ordinanza 16 gennaio 1984; Pres. E. Amatucci, Rel. Ciccolo; De La Fuente (Avv. De Rossi) c.Casini (Avv. Contardi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2437/2438-2441/2442Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178023 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
e ritorcersi a suo danno. L'art. 7 con la previsione minuziosa del
tipo di procedimento da seguirsi nell'intimazione di sanzioni
disciplinari assolve a fondamentali esigenze garantistiche che non
possono essere sottovalutate, e il suo mancato rispetto comporta inevitabilmente la nullità del provvedimento adottato.
L'accoglimento di tale motivo di illegittimità del licenziamento ha efficacia assorbente rispetto agli altri dedotti dal ricorrente, il
cui esame pertanto si tralascia.
Restano dunque da individuare le conseguenze che scaturiscono
dall'annullamento del licenziamento impugnato. L'affermata ca
renza di legittimazione della Ansaldo comporta che non possa essere accolta la domanda di reintegrazione proposta nei suoi
confronti dal Rossini. Deve pertanto essere dichiarato il diritto di
questi a vedersi risarcito il danno derivatogli dalla accertata nullità del licenziamento, danno che sembra equo limitare nella
misura di cinque mensilità, avuto riguardo alla obiettiva incertez za dei termini della questione e al comportamento in sostanza corretto della Sopren. (Omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 16 gennaio 1984; Pres. E.
Amatucci, Rei. Ciccolo; De La Fuente (Aw. De Rossi) c.
Casini (Avv. Contardi).
Diritto internazionale privato — Matrimonio — Coniugi di diversa
cittadinanza — Legge applicabile — Questione non manifesta
mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 29; disp. sulla
legge in generale, art. 18).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi tuzionale dell'art. 18 disp. sulla legge in generale nella parte in cui rinvia, per la regolamentazione dei rapporti personali tra
coniugi aventi cittadinanza diversa, alla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio, in riferi mento agli art. 3 e 29 Cost. (1)
(1) In senso analogo v. Trib. Palermo, ord. 30 marzo 1984, Arch, civ., 1985, 454 e Giur. costit., 1984, II, 2145.
Affermano che, nel caso di coniugi aventi diversa cittadinanza, il criterio attraverso cui individuare la legge regolatrice dei rapporti personali tra i coniugi è dato dall'art. 18 delle disposizioni sulla legge in generale: Cass. 8 gennaio 1981, n. 189, Foro it., 1981, I, 1052 (in motivazione); e, per quanto riguarda la giurisprudenza di merito: App. Genova 2 giugno 1977, id., Rep. 1978, voce Matrimonio, n. 267; Trib. Milano 22 luglio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 192; Trib. Roma 3 aprile 1973, id., Rep. 1974, voce Diritto internazionale privato, n. 37; Trib. Genova 31 ottobre 1971, id., Rep. 1973, voce Giurisdizione civile, n. 33.
Nella stessa direzione la dottrina prevalente: v. Quadri, Dell'appli cazione della legge in generale, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1978, 142; Durante, Matrimonio (diritto inter nazionale privato), voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1975, XXV, 997; Venturini, Divorzio e diritto internazionale privato, in Studi in onore di Chiarelli, Milano, 1974, IV, 4314; Vitta, Diritto internazio nale privato, Torino, 1975, II, 297; Punzi, I soggetti e gli atti del
processo di divorzio, in Studi sul divorzio, Padova, 1972, 414; Pocar, La legge italiana sul divorzio e il diritto internazionale privato, in Riv. dir. internai, priv. e proc., 1971, 733.
Più spesso, però, la Suprema corte ha ritenuto operante, quale criterio di collegamento, l'art. 17 delle disposizioni sulla legge in genera le: v. sent. 6 marzo 1979, n. 1403, Foro it., Rep. 1979, voce Matrimonio, n. 97; 22 dicembre 1978, n. 6152, 2 novembre 1978, n.
