ordinanza 17 giugno 2003; Giud. Colucci; Pecoraro c. Banca popolare di SalernoSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 3 (MARZO 2004), pp. 933/934-937/938Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199498 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
TRIBUNALE DI SALERNO; ordinanza 17 giugno 2003;
Giud. Colucci; Pecoraro c. Banca popolare di Salerno.
TRIBUNALE DI SALERNO;
Società — Fusione — Opposizione dei creditori — Autoriz
zazione alla fusione — Provvedimento del giudice istrutto
re — Disciplina (Cod. civ., art. 2503; cod. proc. civ., art. 669
bis). Società — Fusione — Opposizione dei creditori — Autoriz
zazione alla fusione — Oggetto del giudizio (Cod. civ., art.
2503).
Il ricorso per l'autorizzazione ad eseguire la fusione di società
in pendenza di opposizione ha natura di rimedio cautelare
che si inserisce nel procedimento contenzioso di opposizione
promosso dai creditori; ad esso sono quindi applicabili, salvo
il limite della compatibilità, le disposizioni dettate per i pro cedimenti cautelari dagli art. 669 bis ss. c.p.c. (1)
Al fine di decidere sul ricorso per l'autorizzazione alla fusione di società in pendenza di opposizione, il giudice deve compie re una valutazione almeno sommaria delle ragioni delle parti nel giudizio di merito. (2)
(1-2) I. - Il provvedimento in epigrafe affronta un tema, l'opposizio ne dei creditori alla fusione e l'autorizzazione disposta nelle more del
giudizio di merito, solitamente poco dibattuto nelle aule di giustizia
(cfr. Trib. Prato 8 gennaio 1986, Foro it., 1986, I, 1417, con nota di
Pagano, Spunti in tema di opposizione alla fusione di società da parte del creditore sequestrante; Cass. 5 marzo 1991, n. 2321, id., 1991, I,
1801, con nota di Niccolini, Note minime in tema di giudice territo
rialmente competente a pronunciarsi sulla opposizione dei creditori
alla fusione', Trib. Milano 16 marzo 1996, id.. Rep. 1997, voce Società, n. 886, e Giur. it., 1997, I, 2, 36, con nota di Scozia, Società con parte
cipazione pubblica, società in accomandita per azioni, società a re
sponsabilità limitata. Trasformazione e fusione di società, società este
re; Trib. Lamezia Terme 6 marzo 1998, Foro it., Rep. 2000, voce cit., nn. 963-969, e Giur. comm., 1999, II, 660, con nota di Guidotti, Oppo sizione dei creditori alla fusione e autorizzazione giudiziale a procede re alla fusione nonostante opposizione).
In dottrina, in generale, sulla fusione delle società, cfr. Tantini, Tra
sformazione e fusione delle società, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. economia diretto da Galgano, Bologna, 1985, Vili, 275; Scardulla, La trasformazione e la fusione delle società, in Trattato fondato da Ci
cli e Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1989; Manzini, Tra
sformazione, fusione, scissione di società, Padova, 1998.
Sulla natura contenziosa dell'opposizione proposta dai creditori, da
introdursi nelle forme del rito ordinario con atto di citazione, cfr., per tutti, Pagano, op. cit.
In giurisprudenza, oltre ai precedenti richiamati da Pagano, op. cit., v. anche Cass. 5 marzo 1991, n. 2321, cit., per la quale l'opposizione
integra un'ipotesi di impugnazione della relativa delibera di fusione, il
cui principale effetto è quello di sospenderne l'esecuzione, da qui l'ac
costamento all'istituto dell'impugnazione delle delibere assembleari.
Ma v. anche Trib. Verona 10 ottobre 1991, Foro it., 1993, I, 275, che
ha ritenuto che l'opposizione abbia natura esclusivamente cautelare, avendo come scopo l'accertamento del pregiudizio ai diritti dei terzi —
potenzialmente derivante dalla confusione dei patrimoni sociali — e
come effetto la sospensione della fusione. Circa la natura del procedimento di autorizzazione promosso in pen
denza del giudizio di merito, il provvedimento in rassegna mostra di
condividere l'orientamento giurisprudenziale che è andato consolidan
dosi negli ultimi anni, nel senso di attribuire a tale procedimento natura
cautelare, piuttosto che camerale, con funzione anticipatoria rispetto alla decisione di merito (cfr. Trib. Prato 8 gennaio 1986, cit.; Trib. Mi
lano 16 marzo 1996, cit.; Trib. Lamezia Terme 6 marzo 1998, cit.). Da
qui l'applicabilità delle norme che disciplinano il procedimento caute
lare uniforme, in particolare dell'art. 669 quater c.p.c. salvo il limite
della compatibilità (cfr. già Trib. Milano 16 marzo 1996, cit.).
