ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n.61); Pres. La Pergola, Rel. Borzellino; Brevaglieri c. Min. poste e telecomunicazioni; interv.Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Roma 14 dicembre 1983 (G.U. n. 131 bis del 1985)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1011/1012-1029/1030Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179870 .
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PARTE PRIMA 1012
Diritto. - Nel presente giudizio sono oggetto di censura le di
sposizioni degli art. 1, 3 e 7 1. 10 dicembre 1975 n. 724, in riferi
mento all'art. 11 Cost, (nell'ordinanza è citato, senza però specifica
motivazione, anche l'art. 3 Cost.). Al riguardo va preliminar mente osservato che la denuncia concerne le previsioni del tratta
to di Roma del 25 marzo 1957, istitutivo della Comunità economica
europea, ritenendosi dal giudice a quo che le norme censurate
violino non già puntuali regolamenti o norme comunitarie, bensì
direttamente un principio fondamentale — nella specie, ricavabi
le, in particolare, dagli art. 12, 37 e 95 del trattato stesso —
che della Comunità economica europea informerebbe l'intero as
setto: e cioè il principio secondo cui compito principale della Co
munità è quello di promuovere, mediante l'instaurazione di un
mercato comune ed il graduale avvicinamento delle politiche de
gli Stati aderenti, lo sviluppo armonioso dell'attività economica
nell'ambito coperto dal trattato ora citato. Conseguentemente, in conformità alla precedente giurisprudenza (cfr. sent. 8 giugno
1984, n. 170 Foro it., 1984, I, 2062 e ord. 22 febbraio 1985, n. 47, id., 1985, I, 433 e 20 marzo 1985, n. 81 ibid., 1604), la corte ritiene di doversi occupare delle due questioni sottoposte al suo esame.
Nel merito si osserva che le anzidette questioni hanno un pre
supposto comune e cioè che la «sovrimposta di confine» di cui
all'impugnato art. 3 1. n. 724 del 1975 sia un dazio doganale, vietato dal trattato.
Tale presupposto è però palesemente infondato, in quanto la
detta sovrimposta corrisponde esattamente («è pari», dice il cit.
art. 3) all'imposta di consumo gravante sui tabacchi di produzio ne nazionale (cfr. art. 2 1. 13 luglio 1965 n. 825 nonché la 1.
7 marzo 1985 n. 76) ed ha lo scopo di uniformare al trattamento
fiscale di questi ultimi quello dei tabacchi di produzione CEE, evitando così una diversità di trattamento. Ciò trova precisa con
ferma nel fatto che la stessa imposta colpisce anche i tabacchi
provenienti da paesi non appartenenti alla CEE (art. 1 1. n. 825
del 1965), ma rispetto a tali paesi essa si aggiunge ai dazi dogana li eventualmente dovuti (art. 2, 2° comma, statuto lavoratori).
La violazione dell'invocato principio del trattato non sussiste
e risulta perciò inconferente il richiamo ai parametri costituzio
nali che si assumono lesi.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale degli art. 1, 3 e 7 1. 10
dicembre 1975 n. 724, sollevate in riferimento agli art. 3 e 11
Cost, dalla Corte d'appello di Napoli con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
ex art. 41 e 43 Cost., in relazione al regime monopolistico vigente per la commercializzazione dei tabacchi esteri, da Corte cost., ord. 7 marzo
1984, n. 59, id., Rep. 1985, voce cit., n. 36; ord. 16 marzo 1983, n.
62, id., 1983, I, 258, con nota di richiami, cui si rinvia per ulteriori riferi menti sul tema del rapporto tra monopolio nazionale e disciplina comu nitaria.
Per la giurisprudenza comunitaria sul tema dei monopoli nazionali in tema di tabacchi e sul rispetto della normativa comunitaria in argomento v. da ultimo Corte giust. CE 5 aprile 1984, cause 177 e 178/82, id., 1985, IV, 165, con nota di richiami; nonché 21 giugno 1983, causa 90/82 e 7 giugno 1983, causa 78/82, id., 1984, IV, 1, con nota di richiami.
I
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 dicembre 1986, n.
61); Pres. La Pergola, Rei. Borzellino; Brevaglieri c. Min.
poste e telecomunicazioni; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Roma 14 dicembre 1983 (G.U. n. 131 bis del 1985).
Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata
contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra zione postale — Limiti — Questione di costituzionalità — Re
stituzione degli atti per insufficiente motivazione sulla rilevanza
(Cost., art. 3, 28; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u. delle dispo
II Foro Italiano — 1987.
sizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di teleco
municazioni, art. 6, 28, 48, 91, 93, 96).
Deve ordinarsi la restituzione degli atti al giudice a quo per insuf
ficiente motivazione sulla rilevanza, nel caso in cui tale giudice — rimettendo alla corte la questione di legittimità costituziona
le degli art. 6, 28, 48 e 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, circa
i limiti di responsabilità dell'amministrazione postale per il man
cato recapito di raccomandata contenente vaglia cambiario in
cui siano stati commutati titoli di spesa dello Stato, in riferi mento agli art. 3 e 28 Cost. — abbia omesso di prendere in
esame l'eccezione di decadenza dedotta dal convenuto ai sensi
degli art. 91 e 96 del decreto stesso. (1)
II
CORTE D'APPELLO DI ROMA; ordinanza 30 giugno 1986; Pres. Pacifico, Rei. Savignano; Banca d'Italia (Aw. Puccio
ni, Ferrara) c. Losito (Avv. Maida) e Min. poste e telecomu
nicazioni.
Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata
contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra
zione postale — Limiti — Questione non manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 28; d.p.r. 29 marzo
1973 n. 156, art. 6, 28, 48, 93).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale degli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, nella parte in cui esonerano l'amministrazione postale da qual siasi forma di responsabilità, ad eccezione dell'indennità previ sta dall'art. 28 — pari a dieci volte i diritti di raccomandazione — per il caso di mancato recapito della raccomandata prevista dalla legge come mezzo di trasmissione del vaglia cambiario
in cui siano stati commutati titoli di spesa dello Stato, in riferi mento agli art. 3 e 28 Cost. (2)
III
TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 31 dicembre 1985; Pres. Ar
girò, Rei. Mazzacane; Vulpiani (Avv. Poscia) c. Banca d'Ita
lia (Aw. Puccioni, Ferrara) e Min. poste e telecomunicazioni.
Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata
contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra
zione postale — Limiti — Questione non manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 28, 113; d.p.r. 29 marzo
1973 n. 156, art. 6, 28, 48, 93).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale degli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, nella parte in cui esonerano l'amministrazione postale da qual siasi forma di responsabilità, ad eccezione dell'indennità previ sta dall'art. 28 — pari a dieci volte i diritti di raccomandazione — per il caso di mancato recapito della raccomandata prevista dalla legge come mezzo di trasmissione del vaglia cambiario
in cui siano stati commutati titoli di spesa dello Stato, in riferi mento agli art. 3, 28 e 113 Cost. (3)
(1-6) I. - La Corte costituzionale ordina dunque per la seconda volta la restituzione degli atti al giudice a quo per insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale (cfr., da ulti
mo, la nota di richiami a Corte cost. n. 238/86, che segue). Investita della medesima questione, infatti, due anni e mezzo prima, la corte aveva anche in quel caso rinviato gli atti al giudice a quo (sent. 11 luglio 1984, n. 190, Foro it., 1984, I, 2688); l'unica differenza è che allora la corte ordinò con sentenza la restituzione degli atti, mentre ora lo fa con ordi nanza (il che sembra tecnicamente più corretto, anche se un'autorevole tesi dottrinale afferma che le decisioni di restituzione degli atti — non
previste dalla legge ed aventi carattere di discrezionalità — non costitui scono altro che una diversa forma per pronunciare l'inammissibilità di una questione incidentale non ritualmente sollevata: cfr. A. M. Sandul
ii, Il giudizio sulle leggi, Milano, 1967, 9 s., n. 6; Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1974, II, 2, 135 ss).
L'errore dei giudici di rinvio sarebbe poi sempre lo stesso: il non aver
preso in esame con la dovuta attenzione, nella parte motiva dell'ordinan
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
IV
TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 31 dicembre 1985; Pres. Gre
co, Rei. Izzo; Banca d'Italia (Avv. Ferrari, Lorenti, Casa)
c. Min. poste e telecomunicazioni.
Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata
contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra
zione postale — Limiti — Questione non manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 28, 113; d.p.r. 29 marzo
1973 n. 156, art. 6, 20, 48, 91, 93, 96).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale degli art. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96 d.p.r. 29 marzo
1973 n. 156, nella parte in cui esonerano l'amministrazione po
stale da qualsiasi forma di responsabilità, ad eccezione dell'in
dennità prevista dall'art. 28 — pari a dieci volte i diritti di
raccomandazione — per il caso di mancato recapito della rac
comandata prevista dalla legge come mezzo di trasmissione del
vaglia cambiario in cui siano stati commutati titoli di spesa
dello Stato, in riferimento agli art. 3, 28 e 113 Cost. (4)
V
PRETURA DI ROMA; sentenza 3 settembre 1986; Giud. Pivet
ti; Spaccatrosi (Aw. Vitale) c. I.n.a.i.l. (Aw. Di Benedetto)
e Credito italiano (Avv. Tornabuoni).
Titoli di credito — Assegno circolare — Clausola di non trasferi
bilità — Pagamento a persona diversa dal prenditore — Effetti
(R.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, disposizioni sull'assegno ban
cario, art. 43).
Nell'ipotesi di pagamento di assegno circolare non trasferibile a
persona diversa da! prenditore o banchiere giratario per l'in
casso la banca risponde del pagamento nei confronti del ri
chiedente. (5)
VI
CONCILIATORE DI ROMA; sentenza 31 maggio 1986; Giud.
Fioramonti; Massimiliani (Aw. Flammia) c. I.n.a.i.l. (Aw. Me
rola) e Credito italiano (Avv. Tornabuoni).
Titoli di credito — Assegno circolare — Clausola di non trasferi
bilità — Effetti (R.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, art. 43).