4978, 19 settembre 1978, n. 4189, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 263, 265, 266; conformemente per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Milano 19 giugno 1978, id., Rep. 1979, voce Diritto internazionale privato, n. 23; App. Milano 19 settembre 1975, id., Rep. 1977, voce Matrimonio, n. 351. Conformi, in dottrina, Mengozzi, Disposizioni sulla legge in generale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 1, Torino, 1982, 392-94; Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Com mentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, 89-91; Bal ladore-Pallieri, Diritto internazionale privato italiano, Milano, 1974, 209.
Diversa l'ipotesi in cui i coniugi abbiano entrambi la stessa cittadi nanza straniera, nel qual caso l'applicabilità della 1. 1° dicembre 1970 n. 898 è esclusa dalla norma di diritto privato internazionale del nostro ordinamento che fa riferimento alla legge nazionale comune alle parti; sul punto cfr. Trib. Roma 29 giugno 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 214; 31 maggio 1980, id., 1981, I, 867, con nota di Salme; Trib. Milano 27 luglio 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 227.
Sul concetto di ordine pubblico interno e internazionale cfr. Cass. 15
maggio 1982, n. 3024, id., 1982, I, 1880, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1985.
Fatto. — Con ricorso notificato il 4 gennaio 1982, il sig. Carlo De La Fuente, cittadino cileno residente in Italia, chiedeva che il Tribunale di Roma, espletati gli incombenti di rito, pronunciasse la cessazione degli effetti civili, conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso da lui contratto, in Roma il 31 luglio 1969, con la sig.ra Maria Casini, cittadina italiana. Premesso che dalla unione coniugale era -nato il figlio Carlos Alberto, il ricorrente
deduceva di vivere separato dalla moglie sin dal 14 ottobre 1975, data della loro comparizione dinanzi al presidente del tribunale, nella causa per separazione giudiziale, fra di essi intercorsa e conclusasi con sentenza del Tribunale di Roma n. 6596 del 1978,
passata in giudicato, e che ogni comunione materiale e spirituale fra essi coniugi era venuta >defin.itivamente meno. Entrambe le
parti comparivano all'udienza presidenziale, insistendo per la
pronuncia di divorzio, per cui, risultato vano il tentativo di
conciliazione, venivano rimesse dinanzi al giudice istruttore. In
stauratosi di contraddittorio, la convenuta faceva proprie, in toto, le ragioni e le richieste attrici. Nel corso di causa, venivano esclusi alcuni testi, i quali confermavano che lo stato di separa zione fra i coniugi si era ininterrottamente protratto sin dall'ot
tobre 1975; depositata copia autentica della sentenza di separa zione personale con l'attestazione del passaggio in giudicato;
acquisita documentazione circa la legge cilena in tema di sciogli mento del matrimonio nonché certificazione sulla cittadinanza
delle parti.
Rimessa la causa al collegio, le pariti concordemente rilevavano
che, qualora in applicazione della normativa cilena, richiamata
dall'art. 18 preleggi, si fosse esclusa la possibilità di pervenire allo scioglimento del matrimonio, per cause diverse dalla morte
di uno dei coniugi, il divorzio andava egualmente pronunciato in
forza della legge italiana, dovendo quella cilena ritenersi contraria
sul punto, all'ordine pubblico. In caso diverso, la normativa in
questione sarebbe risultata — ed in proposito veniva sollevata
formale eccezione — lesiva dei precetti costituzionali, determi
nando una innegabile ed ingiustificata discriminazione nei riguar di della cittadina italiana, la quale, per aver contratto matrimonio
con uno straniero, la cui legge nazionale non prevede l'istituto
del divorzio, si verrebbe privata, a differenza del cittadino di
sesso maschile venuto a trovarsi nella medesima situazione, del
fondamentale diritto di riottenere il proprio stato libero.
