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ordinanza 16 luglio 2003; Pres. Del Balzo, Rel. Semeraro; ric. Piedimonte e altri

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Page 1: ordinanza 16 luglio 2003; Pres. Del Balzo, Rel. Semeraro; ric. Piedimonte e altri

ordinanza 16 luglio 2003; Pres. Del Balzo, Rel. Semeraro; ric. Piedimonte e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 539/540-547/548Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198737 .

Accessed: 25/06/2014 07:07

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PARTE SECONDA

blici (si pensi, a titolo esemplificativo, agli edifici che ospitano un ospedale, una scuola, una caserma, la sede di un organo del

l'amministrazione centrale dello Stato o di un organo periferico della stessa amministrazione), laddove gli immobili che costi

tuiscono la proprietà immobiliare pubblica edificata in attuazio

ne dei piani di «edilizia residenziale pubblica», sono diretti a

soddisfare la fondamentale esigenza di realizzare il diritto all'a

bitazione (indirettamente riconosciuto ai cittadini della repub blica dalla stessa Carta costituzionale: art. 47, 2° comma, Cost.).

La destinazione al soddisfacimento di un'esigenza (eminen

temente) solidaristica della suddetta proprietà immobiliare

(pubblica), giustifica quindi la previsione di un trattamento san

zionatorio differenziato — attraverso la configurazione della

relativa condotta come mero illecito amministrativo — nei ri

guardi di colui il quale occupa un alloggio della c.d. «edilizia

economica e popolare», rispetto a chi occupa un immobile di

proprietà pubblica avente una destinazione «istituzionale»: co

stituendo (in quest'ultima ipotesi) la previsione di una sanzione

penale un elemento destinato ad esercitare una funzione di «de

terrenza» rispetto ad una condotta valutata maggiormente peri colosa (anche rispetto al mantenimento dell'ordine pubblico ge nerale).

Ritiene, dunque, conclusivamente questa corte territoriale, che in generale, l'occupazione di un alloggio di edilizia residen

ziale pubblica costituisce «fatto diverso» dalla condotta incri

minata punita dall'art. 633 c.p., ricadendo in tutti i casi nel

l'ambito di applicazione della citata norma sanzionatoria ammi

nistrativa: e comunque, per le considerazioni svolte, certamente

ricade sotto tale norma la condotta realizzata dal Cafà, il quale ha recintato un esiguo tratto di terreno situato nell'area circo

stante l'edifickr ove è situato l'alloggio assegnatogli, onde de

stinarlo a spazio verde in godimento esclusivo del medesimo as

segnatario. Dovendosi inoltre rilevare che l'opposta interpretazione in

durrebbe rilevanti dubbi di compatibilità costituzionale dell'art.

633 c.p., che esporrebbe all'(identica) sanzione penale coloro i

quali costituiscono contro la volontà degli enti pubblici pro

prietari una signoria di fatto su beni immobili destinati alle fi

nalità (propriamente) istituzionali di tali enti — attuando quindi una condotta lesiva del patrimonio, ed anche dell'ordine pubbli co generale

— e coloro i quali, senza averne titolo, o comunque a prescindere dall'esistenza di una formale assegnazione da

parte dell'ente proprietario, accedano abusivamente all'interno

di un alloggio di proprietà dell'Iacp (o di altro ente pubblico) destinato a soddisfare le esigenze abitative dei soggetti i quali ne possono conseguire l'assegnazione.

Considera, conclusivamente, la corte adita che la trasforma

zione in via generale della condotta realizzata dall'occupante (abusivo) di un alloggio edificato in attuazione dei piani di

«edilizia residenziale pubblica» in mero illecito amministrativo

disposta dalla norma in esame, appare coerente con il comples sivo impianto della 1. 8 agosto 1977 n. 513, che persegue l'evi dente finalità di salvaguardare il rapporto di fatto costituitosi per effetto dell'originaria assegnazione, garantendo il diritto di abi

tazione costituzionalmente garantito, come si può desumere —

secondo un'esegesi sistematica — dall'esame della disciplina i

vi prevista per l'ipotesi in cui si determinino le condizioni per la

revoca dell'assegnazione legittimamente disposta: fattispecie per la quale è previsto che l'assegnatario nei cui riguardi siano venuti meno i presupposti legali per conseguire l'assegnazione ai sensi dell'art. 17, lett. d), d.p.r. 30 dicembre 1972 n. 1035, «... può richiedere al presidente dell'Istituto autonomo per le

case popolari competente di occupare l'abitazione a titolo di lo cazione» (art. 22 1. 513/77), con l'assoggettamento del rapporto fra l'occupante dell'alloggio e l'Iacp alla disciplina della loca

zione di immobili urbani. La sentenza impugnata deve essere quindi integralmente ri

formata, dichiarandosi non luogo a procedere nei riguardi del

l'appellante perché il fatto non è previsto dalla legge penale come reato: la presente sentenza, e copia integrale degli atti del

procedimento, devono essere conseguentemente trasmessi al l'autorità prefettizia in carica nella provincia di Caltanissetta

per le determinazioni che le competono in ordine all'irrogazione della sanzione amministrativa prevista dalla richiamata disposi zione di legge.

Il Foro Italiano — 2003.

TRIBUNALE DI NAPOLI; TRIBUNALE DI NAPOLI; ordinanza 16 luglio 2003; Pres.

Del Balzo, Rei. Semeraro; ric. Piedimonte e altri.

Confisca — Ipotesi particolari di confisca ex art. 12 «sexies»

d.l. 306/92 — Terzo estraneo al processo — Richiesta di

restituzione al giudice dell'esecuzione — Ammissibilità

(Cod. proc. pen., art. 676; d.l. 8 giugno 1992 n. 306, modifi

che urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedi menti di contrasto alla criminalità mafiosa, art. 12 sexies; 1. 7

agosto 1992 n. 356, conversione in legge, con modificazioni,

del d.l. 8 giugno 1992 n. 306; d.l. 20 giugno 1994 n. 399, di sposizioni urgenti in materia di confisca di valori ingiustifi cati, art. 2; 1. 8 agosto 1994 n. 501, conversione in legge, con

modificazioni, del d.l. 20 giugno 1994 n. 399). Confisca — Ipotesi particolari di confisca ex art. 12 «sexies»

d.l. 306/92 — Intestazione fittizia di beni a terzo — Prova

(D.l. 8 giugno 1992 n. 306, art. 12 sexies', 1. 7 agosto 1992 n.