In presenza della clausola di non trasferibilità la banca trattoria
che paghi l'assegno incorre in responsabilità anche per colpa
lieve, nel caso di errore nell'identificazione del prenditore. (6)
za di rimessione, l'eccezione preliminare di decadenza sollevata dal mini
stero delle poste, ai sensi degli art. 91 e 96, lett. f), d.p.r. 156/73 (chi
voglia rendersi conto della fondatezza di tali rilievi può leggere la motiva
zione di una delle ordinanze di rimessione, Trib. Roma 22 febbraio 1982,
in Foro it., 1982, I, 1408). In effetti l'art. 91 d.p.r. 156/73 prevede che i reclami per le corrispon
denze raccomandate ed assicurate e per i pacchi debbano essere presentati entro sei mesi dalla data di impostazione. L'art. 96 poi (alla lett. f) ag
giunge che l'amministrazione è liberata da ogni responsabilità se l'emit
tente non presenta reclamo nei termini previsti dall'art. 91. Infine, ai
sensi dell'art. 20 del medesimo decreto, l'azione giudiziaria contro l'am
ministrazione postale non è proponibile se prima non è stato presentato
reclamo in via amministrativa. Forse i giudici hanno veramente errato nel valutare gli estremi di «rile
vanza» della questione di costituzionalità; sta di fatto comunque che il
problema esiste ed è molto sentito (per i suoi riflessi sulla stampa quoti diana v. ad es. Il Messaggero del 18 dicembre 1986, 4 gennaio 1987,
22 febbraio 1987; per altre considerazioni, cfr. // Sole-24 Ore del 26 gen
naio 1987). Il sistema della spedizione di assegni (per solito circolari e muniti di
clausola di non trasferibilità; più spesso vaglia cambiari della Banca d'I
talia) a mezzo posta non tutela infatti in modo adeguato il destinatario.
Esso è così concepito: a) art. 83 d.p.r. 156/73: a mezzo raccomandata
può esser spedita qualsiasi cosa, eccetto preziosi e carte valori esigibili
al portatore; b) art. 6 d.p.r. 156/73: l'amministrazione delle poste, se
non nei casi e con i limiti espressamente previsti dalla legge, «non incon
tra alcuna responsabilità per i servizi postali»; c) art. 28 e 48 (che rinvia
no alla tabella 3, n. 1, d.p.r. 718/76): in caso di perdita totale di una
raccomandata l'indennità dovuta dall'amministrazione postale è pari a
dieci volte i diritti di raccomandazione; d) art. 93 d.p.r. 156/73: fatta salva
Il Foro Italiano — 1987.
I
Ritenuto che con ordinanza emessa il 14 dicembre 1983 (perve
nuta il 18 gennaio 1985) nel procedimento civile vertente tra Bre
vaglieri Anna Maria e il ministero delle poste e telecomunicazioni
il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costitu
zionale degli art. 6, 28, 48 e 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156
(testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui limitano
al solo pagamento dell'indennità di cui all'art. 28 t.u. la respon
l'indennità testé indicata, l'amministrazione postale non è tenuta ad alcu
na altra forma di risarcimento, per il caso di perdita, manomissione o
avaria di quanto ad essa affidato; e) art. 1 d.p.r. 25 gennaio 1962 n.
71: i titoli di spesa dello Stato possono essere estinti mediante commuta
zione in vaglia cambiario della Banca d'Italia «non trasferibile» «a favo
re della persona del creditore»; f) art. 2 d.p.r. 71/62: tali vaglia sono
inviati al creditore in piego raccomandato, se si tratta di importi superiori a lire 100.000; g) art. unico 1. 23 ottobre 1962 n. 1575: la commutazione
dei titoli di spesa dello Stato di cui all'art. 1 d.p.r. 71/62 si attua in
tutti i casi in cui i creditori non abbiano espressamente richiesto il paga mento in contanti o in una delle forme agevolative previste dallo stesso
art. 1. (Le disposizioni sub e e sub /erano in vigore quando sono insorte
le controversie di cui ai provvedimenti in epigrafe; attualmente sono mu
tate nel modo che si vedrà). Sono evidenti i rischi connessi con questo sistema di spedizione di asse
gni e vaglia, cui è correlata l'estinzione del titolo di spesa.
Infatti, laddove la raccomandata non raggiunga il destinatario per una
qualsiasi ragione, questi ha soltanto la possibilità di rivalersi verso l'am
ministrazione postale, ottenendo un indennizzo che al massimo può rag
giungere le 20.000 lire (l'operazione è facile: si tratta di moltiplicare per dieci i diritti di raccomandazione).
Ove si consideri che, per disposizione dell'art. 1 1. 31 maggio 1977
n. 247, i rimborsi delle somme corrisposte in eccesso alla tesoreria dello
Stato a titolo di i.r.p.e.f. avvengono nei modi innanzi delineati (spedizio ne per raccomandata di vaglia cambiario al contribuente), si comprende facilmente come sia del tutto irrisorio l'indennizzo che il contribuente
medesimo può ottenere, per il caso di perdita del plico raccomandato.
Il Tribunale di Roma ha sempre prestato particolare attenzione a que sti problemi; «attenzione» che altre volte ha condotto i giudici romani
ad un'interpretazione restrittiva dell'art. 43 legge assegni, affermando la
non liberatorietà del pagamento effettuato dalla banca trassata a persona diversa dal prenditore, indipendentemente dalla diligenza impiegata nel
l'identificazione del presentatore (tesi questa che, come noto, contrasta
in pieno con la lettura della norma offerta dalla consolidata giurispru denza della Corte di cassazione). In questo modo, infatti, si è ritenuto
di poter dare «indiretta» tutela — per vero a spese delle banche — ai
destinatari degli assegni non trasferibili, spediti a mezzo raccomandata
e mai arrivati a destinazione, perché sottratti in itinere da terzi e poi riscossi grazie a falsi documenti di identità.
Pur potendosi avanzare molti dubbi circa la legittimità di una interpre tazione cosi rigidamente letterale dell'art. 43 l.a. (cfr. da ultimo R. Le
ner, Assegno non trasferibile e ipotesi di pagamento a persona diversa
dal prenditore, in Foro it., 1986, I, 2891), va detto comunque che la
preoccupazione del tribunale romano non può non essere condivisa.
È da sperare che questa volta la Consulta ritenga sufficiente la motiva
zione in punto di rilevanza. Per non sbagliare, comunque, il quarto dei
provvedimenti in epigrafe (Trib. Roma 31 dicembre 1985) solleva la que stione di legittimità anche per gli art. 20, 91 e 96 d.p.r. 156, su cui si
fondano — come si è visto — le eccezioni di decadenza del ministero
delle poste. Va detto, infine, che qualcosa è cambiato negli ultimi anni nel sistema
di spedizione degli assegni (o vaglia), pur se tutto è rimasto immutato
per i rimborsi dell'i.r.p.e.f., che costituiscono certamente il momento di
maggior rilevanza del problema. Infatti il d.p.r. 10 febbraio 1984 n. 21 (modalità agevolative per la
riscossione dei titoli di spesa dello Stato) — innovando alla disciplina
del 1962, in precedenza osservata — prevede ora, all'art. 1, lett. c), l'e
stinzione del titolo di spesa mediante commutazione in vaglia cambiario
della Banca d'Italia non trasferibile, a favore del creditore, da spedirsi
al beneficiario in piego postale assicurato, salva diversa richiesta del cre
ditore, con spesa a carico del destinatario. In tal modo la «assicurata»
si sostituisce alla «raccomandata»: maggiori oneri postali ma anche mag
gior sicurezza.
Sulla stessa linea anche la nota n. 77624 del 10 luglio 1981 inviata
dal ministero del tesoro alla Banca d'Italia e riguardante i vaglia cambiari
non trasferibili emessi a fronte dell'estinzione dei titoli di spesa relativi
all'indennità di buonuscita E.n.p.a.s. Si prevede infatti che questi vaglia
siano recapitati «per assicurata», in quanto «forma di spedizione assog
gettata a controlli più rigorosi». In tal caso è comunque l'E.n.p.a.s. ad
assumersi le spese relative alla spedizione. II. - Si aggiungono a questa breve rassegna due provvedimenti del Pre
tore di Roma e del Conciliatore di Roma, che si segnalano per due ragio
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1015 PARTE PRIMA 1016
sabilità del ministero delle poste e telecomunicazioni, per i danni
causati dal mancato recapito di raccomandate con le quali siano
stati spediti vaglia cambiari, in riferimento agli art. 3 e 28 Cost.; che l'intervenuta avvocatura generale dello Stato, per il presi
dente del consiglio dei ministri, ha in primo luogo rilevato che
il collegio rimettente ha omesso di prendere in esame, nel giudi zio a quo, la preliminare «eccezione di decadenza» dedotta dal
convenuto ministero delle poste e telecomunicazioni, secondo il
quale il termine di sei mesi, previsto dagli art. 91 e 96, lett. f),
d.p.r. n. 156 del 1973 «per l'esperibilità dell'azione», sarebbe sta
to inutilmente lasciato decorrere dalla Brevaglieri. Considerato che si rende necessario che il giudice a quo integri,
in merito alla suddetta eccezione, la propria delibazione sulla ri
levanza, giacché la sollevata questione rimarrebbe priva di con
creta incidenza nel caso di accertamento della improponibilità
dell'azione; che pertanto (come già provveduto in analoga fattispecie con
sentenza n. 190 del 1984, Foro it., 1984, I, 2688) vanno restituiti
gli atti al tribunale rimettente.
Per questi motivi, la Corte costituzionale ordina la restituzione
degli atti al Tribunale di Roma.
II
(Omissis). A sostegno della sua tesi di merito l'amministrazio
ne appellata ha invocato gli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 156/73, in
forza dei quali, ferma essendo la generale esclusione di responsa bilità prevista dall'art. 6, essa amministrazione è tenuta, in caso
di perdita totale di corrispondenza raccomandata, al solo paga mento di un'indennità pari a dieci volte il diritto di raccomanda
zione (tab. 3, n. 1, d.p.r. 718/76 cui rinviano gli art. 28 e 48
d.p.r. 156/73), con esclusione di ogni forma di «risarcimento»
(art. 93 d.p.r. 156/73). 2. - L'eccezione di improponibilità della domanda, in quanto
non sarebbe stato inoltrato reclamo all'amministrazione delle po ste ai sensi dell'art. 20 d.p.r. n. 156/73, può ritenersi superata a seguito delle precisazioni dell'appellata che ha riconosciuto va
lido come «reclamo» la lettera raccomandata del 23 aprile 1980
prodotta dall'istituto appellante, con la quale questo la informò
della perdita, fra le altre, della raccomandata spedita alla Losito
in data 11 gennaio 1980; e, ciò, all'evidente scopo di sollecitare
un provvedimento dell'amministrazione ai sensi dell'art. 20 cita
to, i cui effetti, come quelli relativi alla proposizione del reclamo
da parte di uno solo degli interessati — stante la oggettiva unicità
del rapporto scaturito dall'evento di danno — erano estensibili
alla Losito, destinataria del plico raccomandato.
Una volta accertata la proponibilità della domanda e, sotto
tale profilo, la rilevanza della questione di legittimità costituzio
nale, non può sollevarsi di ufficio la stessa questione per la nor
ma appena citata che subordina l'esperimento dell'azione davanti
al giudice (e, quindi, l'accertamento della responsabilità dell'am
ministrazione) alla previa presentazione del reclamo: essendo, in
vero, incontroverso che, in concreto, il reclamo è stato presentato, la questione di costituzionalità concernente il disposto dell'art.