Diritto. — Va detto, innanzitutto, che l'attore Carlos De La
Fuente è cittadino cileno, la convenuta Maria Casini è cittadina
italiana, entrambi sono residenti in Italia, ed è incontroverso in
causa che tale situazione sussisteva anche all'epoca del matrimo
nio ed è rimasta successivamente immutata. Stante la diversa
nazionalità delle parti, deve, in primo luogo, stabilirsi quale sia la
legge — italiana o cilena — da applicare alla fattispecie. Sussiste
in dottrina controversia — ovviamente accentuatasi dopo l'intro
duzione dell'istituto del divorzio — se lo scioglimento del matri
monio rientri nell'ambito dell'art. 17 o dell'art. 18 disp. sulla
legge in generale, preliminari al codice civile. L'art. 17 sancisce
che « lo stato e la capacità delle persone ed i rapporti di famiglia sono regolati dalla legge dello Stato al quale essi appartengono »
e l'art. 18 che « i rapporti personali fra i coniugi di diversa cittadinanza sono regolati dall'ultima legge che sia stata loro
comune durante il matrimonio o, in mancanza di essa, dalla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio ».
Gli autori sono concordi nel ritenere che l'art. 17 indichi, tra
l'altro, la legge sostanziale per la materia della costituzione del
vincolo matrimoniale, e, poi, in prevalenza sono dell'avviso che l'art. 18, quale norma speciale rispetto all'art. 17, che riguarda in
genere i rapporti di famiglia, contempli i rapporti personali fra
coniugi di diversa nazionalità, e, tra le leggi sui rapporti persona
li, quelle sul divorzio.
Altri autori, però, negano che le norme sul divorzio attengano ai rapporti personali fra i coniugi, rilevando, soprattutto, che il
divorzio non disciplina ma fa cessare tali rapporti. Si argomenta dai fautori della prima tesi che il divorzio non incide minimamen
te sull'atto -di matrimonio, il quale rimane inalterato nella sua
funzione di origine del vincolo coniugale, bensì sugli effetti che da
quell'atto sono derivati in forma permanente: effetti che hanno da
to luogo ad una serie di rapporti giuridici personali e patrimo
niali, le cui vicende sono indipendenti dall'atto originario, ra
gion per cui non si vede il perché non debba ad esso applicarsi la norma che gli effetti del matrimonio contempla in maniera
specifica. La circostanza che il divorzio sia considerato nell'ordi
namento italiano un evento che riguarda essenzialmente lo status
di coniuge — ®i osserva altresì — cioè l'insieme dei rapporti perso nali e patrimoniali conseguenti al matrimonio, piuttosto che questo
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2439 PARTE PRIMA 2440
considerato nel suo aspetto statico di atto giuridico, dal quale il
rapporto ha tratto origine, trova conferma nella stessa legge istitu
tiva del divorzio in Italia, la quale, all'art. 2, prevede che, nel
caso in cui il matrimonio, inteso come atto giuridico, resta sottrat
to -alla cognizione del giudice italiano (c.d. matrimonio concorda
tario), il divorzio può essere egualmente pronunciato, concernen
do questo la cessazione degli effetti civili dell'atto matrimoniale, e,
più ini generale, risulta applicabile qualóra il rapporto che ne è deri
vato sia attualmente sottoposto alia legge italiana, sotto qualsiasi forma il matrimonio sia stato celebrato e qualunque sia la legge
regolatrice dei suoi requisiti sostanziali.
