ed auguriamoci che quel carcere di Gaeta sia presto chiuso non soltanto dietro le spalle di Reder, mandato fuori e lontano dal nostro paese, ma anche dietro le spalle di detenuti che li vivono in condizioni inumane. Auguriamoci che questo problema dei tribunali militari, della cosiddetta giustizia militare sia affrontato seriamente e definitivamente e che non si debba assistere allo scandalo di scandali nazionali attribuiti a questi giudici.

Presidente. L'on. Da Prato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto

per l'interrogazione Gualandi, di cui è cofirmatario. Da Prato. Signor presidente, non posso dichiararmi soddisfatto del

la mancata risposta: in realtà il governo non ha risposto a questa no stra interrogazione che — ricordo — è precedente alla sentenza del Tribunale militare di Bari. E credo vi sia una spiegazione: se vi fosse stata una risposta, il governo avrebbe dovuto confessare di avere di mostrato completa insensibilità rispetto alle preoccupazioni che ven nero manifestate dagli interroganti che — ricordo — sono tutti rap presentanti eletti in luoghi nei quali si scatenò la furia assassina dei nazisti guidati da Reder. Parlo di Marzabotto, di Vinca, di Bardine San Terenzio, del Frigido, di Sant'Anna di Versilia, medaglia d'oro della Resistenza.

La preoccupazione dei firmatari, signor presidente, signor rappresen tante del governo, nasceva dalla grave sentenza del Tribunale mili tare supremo, che annullava, come è noto, l'ordinanza del Tribunale militare di La Spezia, con la quale veniva respinta per la seconda volta la richiesta di libertà condizionale dell'ex maggiore delle SS Walter Reder e che tante preoccupazioni aveva suscitate nei familiari delle vittime innocenti di tanta ferocia, nei superstiti, nelle popola zioni di queste zone e, credo, in tutto il paese. Tali preoccupazioni — è bene ripeterlo, lo abbiamo già detto tante volte — nascevano non come manifestazione di odio o di volontà di vendetta, ma come riaf fermazione dei valori permanenti della libertà e della vita; valori che sono stati alla base della Resistenza e che sono fondamento della nostra Repubblica.

Il governo non accolse questa preoccupazione e lo dimostra — io credo — il fatto che oggi risponde o meglio non risponde a questa nostra interrogazione; non ascoltò la voce che si era levata dalle po polazioni e dalle loro organizzazioni democratiche, dalle essemblee

elettive, che era una voce di preoccupazione per quanto questa sen tenza di annullamento poteva rappresentare, per quanto poteva aprire nelle prospettive future. I fatti, signor presidente, purtroppo si sono incaricati di dare ragione a coloro che si erano dimostrati cosi pro fondamente turbati e preoccupati per la sentenza di annullamento del Tribunale militare di La Spezia.

Debbo dire che, anche alla luce delle dichiarazioni contenute nella sentenza di Bari (che sono dichiarazioni e motivazioni vergognose), non si sfugge all'impressione che si siano volute creare le condizioni affinché Reder vedesse accolta la richiesta di libertà condizionale e affinché si aprisse cosi' la strada alla definitiva liberazione del boia. Sarà cosi'? Ci auguriamo di no; vogliamo sperare che non sia cosi. In tanto alla preoccupazione è subentrato lo sdegno e gli occhi sono tor nati a bruciare di tante lacrime amare.

Chiediamo perciò che il governo si impegni formalmente a non fa cilitare in alcun modo la liberazione di Reder prima della scadenza dei cinque anni, a far data dal deposito della sentenza del Tribunale militare di Bari. Questo è un impegno che il governo deve assumere solennemente di fronte al Parlamento (e soltanto per questo aspetto posso dichiarare la mia soddisfazione per le cose che l'on. Bandiera ci ha detto), di fronte ai familiari delle vittime, ai superstiti, alle for ze democratiche antifasciste, a tutto il paese; ma, soprattutto, deve compiere gli atti necessari e conseguenti a questo tipo di impegno.

Presidente. L'on. Guido Bernardi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per l'interrogazione Bianco Gerardo, di cui è cofirmatario.

Bernardi Guido. Usando un linguaggio parlmentare, dovrei dire che mi dichiaro soddisfatto della risposta del governo ma, mentre uso que sta espressione, avverto tutto lo stridore del suo significato.

Nel sentire evocare la strage di Marzabotto, è difficile per me sot trarmi ad una duplice suggestione negativa. La prima è quella di aver sentito evocare pochi momenti fa dal ministro dell'interno i mor ti del terribile terremoto che ha sconquassato ieri l'Italia, morti che

vocabile il giorno 16 marzo 1954 (Foro it., Rep. 1955, voce Cir costanze di reato, nn. 303-310), alla pena complessiva dell'erga stolo, in cumulo della pena dell'ergastolo, inflitta per gli « omi cidi », e della pena di anni trenta di reclusione, inflitta per gli «incendi» e per le «distruzioni», con la concessione delle cir costanze attenuanti generiche, perché, come motivato, non poteva « ignorarsi il particolare stato d'animo in cui può essersi trovato ad agire l'imputato che ormai da tempo, con la marcia a ritroso del suo battaglione, batteva le tappe della ritirata, quando ormai doveva rendersi cento dell'inevitabilità di una immane catastrofe

poi diverranno oggetto di discussioni politiche tra gruppi e di ine sauribili pratiche burocratiche. E le pratiche, le carte, si accumule ranno sui tavoli dei vari ministeri mentre il dolore finirà col sembra re estraneo e come pietrificato. La seconda suggestione negativa è quella di una strage terribile, disumana, dalle proporzioni che an cora lacerano le nostre carni, la strage di Marzabotto, ridotta a di scussione sulla legittimità di un procedimento, di un'ordinanza dei magistrati, sul carattere civile o militare del giudice. L'aver ridotto questa tragedia storica ad una diatriba di carattere procedurale dà un senso di angoscia. Credo che il governo bene abbia fatto ad assumere l'atteggiamento del quale ha riferito il sottosegretario. È proprio perché ci rifacciamo alla Resistenza, signor presidente, che il governo, pur se nutre perplessità sulla motivazione dell'ordinanza del luglio scorso, anche se avrebbe potuto esprimere giudizi severi, come richiede l'on. Trombadori (un giudizio politico — egli dice •— obiettivo e severo sull'ordinanza ricordata), ha dovuto e deve rispet tare il deliberato di una magistratura, che è indipendente, onorevole Mellini, come credo fermamente, anche se gerarchicamente dipende ...

Mellini. Lo dice Stellacci! Bernardi Guido. L'opinione di un magistrato non è l'opinione di

tutti i magistrati, non è la fotografia di una situazione. Altrimenti dovremmo giudicare in vario modo anche la magistratura civile, a seconda del giudice che parla e che la definisce.

Mellini. Informati! Bernardi Guido. Sembra a me che lo Stato di diritto, che dovrebbe

essere nato dalla Resistenza, avverta tutte le lacerazioni di una po liticizzazione della magistratura. Ritengo che il magistrato militare, pur dipendendo gerarchicamente dai superiori, quindi dal ministro, sia autonomo nel suo giudizio. Ed il governo — come ho già detto — bene ha operato nel rispettarne l'assoluta autonomia.

Che cosa avrebbe significato, anche in questo campo, la Resisten za, se non avesse instaurato uno Stato in cui al giudice non si chiede più la tessera di un partito o la camicia di un certo colore? Abbia mo conosciuto la tristezza, la pesantezza dei tribunali speciali. Oggi vogliamo conoscere uno Stato, vogliamo vivere in uno Stato, in cui la magistratura ha la sua piena indipendenza e non possiamo distin guere, non possiamo « suddividere » il giudice, spaccandolo nelle sue varie componenti. È un giudice che, nel suo giudizio, è so vrano.

Né credo, onorevole Trombadori, che vi sia stata una manovra. Ritengo sia azzardato pensare ad una manovra politica, decisa dal l'alto, per trasferire di sede un giudizio, al fine di ottenere, a diffe renza delle prime due volte, un risultato positivo. È mia opinione che si debba essere estremamente cauti nel pensare a -queste « in frammettenze ».

Trombadori. Sia anche lei cauto nel dare risposte. E risponda al governo, non a me!

Bernardi Guido. Io ritengo che si sia di fronte ad un procedimento autonomo della magistratura, libera nel primo giudizio, altrettanto libera nel trasferimento, libera nel giudizio definitivo ...

Mellini. E libero Reder! Bernardi Guido. Ritengo che, in definitiva, il governo dovesse pro

cedere nel modo in cui ha operato. Cosi come credo, on. Trombadori, che il giudizio dubitativo che ella dà sullo spirito che anima le no stre forze armate e le sue scuole di formazione sia sostanzialmente ingiusto. Conosciamo tutti la serietà dell'impegno militare e la coe renza democratica delle scuole formative della classe militare italia na. Sappiamo che la Costituzione è ben presente, non soltanto negli scaffali delle biblioteche e delle scuole militari, ma anche nell'inse gnamento degli ufficiali, e se vi sono deviazioni, che peraltro a me non risultano, rimangono sempre eccezionali ed isolate.

Signor presidente, un'ultima osservazione. Condanniamo per l'en nesima volta quanto è avvenuto a Marzabotto e non lo facciamo per lo spirito di Norimberga, on. Trombadori. Sono d'accordo: lo spirito di Norimberga ha condannato i crimini di un'intera classe nazista, ma io andrei al di là. In fondo, Norimberga è stata un episodio storico. Se avesse vinto Hitler con la sua sciagurata guer ra, probabilmente Norimberga avrebbe visto sul banco degli imputa ti gii altri.

Ci rifacciamo ad uno spirito più profondo, al diritto naturale, che fa divieto assoluto di obbedire ad ordini obiettivamente ingiu sti. Se tutti i popoli ed i governanti si attenessero a questa legge naturale, che è nel fondo di ogni uomo, non avremmo più guerre, più delitti, più processi di Norimberga. E allora probabilmente avre mo veramente quell'uomo migliore che tutti auspichiamo, e per il quale tutti dobbiamo combattere la nostra pacifica battaglia demo cratica ...

Presidente. È cosi esaurito lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni all'ordine del giorno.

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GIURISPRUDENZA PENALE

militare e nazionale », pur se dette circostanze attenuanti gene riche, poi, venivano travolte dalla dichiarata prevalenza delle circostanze aggravanti contestate, essendo stato ritenuto pure che, nelle singole fattispecie, non ricorressero gli estremi della « rap

presaglia » e della «repressione collettiva», previste dal diritto

bellico internazionale, anche se « alcuni degli episodi costitui

vano ritorsione per attentati compiuti da partigiani italiani con

tro soldati tedeschi » e anche se, « attraverso gli innocenti, dei

quali si asseriva la solidarietà e la connivenza con i patrioti, si

voleva combattere e perseguire i protagonisti della guerra di li

berazione »; lo stesso maggiore Walter Reder, d'altra parte, con

la medesima sentenza, veniva assolto — con formula divenuta

piena per tutti i capi d'imputazione, dopo il parziale accogli mento del ricorso per annullamento, interposto dall'imputato e

dal suo difensore, da parte del Tribunale supremo militare con

la sentenza del 16 marzo 1954, che annullava senza rinvio la sen

tenza impugnata anche nella parte in cui era stata applicata erro

neamente al condannato la pena militare accessoria della « degra dazione » — dagli altri reati a lui ascritti, relativi alle « ucci

sioni » di circa duemilaquattrocento (2.400) persone, accompa

gnate sempre da « incendi » e da « distruzioni », commesse in

S. Anna di Strazzema, in S. Martino, in Colulla di Sopra e di

Sotto, in Casa Abelle, in Cà Roncadelli, nelle zone di Vinca e di

Marzabotto — diverse da quelle in cui si erano verificati gli

episodi, rispetto ai quali interveniva condanna — in Casa Bi

guzzi, in Casa Budella, in Casaglia di Marzabotto, in Casteldebole

(Bologna), in Bergiola (Carrara) e sulla sponda del fiume Frigido, in agro di Massa.

