ordinanza 14 ottobre 1998; Pres. Ingargiola, Rel. Balsamo; ric. PanzecaSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 355/356-357/358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193513 .
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PARTE SECONDA
TRIBUNALE DI PALERMO; ordinanza 14 ottobre 1998; Pres.
Ingargiola, Rei. Balsamo; ric. Panzeca.
Misure cautelari personali — Computo dei termini di durata — Contestazione «a catena» — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 297).
Nel caso in cui, per effetto della declaratoria di incompetenza da parte del giudice del dibattimento, il procedimento penale
regredisca alla fase delle indagini preliminari, ai fini dell'indi viduazione del limite temporale entro cui deve realizzarsi la
desumibilità dagli atti dei reati connessi, presi in considera
zione da una seconda ordinanza coercitiva, deve farsi riferi mento all'originario decreto che aveva disposto il giudizio per il fatto connesso (che aveva formato oggetto della prima or
dinanza custodiale) e non al provvedimento di analogo conte
nuto successivamente emesso. (1)
(Omissis). Ciò posto, osserva il collegio che l'appello non può trovare accoglimento, poiché non ricorrono, nel caso in esame, i presupposti cui è subordinata l'applicabilità della disciplina
prevista dall'art. 297, 3° comma, c.p.p. In proposito, occorre premettere che l'ambito di operatività
di tale disposizione risulta sensibilmente ampliato a seguito del
la modificazione del dettato normativo compiuta con l'art. 12
1. 8 agosto 1995 n. 332.
Le regole contenute nel testo originario erano, infatti, esplici tamente riferite alla sola ipotesi in cui per uno stesso fatto, ben
ché diversamente circostanziato o qualificato, fosse stata emes
sa una pluralità di ordinanze applicative della medesima misura
cautelare.
Tuttavia il prevalente orientamento giurisprudenziale aveva
riconosciuto la configurabilità dei fenomeno della contestazione
a catena, disciplinato dall'art. 297, 3° comma, c.p.p., anche
con riferimento al caso in cui nei confronti del medesimo sog
getto fosse stato emesso un ulteriore provvedimento restrittivo
della libertà per fatti già acquisiti agli atti al momento dell'e
missione della prima ordinanza applicativa della misura caute
lare (v., per tutte, Cass. 1° dicembre 1993, Prete, Foro it., Rep.
1994, voce Misure cautelari personali, n. 356; 15 aprile 1991,
Falanga, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 358, 359). Si era quindi affermato che, qualora la reiterazione delle con
testazioni derivasse da colpevole inerzia del requirente nella ve
rifica della sussistenza o della consistenza degli indizi in ordine
ai fatti per ultimi contestati, la decorrenza dei termini di custo
dia cautelare doveva avere inizio dalla data di esecuzione del
primo provvedimento restrittivo della libertà (cfr. Cass. 31 gen
(1) Non constano precedenti giurisprudenziali editi. In generale, sul l'art. 297, 3" comma, c.p.p., quale modificato dall'art. 12, 1° comma, 1. 8 agosto 1995 n. 332, v., in dottrina, Ambrosoli, in AA.VV., Nuove norme sulle misure cautelari e sul diritto di difesa a cura di Amodio, Milano, 1996, 60; Bargis, Commento all'art. 12 l. 8 agosto 1995 n.
332, in Legislazione pen., 1995, 686; Conti, La radiografia della nuova normativa su misure cautelari e diritto di difesa, in Guida al dir., 1995, fase. 33, 53; D'Ambrosio, La riforma dell'8 agosto 1995, in Dir. pen. e proc., 1995, 1157; Grevi, Il nuovo art. 297, 3° comma, c.p.p., di
fronte alla Corte costituzionale: una sentenza deludente ed elusiva, in Gazzetta giuridica, 1996, fase. 19, 4; Kalb, in Codice di procedura pe nale commentato a cura di Giarda e Spangher, Milano, 1997, III, 1159, sub art. 297; Scella, Commento all'art. 12 l. 8 agosto 1995 n.
332, in AA.VV., Modifiche al codice di procedura penale. Nuovi diritti della difesa e riforma della custodia cautelare, Padova, 1995, 158; Id., La disciplina delle contestazioni a catena tra sospetti di incostituzionali tà e discrezionalità del legislatore, in Dir. pen. e proc., 1996, 838.
Cass., sez. un., 25 giugno 1997, Atene, richiamata in motivazione
(Foro it., 1997, II, 593, con nota di richiami), ha statuito che il divieto della c.d. contestazione «a catena», previsto dall'art. 297, 3° comma, c.p.p., trova applicazione anche nell'ipotesi in cui le plurime ordinanze coercitive per reati connessi siano emesse nell'ambito di distinti proce dimenti, con l'unico limite dettato dal criterio della desumibilità dagli atti.
