ordinanza 18 dicembre 1995; Giud. Zampardi; imp. GouriaSource: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 91/92-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190208 .
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PARTE SECONDA
operare un mero controllo formale, senza entrare nel merito
dei contenuti dell'edizione, spettando tale potere al capocroni sta della stessa redazione decentrata. Detto controllo, per logica
conseguenza, investe anche le lettere a carattere prettamente lo
cale inviate dal pubblico. In altri termini, la difesa ha inteso dimostare, secondo un
indirizzo, sostenuto da una parte della giurisprudenza di meri
to, ma, ormai, consolidato in dottrina, che all'interno di una
complessa organizzazione editoriale, caratterizzata da una mol
teplicità di edizioni di carattere locale, non è possibile prescin dere dal ricorso alla delega del potere di controllo, pena il ritor
no della fattispecie di cui all'art. 57 c.p. ad una mera responsa bilità per posizione, di carattere oggettivo, del direttore
responsabile, cosi vanificando la riforma operata dalla 1. 127/58.
Lo stesso tenore dell'art. 11,4° comma, lett. d), del contrat
to nazionale di lavoro giornalistico, depone nel senso dell'attri
buzione della responsabilità di un servizio redazionale a caratte
re continuativo al capo servizio con due o più persone alle di
pendenze, cui compete il coordinamento, la revisione del lavoro
e l'indicazione delle opportune direttive.
Di un tale ordine di problemi si è occupata da tempo la Corte
costituzionale (sentenza 24 novembre 1982, n. 198, id., 1983,
I, 568), che, investita della questione connessa all'unitarietà del
la disciplina della responsabilità di direttore responsabile di pe riodico, indipendentemente dalle dimensioni delle stesse, pur evi
denziando gli inconvenienti esistenti in subiecta materia, ha ri
tenuto infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 57 c.p., trattandosi di una questione atti
nente le modalità attuati ve del precetto normativo non compre se nello stesso, fermi, comunque, ulteriori interventi discrezio nali riservati al parlamento.
La stessa dottrina da tempo ha ormai riconosciuto che «nelle
aziende che stampano quotidiani di grande tiratura, il direttore
svolge soprattutto una funzione di programmazione e indirizzo
che spetta agli altri quadri aziendali (dal caporedattore al capo
servizio) tradurre in atto una volta conclusa la (quotidiana) fase
programmato ria (fissata normalmente al mattino) nella quale si tracciano le «linee generali» del giornale dell'indomani», per tacere delle molteplici attività relazionali espletate dal direttore
responsabile. In quest'ordine di problemi, può ritenersi pienamente legitti
mo il ricorso allo Strumento della delega, sebbene vi sia il con creto pericolo di perdere l'unitarietà valutativa del contenuto
diffamatorio di un articolo, sempre che la stessa, attuata in pro
spettiva del rafforzamento della tutela degli interessi esposti ad
un pericolo di pregiudizio, intervenga a favore di soggetto par ticolarmente qualificato dotato di un effettivo potere di con
trollo (cfr. in tal senso Trib. Roma 10 marzo 1989, id., 1990, II, 137; App. Milano 7 aprile 1972, id., Rep. 1973, voce Stam
pa e reati di stampa, n. 8). Ovviamente, una tale ripartizione di responsabilità può seriamente essere presa in considerazione,
qualora, come nel caso di specie, vengano in rilievo sicuri ele
menti tali da escludere la concreta possibilità di adempiere l'ob
bligo di controllo da parte del direttore responsabile e, quindi, può eslcudersi la rimproverabilità del fatto, secondo quanto pre visto dalla ben nota Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364, id.,
1988, I, 1385). Ciò premesso, attesi i limiti dell'odierno giudizio, non è pos
sibile stabilire con certezza se sulla lettera del Latini sia stato
esercitato il dovuto controllo da parte del preposto alla redazio ne bellunese del quotidiano, e che non è dato escludere che una
più attenta lettura dello scritto in oggetto di causa avrebbe im
pedito la reazione del Trolese.
Alla luce di tali rilievi, il Lago deve essere assolto dal reato
ascrittogli per non aver commesso il fatto.
La complessità delle questioni implicate dalla odierna pro nuncia ha reso opportuno il differimento della redazione della
motivazione al quarantacinquesimo giorno.
Il Foro Italiano — 1996.
I
PRETURA DI PALERMO ordinanza 18 dicembre 1995; Giud. Zampardi; imp. Gouria.
PRETURA DI PALERMO
Straniero — Cittadini extra comunitari — Disciplina — Questio ni non manifestamente infondate di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 13, 24, 29, 30, 77; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e sog
giorno di cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei
cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio
dello Stato, art. 7 ter, 7 sexies, 7 septies; 1. 28 febbraio 1990
n. 39, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30
dicembre 1989 n. 416; d.l. 18 novembre 1995 n. 489, disposi zioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio na
zionale dei cittadini dei paesi non appartenenti all'Unione eu
ropea, art. 7, 8, 9).
In relazione al d.l. 18 novembre 1995 n. 489, che ha introdotto
modifiche al testo del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, converti
to con modificazioni nella I. 28 febbraio 1990 n. 39, non so
no manifestamente infondate le questioni di legittimità costi
tuzionale:
a) dell'art. 7 septies, 2° comma, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui commina la sanzione della reclusione fino a tre anni per lo straniero che commetta il fatto di cui al
1° comma dello stesso articolo dopo la notifica di un provve dimento di espulsione non ancora definitivo;
bj dell'art. 7 septies, J° comma, in riferimento agli art. 3, 13
e 24 Cost., nella parte in cui introduce la misura precautelare facoltativa dell'arresto anche fuori dei casi di flagranza, e,
in riferimento agli art. 2, 29 e 30, nella parte in cui consente
che possa essere arrestato anche chi tramite gli organi di poli
zia giudiziaria si rivolga all'autorità giudiziaria al fine di de nunziare un reato contro la persona di un proprio congiunto;
c) dell'art. 7 ter, in riferimento agli art. 3, 13 e 24 Cost., nella
parte in cui introduce nei confronti dei soli cittadini stranieri
un nuovo tipo di misura cautelare;
à) dell'art. 7 sexies, 9° comma, in riferimento agli art. 2, 3, 29 e 30 Cost., nella parte in cui prevede che non possono essere sottoposti ad espulsione gli stranieri che vivono con
parenti entro il quarto grado di sola nazionalità italiana; e) degli art. 7, 8, 9 d.l. 18 novembre 1995 n. 489, in riferimento
all'art. 77 Cost., perché non si può ravvisare un caso straor
dinario di necessità e di urgenza nella mera esigenza dì ade
guare in termini più razionali la normativa in tema di immi
grazione. (1)
(1-3) I. - Con le ordinanze in epigrafe i Pretori di Roma, Macerata e Palermo, hanno sollevato, sotto vari profili, eccezione di illegittimità costituzionale di diverse disposizioni penali del d.l. 18 novembre 1995 n. 489 (Le leggi, 1995, I, 3694), intitolato «disposizioni urgenti in mate ria di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei paesi non apparte nenti all'Unione europea», decreto decaduto per mancata conversione nei termini da parte del parlamento, ma il cui contenuto è stato inte
gralmente riprodotto dal governo nel successivo d.l. 18 gennaio 1996 n. 22 (id., 1996, I, 258).
II. - L'ordinanza del Pretore di Roma. Primo in ordine cronologico a sollevare eccezione di incostituzionalità del d.l. 489/95, il Pretore di Roma ha incentrato la questione sulla previsione, contenuta nel nuovo art. 7 ter, della espulsione a richiesta di parte. Istituto non del tutto nuovo (era già previsto dagli art. 12 bis e ter d.l. 416/89), ma sensibil mente modificato dal recente decreto, con l'introduzione di due impor tanti novità: la possibilità che la misura venga richiesta non più dal solo imputato o dal suo difensore, ma anche dal p.m.; e che trovi ap plicazione, oltre che nei confronti degli stranieri sottoposti a custodia cautelare o condannati con sentenza definitiva, anche di quelli sempli cemente arrestati in flagranza.
Secondo il Pretore di Roma questa nuova norma introduce la possi bilità di disporre la misura dell'espulsione su mera richiesta del p.m., senza alcun altro elemento valutativo ai fini della decisione del giudice. Questi sarebbe pertanto tenuto all'accoglimento dell'istanza, salvo che non ravvisi l'esistenza di «inderogabili esigenze processuali», che, a giu dizio del remittente, andrebbero comunque limitate alla necessità di com
piere atti processuali irrealizzabili in assenza dell'imputato, quali la sot
toposizione dello stesso a confronto o a ricognizione personale.
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GIURISPRUDENZA PENALE
II
PRETURA DI MACERATA; ordinanza 27 novembre 1995; Giud. Acquaroli; imp. Labri.
Straniero — Cittadini extra comunitari — Disciplina — Questio ni non manifestamente infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 27; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 7, 7 ter; 1. 28
febbraio 1990 n. 39; d.l. 18 novembre 1995 n. 489, art. 7).