20 (con riferimento all'art. 24 Cost.) non avrebbe alcuna inciden
za nel giudizio in corso.
Il dubbio di costituzionalità, per quanto fin qui detto, non ri
guarda solo l'art. 6 d.p.r. 156/73, in ordine al quale l'appellante
principale denuncia il contrasto con l'art. 28 Cost., ma investe
anche le altre norme invocate dall'amministrazione postale (art.
28, 48 e 93 del d.p.r. 156/73) a sostegno del suo assunto circa
la esclusione o la limitazione della responsabilità; norme, tutte, che sono decisive ai fini della definizione del giudizio.
ni: a) perché dimostrano che il problema esiste anche per i pagamenti dell'E.n.p.a.s. e dell'I.n.a.i.l., in quanto anch'essi avvengono con le mo dalità in precedenza osservate; b) perché trovano la soluzione del proble ma — come altre volte il Tribunale di Roma (ma deve rammentarsi che la tesi è assolutamente minoritaria e contraria ad una giurisprudenza or mai consolidata della Corte di cassazione, risalente al 1968) — in una
interpretazione «rigida» dell'art. 43 l.a. In particolare il Conciliatore di
Roma, ritenendo la banca trattaria responsabile anche per colpa lieve nel pagamento, più che ad una interpretazione veramente «letterale» del l'art. 43 l.a., quale quella fatta propria dal Tribunale romano, sembra
riprendere la tesi sostenuta da Martorano, Pagamento di un assegno non trasferibile, in AA.VV., I titoli di credito, a cura di Pellizzi, Mila
no, 1980, 375. [R. Lener]
Il Foro Italiano — 1987.
Non può essere condivisa — ancora in tema di rilevanza della
questione di legittimità costituzionale — l'argomentazione addot
ta dalla banca appellante a sostegno della domanda principale di condanna dell'amministrazione postale.
Afferma la Banca d'Italia che sarebbero inapplicabili le norme
di esenzione di responsabilità per il fatto che l'amministrazione
sarebbe tenuta a rispondere in forza di un titolo specifico costi
tuito dall'illecito dei suoi dipendenti. Senza considerare che l'illecito, nel caso, è solo ipotizzabile
ma non dimostrabile sulla base di precisi elementi probatori (per
cui, l'affermazione al riguardo, contenuta nella sentenza impu
gnata non costituisce premessa logico-giuridica della decisione), è certo che la esclusione o limitazione di responsabilità espressa in termini assoluti ed incondizionati nelle norme in discussione
non consente deroghe di sorta; per cui, al sistema generale di
estensione della responsabilità allo Stato od all'ente pubblico o,
infine, al soggetto in genere dal quale l'autore dell'illecito dipen de (art. 28 Cost, e 2049 c.c.) si contrappongono le norme speciali in esame, volte ad escludere, a qualsiasi titolo (e, cioè, secondo
l'art. 93, anche per il caso di «perdita», per qualunque causa
o di «manomissione» — s'intende dolosa — degli oggetti ad essa
affidati), la responsabilità e, dunque, l'obbligo di «risarcimento»
(art. 93 cit.), che postula — è appena il caso di ricordarlo —
la commissione di fatto illecito (art. 2043 c.c.).
Né, su un opposto versante, può superarsi il dubbio di costitu
zionalità che investe le norme in esame seguendo l'orientamento
(v. Cass. 227/76, Foro it., Rep. 1976, voce Responsabilità civile, n. 87; 2107/74, id., Rep. 1974, voce cit., n. 78; 6934/82, id.,
Rep. 1982, voce cit., n. 90; 5333/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 75), secondo il quale sarebbe esclusa del tutto la responsabilità della p.a. in presenza del fatto illecito del dipendente che abbia
agito per fini personali e, per giunta, illeciti. Può al riguardo
rispondersi, ancora una volta, che l'illecito specifico del dipen dente non è stato nel caso in esame dimostrato. Ma, quand'anche ne risultasse acquisita la prova, sarebbe discutibile l'applicazione di tale principio al caso di specie, posto che l'illecito sarebbe sta
to commesso nell'esercizio di compiti assegnati al dipendente, sul
corretto espletamento dei quali sussiste l'obbligo di vigilanza del
la p.a., al fine di evitare che siano lesi diritti di terzi. In ciò,
del resto, va ricercato, tra l'altro, il fondamento logico dell'art.
28 Cost, che prevede l'estensione della responsabilità all'ammini
strazione per gli atti compiuti dai suoi dipendenti in violazione
dei diritti. 3. - La irresponsabilità dell'amministrazione postale per il dis
servizio in genere (art. 6 d.p.r. 156/73) e, dunque, anche per la
perdita, dovuta a qualsiasi causa, degli oggetti ad essa affidati,
postula, in primo luogo, un trattamento ingiustificabilmente spe
requato rispetto ad analoghe attività svolte da altri soggetti: il
vettore, nel comune contratto di trasporto, è responsabile (art. 1693 c.c.) della perdita e dell'avaria delle cose consegnategli «se
non prova»... il «caso fortuito», il quale non è, secondo la co
stante giurisprudenza (Cass. 4461/76, id., Rep. 1976, voce Tras
porto, n. 12; 3268/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25), ravvisabi
le nel semplice furto, occorrendo, invece, che la sottrazione delle
cose trasportate avvenga in modo violento ed in circostanze di
tempo e di luogo non prevedibili. Non deve indurre in errore il fatto che l'art. 96 d.p.r. 156/73
prevede come «dirimente di responsabilità», tra l'altro, il caso
di «forza maggiore».
Questa disposizione solo apparentemente equipara l'ammini
strazione al comune vettore, quanto alla esclusione di responsabi lità per caso fortuito o forza maggiore (le due ipotesi, sotto tale
profilo, si equivalgono, poiché entrambe attengono, ai sensi del
l'art. 1218 c.c., alla «impossibilità della prestazione derivante da
causa... non imputabile»). In realtà l'art. 96 d.p.r. 156/73 va
inteso come norma di chiusura nel senso che, ricorrendo, tra l'al
tro, la causa di forza maggiore, l'amministrazione non risponde
neppure entro i limiti simbolici previsti dagli art. 28 e 48 dello
stesso decreto presidenziale: il che è reso evidente dal disposto dell'art. 93 — al quale, per questo, è esteso il sospetto di incosti
tuzionalità — che, fatte salve le accennate indennità, esclude qual siasi obbligo di risarcimento dell'amministrazione.
Non può il sospetto di incostituzionalità delle norme suddette, sotto il profilo della sperequazione di trattamento del vettore pub blico rispetto a quello privato (art. 3 Cost.), essere superato so
stenendosi come ragionevole tale disparità sulla base delle
caratteristiche dell'amministrazione postale, particolarmente com
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
plessa ed articolata in vari settori: la prestazione del servizio po stale in un ambito contrattuale (v. Cass. 5750/78, id., Rep. 1978, voce Posta, n. 3) non può, invero, portare a ritenere giustificabi le una diversità di trattamento di rapporti che, invece, sotto il
profilo del rispetto dell'equilibrio contrattuale, ne postulano uno
uguale. Se poi si passa ad esaminare il caso specifico della perdita o
della manomissione (anche volontaria) di corrispondenza racco
mandata concernente gli art. 28, 48 e 93 d.p.r. 156/73, il sospet to di incostituzionalità delle norme che prevedono la simbolica
indennità dovuta dall'amministrazione, pari a dieci volte i diritti
di raccomandazione (tab. 3, n 1, d.p.r. 718/76) con esclusione
di ogni forma di «risarcimento», oltre ad interessare, ancora una
volta, il disposto dell'art. 3 Cost, per la diversità di trattamento
rispetto al comune vettore, tenuto, come si è visto, all'integrale risarcimento del danno se non prova, tra l'altro, il caso fortuito, si estende all'art. 28 Cost., in quanto, in contrasto con questa
norma, è grandemente limitata la responsabilità dell'amministra
zione per fatti commessi dai suoi dipendenti in violazione di diritti.
Richiamando il principio contrattuale del rapporto (v. Cass.
5750/78, cit.), questa corte osserva, in relazione al caso sottopo sto al suo esame, che non solo non è vietata la spedizione a mez
zo raccomandata di vaglia cambiari e di altri titoli all'ordine (l'art. 83 d.p.r. 156/73 limita il divieto ai preziosi ed alle carte valori
esigibili al portatore), ma è espressamente previsto che i titoli
di spesa dello Stato possano essere estinti mediante commutazio
ne in vaglia cambiari della Banca d'Italia non trasferibili «a favo
re della persona del creditore» (art. 1 d.p.r. 25 gennaio 1962 n.
71) da inviare al domicilio di quest'ultimo in piego raccomanda
to, se trattasi di importi superiori a lire 100.000 (art. 2 dello stes
so decreto). La 1. 23 ottobre 1962 n. 1575 dilata ulteriormente le indicate
modalità di pagamento ai casi in cui i creditori «non abbiano
espressamente richiesto il pagamento in contante o in una delle
forme agevolative previste dall'art. 1» del presente decreto presi denziale.
Un siffatto sistema di norme è tale da ingenerare ragionevole affidamento nell'utente, quanto alla sicurezza del servizio presta to dall'amministrazione postale; per cui non sembra risolutiva,
contro il sospetto di incostituzionalità delle norme escludenti (o
limitanti) la responsabilità, l'obiezione dell'amministrazione rela
tiva alla concreta possibilità che ha il mittente (Banca d'Italia) di evitare qualsiasi rischio ricorrendo all'assicurazione della corri
spondenza. Mal si concilia, infatti, non solo l'implicito riconosci
mento della congruità dell'uso della raccomandata (art. 83 d.p.r.
156/73) ma, in definitiva, la prescrizione in ordine a questo tipo di servizio (art. citati del d.p.r. n. 71 e della 1. 1575 del 1962)
con la proclamata irresponsabilità dell'amministrazione postale, nonché con l'incidenza del rischio di «perdita» del plico racco
mandato sul mittente, ovvero — per quanto si dirà rispetto al
caso di specie — sul destinatario.
Non è, a questo punto, evitabile il dilemma: o nei confronti
del vettore postale sorgono diritti, in analogia a quanto si verifica
nel comune contratto di trasporto (art. 1689 e 1693 c.c.), in capo al mittente ed al destinatario o, al contrario, nessun diritto è ipo tizzabile a favore di costoro.
Questa seconda soluzione potrebbe trovare il favore di chi con
sidera il rapporto al di fuori della struttura contrattualistica e
contraddistinto, invece, da una impronta pubblicistica con posi zione preminente della p.a.; rapporto nel quale, cioè, la volontà
del privato si esplicherebbe solo come domanda di prestazione di servizio pubblico.
