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ordinanza 17 giugno 1996, n. 202 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 giugno 1996, n. 26);Pres. Ferri, Rel. Santosuosso; Livraghi e altri (Avv. R. De Sanctis) c. Min. finanze; interv. Pres.cons. ministri (Avv. dello Stato G. O. Russo). Ord. Pret. Genova 2 ottobre 1995 (G.U., 1 a s.s.,n. 53 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 12 (DICEMBRE 1996), pp. 3611/3612-3613/3614Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191032 .
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3611 PARTE PRIMA 3612
stenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, il provve dimento previsto dall'art. 156 c.c. presuppone un credito già
dichiarato, sia pure in via provvisoria, e può essere disposto
pur in mancanza del secondo di detti requisiti, sulla base della
semplice inadempienza agli obblighi di mantenimento. Il seque stro conservativo, poi, può essere concesso anche prima dell'i
nizio della causa di merito, mentre l'applicabilità della misura
in esame è stata subordinata dal legislatore alla conclusione del
giudizio di separazione (e ora si intende riconoscerla anche nel
corso del giudizio). Ciò comporta, tra l'altro, che, mentre il sequestro conservati
vo ha un'efficacia strettamente connessa all'esito del parallelo
giudizio di merito (art. 669 novies c.p.c.) e può colpire anche
tutti i beni mobili ed immobili del debitore, avendo natura di
mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale finalizzato
al pignoramento, la misura di cui all'art. 156 c.c. può invece
riguardare soltanto «parte dei beni» del coniuge obbligato, non
può convertirsi in pignoramento e non ha natura cautelare, es
sendo finalizzata, come ha riconosciuto la Corte di cassazione, ad una funzione di coazione, anche psicologica, all'adempimen to degli obblighi di mantenimento posti a carico di uno dei
coniugi. 6. - Per le differenze ora tratteggiate, detto provvedimento
non si sovrappone al sequestro conservativo, né è possibile ri
comprenderlo nel richiamo che l'art. 669 quaterdecies c.p.c. fa
alle cosiddette misure cautelari atipiche. Ne deriva che, come
si rileva nell'ordinanza di rimessione, il diverso «sequestro» in
esame è illegittimamente escluso dalla competenza del giudice istruttore. Tale esclusione è ancor più censurabile ove si pensi che il provvedimento previsto dall'art. 156, 6° comma, c.c., si configura con tali aspetti di specialità da doversi ritenere di
applicazione prevalente, se non esclusiva, in sede di separazione
personale tra coniugi, rispetto all'ordinario sequestro conserva
tivo. La sua ammissibilità deve essere quindi riconosciuta per coerenza con la già riconosciuta ammissibilità dell'ordine di di
strazione previsto dalla stessa norma e per rispetto dei principi costituzionali invocati.
Resta ovviamente affidato alla saggia valutazione del giudice istruttore bilanciare in modo equilibrato l'uso dei vari strumenti offerti dalla legge per conseguire il risultato di soddisfare nel modo migliore le ragioni economiche dei componenti più biso
gnosi della famiglia. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 156, 6° comma, c.c., nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento.
nel processo ordinario il tribunale, che è il giudice naturale, possa e debba scendere in campo solo alla fine.
Né è a dire che il problema sia stato in larga parte risolto dalla novel la del 1990 al c.p.c., che ha consentito all'istruttore di primo grado di giudicare normalmente da solo e ha eliminato l'istruttore in appello. Nel 1940, il legislatore, avendo previsto la dicotomia istruttore-collegio, fu costretto a dividere il processo in fasi sia in primo grado sia in appel lo. Ergo, oggi, per assicurare che il processo possa passare in ogni mo mento in decisione, non è sufficiente sopprimere quella dicotomia eli minando il collegio in primo grado e l'istruttore in appello, ma bisogna eliminare anche le fasi, ché solo così il giudice, monocratico o collegiale che sia, può giudicare sin dalla prima udienza: che è ciò che era previ sto dal nostro vecchio codice e che, a parer mio, è la meta da raggiungere.
Mi auguro, pertanto, che il problema torni ad essere oggetto di rifles sioni. Non oso sperare che qualche giudice di buona volontà vorrà inve stire della questione la Corte costituzionale, ma, se questo avvenisse, non me ne meraviglierei certamente.