356; d.l. 20 giugno 1994 n. 399, art. 2; 1. 8 agosto 1994 n.

501).

Il terzo estraneo al giudizio in cui sia stata disposta (irrevoca

bilmente) la confisca di beni, ai sensi dell'art. 12 sexies d.l.

306/92, può chiederne la restituzione al competente giudice

per l'esecuzione. (1) Il terzo, che rivendichi la proprietà di beni confiscati ad un

soggetto condannato per uno dei reati di cui all'art. 12 sexies

d.l. 306/92, ha l'onere di fornire in giudizio un'esauriente

spiegazione della lecita provenienza dei mezzi finanziari im

piegati per l'acquisto dei detti beni. (2)

(1) I. - La pronuncia si conforma a quanto statuito più volte dalla

Suprema corte (cfr. Cass. 30 marzo 1988, Floriani, Foro it., Rep. 1989, voce Confisca, n. 12; 12 giugno 1991, Pini, id.. Rep. 1992, voce Esecu

zione penale, n. 45; 16 maggio 2000. Campione, id., Rep. 2000. voce cit.. n. 86; 20 aprile 2000, El Yamini. ibid., voce Confisca, n. 8; 11 lu

glio 2001, Manisco, id., Rep. 2001, voce cit., n. 8).

Proprio con riferimento alla confisca ex art. 12 sexies d.l. 306/92, è stato puntualizzato: a) che non può essere revocata dal giudice del

l'esecuzione, non essendo contemplato tale potere dall'art. 676 c.p.p. (Cass. 22 aprile 1999, Colónna, id., Rep. 1999, voce cit., n. 15; nello stesso senso, Cass. 20 aprile 2000, E1 Yamini. cit.); b) il sequestro pre ventivo ad essa propedeutico, se non disposto dal giudice di primo gra do. non può essere disposto né da quello d'appello (Cass. 15 gennaio 2001, Profeta, id.. Rep. 2002, voce Sequestro penale, n. 47), né —

tanto meno — da quello dell'esecuzione (Cass. 7 luglio 1999. Aiello, id., Rep. 2000, voce cit., n. 48).

II. - Il terzo estraneo al giudizio nel quale sia stata disposta, con sentenza non irrevocabile, la confisca della cosa già oggetto di seque stro preventivo, ben può presentare istanza di restituzione al giudice che ha la disponibilità del procedimento, il quale può decidere, appli cando analogicamente la procedura di cui agli art. 676, 1° comma, e

667, 4° comma, c.p.p., senza formalità, con ordinanza, impugnabile (solo) dinanzi allo stesso giudice (così, Cass. 14 marzo 2001, Chiazze se, id.. Rep. 2002, voce Confisca, n. 15). Difformemente, per Cass. 18 ottobre 1990, Ravasi, id., Rep. 1991, voce Esecuzione penale, n. 80, la decisione in subiecta materia non può essere adottata de plano, ma ne cessariamente a seguito di procedimento in contraddittorio, con l'os servanza degli art. 127 e 666 c.p.p.

III. - Invece, per quanto riguarda la tutela del terzo durante la fase delle indagini preliminari (nei confronti del sequestro preventivo dispo sto ex art. 321 c.p.p. e 12 sexies cit.), di recente, Cass. 6 febbraio 2002, Zagaria, id.. Rep. 2002, voce Sequestro penale, n. 59, ha sottolineato che «(. . .) i soggetti estranei sono legittimati a richiedere il riesame o a

proporre appello limitatamente alla presunzione di interposizione di

persona in base alla quale la misura cautelare è stata disposta, onde far valere la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l'inesi stenza di relazioni di 'collegamento' con l'imputato, restando esclusa tale legittimazione in relazione a profili diversi del provvedimento di

sequestro, sui quali le persone estranee al provvedimento non hanno titolo ad interloquire».

Più di recente, secondo Cass. 20 marzo 2002, Tanini, ibid., n. 18, in tema di sequestro preventivo (ex art. 12 sexies cit., nel caso di specie) eseguito presso un terzo, il provvedimento di restituzione a favore di altri non deve essere preceduto dalla convocazione del terzo in camera di consiglio, come previsto per il sequestro probatorio dall'art. 263, 2° comma, c.p.p. — non richiamato dall'art. 104 disp. att. c.p.p. — ovvero in materia di criminalità organizzata dall'art. 2 ter 1. 575/65, in quanto il terzo può chiedere la revoca del sequestro e la restituzione dei beni, a norma dell'art. 321, 3° comma, ed è legittimato all'appello ai sensi del l'art. 322 bis c.p.p. del codice di rito.

IV. - E bene ricordare che nel procedimento di esecuzione avente ad

oggetto la confiscabilità di un bene, l'amministrazione dello Stato è ti

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GIURISPRUDENZA PENALE

Piedimonte Teresa (in proprio e nella qualità di esercente la

potestà sulla figlia minore Battimelli Giovanna), Battimelii Te

resa, Novaca Immacolata con ricorso propongono incidente di

esecuzione avverso la sentenza della VII sezione penale del Tri

bunale di Napoli — emessa nei confronti di Battimelli Salvatore

in data 6 luglio 2001 di applicazione della pena di anni uno e

mesi otto di reclusione e lire 6.000.000 di multa, con pena so

spesa, per i reati di cui agli art. 644, 644 bis c.p. e 132 d.leg. 1°

settembre 1993 n. 385 — con la quale è stata anche disposta ai

sensi dell'art. 12 sexies 1. 356/92 la confisca di tutti i beni in se

tolare di un interesse alla decisione, dalla quale può derivarle, in modo diretto ed immediato, un pregiudizio o un vantaggio giuridicamente ap prezzabile. Sicché, essa ha diritto ad avere avviso dell'udienza came rale fissata per la deliberazione dell'incidente, con conseguente nullità

generale a regime intermedio ex art. 178, lett. c), c.p.p., in caso di

omissione, rilevabile nei limiti fissati dagli art. 180 e 182 c.p.p. (così, Cass., sez. un., 28 aprile 1999, Bacherotti, id., 1999, II, 571, con nota di

Canzio; nello stesso senso, anche Cass. 29 ottobre 1990, Pecorella, id.,

Rep. 1991, voce Esecuzione penale, n. 79). V. - Nella fattispecie concreta, la confisca ex art. 12 sexies cit. è stata

disposta a seguito di giudizio definito ex art. 444 c.p.p. In proposito, Cass. 21 marzo 2002, Chiascione. id., Rep. 2002, voce Pena (applica zione su richiesta), n. 33, ha puntualizzato che il giudice deve motivare

adeguatamente in ordine alla mancanza di giustificazione circa la pro venienza dei beni o del denaro confiscato e la sproporzione tra il valore dei beni posseduti ed il reddito dell'imputato, non potendosi la motiva zione sommaria propria del rito speciale estendere automaticamente alla misura di sicurezza patrimoniale.