Varie istanze di grazia, presentate successivamente, ad ini

ziare dal 29 ottobre 1949, dalla madre del maggiore Reder — in

seguito deceduta — dai difensori del condannato e, ultima

mente, da una zia del predetto, regolarmente istruite con i « pa reri » espressi dal pubblico ministero competente — sempre con

trari alla concessione dell'atto di clemenza — dal giudice mili

tare di sorveglianza e dal procuratore generale militare della Re

pubblica — anch'essi sempre negativi, tranne quelli relativi alla

ultima istanza inoltrata in data 10 novembre 1969, formulati,

però, per la « commutazione della pena » e fondati significativa mente su una « valutazione di emenda » — non conseguivano l'effetto sperato. In quest'ultima occasione, il citato giudice mi

litare di sorveglianza, nel suo « parere » motivato, aveva eviden

ziato, fra l'altro, che « la condotta del Reder durante tutto il

corso della espiazione » era stata di « eccezionale esemplarità »,

come facevano fede « tutti, indistintamente, i rapporti informa

tivi acquisiti alle varie pratiche di grazia » e « anche le risul

tanze direttamente derivanti dalla osservazione», fatta personal

mente; che il condannato aveva dichiarato di « accettare la con

danna come strumento di espiazione per le colpe, riflettenti i

reati commessi», che apertamente si assumeva, affrontando, no

nostante le gravi menomazioni fisiche, « l'espiazione della pena con coraggio e serenità senza mai lagnarsene », compiendo « atti

di generosità verso detenuti bisognosi » ed esternando « la sua

riconoscenza per le agevolazioni » a lui concesse; che l'analisi

relativa al « ravvedimento » del condannato — « presupposto

inderogabile della grazia », inteso « come superamento da parte del soggetto della condizione psicologica consonante al reato com

messo, sia sotto l'aspetto intellettivo, per la valutazione negativa che egli sia in grado di esprimere riguardo al fatto compiuto in

violazione dell'ordine giuridico, sia per quanto attiene al senti

mento e cioè alla sua capacità di partecipazione al dolore provo cato dalla condotta criminosa » — riferita ai dati allora disponi bili, indicava che egli « riprovava con convinzione i fatti per i

quali era stato condannato», perché «l'irreprensibilità del suo

comportamento, valutato con retto e sagace criterio interpreta

tivo», era « il segno della sua adesione piena e matura ai motivi

della espiazione e del senso di responsabilità » con cui parteci

pava al rapporto punitivo, in quanto « il rammarico che gli even

ti della guerra avessero potuto fare di lui un cieco strumento

della tragica vicenda e dei luttuosi fatti », che avevano provo cato la sua condanna, espresso dallo stesso fin da allora, come

dedotto dal rapporto informativo del 15 maggio 1954, « unita

mente al rilievo che, successivamente, vennero da lui effettuate

elargizioni a comitati sorti per l'assistenza alle famiglie delle vit

time degli eccidi », inducevano « a ritenere » che « non sussistes

se, da parte sua, alcuna riserva di ordine giuridico a proposito della sanzione inflittagli » e in quanto « l'esemplare contegno da

lui serbato, scevro da impronte di esibizionismo e da caratteri di

simulazione, impossibili sul piano pratico, perché coerente ed uni

voco per ventiquattro anni » era stato « l'atteggiamento del Reder

sotto il riflesso che ne occupa, ed incongrui dal punto di vista

logico, perché sempre contrassegnate da riserbo e discrezione sono state le manifestazioni del suo pensiero sulla pronuncia giu diziale intervenuta a suo riguardo », non consentivano « altra conclusione se non quella innanzi esposta e cioè che nel suo

dignitoso silenzio » doveva « vedersi il segno dell'accettazione, e non della ripulsa, della sua condizione»; lo stesso giudice mili tare di sorveglianza, inoltre, aveva messo in rilievo che « la cri minalità del Reder», cosi' come desunto anche dalla sintesi delle note biografiche e psichiche contenute nella cartella biografica del condannato, compilata ai sensi della legge 13 giugno 1934 n. 1116, doveva ritenersi «occasionale» e che, «alla base della condotta antigiuridica del Reder », era da rinvenire « un fattore scatenante contingente, costituito dallo humus della guerra », per cui egli era da ritenere « fuori da ogni rischio di ricaduta nei medesimi tragici errori e nelle colpe immani », per le quali gli era stata irrogata la condanna, e per cui ne conseguiva che, « fuo ri da quegli stimoli e soprattutto in un clima, come quello attuale, inteso alla ricerca di elementi di distensione e di concordia fra

gli uomini, non dovrebbero sussistere, per il Reder, incentivi al delitto», aggiungendo, come constatazione comparativa, — te nuto conto che assumeva importanza la circostanza oggettiva che « l'art. 13 cod. pen. mil. guerra, in forza del quale è stato esteso al Reder il trattamento penale destinato al militare

italiano, il quale commette « reati contro le leggi e gli usi della

guerra », costituisce la realizzazione interna di un principio di diritto bellico internazionale e sembra pertanto che, a parte ogni diversa considerazione di puro contenuto umano, si possa util mente istituire un riscontro di valore giuridico fra il caso in esa me e quello di altri militari, i quali abbiano, per reati dello stesso

genere, subito condanna in differenti paesi » — che sono liberi da

molti anni « tutti coloro i quali, giudicati a Norimberga e dichia rati colpevoli, furono condannati a pene detentive e che, me diante atti collettivi e individuali di clemenza, sono stati libe rati alti esponenti del regime nazista e delle forze armate tede

sche, colpevoli di eccidi in danno delle popolazioni civili, in Bel

gio, Francia, Jugoslavia, Norvegia, Danimarca e Grecia », ed

evidenziando, infine, che « il generale Simon, comandante della 16" divisione granatieri SS, nella quale era inquadrato il batta

glione comandato dal Reder, condannato a morte da un tribu

nale militare britannico e poi graziato », aveva recuperato la li bertà nel 1954 e che il feldmaresciallo Kesserling, il generale

Maeltzer, comandante militare della città di Roma, e il generale Machensen, comandante di un'armata impiegata in Italia, tutti su

periori in grado del maggiore Reder, ugualmente condannati a

morte da tribunali militari britannici, ottenuta la commutazione della pena capitale in quella detentiva, perpetua o temporanea, avevano recuperato la libertà nel 1952, ad eccezione del secon

do, perché costui, in attesa di essere rilasciato, era deceduto.

Il maggiore Walter Reder, intanto, con lettera del 30 aprile 1967, inviata al sindaco del comune di Marzabotto, aveva chiesto alla popolazione del luogo « il perdono per il sangue sparso e

per i danni recati alla popolazione della città-martire».

In seguito, una prima istanza di liberazione condizionale, pre sentata dal predetto condannato in data 27 novembre 1973, a nor

ma dell'art. 33 del r. d. 9 settembre 1941 n. 1023 — essendo stata dichiarata, da parte della Corte costituzionale, con sentenza

n. 192 del 14 luglio 1976 (id., 1977, I, 33), la illegittimità costi tuzionale degli art. 34 e 35 del citato r. d. n. 1023 ed essendo

stata affermata, nello stesso tempo, la giurisdizione dell'autorità

giudiziaria militare in ordine al provvedimento di concessione

del beneficio invocato — su conforme richiesta del pubblico mi

nistero, veniva respinta dal Tribunale militare territoriale di La

Spezia con ordinanza del 19 ottobre 1976. Veniva respinto, pure da parte del Tribunale supremo militare, con sentenza del 15

dicembre 1976 (id., Rep. 1977, voce Liberazione condizionale, nn. 34-38), il ricorso per annullamento interposto dal condannato

e dal suo difensore.

Detto giudice dell'esecuzione, decidendo negativamente sulla

indicata istanza di liberazione condizionale, aveva ritenuto che

sussistessero dei « dubbi sulla certezza del ravvedimento » del

condannato, « pur se tutti i rapporti redatti da chi di compe tenza e dallo stesso giudice militare di sorveglianza affermavano

che nel Reder era intervenuto un sicuro ravvedimento ».

Ancora, inoltrato ricorso straordinario alla Corte di cassazione

contro la sentenza del Tribunale supremo militare da parte del

Reder, il quale eccepiva il difetto di giurisdizione dell'autorità

giudiziaria militare ed anche la violazione di legge in ordine

alla mancata concessione della liberazione condizionale, detta

Corte di cassazione, con sentenza emessa in data 2 aprile 1977

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PARTE SECONDA

a sezioni unite (id., 1978, II, 114), riteneva infondato l'eccepito difetto di giurisdizione, perché la Corte costituzionale, già con la

citata sentenza n. 192/1976, dichiarata la illegittimità costitu

zionale degli art. 34 e 35 del citato r. d. 9 settembre 1941 n.

1023, che riservavano la competenza in ordine all'ammissione

alla liberazione condizionale dei militari condannati al ministro

della difesa, aveva espresso l'avviso che « la competenza a de

cidere sulla domanda di liberazione condizionale dei militari con

dannati » fosse « di un organo della giurisdizione militare di pari livello di quello previsto per i condannati per reati comuni » ed

escludeva, nello stesso tempo, la competenza sia del giudice mi

litare di sorveglianza — il quale, d'altronde, con provvedimento del 30 agosto 1976, aveva già dichiarato la propria incompetenza in ordine a detto beneficio ed aveva già trasmesso gli atti rela

tivi al Tribunale militare territoriale di La Spezia — sia del Tri

bunale supremo militare, riconoscendo al giudice dell'esecuzione

« la competenza a provvedere », in quanto tale attribuzione si

adeguava « alla natura dell'istituto della liberazione condizionale, che inerisce al rapporto di esecuzione della sentenza penale » ; la stessa Suprema corte, poi, non prendeva in esame le censure

inerenti a violazione di legge, perché per tali violazioni, a norma

dell'art. 400 del codice penale militare di pace, non era consen

tito il ricorso in Cassazione.

Una seconda istanza di liberazione condizionale, presentata dallo stesso maggiore Reder in data 26 aprile 1978 e ritenuta

ammissibile — che ora si trova all'esame di questo collegio, in

sede di rinvio, per l'intervenuta rimessione degli atti a questo tribunale militare territoriale — sempre su conforme richiesta

del publico ministero, veniva respinta, anch'essa, dal Tribunale

militare territoriale di La Spezia con la indicata ordinanza del 2

marzo 1979, perché era stato ritenuto che sussistesse ancora la

« già ritenuta situazione di dubbio sul sicuro ravvedimento » del

condannato.

In questa occasione, il richiedente, previamente udito, a sua

domanda, dal giudice militare di sorveglianza, confermate le di

chiarazioni rese in relazione alla prima istanza di liberazione

condizionale, aveva dichiarato, in particolare, che, se si dovesse

trovare « in circostanze simili a quelle di allora », riterrebbe, « da

uomo», suo «dovere morale» di evitare il ripetersi, anche a

costo della sua vita, di fatti analoghi, « proibendo alle truppe di

fare rappresaglie contro la popolazione civile inerme come ritor

sione per atti vili di civili armati», e, riconosciute le proprie re

sponsabilità di allora, difendendosi, però, « contro le deformazioni

della verità », perché « accusato anche di fatti » dai quali era sta

to assolto pienamente, aveva aggiunto che, « malgrado il continuo

linciaggio morale », aveva considerato e considerava, « come un

mezzo di riscatto », l'aver espiato silenziosamente nei lunghi anni

di detenzione, insieme alle proprie colpe, « anche quelle di ogni altro responsabile rimasto impunito»; il giudice militare di

sorveglianza, a sua volta, nel motivato « parere favorevole »,

espresso circa la « concedibilità » del beneficio invocato dal

condannato, aveva affermato che il maggiore Reder era « un

soggetto moralmente diverso », che « criticava, aborriva e deplo rava i crimini commessi », giacché, « dopo tanti anni di deten

zione, espiata con rassegnazione e convincimento», nulla era

rimasto del giovane ufficiale, intimamente influenzato dalla pro

paganda hitleriana, e che accettava con cristiana rassegnazione, « quale ulteriore mezzo di riscatto », anche il fatto che, talvolta, da parte della stampa gli si attribuisse la responsabilità di fatti,

per i quali le truppe, poste al suo comando, come riconosciuto

dalla stessa sentenza di condanna, erano state completamente

estranee, precisando che, valutata, sulla base degli elementi rac

colti, la personalità del soggetto, quale appariva e quale si pre sentava al momento della commissione dei reati e del giudizio di

merito, appariva « evidente » che il lungo periodo di detenzione

avesse assolto il suo compito di rieducazione e che il Reder

avesse riacquistato «quei sentimenti», rimasti offuscati «a cau

sa della guerra, della rigida disciplina militare tedesca, della

ideologia nazista e della insidiosa propaganda », e concludendo

col riaffermare che « il suo ravvedimento » si presentava « si

curo», cioè «netto, deciso, senza riserve e senza esitazioni».