In relazione al d.l. 18 novembre 1995 n. 489, che ha introdotto
modifiche al testo del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, converti
to con modificazioni nella l. 28 febbraio 1990 n. 39, non so no manifestamente infondate le questioni di legittimità costi
tuzionale, in riferimento agli art. 3 e 27, 2° comma, Cost.:
a) dell'art. 7,1° comma, nella parte in cui non prevede che
la condanna dello straniero o l'applicazione della pena pat
teggiata debbano essere definite con sentenza irrevocabile e
bj dell'art. 7 ter, nella parte in cui prevede l'esecuzione pre
ventiva di una misura di sicurezza. (2)
Considerato il momento processuale nel quale tale richiesta di espul sione si colloca e valutato inoltre che altre norme della nuova disciplina introdotta con il d.l. 489/95 espressamente prevedono il provvedimento di espulsione quale misura di sicurezza (art. 7), misura di prevenzione
(art. 7 bis), nonché quale contenuto di un provvedimento amministrati
vo (art. 7 quater e 7 quinquies), all'espulsione disposta ai sensi dell'art.
7 ter dovrebbe riconoscersi, nell'ipotesi in cui la relativa richiesta pro
venga dal p.m., natura di misura cautelare personale. Sul punto con
corda il Pretore di Palermo, mentre quello di Macerata ritiene che si tratti di una misura di sicurezza.
A giudizio del Pretore di Roma, tale misura sarebbe in contrasto
con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., essendo appli cabile esclusivamente nei confronti dei cittadini stranieri; sarebbe in con
trasto con quei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., in
quanto consentirebbe che il cittadino straniero, magari del tutto incen
surato, possa essere — al primo contatto col «circuito penale» — radi calmente allontanato per un tempo indeterminato dal nostro Stato; in
fine, lederebbe il principio di inviolabilità della difesa almeno sotto un
duplice profilo: sia perché l'art. 7 ter, nell'omettere di indicare qualun
que presupposto di fatto o di diritto per l'emanazione del provvedimen to di espulsione, al di là della mera condizione di cittadino straniero
arrestato in flagranza o sottoposto a custodia cautelare, precluderebbe di fatto all'imputato l'esercizio di qualunque diritto di difesa sul punto; sia perché, nell'ipotesi in cui nei confronti del cittadino straniero arre
stato in flagranza si proceda immediatamente al giudizio a norma del
l'art. 566, 6° comma, c.p.p., allo stesso sarebbe di fatto preclusa la
partecipazione al dibattimento, poiché ai sensi dell'art. 7 sexies il prov vedimento di espulsione deve ricevere esecuzione mediante accompa
gnamento immediato alla frontiera, e in tale circostanza la previsione di cui all'art. 7 sexies, 11° comma, della possibilità di chiedere ed otte nere un'autorizzazione a rientrare in Italia onde partecipare al processo sarebbe vanificata dalla celebrazione immediata del dibattimento, an
che perché l'espressione «inderogabili esigenze processuali» (quali cause
ostative rispetto all'emissione dell'ordinanza di espulsione) di cui al 1°
comma dell'art. 7 ter, andrebbe riferita, come già detto, alla sola neces
sità di assicurare la presenza dell'imputato cittadino straniero rispetto allo svolgimento di atti processuali, quali un confronto o una ricogni zione personale, irrealizzabili in sua assenza.
Interpretazione quest'ultima, circa il significato da attribuire all'e
spressione «inderogabili esigenze processuali», che senza nulla togliere al ragionamento complessivo, appare di segno talmente restrittivo da
sembrare difficilmente giustificabile sulla base di un semplice ragiona mento ipotetico su quanto il legislatore ha detto e su quant'altro avreb
be potuto in astratto dire. Successivamente condivisa anche dal Pretore di Palermo (che esplici
tamente la richiama, estendendone però l'operatività a tutto il capo del provvedimento contenente disposizioni penali), altra questione di
legittimità sollevata dal Pretore di Roma (in relazione al solo art. 7 ter)
è quella relativa alla effettiva sussistenza, nel caso di specie, dei requisi
ti di straordinaria necessità ed urgenza di cui all'art. 77 Cost. Ritengo
no i remittenti che non sia configurabile in termini di straordinaria ne
cessità ed urgenza la mera esigenza, richiamata nel preambolo del de
creto 489/95 (ed immutata nel successivo d.l. 22/96), di razionalizzare
una normativa da tempo esistente (il d.l. 416/89, meglio noto come
«decreto Martelli», dal nome del guardasigilli dell'epoca), in relazione
ad un fenomeno sociale quale l'immigrazione extra-comunitaria che sa
rebbe ormai stabilmente presente nella fisionomia del nostro paese ed
in relazione al quale non si sarebbero realizzate, in tempi recenti, modi
II Foro Italiano — 1996.
Ill
PRETURA DI ROMA; ordinanza 25 novembre 1995; Giud.
Agrimi; imp. Saez Baez.
Straniero — Cittadini extracomunitari — Espulsione a richiesta
di parte — Questione non manifestamente infondata di costi
tuzionalità (Cost., art. 3, 13, 24, 25, 77; d.l. 30 dicembre
1989 n. 416, art. 7 ter, 1. 28 febbraio 1990 n. 39; d.l. 18 no
vembre 1995 n. 489, art. 7).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 7 ter, introdotto dal d.l. 18 novembre
1995 n. 489, recante modifiche al d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni nella l. 28 febbraio 1990 n. 39, in riferimento agli art. 3, 13 e 24 Cost., nella parte in cui introduce nei confronti dei soli cittadini stranieri un nuovo tipo di misura cautelare; in riferimento all'art. 77 Cost.,
perché non si può ravvisare un caso straordinario di necessità
e di urgenza nella mera esigenza di adeguare in termini più
fiche od evoluzioni di portata talmente straordinaria da richiedere un
intervento legislativo immediato nelle forme del decreto legge. Si può difficilmente disconoscere, anche perché è stato oggetto di
un vivace dibattito nazionale (la cui eco si può chiaramente leggere in
questa parte delle ordinanze dei Pretori di Roma e Palermo), come
la genesi del decreto 489/95 sia apparsa più legata ad uno scambio
politico tra una parte dello schieramento parlamentare ed il governo
per l'approvazione della legge finanziaria per il 1996, che alla «straordi
naria necessità ed urgenza di adeguare in termini più razionali la nor mativa in tema di immigrazione nel territorio dello Stato».
Connesso a questo profilo è altro che pure il Pretore di Roma solle
va, ritenendo che l'introduzione mediante decretazione d'urgenza di norme
aventi immediata rilevanza penale, in assenza di effettive circostanze
straordinarie, sarebbe incompatibile con l'elevatezza dei valori in gioco, anche in relazione al rischio di formulazioni prive di quei caratteri di
chiarezza ed assoluta determinatezza sottesi al principio di riserva di
legge in materia penale, consacrato dall'art. 25 Cost., e violato dalla
norma in questione. III. - L'ordinanza del Pretore di Macerata. Altro il profilo di incosti
tuzionalità individuato dal Pretore di Macerata, che solleva invece la
questione di legittimità costituzionale della previsione, contenuta nel no
vellato art. 7 d.l. 416/89, dell'espulsione quale misura di sicurezza, rite
nendola in contrasto con gli art. 3 e 27, 2° comma, Cost, nella parte in cui non prevederebbe che la condanna dello straniero o l'applicazio ne della pena patteggiata debbano essere definite con sentenza irrevocabile.
In particolare il pretore ritiene che, poiché ai sensi dell'art. 211 c.p. la misura di sicurezza aggiunta a pena detentiva va eseguita dopo l'ese
cuzione della pena o dopo l'avvenuta estinzione di questa, presupposto indefettibile per l'applicazione della misura di sicurezza è che la con
danna sia divenuta definitiva, cosa che, a giudizio del remittente, il novellato art. 7 avrebbe del tutto pretermesso, configurando una misu
ra di sicurezza che sembra rispondere esclusivamente ad una funzione
di prevenzione e repressione sociale del fenomeno immigratorio, non
ché ad una funzione afflittiva e sanzionatoria nei confronti dei cittadini
extra-comunitari, in spregio alla presunzione di innocenza enunciata dal
l'art. 27, 2° comma, Cost., nonché del principio di uguaglianza, riser vando ingiustificatamente ai soli cittadini stranieri extracomunitari l'e secuzione preventiva di una misura di sicurezza.
In merito invece all'espulsione su richiesta del p.m., prevista dal nuo
vo art. 7 ter, il Pretore di Macerata — come già detto — ritiene che
si tratti di una misura di sicurezza, ed estende pertanto a questa le
censure di incostituzionalità formulate nei confronti della previsione di
cui sopra. IV. - L'ordinanza del Pretore di Palermo. Più recente delle altre,
l'ordinanza affronta, oltre alle questioni già prospettate in relazione
alla nuova figura dell'espulsione a richiesta del p.m. ed al ricorso allo
strumento del decreto-legge, altre quesitoni. In particolare, il Pretore di Palermo ritiene che il 2° comma del nuo
vo art. 7 septies («Mancata esibizione o soppressione del documento
di identificazione»), sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui commina la sanzione della reclusione fino a tre anni
per lo straniero che commetta il fatto di cui al 1° comma dello stesso
articolo, dopo la notifica di un provvedimento di espulsione non anco
ra definitivo.
Quella di cui all'art. 7 septies, 1° comma, è una nuova figura di rea
to che punisce lo straniero che, su richiesta dell'autorità di pubblica
sicurezza, non esibisca senza giustificato motivo il passaporto o altro
documento di identificazione, comminando la pena dell'arresto fino a
sei mesi e dell'ammenda fino a lire ottocentomila; in base al 2° comma
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PARTE SECONDA
razionali la normativa in tema di immigrazione; in riferimen to all'art. 25 Cost., perché, in assenza di effettive circostanze
straordinarie, l'introduzione di norme aventi immediata rile
vanza penale mediante decretazione d'urgenza appare incom
patibile con l'elevatezza dei valori in gioco, anche in relazio
ne al rischio di formulazioni prive di quei caratteri di chiarez za ed assoluta determinatezza sottesi al principio di riserva
di legge in materia penale. (3)
I
Il pretore letti gli atti del procedimento n. 8381/95 r.g. pretu ra a carico di Abderrazack Gouria, nato a Bougara (Algeria) il giorno 1° luglio 1965 imputato del reato previsto dall'art.