(2) I. - Secondo un orientamento giurisprudenziale, ormai consoli

dato, l'art. 12 sexies d.l. 306/92 ha posto una presunzione di illecita ac cumulazione patrimoniale, superabile attraverso una giustificazione cir ca la legittimità della provenienza dei beni (suscettibili di confisca), of ferta dai soggetti che hanno la titolarità o la disponibilità dei beni. Tut

tavia, nel caso di bene intestato a terzo di cui si assuma l'effettiva tito larità o disponibilità da parte dell'imputato (di uno dei delitti c.d. sor

gente. previsti dalla norma de qua), l'indagine al fine di disporre la mi sura di sicurezza patrimoniale deve essere rigorosa, tanto più se il terzo intestatario sia un estraneo, che non abbia vincoli lato sensu di paren tela o di convivenza con il condannato, rispetto ai quali è più accen tuato il pericolo della fittizia intestazione e più probabile l'effettiva di

sponibilità dei beni da parte del medesimo. In tali ipotesi: a) al p.m. in combe provare che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità ap parente. onde favorire (fraudolentemente) la permanenza dell'acquisi zione del bene in capo al condannato; b) al giudice spetta spiegare le

ragioni della ritenuta interposizione fittizia, sulla base di elementi fat tuali. connotati dalla precisione, gravità e concordanza: cfr., ampia mente, da ultimo, Cass. 5 febbraio 2001, Di Bella, Foro it., 2002, II, 263, con nota redazionale cui si rinvia per un analogo precedente e nota di Di Chiara, Modelli e standard probatori in tema di confisca dei pro venti di reato nello «spazio giuridico europeo»: problemi e prospettive. Nello stesso senso (a proposito del citato specifico onere probatorio, incombente sull'organo di accusa), cfr., più di recente, Cass. 6 maggio 2002, D'Apice, Guida al dir., 2003, fase. 5, 105; 6 maggio 2002, Lo

Duca, ibid., fase. 9, 81.

Peraltro, da ultimo, Cass. 9 luglio 2002, Boiocchi, ibid., fase. 2, 77, ha ribadito che la norma de qua pone a carico del titolare apparente dei beni condannato per i particolari reati ivi previsti una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente non abbia svolto un'attività tale da

procurargli il bene, per invertire l'onere della prova ed imporre alla

parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l'acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo. Nello stesso senso, cfr. an che Cass. 5 febbraio 2001, Di Bella, cit.; 9 maggio 2001, Cantatore, Foro it.. Rep. 2001, voce Confisca, n. 6, nonché Cass. 29 maggio 2002, Del Mistro, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 12.

Inoltre, per Cass. 25 settembre 2000, Vergano, id.. Rep. 2001,voce Misure di prevenzione, n. 66, la confisca in esame «può cadere solo su beni che di fatto appartengano al condannato e sui quali egli sia in gra do di esercitare una qualificata signoria, a prescindere dal formale titolo

giuridico e financo della stessa materiale detenzione». 11. - A seguito dell'adozione del provvedimento di sequestro preven

tivo ex art. 12 sexies, 4° comma, d.l. cit.. in relazione ai beni sottoposti a vincolo cautelare è obbligatoria — e non solo facoltativa — la nomi na del custode giudiziario (Cass. 9 luglio 2001, Pane, id., Rep. 2002, voce Sequestro penale, n. 49), che svolge compiti di gestione dei beni in sequestro del tutto analoghi a quelli propri dell'amministratore giu diziario (così, Cass. 21 febbraio 2000, Orofino, ibid., n. 48). Seguendo tale prospettiva ermeneutica, in una pronuncia di merito (Assise Santa Maria Capua Vetere, ord. 4 aprile 2002, Giur. merito, 2003, 116), si è sostenuto che il giudice procedente può ordinare al custode di esercitare in assemblea il diritto di voto per la revoca del collegio sindacale (del

l'impresa, sottoposta alla misura cautelare de qua).

Il Foro Italiano — 2003.

questro. La sentenza è passata in giudicato poiché la Corte di

cassazione, con la sentenza del 2 ottobre 2002, ha dichiarato

inammissibile il ricorso presentato da Battimelli Salvatore.

I ricorrenti reclamano la proprietà di alcuni beni chiedendone

la restituzione.

In particolare, Piedimonte Teresa in proprio chiede la restitu

zione dell'immobile sito in Bagnoli, via Eurialo n. 38, piano T, int. 3; fonda la richiesta per essere la proprietaria dell'immobile,

acquistato, attraverso «i sacrifici di un'intera vita di lavoro di

pendente», il 7 febbraio 1995 da Simeone Raffaella al prezzo di

lire 98.000.000, in regime di separazione dei beni dal marito. A

prova della deduzione, la ricorrente produce copia dell'atto di

compravendita, un attestato di servizio datato 19 febbraio 1993

ed un cedolino di stipendio relativo al gennaio 1993 ed una co

pia della prima pagina di un libretto di risparmio al portatore intestato a Piedimonte Teresa emesso 1' 11 luglio 1990.

Ancora, Piedimonte Teresa, nella qualità di esercente la pote stà sulla figlia minore Battimelli Giovanna, nel chiederne la re

stituzione, contesta la proprietà dell'immobile sito in Napoli, in

via D. Carafa n. 58 (definito di scarso valore) per la figlia Gio

vanna; l'appartamento fu acquistato da Franco Iuliano in data

11 aprile 1994 previa autorizzazione del giudice tutelare. Se

condo la ricorrente, il prezzo (lire 80.000.000) fu pagato con

una somma «che la minore possedeva quale suo pecunio, frutto

di donativi vari ricevuti dai genitori, dai nonni e dai parenti in

varie circostanze».

A prova della deduzione, la ricorrente produce copia dell'atto

di compravendita dell' 11 aprile 1994 e l'autorizzazione del giu dice tutelare.