La citata ordinanza di rigetto, impugnata dal condannato e dal

suo difensore, però, veniva annullata dal Tribunale supremo mi

litare, su conforme richiesta dal procuratore generale militare

della Repubblica, con la richiamata sentenza del 30 ottobre 1979 —■ cui faceva seguito la indicata ordinanza 29 aprile 1980

di rimessione degli atti a questo tribunale militare per mo

tivi di ordine pubblico, pronunciata dallo stesso Tribunale

supremo militare — per « violazione di legge e difetto di

motivazione » e il relativo procedimento veniva rinviato, pri

ma, allo stesso Tribunale militare territoriale di 'La Spezia e,

poi, come rimesso, a questo tribunale militare territoriale per un

nuovo esame.

Il Supremo collegio, infatti, dopo aver confermato l'indirizzo

giurisprudenziale in ordine alla corretta attribuzione di compe tenza al giudice dell'esecuzione per pronunciarsi sulla istanza di

liberazione condizionale del predetto condannato e dopo aver

affermato ancora una volta, in diritto, che « il dubbio sul ravve

dimento del detenuto è ragione sufficiente per respingere la do

manda di liberazione condizionale » avanzata dal condannato, pre

cisava che « il dubbio rilevante » non può essere « quello sog

gettivo», ma deve essere «quello oggettivo, fondato su elementi

di fatto che sono stati e che possono essere acquisiti agli atti,

tale da svalutare parzialmente, ma in maniera apprezzabile, le

prove favorevoli » ; ribadiva, inoltre, in merito alla « nozione del

ravvedimento», a conferma di quanto già precisato nella prece

dente sentenza del 15 dicembre 1976 e con i necessari chiari

menti, che il ravvedimento « comporta, al di là del dato super

ficiale della buona condotta, un profondo pentimento morale,

che può dirsi raggiunto quando il condannato, liberatosi da ogni traccia di autogiustificazione o autocompatimento, è divenuto ve

ramente un altro come modo di sentire, di pensare, di agire»,

e, accolte le critiche mosse dal ricorrente contro la motivazione

dell'ordinanza impugnata, evidenziava che il collegio non ave

va ritenuto di poter dare peso « agli elementi probatori favore

voli », richiamati ed enumerati, perché tali elementi, ricollegan tisi « ad atteggiamenti del tutto esteriori del condannato e a di

lui dichiarazioni, affermazioni, missive », erano « in contrasto »

con il permanere di taluni «indizi», costituiti da «persistenti

atteggiamenti di autocommiserazione ed autogiustificazione », af

fioranti nelle stesse dichiarazioni del condannato, come analiz

zate, e non potevano dissolvere «il dubbio», già espresso nella

precedente ordinanza, osservando, però, che « il problema cen

trale dell'indagine sul ravvedimento », era, invece, quello di ac

certare e di stabilire « se il comportamento del condannato du

rante gli anni dell'espiazione fosse o no da ricondurre ad atteg

giamenti meramente esteriori » e che « il tribunale doveva pren dere in esame tutti gli elementi idonei a rivelare l'attuale perso nalità del condannato, compresi, per l'autonomia dei giudizi,

quelli già valutati nella precedente ordinanza, per arrivare, attra

verso la conoscenza delle manifestazioni, necessariamente este

riori, alla comprensione dello stato d'animo » del Reder e preci

sando, pure, in ordine a tutte le « supposizioni » fatte sul signi ficato di talune frasi, contenute nelle dichiarazioni rese dallo

stesso condannato e prese in considerazione, senza prendere in

esame i dati esistenti nel processo, che esse rimanevano « nel

l'ambito di un dubbio soggettivo » e, per divenire concrete fonti

di convincimento, andavano « confortate da sicuri elementi di

fatto » con il supporto di un « concreto riscontro » e di una

«logica argomentazione», indipendentemente dalla gravità e dal

l'atrocità dei reati commessi e dall'allarme sociale che detti reati

avevano destato o che potevano ancora destare, come affermato

dalla Corte di cassazione (sentenza 26 aprile 1976, Arriva

bene, id., Rep. 1976, voce cit., n. 56); e, ancora, dopo aver

precisato nuovamente che « l'elemento essenziale e fondamen

tale », di cui il giudice deve tener conto per l'ammissione alla

liberazione condizionale, è «il sicuro ravvedimento», il quale, come detto nella relazione al disegno di legge 25 novembre 1962

n. 1634, deve essere inteso «come un ritorno alla via del bene»

e deve desumersi «da tutto l'andamento della vita penitenziaria», richiamando quanto già affermato dalla Corte di cassazione (sen tenza 15 ottobre 1976, Sernei, id., Rep. 1977, voce cit., n.

40), e cioè che, nel caso esaminato, « il periodo di circa do

dici anni di vita carceraria, immune da sanzioni disciplinari »,

costituivano « un elemento di notevole rilevanza », al fine di

stabilire se fosse intervenuto il ravvedimento, « anche se inte

ressante un soggetto condannato a grave pena per gravi e abietti

delitti », perché, in fondo, « l'istituto della liberazione condizio

nale costituisce, nella vigente normativa, un'applicazione del prin

cipio, sancito dall'art. 27 Cost., della funzione della pena, che

deve mirare al recupero sociale del condannato », e poiché, « quando tale essenziale obiettivo sia stato raggiunto e sia

no state soddisfatte le altre condizioni stabilite dalla legge, il

giudice ha l'obbligo di ammettere il condannato alla liberazione

condizionale risultando sostanzialmente inutile e ingiustificata la

ulteriore protrazione dello stato di detenzione», affermava che

« il giudice non può trincerarsi in considerazioni generiche, eva

sive, dubbiose, ma deve esaminare, con ponderazione, tutti gli elementi dai quali si possa dedurre se sia intervenuto un sicuro

ravvedimento del condannato », avendo rapportato, ovviamente,

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GIURISPRUDENZA PENALE

« la meticolosità di tale esame alla gravità e alle modalità delle

azioni delittuose commesse » ed avendo tenuto anche presente « se

la pena dell'ergastolo sia stata inflitta per un solo determinato

delitto oppure siano stati irrogati più ergastoli o più pene deten

tive temporanee, che determinano, per il nostro vigente sistema

punitivo, la pena complessiva dell'ergastolo, e deve usare « il

potere discrezionale di ammettere o non ammettere alla libera

zione condizionale il condannato all'ergastolo », avendo dato

« un'ampia, precisa, logica motivazione della sua decisione po

sitiva o negativa, fondata su argomentazioni circoscritte alla

esistenza o alla insussistenza del sicuro ravvedimento », rifiu

tando «contingenti valutazioni di carattere politico», mantenen

dosi « al di sopra delle valutazioni estraprocessuali » e reprimen

do i «sentimenti personali», e addiveniva alla conclusione che,

« nel caso in esame, pur riconoscendo che anche dopo trenta

cinque anni dalle atrocità commesse, è, giustamente, ancora vivo

un profondo sentimento di raccapriccio per gli eccidi e di com

mossa pietà per le vittime, non si poteva non riconoscere che il

maggior Reder non era stato l'autore di tutte, indistintamente, le

stragi effettuate » e che il legislatore non aveva voluto escludere

dall'ammissione alla liberazione condizionale anche coloro che

fossero stati ritenuti colpevoli dei reati previsti dall'art. 185

cod. pen. mil. guerra, indicando, infine, che « ciò che occor

re accertare » è « se in Walter Reder esiste », dopo trenta

quattro anni di detenzione trascorsi con rassegnazione e con

condotta esemplare, quel « sicuro ravvedimento » che è richie

sto dalla legge e che « non può essere escluso solo perché le

azioni per le quali è stato condannato destano, tuttora, racca

priccio e orrore ».

Rimessi, quindi, gli atti relativi a detta istanza di liberazione

condizionale a questo tribunale militare territoriale da parte del

Tribunale supremo militare, con la più volte richiamata ordi

nanza del 29 aprile 1980, per motivi di ordine pubblico e fissato

il giorno della deliberazione, venivano acquisiti in atti gli ulte

riori « pareri » e le ulteriori « informazioni » sulla condotta del

condannato richiedente, fornite dagli organi preposti alla sorve

glianza e alla custodia del detenuto.

11 maggiore Walter Reder poi, detenuto in un luogo diverso,

veniva previamente udito, a sua domanda, dal pretore del luogo,

all'uopo delegato, e, in tale sede, confermate le precedenti di

chiarazioni, fatte nel luglio 1976 e nel luglio 1978, esternava

« il pieno rispetto e la piena fiducia nella giustizia », non aven

do mai criticato la sentenza di condanna, respingendo, quindi,

« nel modo più assoluto le concezioni che finirono per travol

gere anche lui nei tragici fatti per i quali fu condannato », de

plorando ancora « quelle azioni nel modo più sincero e senti

to », perché « il loro ricordo suscita in lui indicibile angoscia »

e perché « prega Dio che nulla di simile si ripeta mai più, ve

ramente mai più », e affermando che « la sua vita di ogni

giorno » dimostra « a tutti quelli che lo conoscono che il suo

modo di essere oggi è infinitamente lontano da quel passato che

lo condusse in carcere»: infatti, «tutto, in carcere, lo ha por

tato a sentire molto vivamente che la pace, l'amore e la fratel

lanza umana sono per tutti e in ogni occasione i valori più

alti » ed egli, « in tutti i rapporti umani, si sforza di essere fe

dele a tali valori nell'ambito delle sue possibilità»; ripeteva,

inoltre, che, « nel suo interno, ha considerato e considera la

sofferenza di quei lunghi anni di carcere, tanto più dura perché

lontano dalla sua patria, come una via di riscatto per le azioni

di allora, sue e dei suoi uomini, ed anche per quelle di cui altri

sono stati responsabili », manifestando i suoi propositi per l'av

venire e confidando nell'accoglimento della istanza.

La difesa, a sua volta, faceva pervenire una nuova « attesta

zione d'ufficio», rilasciata in data 1° luglio 1980 dallo stesso

capo ufficio assistenza del capoluogo regionale di Linz e com

provante ulteriormente che il maggiore Walter Reder « non di

spone di reddito o di patrimonio», ed inviava, in originale o in

copia, lettere spedite o ricevute dal predetto condannato per

evidenziare, in altro modo, che il suo assistito, come nella lette

ra inviata al prof. Arturo Carlo (emolo, « in ogni giorno e in

ogni notte », deplorava e respingeva « con il più intimo dolore e

con indicibile angoscia quello che accadde nella furia della guer

ra », non portava più in se stesso « la più piccola parte di ideo

logie che nel suo lontano tempo di gioventù avvelenavano il

mondo nel quale egli era cresciuto » e si sentiva oggi « come un

uomo, il quale con tutte le sue forze e in prima linea si attacca

solo ai molti valori di onore, che sono nella vita del soldato»,

essendosi sforzato anche « di trasportare questo nella realtà del

la sua vita di ogni giorno in un carcere militare » ed avendo pre

gato Dio onnipotente che « mai più altri giovani soldati siano

travolti da simili situazioni e avvenimenti, come quelli che allora

travolgevano, insieme con gli uomini del suo reparto combat

tente, anche lui come loro comandante », e, come nella lettera

inviata a don Dario Zanini, già parroco di Monzone e ora parro co di Sasso Marconi, chiedeva « perdono sinceramente, con tutto

il suo dolore, ai superstiti », confessando che « il rimorso è un

tormento grandissimo ».