Diversamente, in dottrina, favorevole a considerare l'autorizzazione
«come un provvedimento di volontaria giurisdizione diretto a contem
perare, attraverso la determinazione di una idonea cauzione, l'interesse
del creditore opponente con quello delle società che si fondono», G.
Ferri, Questioni in tema di fusioni di società, in Riv. dir. comm., 1969,
II, 198; cui adde Cabras, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle
società, Milano, 1978, 131, e Guidotti, op. cit., 678.
Per quanto concerne l'oggetto del giudizio demandato al giudice istruttore, anche in questo caso si confrontano due orientamenti diversi;
secondo una prima tesi, la domanda di autorizzazione alla fusione in
pendenza dell'opposizione imporrebbe al giudice una valutazione circa
la fondatezza nel merito dei motivi dell'opposizione, con particolare ri
ferimento alla gravità delle conseguenze che potrebbero derivare dal
l'attuazione della fusione (cfr. Trib. Lamezia Terme 6 marzo 1998,
Il Foro Italiano — 2004.
Il presente procedimento si inserisce nell'ambito del proce dimento n. 1555/03 ruolo generale; in quest'ultimo procedi mento l'attore Pecoraro Giovanni ha proposto (con atto di cita
zione notificato in data 21 maggio 2003 per l'udienza del 22
ottobre 2003) opposizione alla fusione fra la Banca popolare di
Salerno s.p.a. e la Banca popolare dell'Irpinia s.p.a. (fusione che dovrebbe portare alla costituzione di una nuova società de
nominata Banca della Campania s.p.a.) ai sensi dell'art. 2503
c.c. e ha chiesto, fra l'altro, dichiararsi nulla o comunque priva di ogni giuridico effetto la deliberazione di fusione assunta dal
l'assemblea della Banca popolare di Salerno s.p.a. in data 30
aprile 2003 e iscritta nel registro delle imprese in data 7 maggio 2003.
Nel procedimento n. 1555/03 ruolo generale, peraltro, la con
venuta Banca popolare di Salerno s.p.a. si è costituita (con
comparsa depositata in data 28 maggio 2003) concludendo, in
particolare, per l'inammissibilità e/o il rigetto della domanda
con condanna — in via riconvenzionale — del dott. Giovanni
Pecoraro al risarcimento dei danni, anche ex art. 96 c.p.c., nella
misura — allo stato — non inferiore ai cinque milioni di euro,
salva migliore quantificazione in corso di causa.
cit.); giurisprudenza di segno diverso ritiene invece che «l'esame del
tribunale verta non già sul fondamento dell'opposizione, ma sulla con
gruità della garanzia per eliminare gli effetti dell'opposizione» (cfr. Trib. Prato 8 gennaio 1986, cit.).
Il provvedimento che si riporta sembrerebbe aderire al primo orien
tamento, laddove osserva che la discrezionalità del giudice nell'acco
gliere o meno il ricorso comporta una valutazione almeno sommaria
delle ragioni delle parti nel giudizio di merito. In dottrina, favorevoli al
secondo degli orientamenti richiamati, Cabras. op. cit., 129, e Guidot
ti, op. cit., 675. Sulla garanzia prevista dall'ultimo comma dell'art. 2503 e sul requi
sito della sua «idoneità», cfr. Trib. Milano 14 marzo 1974, Foro it.,
Rep. 1974, voce cit., n. 438, secondo cui, una volta che il tribunale ab
bia autorizzato la fusione previa prestazione della garanzia, il creditore
opponente si soddisferà su questa con diritto di prelazione rispetto a
tutti gli altri creditori della società. Nel senso che al fine di stabilire l'idoneità della garanzia debba te
nersi conto dell'interesse del creditore opponente, cfr. Pagano, op. cit., 1421.