Infine, viene rilevato che le norme sul divorzio hanno ad ogget to i rapporti personali tra i coniugi, per il semplice fatto che valu
tano, anzitutto, un rapporto matrimoniale in atto, e stabiliscono, poi, nella ricorrenza di determinate circostanze, se esso debba cessare;
regolano, quindi, quei rapporti, sia pure per determinarne even
tualmente la fine; in altri termini, la cessazione dei rapporti perso nali dipende, di frequente, dalle modalità di svolgimento dei rap
porti stessi ed appare logico che la legge sia identica per tale svolgi mento e per quella cessazione. Il tribunale condivide l'indirizzo
prevalente, il quale, peraltro, trova conforto in una recente
pronunzia delle sezioni unite della Corte di cassazione (sent. 8
gennaio 1981, ti. 189, Foro it., 1981, I, 1052) che, sia pur riguardo ad una ipotesi di separazione personale, ha avuto modo di
affermare che l'art. 18 disp. prel. c.c., determinando quale sia la
legge applicabile ai rapporti personali fra i coniugi, si riferisce
anche all'aspetto patologico di tali rapporti — quello dei dissidi
interconiugali — ed alla normativa che lo regola, ed è innegabile — ad avviso del collegio — che non soltanto la separazione personale ma anche lo scioglimento del vincolo rientri in que st'ultimo aspetto.
Ora, in base all'art. 18 preleggi, le norme nel cui ambito rientra la fattispecie sono quelle del diritto cileno, in quanto i
coniugi non risultano aver mai avuto una nazionalità comune ed
il marito era, come non si dubita, di nazionalità cilena anche
all'epoca del matrimonio. Senonché la legislazione cilena (sia nel
libro primo del codice civile che nella legge sul matrimonio civile del 10 gennaio 1884) stabilisce che il matrimonio si scioglie solo
per la morte naturale di uno dei coniugi e per la declaratoria
della sua nullità; prevede, poi, un istituto definito « divorcio » il
quale, però, per espressa disposizione normativa, non scioglie il
vincolo del matrimonio ma unicamente sospende la vita in comune dei coniugi (a seconda dei casi, per un tempo determina
to o perpetuamente) e cessa i suoi effetti quando i coniugi consentono a volersi riunire, corrispondendo, quindi, nella sostanza
al nostro istituto della separazione personale (invece la nullità
del matrimonio si verifica in caso di vizi formali o sostanziali
sussistenti all'atto della sua celebrazione). Ne discende che il sig. Carlos De La Fuente e la sig.ra Maria Casini — la quale ultima ha fatto propria la domanda di divorzio — non potranno, in
applicazione della normativa cilena, ottenere lo scioglimento del loro vincolo coniugale per i motivi dedotti nel presente giudizio, mentre avrebbe potuto ottenerla in base alla legislazione italiana,
qualora fosse stata operativa nella specie, ricorrendo i presupposti di cui all'art. 3, n. 2, lett. b), 1. 1° dicembre 1970 n. 898 (sentenza definitiva di separazione personale giudiziale, protrazione ininter rotta della separazione per oltre un quinquennio, impossibilità della ricostituzione della comunione materiale e spirituale fra i
coniugi.
È appena il caso di rilevare, incidenter tantum, che quan d'anche si ritenesse applicabile la disposizione preliminare di cui all'art. 17, il risultato pratico non muterebbe, in quanto, trattandosi di coniugi di diversa cittadinanza, il richiamo alla loro
legge nazionale andrebbe operato, necessariamente, in maniera
congiunta, con la conseguenza che il divorzio potrebbe essere
concesso soltanto qualora fossero soddisfatte tutte le condizioni
poste da entrambi le leggi. Va ricordato, poi, che una volta che
una normativa straniera risulti applicabile nell'ordinamento giuri dico italiano, in conseguenza di una disposizione di dirit
to internazionale privato, essa conserva il contenuto che ha
nell'ordinamento di origine, salvo che non sia riscontrabile un
contrasto con l'ordine pubblico ed il buon costume (art. 31
preleggi). Secondo l'autorevole interpretazione della Suprema cor
te (Cass. 12 dicembre 1967, n. 2931, id., Rep. 1967, voce Legge, n.