In questa sede intervenivano il procuratore militare della Re

pubblica e i difensori di fiducia nominati dal condannato: il

primo presentava requisitoria scritta e chiedeva che l'istanza di

liberazione condizionale avanzata dal maggiore Walter Reder fos

se rigettata, perché, a suo giudizio, non sembrava che fosse stata

« raggiunta, nei riguardi del Reder, la certezza del suo riscatto

morale », non essendo affiorati, « attraverso il comportamento tenuto dal condannato, durante il lungo periodo di espiazione,

particolari episodi e significative circostanze », al di fuori della

richiesta di perdono, che avessero, « per la loro natura e per la

loro frequenza, un chiaro valore sintomatico in ordine al suo

ravvedimento, nonostante i favorevoli giudizi degli organi pre

posti all'amministrazione carceraria, del cappellano militare e del

giudice militare di sorveglianza, giudizi non basati su fatti speci fici e concreti, bensì su generiche valutazioni», e perché era

« ferma convinzione » di quell'ufficio, « in aperto dissenso con

quanto affermato dal giudice militare di sorveglianza, nel suo

parere del 18 giugno 1980», che «nel Reder» non si fosse ve

rificata « quella trasformazione » che lo facesse « apparire com

pletamente diverso ed opposto a quello che lo rese autore dei

fatti criminosi attribuitigli nella sentenza di condanna » e che si

dovesse escludere che si fosse « realizzata, nel caso di specie, l'assoluta certezza » che il colpevole si fosse ravveduto, « nel

l'assenza di fatti univoci e specifici » dai quali si potesse desu

mere, con tranquilla coscienza, una « prova sicura dell'avvenuto

ravvedimento », non essendo stati evidenziati, da parte del con

dannato, durante la lunga carcerazione « manifestazioni palesi di

solidarietà sociale e del fattivo intendimento di riparare alle

conseguenze dannose del suo comportamento » e non essendo

stato rilevato, nel periodo di osservazione, « alcun elemento con

creto ed obiettivo della di lui risocializzazione»; i secondi, a lo

ro volta, presentavano « brevi note riepilogative », ribadendo quan to già addotto nelle precedenti « memorie » e rinnovando la

richiesta di accoglimento dell'istanza di liberazione condizionale

del condannato.

Osserva in diritto. — La Corte costituzionale, con la indicata

sentenza n. 192 del 14 luglio 1976, ha dichiarato l'illegittimità

costituzionale degli art. 34 e 35 del r. d. 9 settembre 1941 n. 1023,

contenente disposizioni di coordinamento, transitorie e di attua

zione dei codici penali militari, nella parte in cui attribuivano la

decisione sulla domanda di liberazione condizionale al ministro

da cui dipendeva il militare condannato al momento del com

messo reato — anche se detto militare condannato, come nel caso

in esame, apparteneva ad una forza armata nemica e, divenuto

successivamente prigioniero di guerra in custodia dello Stato ita

liano, era stato trattenuto, al termine delle ostilità, prima, per

ché sottoposto a processo e, poi, condannato, perché doveva

espiare la pena a lui inflitta — anziché ad un organo giurisdi

zionale di adeguato livello, e, nello stesso tempo, ha espresso

l'avviso che la competenza a decidere sulla citata domanda di

liberazione condizionale dei militari condannati fosse di un or

gano della giurisdizione militare, di pari livello di quello previsto

per i condannati per reati comuni.

La Corte di cassazione, sezioni unite penali, a sua volta, con

la indicata sentenza del 2 aprile 1977, ha stabilito che la compe

tenza a decidere in ordine alle istanze di liberazione condizionale

dei predetti militari condannati appartiene, nell'ambito dell'auto

rità giudiziaria militare, al giudice dell'esecuzione, non essendo

previsto l'appello per il rito militare e mancando, quindi, il re

lativo organo giurisdizionale, perché, come affermato in motiva

zione, «è principio generale del nostro ordinamento giuridico

affidare la soluzione delle questioni che insorgono nel corso della

esecuzione della pena al giudice ordinario o speciale che emise

la condanna », adeguando cosi la soluzione adottata alla natura

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PARTE SECONDA

dell'istituto della liberazione condizionale, che inerisce al rap

porto di esecuzione della sentenza penale di condanna, in con

formità dell'indirizzo della prevalente giurisprudenza della stessa

Corte di cassazione, ed escludendo, di conseguenza, sia la com

petenza del giudice militare di sorveglianza, perché a detto ma

gistrato militare la legge demanda funzioni di vigilanza e con

sultive, che non si conciliano col potere decisorio di disporre

l'interruzione del rapporto esecutivo, e perché in detto magistra to monocratico non può di certo individuarsi l'organo di « ade

guato livello » al quale faceva richiamo la menzionata sentenza

della Corte costituzionale, sia la competenza del Tribunale su

premo militare, perché si conferirebbe un giudizio di merito e di

fatto ad un organo di legittimità e perché si priverebbe di un

grado il relativo procedimento incidentale.

Il Tribunale supremo militare, d'altra parte, con la indicata

sentenza del 30 ottobre 1979 — in sede di ricorso per annulla

mento, interposto dal condannato maggiore Walter Reder contro

l'ordinanza di rigetto della sua istanza di liberazione condizio

nale, pronunciata dal Tribunale militare territoriale di La Spezia in data 2 marzo 1979 — seguendo tale indirizzo giurispruden

ziale, ha confermato che, nell'ambito della giurisdizione penale

militare, la competenza a decidere sulla istanza di liberazione

condizionale dei militari condannati appartiene « al giudice del

l'esecuzione », tralasciando, però, di esaminare la competenza

territoriale specifica e rinviando gli atti allo stesso giudice del

l'esecuzione che aveva emesso il provvedimento impugnato, an

che se la legge 12 febbraio 1975 n. 6, contenente nuove « norme

in tema di liberazione condizionale », disponeva, in ordine alla

competenza territoriale dell'organo giurisdizionale designato, che

dovesse provvedere, su parere del giudice di sorveglianza, la

corte di appello, « nel cui distretto, al momento della presenta zione della domanda, il condannato espia(va) la pena».

Questo tribunale militare territoriale, quindi, in sede di rinvio,

per l'intervenuta « rimessione » per motivi di ordine pubblico de

gli atti relativi al presente procedimento incidentale, è compe tente a decidere sulla istanza di liberazione condizionale pre sentata dal predetto condannato maggiore Walter Reder in data

26 aprile 1978, giacché la decisione del Tribunale supremo mili

tare sulla competenza ha autorità di cosa giudicata (art. 43, 3°

comma, cod. proc. pen.) e giacché il giudizio di rinvio, in de

finitiva, come rimesso, costituisce una fase ulteriore del pro cesso di impugnazione, diretto a completare il provvedimento annullato (Cass., Sez. un., 20 maggio 1950, Arrighi, id., Rep. 1950, voce Rinvio penale, n. 6).

L'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata è avve

nuto per « violazione di legge e difetto di motivazione » in ordi

ne al « sicuro ravvedimento » del condannato: il disposto « nuo

vo esame », però, concerne « tutti gli atti relativi alla istanza pre sentata dal maggiore Walter Reder e tendente ad ottenere la li

berazione condizionale ».

Questo collegio, pertanto, deve procedere ai necessari accer

tamenti e stabilire, in base alle prove acquisite, se sussistono o meno tutte le condizioni richieste dalla legge per la concessione

del beneficio invocato, « tenendo presente » quanto esposto in

motivazione dal Tribunale supremo militare nella pronunciata sen

tenza di annullamento con rinvio.

Quindi, passando preliminarmente all'esame della citata istan za di liberazione condizionale, emerge che detta istanza, inoltra ta dal maggiore Walter Reder, condannato alla pena complessiva

dell'ergastolo, dopo che una sua prima istanza di liberazione con

dizionale era stata respinta «per mancanza del ravvedimento», in quanto era stato ritenuto che sussistessero dei « dubbi sulla certezza del ravvedimento », è stata presentata in data 26 aprile 1978, quando erano già decorsi diciotto mesi dal giorno in cui il

Tribunale militare territoriale di La Spezia aveva emésso il pri mo provvedimento negativo (19 ottobre 1976): essa, pertanto, es

sendo decorso il termine preclusivo previsto dall'art. 4, 2° com

ma, della citata legge 12 febbraio 1975 n. 6, va dichiarata am

missibile, come già ritenuto e dichiarato dal primo giudice.

Esaminati, poi, i presupposti e le condizioni richieste dalla

legge per concedere l'invocato beneficio e tenuto presente che l'art. 176 cod. pen., nel testo modificato dall'art. 2 della leg

ge 25 novembre 1962 n. 1634, disciplina l'istituto della libe

razione condizionale, stabilendo che a detto beneficio possono

essere ammessi tutti i condannati, compresi quelli ai quali fu in flitta la pena dell'ergastolo, anche se trattasi di militari condan nati da un tribunale militare per reati militari, senza la esclu

sione di alcun reato e, in particolare, senza la esclusione dei

reati militari commessi « contro le leggi e gli usi di guerra » da

parte di appartenenti alle forze armate nemiche a danno dello

Stato italiano o di cittadini italiani — essendo stato applicato, in tali casi ed anche nel caso in esame, a norma dell'art. 13

cod. pen. mil. guerra, la relativa legge penale militare di guer ra e dovendosi applicare, nei confronti dei militari condan

nati a tale pena comune ed anche nei confronti del mag

giore Walter Reder, la normativa comune, in sostituzione della

norma speciale di cui all'art. 71 cod. pen. mil. pace, che li

mita la concessione della liberazione condizionale al « condan

nato a pena militare detentiva » temporanea — e richieden

do, quale presupposto per essere ammesso al beneficio, che il

condannato all'ergastolo abbia effettivamente scontato almeno ven

totto anni di pena, e, quale condizione per la concessione di detto

beneficio, anche l'adempimento da parte del condannato delle ob

bligazioni civili derivanti dal reato o, in mancanza, la dimostrata

impossibilità del condannato di adempiere dette obbligazioni, va

confermato, come già ritenuto dal primo giudice, che tale pre

supposto e tale condizione sussistono nei confronti del condan

nato richiedente, rispettivamente, perché il maggiore Walter Reder, dalla data in cui ebbe inizio la esecuzione della pena perpetua a lui

inflitta (9 maggio 1945) — come stabilito con provvedimento emes

so in data 15 novembre 1973 dal pubblico ministero presso il Tri

bunale militare territoriale di La Spezia, divenuto competente per la esecuzione della sentenza di condanna pronunciata dal soppresso Tribunale militare territoriale di Bologna — ha già effettivamente

scontato oltre trentacinque anni di pena, dovendosi computare la

carcerazione preventiva da lui sofferta prima che la sentenza di

condanna divenisse irrevocabile, e perché risulta dimostrata, da

parte dello stesso condannato, in difetto del previsto e richiesto

adempimento delle obbligazioni civili derivanti dai reati da lui

commessi, la propria impossibilità di adempiere dette obbligazioni civili — come comprovato dalle due attestazioni rilasciate dal

capo ufficio assistenza del capoluogo regionale di Linz in data

10 maggio 1978 e in data 1° luglio 1980 e allegate in atti, sicura

mente probanti, in quanto il predetto, completamente « privo di

mezzi », non dispone di alcun reddito e di alcun patrimonio —

dovendosi tener conto, pure, che, a norma dell'art. 3 del regola mento annesso alla convenzione dell'Aja del 29 luglio 1899, re

lativa alle leggi e agli usi della guerra terrestre, rinnovata, con va

rianti, nella convenzione (IV), relativa sempre alla legge e agli usi della guerra terrestre, conclusa all'Aja il 18 ottobre 1907, i

belligeranti sono responsabili per gli atti commessi dalle persone

appartenenti alle rispettive forze armate e che, in base all'accordo

intervenuto tra l'Italia e la Repubblica federale di Germania in

data 2 giugno 1961, reso esecutivo in Italia con il d. pres. 14 aprile 1962 n. 1263 — anche se, a norma della citata convenzione in

ternazionale e a norma delle leggi civili italiane (art. 185, capo

verso, cod. pen.), la obbligazione civile derivante dai fatti ille

citi commessi si è trasferita dal condannato alla Repubblica fe

derale di Germania— « il governo italiano » ha dichiarato che

erano « definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica

italiana, o di persone fisiche o giuridiche, pendenti nei confronti di

persone fisiche o giuridiche tedesche, purché derivanti da diritti o

ragioni sorti nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l'8 maggio 1945 », e, di conseguenza, ha assunto la responsabilità patrimo niale derivante dalle obbligazioni civili, che, d'altra parte, devono

intendersi soddisfatte dal citato governo italiano e che, d'altronde,

in base al combinato disposto degli art. 157, 1° comma, n. 1,

cod. pen. e 2947 cod. civ., risulterebbero comunque prescritte.