Sarebbe, in ogni caso, ugualmente incomprensibile, nell'ambi
to di questa concezione, il solenne riconoscimento della libertà
ed inviolabilità della corrispondenza (art. 15 Cost.) qualora esso
fosse contraddetto da un implicito disconoscimento di qualsiasi concreto diritto dell'utente che intendesse avvalersi del servizio
di corrispondenza.
Se, invece, in aderenza alla prevalente dottrina e giurispruden
za, il rapporto si configura sulla già accennata base contrattuale
da cui scaturiscono diritti ed obblighi delle parti, si dimostra irra
gionevole che una di esse e, cioè, l'amministrazione, in caso di
violazione di un diritto dell'altra per effetto della «perdita» della
corrispondenza, dovuta oltre che a disservizio, anche a dolo o
colpa grave dei dipendenti, ecc., non sia tenuta a risponderne
mediante risarcimento del danno come, invece, prevede l'art. 28
Cost.
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 1-61.
L'aperta violazione di questa norma si configura: a) nei con
fronti della banca mittente, chiamata a rispondere del danno su
bito dal privato destinatario o, in alternativa, ad accollarsi le spese dell'assicurata (salvo a trasferirle sul destinatario), mentre essa
in osservanza delle norme di legge, sopra richiamate, spedisce
per raccomandata il titolo di credito in cui è stato convertito l'or
dinativo di pagamento al beneficiario; b) nei confronti di que
st'ultimo, qualora, in relazione alle modalità di pagamento del
vaglia spedito dovesse escludersi — contrariamente a quanto rite
nuto nella sentenza impugnata ed in aderenza, invece, al consoli
dato orientamento della Suprema corte (v. sent. 2360/68, id., Rep.
1968, voce Titoli di credito, n. 202; 4525/78, id., Rep. 1978, voce
cit., n. 71; 5118/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 78; 686/83,
id., Rep. 1983, voce cit., n. 95) — la responsabilità della banca.
In più, rispetto al privato destinatario, che, nella specie, ha
esteso la sua domanda contro l'amministrazione — una volta che
fosse esclusa la responsabilità della banca — la soluzione di irre
sponsabilità della prima si dimostrerebbe ancor più irragionevole, sol che si pensi alla più debole posizione del privato che soppor terebbe il peso definitivo della perdita economica, anche nel caso — come quello di specie — in cui non abbia avuto un reale spa zio per interferire, quanto alla commutazione dell'ordinativo di
pagamento in titolo di credito e quanto alle modalità di spedizio ne del titolo, seguite, peraltro, dalla Banca d'Italia in osservanza
di norme di legge.
Ili
Costituendosi in giudizio, il ministero ha replicato affermando
che ogni sua responsabilità alla stregua delle disposizioni vigenti era da escludere posto che, per il combinato disposto di cui agli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156 (d'ora innanzi:
codice postale), in caso di perdita di una raccomandata esso è
tenuto al versamento di una indennità pari a dieci volte l'ammon
tare dei diritti di raccomandazione con esclusione di ogni risarci
mento ulteriore.
3. - La formulazione delle norme appena ricordate rende evi
dente, a giudizio di questo collegio, che con esse il legislatore non si è proposto di delimitare i casi in cui può accordarsi ai
privati un indennizzo per pregiudizi dipesi dall'esercizio di attivi
tà legittima della p.a., ma ha inteso invece circoscrivere entro
confini oltremodo ristretti la responsabilità della p.a. nell'espleta mento del servizio in questione.
Se cosi non fosse l'art. 93 già ricordato riuscirebbe del tutto
incomprensibile. La formulazione di questa disposizione, a diffe
renza di altre che pure in vario modo limitano la responsabilità della p.a. (v. ad es. l'art. 7 r.d. 18 giugno 1931 n. 773), è infatti
estremamente chiara e precisa. In essa, come si è posto già in
rilievo, si stabilisce che il ministero delle poste e telecomunicazio
ni — in caso di perdita, manomissione od avaria di oggetti ad
esso affidati — non è tenuta ad altro risarcimento oltre ad un'in
dennità che, nel caso delle raccomandate, è pari a dieci volte i
diritti di raccomandazione. I termini di «indennità» (o «indenniz
zo») e di «risarcimento» hanno infatti entrambi un significato
tecnico-giuridico ben preciso e profondamente diverso. Con il pri mo si designa soltanto quella forma di ristoro patrimoniale che
costituisce il compenso spettante a chi ha subito iure una perdita economica. Il secondo mira invece ad eliminare le conseguenze dannose di un atto illecito. Ciò posto, poiché è da presumere che i termini siano usati dal legislatore nel significato tecnico
giuridico che è loro proprio, non può non riconoscersi che la
norma in esame esclude ogni responsabilità della p.a. per i pre
giudizi economici derivanti da illeciti commessi nell'espletamento
del servizio.
L'esattezza di questa interpretazione, che è generalmente con
divisa in dottrina e giurisprudenza (Cass. 5 febbraio 1980, n. 801,
Foro it., Rep. 1980, voce Posta, n. 9; 26 novembre 1979, n. 6197,
id., Rep. 1979, voce cit., n. 5; 6 dicembre 1978, n. 5750, id.,
Rep. 1978, voce cit., n. 3), è avvalorata dalla formulazione di
altre disposizioni del codice postale (in particolare, dagli art. 6
e 96) e trova conforto nella tradizione legislativa che è stata sem
pre fondata sul principio dell'irresponsabilità dell'amministrazio
ne nell'espletamento del servizio in questione. È certo pertanto che l'amministrazione delle poste non assume
alcuna responsabilità per il mancato recapito di raccomandate ol
tre i ristretti limiti segnati dal citato art. 93. E questo, come si
dirà in seguito, anche nei casi in cui il ricorso a tale particolare
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1019 PARTE PRIMA 1020
forma di spedizione sia espressamente previsto da una norma di
legge. 4. - La difesa della Banca d'Italia prospetta però il dubbio
che le norme richiamate dal ministero delle poste (art. 6, 20, 28,
48, 91, 93 e 36, in particolare l'art. 6, che contiene l'enunciazione
in via generale del principio di irresponsabilità) siano costituzio
nalmente illegittime per violazione dell'art. 28 Cost.
Tali dubbi sono da condividersi per quanto attiene agli art.
6, 28, 48 e 93, esclusa invece ogni rilevanza per quanto attiene
alle altre norme, che prevedono l'onere del reclamo ed i termini
ed effetti del relativo assolvimento, dato che in nessun caso ne
risulterebbe rimossa l'eccezione sostanziale di limitazione di re
sponsabilità formulata dal ministero chiamato in causa.
La rilevanza dei dubbi formulati discende invece dal fatto che
essi investono norme (segnatamente gli art. 6, 48 e 93 del codice
postale) la cui applicabilità si profila come necessaria ai fini della
definizione del presente giudizio. Ad escludere la sussistenza di
tale requisito non varrebbe osservare, che, qualora si assumesse
che il mancato recapito del plico raccomandato sarebbe dipeso dall'illecita sottrazione di uno dei dipendenti, la irresponsabilità del ministero discenderebbe, prima ancora della norma appena richiamata, dai principi generali in tema di responsabilità della
p.a., i quali escluderebbero la riferibilità allo Stato, e più in ge nerale alle persone giuridiche, pubbliche o private che siano, de
gli atti dei dipendenti mossi da scopi strettamente personali o
comunque estranei ai fini istituzionali dell'ente. 5. - Il problema della responsabilità, contrattuale o extracon
trattuale, delle persone giuridiche per gli atti illeciti dei loro ad
detti è tuttora aperto e non è stato dunque risolto in modo
soddisfacente. Si afferma comunemente che tali enti rispondono a titolo di responsabilità diretta e questo perché ad essi, per il
principio di immedesimazione organica, andrebbero imputati non solo gli effetti ma anche gli atti che tali effetti producono, com
piuti dalle persone fisiche nello svolgimento della loro attività. Muovendo da tale concezione (che ha il torto di essere legata ad una eccessiva materializzazione del fenomeno della persona giuridica) si assume che la riferibilità sarebbe esclusa quando la
persona fisica titolare dell'organo abbia agito con dolo o comun
que per finalità estranee a quelle dell'ente (Cass. 12 luglio 1965, n. 1440, id., Rep. 1965, voce Responsabilità civile, n. 98; 21 giu gno 1974, n. 1835, id., Rep. 1974, voce Impiegato dello Stato, n. 77). Ciò perché l'attività del funzionario per essere direttamen te imputata alla persona giuridica dovrebbe essere rivolta al per seguimento dei fini istituzionali della medesima.
È chiaro però che, cosi' argomentando, si vengono a collocare
gli enti forniti di personalità giuridica in una posizione di singola re vantaggio rispetto agli individui persone fisiche ed alle altre
organizzazioni non personificate.
Questi ultimi infatti rispondono del fatto doloso commesso dai
propri ausiliari nell'esercizio delle proprie incombenze. Mentre,
per quanto si è detto, in detta ipotesi la responsabilità della per sona giuridica dovrebbe essere esclusa.
Ma questa distinzione non ha alcun fondamento in diritto po sitivo. Gli art. 1228 e 2049 c.c. che regolano in via generale la
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per fatto degli au siliari nulla dispongono al riguardo.
E sarebbe vano cercare nel nostro ordinamento una norma o un principio che sancisce tale forma di singolare privilegio per gli enti dotati di personalità. L'opinione criticata costituisce una ulteriore prova delle incongruenze cui può condurre una troppo rigida applicazione del dogma tradizionale della persona giuridi ca, alla stregua del quale l'ente personificato va concepito come un soggetto di diritto assimilabile in tutto alle persone fisiche.
6. - In realtà la normativa concernente le persone giuridiche è sempre risolubile in norme riguardanti relazioni tra uomini. La
soggettività dell'ente personificato non è infatti fine a se stessa, in quanto le situazioni giuridiche soggettive che ad esso sono im
putate sono destinate poi a trasferirsi, attraverso le norme del
l'organizzazione interna, e questa volta definitivamente, in capo ad individui persone fisiche.
Ma se questo e non altro costituisce l'essenza della personalità giuridica, manca ogni valido motivo per ritenere che la responsa bilità civile degli enti personificati debba essere diversamente co struita e, quel che più conta, diversamente disciplinata da quella delle persone fisiche e delle altre organizzazioni sfornite di perso nalità giuridica.