Franco Cipriani
Il Foro Italiano — 1996.
Franco Cipriani
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 17 giugno 1996, n. 202
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 giugno 1996, n. 26); Pres. Ferri, Rei. Santosuosso; Livraghi e altri (Avv. R. De
Sanctis) c. Min. finanze; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato G. O. Russo). Ord. Pret. Genova 2 ottobre 1995
(G.U., la s.s., n. 53 del 1995).
Locazione — Patrimonio disponibile dello Stato — Immobili
adibiti ad uso diverso dall'abitazione — Canone — Aumenti — Questione manifestamente inammissibile di costituzionali
tà (Cost., art. 3; d.l. 27 aprile 1990 n. 90, disposizioni in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, di rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di
contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti, art.
12; 1. 26 giugno 1990 n. 165, conversione in legge, con modi
ficazioni, del d.l. 27 aprile 1990 n. 90, art. unico).
È manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione in
ordine al requisito della rilevanza ne! giudizio a quo, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 12, 5° comma, d.l.
27 aprile 1990 n. 90 (convertito, con modificazioni, nella l.
26 giugno 1990 n. 165), nella parte in cui, disponendo l'au
mento dei canoni di locazione degli immobili del patrimonio
disponibile dello Stato destinati ad uso diverso dall'abitazio
ne, non esclude dal suo ambito di applicazione i contratti
già in corso all'entrata in vigore della legge, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
(1) L'art. 12, 5° comma d.l. 90/90, convertito nella 1. 165/90 (il te sto coordinato può leggersi in Le leggi, 1990, II, 355), demanda al mi nistero delle finanze la indicazione dei criteri per «la rideterminazione, a decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi, diritti erariali ed in dennizzi comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del de manio o del patrimonio disponibile dello Stato, al fine di aumentarli fino al sestuplo . . . ovvero . . . fino al quadruplo», secondo che la loro precedente determinazione risalga a data anteriore ovvero successi va al 1° gennaio 1982. La stessa norma esclude, peraltro, l'applicazione degli aumenti in alcuni casi specificamente elencati, tra i quali quello dei «canoni per immobili concessi o locati ad uso alloggio e determinati sulla base della 1. 27 luglio 1978 n. 392». Il d.m. 20 luglio 1990, che ha dato corso alla rideterminazione dei suddetti canoni, è riportato ibid., I, 1802.
Il Pretore di Genova (la cui ord. 2 ottobre 1995, Foro it., Rep. 1995, voce Locazione, n. 331, può leggersi in Arch, locazioni, 1995, 794), ritenendo non seriamente contestabile l'applicabilità della citata dispo sizione nei rapporti di locazione di immobili ad uso commerciale (ex art. 27 ss. 1. 392/78), non trattandosi di «alloggi», e interpretandola nel senso che il legislatore «ha inteso aumentare imperativamente i ca noni, concessioni, ecc. di immobili di proprietà dello Stato» anche con riferimento alle locazioni stipulate iure privatorum in corso di esecuzio ne, attuando «una sostituzione imperativa delle clausole contrattuali ri guardanti il canone, in spregio al principio della libertà contrattuale delle parti e della libera determinazione del canone in base ai prezzi di mercato . . .»; ha posto in dubbio la legittimità dell'art. 12, 5° com ma, d.l. 90/90, sotto il profilo della disparità di trattamento da questo introdotta tra conduttori di immobili di proprietà pubblica e conduttori di immobili di proprietà privata, a tutto svantaggio dei primi, i quali, a differenza degli altri, «pur avendo instaurato con la pubblica ammini strazione un rapporto locatizio di diritto privato, hanno subito l'au mento imperativo e unilaterale del canone originariamente pattuito . . .», laddove questo, alla stregua della disciplina della 1. 392/78, sarebbe rimasto inalterato (salvo l'aggiornamento Istat ex art. 32, e salva la possibilità di nuovo accordo tra le parti).
La Corte costituzionale rileva, peraltro, che, avendo il giudice remit tente omesso di precisare «la natura del corrispettivo dovuto alla pub blica amministrazione, l'entità dell'aumento del canone richiesto, la cau sale dello stesso e la relativa decorrenza», non è ben chiaro un dato essenziale per valutare la rilevanza della questione di costituzionalità nel giudizio a quo, e cioè se gli aumenti in contestazione siano nel caso di specie effettivamente «imposti» dalla pubblica amministrazione loca trice (vale a dire, pretesi «al di fuori del momento di rinnovazione e delle normali vicende di un contratto di locazione regolato dal diritto privato»).