Prendendo in esame, inoltre, tutti gli elementi probatori acqui

siti, compresi quelli già valutati dal primo giudice, come indicati

anche nella ordinanza annullata, per valutare e per accertare la

sussistenza o la insussistenza della prevista e prescritta ulteriore

condizione del « sicuro ravvedimento » del condannato maggiore Walter Reder, che è richiesta dalla legge, come fondamentale e

determinante requisito, per l'ammissione al beneficio invocato dal

predetto e che deve essere precipuamente verificata nella sua con

sistenza e riconosciuta nella sua certezza, va ritenuto, in fatto, che

detti elementi, concreti ed obiettivi, perché basati su fatti specifici e non su generiche valutazioni — contrariamente a quanto affer

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GIURISPRUDENZA PENALE

mato dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta — si

appalesano e risultano essere certamente idonei e più che suffi cienti per far dedurre e per poter stabilire, come previsto e come richiesto dalla indicata norma, se il richiedente, condannato al

l'ergastolo, « durante il tempo di esecuzione della pena, abbia te nuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravve dimento»: a tal fine, non occorre disporre ulteriori accertamenti, né si reputa necessario procedere ad una ulteriore e diretta audi zione del detenuto da parte di questo collegio.

Senza dubbio, occorre condurre il necessario e richiesto esame di tutti gli elementi probatori favorevoli acquisiti, di per sé rite

nuti, come già affermato, idonei e più che sufficienti, per poter conoscere l'attuale personalità del condannato, per poter stabilire l'avvenuto suo recupero morale e sociale e per poter dedurre e, cosi, ritenere per certo l'intervenuto suo sicuro ravvedimento, in modo ampio e completo, valutando detti elementi sotto tutti gli aspetti e rapportando pure tale valutazione anche alla gravità delle azioni delittuose compiute ed accertate, alle modalità esecutive delle stesse, alle cause che le hanno determinate, non estranee alla

guerra, al particolare periodo in cui furono consumati i reati e alla

pena complessiva irrogata, quale risultò dal cumulo della pena dell'ergastolo, inflitta per le atroci « uccisioni » di centinaia di ci vili inermi, e della pena di anni trenta di reclusione, inflitta per gli « incendi » e per le « distruzioni » dei centri abitati, contestual mente eseguiti. Si deve tener presente che non si può e non si deve escludere che determinati delitti, per la loro enormità e per la loro atrocità, non possano consentire l'emenda e, nello stesso tem

po. che i valori specifici tutelati dalla legge penale militare di

guerra, che furono gravemente offesi e che sempre devono essere

apprezzati e valutati dal giudice militare per la rilevanza e per la incidenza che essi hanno nell'ordinamento militare, e i conse

guenti effetti negativi della particolare condotta criminosa posta in essere e della offesa arrecata all'onore militare — ancora vivi e perduranti — raffrontati con gli elementi probatori favorevoli emersi ed acquisiti, di per sé idonei e sufficienti per far ritenere che sussistano tutte le condizioni oggettive e soggettive richieste dalla legge per l'ammissione del militare condannato al beneficio

invocato, non possano escludere l'avvenuto cambiamento della

personalità del responsabile delle stragi, compiute dal reparto da lui comandato, anche se per cause non estranee alla guerra, senza alcuna obiettiva necessità e, comunque, senza alcun giustificato o giusto motivo, ed il contestuale avvenuto recupero di tali va

lori, unitamente all'avvenuto recupero morale e sociale del mili tare condannato. Si consideri, infatti, che, come affermato dalla

Corte di cassazione (Sez. I, sentenza 20 gennaio 1976, Casula,

id., Rep. 1976, voce Liberazione condizionale, n. 28; sentenza 13

giugno 1978, Matarazzo, id., Rep. 1978, voce cit., n. 24), « ai fini della concessione della liberazione condizionale, assume valore

decisivo l'accertamento del sicuro ravvedimento del condanna to », pur se tale ravvedimento « può aversi anche in relazione al

più grave dei delitti » (per cui la gravità del delitto non costitui sce ostacolo alla concessione del beneficio), e che « il titolo e la

gravità del reato », come precisato dalla stessa Corte di cassazione

(Sez. I, sentenza 17 aprile 1978, Andretta, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 22, 23), « costituiscono pur sempre il punto di par tenza per la valutazione della personalità del soggetto, al fine di

accertare il sicuro ravvedimento ».

In tema di liberazione condizionale, tuttavia, « oggetto » preci puo del giudizio è « sempre e soltanto il comportamento tenuto dal condannato durante il tempo di esecuzione della pena»; e detto comportamento deve essere tale da far ritenere sicuro il suo

ravvedimento, come richiesto esplicitamente e chiaramente dalla

legge (citato art. 176 cod. pen.) e come confermato dalla

Corte di cassazione (Sez. I, sentenza 20 novembre 1978, Per

coco, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 9, 11), la quale ha precisato

pure che, « ai fini del giudizio sul ravvedimento, specifiche indi

cazioni non possono che trarsi dai rapporti del detenuto con i

compagni di prigionia, con il personale carcerario, con i propri familiari e, particolarmente, dalla volontà di reinserimento nella

società, dimostrata con l'attività di lavoro e di studio, dalle mani

festazioni di altruismo e di solidarietà sociale e dal fattivo inten dimento di riparare le conseguenze dannose » e che, « ai fini del

giudizio sull'ammissione alla liberazione condizionale, le prove in

ordine al reale ravvedimento del condannato possono essere acqui site attraverso le informazioni degli organi che sopraintendono alla

sorveglianza ».

Tali precisi orientamenti giurisprudenziali sono stati confermati ulteriormente dal Tribunale supremo militare con la indicata sen tenza di annullamento con rinvio del 30 ottobre 1979.

Ora, accettando e seguendo gli indicati « orientamenti giurispru denziali », esaminati tutti i dati esistenti, come acquisiti in atti e come compiutamente esposti in narrativa, con assoluta obietti vità, con la dovuta ponderazione, con alto senso di giustizia —

scevro necessariamente e doverosamente da « contingenti valuta zioni di carattere politico » e da qualsiasi « valutazione extrapro cessuale » — e reprimendo i « sentimenti personali » e le « preoc cupazioni di indole extraprocessuale » — anche se i crimini com messi rimangono incancellabili e non possono e non devono es sere dimenticati e rendendo sempre il doveroso omaggio, non

formale, alla sacra memoria dei « caduti », vittime innocenti della violenza omicida, e la commossa partecipazione di solidarietà uma na ai « superstiti » della strage compiuta, col riaffermare ed esal tare ognora gli alti valori storici e morali della resistenza — emer

ge chiaramente ed inconfutabilmente, in base ai « pareri », espressi dal giudice militare di sorveglianza nei confronti del maggiore Walter Reder, già al tempo dell'ultima pratica di grazia da lui istruita e, poi, in occasione della prima e della seconda istanza di liberazione condizionale, presentate dal predetto condannato, e confermati recentemente dallo stesso magistrato militare con il suo ultimo «parere», in base a tutte le «informazioni», fornite in

ogni occasione dal comandante del reclusorio militare di Gaeta, sempre confermate dal comandante degli stabilimenti di custodia

preventiva e di pena dello stesso luogo e ultimamente integrate da altri « rapporti informativi » e da altre « relazioni », che il perso nale addetto al citato reclusorio, il dirigente del servizio sanita rio e il cappellano militare di quel luogo di pena hanno presen tato, ed in base alle varie « dichiarazioni », rese dallo stesso con

dannato, come riportate anche nei citati « pareri » e come acqui site in atti, che il maggiore Walter Reder, durante tutto il tempo di esecuzione della pena, ha tenuto costantemente un comporta mento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. Le prove emerse ed acquisite sono tutte positive, chiare, precise e per nulla

equivoche o incomplete. Tutte le valutazioni fatte dagli organi qualificati e responsabili, per nulla generiche, sono circostanziate e specifiche e si basano su elementi concreti ed obiettivi, sicura

mente indicativi e validamente idonei, e i giudizi conseguenti, co me espressi concordemente e come dedotti da tali valutazioni, da

particolari episodi evidenziati e da significativi comportamenti ri feriti, si basano su elementi di fatto acclarati e certi e sono rite

nuti, cosi come si appalesano, veritieri, pienamente attendibili e

sicuramente probanti.

Invero, premesso che la « criminalità » del maggiore Walter Re

der, ritenuta « occasionale » come desunto anche dalla sintesi delle sue note biografiche e psichiche, deve essere collegata necessaria

mente, per la sua interdipendenza, al « fattore scatenante contin

gente » della guerra, al « particolare stato d'animo » in cui detto

ufficiale si trovò al agire, durante « la marcia a ritroso del suo

battaglione », nel corso delle operazioni compiute per ordini rice vuti e nella imminenza di una « immane catastrofe militare e na

zionale», e alle direttive impartite dai suoi superiori per condurre la lotta contro i partigiani italiani — i quali, combattendo contro il nemico invasore, attaccavano le truppe tedesche in ritirata, agen do tatticamente anche « alle spalle » — occorre esaminare e va lutare la personalità del reo, alla luce di tali premesse di fatto e nella visione, però, sempre presente e perdurante, degli eccidi

compiuti dal suo reparto, per poterla raffrontare adeguatamente e

compiutamente con la condotta da lui mantenuta durante tutto

il tempo di esecuzione della pena per cogliere e dedurre la effet

tiva personalità del soggetto, come acquisita e come manifestata

successivamente, tenendo per fermo ed evidenziando, come preci sato dal Tribunale supremo militare in altra sentenza ricordata

dall'ordinanza annullata, che « il comportamento è la manifesta

zione che, direttamente percepibile ai sensi, consente di risalire,

per via di induzione, ma anche di intuizioni (per ciò l'ampia sfera

di discrezionalità del giudice) dal modo di agire al modo di sen

tire e di pensare » e che « la detenzione agevola la osservazione

del comportamento, ma questo è dalla detenzione limitato e condi

zionato: di questa limitazione e di questo condizionamento il giu dice deve tener conto».

Ora, è emerso che il maggiore Walter Reder, in guerra, fu un

valoroso combattente e, fatto prigioniero di guerra dalle forze ar

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PARTE SECONDA

mate alleate e rilasciato libero per cinque giorni sulla parola, si

presentò puntualmente, dimostrando cosi' « di non volersi sottrarre

alla sue responsabilità e di tenere nel massimo conto le regole del

l'onore militare », infangato con le stragi compiute; è emerso, poi, che « la condotta del Reder durante tutto il corso della espiazio ne », come confermato anche successivamente, « è stata di ecce

zionale esemplarità » : tale comportamento ha valore indicativo

preminente, perché lo stato di detenzione, anche se ha limitato e

condizionato l'osservazione di tale comportamento, non ha compres so annullandola o preordinandola con finalità, ogni manifestazio

ne del detenuto e non ha falsato la conseguente percezione di

quanto era deducibile e perché l'intima natura del recluso ed i

suoi veri sentimenti affiorano ognora e, con il passare del tempo,

vengono esternati nella loro vera consistenza e nella loro realtà,

comunque percepibile.