48; sez. un. 8 gennaio 1981, n. 189, id., 1981, I, 1052; 1°
marzo 1983, n. 1539, id., Rep. 1983, voce Matrimonio, n. 348), occorre distinguere tra ardine pubblico interno, il quale rile
va come limite all'autonomia privata, e comunque nell'ambito
del sistema giuridico nazionale, ed ordine pubblico internazionale,
Il Foro Italiano — 1985.
il quale rileva come limite alle norme straniere efficaci nel nostro
ordinamento in virtù di una disposizione di diritto internazionale
privato. In altri termini, se ad un rapporto va applicata la legge
straniera, la mera difformità di detta legge con norme qualificabili di ordine pubblico interno non è sufficiente a limitare detta
applicabilità, con l'automatica sostituzione della legge italiana, ove
non risultino violati i principi di ordine pubblico internazionale.
Riguardo all'individuazione di quest'ultimo, la Suprema corte
(oltre le sentenze succitate, v. Cass. n. 2414 del 1980, id., 1980,
I, 1303 e Cass. n. 3390 del 1955, id., Rep. 1955, voce Prova
testimoniale, n. 105), ha sottolineato che esso è la risultante dei
principi comuni a molte nazioni di civiltà affine, intesi alla tutela
di alcuni diritti fondamentali dell'uomo, spesso solennemente
sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali.
Ciò premesso, ad avviso del collegio, non può ritenersi contra
ria all'ordine pubblico internazionale la normativa straniera la
quale non contempla la dissolubilità del vincolo coniugale. E ciò
non solo perché nessuna dichiarazione universale o convenzione
internazionale riconosce il divorzio come istituzione fondamentale
(infatti sia l'art. 23 de! patto intemazionale sui diritti civili e
politici stipulato a New York il 16 dicembre 1966, sia l'art. 9
della convenzione di Roma del 4 aprile 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sia l'art. 17
della convenzione americana sui diritti1 dell'uomo, stipulata a S.
José di Costarica il 22 novembre 1969, si limitano a sancire la
parità di diritti e di responsabilità dei coniugi durante il matri
monio ed al momento dello scioglimento dello stesso), ma anche
perché esso non incide sui diritti primari dell'uomo, tanto è vero
che molte nazioni di civiltà affine lo hanno ignorato fino a tempi
recenti (e fra questi il nostro paese) o lo ignorano tuttora, senza
che in ciò sia stata ravvisata violazione di essenziali valori
giuridici, costituenti patrimonio della comunità internazionale.
Sorge a questo punto il problema — formalmente denunciato nel
presente giudizio da entrambe le parti — se la norma di conflitto
che individua nella legge nazionale del marito quella che regola 10 scioglimento del matrimonio, qualora i coniugi abbiano diverse
cittadinanze, sia discriminatrice per la donna la quale ha
11 diritto, costituzionalmente garantito, ad una posizione di
eguaglianza rispetto all'uomo, principio che costituisce una norma
immediatamente vincolante ed efficace, anche nel campo del
diritto internazionale privato. Ritiene il collegio che la norma di cui all'art. 18 preleggi, attuando, in mancanza di una legge nazionale comune, un criterio di collegamento riferito alla po sizione di uno solo dei soggetti del rapporto, il marito, si pone in chiaro contrasto con i precetti costituzionali di cui all'art. 3, 1°
comma, che sancisce l'eguaglianza davanti alla legge senza distin zione di sesso, ed all'art. 29, 2° comma, che ribadisce l'uguaglian za morale e giuridica dei coniugi1.