II. - La disciplina della fusione, già significativamente modificata per effetto del d.leg. 16 gennaio 1991 n. 22 (sul punto, cfr. Rordorf, La
nuova disciplina della fusione e della scissione di società, in Società,
1991, 411), ha subito solamente alcuni ritocchi con il d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, che hanno riguardato anche l'opposizione dei creditori. Ri
badito il diritto di ciascun creditore — il cui credito sia anteriore alla
pubblicazione del progetto di fusione — di proporre opposizione alla
stessa nel termine di due mesi, chiedendone la sospensione, per effetto
del richiamo fatto dall'art. 2503 novellato all'ultimo comma dell'art.
2445 si è previsto che il tribunale possa autorizzare la fusione nono
stante l'opposizione, «qualora ritenga infondato il pericolo di pregiudi zio per i creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia». Simile previsione, che sembrerebbe tener conto di entrambe le tesi so
pra ricordate in ordine all'oggetto dei procedimento di autorizzazione,
dovrebbe contribuire, unitamente alle specifiche eccezioni che possono
impedire ai creditori di fare opposizione (v. art. 2503, 1° comma), al
dichiarato obiettivo di rendere maggiormente stabile la delibera di fu
sione (in questo senso, AA.VV., Il nuovo diritto delle società, Bologna, 2003, 356).
Il procedimento di opposizione alla fusione è stato preso in conside
razione anche dalla riforma del processo societario; l'art. 33 d.leg. 5/03, richiamando l'art. 2503, 2° comma, c.c., prevede infatti che a tale
procedimento siano applicabili le norme che regolano il rito camerale, così come disciplinato nel titolo IV d.leg. 5/03. I primi commenti hanno
subito posto in evidenza come — attraverso una complicata trama di ri
chiami normativi — in riferimento ad altre ipotesi di opposizione dei
creditori, lo stesso art. 33 d.leg. 5/03 faccia rinvio, tra l'altro, anche
agli art. 2482, 3° comma, e 2445, 4° comma, quest'ultimo a sua volta
richiamato dal novellato art. 2503, 2° comma. Una lettura sistematica
dell'art. 33 — si è osservato — porterebbe a ritenere che, in ciascuna di
queste ipotesi, l'oggetto del procedimento camerale sia circoscritto al
l'esecuzione della deliberazione in presenza dei presupposti sopra già ricordati (alternativamente, la mancata sussistenza del pregiudizio alla
garanzia patrimoniale dei creditori ovvero la prestazione di idonea cau
zione) e non esteso anche al fondamento dell'opposizione, che reste
rebbe quindi riservata alla cognizione piena del giudice in sede conten
ziosa (cfr., in questo senso, Costantino, Sull'udienza camerale decide
il giudice monocratico, in Guida al dir. dossier, 2003, fase. 4, 140;
contra, facendo leva sul dettato testuale, M. Fabiani, I limiti allo svi
luppo contenzioso all'interno del procedimento camerale societario, in
Foro it., 2003, V, 67, nota 11).
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PARTE PRIMA 936
Con ricorso depositato in data 28 maggio 2003, d'altra parte, la banca convenuta ha chiesto disporsi l'autorizzazione alla fu
sione in pendenza di opposizione, ai sensi dell'art. 2503, 3°
comma, c.c., allegando al ricorso copia di foglio di libretto no
minativo di deposito a risparmio intestato a Pecoraro Giovanni
con vincolo in favore del giudice del Tribunale di Salerno con
un importo versato di euro 125.000, alla data del 27 maggio 2003.
Il giudice, quindi, ha fissato la comparizione delle parti per l'udienza del 12 giugno 2003. La difesa del Pecoraro allegava, d'altra parte, memoria difensiva datata 11 giugno 2003.
All'udienza predetta le parti hanno sostanzialmente ribadito
le loro richieste e le loro ragioni già trasfuse nei rispettivi scritti.
Si deve, a questo punto, rilevare che dagli atti si evince che il
ricorso suddetto va accolto.