Il predetto condannato, invero, « ha accettato la condanna come

strumento di espiazione per le colpe riflettenti i reati commessi»;

ha espiato la pena « con coraggio e serenità senza mai lagnar

sene»; ha compiuto «atti di generosità verso detenuti bisogno

si»; ha esternato «la sua riconoscenza per le agevolazioni» ri

cevute; ha riprovato, « con convinzione », i fatti commessi, de

plorando sempre « quelle azioni nel modo più sincero e sen

tito », ricordandole pure « con indicibile angoscia », pregando

«Dio che nulla di simile si ripeta mai più, veramente mai più»;

ha manifestato « il rammarico che gli eventi della guerra abbiano

potuto fare di lui un cieco strumento della tragica vicenda e dei

luttosi fatti », respingendo « nel modo più assoluto le conce

zioni che finirono per travolgere anche lui nei tragici fatti per

i quali fu condannato»; ha fatto «elargizioni, nei limiti delle

sue possibilità, a comitati sorti per l'assistenza alle famiglie delle

vittime degli eccidi » ; ha invocato — pur se la sua invocazione

non fu accolta — il perdono della popolazione di Marzabotto,

« città-martire », la quale, tuttora, attraverso i suoi rappresen

tanti, ricorda e rievoca gli « orrendi crimini » per « non dimenti

care » e per «non perdonare», ma non conserva «nessuna trac

cia di odio né sentimenti di vendetta», come affermato e come

riferito dalla stampa; ha serbato sempre un contegno « esempla

re», «scevro da impronte di esibizionismo e da caratteri di si

mulazione » e accompagnato da un « atteggiamento » sempre

« coerente ed univoco » e da « manifestazioni del suo pensiero »,

sempre contrassegnate da «riserbo e discrezione»; ha dichiara

to che, se si dovesse trovare « in circostanze simili a quelle di

allora », riterrebbe, « da uomo », suo « dovere morale » di evitare

il ripetersi, «anche a costo della sua vita», di fatti analoghi, « proibendo alle truppe di fare rappresaglie contro la popola zione civile inerme come ritorsione per atti vili di civili arma

ti » ; ha riconosciuto, ancora una volta, le proprie responsabilità di allora, essendosi difeso unicamente e soltanto « contro le de

formazioni della verità », perché « accusato anche di fatti dai

quali era stato assolto pienamente»; ha considerato e conside

ra, «come un mezzo di riscatto», quello di aver espiato silenzio

samente nei lunghi anni di detenzione, assieme alle proprie col

pe, anche quelle di ogni altro responsabile «rimasto impunito»; ha considerato e considera « la sofferenza » dei lunghi anni di

carcere « come una via di riscatto per le azioni di allora, sue e

dei suoi uomini, ed anche per quelle di cui altri sono stati re

sponsabili»; nutre «una grande speranza», quella di poter «ave

re la possibilità di recarsi presso le tombe delle sue vittime ad in

vocare il loro perdono e quello dei loro familiari, in nome di

una fede cristiana in cui ardentemente crede». Inoltre, come de

dotto dalla corrispondenza intercorsa con ii prof. Arturo Carlo

Jemolo, il maggiore Reder è divenuto un uomo che, « con tutte

le sue forze e in prima linea », si attacca ai molti valori di ono

re, che sono nella vita del soldato, essendosi sforzato anche di

trasportare questo in un carcere militare ed avendo attuato ciò, come confermato da tutta la sua vita penitenziaria, perché è stato

riconosciuto come « il detenuto-modello » per forma, contegno e disciplina (cosi riferito dal comandante del reclusorio mili tare di Gaeta nel « rapporto informativo » compilato). Lo stesso

condannato, poi, come desunto dalle sue stesse « dichiarazioni », rese al Pretore di Gaeta, è portato « a sentire molto vivamente che la pace, l'amore e la fratellanza umana sono per tutti e in

ogni condizione i valori più alti ».

Tali emergenze — che, per la loro consistenza, per la loro concreta obiettività e per la loro incidenza, hanno valore pro

bante e che, per la ritenuta certezza degli elementi di fatto che

stanno alla base delle valutazioni fatte e dei giudizi espressi, hanno rilevanza determinante — valutate singolarmente e nella

loro concatenazione, logicamente corretta e concludente, assieme

alle altre ulteriori e sempre favorevoli valutazioni e assieme ai

conseguenti giudizi, tutti favorevoli, forniscono certamente una

concreta e completa fonte di convincimento in ordine al de

dotto e ravvisato « sicuro ravvedimento » del condannato. Di

fatti, come è apparso « evidente » al giudice militare di sorve

glianza e come è stato acclarato attraverso l'esame scrupoloso de

gli elementi probatori favorevoli emersi, ritenuti idonei e più che sufficienti a rivelare compiutamente l'attuale personalità del ri chiedente e a comprovare l'avvenuta sua emenda, il lungo pe riodo di detenzione sofferto dal condannato ha assolto piena mente il compito di rieducazione, che è insito. E, come affer mato pure dallo stesso giudice militare di sorveglianza, come evidenziato anche dagli organi preposti alla custodia e alla sor

veglianza di detto detenuto e come dedotto e ritenuto da tutto il suo modo di agire e di pensare, per « induzione » e altresì' per « intuizione », in base ai dati offerti all'esame e alla valuta zione del collegio e agli altri dati di fatto acquisiti, il maggiore Walter Reder ha riacquistato « quei sentimenti, rimasti offu scati a causa della guerra, della rigida disciplina militare tede

sca, della ideologia nazista e della insidiosa propaganda, e, penti tosi, si è emendato completamente dei suoi errori, cosi ravve dendosi ».

Quindi, si può ritenere e si può affermare che tale « ravve dimento » del condannato, « netto, deciso, senza riserve e senza esitazioni », è, senza dubbio, « certo » e sicuro. Si esclude, poi, che sussistano o che possano sussistere « persistenti atteggia menti di autocommiserazione ed autogiustificazione », non rile vati e non rilevabili dai suoi « atteggiamenti esteriori » e per nulla « affioranti » dalle sue « dichiarazioni », dalle sue « affer mazioni » e dalle sue « missive », come, d'altronde, ulterior mente comprovato dalle corrispondenze intercorse con l'on. Giu

seppe Costamagna, con il parroco di Marzabotto, don Angelo Serra, con l'arciprete di Spertico-Marzabotto, don Giorgio Maz zanelli, con la signora Maria Calzolari, superstite di S. Martino, luogo di rappresaglie, con il già citato prof. Arturo Carlo Jemolo di Roma e con il parroco di Sasso Marconi, don Mario Zanini, caratterizzate tutte, nel loro complesso, soltanto da un profondo pentimento morale, dalla precisa volontà di reinserirsi nella so cietà, dalla speranza-desiderio di trascorrere, restituito in patria, gli ultimi anni della sua esistenza, dedito al lavoro e ai contatti con i pochi parenti rimasti, e dalla rinnovata sincera richiesta di perdono da parte dei « superstiti », avanzata ancora una volta, tramite il citato don Dario Zanini, « con tutto il suo dolore » e con struggente « rimorso », anche se il condannato ancora, come risulta, respinge unicamente le inesattezze e le deformazioni della verità accertata.

Gli altri « atteggiamenti », assunti e manifestati dal maggiore Reder, e le indicate « dichiarazioni, affermazioni, missive », fatte e inviate dallo stesso condannato — che il primo giudice ha preso in considerazione, avendoli qualificati, però, semplici « in dizi », affioranti dalle citate dichiarazioni del richiedente e rite nuti « persistenti atteggiamenti di autocommiserazione e di auto

giustificazione », come individuati, ed avendo dato un rilievo, inspiegabilmente ritenuto probante, tale da contrastare gli « ele menti probatori favorevoli », come acquisiti e come ritenuti dallo stesso primo giudice, e tale da non dissolvere il dubbio già espresso nella precedente ordinanza di rigetto — vanno esami nati ulteriormente e devono essere adeguatamente e compiuta mente valutati, nella loro effettiva consistenza e nella loro por tata, per accertare se tali « elementi-indizi » abbiano qualche fondamento, siano confortati da adeguati e validi riscontri obiet tivi ed abbiano un qualsiasi effettivo valore probante oppure se

gli stessi, invece, siano stati e restino semplici deduzioni sogget tive o pure «supposizioni», fatte sul significato di alcune frasi, contenute nelle dichiarazioni rese dal condannato e prese in con

siderazione, non in tutto il contesto del pensiero come espresso, ma nel limitato e parziale loro significato, di per sé non chiaro ed equivoco. Infatti, la frase contenuta nella dichiarazione resa dal maggiore Reder al giudice militare di sorveglianza nel luglio 1978 (« proibendo alle truppe di fare rappresaglie contro la po polazione civile inerme come ritorsione per atti vili di civili ar

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GIURISPRUDENZA PENALE

mati »), per quanto concerne l'ultima parte, non è indicativa e non ha quel preciso significato di « condanna ai valori della re

sistenza », attribuito dal primo giudice — il quale ha visto,

nell'aggiunta finale, enucleata dal contesto e considerata separa tamente, una condanna morale dell'attività della resistenza, in

quanto il condannato, a dire dello stesso primo giudice, ancora

« non riesce a vedere degli avversari disperati e privi di sup

porto logistico assicurante distintivi ed uniformi », ma soltanto

dei « civili armati », e in quanto tuttora manifesta « una repres sa, ma non del tutto eliminata, convinzione che la ritenuta illi

ceità e slealtà del comportamento avversario possa (o potesse al

lora) giustificare una ritorsione sotto forma di rappresaglia con

tro i civili non armati » — perché detta frase, esaminata com

piutamente, nella sua interezza e nel suo vero e solo signifi cato, ha manifestato e manifesta unicamente il proposito di non

eseguire, nella ipotesi formulata e deprecata, « a costo della sua

vita », per le conseguenze derivanti da una omessa « obbedien za », gli ordini ricevuti e di proibire qualsiasi azione di rappre

saglia contro la popolazione civile inerme, anche se ordinata co

me ritorsione per azioni compiute da « civili armati » e per « atti vili ». I partigiani italiani — che parteciparono attiva

mente ed eroicamente alla guerra di liberazione e che esalta

rono, con il loro eroismo e, talora o anche spesso, con il sa

crificio della loro vita, i valori, ormai imperituri, della resi

stenza — in effetti, secondo « le regole del diritto internazionale,

applicabili nei conflitti armati », non erano talora « legittimi bel

ligeranti », ma erano « civili armati », in quanto, in base al re

golamento della li convenzione dell'Aja del 29 luglio 1899, in

base alla convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929 ed anche

in base alla stessa « legge di guerra e di neutralità italiana »,

approvata con r. d. 8 luglio 1938 n. 1415 — come confermato

pure dalla convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, ratificata

dall'Italia con legge 27 ottobre 1951 n. 1739 — le «bande ar

mate », formatesi spontaneamente fra individui desiderosi di par

tecipare alla lotta armata, per divenire « legittimi belligeranti »,

dovevano e devono avere alla loro testa una persona responsa bile per i subordinati, dovevano e devono avere un segno distin

tivo fisso e riconoscibile a distanza, dovevano e devono portare

apertamente le armi, dovevano e devono conformarsi alle leggi e agli usi della guerra. D'altra parte, dette « bande armate », al

pari dei «legittimi belligeranti», cosi come previsto dalle norme

di diritto internazionale bellico e dallo stesso codice penale mili

tare di guerra, potevano violare o possono aver violato le nor

me di diritto bellico, commettendo od avendo commesso, anche

loro « reati contro le leggi e gli usi della guerra » o, comunque, atti illeciti, ritenuti «atti vili» e catalogati come «perfidi», ai sensi dell'art. 37, titolo III del I protocollo aggiuntivo alle

convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, allorché le loro azio

ni erano o potevano essere proditorie e criminose. La stessa fra

se, oltre tutto, esaminata e considerata sempre nel suo vero si

gnificato — specialmente in considerazione che essa fu dettata

da un condannato che aveva chiesto la liberazione condizionale

e in considerazione che la stessa fu trascritta in un atto desti

nato ad essere analizzato per l'ammissione all'invocato benefi

cio — non poteva e non può significare che il condannato ri

chiedente abbia inteso adombrare o abbia potuto dissimulare,

come autogiustificazione, la liceità delle rappresaglie cruenti, a

suo tempo eseguite dal suo reparto ed ognora da lui deplorate e deprecate. Una simile interpretazione, del tutto soggettiva e so

stanzialmente arbitraria, in fondo, manca di un qualsiasi riscon

tro obiettivo ed è anche esclusa, in modo evidente, dallo stesso

significato, non equivoco, dell'intera frase, che la comprende e

la spiega e che è stata formulata, in definitiva, al solo scopo di

« criticare, aborrire, deplorare », ancora una volta e con quelle

espressioni, i crimini commessi. Si esclude, inoltre, che lo stesso

condannato, a parte il vero ed unico significato della frase, come

sopra precisato, non abbia voluto manifestare pure, rispetto ad

una «massima provocazione», messa in atto da «civili armati»,

«il ripudio della rappresaglia come mezzo di lotta», perché tale

interpretazione, anch'essa del tutto soggettiva, non trova alcuna

corrispondenza con il contenuto della frase stessa, come analiz

zato. L'altra considerazione finale, contenuta nell'altra frase det

tata dallo stesso maggiore Reder, relativa alla lunga sua espia

zione, ritenuta da lui come un « mezzo di riscatto non solo delle

sue responsabilità, ma anche di ogni altro responsabile, rimasto

impunito », poi, non tradisce in alcun modo e non manifesta per

nulla una « forma di autocompatimento », perché « l'esame stili

stico e logico della frase», come esattamente evidenziato dallo

stesso procuratore generale militare della Repubblica presso il

Tribunale supremo militare, nella sua requisitoria scritta, « non consente di condividere l'opinione dell'ordinanza » annullata, in