Tale conclusione è avvalorata dalla autorevole interpretazione della Corte costituzionale, la quale, con, le sentenze n. 87 dei 1975
(id., 1975, I, 1321) e n. 30 del 1983 (id., 1983, I, 265), ha sancito al cuni sigoificatiivi principi, che ben possono mutuarsi al caso di spe cie. Nella prima decisione la corte, dichiarando la illegittimità, per violazione degli art. 3 e 29 Cost, della norma di cui all'art. 10, 3"
comma, 1. 13 giugno 1912 n. 555, laddove prevedeva, in caso di ma trimonio con ilo straniero, la perdita della cittadinanza italiana da
parte della donna, indipendentemente dalla di lei volontà, ha affer mato che la differenza di trattamento dell'uomo e della donna com minava una gravissima disuguaglianza morale, giuridica e politica dei coniugi, e poneva la donna in uno stato di evidente inferiorità, privandola automaticamente, per il solo fatto del matrimonio, dei diritti del cittadino italiano, e non giova alla unità familiare voluta dall'art. 29 Cosit., ma anzi ad essa era contraria, in quanto avrebbe potuto indurre la donna, per non privarsi della protezio ne giuridica riservata ai cittadini italiani, a non compiere l'atto
giuridico del matrimonio. Con la seconda sentenza, la corte, dichiarando la illegittimità — per contrasto con gli art. 3, 1°
comma, e 29, 2° comma, Cost. — dell'art. 1, n. 1, 1. 13 giugno 1912 n. 555, nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita (oltre che il figlio di padre cittadino) anche il figlio di madre cittadina, ha osservato, fra l'altro, che non giustificano una siffatta discriminazione né il richiamo ad un preteso limite
dell'eguaglianza fra coniugi stabilito dalla legge a garanzia della
unità familiare (tanto che è stata ammessa, prima con la sentenza n. 87 del 1975 e poi con l'art. 143 ter c.c., introdotto dalla 1. 19
maggio 1975 n. 151, la diversità di cittadinanza dei coniugi) né il
rispetto di eventuali impegni assunti in sede internazionale per evitare i fenomeni di doppia cittadinanza, dovendo riconoscersi
prevalente, pur di fronte a seri inconvenienti, la necessità di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
realizzare il principio costituzionale di eguaglianza; ha, inoltre,
rilevato che la disciplina normativa vigente, con l'attribuire rile
vanza esclusiva alla posizione paterna, lede da più punti di vista
la posizione giuridica della madre, nei suoi rapporti con lo Stato
e con la famiglia, non potendosi, da un lato, contestare l'interesse
giuridicamente rilevante di costei a che anche i suoi figli siano
tnemhri della sua stessa comunità statale e possano godere della
tutela collegata a tale appartenenza, dall'altro la posizione di
totale eguaglianza, nei diritti e nei doveri, della donna nell'ambito
familiare. Pertanto, una volta escluso che l'esigenza di realizzare
l'unità familiare, mediante l'assoggettamento della moglie e del
marito alla medesima disciplina normativa in ordine ai rispettivi
status ed ai rapporti che ne derivano, possa prevalere sui
fondamentali principi di eguaglianza — e per quanto attiene alla
parità dei sessi e per quel che riguarda la posizione giuridica e
morale dei coniugi — e, nel contempo, che il rispetto delle regole del diritto internazionale privato possa giungere al punto di
ledere la posizione giuridica del soggetto nei suoi fondamentali
rapporti con lo Stato, è indubbio che la norma in esame si pone
in manifesto contrasto con l'art. 3, 1° comma, e con l'art. 29, 2°
comma, Cost.
Infatti1, sotto il primo profilo, si determina una palese di
scriminazione tra il coniuge italiano di sesso maschile, che
può contare sull'applicazione della legge italiana nei rapporti
nascenti dal matrimonio con uno straniero, e quello di sesso
femminile che deve sottostare alla legge nazionale dello sposo, con la inammissibile conseguenza che ove quest'ultima non pre Vede l'istituto del divorzio, costei, per il solo fatto di aver
contratto matrimonio con uno straniero, viene ad essere privata di una delle più significative forme di tutela collegate all'appar tenenza alla nostra comunità statuale, quale la possibilità di
riottenere il proprio stato libero quando il matrimonio è irrime
diabilmente distrutto, il che, invece, non si verifica nei confronti
del cittadino italiano di sesso maschile che venga a trovarsi nella
medesima situazione.