Sulla legittimità costituzionale della norma in questione, nella parte in cui demanda ad un regolamento ministeriale la fissazione dei criteri per l'aumento dei canoni (in riferimento all'art. 23 Cost.) e sotto il profilo della decorrenza retroattiva della prestazione imposta dalla nor ma (in riferimento all'art. 53 Cost.), v. Corte cost. 10 giugno 1994 n. 236, Foro it., Rep. 1994, voce Demanio, n. 18 (per esteso in Giust. civ., 1994, I, 2089; Cons. Stato, 1994, II, 861).
Per la legittimità del d.m. 20 luglio 1990, nella parte in cui (art. 6), in applicazione della 1. 165/90, ha aumentato i canoni di concessio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ritenuto che nel corso di alcuni giudizi riuniti promossi dalla
ditta Livraghi Silvano ed altre nei confronti dell'amministrazio
ne delle finanze, aventi ad oggetto la rideterminazione del cano
ne di locazione degli immobili di proprietà dello Stato, il Preto
re di Genova, con ordinanza emessa in data 2 ottobre 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legitti mità costituzionale dell'art. 12, 5° comma, d.l. 27 aprile 1990
n. 90 (disposizioni in materia di determinazione del reddito ai
fini delle imposte sui redditi, di rimborsi dell'imposta sul valore
aggiunto e di contenzioso tributario, nonché altre disposizioni
urgenti), convertito, con modificazioni, nella 1. 26 giugno 1990
n. 165, nella parte in cui applica gli aumenti ivi previsti anche
ai canoni di locazione di immobili del patrimonio disponibile dello Stato, destinati ad uso diverso da quello abitativo, relati
vamente ai contratti in corso al momento dell'entrata in vigore della legge;
che a parere del giudice a quo la norma impugnata, con l'e
scludere espressamente dagli aumenti le concessioni delle grandi derivazioni ad uso idroelettrico, di attingimento di acque pub bliche per uso potabile o di irrigazione agricola, nonché i cano
ni degli immobili concessi o locati ad uso di alloggio, implicita mente consente di far luogo all'aumento dei canoni relativi agli immobili appartenenti allo Stato locati però ad uso diverso da
quello abitativo;
che la norma impugnata si porrebbe pertanto in contrasto
con l'art. 3 Cost., in quanto introduce una disparità di tratta
mento tra i conduttori di immobili di proprietà di privati ed
i locatari di immobili di proprietà pubblica; che nel giudizio avanti alla Corte costituzionale si sono costi
tuiti alcuni ricorrenti insistendo per l'accoglimento della solle
vata questione; che è intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, rap
presentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato conclu
dendo per la infondatezza della questione; che in prossimità dell'udienza ha presentato memoria l'avvo
catura generale dello Stato chiedendo che la questione, oltre
che infondata per i motivi già espressi nell'atto di intervento,
dovrebbe essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.
Considerato che il giudice a quo, nel sollevare tale questione,
ha omesso di precisare la natura del corrispettivo dovuto alla
pubblica amministrazione, l'entità dell'aumento del canone ri
chiesto, la causale dello stesso e la relativa decorrenza;
che, come correttamente rilevato dall'avvocatura dello Stato,
il Pretore di Genova non ha chiarito se tali aumenti siano da
ritenere effettivamente «imposti» in considerazione di interessi
pubblicistici, e cioè richiesti al di fuori del momento di rinnova zione e delle normali vicende di un contratto di locazione rego
lato dal diritto privato;
che, in mancanza dei dati di cui sopra, l'oggetto del giudizio
risulta essere indicato in maniera generica ed approssimativa;
che, pertanto, la questione è da ritenersi manifestamente inam
missibile per difetto di motivazione in ordine al requisito della
rilevanza.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 12, 5° comma, d.l. 27 aprile 1990 n. 90 (disposizioni
in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte
sui redditi, di rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di
contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti), con
vertito, con modificazioni, nella 1. 26 giugno 1990 n. 165, solle
vata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Genova con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
ne per l'utilizzazione dei beni patrimoniali e del demanio pubblico dello
Stato, v., d'altra parte, Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 1994, n. 827,
Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 22.