Non vi è quindi motivo per escludere che una persona giuridica
Il Foro Italiano — 1987.
debba rispondere del fatto doloso di un suo addetto quando l'il
lecito sia stato commesso nell'esercizio delle incombenze che al
medesimo sono affidate (Cass. 24 settembre 1977, n. 4069, id.,
1978, I, 436; 23 gennaio 1978, n. 292, id., Rep. 1978, voce Ban
ca, n. 40). L'esattezza di quest'ultima conclusione è ulteriormente avvalo
rata con riferimento allo Stato e agli enti pubblici dalla presenza nel nostro ordinamento dell'art. 28 Cost, il quale, dopo aver af
fermato che i funzionari e i dipendenti pubblici sono direttamen
te responsabili «degli atti compiuti in violazione dei diritti», statuisce «che in tali casi» la responsabilità civile «si estende allo
Stato e agli enti pubblici». La formulazione della norma è tale da escludere ogni discrezio
nalità del legislatore nella disciplina della responsabilità dello Stato e da far ritenere, pertanto, che ove sia responsabile il pubblico
funzionario, ivi debba esserlo anche lo Stato o l'ente pubblico dal quale dipende (Corte cost. n. 2 del 1968, id., 1968, I, 585). E questo in aderenza al canone ermeneutico per il quale nel dub bio deve prevalere quella interpretazione della legge che sia in
armonia e non in contrasto con le norme costituzionali, non può non indurre a superare ogni residua perplessità in ordine alla rife ribilità allo Stato ed agli enti pubblici degli atti illeciti, anche se penalmente rilevanti, dei loro dipendenti.
7. - Pertanto, anche se dovesse accertarsi che il mancato reca
pito del plico raccomandato sia dipeso dal fatto criminoso di uno
degli addetti all'amministrazione delle poste, non per questo ver rebbe meno la rilevanza dei dubbi circa la legittimità costituzio nale delle norme del codice postale che disciplinano (o per meglio dire escludono) la responsabilità della p.a. in caso di mancato
recapito di una raccomandata.
Può così passarsi all'esame della non manifesta infondatezza, tenendo presente che in questa sede l'esame va circoscritto ad una prima sommaria delibazione, essendo riservata ogni più ap profondita verifica circa la sussistenza delle ragioni di incostitu zionalità alla cognizione della Corte costituzionale.
8. - La singolare disciplina in esame (che costituisce un aspetto del più generale principio di irresponsabilità dell'amministrazione
postale) si ricollega storicamente ad un'epoca nella quale il servi zio era concepito come un pubblico privilegio, ma certamente mal si concilia con il principio generale che in uno Stato di diritto lo Stato medesimo, al pari di ogni altro soggetto, non può esi
mersi, in linea di massima, dal rispondere dei danni che arreca ai privati.
9. - Il codice postale non vieta l'inclusione di titoli all'ordine o nominativi nelle corrispondenze raccomandate.
L'art. 83 limita infatti il divieto ai preziosi e alle carte valori
esigibili al portatore. Già questa previsione potrebbe legittimare dei dubbi in ordine alla congruità di una disciplina con la quale lo Stato da un lato acconsente a provvedere al recapito di detti titoli (alcuni dei quali, basti pensare agli assegni circolari, vengo no ormai comunemente accettati come mezzi di pagamento) e dall'altro pretende di sottrarsi ad ogni forma di responsabilità derivante dal loro smarrimento, tale non potendo considerarsi, ovviamente, quella meramente simbolica rappresentata dall'ob
bligo di versare l'indennità prevista dall'art. 28. Le perplessità aumentano ove si consideri che alcune disposi
zioni di legge prevedono espressamente l'invio a mezzo racco mandata di detti titoli. Si tratta, in particolare, di quelle norme le quali dispongono che i titoli di spesa dello Stato siano estinti mediante «commutazione» in vaglia cambiari della Banca d'Italia non trasferibili da rinviare al domicilio del creditore in piego rac comandato se di importo superiore a lire 100.000 (art. 1 e 2 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71, art. unico 1. 23 ottobre 1962 n. 1575, art. 1 1. 31 maggio 1977 n. 247) prevedendo altresì che dal mo mento dell'emissione dei vaglia cambiari il debito dello Stato è estinto.
La commutazione, che in primo tempo (art. 1 d.p.r. n. 71 del
1962) era stata subordinata ad una richiesta scritta del creditore, è stata via via prevista come facoltà degli uffici ordinatori (1. n. 1575 del 1962) e come mezzo di pagamento direttamente previ sto dalla legge (art. 1 1. 31 maggio 1977 n. 247).
10. - Se dette disposizioni vengono collegate con quelle, già esaminate, che sanciscono l'irresponsabilità dell'amministrazione
postale per il mancato recapito delle raccomandate, appare evi dente che si è cosi realizzato un sistema che sottrae lo Stato debi tore ai rischi concernenti il mancato soddisfacimento del creditore.
Il rischio viene cosi ad essere accollato al creditore medesimo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ed alla banca incaricata di emettere il vaglia e di provvedere al
suo pagamento. Sono note al riguardo le dispute, dottrinali e
giurisprudenziali, circa la liberatorietà dei pagamenti di assegni non trasferibili effettuati a persona diversa dal prenditore.
Secondo un orientamento, il pagamento dell'assegno sarebbe
liberatorio per la banca emittente se effettuato senza dolo o colpa
grave.
Questo collegio con reiterate decisioni ha ritenuto di non acco
gliere detta interpretazione sul rilievo che il coordinamento tra
l'art. 1992 c.c. e l'art. 43 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736 consente
di affermare che il pagamento di un assegno non trasferibile non
è mai liberatorio per chi lo effettua (sentenza 7 giugno 1980, Ven
tura c. Banca d'Italia, id., 1980, I, 2016; 10 luglio 1980, Riva
c. Banca d'Italia, id., 1981, I, 275; 26 novembre 1980 Massicci
c. Banca d'Italia, inedita, e altre). Il destinatario viene cosi ad
essere tutelato. Ma è evidente che anche seguendo questa inter
pretazione l'irresponsabilità dell'amministrazione postale non si
giustifica. Riesce difficile comprendere, infatti, perché la banca
incaricata di emettere l'assegno e di spedirlo per raccomandata
in ottemperanza a precise disposizioni di legge, debba poi assu
mersi anche il rischio del mancato recapito del plico al destinatario.
11. - Di qui il dubbio che gli art. 6, 28, 48 e 93 del codice
postale, i quali — nel loro combinato disposto — prevedono che
in caso di perdita di corrispondenza raccomandata l'amministra
zione postale sia tenuta al versamento di una indennità pari a
dieci volte l'ammontare dei diritti di raccomandazione (tabella
3, n. 1, d.p.r. 12 ottobre 1976 n. 718) con esclusione di ogni altra forma di «risarcimento» siano — in relazione a quanto di
sposto dall'art. 2 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71, dall'art, unico
1. 23 ottobre 1962 n. 1575, dall'art. 1 1. 31 maggio 1977 n. 247
sulla commutazione dei titoli di spesa dello Stato in vaglia cam
biari della Banca d'Italia — in contrasto con il principio di vigi lanza davanti alla legge sancito nell'art. 3, 1° comma, Cost.
Detto principio ha ormai assunto il valore di una clausola ge nerale che consente di controllare la legittimità costituzionale del
le leggi e degli atti aventi forza di legge, verificando non solo
che in essi non operino discriminazioni espressamente vietate (e cioè distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opi nioni politiche, ecc.), ma anche la ragionevolezza della disciplina
dettata, da controllare valutando concretamente l'adeguatezza dei
motivi che hanno indotto il legislatore ordinario a differenziare
(o ad equiparare) il trattamento giuridico di determinate situazio
ni. Orbene, anche a voler ammettere che, pur essendo l'ammis
sione al godimento del medesimo strutturato ormai dalla legge come contratto (Cass. 6 dicembre 1978, n. 5750, cit.), le peculia rità del funzionamento e della organizzazione del servizio postale siano tali da giustificare un regime di responsabilità della p.a e
dei suoi concessionari differenziato rispetto a quello stabilito in
via generale dal codice civile, è fortemente dubbio che dette pecu liarità possano far ritenere «ragionevole» l'esonero dell'ammini
strazione postale da ogni responsabilità anche con riferimento al
mancato recapito di raccomandate previste dalla legge come mez
zo di trasmissione di vaglia cambiari nei quali siano stati commu
tati titoli di spesa dello Stato.
In relazione a tale ipotesi, infatti, non potrebbe neppure affer
marsi, che, in definitiva, l'irresponsabilità dall'amministrazione
è fondata sulla accettazione delle modalità del servizio dell'uten
te, essendo quest'ultimo tenuto per legge ad avvalersene. Nulla
sta ad indicare che, nel sistema del codice postale, l'irresponsabi lità dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni costitui
sca il riflesso di quella degli addetti. Se cosi è, non manifestamente
infondato appare altresì il dubbio che gli art. 6, 28, 48 e 93 del
codice postale contrastino — nei limiti sopra precisati — anche
con l'art. 28 Cost., il quale esige che là dove sia responsabile il funzionario o dipendente debba esserlo negli stessi limiti lo Sta
to (Corte cost. n. 2 del 1968 cit.). Se poi dovesse ritenersi che
l'irresponsabilità del ministero delle poste e telecomunicazioni si
estenda anche ai dipendenti, sarebbe allora prospettabile il dub
bio che le norme in esame contrastino — oltre che con l'art.
3, 1° comma, per le ragioni indicate — anche con l'art. 113 Cost.,
che vieta l'esclusione e la limitazione della tutela giurisdizionale
dei diritti nei confronti della p.a.
Invero, pur dovendosi riconoscere che detta disposizione ha una
portata eminentemente processuale appare indubitabile che essa
comporti il divieto, per il legislatore ordinario, di porre norme
Il Foro Italiano — 1987.
limitatrici di responsabilità che sottrarrebbero determinati atti o
comportamenti al sindacato giurisdizionale. (Omissis)
IV
Fatto e diritto. — Con sentenza 6 ottobre - 9 novembre 1982
questo tribunale, in accoglimento della domanda proposta da Ana
nia Morelli Carmela condannava la Banca d'Italia al pagamento della somma di lire 644.115 portata dal vaglia cambiario non tras
feribile, emesso dalla Banca d'Italia - tesoreria provinciale di Mi
lano in pagamento dello stipendio della dipendente del provvedi tore degli studi di Milano (in virtù di provvedimento di
commutazione del titolo di spesa) quindi pagato a persona diver
sa, falsamente qualificatasi per l'Anania presso gli sportelli della
sede centrale della Banca d'Italia in Roma. Avendo la banca chiesto
ed ottenuto di chiamare in garanzia il ministero delle poste e tele
comunicazioni per il mancato recapito del plico postale racco
mandato con cui era stato spedito il vaglia, sull'eccezione del
chiamato d'irresponsabilità dell'amministrazione delle poste e te
lecomunicazioni ai sensi degli art. 6, 28 e 93 d.p.r. 29 marzo
1973 n. 156 (codice postale), questo tribunale con ordinanza in
pari data, disposta la separazione della causa promossa dall'Ana
nia nei confronti della banca da quella instaurata da quest'ultima nei confronti del ministero, dichiarava rilevante e non manifesta
mente infondata la questione della legittimità costituzionale in
riferimento agli art. 3, 28 e 113 Cost, degli articoli invocati dal
ministero nella parte in cui stabiliscono che l'amministrazione delle
poste e telecomunicazioni non è tenuta a nessuna forma di risar
cimento oltre all'indennità prevista dall'art. 28 del codice postale nei casi di mancato recapito di plichi raccomandati.