Battimelli Teresa e Novaca Immacolata, rispettivamente so

rella e madre di Battimelli Salvatore, chiedono la restituzione

delle somme equivalenti al valore dei certificati di deposito e

dei buoni fruttiferi già sequestrati.

Rappresentano che tali titoli sono il frutto dell'investimento

dei loro risparmi, confluiti sul conto corrente acceso presso l'ag. 17 del Banco di Napoli intestato a Novaca Immacolata ed origi nariamente a Battimelli Lorenzo alla cui morte nel 1995 «su

bentrò il figlio Salvatore».

Sul conto corrente acceso presso l'ag. 17 del Banco di Napo li, a dire delle ricorrenti, confluivano «negli ultimi tempi... la

pensione di reversibilità della vedova ed ancora tutti i redditi ed

i risparmi dell'intera famiglia Battimelli-Puglia». Battimelli Teresa infatti rappresenta di essere coniugata con

Puglia Raffaele, di avere «notevoli disponibilità sia per l'ocu

latezza della gestione del reddito familiare sia perché il marito

riveste un importante ruolo di responsabilità nella Coop di Soc

cavo fin da prima del matrimonio».

Ancora, Battimelli Teresa e Novaca Immacolata rappresenta no di aver investito i loro risparmi in certificati di deposito e

buoni fruttiferi i quali «per questioni di speditezza di investi

mento e di realizzo ... risultano al portatore». Si allegano diversi documenti a prova delle affermazioni.

In punto di diritto i difensori dei ricorrenti ritengono illegit tima la confisca disposta dal tribunale contestando:

III. - Per ulteriori notizie riguardanti i presupposti di applicabilità (anche temporali) della confisca, contemplata dall'art. 12 sexies cit., cfr. Cass. 28 gennaio 2003, Scuto, in questo fascicolo, li. 508, con nota di Giorgio.

IV. - In dottrina, sulla norma de qua, oltre agli autori richiamati nelle note a Cass. sez. un., 30 maggio 2001, Derouach, in Foro it., 2001. II, 502, ed a Cass. 28 gennaio 2003, Scuto, cit., cfr. Mazza, Commento al l'art. 12 sexies d.l. 306/92, in Legislazione pen., 1995, 31 s.; Fiandaca

Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 1995, 790-793; B.

Santacroce, Ingiustificato possesso di valori: viene cancellata la fatti specie di reato e nasce una nuova ipotesi di confisca obbligatoria, in Giur. it.. 1995. I, 23; Locatelli, La confisca del patrimonio di valore

sproporzionato, in Fisco, 1996, 8303 ss.; Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano, 1997, 296-299; Alfonso, La

confisca prevista dall'art. 12 sexies l. 306/92, in Atti dell'incontro di studio sul tema «Le misure di prevenzione», organizzato dal Csm in Frascati dal 18 al 20 settembre 1997; Di Lena, In tema di confisca per

possesso ingiustificato di valori, in Indice pen., 1999, 1210 ss., spec. 1217 s.; Gialanella, Patrimoni di mafia, Napoli, 1998, 40-93. Di que st'ultimo a. vanno segnalate anche le approfondite relazioni, presentate in occasione dei corsi di approfondimento «Mario Amato», organizzati periodicamente dal Csm (tra cui, da ultimo, quella presentata durante il corso svoltosi in Roma tra il 19 ed il 23 novembre 2001, consultabile sul sito Internet del Csm).

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PARTE SECONDA

— che prima di procedere alla confisca non siano stati chia

mati in giudizio i ricorrenti, secondo alcune sentenze della Su

prema corte (Cass. 9 novembre 1987, Nicoletti, Foro it., Rep. 1989, voce Misure di prevenzione, n. 80; 18 novembre 1992,

Tappinari, id., Rep. 1993, voce Confisca, n. 11); — che nessuna indagine sia stata fatta sull'appartenenza a

terzi dei beni in sequestro; — che in caso di beni appartenenti a terzi è necessaria la

prova di un nesso di casualità che il bene sia frutto della con

dotta illecita; — che il tribunale avrebbe dovuto applicare l'art. 263, 3°

comma, c.p.p.; — che il tribunale avrebbe dovuto applicare la confisca di

cui agli art. 644, ultimo comma, e 644 bis c.p. con i relativi li

miti; — che non poteva essere applicata la norma di cui all'art. 12

sexies 1. 356/92 non essendo stata contestata tale norma.

In via subordinata, con memoria depositata all'udienza del 4

luglio 2003, i ricorrenti eccepivano l'illegittimità costituzionale

degli art. 644 e 644 bis c.p. e dell'art. 12 sexies 1. 356/92 per contrasto con gli art. 3, 29 e 31, 1° comma, Cost, ritenendo che

le norme consentono la confisca contro i beni formalmente inte

stati ai familiari mentre la Costituzione tutela la famiglia «...

con implicito divieto di farla oggetto di misure di sfavore ...».

Il p.m. ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

All'odierna udienza, integrato il contraddittorio, i difensori

rinunciavano ai termini per i ricorrenti.

Motivi della decisione. — In primo luogo, non possono con

dividersi le argomentazioni del p.m. quanto all'inammissibilità

del ricorso.

Certamente il ricorso, se proposto da Battimelli Salvatore per ottenere la restituzione dei beni, sarebbe stato inammissibile,

posto che la confisca è ormai coperta dal passaggio in giudicato della sentenza (Cass. 20 aprile 2000, El Yamini, id., Rep. 2000, voce cit., n. 8: «allorché la confisca sia stata disposta con sen

tenza irrevocabile, il giudice dell'esecuzione non può ordinare

la restituzione delle cose confiscate al condannato che ne vanta

la proprietà, non potendo la relativa statuizione essere più posta in discussione a causa della preclusione del giudicato; in sede

esecutiva può farsi questione sulla formazione del titolo esecu

tivo, sull'applicazione della confisca obbligatoria non disposta in sede di merito, sulla proprietà delle cose confiscate se non

appartenenti al condannato o se rivendicate da un terzo, sull'e

stensione e modalità esecutive della confisca stessa, ma non può riconoscersi al giudice dell'esecuzione il potere di vanificare il

giudicato stesso rimuovendo, in favore del condannato, il prov vedimento di confisca non più soggetto a impugnazione»).