quanto le ultime parole, per nulla «superflue», non sono una

espressione di autocompatimento, ma la pura e semplice rappre sentazione di una realtà accertata, giacché, a suo tempo, non fu

rono perseguiti i concorrenti, esecutori materiali delle stragi, ri

masti ignoti, né furono perseguiti gli autori delle altre più gravi e più numerose « uccisioni », attribuite tutte al maggiore Reder e per le quali egli fu assolto con la formula più ampia, rima

sti, anche loro, ignoti, e giacché non si ha alcun riscontro, nella motivazione della sentenza di condanna pronunciata, con l'at

teggiamento assunto dallo stesso maggiore Reder nei confronti dei suoi corresponsabili e nei confronti di altri responsabili. La

protesta espressa dallo stesso condannato contro « la tendenza »

ad attribuire a lui altre responsabilità, escluse, invece, dalla sen

tenza di condanna — tuttora perdurante, anche se per esacrare

l'orrenda strage di « 1836 » persone, compiuta in Marzabotto e attribuita, nel complesso, al Reder, responsabile, invece, come

accertato, della uccisione di sole circa « 600 » persone in tut

to — ancora, non contrasta la sua offerta di espiazione per il

riscatto di responsabilità altrui, perché da ciò non può dedursi

logicamente che il condannato tuttora « non sappia uscire dal

suo reato » per il solo fatto che egli, pur accettando « di essere

solo ad espiare, anche se non fu solo ad operare», umanamente

e giuridicamente respinge giustamente la paternità dei fatti de

littuosi non commessi, ancor più numerosi e ancor più mostruo si di quelli da lui commessi, e « non vuole entrare nei reati degli altri ». Il raffronto fatto dallo stesso condannato tra la sua situa

zione e quella di altri grandi criminali di guerra, restituiti da

tempo alla libertà, infine, non indica una ulteriore forma di ste

rile autocompatimento, ma evidenzia solamente, nel contesto del

la richiesta avanzata per essere ammesso alla liberazione condi

zionale, un richiamo apprezzabile umanamente e incidente giuri dicamente, al criterio della proporzionalità, che necessariamente

deve essere tenuto presente dal giudice nel decidere sull'ammis

sione o beno al beneficio invocato.

Ora, lasciando da parte i presunti « indizi » e le addotte « supposizioni », che sono stati travolti tutti dall'esame critico

condotto, non è emerso, in verità, alcun elemento negativo che

possa inficiare o sminuire le prove favorevoli emerse ed acqui site e che possa escludere in qualche modo l'avvenuto « sicuro

ravvedimento » del condannato, come accertato, o anche sol tanto contrastare, con pari forza probante, gli elementi proba tori favorevoli esaminati, vagliati e ritenuti, i quali sono vera mente « favorevoli in modo coralmente univoco », per esclude re la sussistenza del sicuro ravvedimento o per far dubitare

della sussistenza di tale fondamentale e determinante requi sito.

Gli elementi probatori favorevoli acquisiti ed evidenziati in

ordine al « sicuro ravvedimento » del maggiore Walter Reder,

quindi, rimangono tali, nella loro integrità e nel loro valore

probante. Essi, invero, non sono svalutati, in tutto o in parte, né sono contrastati per nulla da altri elementi negativi, che, come già precisato e come già ritenuto, non sussistono: infatti, non sono emersi fatti certi, giuridicamente accertati e precisa bili nella loro esatta consistenza, di tale portata, univoca e con

cludente, da assurgere a dignità di prova e tali, in base ad una

valutazione complessiva, fondata su una logica coordinazio

ne dei vari elementi, da contrastare gli elementi di fatto che

stanno alla base dell'indicato convincimento.

Gli stessi elementi probatori favorevoli, poi, validi in sé, in

quanto multiformi, riferiti ad un cospicuo numero di anni, pro venienti da fonti di cognizione diverse e numerose, succedutesi

nel tempo, tutte concordanti e del tutto disinteressate, come

acquisite e dedotte, attraverso i continui contatti e attraverso

la continua osservazione, da elementi di fatto certi, hanno, d'al

tra parte, obiettivo e preciso riscontro nel contenuto delle di

chiarazioni rese dal condannato nel corso delle varie procedure incidentali ed anche nel contenuto delle corrispondenze da lui

coltivate e intercorse, in tempi diversi e non sospetti, con di

verse personalità, con sacerdoti del luogo in cui furono con

sumate le stragi ed anche con qualche superstite degli eccidi,

che trovansi acquisite in atti e che, veramente indicative, sono

Il Foro Italiano — 1981 — Parte 11-b.

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PARTE SECONDA

caratterizzate da manifesta sincerità e non sono per nulla pre ordinate.

D'altronde, gli interrogativi che il pubblico ministero si è

posti nella sua requisitoria scritta e le altre osservazioni che lo

stesso magistrato militare ha fatto in essa per rilevare, nel com

portamento del maggiore Reder, la mancanza di « manifesta

zioni palesi di solidarietà sociale t del fattivo intendimento di

riparare alle conseguenze dannose » del suo operato, nonché

l'additata presunta assenza di un qualsiasi « elemento concre

to ed obiettivo della di lui risocializzazione », che « potrebbe essere costituito, tra l'altro, pur nei limiti impostigli dallo

stato di detenzione, da iniziative intraprese nell'interesse delle

famiglie delle vittime, ovvero da indicazioni serie ed attendi

bili su quanto sarebbe egli disposto a fare in favore delle sue

vittime, ove eventualmente restituito allo stato di libertà », si

appalesano e risultano essere mere considerazioni soggettive, avulse da una concreta realtà acquisita e, in particolare, da

quanto emerso, da quanto accertato e da quanto ritenuto, come

già evidenziato, e non trovano alcun conforto e alcun riscon

tro nelle indicate emergenze. Infatti, il maggiore Reder, al con

trario, durante il tempo di esecuzione della pena, ha posto in

luce « sentimenti d'umana solidarietà e di altruismo », perché ha compiuto « atti di generosità verso detenuti bisognosi » e ha

fatto « elargizioni, nei limiti delle sue possibilità, a comitati

sorti per l'assistenza alle famiglie delle vittime degli eccidi »; sono dileguati in lui « i segni della bestialità dell'uomo contro

il proprio simile », perché « ha accettato la condanna come

strumento di espiazione per le colpe riflettenti i reati commessi »

e iha espiato la pena « con coraggio e serenità senza mai lagnar sene », riprovando sempre « quelle azioni nel modo più sin

cero e sentito », ricordandole « con indicibile angoscia », chie

dendo perdono « alla popolazione di Marzabotto », con ila let

tera inviata al sindaco della « città-martire », ed anche a tutti

i « superstiti », con la lettera inviata a don Dario Zanini, pre

gando « Dio che nulla di simile si ripeta mai più, veramente

mai più » e manifestando ognora « il rammarico che gli eventi

della guerra abbiano potuto fare di lui un cieco strumento della

tragica vicenda e dei luttuosi fatti »; si è spento in lui « l'atteg

giamento semantico di razzismo e di odio », perché ha respinto definitivamente « nel modo più assoluto le concezioni che fini

rono per travolgere anche lui nei tragici fatti per i quali fu

condannato »; ha manifestato pure palesemente « solidarietà so

ciale e fattivo intendimento di riparare le conseguenze danno

se » del suo operato, perché, come sopra evidenziato, ha com

piuto « atti di generosità » ed « elargizioni »; ha dimostrato

vera « risocializzazione », perché ha coltivato e intende colti

vare ulteriormente rapporti con i sacerdoti di Marzabotto, di

Sparticano e di Sasso Marconi per rendere palese, e rendendo

palese, positivamente e direttamente, i propri intimi sentimenti

di commossa e struggente riverenza verso le vittime, per ester

nare, ed esternando, la speranza di poter essere ammesso, un

giorno, a pregare sulle loro tombe e per confermare, e confer

mando, anche in prospettiva, attraverso i contatti avuti con stranieri e con parenti italiani acquisiti, attraverso la dichiarata

sua apoliticità, attraverso l'indicato intendimento di dedicarsi

solamente ad un'attività lavorativa, allo studio di discipline con

geniali e agli affetti dei pochi parenti rimasti, di aver supe rato definitivamente e totalmente ogni impostazione intellet tuale e sentimentale, avente carattere nazionalistico.

Le emergenze tutte, quindi, comprovano, in modo certo e

completo, anche la sussistenza della terza condizione, richiesta

dal citato art. 176 cod. pen. per poter concedere al predetto condannato richiedente la liberazione condizionale.

È rimasto accertato, infatti, che il maggiore Walter Reder, condannato alla pena complessiva dell'ergastolo, ha effettiva mente scontato oltre ventotto anni di pena (trentacinque anni, due mesi e cinque giorni, sino ad oggi), ha dimostrato di tro

varsi nella impossibilità di adempiere le obbligazioni civili de

rivanti dai reati commessi e ha tenuto, durante il tempo di ese cuzione della pena, un comportamento tale da far ritenere, in

tutta coscienza e nella doverosa e sofferta, non fredda, appli cazione della legge, « sicuro » il suo « ravvedimento ».

11 collegio, pertanto, accertata e ritenuta la sussistenza di tutte le condizioni poste dalla indicata norma per l'ammissione al be neficio invocato dal maggiore Walter Reder, condannato alla pe na complessiva dell'ergastolo e detenuto in espiazione di pena nel reclusorio militare di Gaeta, in accoglimento della istanza di

liberazione condizionale, da lui inoltrata al Tribunale militare ter ritoriale di La Spezia in data 26 aprile 1978 ed esaminata da

questo tribunale militare territoriale in sede di rinvio e per la intervenuta rimessione degli atti per motivi di ordine pubblico, ammette detto condannato al citato beneficio della liberazione

condizionale, disponendo, di conseguenza, la sua immediata scar

cerazione, se non detenuto per altra causa.

Il collegio, poi, per effetto dell'accordata ammissione al citato beneficio e in applicazione degli art. 228, 5° comma, e 230, 1°

comma, n. 2, cod. pen., ordina che lo stesso maggiore Walter

Reder, anche se trattasi di uno straniero che si trova nel ter ritorio dello Stato e anche se, nei suoi confronti, potrebbe essere disposta, a norma delle leggi di pubblica sicurezza, la di lui espulsione dal territorio dello Stato (art. 200, 3° e 4a com

ma, cod. pen.), sia sottoposto alla misura di sicurezza non de tentiva della libertà vigilata per una durata non inferiore ad un

anno. Difatti, non può essere accolta la richiesta, formulata dai difensori del richiedente, di applicare, in questa sede, al con dannato ammesso alla liberazione condizionale, la misura di sicu

rezza non detentiva della « espulsione dello straniero dallo Sta

to», prevista dall'art. 235, 1" comma, cod. pen., «quando lo stra niero sia condannato alla reclusione per un tempo non inferiore

a dieci anni », perché, nella fattispecie, l'unica misura di sicurez za applicabile, che si deve applicare obbligatoriamente, è la « li bertà vigilata», come espressamente contemplato e disposto dal citato art. 230, 1° comma, n. 2, cod. pen., in relazione all'art. 199 stesso cod. pen. e in relazione pure all'art. 25, ultimo comma, della Costituzione della Repubblica italiana. Non soccorre, d'altra parte, la presunta e addotta « ineseguibilità » della libertà vigilata nei confronti di un prigioniero di guerra, equiparato, agli effetti del l'art. 76 cod. pen. mil. pace e a norma dell'art. 12 cod. pen. mil.

guerra, al militare italiano, perché, in effetti, il maggiore Wal ter Reder, — pur se, nell'ipotesi prevista dall'indicato art. 76, 1°

comma, cod. pen. mil. pace, le misure di sicurezza ordinate in ap

plicazione della legge penale comune o della legge penale militare, tranne quelle espressamente escluse, sono sospese (ma non sono « ineseguibili ») « durante il servizio alle armi » e pur se lo stesso

ufficiale, per la sua condizione di prigioniero di guerra, deve es sere considerato in servizio alle armi — è semplicemente un mi litare assente dal servizio per espiazione di pena comune perpe tua, ancora non estinta, anche se, con il provvedimento odierno, è intervenuta la concessione della liberazione condizionale, poi ché non è decorso il periodo necessario, previsto dalla legge, per la dichiarazione della causa estintiva contemplata.