Corte cost. 28 marzo 1996, n. 89, pure richiamata in motivazione
(id., Rep. 1996, voce Misure cautelari personali, nn. 314, 315), ha rico nosciuto la legittimità costituzionale dell'art. 297, 3° comma, c.p.p. in relazione ad una questione sollevata dal Tribunale di Milano (G.i.p. Trib. Milano, ord. 13 settembre 1995, id., 1995, II, 733).
Il Foro Italiano — 1999.
naio 1994, Loiero, id., Rep. 1994, voce cit., n. 415; 2 dicembre
1991, Belfiore, id., Rep. 1992, voce Libertà personale dell'im
putato, n. 3). Era stato, invece, escluso che ricorresse l'ipotesi della conte
stazione a catena laddove si fosse in presenza di una pluralità di fatti delittuosi, formanti oggetto di separati provvedimenti restrittivi emessi in successione tra loro, e non vi fossero ele
menti per affermare in modo incontestabile che gli indizi origi nariamente a disposizione dell'autorità giudiziaria fossero già tali da consentire l'emissione di un unico provvedimento caute
lare (v. Cass. 1° dicembre 1993, Prete, cit.; 22 dicembre 1992,
Morales, id., Rep. 1993, voce Misure cautelari personali, n. 408; 25 febbraio 1992, Mazzuoccolo, ibid., n. 411).
Il nuovo testo dell'art. 297, 3° comma, c.p.p. ha espressa mente esteso l'ambito del fenomeno della contestazione a cate
na all'ipotesi in cui le ordinanze che dispongono la medesima
misura riguardino fatti diversi, purché gli stessi siano stati rea
lizzati anteriormente all'emissione della prima ordinanza e ri
sultino connessi per la conflgurabilità del concorso formale, della
continuazione o del nesso teleologico, stabilendo che in presen za di tale situazione i termini di durata della misura decorrono
dal giorno in cui è stata eseguita la prima ordinanza e vanno
commisurati all'imputazione più grave. Il legislatore ha inoltre subordinato l'applicabilità della disci
plina in esame alla circostanza che i fatti diversi, legati dai pre visti vincoli di connessione, siano desumibili dagli atti prima che sia disposto il rinvio a giudizio per il fatto costituente og
getto dell'originaria ordinanza cautelare.
La Suprema corte (Cass., sez. un., 25 giugno 1997, Atene,
id., 1997, II, 593) ha evidenziato che la regola, posta dall'art.
297, 3° comma, c.p.p., della retrodatazione della misura caute
lare applicata successivamente ad altra di identico tipo, nei con
fronti dello stesso soggetto ed in relazione al medesimo fatto
o a fatti diversi purché commessi anteriormente alla prima ordi
nanza e caratterizzati da connessione procedimentale, si applica anche a situazioni cautelari relative a procedimenti diversi; resta
esclusa l'applicabilità di tale regola quando la nuova misura
è stata adottata per un fatto connesso a quello del procedimen to per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio, ma non
desumibile dagli atti prima del rinvio stesso.
La suddetta pronunzia delle sezioni unite ha chiarito che la
desumibilità dagli atti deve risalire ad epoca anteriore al dispo sto rinvio a giudizio ai fini dell'applicazione dell'art. 297, 3°
comma, secondo periodo, c.p.p., e ad epoca anteriore all'emis
sione della prima ordinanza cautelare ai fini dell'applicazione del primo periodo della stessa norma. Ha altresì specificato che
non è sufficiente che entro i limiti temporali di cui al primo ed al secondo periodo del 3° comma dell'art. 297 c.p.p. sia
stata acquisita la mera notizia del fatto-reato, essendo invece
indispensabile che sussista il quadro legittimante l'adozione del
la misura cautelare sin dall'epoca dell'emissione della prima or
dinanza ovvero dall'epoca del rinvio a giudizio. La Corte costituzionale (sent. 25-28 marzo 1996, n. 89, id.,
Rep. 1996, voce cit., nn. 314, 315) ha riconosciuto la legittimità costituzionale della nuova normativa, nella quale si riscontra
l'intento di comprimere entro spazi sicuri il termine di durata
massima delle misure cautelari, impedendo la diluizione dei ter
mini in ragione dell'episodico concatenarsi di più fattispecie cau
telari. La corte ha altresì sottolineato che l'individuazione del
rinvio a giudizio (disposto per il fatto cui si riferisce l'originaria ordinanza cautelare) come momento processuale rilevante ai fi
ni dell'inapplicabilità della regola della retrodatazione dei ter
mini per i fatti non ancora emersi dagli atti appare perfetta mente simmetrica rispetto all'art. 303 c.p.p. (che scandisce i
termini massimi di durata delle misure in funzione delle diverse
fasi processuali) e risulta aderente all'intento del legislatore di
impedire che, nel corso delle indagini, le contestazioni cautelari
plurime per fatti connessi ricevano un diverso trattamento, sul
piano della durata delle misure, a seconda che l'indagato riesca o meno a provare l'artificiosa diluizione nel tempo delle singole ordinanze. Infatti l'introduzione di parametri certi e predeter minati si appalesa come un'opzione del tutto coerente rispetto all'avvertita esigenza di porre limiti obiettivi ed ineludibili alla
durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale.