E invece ammissibile la rivendicazione delle cose da parte di

un terzo che sia stato estraneo al processo conclusosi con la

sentenza che abbia disposto la confisca, come nel caso in esame,

secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 16 maggio 2000,

Campione, ibid., voce Esecuzione penale, n. 86: «l'irrevocabi lità della sentenza con la quale sia stata disposta la confisca di

una cosa non è di ostacolo a che un soggetto rimasto estraneo al

procedimento penale conclusosi con detta sentenza, assumendo

di essere titolare di diritti sulla cosa confiscata, ne chieda la re

stituzione con istanza rivolta al giudice dell'esecuzione, com

petente ai sensi dell'art. 676 c.p.p.»), con le forme dell'inci

dente di esecuzione (cfr. anche Cass. 26 novembre 1996, Tretto,

id.. Rep. 1997, voce Confisca, n. 11: «l'ordine di confisca della

cosa sequestrata, contenuto nella sentenza di condanna o di pro

scioglimento, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno par

tecipato al procedimento di cognizione, conclusosi con la stessa

sentenza, ma non fa stato anche nei confronti di terzi che non

hanno rivestito la qualità di parte in quel procedimento, i quali

possono proporre incidente di esecuzione per far valere nei con

fronti dello Stato, successore a titolo particolare nel diritto di

proprietà sulla cosa confiscata, gli stessi diritti che avrebbero

potuto far valere nei confronti dell'imputato — ovvero nei con

fronti di altro soggetto che avesse consegnato la cosa all'impu tato —

compreso, tra l'altro, il diritto alla restituzione della cosa

della quale sia stata ordinata la confisca, o altro diritto nel caso

di impossibilità della restituzione»). Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato. Sono infatti

infondate tutte le questioni in diritto ed in fatto poste dai ricor

renti.

Quanto alle questioni di diritto si osserva che:

Il Foro Italiano — 2003.

— nessuna norma prevede che, nel corso di un processo, tanto più se incardinato con le forme di cui agli art. 444 ss.

c.p.p., prima di procedere alla confisca nei confronti di beni ap

partenenti a terzi estranei al giudìzio il giudice debba integrare il contraddittorio; né tale principio additivo è stato affermato

dalla giurisprudenza (la prima sentenza citata dalla difesa con i

dati forniti non è rinvenibile nel massimario della Cassazione;

l'unica sentenza Nicoletti del 1987 è relativa alla concessione

edilizia; la sentenza Tappinari del 1992 afferma un principio di

verso [cfr. Cass. 18 novembre 1992, Tappinari: «il concetto di

'appartenenza' di cui all'art. 240 c.p. ha una portata più ampia del diritto di proprietà, essendo sufficiente che le cose da confi

scare, di cui il reo ha la disponibilità, non appartengano a terzi

estranei al reato, intendendosi per estraneo soltanto colui che in

nessun modo partecipi alla commissione dello stesso o all'uti

lizzazione dei profitti che ne sono derivati. Poiché la misura di

sicurezza della confisca ha carattere non punitivo ma cautelare, fondato sulla pericolosità derivante dalla disponibilità delle cose

che servirono per commettere il reato, ovvero ne costituiscano il

prezzo, il prodotto o il profitto, essa può essere disposta anche

per i beni appartenenti a persone giuridiche dovendo a tali per

sone, in forza dei principi di rappresentanza, essere imputati gli stati soggettivi dei loro legali rappresentanti (fattispecie relativa

a confisca di compendi immobiliari, azioni e quote di società,

autoveicoli, saldi di conti correnti bancari appartenenti a società

1 cui legali rappresentanti erano stati ritenuti responsabili di as

sociazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabac

chi lavorati esteri e di contrabbando di tali tabacchi)»]); — correttamente il tribunale ha disposto la confisca appli

cando l'art. 12 sexies 1. 356/92, trattandosi di ipotesi di confisca

obbligatoria da disporre in caso di condanna o di sentenza ex

art. 444 c.p.p. per i reati di cui agli art. 644 e 644 bis c.p.; sul

punto si osserva che non è necessario che tale norma sia conte

stata all'imputato (la contestazione riguarda il fatto reato; tale

norma prevede un'ipotesi di confisca obbligatoria, che è una

misura di sicurezza patrimoniale); — la correttezza dell'applicazione di tale norma è stata con

fermata anche dalla Corte di cassazione che con la sentenza del

2 ottobre 2002 ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai difensori di Battimelli Salvatore che aveva ad oggetto anche

l'applicazione di tale norma; — la norma ex art. 12 sexies 1. 356/92 è speciale (cfr. Cass.

15 aprile 1996, Berti, id., Rep. 1996, voce Sequestro penale, n.

97) rispetto alle ipotesi di confisca previste dagli art. 240 e 644

c.p., sicché correttamente è stata applicata la prima norma con

confisca di beni ulteriori rispetto a quelli confiscabili secondo le

norme ordinarie; infatti: «la confiscabilità dei beni nel caso di

procedimento penale per il delitto di usura, a seguito della sal

vezza delle disposizioni di cui all'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, fatta dall'art. 6 I. 7 marzo 1996 n. 108, non trova i

suoi limiti nelle previsioni dell'art. 240 c.p. ma si estende anche

a cose che non siano il prodotto od il profitto immediatamente

individuabile come connesso allo specifico episodio imputato ed

è diretta, da un lato, ad impedire che comunque il condannato

possa trarre un utile dal reato commesso e, dall'altro, a devolve

re allo Stato tutte le utilità che appaiano ingiustificatamente ac

quisite al proprio patrimonio da una persona condannata per il

delitto di usura» (cfr. Cass. 22 febbraio 1999, Cesana, id., Rep. 1999, voce Usura, n. 32);

— correttamente il tribunale ha deciso allo stato degli atti

perché l'art. 12 sexies 1. 356/92 pone una presunzione di illecita

accumulazione patrimoniale (cfr. Cass. 26 marzo 1998, Bosetti,

id.. Rep. 1998, voce Confisca, n. 14, e voce Sequestro penale, n.

59); — non vi era nessuna controversia sulla proprietà delle cose

(tutte o intestate o al portatore; ed il portatore era il Battimelli), sicché non trova applicazione l'art. 263 c.p.p.