Sotto il secondo profilo, la norma di collegamento che
privilegia il marito, attribuendo alla sua legge la disciplina del
le relazioni interconiugali, crea una ingiustificata e non ra
gionevole disparità di trattamento fra i due coniugi, che -non
può essere risolta con ài semplice riferimento alla riserva
prevista nel dettato costituzionale a garanzia della unità familiare, sia perché il processo interpretativo avviato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, e recepito nella riforma del diritto di
famiglia, ha tolto ogni fondamento storico e logico al privilegio accordato alla posizione di capofamiglia del marito, sia perché la
norma non giova certo all'unità familiare quando è ormai defini
tivamente venuta meno la comunione materiale e spirituale che,
al di là di ogni fictio legis, costituisce l'essenza del vincolo
coniugale.
La costituzionalità o meno dell'art. 18 preleggi ha, poi, una
rilevanza immediata e necessaria sulla questione di cui oggi
questo tribunale è chiamato a decidere, giacché, dovendo in forza
dell'attuale formulazione di detta norma di collegamento, applicar si la legge del marito, cioè quella cilena, che non prevede l'istituto del divorzio, il giudizio dovrebbe concludersi con una
pronuncia di inammissibilità della domanda.
PRETURA DI GENOVA; PRETURA DI GENOVA; sentenza 24 maggio 1985; Gtiud.
Brusco; Banca popolare di Novara (Avv. Murtula, Scolari)
c. U.i.b.-U.i.l., F.i.s.a.c.-C.g.i.l., F.i.b.-C.i.s.l., F.a.b.i. (Avv. Pao lillo).
Sindacati — Condotta antisindacale — Trasferimento intracomuna
le di rappresentante sindacale aziendale dalla sede ad un'agen zia di banca — Sussistenza (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme
sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento, art. 22, 28). Sindacati — Condotta antisindacale — Impedimento dell'accesso
ai locali aziendali di rappresentante sindacale — Sussistenza
(L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 14, 28).
Costituisce condotta antisindacale il trasferimento dalla sede ad
un'agenzia di banca, situata nello stesso comune, dell'unico
rappresentante di sezione aziendale sindacale che usufruisca
Il Foro Italiano — 1985.
di permessi retribuiti, senza il nulla-osta dell'associazione sin
dacale di appartenenza. (1) Costituisce condotta antisindacale l'impedire l'accesso nei locali del
l'azienda ad almeno un componente della rappresentanza sinda
cale aziendale durante lo svolgimento del lavoro straordina
rio. (2)
Motivi della decisione. — Due sono le situazioni di contrasto
tra le parti contrapposte che hanno dato luogo in un primo
tempo al ricorso ex art. 28 1. 300/70 da parte delle organizza zioni sindacali dei lavoratori e, dopo la pronuncia del decreto
pretorile, all'opposizione proposta dalla Banca popolare di Nova
ra-B.p.n.: 1) il trasferimento del dirigente sindacale Massimo Zon
za dalla sede di Genova della B.p.n. alla agenzia di Sampierdarena;
2) il diniego, opposto dalla B.p.n., all'accesso nei locali dell'azien
da da parte di componenti della r.s.a. del personale fuori dell'o
rario di lavoro, quando all'interno sono presenti altri lavoratori
che svolgono lavoro straordinario.
Le due situazioni meritano un separato esame. Circa il trasfe
rimento del dirigente s.a.s. F.i.s.a.c. - C.g.i.l. Zonza dalla sede
all'agenzia di Sampierdarena, le associazioni sindacali, sia in sede
di ricorso ex art. 28 1. 300/70, sia nell'attuale giudizio di
opposizione, hanno sostenuto l'illegittimità dello stesso ai sensi
dell'art. 22 1. 300/70, in quanto lesivo del diritto all'esercizio
dell'attività sindacale resa senza ragione alcuna se non impossibi
le, certamente notevolmente più difficoltosa. Invero con l'operato trasferimento il rappresentante sindacale viene allontanato dal
luogo ove svolge prevalentemente la sua attività sindacale e
inserito in una realtà periferica spesso avulsa dalle tematiche
oggetto dell'attività sindacale e messo in gravi difficoltà a svolgere il suo mandato, tenuto conto della limitatezza dei permessi (10 ore mensili) e del tempo ogni volta occorrente per raggiungere dal posto di lavoro la sede.