Il ricorso ex art. 2503, 3° comma, c.c. va, innanzi tutto, quali ficato come un rimedio di natura cautelare che va a inserirsi in
un procedimento di natura contenziosa. Questa affermazione,
sicuramente rispondente alla lettera della legge e alla struttura
dei procedimenti in questione, trova, peraltro, conforto nella
giurisprudenza di merito; si è affermato, ad esempio, che l'op
posizione proposta da un creditore ex art. 2503, 2° comma,
c.p.c. ha natura contenziosa ed è diretta all'accertamento del
l'incapienza patrimoniale della società e, quindi, della lesione
della garanzia patrimoniale dell'opponente, e che l'autorizza
zione alla fusione nonostante l'opposizione previa prestazione di idonea garanzia ex art. 2503, 3° comma, c.p.c.. non ha natura
camerale ai sensi dell'art. 737 c.p.c., ma è disposta dal giudice di merito sull'opposizione in sede di incidente e in funzione
cautelare rispetto al procedimento contenzioso di accertamento
dell'opposizione medesima (cfr. Trib. Prato 8 gennaio 1986,
Foro it.. 1986,1, 1417). La funzione cautelare del ricorso ex art. 2503, 3° comma, c.c.
si evince, d'altra parte, in maniera chiara dalla funzione antici
patoria di taluni effetti della decisione della causa di merito che
si realizza mediante il provvedimento che venga eventualmente
emesso appunto ai sensi dell'art. 2503, 3° comma, c.c. appena citato.
L'affermata natura cautelare del procedimento instauratosi ai
sensi dell'art. 2503, 3° comma, c.p.c., trova, inoltre, conferma
nella sostanziale rispondenza delle caratteristiche strutturali del
procedimento in questione con le caratteristiche generali dei
procedimenti cautelari quali delineate, ad esempio, in dottrina,
da A. Proto Pisani, La nuova disciplina dei procedimenti cau
telari in generale, id., 1991, V, 57 ss.
Il procedimento instauratosi ai sensi dell'art. 2503, 3° com
ma, c.p.c., in particolare, risulta senz'altro caratterizzato dalla
«rigida strumentalità rispetto al processo a cognizione piena gli effetti della cui sentenza definitiva di merito essi (scil. i provve dimenti cautelari) mirano ad assicurare attraverso la tecnica
della conservazione o dell'anticipazione» (cfr. A. Proto Pisani,
La nuova disciplina, cit., 94).
La disciplina di cui agli art. 669 bis ss., peraltro, sarà applica bile al procedimento in questione soltanto in quanto compatibile con le particolari caratteristiche di tale procedimento (cfr. art.
669 quaterdecies c.p.c.). 11 ricorso in questione, d'altra parte, viene chiaramente pro
posto, nel caso in esame, nella pendenza della causa di merito.
La lettera della norma dell'art. 2503, 3° comma, c.p.c. e la stes
sa funzione del procedimento che si instaura a seguito del rela
tivo ricorso depongono chiaramente nel senso che il ricorso
stesso non può che proporsi nella pendenza del giudizio di me
rito.
Si deve, a questo punto, precisare che la cognizione a decide
re in ordine al ricorso in questione spetta senz'altro al giudice istruttore non potendosi ravvisare alcuna competenza del colle
gio a conoscere di tale ricorso.
A prescindere dalla competenza in ordine alle domande for
mulate nel giudizio di merito, infatti, in ogni caso la natura
cautelare del ricorso ex art. 2503, 3° comma, c.p.c. comporta (anche a voler ammettere, in via meramente ipotetica, una
eventuale competenza del collegio in ordine alla causa di meri
to) l'applicabilità della norma di cui all'art. 669 quater, 2°
comma, c.p.c., ai sensi dell'art. 669 quaterdecies c.p.c.
Il Foro Italiano — 2004.
Non sussiste, poi, alcun ostacolo in ordine alla proponibilità del ricorso ex art. 2503, 3° comma, c.p.c. nell'attuale fase del
giudizio. La causa di merito, infatti, pende dalla data di notifi
cazione dell'atto di citazione e, quindi, dal 21 maggio 2003; il
ricorso ex art. 2503, 3° comma, c.p.c., invece, è stato depositato in data 28 maggio 2003. La norma di cui all'art. 2503, 3° com
ma, c.p.c., peraltro, non prevede alcuna preclusione alla propo sizione del ricorso una volta che sia stata proposta l'opposizio ne.