Tanto premesso, deve osservarsi che la presunzione di illecita

accumulazione patrimoniale — che consente la confisca a nor

ma dell'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306 dei beni e delle

altre utilità di cui il condannato per determinati reati (fra cui

quelli di usura) non possa giustificare la provenienza, senza che

rilevi se tali beni siano o meno derivanti dal reato per cui è stata

pronunciata condanna — è «... superabile ... attraverso una

giustificazione circa la legittimità della loro provenienza da

parte dei soggetti che hanno la titolarità o la disponibilità dei

beni ...» (cfr. Cass. 26 marzo 1998, Bosetti, cit.).

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Page 5: ordinanza 16 luglio 2003; Pres. Del Balzo, Rel. Semeraro; ric. Piedimonte e altri

GIURISPRUDENZA PENALE

La Cassazione ha però specificato che ai fini dell'assolvi

mento di tale onere non è sufficiente che sia fornita la prova di

un rituale acquisto ma è necessario che i mezzi impiegati per il

relativo negozio derivino da legittime disponibilità finanziarie

(cfr. Cass. 26 marzo 1998, Bosetti, cit.). Ancora più chiaramente si è espressa Cass. 2 giugno 1994,

Malasisi (id., Rep. 1995, voce Ricettazione, n. 59): «Al fine di

'giustificare la provenienza' dei beni che sono confiscabili ai

sensi dell'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito, con modificazioni, nella 1. 7 agosto 1992 n. 356, come intro

dotto dall'art. 2 d.l. 22 febbraio 1994 n. 123 (non convertito) e

22 aprile 1994 n. 246, non è sufficiente l'esibizione di atti giu ridici d'acquisto, stipulati a norma di legge e debitamente tra

scritti, perché in tal modo non si dà conto della provenienza dei

mezzi impiegati per l'acquisizione dei beni di valore spropor zionato alle proprie possibilità economiche; occorre invece che

il condannato per taluno dei delitti espressamente indicati nella

suddetta disposizione legislativa fornisca esauriente spiegazione della lecita provenienza dei beni di valore non proporzionato al

proprio reddito o alla propria attività, dimostrando la loro deri

vazione da legittime disponibilità finanziarie». Orbene, i ricorrenti non hanno assolto al loro onere probato

rio.

Infatti, quanto alla richiesta di Piedimonte Teresa in proprio (relativa aila restituzione dell'immobile sito in Napoli, via Eu

rialo n. 38, da lei acquistato il 7 febbraio 1995 da Simeone Raf

faella), secondi principi espressi dalla giurisprudenza, la ricor

rente avrebbe dovuto provare l'estraneità di Battimelli Salvatore

all'operazione di vendita nonché che le disponibilità finanziarie

adoperate per l'acquisto erano sue esclusive.

In primo luogo si osserva che la prova della simulazione sog

gettiva relativa al compratore è costituita dalla documentazione

rinvenuta nell'abitazione di Battimelli Salvatore: infatti tra i be

ni in sequestro vi è un «atto privato, dattiloscritto, datato 10 ot

tobre 1994, a firma di Simeone Raffaella e di Battimelli Salva

tore, nel quale viene contrattato l'appartamento sito in Napoli, via Eurialo n. 38, piano T, int. 3, per l'importo convenuto di lire

97.000.000». Dalla lettura di tale atto emerge anche che Simeone Raffaella

aveva ricevuto il 10 ottobre 1994 da Battimelli Salvatore la

somma di lire 2.000.000 a titolo di caparra per l'acquisto del

l'immobile.

Dunque, tale atto, per la sua natura giuridica e la sua forma, è

in realtà il preliminare di vendita: ed il promissario acquirente è

Battimelli Salvatore, il quale svolse anche le trattative.

Ma vi è di più, perché la ricorrente non ha in alcun modo

provato che la somma adoperata per l'acquisto dell'immobile

derivava da «i sacrifici di un'intera vita di lavoro dipendente»: anzi, la documentazione prodotta prova esclusivamente che Pie

dimonte Teresa era lavoratrice subordinata dal 1° febbraio 1992

al 19 febbraio 1993, tale essendo la data della certificazione.

Dunque è del tutto indimostrato che la donna lavorasse all'atto

dell'acquisto dell'immobile.

Anzi proprio la documentazione prodotta, atteso il tempo per il quale vi è prova della sussistenza del rapporto di lavoro su

bordinato, conferma che la Piedimonte mai avrebbe potuto ac

quistare con i suoi risparmi l'immobile de quo, attesa l'entità

della retribuzione che riceveva (di poco superiore a lire

1.400.000). Il rapporto giuridico era sorto quindi tra la venditrice ed il

Battimelli: Piedimonte Teresa era la mera intestataria di un im

mobile in realtà nella piena disponibilità del Battimelli.

Quanto alla richiesta di Piedimonte Teresa, nella qualità di

esercente la potestà sulla figlia minore Battimelli Giovanna, di

restituzione dell'immobile sito in Napoli in via D. Carafa n. 58

acquistato da Franco Iuliano in data 11 aprile 1994, a prescinde re dagli eventuali profili sulla legittimazione ad agire in giudizio

previa autorizzazione del giudice tutelare, la ricorrente non ha

adempiuto all'onere probatorio.

Quanto all'asserzione della ricorrente che il prezzo (lire

80.000.000) fu pagato con una somma «che la minore possede va quale suo pecunio, frutto di donativi vari ricevuti dai genito ri, dai nonni e dai parenti in varie circostanze», riportata anche

nella richiesta di autorizzazione al giudice tutelare, si tratta di

un'affermazione priva di qualunque fondata dimostrazione. Non

è stata fornita alcuna prova di ciò; né il reddito percepito dalla

ricorrente Piedimonte Teresa quale lavoratrice subordinata dal

Il Foro Italiano — 2003.

1° febbraio 1992 al 19 febbraio 1993 poteva consentire l'acqui sto di due immobili nell'arco di un solo anno! Si aggiunga che il

valore dell'immobile, secondo la valutazione prudenziale fatta

dal custode giudiziario a distanza di pochi anni, è in realtà di

lire 220.000.000, a dimostrazione che il prezzo apposto sull'atto

di vendita è simulato.