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GIURISPRUDENZA PENALE
La nuova disciplina dettata dall'art. 297 c.p.p. sfugge a qual siasi censura di irragionevolezza, posto che è la stessa Costitu
zione ad imporre la previsione di termini di durata delle misure
cautelari ed a presupporre così l'inconferenza delle esigenze che
dovessero residuare al di là di un limite temporale certo ed in
valicabile. Ciò premesso, deve rilevarsi che, nel caso di specie, non può
farsi luogo alla scarcerazione del Panzeca in forza del disposto
dell'art. 297, 3° comma, c.p.p., difettando il necessario presup
posto della desumibilità dagli atti, al momento del rinvio a giu
dizio disposto per il reato previsto dall'art. 416 bis c.p. (che
aveva formato oggetto del provvedimento coercitivo del 20 marzo
1995), di un quadro probatorio avente caratteristiche e consi
stenza tali da legittimare l'adozione della misura custodiale per
i fatti cui attiene l'ordinanza cautelare dell'8 giugno 1998.
Sul punto, va osservato che, laddove per effetto della decla
ratoria di incompetenza da parte del giudice del dibattimento
il procedimento regredisca alla fase delle indagini preliminari,
ai fini dell'individuazione del limite temporale entro cui deve
realizzarsi la desumibilità dagli atti dei reati presi in considera
zione dalla seconda ordinanza coercitiva deve farsi riferimento
all'originario decreto che aveva disposto il giudizio per il fatto
connesso (che aveva formato oggetto della prima ordinanza cu
stodiale), e non al provvedimento di analogo contenuto succes
sivamente emesso.
Tale soluzione, infatti, risulta conforme alla ratio dell'art.
297, 3° comma, c.p.p., che mira a delimitare il termine di dura
ta massima delle misure cautelari entro un ambito temporale
individuabile con certezza sulla base di dati oggettivi e predeter
minati. La finalità in questione resterebbe del tutto irrealizzata qua
lora il limite cronologico entro cui deve acquisirsi un quadro
probatorio legittimante l'adozione della misura cautelare fosse
suscettibile di modificarsi in dipendenza di eventi futuri ed in
certi, potenzialmente verificabili in ogni fase del procedimento.
Sul punto, deve osservarsi che l'incompetenza per materia può
essere rilevata, su richiesta di parte o di ufficio, in ogni stato
e grado del processo (tranne che nelle ipotesi di incompetenza
«per eccesso» o per connessione), anche sulla base degli ele
menti emersi ovvero delle nuove contestazioni compiute nel cor
so del dibattimento.
Se la declaratoria di incompetenza per materia, e la conse
guente emissione di un nuovo decreto di rinvio a giudizio, com
portassero una modificazione del termine entro cui, ai fini del
l'operatività della disciplina della «contestazione a catena», de
ve essere acquisito un quadro probatorio legittimante l'adozione
della misura cautelare, ne deriverebbe una persistente incertezza
in ordine all'applicabilità o meno del disposto dell'art. 297, 3°
comma, c.p.p., e quindi in ordine alla determinazione del ter
mine di durata della misura cautelare.
Si tratta, all'evidenza, di un risultato assolutamente incompa
tibile con le finalità che stanno alla base della normativa in esame.
Concettualmente non dissimile, seppure con le differenze con
nesse alla fissazione di un termine per la deducibilità della rela
tiva eccezione, è la situazione conseguente alla declaratoria di
incompetenza per altra causa.
L'interpretazione teleologica dell'art. 297, 3° comma, c.p.p.
conduce quindi a ravvisare nell'originario decreto che aveva di
sposto il giudizio, il limite cronologico oggettivo, predetermina
to ed ineludibile, entro cui deve realizzarsi la desumibilità dagli
atti dei reati connessi.