7, 5° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella
del ripetuto art. 7 septies, lo stesso fatto se «commesso dallo straniero al quale è stato notificato un provvedimento di espulsione», costituisce invece delitto punibile con la reclusione fino a tre anni.
Secondo il Pretore di Palermo, l'unico elemento differenziale delle
due previsioni è il presupposto della notifica di «un provvedimento di
espulsione», che stante la totale genericità dell'espressione dovrebbe in tendersi integrato anche da un provvedimento amministrativo ancora
soggetto ai normali mezzi di impugnazione. Nel caso in cui il provvedimento amministrativo di espulsione venisse
annullato dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale di con
danna, verrebbe meno il presupposto per la punibilità del fatto a titolo di delitto — integrando questo gli estremi della ipotesi contravvenzio nale di cui al 1° comma — ma non sarebbe possibile una modificazione della sentenza penale in tal senso, non rientrando questo caso, secondo il remittente, nelle ipotesi di revisione previste dal codice di rito né nei
limiti di tale istituto, creandosi pertanto una disparità di trattamento tra soggetti che pur avendo commesso lo stesso fatto subirebbero un trattamento sanzionatorio differenziato a causa di un elemento norma tivo della fattispecie successivamente rimosso dall'ordinamento con ef ficacia retroattiva.
In una recente sentenza, il Pretore di Ancona ha ritenuto che il reato di cui al 2° comma dell'art. 7 septies «è costituito dagli stessi elementi materiali della contravvenzione di cui al 1° comma dell'art. 7 septies, cui si aggiunge la circostanza che il soggetto richiesto della esibizione abbia ricevuto notifica di un provvedimento di espulsione». Secondo il pretore, perché la norma di cui al 2° comma abbia un significato costituzionalmente legittimo e conforme al principio di ragionevolezza, va interpretata in modo tale da «conferire alla condotta tipica ivi previ sta una reale offensività, che ne giustifichi la sensibile disparità di trat tamento rispetto all'ipotesi contravvenzionale». Esigenza che sarebbe soddisfatta riferendo il presupposto dell'avvenuta notifica ad un decre to di espulsione che sia quanto meno già divenuto esecutivo, per essere stata respinta in via definitiva la richiesta cautelare di sospensione (Pret. Ancona 23 gennaio 1996, giud. Cutrona, Ibn Soui, inedita).
Altra norma che il Pretore di Palermo rimette al vaglio della Consul ta è quella prevista al 5° comma dello stesso art. 7 septies. Questa nor
ma, introducendo la misura precautelare facoltativa dell'arresto anche fuori dei casi di flagranza, sarebbe costituzionalmente illegittima sotto diversi profili: sarebbe in contrasto col principio di inviolabilità della libertà personale, in quanto tale misura non sarebbe agganciata a quegli indici che, integrando quei «casi eccezionali di necessità e urgenza» pre visti dall'art. 13, 3° comma, Cost., legittimano il potere precautelare della autorità di pubblica sicurezza; sarebbe in contrasto con il princi pio di uguaglianza, in quanto consentirebbe che di fronte ad identiche fattispecie di reato si proceda o meno all'arresto in base ad un potere discrezionale della polizia giudiziaria per il quale non sarebbero fissati i relativi limiti di esercizio; sarebbe in contrasto con l'inviolabilità del diritto di difesa, non potendosi sindacare un potere discrezionale di cui non siano fissati i limiti di esercizio.
Lo stesso articolo sarebbe inoltre illegittimo nella parte in cui consen te che possa essere arrestato anche chi tramite gli organi di polizia giu diziaria si rivolga all'autorità giudiziaria al fine di denunziare un reato contro la persona di un proprio congiunto. In questo caso, a fronte della possibilità di accertare un reato contro l'ordine pubblico (quello previsto dall'art. 7 septies, 2° comma), si porrebbe un serio ostacolo
all'adempimento di quel dovere di denunzia che, essendo relativo ad un reato contro la persona di un proprio congiunto, troverebbe fonda mento nei principi costituzionali di adempimento dei doveri inderogabi li di solidarità tra gli individui (art. 2 Cost.), di tutela dei diritti della
famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), di adempimento dei do veri dei genitori nei confronti dei figli (art. 30 Cost.), e che tenderebbe alla salvaguardia di beni di rango costituzionale superiore a quello del l'ordine pubblico, quali la vita e l'incolumità personale.
Il Foro Italiano — 1996.
1. 28 febbraio 1990 n. 39, modificato dall'art. 7 septies d.l. 18
novembre 1995 n. 489.
Rilevato che all'udienza del 18 dicembre 1995, il difensore
dell'imputato ha sollevato questione di legittimità costituzionale
del d.l. 18 novembre 1995 n. 489 ed in particolare degli art.
7, 8, 9 del citato d.l. in relazione agli art. 2, 3, 13, 24, 29, 30, 77 Cost.;
ritenuto, quanto alla rilevanza, che l'imputato veniva arresta
to in flagranza in data 3 dicembre 1995 e quindi condotto da
vanti a questo pretore per la convalida dell'arresto ed il conse
guente giudizio direttissimo e che, convalidato l'arresto, il p.m.
chiedeva nei confronti dell'imputato la misura coercitiva del
l'obbligo di presentazione all'autorità di polizia giudiziaria al fine che questi potesse sottrarsi alla misura dell'espulsione ai
sensi dell'art. 7 ter, 1° e 3° comma, del citato d.l.;
considerato che in base al combinato disposto dell'art. 7 ter
Anche il Pretore di Palermo — come già detto — sostiene l'illegitti mità costituzionale dell'art. 7 ter del nuovo decreto, ma per profili di versi da quelli individuati dai Pretori di Roma e di Macerata.
In particolare, la nuova figura dell'espulsione a richiesta del p.m., sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza, con quello di in
violabilità della libertà personale, con quello di inviolabilità del diritto
di difesa, in quanto l'art. 7 ter attribuirebbe al pubblico ministero un
potere non legato a diversi aspetti del fatto di reato, o alla necessità
di soddisfare diverse esigenze cautelari, ma avente ad esclusivo parame tro di riferimento la nazionalità del soggetto sottoposto alla misura pre cautelare dell'arresto, lasciando il p.m. sostanzialmente libero di deci
dere in base a criteri di valutazione non espressi dalla norma in questio ne e non altrimenti ricavabili, non essendo neanche prevista una
motivazione della richiesta del p.m. Il pretore, infine, deduce violazione dei principi di cui agli art. 2,
3 e 29, 30 Cost., da parte dell'art. 7 sexies, 9° comma, relativo alle «Norme generali sulle espulsioni», nella parte in cui prevede che non
possono essere sottoposti ad espulsione gli stranieri che vivono con pa renti entro il quarto grado di sola nazionalità italiana, in quanto por rebbe una illegittima discriminazione tra famiglie composte da cittadini italiani e cittadini stranieri.
V. - Le eccezioni sollevate in relazione alla normativa previgente. In tema di espulsione di cittadini extracomunitari avevano già sollevato eccezione di incostituzionalità Trib. Roma 15 ottobre 1993, Foro it.,
Rep. 1994, voce Straniero, n. 22, e Arch, nuova proc. pen., 1994, 29, nonché Trib. Bergamo 10 agosto 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 23, e Riv. pen., 1994, 15; Arch, nuova proc. pen., 1993, 687.
La Corte costituzionale allora ritenne che «la previsione della facoltà del giudice di espellere dal territorio dello Stato lo straniero sottoposto a misura cautelare o condannato, quando la pena da espiare non sia
superiore a tre anni, trova ragionevole giustificazione nella necessità di ridurre l'enorme affollamento carcerario e di allontanare dal territo
rio stranieri sottoposti a misure cautelari o condannati; pertanto, è inam missibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, 12° com ma bis e ter, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416 convertito dalla 1. 28 febbraio 1990 n. 39, nel testo risultante dall'art. 8, 1° comma, d.l. 14 giugno 1993 n. 187, convertito con modificazioni dalla 1. 12 agosto 1993 n. 296, sollevata in riferimento agli art. 27, 3° comma, e 97 Cost., sotto il profilo che l'espulsione dello straniero sottoposto a misura cautelare sarebbe arbitraria e non sorretta da criteri logici» (Corte cost. 24 feb braio 1994, n. 62, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 13, e Riv. polizia, 1994, 580, con nota di Santacroce, L'espulsione degli stranieri sotto
posti a custodia cautelare o già condannati come misura (o sanzione?) alternativa alla detenzione: dubbi di costituzionalità e problemi appli cativi).
Altra sentenza dichiarativa dell'infondatezza della questione di legit timità costituzionale dell'art. 7, comma 12 bis, sollevata in riferimento all'art. 27, 3° comma, Cost, è la n. 283 del 6 luglio 1994, Giust. pen., 1994, I, 369.
Sempre in tema di espulsione dello straniero, Tar Lombardia, sez.