La B.p.n. ritiene, invece, perfettamente legittimo il trasferimen
to dello Zonza operato senza il nulla-osta dell'associazione sin
dacale di appartenenza, in quanto, ai sensi dell'art. 9 della
convenzione 18 giugno 1970 per i diritti e le relazioni sindacali,
stipulata tra l'Assicredito e i sindacati dei lavoratori, il complesso delle dipendenze comunque denominate (sedi, filiali, succursali,
agenzie, uffici, ecc.) operanti nell'ambito dello stesso comune
(1) La sentenza, la cui motivazione è stata redatta dall'uditore giudiziario Giuseppe Dagnino, si colloca in quel filone giurisprudenziale per il quale è legittima la identificazione da parte della contrattazione collettiva della nozione di unità produttiva di cui all'art. 22 1. 300/70 nel complesso di dipendenze operanti nel medesimo ambito comunale (v. Cass. 19 novembre 1984, n. 5920, 13 novembre 1984, n. 5735, Foro it., 1985, I, 758, con nota di richiami, cui adde, nello stesso senso, Trib. Pisa 19 ottobre 1983, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n.
1080; contra, per la necessità di nulla-osta ogni qualvolta il rappresentan te sindacale si trovi privato della base di cui è espressione, a prescindere dalla dimensione geografica, Pret. Milano, decr. 10 maggio 1983, Riv. giur. lav., 1984, li, 601, con nota di L. Fiori. In dottrina, M. Papaleoni, Sulla nozione di unità produttiva, nota a Cass. 13 novembre 1984, n. 5735, cit., in Giust. civ., 1985, I, 729). Si segnala, sul punto, il passo del la motivazione per il quale l'intervento giudiziale di declaratoria di nullità di clausola contrattuale collettiva deve essere limitato, specie ove non si tratti di lesione di diritti del singolo, alla ipotesi di evidente violazione di norme imperative di legge. Nonostante ciò, Pret. Genova perviene alla conclusione dell'antisindacalità del trasferimento di rappresentante sindacale aziendale dalla sede ad un'agenzia di una banca, sul rilievo del carattere non solamente processuale o sanziona torio dell'art. 28 1. 300 e del fatto che si trattava dello spostamento dal centro alla periferia dell'unico rappresentante di una s.a.s. che beneficiasse dei permessi retribuiti, con conseguenziale frapposizione di ostacolo all'attività sindacale.
È pure da evidenziare l'adesione a Cass. 6 giugno 1984, n. 3409 (Foro it., 1984, I, 2779, con nota di O. Mazzotta) sulla non necessarietà, ai fini dell'integrazione della condotta repressa dall'art. 28, dell'elemento psicologico, la cui esistenza, ad abundantiam (come è detto in sentenza), si ricava dalla assoluta mancanza di indicazione delle ragioni del trasferimento.
(2) Principio affermato sulla base di clausola contrattuale collettiva che prevedeva il diritto delle organizzazioni sindacali di ottenere comunicazione mensile relativa al numero di ore di lavoro straordina rio effettuate, e di prendere visione, tramite un componente della r.s.a., delle relative registrazioni, e della conseguenziale, assunta massima libertà nell'esercizio del diritto stesso (ove esso non intralci o pregiudi chi il normale svolgimento dell'attività aziendale).
Per la statuizione del diritto all'accesso incondizionato in azienda del delegato sindacale, anche se in c.i.g., Pret. Milano 23 novembre 1982, Foro it., 1983, I, 478, con nota di G. Silvestri; Pret. Cassano d'Adda 27 maggio 1983, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2014.
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