Inoltre, dagli atti emerge la prova che in realtà fu proprio Battimelli Salvatore ad essere il dominus di tutta l'operazione: infatti nel corso della perquisizione all'imputato furono seque strati sei assegni (di cui cinque dall'importo di lire 13.200.000

ed uno dall'importo di lire 20.000.000) rilasciati all'ordine del

cedente Franco Iuliano in favore di Battimelli Salvatore. Si ag

giunga che Franco Iuliano ha dichiarato di aver svolto tutte le

trattative e la conclusione del contratto proprio con il Battimelli:

dunque anche in questo caso vi è la prova dell'interposizione

soggettiva. Anche la rivendicazione delle somme rappresentative del va

lore dei titoli di credito in sequestro deve essere rigettata. In primo luogo si osserva che il primo documento prodotto

nell'ali. 6 contenente alcuni conteggi riepilogativi non è sotto

scritto; non è dato sapere chi lo ha redatto: trattasi di un docu

mento anonimo del tutto inutilizzabile.

Anche le richieste di Battimelli Teresa e Novaca Immacolata

devono essere rigettate. Va premesso che nel corso delle indagini furono sottoposti a

sequestro: 1) in data 16 luglio 1997 presso l'abitazione di Battimelli

Salvatore dieci titoli di credito (di cui due certificati di deposito al portatore emessi dal Banco di Napoli, quattro certificati di

deposito al portatore emessi dalla Banca di Roma, quattro buoni

fruttiferi emessi dal Banco di Napoli; di questi titoli, un buono

fruttifero «buono di credito agrario» emesso dal Banco di Na

poli il 10 giugno 1996 dall'importo di lire 40.000.000 è inte stato a Piedimonte Teresa) ed un libretto al portatore intestato a

Piedimonte Teresa aggiornato al 5 agosto 1996 con importo di

lire 199.230; 2) in data 12 settembre 1997 un buono fruttifero «buono di

credito industriale» emesso dal Banco di Napoli il 12 marzo

1996 dall'importo di lire 20.000.000, consegnato da Battimelli

Teresa;

3) in data 28 aprile 1998 tre buoni fruttiferi emessi dal Banco

di Napoli (di cui il primo emesso il 28 ottobre 1996 con scaden

za 28 aprile 1998 dall'importo di lire 20.000.000; il secondo

emesso il 7 gennaio 1997 con scadenza 7 luglio 1998 dall'im

porto di lire 20.000.000; il terzo emesso il 9 giugno 1997 con

scadenza 9 dicembre 1998 dall'importo di lire 30.000.000); tali

titoli furono consegnati alla polizia giudiziaria da Battimelli Te

resa.

Quanto ai titoli di credito di cui al punto 1), si tratta di titoli

al portatore tutti ritrovati in possesso dell'imputato il quale

pertanto era la persona legittimata all'esercizio del diritto men

zionato nel titolo mediante la presentazione del titolo stesso ai

sensi dell'art. 2003 c.c. (si tratta di dieci certificati di deposito al portatore dal solo valore nominale complessivo, secondo il

custode giudiziario, di lire 250.000.000). Per tali titoli si applica il principio «possesso vale titolo»; né le ricorrenti hanno dato la

prova di un diverso titolo di legittimazione. In ogni caso nessuna pretesa le ricorrenti hanno manifestato

quanto ai quattro certificati di deposito al portatore emessi dalla

Banca di Roma; si aggiunga che i buoni fruttiferi emessi dal

Banco di Napoli sono indicati da tale istituto di credito fra quelli emessi nell'ambito dei rapporti intercorsi con Battimelli Salva

tore: dunque vi è la prova documentale che tali titoli erano di

rettamente riferibili a Battimelli Salvatore.

Quanto ai titoli di credito indicati ai punti 2) e 3), per quanto

gli stessi furono consegnati da Battimelli Teresa, vi è la prova documentale in atti che la ricorrente ne avesse la disponibilità

per conto del fratello Salvatore il quale ne era in realtà il pos sessore.

Infatti, tali titoli furono emessi dall'istituto di credito nel

l'ambito dei rapporti economici intercorsi tra Battimelli Salva

tore ed il Banco di Napoli. Si aggiunga che Battimelli Teresa non ha fornito alcuna prova

delle sue capacità di reddito, tali da giustificare un investimento

di tale importo. Infine, quanto alle pretese di Novaca Immacolata, si osserva

che l'essere le somme percepite a titolo di pensione accreditate

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Page 6: ordinanza 16 luglio 2003; Pres. Del Balzo, Rel. Semeraro; ric. Piedimonte e altri

PARTE SECONDA

sul conto corrente sul quale operava anche il figlio, non fornisce

prova di una legittimazione sui titoli diversa da quella del pos sesso.

In ordine all'eccezione di legittimità costituzionale sollevata

in via subordinata, si osserva che la questione è irrilevante e

manifestamente infondata.

Va premesso che la conformità della norma alla Costituzione

è stata espressa più volte sia dalla Corte costituzionale che dalla

Corte di cassazione (nel rigettare eccezioni d'incostituzionalità). E irrilevante in primo luogo perché è emersa la prova che i

beni oggetto della confisca sono tutti direttamente riferibili, an

che se alcuni per interposta persona, a Battimelli Salvatore, sic

ché la norma non pone alcuna ingiustificata misura a carico dei

familiari. Inoltre, le norme sulla tutela della famiglia sono invo

cate in modo infondato, perché l'accumulo illecito dei capitali non rientra tra i diritti della famiglia come società fondata sul

matrimonio (art. 29 Cost.) né tra i compiti della famiglia age volati dalla repubblica (art. 31 Cost.).

I

TRIBUNALE DI TORINO; TRIBUNALE DI TORINO; ordinanza 7 luglio 2003; Giud.

Podda; imp. Safadi Abdelkrim.

Pena (applicazione su richiesta) — Novella legislativa — Di

sciplina transitoria — Proposizione o rinnovo della richie

sta di patteggiamento — Nuovo termine — Questione non

manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3,

111; cod. proc. pen., art. 444; 1. 12 giugno 2003 n. 134, modi

fiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti, art. 1, 5).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale degli art. 1, 1° comma, e 5, 1° e 2° comma, l. 12

giugno 2003 n. 134, nella parte in cui, introducendo il c.d.

patteggiamento «allargato», prevedono per la richiesta di

patteggiamento un termine ulteriore — non inferiore a qua

rantacinque giorni e decorrente dalla prima udienza utile

successiva alla data di entrata in vigore della legge — ri

spetto a quello già decorso a norma dell 'art. 446, 1 °

comma,

c.p.p., anche con riguardo al patteggiamento di pene conte

nute nel limite di due anni di reclusione, quindi già rientranti

nella precedente disciplina del rito, e persino nei casi in cui

l'imputato non abbia mai manifestato la volontà di accedere

allo speciale rito, in contrasto quindi con i principi di ragio nevolezza della legge e di ragionevole durata del processo, in

riferimento agli art. 3 e 111 Cost. (1)

(1-3) Dopo la I. 12 giugno 2003 n. 134, si può parlare di due tipi di

patteggiamento, il «semplice» e r«allargato» (per un riepilogo siste matico della situazione normativa a seguito dell'ultima modifica, cfr. P.