I, 18 settembre 1992, n. 537, ha ritenuto non manifestamente infonda ta, in riferimento agli art. 3, 25, 27, 35 e 97 Cost., la questione di costituzionalità dell'art. 7, 1° comma, 1. 28 febbraio 1990 n. 39, nella
parte in cui contempla la misura della obbligatoria espulsione dello stra niero condannato, precludendo all'amministrazione qualunque possibi lità di valutazione in ordine alla opportunità di disporla in relazione al caso concreto (Foro it.. Rep. 1993, voce cit., nn. 26, 27).
La Corte costituzionale con ord. 3 marzo 1994, n. 72, ha disposto la restituzione al giudice a quo degli atti a seguito dell'entrata in vigore del d.l. n. 187 del 1993, convertito nella 1. n. 296 del 1993, che ha
integrato il testo originario dell'art. 7 del decreto impugnato (id., Rep. 1994, voce cit., n. 14, e Giur. costit., 1994, 761).
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GIURISPRUDENZA PENALE
e 7 sexies, 9° comma, dello stesso decreto è prevista l'espulsio
ne a richiesta di parte, e che la stessa norma può trovare appli cazione nell'odierno processo;
che le suddette norme sono state introdotte con decreto legge emanato ai sensi dell'art. 77, 2° comma, Cost.;
in merito alla valutazione della non manifesta infondatezza
si osserva quanto appreso:
I. - Art. 7 septies, commi 1° e 2°, d.l. 30 dicembre 1989 n.
416, conv. con modif. nella l. 28 febbraio 1990 n. 39, come introdotto dall'art. 7 d.l. 18 novembre 1995 n. 489. L'art.
7 septies al 10 comma prevede una contravvenzione, punendo
con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire otto
In relazione alla questione sollevata dal Pretore di Palermo in merito
al nuovo art. 7 septies, 5° comma, che prevede la misura precautelare facoltativa dell'arresto anche fuori dei casi di flagranza, va ricordato
che in precedenza, per contrasto con l'art. 13, 3° comma, Cost., è stata
pure sollevata questione di illegittimità costituzionale dell'art. 152 r.d.
18 giugno 1931 n. 773 (t.u. delle leggi di pubblica sicurezza) che avreb
be previsto un'ipotesi di arresto fuori flagranza dello straniero contrav
ventore al foglio di via obbligatorio in assenza di una espressa indica
zione legislativa. Prima che la norma venisse abrogata (unitamente all'art. 150 dello
stesso t.u. leggi di p.s.) dall'art. 13 d.l. 416/89, la Corte costituzionale
si pronunciò per la sua legittimità con ord. 29 dicembre 1989, n. 588, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 26, e Cass, pen., 1990, I, 582; Giur.
costit., 1989, I, 2708. Su questa pronuncia si veda la nota di Filippi, Sull'arresto dello straniero che contravviene al foglio di via obbligato rio o agli obblighi della sorveglianza speciale, id., 1990, 1243.
In altra ordinanza, successiva all'abrogazioe dell'art. 152 t.u. leggi di p.s. da parte dell'art. 13 d.l. 416/89, la corte ha rimesso gli atti
al giudice a quo per verificare se, alla stregua della normativa sopravve
nuta, le questioni sollevate sempre in relazione all'art. 13, 3° comma,
Cost., fossero ancora rilevanti (Corte cost., ord. 15 maggio 1990, n.
255, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 15, e Giur. costit., 1990, 1535). Altra norma in materia di stranieri che ha dato luogo a diverse ecce
zioni di incostituzionalità è l'art. 224 d.leg. 271/89 (norme attuaz., coord,
e trans, del nuovo c.p.p.), rispetto al quale diversi giudici hanno eccepi to violazione dell'art. 76 Cost., nella parte in cui, per l'ipotesi di viola
zione del foglio di via da parte dello straniero, mantiene in vita un'ipo tesi di arresto prevista anche al di fuori della flagranza per un reato
di natura contravvenzionale e introduce una nuova fattispecie di appli cazione di misura coercitiva, relativamente ad un reato contravvenzio nale punito nel massimo con sei mesi di arresto, ponendosi in palese contrasto con le disposizioni introdotte con il nuovo codice di procedu ra penale (cosi Pret. Bergamo 27 novembre 1989, e Pret. Roma 1° di
cembre 1989, Arch, nuova proc. pen., 1990, 145, con nota di De Falco
e Foro it., Rep. 1990, voce cit., nn. 31, 29; Pret. Roma 1° dicembre
1989, ibid., n. 30 e Cass, pen., 1989, II, 11; 7 dicembre 1989, Foro
it., Rep. 1990, voce cit., n. 28, e Critica del diritto, 1990, fase. 1, 23). La Corte costituzionale, in seguito all'emanazione del d.l. 30 dicem
bre 1989 n. 416, ha disposto la restituzione degli atti ai giudici a qui
bus, per verificare se, alla stregua della normativa sopravvenuta, le que stioni sollevate fossero ancora rilevanti (cfr. Corte cost., ord. 12 aprile
1990, n. 209, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 20; 15 maggio 1990, n. 256, ibid., n. 19, e Giur. costit., 1990, 1536; 14 giugno 1990, n.
291, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 18, e Giur. costit., 1990, 1823; 31 luglio 1990, n. 394, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 17, e Giur.
costit., 1990, 2372; 22 ottobre 1990, n. 479, Foro it., Rep. 1991, voce
cit., n. 16, e Giur. costit., 1990, 2844). In merito alla violazione del diritto di difesa da parte della normativa
previgente, si veda Corte cost. 27 dicembre 1991, n. 492, con la quale la Consulta ha ritenuto inammissibile, in quanto sollevata nel corso
di un procedimento amministrativo da parte di un giudice privo di po teri decisori (nella specie, tribunale in sede di esame della richiesta di
nulla osta per il provvedimento di espulsione dello straniero dall'Italia), la questiqne di legittimità costituzionale dell'art. 7, 4° comma, 1. 28
febbraio 1990 n. 39, nella parte in cui non prevede la possibilità per 10 straniero sottoposto a procedimento penale in Italia ed espulso sulla
base della suddetta legge, di farvi rientro limitatamente al tempo indi
spensabile per la celebrazione del dibattimento, in riferimento all'art.
24, 2° comma, Cost. (Foro it., 1992, I, 1324, e Giur. it., 1992, I, 1,
605, con nota di Giorgis; Giur. costit., 1991, 3994, con nota di Tessa).
A commento della stessa, si veda pure Marazzita, Il diritto di difesa
e l'espulsione dello straniero, in Giur. it., 1994, I, 1, 69.
Diverse ordinanze hanno sollevato questioni di legittimità costituzio
nale dell'art. 7 bis inserito nel testo del d.l. 416/89 prima dal d.l. 13
aprile 1993 n. 107, non convertito, e poi dal d.l. n. 187 del 14 giugno 1993, successivamente convertito nella 1. 12 agosto 1993 n. 296. Per
11 Foro Italiano — 1996.
centomila lo straniero che, su richiesta dell'autorità di pubblica
sicurezza, non esibisca senza giustificato motivo il passaporto o altro documento di identificazione; al 2° comma prevede che
lo stesso fatto, «commesso dallo straniero al quale è stato noti
ficato un provvedimento di espulsione», costituisca invece delit
to punibile con la reclusione fino a tre anni.
Il fatto materiale è identico. L'unico elemento differenziale
delle due previsioni è il presupposto della notifica di «un prov vedimento di espulsione».
Stante la totale genericità dell'espressione in questione, è da
intendersi che il suddetto presupposto è integrato anche da un
provvedimento amministrativo ancora soggetto ai normali mez
i rapporti sorti nella vigenza del d.l. non convertito, si veda Cass., sez.
I, 22 dicembre 1993, Memedou, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 18. La Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili,
per mancata conversione in legge del d.l. 13 aprile 1993 n. 107, le que stioni di legittimità costituzionale dell'art. 7 bis sollevate in riferimento
agli art. 3, 13 e 29 Cost. (ord. 10 febbraio 1994, n. 29, ibid., n. 16, e Giur. costit., 1994, 209; 10 febbraio 1994, n. 30, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 15, e Giur. costit., 1994, 211).
A seguito dell'entrata in vigore del d.l. 14 giugno 1993 n. 187, con vertito con modificazioni in 1. 12 agosto 1993 n. 296, ha ordinato la
restituzione al giudice a quo, per un nuovo esame della rilevanza, degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 d.l.
30 dicembre 1989 n. 416 (Corte cost., ord. 3 febbraio 1994, n. 23, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 17, e Giur. costit., 1994, 170).
Con sentenza 13 febbraio 1995, n. 34, la Consulta si è infine espressa
per illegittimità dell'art. 7 bis, 1° comma, per violazione del principio di determinatezza e tassatività in materia penale sancito dall'art. 25, 2° comma, Cost. (Foro it., 1995, I, 2773, con nota di Visconti, Deter
minatezza della fattispecie penale e bilanciamento degli interessi; sulla
stessa pure Santacroce, L'espulsione dello straniero ancora davanti
alla Corte costituzionale, tra contenuti precettivi della disciplina e
determinatezza-tassatività della fattispecie, in Riv. polizia, 1995, 242). VI. - La dottrina. Per un quadro generale, si vedano Nascimbene,
Lo straniero nel diritto italiano - Appendice di aggiornamento: Le nuo
ve norme sull'ingresso, soggiorno e asilo, Giuffrè, Milano, 1990; Albe, Via libera alla regolarizzazione dei cittadini extracomunitari (commento alla l. 28 febbraio 1990 n. 39: conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416), in Corriere giur., 1990, 329;
Bentivogli-Pittau, L'immigrazione estera in Italia - Previsioni del d.l.