A non dissimili conclusioni si perviene sulla base del paralle
lismo (enucleato dalle sopra menzionate pronunzie della Corte
costituzionale e della Cassazione a sezioni unite) tra l'art. 297,
3° comma, e l'art. 303 c.p.p.
Il 2° comma di quest'ultima disposizione, infatti, stabilisce
che, nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da
parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimen
to regredisca ad una fase o ad un grado di giudizio diversi ov
vero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento
che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta
esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termi
ni di durata massima fissati dal 1° comma della stessa norma
con riferimento a ciascuna fase processuale.
Il Foro Italiano — 1999.
Si tratta di una previsione legislativa che tende ad evitare che
la regressione del procedimento determini la cessazione delle mi
sure cautelari, qualora i termini di durata delle stesse siano an
cora in corso alla data del provvedimento che dispone la re
gressione. Sulla base del disposto dell'art. 303, 2° comma, c.p.p., l'an
nullamento del decreto che ha disposto il giudizio, ed il conse
guente regresso del procedimento alla fase delle indagini preli
minari, non comportano il superamento del termine di durata
massima della custodia cautelare stabilito con riguardo alla stessa
fase.
È, del resto, pacifico nella giurisprudenza di legittimità che
soltanto la mancata emissione, e non l'invalidità degli atti me
diante i quali si realizza il passaggio da una fase processuale
all'altra, può dar luogo alla perdita di efficacia della custodia
cautelare per superamento dei termini previsti per la prima di
dette fasi (Cass. 13 febbraio 1995, Greco, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 443). Analogamente, deve escludersi che, ai fini del disposto del
l'art. 297, 3° comma, c.p.p., la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari possa determinare la perdita di efficacia della misura coercitiva qualora i connessi reati in
relazione ai quali essa è stata applicata non fossero desumibili
dagli atti al momento dell'originario decreto che disponeva il
giudizio. Si tratta, per le suesposte ragioni, di una situazione
del tutto dissimile (quanto alla ratio di disciplina normativa)
da quella della mancata emissione del decreto di rinvio a giudi
zio, e quindi insuscettibile di soggiacere ad una medesima rego lamentazione giuridica. (Omissis)
TRIBUNALE DI SALA CONSILINA; sentenza 14 ottobre 1998;
Giud. ind. prel. Flora; imp. Carucci e altri.
TRIBUNALE DI SALA CONSILINA;
Ricettazione, incauto acquisto e riciclaggio — Riciclaggio — Rea
to — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 648 bis).
Non integra gli estremi del reato di riciclaggio, di cui all'art.
648 bis c.p., la condotta di chi, sostituendo o trasferendo de
naro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa o compien
do operazioni finalizzate ad ostacolare l'identificazione di detta
provenienza, non agisce con la finalità di «ripulire» il bene. (1)
(1) La sentenza in epigrafe interviene sul problema del concorso for
male tra il reato di ricettazione e quello di riciclaggio aderendo al prin
cipio, sancito da Cass. 1° ottobre 1996, Pagano, Foro it., 1998, II,
116, con nota di La Spina, e Giust. pen., 1997, III, 559, con nota
di Archidiacono, citata in motivazione, per il quale l'elemento diffe
renziale tra le due fattispecie, a fronte della sostanziale identità delle
due condotte delittuose, consiste nella finalità di «ripulire» il bene per
seguita dall'autore del reato di cui all'art. 648 bis c.p. Le difficoltà di coordinamento tra le fattispecie di riciclaggio, ricetta
zione e favoreggiamento reale si posero all'attenzione della giurispru denza sin dall'introduzione, nel codice penale, della prima versione del
l'art. 648 bis c.p., rubricato come «Sostituzione di denaro o valori pro
venienti da rapina aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione»
(art. 3 d.l. 21 marzo 1978 n. 59, convertito in 1. 18 maggio 1978 n.
191). Sul punto, Cass. 15 aprile 1986, Ghezzi, Foro it., Rep. 1988,
voce Ricettazione, n. 16, e, per esteso, Cass. pen., 1988, 859, e, ancora,
16 marzo 1987, Mammoliti, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 13; con
riferimento alla qualificazione di «reato a consumazione anticipata» della
prima formulazione dell'art. 648 bis c.p., v. Cass. 5 dicembre 1991,
Monteleone, id., Rep. 1992, voce cit., n. 32, e 15 maggio 1986, Catan
zaro, id., Rep. 1987, voce cit., n. 24.
L'intervento del legislatore nel 1990 (1. 19 marzo 1990 n. 55), inciden
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