Circa la portata della normativa in discorso, v., in dottrina, E. Beni
gni, Rapporti tra l'art. 12, 5" comma, d.l. 21 aprile 1990 n. 90 (conver
tito in l. 26 giugno 1990 n. 165) e la disciplina delle locazioni urbane,
con particolare riferimento alla l. 392/78, in Arch, locazioni, 1991, 17,
ad avviso del quale la rideterminazione dei canoni prevista dalla legge
del 1990 non può riguardare i rapporti di locazione disciplinati dalla
1. 392/78, compresi quelli aventi ad oggetto immobili ad uso diverso
dall'abitazione.
Il Foro Italiano — 1996.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 maggio 1996, n. 177
(<Gazzetta ufficiale, 1a serie speciale, 5 giugno 1996, n. 23); Pres. Ferri, Est. Mirabelli; C.; Massin; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Trìb. min. Reggio Calabria 5 ottobre 1995 e
Pret. Savona 5 ottobre 1995 (G.U., la s.s., nn. 48 e 50 del
1995).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Giudice
del dibattimento — Nuove contestazioni — Reato concorren
te — Emissione di provvedimento cautelare — Incompatibili tà alla pronuncia della decisione di merito — Esclusione —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod.
proc. pen., art. 34).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Giudice
del dibattimento — Giudizio direttissimo — Arresto in fla
granza — Convalida — Emissione di provvedimento cautela
re — Incompatibilità alla pronuncia della decisione di merito — Esclusione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 24, 101; cod. proc. pen., art. 34).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
34, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non
possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento
abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei
confronti dell'imputato per un reato oggetto di contestazione
suppletiva, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
34, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non
possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia
convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei
confronti dell'imputato, in riferimento agli art. 24 e 101
Cost. (2)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 20 maggio 1996, n. 155
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 maggio 1996, n. 22); Pres. Ferri, Est. Zagrebelsky. Ord. G.i.p. Trib. Grosseto
5 ottobre 1995, G.i.p. Trib. S. Maria Capua Vetere 5 ottobre
1995, G.i.p. Trib. Fermo 6 ottobre 1995, G.i.p. Trib. Ascoli
Piceno 13 e 18 ottobre 1995, G.i.p. Pret. Udine 12 ottobre
1995, G.i.p. Trib. L'Aquila 27 ottobre 1995, G.i.p. Pret. Ro
ma 24 ottobre 1995, G.i.p. Pret. Rovereto 10 ottobre 1995
(G.U., la s.s., nn. 49, 50 e 52 del 1995).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Giudice
per le indagini preliminari — Giudizio abbreviato — Applica zione della pena su richiesta delle parti — Incompatibilità —
Omessa previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod.
proc. pen., art. 34; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costi
tuzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 27).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Giudice
per le indagini preliminari — Partecipazione al giudizio di
battimentale — Incompatibilità — Omessa previsione — In
costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 34; 1. 11 marzo 1953 n. 87, art. 27).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Giudice
del riesame e dell'appello cautelare — Applicazione della pe na su richiesta delle parti — Incompatibilità — Omessa previ sione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 34; 1. 11 marzo 1953 n. 87, art. 27).
È incostituzionale l'art. 34, 2° comma, c.p.p., nella parte in
cui non prevede che non possa partecipare al giudizio abbre
viato e disporre l'applicazione della pena su richiesta delle
parti il giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale. (3)
(1-8) Le sentenze n. 131, 155 e 177 del 1996 sono state rispettivamen te riportate in Foro it., 1996, I, 1489 (con nota di Di Chiara, Giudizio
cautelare, «forza della prevenzione» e incompatibilità del giudice: ap
punti sparsi 'a prima lettura' su Corte cost. 131/96), 1898 (con osserva
zioni di Di Chiara) e 2487 (con nota di richiami); se ne riproducono le massime per pubblicare, con riferimento al processo civile, il contri
buto di G. Scarselli; ibid., 2631, è pubblicato lo scritto di C. Castel
li, Un'ottica diversa per le risorse della giustizia: giudice unico e sua
ripartizione sul territorio. Nell'ambito dell'ampio dibattito scaturito dalla
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