416/89, in Prev. soc., 1990, 71; Caggiano, Asilo, ingresso, soggiorno ed espulsione dello straniero nella nuova legge sull'immigrazione, in
Comunità internaz., 1990, 31; Cannizzaro, La nuova disciplina del
l'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento degli stranieri, in Riv.
dir. internaz., 1990, 71; Pastore, La nuova legge sugli stranieri extra
comunitari: disciplina innovativa o razionalizzazione dell'esistente?, in
Questione giustizia, 1990, 331; Pittau, Il d.l. 416/89 sugli stranieri:
contenuti, prima valutazione e schede riassuntive, in Lavoro e prev. oggi, 1990, 709; Ingresso e soggiorno in Italia fra preture e questure, ieri ed oggi, a cura di Bonato, in Dir. uomo, 1992, fase. 3, 76; Stranie
ro (condizione giuridica dello): D'Orazio, I) Diritto costituzionale-, II) Diritto internazionale e Nascimbene; III) Condizione processuale dello
straniero, voci dall'Enciclopédia giuridica Treccani, Roma, 1993, XXX;
Manese, La normativa sull'ingresso ed il soggiorno dei cittadini stra
nieri in Italia, in Stato civile it., 1993, 841; Raspadori, Lo straniero e la giustizia, in Dir. uomo, 1993, fase. 2, 73; Melica, Permessi di
soggiorno e disparità di trattamento, in Questione giustizia, 1993, 839;
D'Orazio, Condizione dello straniero e «società democratica», Cedam,
Padova, 1994; De Rose, Aspetti giuridico-sociali dell'immigrazione extra
comunitarip sull'ordine e la sicurezza pubblica, in Riv. polizia, 1994,
600; Scotto, Ammissione ed espulsione degli stranieri nel diritto inter
nazionale consuetudinario, in Cons. Stato, 1994, II, 1793; Gregori, Il soggiorno in Italia dei cittadini extracomunitari, Laurus Robuffo,
Roma, 1995; Marotta, Immigrati: devianza e controllo sociale, Ce
dam, Padova, 1995.
In tema di espulsione degli stranieri, cfr. Dell'Anno, Sulla espulsio ne dello straniero dal territorio dello Stato, in Cass, pen., 1990, I, 1417;
Gaja, Quali misure per l'espulsione degli stranieri?, in Dir. uomo, 1992,
49; Barbalinardo, I difficili rapporti fra espulsione dello straniero con
dannato per fatti di droga e sospensione condizionale della pena, in
Giur. merito, 1993, 1154; Potetti, Nulla osta dell'autorità giudiziaria
all'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, in Cass, pen.,
1993, 1004; Biscardi, Brevi considerazioni sul decreto Conso sull'e
spulsione dei cittadini extracomunitari, in Dir. uomo, 1993, fase. 1,
84; Bonetti, Tra interessi dello Stato e diritti dell'individuo: nuovi isti
tuti e vecchi problemi dell'espulsione dello straniero di fronte alla Corte
costituzionale, in Giur. costit., 1994, 2373. [F. M. Amato]
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PARTE SECONDA
zi di impugnazione, come quello notificato all'odierno imputa to per il quale è ancora pendente persino il termine per impu
gnare la decisione di primo grado sulla sospensione del provve dimento di espulsione.
Si può pertanto verificare l'ipotesi che un soggetto che com
metta il fatto di cui al 1° comma e che versi nella condizione
di cui al 2° comma venga condannato per delitto con sentenza
definitiva, ma che successivamente il provvedimento ammini
strativo di espulsione venga sospeso o annullato nelle sedi giuris dizionali competenti.
In quest'ultimo caso, con l'annullamento dell'atto ammini
strativo viene meno lo stesso presupposto per la punibilità del
fatto a titolo di delitto, ma l'ordinamento non prevede alcuna
possibilità di modificazione della sentenza penale. Il caso non rientra infatti nelle ipotesi di revisione della sen
tenza penale previste dall'art. 630 c.p.p. né nei limiti della revi
sione delineati dall'art. 631 c.p.p. Si crea pertanto una evidente disparità di trattamento tra sog
getti che pur avendo commesso lo stesso fatto subiscono un
trattamento sanzionatorio differenziato a causa di un elemento
normativo della fattispecie successivamente rimosso dall'ordi
namento con efficacia retroattiva.
Il 2° comma dell'art. 7 septies è pertanto illegittimo per vio
lazione dell'art. 3 Cost, nella parte in cui commina la sanzione della reclusione fino a tre anni per lo straniero che commetta
il fatto di cui al 1° comma e abbia avuto notificato un provve dimento non ancora definitivo.
II - Art. 7 septies, 5° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416,
conv. con modif. nella l. 28 febbraio 1990 n. 39, come intro
dotto dall'art. 7 d.l. 18 novembre 1995 n. 489. L'art. 7 septies, 5° comma, consente l'arresto del cittadino straniero punibile ai sensi del 2° (oltre che del 3° e 4°) comma anche al di fuori
dei casi di flagranza. Si introduce cosi una misura precautelare facoltativa che at
tribuisce alla polizia giudiziaria un potere del tutto al di fuori
degli istituti previsti dal nuovo codice di procedura penale. Infatti, siamo al di fuori dell'istituto dell'arresto delineato
dal nuovo codice sia per lo sganciamento dal presupposto fon
damentale dello stato di flagranza, sia per l'assenza dei limiti
alla discrezionalità del potere di arresto individuati — dall'art.
381, 4° comma, c.p.p. — nella gravità del fatto o nella perico losità del soggetto.
Siamo al di fuori dell'istituto del fermo sia per la non previ sione del pericolo di fuga che dei gravi indizi di reità quali ele
menti legittimanti la misura.
Siamo cioè al di fuori di quegli indici (flagranza del reato e pericolo di fuga) che, integrando quei «casi eccezionali di ne
cessità e urgenza» previsti dall'art. 13, 3° comma, Cost., legitti mano il potere precautelare della autorità di pubblica sicurezza.
La norma in questione è pertanto contraria al principio di
inviolabilità della libertà personale protetto dall'art. 13 e dal
l'art. 2 Cost, quale diritto inviolabile dell'uomo.
Inoltre, non essendo esplicitato nella norma in questione al
cun limite alla dicrezionalità del potere di arresto, come ad esem
pio quelli individuati dall'art. 381, 4° comma, c.p.p. nella gra vità del fatto o nella pericolosità del soggetto, il potere di arre
sto della polizia giudiziaria si presenta sostanzialmente svincolato
da indici che consentano di verificare la legittimità dell'uso di tale potere discrezionale.
La norma è pertanto contraria al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 in quanto consente che di fronte ad identiche
fattispecie di reato si proceda o meno all'arresto in base ad
un potere discrezionale della polizia giudiziaria per il quale non
sono fissati i relativi limiti di esercizio. Ciò comporta al contempo una violazione del diritto di dife
sa di cui all'art. 24 Cost, non potendosi sindacare un potere discrezionale di cui non siano fissati i limiti di esercizio.
La norma è inoltre illegittima nella parte in cui consente, co
me nel caso di specie, che possa essere arrestato anche chi tra
mite gli organi di polizia giudiziaria si rivolga all'autorità giudi ziaria al fine di denunziare un reato contro la persona di un
proprio congiunto. L'art. 13 del citato decreto 489/95, in materia di assistenza
sanitaria, prevede che «L'accesso dello straniero alle strutture
sanitarie non può comportare alcun tipo di segnalazione, salvo
Il Foro Italiano — 1996.
i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano», in conformità con il dettato dell'art.
32 Cost, che riconosce la salute come fondamentale diritto del
l'individuo. Il cittadino straniero non può però accedere agli uffici di po
lizia giudiziaria per denunciare la scomparsa di un proprio con
giunto, se non rischiando l'arresto nel caso in cui le forze di
polizia giudiziaria lo ritengano responsabile del reato previsto dal 2° comma dell'art. 7 septies.
Il 5° comma del suddetto articolo, consentendo di poter pro cedere all'arresto anche in questo caso, pone a fronte della pos sibilità di accertare un reato contro l'ordine pubblico (quello
previsto dall'art. 7 septies, 2° comma) un serio ostacolo (il ri
schio di arresto per questo reato) all'adempimento di quel do
vere di denunciare i reati contro la persona di un proprio con
giunto — nel caso di specie la moglie e la figlia minore — che
trova fondamento nei principi costituzionali di adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà tra gli individui (art. 2 Cost.), di tutela dei diritti della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), di adempimento dei doveri dei genitori nei confronti
dei figli (art. 30 Cost.), e che tende alla salvaguardia di beni
di rango costituzionale certamente superiore a quello dell'ordi
ne pubblico, quali la vita e l'incolumità personale. La norma in parola è pertanto costituzionalmente illegittima
anche sotto questo profilo. III. - Art. 7 ter d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. con mo
dif. nella l. 28 febbraio 1990 n. 39, come introdotto dall'art.
7 d.l. 18 novembre 1995 n. 489. Con la norma contenuta nel
suddetto articolo, come già ritenuto dal Pretore di Roma nella
ordinanza emessa il 25 novembre 1995 (Foro it., 1996, II, 94) nel processo a carico di Saez Baez Carlos Alberto, si è introdot
ta nei confronti dei soli cittadini stranieri un nuovo tipo di espul sione a richiesta di parte che, almeno ogni qual volta la misura
venga richiesta dal p.m., integra nuova figura di misura caute
lare personale. La norma è discriminatoria nei confronti del cittadino stra
niero, in quanto a fronte di un arresto in flagranza per un me
desimo fatto, nel caso in cui a seguito della convalida non si
applichi alcuna delle misure cautelari previste dal codice di pro cedura penale, per il cittadino italiano andrebbe disposta l'im
mediata liberazione, mentre per il cittadino straniero andrebbe
disposta l'espulsione immediata, se solo il p.m. ne avanza ri
chiesta.