In relazione al merito del ricorso in questione, poi, va osser
vato che allo stato non occorre ovviamente che si accerti la fon
datezza o meno della proposta opposizione alla fusione, atteso
che la norma dell'art. 2503, 3° comma, c.c. svolge proprio la
funzione di anticipare taluni effetti della decisione di merito
prima che questa decisione sia adottata.
Sussiste, d'altra parte, una discrezionalità del giudice nell'ac
cogliere oppure no il ricorso in questione, atteso che la norma di
cui all'art. 2503, 3° comma, c.c. usa l'espressione «Il tribuna
le ... può disporre ...». Tale discrezionalità comporta inevita
bilmente una valutazione almeno sommaria delle ragioni delle
parti nel giudizio di merito. In tale giudizio, d'altra parte, l'atto
re Pecoraro Giovanni assume di vantare crediti nei confronti
della banca convenuta e assume che la fusione fra la Banca po
polare di Salerno s.p.a. e la Banca popolare dell'Irpinia s.p.a.
comporterebbe una diminuzione della possibilità per l'attore di
recuperare il suo presunto credito nei confronti della banca con
venuta in quanto la Banca popolare dell'Irpinia s.p.a. si trove
rebbe in una situazione patrimoniale «catastrofica». Queste as
serzioni dell'attore, peraltro, appaiono allo stato (e salva ogni ulteriore o diversa valutazione nel giudizio di merito) non ade
guatamente provate; si deve, sul punto, osservare che la fusione
è stata debitamente autorizzata dalla Banca d'Italia e che le due
banche fondende appartengono a un gruppo bancario (Banca
popolare dell'Emilia-Romagna) che allo stato degli atti non ri
sulta presentare problemi relativi a situazioni patrimoniali non
felici; va, d'altra parte, rilevato che nel giudizio di opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c. grava sui creditore l'onere di forni
re la prova della lesione della garanzia apportata dalla fusione
(cfr., sul punto, Trib. Genova 13 luglio 1992, id., Rep. 1993,
voce Società, n. 835).
Va, quindi, ritenuta senz'altro l'opportunità di disporre che la
fusione in questione abbia luogo previa prestazione di un'ido
nea garanzia da parte della banca ricorrente, alla luce delle ri
sultanze degli atti.
In ordine, poi, all'entità della garanzia, va osservato che dal
l'atto di citazione notificato in data 21 maggio 2003 nell'inte
resse dell'attore Pecoraro Giovanni non si evince in maniera
precisa quale sarebbe l'importo dell'eventuale credito vantato
dal Pecoraro nei confronti della Banca popolare di Salerno
s.p.a., facendosi in citazione riferimento a una sola cifra preci samente determinata (e indicata dal Pecoraro quale suo credito
nei confronti della banca convenuta) e, in particolare, a quella di
euro 34.268,46; nell'atto dì opposizione a decreto ingiuntivo datato 28 ottobre 1998, poi, si fa riferimento a una domanda ri
convenzionale di lire 264.455.626, ma a fronte di un decreto in
giuntivo ottenuto dalla Banca popolare di Salerno per le somme
di lire 247.821.918 e di lire 110.551.205, oltre accessori; nel
l'atto di citazione notificato in data 26 settembre 2002, presu mibilmente relativo al giudizio civile n. 2353/02, quindi, si fa ri ferimento alla pretesa di restituzione in favore del Pecoraro
della somma di euro 36.151,98.
Non appare, d'altra parte, utile far riferimento alle cifre con
tenute nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo datato 28
ottobre 1998, atteso che il confronto fra le cifre che le parti
contrapposte assumono di vantare appare elidere le ragioni vantate dal Pecoraro (le ragioni della banca risultano, d'altra
parte, già accolte con decreto ingiuntivo quantunque opposto).