Trasmessi gli atti relativi alla corte, quest'ultima, con riferi
mento all'eccezione dell'avvocatura dello Stato, intervenuta per il presidente del consiglio dei ministri, di mancata pronuncia sul
la questione della improponibilità, per decadenza, della domanda
avanzata nei suoi confronti dalla banca in difetto dell'esperimen to del previo reclamo in via amministrativa, ordinava la restitu
zione degli atti al giudice di provenienza perché verificasse
pregiudizialmente la proponibilità, osservando che soltanto nell'i
potesi affermativa avrebbero potuto trovare applicazione le nor
me delimitative della responsabilità della p.a. con conseguente incidenza attuale e non meramente eventuale della sollevata que stione di costituzionalità nel procedimento.
Nella prosecuzione del giudizio la banca, deducendo che la rac
comandata era stata spedita dalla filiale di Milano il 21 dicembre
1978 mentre la citazione nel procedimento promosso dall'Anania
le era stata notificata soltanto il 4 dicembre 1980 (cosicché era
venuta a trovarsi nell'impossibilità di proporre il reclamo nel ter
mine di sei mesi dall'impostazione stabilito dall'art. 91 cod. po
stale) e che tempestivamente con la comparsa 17 settembre 1982
essa aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 20, 91, 48 e 96, lett.,/), codice postale reiterava formale ecce
zione di incostituzionalità delle norme per contrasto con gli art.
3, 24, 28 e 113 Cost, e chiedeva che gli atti fossero rimessi alla
corte per l'esame congiunto di quest'ultima questione con quella sostanziale relativa alla irresponsabilità dell'amministrazione.
Orbene, ai fini della rilevanza di entrambe le questioni è neces
sario indagare su due fondamentali quesiti posti dall'avvocatura
che in primo luogo dubita dell'applicabilità della 1. 23 ottobre
1962 n. 1575 disciplinante la commutazione in vaglia cambiari
della Banca d'Italia non trasferibili dei titoli di spesa come facol
tà dello Stato, per difetto di emanazione del decreto del ministero
del tesoro che ne avrebbe dovuto determinare le modalità; in se
condo luogo deduce il trasferimento a carico del creditore desti
natario del rischio della spedizione del vaglia a mezzo piego postale raccomandato per effetto della richiesta di commutazione (art. 2 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71 e art. 314, 5° comma, r.d. 23
maggio 1924 n. 827) cosicché, seguendo l'assunto del ministero,
si dovrebbe in definitiva configurare il difetto di interesse ad agi
re della banca e, quindi, l'irrilevanza delle questioni di costituzio
nalità.
Sul primo punto osserva il collegio che la commutazione come
facoltà degli uffici ordinatori di spesa, è stata riconosciuta in via
generale della 1. n. 1575 del 1962 e l'attribuzione della relativa
potestà deve ritenersi immediatamente operante essendo deman
dato al ministero del tesoro soltanto il compito di disciplinarne le modalità. Si aggiunga, inoltre, che successivamente la commu
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1023 PARTE PRIMA 1024
tazione è stata disciplinata dal legislatore del 1977 (art. 1 1. 31
maggio 1977 n. 247) come mezzo di pagamento direttamente pre visto dalla legge.
Sul secondo punto sono noti i contrasti dottrinali e giurispru denziali sulla liberatorietà per la banca emittente dei pagamenti
dei titoli non trasferibili effettuati a persona diversa dal prendito
re, affermata da alcuni per l'ipotesi di pagamento eseguito senza
dolo o colpa grave. Al riguardo questo tribunale ha ripetutamen te escluso la liberatorietà (sentenze 7 giugno 1980, Ventura e/
Banca d'Italia, Foro it., 1980, I, 2016; 14 luglio 1980, Riva c/
Banca d'Italia, id., 1981, I, 275). È infatti agevole osservare che per effetto del provvedimento
amministrativo di commutazione dei titoli di spesa dello Stato,
la Banca d'Italia delegata assume in proprio l'obbligazione di pro
mettere il pagamento attraverso l'emissione del titolo di credito
cartolare ed astratto, e ciò comporta da un lato l'estinzione del
l'obbligazione dello Stato (art. 1 d.p.r. n. 71 del 1962) e il venir
meno della legittimazione del creditore di agire per il pagamento nei confronti della p.a. e dall'altro l'obbligo della banca delegata di adempiere esattamente la prestazione attraverso il tras
ferimento della somma nella sfera patrimoniale del beneficiario.
Ciò è giustificato dalla natura del vaglia cambiario, che ha la
struttura e la funzione sostanziale dell'assegno circolare il quale,
se emesso con la clausola «non trasferibile», non può essere pa
gato se non al creditore, rispondendo del pagamento colui che
paga a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario
per l'incasso (art. 87 e 43 n. 1736 del 1933). Le disposizioni cita
te, infatti, in deroga al principio generale posto dall'art. 1992
c.c., comportano che l'erroneo pagamento a favore di persona
diversa, che sia venuta in possesso del vaglia spedito a mezzo
piego postale raccomandato, non integra il soddisfacimento del
creditore nel cui possesso materiale il titolo non sia mai pervenu
to, e ciò al fine di garantire il prenditore dai rischi della circola
zione e di assicurargli la più rigorosa tutela. Né potrebbe
argomentarsi diversamente per il semplice rilievo che il d.p.r. n.
71 del 1962, allorché pone a carico del destinatario le spese po
stali, detta norme di organizzazione squisitamente amministrativa
e contabile in tema di riscossione dei titoli di spesa dello Stato,
senza derogare alla disciplina sostanziale sopra richiamata, cosic
ché non può ritenersi trasferito a carico del creditore destinatario
del plico il rischio della spedizione e, in definitiva, il rischio della riscossione del credito.
È infine evidente che la rilevanza delle questioni di costituzio
nalità nel procedimento in esame non può ritenersi venuta meno
per effetto dell'entrata in vigore del d.p.r. 10 febbraio 1984 n.
21 il quale all'art. 1, lett. c), statuisce che la spedizione di vaglia cambiari emessi in commutazione va effettuata in piego postale
assicurato, operando la norma soltanto per il futuro e non inve
stendo i rapporti giuridici preesistenti. Tanto premesso, ai fini specifici della rilevanza della prima que
stione concernente le norme limitative della tutela giurisdizionale nei confronti della p.a. (art. 20, 91, 96, lett. /, cod. postale) nella
parte in cui stabiliscono a) che i reclami in via amministrativa
per le corrispondenze raccomandate devono essere presentati en
tro sei mesi dalla data di impostazione; b) che l'amministrazione
è liberata da ogni responsabilità per la perdita di oggetti racco
mandati quando il mittente non abbia presentato il detto recla
mo, osserva il collegio che la Banca d'Italia lamenta in primo
luogo di essersi trovata senza sua colpa nell'impossibilità di pre sentare il reclamo amministrativo nel termine e poi che, per un
fatto a lei non addebitabile, l'amministrazione è liberata da ogni
responsabilità sicché essa non può avvalersi né della tutela ammi
nistrativa né della tutela della giurisdizione ordinaria.
Ebbene l'eccezione di incostituzionalità cosi prospettata si ap
palesa non manifestamente infondata in relazione ai principi di
uguaglianza di fronte alla legge e di generale tutelabilità dei dirit
ti soggettivi. La norma di cui all'art. 91 cod. postale pone invero
l'amministrazione in una posizione di particolare privilegio allor
ché dispone che il termine perentorio di decadenza per la presen tazione del reclamo in via amministrativa decorre dalla data della
spedizione della raccomandata indipendentemente dalla conoscenza
e conoscibilità da parte dell'avente diritto del determinarsi della
situazione generatrice della facoltà di reclamo.
Il meccanismo predisposto dalla norma, in realtà, si risolve in
una degenerazione dell'istituto della decadenza, atteso che esso
trascura ogni elemento obiettivo che valga a legittimare l'estin
zione del diritto e ciò in contrasto con il principio per il quale
Il Foro Italiano — 1987.
la sanzione è giustificata dal mancato compimento di determinati
atti in un termine collegato alla percepibilità dell'insorgere del
diritto di una determinata situazione giuridica (es. art. 1495 c.c.).
La decadenza, infatti, prescinde dalle circostanze soggettive ed
obiettive, dalle quali sia dipeso l'inutile decorso del tempo (art. 2964 c.c.) ma non dalla responsabilità del titolare per l'inerzia
nell'esercizio del diritto.
Del pari attribuiscono all'amministrazione una situazione di par
ticolare privilegio le norme di cui agli art. 20, 48 e 96, lett. f),
cod. postale allorché, sancendo la sua liberazione da ogni respon sabilità per la perdita di oggetti raccomandati in difetto di recla
mo amministrativo, comportano in definitiva l'inammissibilità della
tutela amministrativa (per l'ipotesi, ad esempio, di meri disguidi)
e poi l'inammissibilità della tutela dei diritti dell'utente dinanzi
agli organi della giurisdizione ordinaria.
Ebbene, la decadenza, cosi come disciplinata dalla norma di
cui all'art. 91 cod. postale e le limitazioni ed esclusioni della tute
la giurisdizionale di diritti soggettivi perfetti sollevano gravi dub
bi sul contrasto delle norme in esame con il principio di uguaglianza davanti alla legge (art. 3 Cost.), in virtù del quale sono soggetti al controllo di legittimità costituzionale quelle leggi e quegli atti
aventi forza di legge che operino discriminazioni espressamente vietate in difetto di adeguati motivi idonei a giustificare il parti colare trattamento giuridico di determinate situazioni, nonché con
il principio previsto dal combinato disposto degli art. 24 e 113
Cost, per il quale la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi non può soffrire esclusioni o limitazioni che ne rendano impossi bile o difficile l'esercizio (Corte cost. 31 marzo 1961, n. 21, id.,
1961, I, 561; 16 maggio 1968, n. 48, id., 1968, I, 1386). L'esi stenza di un diritto implica, infatti, la possibilità di farlo valere
con i mezzi offerti in generale dall'ordinamento (Corte cost. 22
dicembre 1961, n. 70, id., 1962, I, 13) e la protezione giurisdizio nale può essere assoggettata ad oneri e modalità particolari o ter
mini solo per evitare abusi e per finalità superiori ed a condizione
che il suo esercizio non sia reso a tal punto difficile da pregiudi care concretamente o addirittura vanificare la domanda di giusti zia (Corte cost. 16 maggio 1968, n. 48 cit.; 13 dicembre 1972,
n. 136, id., 1972, I, 3006). Né infine la disciplina restrittiva previ sta dal codice postale appare obbedire a criteri di ragionevolezza,
palesemente evidenti invece nel caso esaminato dalla Corte costi
tuzionale che con la sentenza 4 giugno 1964, n. 47 (id., 1964,
I, 1334) individua l'interesse superiore dell'I.n.p.s. di eliminare
tempestivamente ogni incertezza sul diritto del privato a conse
guire la pensione (in considerazione delle manifeste esigenze di
carattere sociale e delle esigenze finanziarie dell'istituto), giustifi
cante l'imposizione del termine breve per il reclamo amministra
tivo previsto quale presupposto processuale per l'esperibilità dell'azione giudiziaria.