Il potere cosi attribuito al pubblico ministero non è legato a diversi aspetti del fatto di reato, o alla necessità di soddisfare
diverse esigenze cautelari, ma ha ad esclusivo parametro di rife
rimento la nazionalità del soggetto sottoposto alla misura pre cautelare dell'arresto, lasciando il p.m. libero di decidere in ba se a criteri di valutazione non espressi dalla norma in questione e non altrimenti ricavabili, non essendo neanche prevista una
motivazione della richiesta del p.m. La norma è pertanto in contrasto con il principio di egua
glianza sancito dall'art. 3 Cost., con quello di inviolabilità della
libertà personale di cui all'art. 13, con quello di inviolabilità del diritto di difesa di cui all'art. 24.
IV. - Art. 7 sexies, 9° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. con modif. nella I. 28 febbraio 1990 n. 39, come intro
dotto dall'art. 7 d.l. 18 novembre 1995 n. 489. La suddetta
norma prevede che non possono essere sottoposti ad espulsione
(tra gli altri) gli stranieri che vivono con parenti entro il quarto grado di nazionalità italiana.
La norma tende evidentemente alla tutela della famiglia quale formazione sociale ove il singolo svolge la propria personalità e della quale la repubblica riconosce i diritti come società natu
rale, sul presupposto che l'allontanamento del cittadino stranie
ro dalla propria famiglia arrechi un pregiudizio alla stessa. Pre
giudizio che è identico, sia nel caso in cui i componenti della
famiglia siano italiani, sia nel caso in cui siano stranieri. La limitazione alla sola convivenza con familiari di nazionali
tà italiana, quale causa ostativa dell'espulsione dello straniero, si pone pertanto come illegittima discriminazione tra famiglie
composte da cittadini italiani e cittadini stranieri, in aperta vio lazione dei principi di cui agli art. 2, 3, 29, 30 Cost.
V. - Art. 7, 8, 9 d.l. 18 novembre 1995 n. 489. Queste norme
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GIURISPRUDENZA PENALE
costituiscono l'intero capo III, intitolato «Espulsioni e disposi zioni penali», del citato decreto.
Il preambolo del decreto fa espresso richiamo alla «straordi
naria necessità ed urgenza di adeguare in termini più razionali
la normativa in tema di immigrazione nel territorio dello Stato
da parte di cittadini di paesi non appartenenti all'Unione euro
pea, al fine di render(n)e più efficace l'operatività». Si può però fondatamente revocare in dubbio che quest'esi
genza posta a fondamento del decreto possa rientrare in quei
«casi straordinari di necessità e d'urgenza» che, secondo il det
tato del 2° comma dell'art. 77 Cost., sono gli unici a legittima
re il governo ad adottare, sotto la sua responsabilità, provvedi menti provvisori con forza di legge.
Infatti, come già rilevato dal Pretore di Roma nella citata
ordinanza del 25 novembre 1995, non integra un caso straordi
nario di necessità ed urgenza l'esigenza di «adeguare in termini
più razionali la normativa in tema di immigrazione» stante che
la suddetta normativa riguarda un fenomeno da tempo presente nel nostro paese, rispetto al quale non si sono verificati di re
cente evoluzioni di portata straordinaria tali da giustificare il
ricorso allo strumento del decreto legge.
Per questi motivi, visto l'art. 23 1. 9 febbraio 1948 n. 1. di chiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale del d.l. 18 novembre 1995 n. 489
ed in particolare degli art. 7, 8 e 9, in relazione agli art. 2,
3, 13, 24, 29, 30 e 77 Cost. (Omissis)
II
Il pretore, premesso che in data 27 novembre 1995 è stata
celebrata udienza di convalida dell'arresto operato dalla polizia
giudiziaria nei confronti di E1 Bani Labri, cittadino non appar tenente ai paesi dell'Unione europea, arresto avvenuto in data
26 novembre 1995 in stato di flagranza del reato di cui agli
art. 624, 625, nn. 2 e 7, 81, 2° comma, c.p.; che nella medesima sede, in procinto di celebrare il conte
stuale rito direttissimo, nella fase degli atti preliminari, il p.m. anticipava la sua richiesta di espulsione dello straniero ai sensi
dell'art. 7 d.l. 18 novembre 1995 n. 489;
considerato che nel caso in esame risulterebbe comunque adot
tabile un provvedimento di espulsione, ai sensi dell'art. 71. 39/90, come sostituito dall'art. 7, 1° comma, d.l. 489/90, cioè l'espul
sione come «pena alternativa» disposta su richiesta di parte,
e nello specifico dal p.m.
Rilevato quanto appresso esposto:
a) il recente d.l. 489/95, «disposizioni urgenti in materia di
politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingres so e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini non apparte
nenti all'Unione europea», con l'art. 7, che prevede l'espulsione
dal territorio dello Stato e norme sanzionatorie, ha introdotto
profonde modifiche agli art. 76 e 7 bis cosi come formulati dal
precedente decreto Martelli, convertito con 1. 39/90 e successi
vamente in parte modificato dal d.l. 187/93, convertito con 1.
290/93. L'art. 7 nella nuova formulazione prevede cosi al 1° comma
l'espulsione quale misura di sicurezza sic et simpliciter applica
bile agli stranieri ritenuti socialmente pericolosi e che siano stati
condannati o che abbiano patteggiato la pena ai sensi dell'art.
444 c.p.p. per uno dei reati di cui agli art. 380 o 381 c.p.p. Ai sensi dell'art. 211 c.p., la misura di sicurezza aggiunta
a pena detentiva va eseguita dopo l'esecuzione della pena o do
po l'avvenuta estinzione di questa. Perciò presupposto indefet
tibile, anche ai fini dell'ipotesi che qui rileva, è che la condanna sia divenuta irrevocabile, cosi da dar luogo all'espiazione della
pena inflitta. Tale presupposto, invece, sembra essere stato del tutto pre
termesso dall'art. 7, 1° comma, d.l. 489/95 laddove questa nor
ma, rubricata «espulsione come misura di sicurezza», non pre
veda, per l'appunto che la condanna dello straniero o l'applica
zione della pena patteggiata ex art. 444 c.p.p., debbano essere
definite con sentenza irrevocabile.
Una siffatta disposizione appare a questo giudice in palese contrasto con l'art. 27, 10 comma, Cost.
Il Foro Italia no — 1996.
Infatti, l'espulsione anticipata dello straniero, come misura
di sicurezza applicabile in mancanza dell'accertamento definiti
vo ed incontrovertibile della sua penale responsabilità, sembra
rispondere esclusivamente ad una funzione di prevenzione e re
pressione sociale del fenomeno immigratorio, funzione afflitti
va e sanzionatoria nei confronti dell'extracomunitario, in totale
spregio della c.d. «presunzione di innocenza», enunciata dal
l'art. 27, 2° comma, Cost.
Allo stesso tempo, l'art. 7, 1° comma, d.l. 489/95 viola an
che il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost, in quanto priva di giustificazione è la palese disparità di trattamento riser
vata al cittadino straniero extracomunitario che, comunque de
stinatario della norma penale, in quanto presente sul territorio
nazionale, e quindi sottoposto a procedimento penale, subisce,
per effetto di questa nuova disposizione di legge, l'esecuzione
preventiva di una misura di sicurezza in mancanza di una sen
tenza di condanna definitiva.
b) Nel caso in esame, stante l'avvenuto arresto in flagranza, nonché la richiesta del p.m. in ordine all'espulsione dello stra
niero, troverebbe comunque applicazione, quale norma rilevan
te ai fini del procedimento a quo, la disposizione di cui all'art. 7, 3" comma, d.l. 489/95, «espulsione a richiesta di parte»,
in base alla quale, nei confronti degli stranieri arrestati per un
reato diverso da quelli elencati all'art. 407, 2° comma, nn. 1,
2, 3, 4, 5, 6, c.p.p., quale per l'appunto il furto aggravato per
cui è processo, è disposta l'espulsione immediata con ordinanza
motivata del giudice che procede, individuato ex art. 279 c.p.p.,
su richiesta o dell'interessato medesimo, o del suo difensore,
o ancora del pubblico ministero.
La presente disposizione che va ad inserirsi quale art. 7 ter
all'interno della 1. 39/90, riproduce nella sostanza una parte
del contenuto del precedente art. 7, comma 12 bis (comma che
era stato aggiunto dal d.l. n. 187 del 1993), della legge Martelli,
ora sostituito dal sopracitato art. 7, 1° comma, d.l. 39/90 (espul
sione quale misura di sicurezza).
Tale art. 7 ter introduce però due importanti novità: la prima consiste nel fatto che l'espulsione a richiesta di parte ora può
essere disposta anche nei casi di arresto in flagranza, oltre che
di applicazione della custodia cautelare, e che la parte legittima
ta a fare richiesta non è più solo il diretto interessato, cioè lo
straniero o il suo difensore, ma anche il p.m.
La natura e la funzione di questa fattispecie di espulsione non è chiara.