Possono, invece, essere prese in considerazione la cifra di euro
34.268,46 (di cui all'atto di citazione notificato in data 21 mag
gio 2003) e la cifra di euro 36.151,98 (di cui all'atto di citazione
notificato in data 26 settembre 2002). Sommando tali cifre, pe
raltro, si ottiene l'importo di euro 70.420,44. Le ulteriori indicazioni fatte nell'interesse del Pecoraro,
d'altra parte, non appaiono sufficientemente precise e determi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nate o fondate su ragioni apparentemente suscettibili di acco
glimento da parte dei rispettivi giudicanti. Anche a voler assumere quale punto di riferimento (ai fini
della determinazione dei crediti che il Pecoraro assume di van
tare nei confronti della Banca popolare di Salerno s.p.a.) la cifra di euro 70.420,44 più sopra indicata, quindi, la cauzione offerta
dalla ricorrente Banca popolare di Salerno s.p.a. per l'importo di euro 125.000 appare senz'altro congrua.
Va, quindi, disposto che la fusione in questione abbia luogo nonostante l'opposizione previa prestazione di cauzione.
Da tutto quanto sopra esposto, peraltro, si evince che ogni contraria istanza, domanda o eccezione va ritenuta assorbita, di
sattesa o rigettata.
TRIBUNALE DI PADOVA; sentenza 6 giugno 2003; Pres. ed
est. Rasi Caldogno; C. (Avv. Fasolo) c. N. (Avv. Rizzo).
TRIBUNALE DI PADOVA;
Matrimonio — Divorzio — Domanda di assegnazione della
casa coniugale — Rigetto — Trascrizione dell'assegna
zione concordata in sede di separazione consensuale —
Domanda di cancellazione — Rigetto (Cod. civ., art. 2643,
2655; cod. proc. civ., art. 711; 1. 1° dicembre 1970 il 898, di
sciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, art. 6).
Nel caso in cui il giudice del divorzio rigetti la domanda di as
segnazione della casa coniugale, non può essere accolta la
domanda intesa ad ottenere l'ordine di cancellazione del
l'intervenuta trascrizione del verbale di separazione omolo
gato che tale assegnazione aveva previsto. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
15 febbraio 2002, C.C. proponeva domanda di scioglimento del
matrimonio civile contratto con B.N. il 15 maggio 1991.
La ricorrente esponeva quanto segue: che dall'unione non
(1) Non constano precedenti editi in termini. La questione degli strumenti a disposizione del coniuge o dell'ex co
niuge proprietario interessato a dare pubblicità alle vicende modificati ve dei provvedimenti o degli accordi aventi, ad oggetto la casa coniu
gale, pur conosciuta nella pratica, risulta, infatti, affrontata essenzial mente dalla dottrina.
Dopo aver preso le mosse dall'equiparazione del provvedimento di
assegnazione alle sentenze che operano la costituzione di un diritto di locazione (potenzialmente) ultranovennale, trascrivibile ai sensi degli art. 2643, nn. 8 e 14, c.c. (secondo Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n.
11096, Foro it., 2003, I, 183, con nota di richiami, appare chiaro che il richiamo dell'art. 6, 6° comma, 1. 898/70 all'art. 1599 c.c., comporta «la precisa volontà del legislatore di assimilare, ai meri fini della tra
scrizione, il diritto dell'assegnatario a quello del conduttore . ..»), si è
aggiunto che l'assegnazione è necessariamente a termine, essendo le
gata all'obbligo di mantenimento dei figli — che non è perpetuo — e
sottoposta alla condizione risolutiva della cessazione dell'affidamento, nonché, in caso di separazione, della riconciliazione, con la conseguen za che, il venir meno del provvedimento, per scadenza del termine o avveramento della condizione, dovrebbe risultare da annotazione del
provvedimento giudiziale di modifica a margine della trascrizione, ai sensi dell'art. 2655 c.c. (Gazzoni, La trascrizione, in Commentario
Schlesinger, Milano, 1991, 345, il quale, nel prosieguo della trattazio
ne, ricorda che, in generale, il provvedimento di assegnazione della ca sa coniugale è costituito in prima battuta dall'ordinanza presidenziale, destinata ad essere trascritta ex art. 2645 c.c.; la successiva sentenza andrà annotata a margine della trascrizione e, a sua volta, autonoma mente trascritta ex art. 2643, n. 14. Nello stesso senso, v. Giacobbe
Frezza, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Famìglia e matrimonio, I, 2, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, Milano, 2002, 1362).