Appaiono, pertanto, non manifestamente infondati i dubbi sulla
legittimità costituzionale degli art. 20, 91 e 95, lett. f), cod. po
stale la cui eventuale ritenuta incostituzionalità renderebbe attua
le e concreta la rilevanza della seconda questione, relativa alla
legittimità costituzionale delle norme previste dagli art. 6, 28, 48
e 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, in riferimento agli art. 3, 28
e 113 Cost., già prospettata da questo tribunale con l'ordinanza
6 ottobre - 9 novembre 1982, le cui argomentazioni vengono qui
tutte richiamate.
Al riguardo, al fine di fornire ulteriori elementi alla corte, è
utile rilevare che la Banca d'Italia con la nota 25 gennaio 1980
(in atti) comunicò all'amministrazione delle poste e telecomunica
zioni il mancato ricevimento di numerosi titoli impostati e mai
giunti ai rispettivi beneficiari e l'avvenuta negoziazione di alcuni
di essi in frode in diverse zone d'Italia, sollecitando l'acquisizio
ne di ogni elemento atto ad identificare i responsabili. A confor
to del suo assunto la banca ha allegato sentenza del Tribunale
penale di Roma in data 10 aprile 1981, ined., con la quale alcuni
dipendenti dell'amministrazione delle poste sono stati condannati
per il reato di falso e truffa per essersi appropriati, previa altera
zione di documenti di riconoscimento, di numerosi titoli di credi
to consegnati in buste e destinati alla distribuzione.
Da ciò l'eccezione di incostituzionalità delle norme che, non
delimitando i casi in cui può accordarsi agli utenti un indennizzo
per inconvenienti dipesi dall'esercizio di attività legittima della
p.a., in definitiva escludono ogni responsabilità della stessa nel
l'espletamento del servizo postale, sia per l'ipotesi in cui il disser
vizio sia dipeso da un fatto lecito, sia per l'ipotesi in cui sia dipeso
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
da fatto illecito dei suoi dipendenti, produttivo di un pregiudizio economico.
Una simile situazione di privilegio, in effetti palesemente in
contrasto con le norme di cui agli art. 3 e 113 Cost., non ha
alcun fondamento nel diritto positivo come è stato rilevato nel
l'ordinanza richiamata, nulla stabilendo in proposito gli art. 1228
e 2049 c.c., che disciplinano in generale la responsabilità contrat
tuale ed extracontrattuale per fatto degli ausiliari; è altresì palese il contrasto con la norma di cui all'art. 28 Cost., che estende
allo Stato e agli enti pubblici la responsabilità civile in riverbero
della responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti secondo
le leggi penali, civili e amministrative, per atti compiuti in viola
zione dei diritti. L'irresponsabilità della p.a. dà luogo poi ad una ulteriore di
scriminazione per il fatto che pur in presenza di diritti, quali i
diritti al risarcimento del danno provocato da inadempimento (art.
83), viene a determinarsi una sostanziale immunità dell'ammini
strazione dal controllo giurisdizionale, essendo essa esonerata an
che dall'onere processuale di dimostrare che la perdita sia stata
provocata da un fatto illecito dei suoi funzionari o dipendenti nell'esercizio delle loro mansioni, da caso fortuito, forza maggio
re, ecc., ovvero da un fatto illecito da agente compiuto esorbitan
do dalla sfera delle attribuzioni oggetto del rapporto organico e di servizio; onere probatorio invece rilevante ai fini della valu
tazione della responsabilità per l'inadempimento dell'obbligazio ne (di trasporto) e recapito del plico raccomandato al destinatario.
È noto infatti che secondo il più recente indirizzo dottrinale
e giurisprudenziale (Cass. n. 5750 del 1978, id., Rep. 1978, voce
Posta, n. 3) il rapporto che si costituisce tra l'utente e l'ammini
strazione è di natura contrattuale e ciò aggrava i dubbi sulla le
gittimità delle norme che in definitiva liberano la contraente dalle
conseguenze dell'inadempimento attraverso la previsione indiscri
minata di una prestazione indennitaria di natura meramente ripa ratoria anche per l'ipotesi del verificarsi di un danno
economicamente rilevante da fatto doloso e colposo, cosa che
realizza in sostanza l'esclusione della tutela giurisdizionale del di
ritto al risarcimento dei danni da inadempimento, diritto e tutela
riconosciuti in via generale dall'ordinamento.
Né infine può legittimamente argomentarsi, come sostiene l'av
vocatura che la banca aveva la possibilità di scelta tra la spedizio ne per raccomandata e quella per assicurata atteso che norme
per essa vincolanti (l'art. 1 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71 recepita nell'art. 533 delle istruzioni generali per il servizio di tesoreria
approvate con d.m. del ministero tesoro 15 dicembre 1972) pre scrivevano all'epoca dei fatti la spedizione raccomandata, né la
banca per i principi regolatori della responsabilità contabile avrebbe
potuto agire diversamente o recuperare le maggiori spese della
spedizione per assicurata. (Omissis)
V
Motivi della decisione. — (Omissis). Ciò che l'I.n.a.i.l. deduce ed oppone alla domanda del ricorrente nei suoi confronti, non
è il pagamento, bensì' l'estinzione del proprio debito in conse
guenza di una fattispecie estintiva diversa da quella del pagamen to. L'istituto richiama al riguardo l'art. 22 del regolamento per la classificazione delle entrate e delle spese e per l'amministrazio
ne e la contabilità degli enti pubblici di cui alla 1. n. 70 del 1975,
approvato con d.p.r. 18 dicembre 1979 n. 696, secondo cui «Gli
enti possono disporre, su richiesta scritta del creditore con espressa annotazione sui titoli, che i mandati di pagamento siano estinti
mediante:... b) commutazione in vaglia cambiario o in assegno circolare non trasferibile, all'ordine del creditore... Le dichiara
zioni di... commutazione, che sostituiscono la quietanza del cre
ditore, devono risultare sul mandato di pagamento da annotazione
recante gli estremi relativi alle operazioni ed il timbro del tesorie
re o cassiere».
Al riguardo il pretore osserva che alla tesi dell'I.n.a.i.l. si con
trappongono i seguenti dati, ciascuno dei quali è autonomamente
decisivo: a) la norma riguarda l'estinzione dei mandati di paga mento e non l'estinzione dei debiti; b) per la sua operatività è
necessaria la richiesta scritta del creditore, che qui non risulta;
c) la dichiarazione di commutazione sostituisce la quietanza (inte sa come documento giustificativo) e non il pagamento; d) la nor
ma di cui all'ultimo comma dell'art. 22 riguarda la disciplina della
contabilità e non i rapporti con i terzi; e) né potrebbe regolare
Il Foro Italiano — 1987.
rapporti con i terzi derogando validamente alle norme di legge, data la natura regolamentare della norma stessa.
L'I.n.a.i.l. richiama peraltro — per analoghi effetti — l'art.
77 del medesimo regolamento secondo cui «per quanto non pre visto dalle disposizioni del presente decreto, si applicano, ove pos
sibile, le norme della legge e del regolamento per l'amministrazione
del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato». In base
a tale rinvio — sostiene l'istituto — trova applicazione l'art, uni
co della 1. 23 ottobre 1962 n. 1575 sulla estinzione dei debiti dello
Stato mediante commutazione dei titoli di spesa in vaglia cambia
ri non trasferibili della Banca d'Italia, secondo cui, qualora i cre
ditori non abbiano espressamente richiesto il pagamento in contante
o in un'altra delle forme agevolative previste dall'art. 1 d.p.r. 71/62 gli uffici ordinatori hanno la facoltà, nei limiti e con le
modalità stabilite dal ministro del tesoro, di disporre la commu
tazione degli ordinativi in vaglia cambiari non trasferibili della
Banca d'Italia, che vengono spediti dalle tesorerie dello Stato al
l'indirizzo dei creditori, con spese a carico delle amministrazioni
statali interessate; l'emissione di tali vaglia cambiari estingue il
debito dello Stato».
La norma suddetta appare effettivamente configurare la com
mutazione/emissione come fattispecie estintiva del debito; ma non
certo del credito corrispondente, al quale, a seguito della commu
tazione/emissione fa fronte il debito della Banca d'Italia.
La norma di rinvio invocata dalla difesa dell'I.n.a.i.l. non può
peraltro comprendere anche la regola in esame in quanto la mate
ria è già regolata dall'art. 22 cit., sicché manca il presupposto
espressamente stabilito dall'art. 77 per l'operatività del rinvio stes
so. Vale comunque anche qui il rilievo che una norma regola mentare non può introdurre, neppure mediante rinvio a norme
legislative riguardanti altra fattispecie, deroghe alla disciplina le
gislativa della fattispecie da essa regolata. 6. È appena il caso di notare che la convenzione tra I.n.a.i.l.
e Credito italiano non può essere opposta al ricorrente, che è
terzo rispetto ad essa.
7. Accertato nei confronti delle tre parti in causa — e da esse
non contestato — che l'assegno in questione non è pervenuto al domicilio del ricorrente essendo andato smarrito o essendo sta
to sottratto in itinere e che lo stesso è stato incassato da persona diversa dall'ordinatario, il quale ha apposto una falsa firma di
quest'ultimo, riguardo alla domanda proposta dall'I.n.a.i.l. nei
confronti del Credito italiano il pretore osserva quanto segue. A proposito del pagamento di un assegno circolare non trasfe
ribile a persona fisica diversa dall'ordinatario, vi sono, come è
noto, due tesi. La prima è che in tale ipotesi, regolata dall'art.
43, 2° comma, l.a. (secondo cui «colui che paga un assegno non
trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere gira tario per l'incasso risponde del pagamento»; applicabile all'asse
gno circolare ex art. 86), la banca è esente da responsabilità se
ha agito con buona fede e diligenza nell'identificazione del pre sentatore. All'interno di questo indirizzo si collocano poi diverse
tesi circa il grado della diligenza richiesta, nonché circa la prova di essa (anche sul punto se diligenza e buona fede si debbano
presumere, come affermano alcune pronunzie). La seconda tesi è invece che con l'art. 43, 2° comma, il legisla
tore ha inteso derogare ai principi sanciti in via generale dall'art.