La ratio sottesa all'art. 7, comma 12 bis, ss. introdotti dal
d.l. 187/93 si deve rinvenire nel fine di ridurre il sovraffolla
mento delle carceri, dando allo straniero la facoltà di richiede
re, in alternativa alla custodia cautelare o alla detenzione, l'e
spulsione dal territorio nazionale.
Si trattava pertanto di una peculiare figura di pena «alterna
tiva» alla detenzione, applicabile anche ante iudicium, in virtù
del principio del favor rei, essendone presupposto necessario
la manifestazione della volontà in tal senso dell'imputato, non
potendosi altrimenti pervenire al provvedimento di espulsione
per impulso dell'ufficio giudicante o del p.m. La nuova disposizione normativa introdotta dal decreto-legge,
altera radicalmente la struttura della norma, introducendo con
l'art. 7 ter la facoltà di chiedere l'espulsione dello straniero an
che in capo al pubblico ministero, nella fase ante iudicium o
comunque anche in assenza di condanna divenuta definitiva,
perdendo cosi i connotati e le finalità proprie della pena alter
nativa.
Dovendosi pertanto configurare alternativamente come misu
ra alternativa o misura di sicurezza, il 3° comma dell'art. 7 ter
introdotto dall'art. 7, 3° comma, d.l. 489/95 si pone in contra
sto con gli art. 3 e 27, 2° comma, Cost., per l'ingiustificabile
e irragionevole violazione del principio della presunzione di non
colpevolezza, dovendosi al riguardo richiamare le osservazioni
di cui al punto a). Per questi motivi, dichiara rilevanti e non manifestamente in
fondate, e pertanto solleva l'ufficio le seguenti questioni di le
gittimità costituzionale: 1) dell'art. 7, 1° comma, 1. 28 febbraio 1990 n. 39, introdot
to dall'art. 7, 1° comma, d.l. 18 novembre 1995 n. 489 in rela
zione agli art. 3 e 27 Cost.
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PARTE SECONDA
2) dell'art. 7 ter, 3° comma, 1. 28 febbraio 1990 n. 39, intro
dotto dall'art. 7, 3° comma, d.l. 18 novembre 1995 n. 489 in
relazione agli art. 3 e 27 Cost. (Omissis)
III
Il pretore, letti gli atti del procedimento n. 3038/95 r.g. dib.
a carico di Saez Baez Carlos Alberto nato a Santiago del Cile
il 4 ottobre 1973 imputato del reato p.p. dagli art. 624 e 625,
nn. 4 e 6, c.p.;
rilevato che, all'udienza in data 21 novembre 1995, il p.m. ha sollevato questione di legittimità costituzionale del d.l. 18
novembre 1995 n. 489 ed in particolare dell'art. 7 ter d.l. 416/89
come introdotto da tale decreto, in relazione agli art. 2, 3, 25,
27 e 77 Cost, e che questo pretore ritiene di dover d'ufficio
sollevare ulteriore questione di costituzionalità della medesima
norma in riferimento altresì' all'art. 24 Cost.;
ritenuto, quanto alla rilevanza, che l'imputato veniva arresta
to in flagranza in data 20 novembre 1995 e quindi condotto
avanti a questo pretore per la convalida dell'arresto ed il conse
guente giudizio direttissimo e che — convalidato l'arresto —
il p.m. chiedeva nei confronti dell'imputato medesimo la misu
ra dell'espulsione ai sensi del citato art. 7 ter, 1° e 3° comma;
ritenuto in merito alla valutazione della non manifesta infon
datezza quanto segue:
1) Violazione degli art. 2 e 3 Cost. L'art. 7 d.l. 18 novembre
1995 n. 489 introduce — abrogando la precedente formulazione
dell'art. 7 d.l. 30 dicembre 1989 n. 416 — sette nuovi articoli
(rubricati dal 7 al 7 septies) uno dei quali in particolare, l'art.
7 ter, risulta applicabile nel presente procedimento penale in cui
il cittadino straniero sopra generalizzato è stato presentato a
questo pretore a norma dell'art. 566 c.p.p. per la convalida del
l'arresto in flagranza operato nei suoi confronti in data 20 no
vembre 1995, ed il contestuale giudizio. Deve in primo luogo osservarsi come il suddetto art. 7 ter,
nel contrapporre al 1° comma il caso dello straniero arrestato in flagranza a quello del soggetto pure straniero al quale sia
stata applicata la misura della custodia cautelare, evidenzia chia
ramente la possibilità per il giudice — su richiesta di uno dei soggetti indicati al 4° comma — di disporre l'espulsione anche
nei confronti di colui al quale pur se arrestato in flagranza non
venga applicata alcuna misura cautelare a norma degli art. 272 ss. c.p.p. o per assenza di richieste in merito da parte del p.m. — come appunto è avvenuto nel presente procedimento penale — o per mancata concessione da parte del giudice che procede delle misure richieste: a prescindere ora dalla questione relativa
alla necessità o meno di trovarsi in presenza comunque di un
arresto almeno convalidato — questione cui deve inevitabilmen te darsi in sede di interpretazione logica risposta affermativa — la norma censurata introduce la possibilità di disporre la
«misura» dell'espulsione, come lo stesso art. 7 ter la definisce, su mera richiesta del p.m. — oltreché dell'interessato e del di
fensore — senza prevedere alcun altro elemento valutativo ai
fini della decisione del giudice, che sembrerebbe anzi tenuto al
l'accoglimento di tale istanza, «... è disposta l'espulsione», con
la sola esclusione della sussistenza di «. . . inderogabili esigenze
processuali».
Considerato ora il momento processuale nel quale tale richie
sta di espulsione si colloca e valutato inoltre che altre norme
della nuova disciplina introdotta con il d.l. 489/95 espressa mente prevedono il provvedimento di espulsione quale misura
di sicurezza (art. 7), misura di prevenzione (art. 7 bis), nonché
quale contenuto di un provvedimento amministrativo (art. 7 quater e 7 quinquies), all'espulsione disposta dal giudice ai
sensi dell'art. 7 ter dovrebbe riconoscersi, nell'ipotesi in cui la
relativa richiesta provenga dal p.m., circostanza che rappresen ta poi l'elemento di maggiore novità della disciplina in esame
rispetto a quella già contenuta nell'art. 7, comma 12 ter, d.l.
416/89, natura di misura cautelare personale; a sostegno di tale
inquadramento devono altresì richiamarsi l'espressione conte
nuta nell'ultima parte dell'art. 7 ter, 1° comma, che subordina
l'espulsione dello straniero in stato di custodia cautelare alla
possibilità di soddisfare con tale diversa «misura» le esigenze
Il Foro Italiano — 1996.
cautelari del caso concreto, l'attribuzione della competenza a
decidere circa la richiesta di espulsione al giudice competente in tema di misure cautelari individuato ai sensi dell'art. 279 c.p.p. ed infine la previsione, quale mezzo di gravame avverso l'ordi
nanza di espulsione, del ricorso per cassazione previsto e rego
lato dall'art. 311 c.p.p. in materia di misure cautelari.
Deve osservarsi allora come l'introduzione di una nuova mi
sura cautelare personale, applicabile esclusivamente nei confronti
dei cittadini stranieri, appaia in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., comportando per lo stra
niero una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al citta
dino italiano, disparità resa ancor più incisiva dal fatto che, come detto, l'applicazione di tale misura da un lato risulta di
fatto sganciata dalla sussistenza delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p. ed appare anzi quasi automatica, in caso
di richiesta di parte, fatto salvo l'unico limite delle «inderogabi li esigenze processuali», e dall'altro è rimessa, quanto alla dura
ta (art. 7 ter, 4° comma, ultima parte) alla decisione discrezio
nale del giudice che non risulta vincolata neppure dalla previ sione di termini massimi, quali quelli previsti dagli art. 303 ss.
c.p.p.: pertanto, a fronte della medesima condizione di arresto
in flagranza per lo stesso reato, magari consumato in concorso
tra loro, e nel caso in cui — convalidato per entrambi l'arresto — non vi sia stata alcuna applicazione di misure cautelari a
norma degli art. 272 ss. c.p.p., il cittadino italiano beneficie rebbe della immediata liberazione mentre il cittadino straniero, in caso di richiesta del p.m. dovrebbe essere espulso da parte del giudice, con il solo limite delle inderogabili esigenze proces
suali, e con interdizione dal territorio dello Stato per un arco
temporale liberamente determinato a norma degli art. 7 ter, 4°
comma, e 7 sexies, 1° comma.
Va detto peraltro che l'ingiustificata disparità di trattamento
pare ravvisabile in prospettiva diametralmente opposta anche
nell'ipotesi in cui, in presenza delle stesse condizioni di fatto
e di diritto, al cittadino italiano venga applicata la misura della
custodia cautelare in carcere mentre a quello straniero — su
richiesta del p.m. — la misura custodiale venga sostituita con
quella dell'espulsione ex art. 7 ter che potrebbe in ipotesi ga
rantire, secondo quanto richiesto dalla norma, la soddisfazione
delle esigenze cautelari del caso, ma che presenta palesemente un'intensità coercitiva di tutt'altro peso rispetto a quella di cui
all'art. 285 c.p.p. Va detto peraltro che la riconducibilità dell'espulsione disci
plinata dall'art. 7 ter nell'ambito delle misure cautelari potreb be ritenersi dubbia in relazione alla possibilità che essa venga
disposta su richiesta anche dell'interessato o del suo difensore — in contrasto con il disposto dell'art. 291 c.p.p. — salvo indi
viduare in tale fattispecie, già presente come detto nella norma tiva previgente, un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione di una
misura cautelare custodiale, come affermato dalla Corte costi
tuzionale con la sentenza 62/94 (Foro it., Rep. 1994, voce Stra
niero, n. 11). Del resto il differente inquadramento dell'istituto in esame
tra le ipotesi di applicazione provvisoria di una misura di sicu rezza personale, oltre a non sottrarsi ad eventi motivi di contra
sto con i principi costituzionali — in particolare la mancata
previsione nel procedimento applicativo delineato dall'art. 7 ter
della necessità di accertare l'effettiva pericolosità sociale dello
straniero di cui è richiesta l'espulsione in violazione del princi pio generale dettato dall'art. 31 1. 663/86 e recentemente ribadi to dalla Corte costituzionale (sent. 58/95, id., 1995, I, 1757) — si scontrerebbe con l'analoga censura dell'illogicità ed inam
missibilità (art. 312 c.p.p.) dell'applicazione di una misura di sicurezza su richiesta proveniente dall'interessato o dal suo di
fensore.