Tonini, Patteggiamento, come si cambia, in Dir. e giustizia, 2003, fase. 27, 8).

La nuova disciplina del patteggiamento è stata oggetto di perplessità e critiche già durante i lavori parlamentari e nei primi commenti della dottrina: cfr. F. Ferrua, Patteggiamento allargato, una riforma dai molti dubbi, ibid., fase. 8, 10; E. Marzaduri, Una riforma dagli effetti incerti che mette a dura prova l'interprete, in Guida al dir.. 2003, fase. 25, 19; R. Bricchetti-L. Pistorelli, Sospensione di quarantacinque giorni per i procedimenti in corso, ibid.. 35; Id.. / rinvii alla Consulta e le note organizzative non sciolgono i veri nodi de! regime transitorio, ibid., fase. 29, 94; P. Ferrua, Patteggiamento allargato, legge tre volte

irrazionale, in Dir. e giustizia, 2003, fase. 29, 8; D. Carcano, Patteg giamento: com'era e cos'è, in Cass, pen., 2003. 2148.

Dai provvedimenti riportati risulta che anche i giudici percepiscono le modifiche legislative come fonte di non pochi problemi. Per alcuni di

questi, vengono sollevate — con le ordinanze sopra riportate — que stioni di legittimità costituzionale. Contemporaneamente, la sezione II

Il Foro Italiano — 2003.

II

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 1° luglio 2003; Pres. ed

est. Bresciano; imp. Barletta e altri.

Pena (applicazione su richiesta) — Novella legislativa — Di

sciplina transitoria — Nuovo termine — Questione non

manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 111 ; cod. proc. pen., art. 444; 1. 12 giugno 2003 n. 134, art. 1,

5). Pena (applicazione su richiesta) — Novella legislativa —

Estensione del rito alla pena detentiva fino a cinque anni — Questione non manifestamente infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3, 111; cod. proc. pen., art. 444; 1. 12 giu

gno 2003 n. 134, art. 1, 5).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale degli art. 1,1° comma, e 5, 1° e 2° comma, l. 12

giugno 2003 n. 134, nella parte in cui, introducendo il c.d.

patteggiamento «allargato», prevedono per la richiesta di

patteggiamento un termine ulteriore rispetto a quello già de

corso a norma dell'art. 446, 1° comma, c.p.p., impongono una sospensione del processo non inferiore a quarantacinque

giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge, e

dispongono che le nuove disposizioni si applichino anche ai

processi in corso, in contrasto quindi con i principi di ragio nevolezza della legge e di ragionevole durata del processo, in

riferimento agli art. 3 e 111 Cost. (2) Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale degli art. 1,1° comma, e 5, 1° e 2° comma, l. 12

giugno 2003 n. 134, nella parte in cui, introducendo il c.d.

patteggiamento «allargato», ne estendono l'applicazione alla

pena detentiva non superiore a cinque anni, così sottraendo

al giudizio di cognizione piena la maggioranza assoluta dei

reati e trasformando di fatto il rito speciale in un rito gene ralizzato, in violazione dei principi costituzionali di ragione volezza e di formazione della prova in contraddittorio, in rife rimento agli art. 3 e 111 Cost. (3)

penale della Corte di cassazione ha rimesso alla decisione delle sezioni unite della stessa corte la questione dell'applicabilità della disciplina transitoria nel giudizio di legittimità (Cass. 2 luglio 2003, Petrella, in

questo fascicolo, 11, 497, ove anche notizia del dispositivo di udienza della decisione delle sezioni unite).

L'ordinanza del Tribunale di Torino e quella del Tribunale di Roma, nella parte relativa alle censure sulla disciplina transitoria, presentano forti somiglianze di contenuto e di struttura, ma anche differenze legate alle diversità della specie oggetto dei rispettivi giudizi di merito. En trambe censurano le disposizioni transitorie stabilite dall'art. 5 1. 134/03, nella parte in cui prevedono un termine ulteriore, rispetto a

quello fissato dall'art. 446, 1° comma, c.p.p.. per la richiesta di patteg giamento, introducendo un'obbligata sospensione del dibattimento non inferiore a quarantacinque giorni, quando l'imputato ne faccia istanza

per poter valutare l'opportunità di proporre la pena concordata. Ed en trambe invocano gli art. 3 e 111 Cost., sostenendo che la norma si pone in contrasto con i principi di ragionevolezza della legge e di ragione vole durata del processo. Ma diverso è l'ambito applicativo delle que stioni sollevate.

Il Tribunale di Roma solleva infatti la questione in termini generali, dopo essere stato investito dell'istanza di sospensione proposta da im

putati che erano stati rinviati a giudizio, a seguito dell'udienza prelimi nare, con riferimento a reati non specificati nell'ordinanza sopra ripor tata e quindi al patteggiamento «allargato». Ad avviso del tribunale, la norma transitoria introdotta con l'art. 5 1. 134/03 contrasta con gli art. 3 e 111 Cost, in relazione al disposto del 1 ° comma, che consente di for mulare la richiesta anche oltre il termine fissato dall'art. 446, 1° com

ma, c.p.p., e in relazione al disposto del 2° comma, che impone, su

semplice richiesta dell'imputato, una sospensione di quarantacinque giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima udienza utile suc cessiva alla data di entrata in vigore della legge.

Difatti — osserva il tribunale — l'istituto della pena concordata è stato introdotto nel codice di rito vigente per determinare un effetto de flattivo del procedimento penale. «Ne consegue che lo sbarramento

previsto dall'art. 446, 1° comma, c.p.p. per l'introduzione del rito ha una sua logica ferrea e ineludibile, altrimenti verrebbe meno il princi pio stesso su cui si fonda il rito premiale». Con questa logica si pone in contrasto l'ingiustificato automatismo della sospensione.

Inoltre la ragionevole durata del processo è tutelata dal nuovo art. Ill Cost, con riguardo non soltanto all'imputato, ma anche alle altre

parti processuali, ivi compresa la parte civile, ed assurge quindi a prin

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