Il Foro Italiano — 2004.
erano nati figli; che i coniugi si erano consensualmente separati con omologazione del Tribunale di Padova intervenuta in data 5
giugno 1998; che la casa coniugale di Vigonza, assegnata in se
de di separazione al marito, era in comproprietà di entrambi i
coniugi. La C. deduceva che, in mancanza di figli e di un accordo dei
coniugi in ordine all'assegnazione della casa coniugale in sede
divorzile, essa doveva risultare non assegnata e rimanere nella
disponibilità di entrambi i coniugi. Chiedeva, pertanto, al tribu
nale di ordinare al conservatore dei registri immobiliari di Pa
dova di cancellare la trascrizione del verbale di separazione consensuale in cui risultava assegnata al N. la casa coniugale e,
per la sola ipotesi in cui il marito avesse avanzato domanda di
assegnazione della casa, un identico provvedimento di assegna zione a proprio favore.
Si costituiva in giudizio il N., il quale nulla opponeva alla
domanda di scioglimento del matrimonio; il resistente deduceva che il tribunale non si sarebbe potuto pronunciare sulle doman
de avanzate dalla moglie in ordine alla casa coniugale e chiede
va, pertanto, la conferma delle condizioni di separazione. All'udienza del 29 maggio 2002, i coniugi comparivano per
sonalmente davanti al presidente del tribunale, il quale confer
mava, in via provvisoria, le condizioni della separazione. All'udienza del 28 novembre 2002, la causa veniva rimessa
alla decisione del collegio sulle conclusioni indicate in epigrafe, con concessione dei termini di legge per il deposito delle com
parse conclusionali e di replica. Motivi della decisione. — Va dichiarato lo scioglimento del
matrimonio civile contratto in Vigonza (Padova) il 15 maggio 1991 tra C.C. e B.N.
Bisogna, infatti, rilevare che i coniugi si sono separati con
sensualmente con verbale del 20 maggio 1998, omologato dal
Tribunale di Padova in data 5 giugno 1998. Dagli atti di causa
risulta che, fin dalla comparizione dei coniugi davanti al presi dente, essi vivono separati e che da allora la separazione si è
protratta ininterrottamente, senza che sia intervenuta alcuna ri
conciliazione. Considerato anche che il N. sostanzialmente non
si è opposto alla domanda di scioglimento del matrimonio avan
zata dalla moglie, bisogna ritenere che sia cessata ogni comu
nione materiale o spirituale tra i coniugi. Sussistono, pertanto, i presupposti di cui all'art. 3, n. 2, lett.
b), 1. 898/70, per dichiarare lo scioglimento del matrimonio tra
le parti in causa, con i conseguenti effetti di legge. Nulla dispone il tribunale in ordine all'assegnazione della ca
sa coniugale, non sussistendo i presupposti normativi per una
pronuncia sul punto. 11 giudicante ritiene, infatti, di conformarsi all'orientamento
giurisprudenziale secondo cui l'assegnazione della casa coniu
gale è finalizzata fondamentalmente alla protezione della prole. Pertanto, in mancanza di figli conviventi, come è nel caso in
esame, non sussistono i presupposti di legge perché il giudice del divorzio possa provvedere all'assegnazione della casa co
niugale. Va rigettata la domanda della C. relativa all'ordine di can
cellazione della trascrizione del verbale di separazione che as
segnava al N. la casa coniugale. La cancellazione delle trascrizioni è attività amministrativa,
in merito alla quale il giudice può impartire degli ordini nelle
sole ipotesi previste dalla legge, tra cui non rientra il caso di
specie. Si deve, tuttavia, precisare che, se un lato, il N. ha legittima
mente trascritto il verbale di separazione con cui gli era stata as
segnata la casa coniugale, dall'altro, con tale trascrizione egli ha
semplicemente reso opponibile alla generalità dei terzi il proprio diritto derivantegli dalla predetta assegnazione. Assegnazione, tuttavia, che, essendo stata disposta in sede di separazione, con
tinua a produrre i propri effetti finché perdura lo stato di separa zione tra i coniugi ed è destinata, pertanto, a venir meno con la
cessazione di tale stato a seguito della pronuncia di sciogli mento del matrimonio.
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