La possibilità poi — a fronte come detto di una situazione di mero arresto in flagranza al quale, in difetto di applicazione delle misure cautelari di cui agli art. 280 ss. c.p.p., dovrebbe
seguire l'immediata liberazione — che il cittadino straniero, ma
gari del tutto incensurato non essendovi come detto limiti di
sorta nella norma, possa essere su richiesta del p.m. — al primo contatto con il «circuito penale» — radicalmente allontanato
per un tempo indeterminato dal nostro Stato ai sensi del 1°
comma dell'art. 7 ter, appare in contrasto con quei doveri di
solidarietà sociale — da esplicarsi in primo luogo nei confronti
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GIURISPRUDENZA PENALE
dei soggetti deboli — cui la nostra repubblica è chiamata in
forza del dettato costituzionale (art. 2 Cost.). Il contrasto risulta poi ancor più netto ove si osservi che de
stinatario del provvedimento di espulsione, ai sensi dell'art. 7 ter
in relazione all'art. 7 sexies, 9° comma, può essere anche lo
straniero regolarmente residente nel nostro Stato, se da un tem
po inferiore a cinque anni, ovvero convivente con cittadini ita
liani diversi dai parenti entro il quarto grado, senza quindi rile
vanza alcuna di eventuali vincoli di coniugio o affinità, e per
tanto un soggetto che nel nostro Stato può aver instaurato
situazioni o rapporti di carattere personale, sociale o lavorativo
anche di notevole rilevanza: ebbene in tali ipotesi la possibilità di immediata espulsione su richiesta del p.m. sembra rappresen
tare un vulnus rispetto al principio dell'inviolabilità dei diritti dell'individuo — sia come singolo che nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità — non proporzionato rispetto
alla situazione presupposta dall'art. 7 ter, 1° comma, nella qua
le come detto il giudice si trova in presenza di una mera notizia
di reato, sia pure corredata da determinati caratteri, ma che
comunque prescinde dall'effettivo accertamento della penale re
sponsabilità realizzabile solo attraverso la formazione della sen
tenza di condanna divenuta irrevocabile (art. 27 Cost.).
2) Violazione dell'art. 24 Cost. La regolamentazione dell'e
spulsione a richiesta di parte dettata dal censurato art. 7 ter
appare altresì in contrasto con l'inviolabilità del diritto di dife sa, nell'ipotesi in cui la richiesta di espulsione provenga dal p.m.,
sotto due profili: da un lato la norma, nell'omettere di indicare
qualunque presupposto — di fatto o di diritto — al di là della
mera condizione di cittadino straniero arrestato in flagranza o
sottoposto a custodia cautelare, per l'emanazione del provvedi mento di espulsione (cui deve come detto riconoscersi natura
di ordinanza applicativa di una misura cautelare), preclude di
fatto sul punto all'imputato l'esercizio di qualunque diritto di
difesa rispetto all'adozione di un provvedimento i cui effetti
limitativi sulla libertà personale dell'imputato sono di piena
evidenza. Ancora in contrasto con il dettato dell'art. 24 Cost, appare
l'ipotesi dell'espulsione su richiesta del p.m. nell'ipotesi in cui nei confronti del cittadino straniero arrestato in flagranza si
proceda poi immediatamente al giudizio a norma dell'art. 566,
6° comma, c.p.p.: in tale ipotesi infatti il provvedimento di
espulsione — disposto a norma dell'art. 7 ter, 1° comma —
dovrebbe ricevere esecuzione ai sensi dell'art. 7 sexies mediante
accompagnamento immediato alla frontiera, ed in tale circo
stanza la previsione (art. 7 sexies, 11° comma) della possibilità
di chiedere ed ottenere un'autorizzazione a rientrare in Italia
onde partecipare al processo, risulterebbe di fatto vanificata dalla
celebrazione immediata di un dibattimento al quale al cittadino
straniero espulso sarebbe di fatto preclusa la partecipazione, con
conseguente palese ed incisiva violazione dei diritti difensivi, tra i quali quelli di avanzare richiesta dei c.d. riti alternativi.
Né può ipotizzarsi che il diritto dell'arrestato cittadino stra
niero di partecipare, se lo desideri, al proprio processo possa
venire realizzato mediante rigetto della richiesta di espulsione avanzata dal p.m. per le «inderogabili esigenze processuali» pre
viste dal 1° comma dell'art. 7 ter, posto che altrimenti la nor
ma avrebbe potuto più chiaramente prevedere, per il cittadino
straniero arrestato in flagranza e quindi espulso su richiesta del
p.m., la possibilità di chiedere il differimento della decisione o quanto meno dell'esecuzione dell'ordinanza di espulsione sino
alla conclusione del giudizio direttissimo.
Viceversa, la norma nell'attuale formulazione testuale — «in
derogabili esigenze processuali» — appare riferita alla necessità
di assicurare la presenza dell'imputato cittadino straniero rispetto
allo svolgimento di atti processuali (quali un confronto o una
ricognizione personale) irrealizzabili in sua assenza e che per tanto si pongono come ostative rispetto all'emissione dell'ordi
nanza di espulsione.
3) Violazione degli art. 25 e 77 Cost. Il principio di riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.) possiede, quale primo
e fondamentale significato, quello secondo cui le scelte di poli
tica criminale sono monopolio esclusivo del parlamento mentre
l'ammissibilità di nuove norme di diritto penale introdotte at
traverso decreti legislativi o decreti legge è connessa alla circo
stanza che sia comunque assicurato l'intervento del parlamento
Il Foro Italiano — 1996.
in posizione sovraordinata, ora quale organo delegante ora quale
organo cui è rimesso il potere di conferire stabilità e durevolez
za, attraverso la legge di conversione, a disposizioni normative
precarie, soggette a decadenza in caso di inutile decorso del ter
mine di sessanta giorni dettato dall'art. 77 Cost, ed emanate
dal governo in casi straordinari di necessità ed urgenza tali da
non consentire la normale legiferazione in via ordinaria del par lamento.
Deve inoltre osservarsi come recentemente la Corte costitu
zionale (sent. 29/95) abbia rivendicato a sé il potere di valutare
l'esistenza dei presupposti di necessità ed urgenza richiesti dal
l'art. 77 Cost, per l'emanazione di decreti legge da parte dell'e
secutivo, affermando che «. . . la pre-esistenza di una situazio
ne di fatto comportante la necessità ed urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il de
creto legge, costituisce un requisito di validità costituzionale del
l'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente
mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legit timità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di
fuori dell'ambito delle possibilità applicative costituzionalmente
previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di
conversione . . .».
Rispetto ora al d.l. 18 novembre 1995 n. 489 può osservarsi
come nel preambolo venga «ritenuta la straordinaria necessità
ed urgenza di adeguare in termini più razionali la normativa
in tema di immigrazione nel territorio dello Stato da parte di
cittadini di paesi non appartenenti all'Unione europea al fine
di renderne più efficace l'operatività»: non manifestamente in
fondata risulta pertanto la questione relativa alla effettiva sussi
stenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza rispetto alla mera esigenza di razionalizzazione di normativa già da tem
po esistente (in particolare d.l. 30 dicembre 1989 n. 416 conver
tito nella 1. 28 febbraio 1990 n. 39) in relazione ad un fenome
no sociale come quello dell'immigrazione extracomunitaria che,
anche nei suoi aspetti per cosi dire «patologici», appare ormai
stabilmente presente nella fisionomia del nostro Stato ed in re
lazione al quale non appaiono essersi realizzati in tempi recenti
modifiche od evoluzioni di portata talmente straordinaria da
richiedere un intervento legislativo immediato nelle forme e con
gli effetti di cui all'art. 77 Cost., soprattutto in relazione all'in
troduzione di quelle norme aventi immediata rilevanza penale — sono tra l'altro previste diverse nuove fattispecie delittuose — per le quali quindi, in eventuale assenza di effettive circo
stanze straordinarie, la decretazione d'urgenza appare incompa
tibile con l'elevatezza dei valori in gioco, anche in relazione
al rischio di formulazioni prive di quei caratteri di chiarezza ed assoluta determinatezza sottesi al principio di riserva di legge
in materia penale consacrato dall'art. 25 Cost.
Per questi motivi, visto l'art. 23 1. 9 febbraio 1948 n. 1, di
chiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di costituzionalità del d.l. 18 novembre 1995 n. 489 ed in parti colare dell'art. 7 ter d.l. 416/89 come introdotto dall'art. 7 d.l.
489/95, in relazione agli art. 2, 3, 24, 25 e 77 Cost. (Omissis)
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