Il collegio, inoltre, giacché il maggiore Walter Reder è un uf ficiale superiore, appartenente, al momento della sua cattura, al le forze armate tedesche, ed è, quindi, un prigioniero di guerra, che — come stabilito dalle norme di carattere generale sul trat tamento dei prigionieri di guerra, fissate nella convenzione di Gi

nevra del 27 luglio 1929 (resa esecutiva in Italia con r. d. 23 ot tobre 1930 n. 1165, e ratificata dall'Italia il 24 marzo 1931), fis

sate pure nella « legge di guerra » citata, di cui al r. d. 8 luglio 1938 n. 1415, e fissate anche nella convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, relativa sempre al trattamento dei prigionieri di

guerra (resa esecutiva in Italia con legge 27 ottobre 1951 n. 1739, e ratificata dall'Italia il 17 dicembre 1951) —, avrebbe dovuto essere liberato e rimpatriato al più presto possibile al termine

delle ostilità (art. 118, 1° comma, della citata convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 e art. 20 dei regolamenti del 1899 e del 1907 relativi alle convenzioni citate) e che, invece, non fu

restituito e fu ritenuto, alla data della dichiarata cessazione dello stato di guerra (15 aprile 1946: art. 1 del d. 1.1. 8 febbraio 1946 n. 49), prima, perché sottoposto a procedimento penale per « reati contro le leggi e gli usi della guerra », commessi nel

territorio dello Stato italiano e a danno di cittadini italiani, e, successivamente, divenuta irrevocabile la sentenza di con danna pronunciata nei suoi confronti (16 marzo 1954), perché in espiazione di pena (art. 13 cod. pen. mil. guerra e 119, 5° e 6° comma, della stessa convenzione di Ginevra del 12

agosto 1949: « jusqu'à la fin de la procédure et, le cas échéant,

jusqu'à l'expiration de la peine »), dispone, in applicazione del l'art. 22 della richiamata convenzione di Ginevra del 12 ago sto 1949 e come pure imposto dalla disposizione di cui al

l'art. 5, n. 4 — titolo II —, del protocollo li aggiuntivo alle

convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, firmato dall'Italia ed entrato in vigore il 7 dicembre 1978 — la quale stabilisce

che, « se viene deciso di rimettere in libertà persone che ne era

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GIURISPRUDENZA PENALE

no state private » per motivi connessi con il conflitto armato, siano esse internate o detenute (art. 5, n. 1, dello stesso titolo e dello stesso protocollo, sopra indicati), « gli autori della decisione

prenderanno i provvedimenti necessari per garantire la sicurez za delle persone stesse » — che detto prigioniero di guerra, scar cerato in conseguenza della concessa liberazione condizionale, sia

trattenuto, nel suo interesse, nello stesso stabilimento militare in

cui attualmente si trova, quale internato, per un periodo di cin

que anni, a decorrere da oggi, sino a quando, decorso favorevol

mente il periodo di esperimento richiesto dalla legge, la pena a

lui inflitta rimarrà estinta. Infatti la pena dell'ergastolo, inflitta

al maggiore Walter Reder, a norma del capoverso dell'art. 177

cod. pen., rimarrà estinta, decorsi cinque anni dalla data

del provvedimento di liberazione condizionale, senza che sia in

tervenuta alcuna causa di revoca, perché trattasi di condannato

all'ergastolo. Detto ufficiale superiore, poi, è sempre un prigionie ro di guerra, che ha uno status particolare, riconosciuto dalle

norme di diritto internazionale e tuttora sussistente (citata con

venzione di -Ginevra del 27 luglio 1929 e art. 99, 1° comma,

del citato r. d. 8 luglio 1938 n. 1415).

Nel caso in esame, inoltre, si ravvisa il motivo che giustifica

e che impone detto provvedimento (seconda parte del citato art.

22 della indicata convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949:

« sauf dans des cas spéciaux justifiés par l'intérèt des prisonniers

eux-mémes, ceux-ci ne seront pas internés dans des pénitenciers »).

Il collegio, infine, reputa opportuno evidenziare che la misura

di sicurezza, — la quale è stata ordinata a tempo indeterminato,

a norma dell'art. 205, 1° e T comma, n. 3, cod. pen., perché i termini temporali da fissare e le necessarie prescrizioni rela

tive alla libertà vigilata sono riservati al giudice militare di

sorveglianza — e il provvedimento d'internamento, come di

sposti, lasciano salva, cosi come previsto dal citato art. 115, 2°

comma, della indicata convenzione di Ginevra del 12 agosto

1949 (« les prisonniers de guerre poursuivis ou condamnés ju

diciairement, qui seraint prévus pour le rapatriement ou l'hospi

talisation en pays neutre, pourront bénéficier de ces mesures

avant la fin de la procédure ou de l'exécution de la peine, si'

la puissance détentrice y consent »), la possibilità, da parte del

l'autorità governativa, di adottare provvedimenti in favore del

predetto prigioniero di guerra, ancor prima che sia stata ese

guita la misura di sicurezza ordinata e ancor prima che sia in

tervenuta la indicata causa di estinzione della pena, secondo le

convenzioni internazionali vigenti. Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI MANDURIA; sentenza 4 novembre 1980; Giud.

Genoviva; imp. Fusco. PRETURA DI MANDURIA;

Alimenti e bevande — Fecce solide — Omessa denuncia (D. pres.

12 febbraio 1965 n. 162, norme sulla repressione delle frodi

nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini e aceti,

art. 39; legge 18 marzo 1968 n. 498, modifiche e integrazioni al

d.pres. 12 febbraio 1965 n. 162, art. 11; legge 9 ottobre 1970

n. 739, modifiche al d. pres. 12 febbraio 1965 n. 162, art. 13).

L'art. 39 d. pres. 12 febbraio i1965 n. 162, nell'imporre all'im

prenditore l'obbligo di denaturare con la sostanza rivelatrice

e di denunziare all'istituto di vigilanza le fecce ed i prodotti

vinosi ottenuti da torchiature aventi comunque composizione

anomala, si riferisce ad ogni tipo di feccia solida e non sol

tanto a quelle ottenute da torchiature anomale. (1)

(1) Questione nuova, su cui non constano precedenti specifici.

Per riferimenti v. Cass. 17 ottobre 1975, Santonio, Foro it., Rep.

1977, voce Alimenti e bevande, nn. 136, 137, secondo cui l'art. 39

d. pres. 12 febbraio 1965 n. 162 configura un reato di pericolo, im

ponendo l'osservanza di specifiche prescrizioni dirette a prevenire e

ad escludere la possibilità di un impiego delle fecce vinose diverso da

quello consentito; Cass. 6 febbraio 1976, Peretti, id., Rep. 1976, voce

cit., n. 122, secondo cui, benché l'art. 39 cit. concerna la sola deten

zione di fecce solide, prescrivendo l'obbligo dell'immediata denuncia al

l'istituto sperimentale per la viticoltura, qualora le fecce liquide con

la denaturazione acquistino le caratteristiche delle fecce solide ed

identica destinazione, l'obbligo della immediata denuncia deve rite

nersi esteso anche alla detenzione di tali fecce; Cass. 9 maggio 1975,

Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Si procedei a carico di Fu sco Antonio in ordine al reato di cui in rubrica a seguito di rap

porto del servizio repressione frodi di Bari del 13 ottobre 1978.

All'udienza del 28 ottobre 1980, veniva interrogato l'imputato e sentiti i testi Di Martino Umberto, verbalizzante, e Ponzillo

Pasquale. Alla successiva udienza del 4 novembre 1980, sentiti

p. m. e difensori, il pretore decideva come da dispositivo in atti.

Preliminarmente va ribadita l'attuale vigenza nel nostro ordi

namento del d. pres. 12 febbraio 1965 n. 162, modificato dalla

legge 18 marzo 1968 n. 498 e dalla legge 9 ottobre 1970 n. 739, ed in particolare dell'art. 39 del citato d. pres., che qui ci occupa.

Infatti, le norme dei regolamenti CEE in materia, come ha

recentemente affermato la Corte di cassazione (sent. 15 dicembre

1978, Azzetti, Foro it., Rep. 1979, voce Alimenti e bevande, n.

16), hanno la finalità di assicurare l'uniformità legislativa tra gli Stati membri, avendo riguardo al mercato vitivinicolo, cosicché è da escludere ogni disciplina della diversa materia della repres sione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei vini nei

singoli paesi comunitari, materia che resta riservata all'autonoma e

sovrana regolamentazione dei singoli Stati. Ora, se si esamina

l'art. 39 d. pres. 12 febbraio 1965 n. 162, ci si può facilmente

rendere conto che lo stesso configura una tipica ipotesi di reato

di pericolo. La ratio della disposizione è chiara: mediante l'ob

bligo, imposto al produttore, di denaturare con la sostanza ri

velatrice e denunziare all'istituto di vigilanza le fecce ed i pro dotti vinosi ottenuti da torchiature anomale si vuole impedire che da tali sostanze venga ottenuto un vino non genuino, da im

mettere poi sul mercato.

Veniamo ora all'interpretazione dell'art. 39: si sostiene, da par te della difesa del Fusco, che tale norma riguarderebbe solo le

fecce aventi composizione anomala e quindi non tutte le fecce

solide. La tesi, sebbene ingegnosa, è di quelle che non reggono ad

accorta analisi grammaticale e logica della norma. SE infatti evi

dente che il T comma del citato art. 39 riguarda tutte le fecce

solide, oltre ai prodotti vinosi ottenuti da torchiature aventi co

munque composizione anomala, quali i sopratorchiati e gli ultra

torchiati di vinaccia e di fecce. Tant'è vero che lo stesso articolo, al 5° e 6° comma, distinguendo le fecce solide da quelle liquide o semiliquide, per queste ultime impone la denaturazione prima del trasferimento alle distillerie. Sicché, interpetando il 2° comma

dell'art. 39 nel senso voluto dalla difesa dell'imputato, si arrive

rebbe all'assurdo che le fecce solide non ottenute da torchiature

anomale non andrebbero né denaturate né denunziate, mentre tut

te le fecce liquide andrebbero denaturate. La conseguenza sa

rebbe veramente aberrante e pericolosissima per la salute pub

blica, perché in tal modo le fecce solide uscirebbero dalla sfera

di ogni possibile controllo, potendo essere facilmente reimpiegate nella vinificazione. La ratio della norma, come ci si è sforzati di

illustrare sopra, va invece proprio nell'opposta direzione, poiché

attraverso l'imposizione dell'obbligo di denaturare e denunziare

tutte le fecce solide all'atto dell'ottenimento si vuole proprio im

pedire che si ricavi vino dalle fecce. Tant'è vero che l'8° comma

dell'art. 39 afferma categoricamente che « i prodotti di cui al se

condo comma e le fecce liquide o semiliquide ... devono essere

destinati esclusivamente alla distillazione o alla estrazione del tar

trato ».

Ancora una volta la distinzione, per quanto riguarda le fec

ce, è duplice e non triplice: da un lato tutte le fecce solide,

dall'altro quelle liquide o semiliquide: tertium non datur.

Del resto la stessa Corte di cassazione, con giurisprudenza as

solutamente costante (sent. 20 ottobre 1971, Fait, id., Rep. 1972,

voce cit-, n. Ili; 9 maggio 1975, Lasarà, id., Rep. 1976, voce

cit., n. 117; 6 febbraio 1976, Peretti, ibid., n. 12), ha più volte

Cassala, ibid., n. 117, secondo cui dall'art. 39 cit. è dato desumere

che, per evitare frodi e sofisticazioni e per il controllo dei prodotti

della distillazione, il trasferimento dagli stabilimenti vinicoli e dalle

cantine delle fecce di qualsiasi natura, sia solide sia liquide, sia

semiliquide, ottenute dalla pigiatura, torchiatura e ultratorchiatura

dell'uva delle vinacce o delle fecce, deve essere denunciato all'isti

tuto di vigilanza con lettera raccomandata contenente l'indicazione

del nominativo e dell'indirizzo del destinatario, nonché l'indirizzo

dello stabilimento ricevente, la quantità e qualità del prodotto; Cass.

20 ottobre 1971, Fait, id., Rep. 1972, voce cit., nn. Ili, 112, se

condo cui l'art. 39 cit. configura un reato di pericolo, imponendo

l'osservanza di prescrizioni destinate a prevenire e ad escludere la

possibilità di un impiego delle fecce vinose diverso da quello con

sentito.

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