1992 c.c. e, pertanto, per la liberazione del debitore, in caso di
titolo non trasferibile, non è sufficiente che egli abbia proceduto all'identificazione del presentatore usando la necessaria diligenza,
poiché egli è liberato solo se ha effettivamente pagato al prendi tore reale o al banchiere giratario per l'incasso.
Il primo indirizzo è seguito dalla Cassazione e da parte della
dottrina. Il secondo — che pure fu espresso dalla Cassazione con
le sentenze 7 ottobre 1958, n. 3133 (Foro it., 1959, I, 73) e 29
gennaio 1964, n. 229 (id., 1964, I, 778), e successivamente abban
donato a partire dalla sentenza 9 luglio 1968, n. 2360 (id., 1969,
I, 121) — continua ad essere seguito dal Tribunale di Roma (cfr. sent. 7 giugno 1980, id., 1980, I, 2016; 14 luglio 1980, id., 1981,
I, 275; 18 febbraio 1982, id., 1983, I, 114; 10 gennaio 1984, id., 1984, I, 1361; 18 aprile 1984, ibid.) oltre che da una parte della
dottrina e della restante giurisprudenza di merito.
Il pretore condivide questo secondo indirizzo, considerando non
superabili le argomentazioni addotte a sostegno di esso.
In sintesi: il 2° comma dell'art. 43 sarebbe del tutto pleonasti co se dovesse essere interpretato nel senso inteso dalla Cassazio
ne, posto che già il 1° comma del medesimo articolo stabilisce
che l'assegno non trasferibile non può essere pagato se non al
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1027 PARTE PRIMA 1028
prenditore o al banchiere giratario per l'incasso. Il 2° comma
deve avere quindi un diverso utile significato (in realtà l'argo mento esposto al riguardo dalla Cassazione è una riformulazione
in altre parole della tesi, più che una dimostrazione di essa); tale
significato non può essere la prescrizione di una oculata e diligen te identificazione, posto che tale onere già sussiste per effetto
dell'art. 1992 c.c. Va inoltre considerato che l'assegno non tras
feribile non è soggetto ad ammortamento e che, come risulta dal
la storia concreta della clausola di non trasferibilità, la funzione
di quest'ultima è proprio quella di premunire il prenditore (o il
richiedente) contro il furto o lo smarrimento del titolo, ponendo il rischio di tali eventi a carico della banca.
Rispetto a tale responsabilità oggettiva della banca nei con
fronti, nella specie, del richiedente I.n.a.i.l., la convenzione tra
quest'ultimo e la banca stessa — nel testo precedente alle modifi
che del 1985 — non apporta alcuna deroga. In relazione alle deduzioni del Credito italiano vi è da osserva
re che la «scelta del beneficiario» circa la forma del pagamento non è elemento la cui mancanza la banca può opporre all'istituto
sotto alcun rilevante profilo. L'invio a mezzo di piego postale semplice, anch'esso previsto
dalla convenzione, non può essere addotto come fattore di ascri
zione di responsabilità all'I.n.a.i.l., essendo previsto, appunto, in una clausola contrattuale e quindi non imposto unilateralmen
te. In realtà tale elemento avrebbe eventualmente dovuto indurre
la banca ad una più oculata diligenza nell'identificazione dei pre
sentatori, specie dopo che il fenomeno massiccio di furti e falsifi
cazioni si era rivelato già da alcuni mesi, come emerge dalla
denunzia all'a.g. da parte dell'I.n.a.i.l.
Nell'ipotesi di pagamento dell'assegno circolare non trasferibi
le a persona diversa da quelle indicate nell'art. 43, a seguito di
sottrazione, smarrimento o furto dell'assegno avvenuti prima che
esso sia stato consegnato all'ordinatario, la banca risponde del
pagamento nei confronti del richiedente, in virtù del medesimo
art. 43, 2° comma, e/o del rapporto di emissione (la tesi che
configura tale responsabilità come responsabilità aquiliana appa re fondarsi su una non condivisibile configurazione del contenuto
del rapporto di emissione). In conclusione deve essere accertato e dichiarato l'inadempi
mento da parte dell'I.n.a.i.l. all'obbligazione di pagamento nei
confronti della ricorrente qui dedotta, con la conseguente pro nunzia di condanna.
Deve altresì' essere dichiarata la responsabilità della banca per tale mancato pagamento, con la conseguente pronunzia di con
danna a rimborsare quanto l'I.n.a.i.l. pagherà al ricorrente.
VI
Motivi della decisione. — (Omissis). Superate le questioni pre
giudiziali, è ora necessario analizzare le rispettive posizioni delle
parti in causa. Per quanto attiene all'attore, sembra pacifico e
non contestato che lo stesso non abbia mai ricevuto l'assegno circolare in parola, né tantomeno lo abbia riscosso e che, pertan
to, risulti tuttora creditore del relativo importo. Più complessa appare la posizione dell'I.n.a.i.l.; a seguito del
l'entrata in vigore del d.p.r. 18 gennaio 1979 n. 696, recante ap
provazione del nuovo regolamento per la classificazione delle
entrate e delle spese e per l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla 1. 20 marzo 1975 n. 70 (tra i quali è
ricompreso l'I.n.a.i.l.), l'istituto convenuto ha cessato di disporre di un proprio servizio di cassa, essendo tenuto ad affidare, in
via esclusiva, il proprio servizio di tesoreria e di cassa ad un isti
tuto di credito, mediante apposita convenzione. Il pagamento delle
spese è effettuato mediante l'emissione di appositi mandati di pa
gamento numerati in ordine progressivo e muniti del codice mec
canografico del capitolo, tratti sull'istituto di credito incaricato
del servizio di tesoreria. Il pagamento può, inoltre, essere effet
tuato mediante il servizio postale, la commutazione in vaglia cam
biario o in assegno circolare non trasferibile, l'accredito in c/c
bancario, in altre forme autorizzate dal ministero del tesoro. In
tutti questi casi, le dichiarazioni di accreditamento o di commu
tazione sostituiscono la quietanza del creditore. La ratio della
norma è evidentemente quella di dare la certezza all'ente pubbli co di aver estinto il mandato di pagamento a favore dell'avente
diritto, lasciando poi la responsabilità di ben effettuare il paga mento materiale al tesoriere.
Il Foro Italiano — 1987.
In quest'ottica viene a collocarsi la fattispecie di cui in causa:
l'I.n.a.i.l., dopo aver determinato in lire 620.900 l'indennità da
liquidarsi al sig. Massimiliani Fabio, ha dato le opportune dispo sizioni al proprio tesoriere, Credito italiano, di effettuare il paga mento del relativo importo a mezzo assegno circolare non
trasferibile; nel preciso istante in cui l'istituto di credito ha com
mutato il mandato in assegno circolare non trasferibile si è avuta,
ope legis, una trasposizione della responsabilità inerente il succes
sivo buon esito del pagamento, dall'I.n.a.i.l. al Credito italiano.
La difesa dell'ente creditizio sostiene l'inapplicabilità, nel caso
di specie, delle disposizioni predette, ex art. 22 d.p.r. n. 696/79, non avendo il sig. Massimiliani presentato domanda scritta per essere pagato con assegno circolare. Detta tesi però non può esse
re condivisa da questo magistrato. Il citato art. 22, infatti, deve essere opportunamente coordina
to con l'art, unico della 1. 23 ottobre 1962 n. 1575, recante norme
sull'estinzione di debiti dello Stato mediante commutazione dei
titoli di spesa in vaglia cambiari non trasferibili della Banca d'I
talia, applicabile all'I.n.a.i.l. in forza del richiamo di cui all'art.
77 citato d.p.r. n. 696/79.
In base al combinato disposto delle predette norme, le modali
tà con le quali vengono effettuati i pagamenti delle indennità ed
altre causali dovute dall'I.n.a.i.l. per la propria attività istituzio
nale sono, allo stato attuale, le seguenti: A) in mancanza di ri
chiesta del creditore: per contanti, presso uno sportello del proprio
tesoriere; a mezzo vaglia cambiario o assegno circolare non tra
sferibile, all'ordine del creditore e spedito al di lui indirizzo; B) in presenza di esplicita richiesta del creditore: a mezzo del servi
zio postale; a mezzo vaglia cambiario o assegno circolare non
trasferibile all'ordine del creditore; con accreditamento su conto
corrente bancario; con altre forme autorizzate dal min. tesoro.
Nel caso di specie è di conseguenza pienamente legittima la
forma di pagamento — a mezzo assegno circolare non trasferibi
le — adottata dall'istituto assicurativo. Per quanto attiene all'ap
posita convenzione che disciplina il servizio di tesoreria tra i due
enti, si è dell'avviso che la medesima sia ininfluente ai fini del
presente giudizio in quanto tendente a regolare i soli rapporti interni tra le parti, senza spiegare alcuna efficacia nei confronti
dei terzi. Per quanto sin qui esposto il giudicante ritiene che la
responsabilità dell'I.n.a.i.l. nei confronti del Massimiliani sia ces
sata al momento della commutazione, del mandato di pagamen
to, in assegno circolare non trasferibile; conseguentemente l'I.n.a.i.l. è carente di legittimazione passiva nel presente giudizio.
Cosi delineata la posizione dell'istituto convenuto, non rimane
che verificare quale sia il ruolo della banca chiamata in causa.
Appare pacifico che il titolo in argomento venne pagato in da
ta 6 novembre 1984 presso l'agenzia 15 del Credito italiano a
persona diversa dall'effettivo beneficiario, identificata sulla base
di un documento risultato poi falso. La circostanza è disciplinata dall'art. 43, 2° comma, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, che te
stualmente recita: «Colui che paga un assegno non trasferibile
a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso risponde del pagamento».
La portata della norma è estremamente ampia ed è, quindi, necessario analizzarla. In materia vi è stato un andamento ciclico
della giurisprudenza: fino ad un certo tempo sembrava pacifico che anche in materia di assegni non trasferibili la banca potesse invocare il fatto di aver con ogni diligenza identificato la persona cui aveva pagato l'importo del titolo. Poi ci fu un cambiamento
brusco, con una decisione della Suprema corte del 1958 la quale stabili che l'art. 43, 2° comma, andava inteso in termini assoluti, ossia come una norma ponente, senza eccezioni, a rischio e peri colo della banca il pagamento fatto a persona fisicamente diversa
dal legittimato cartolare. Successivamente la Cassazione rivedeva
il suo atteggiamento e riaffermava che anche in materia di asse
gno recante la clausola di non trasferibilità, il pagamento fatto
a persona diversa dal legittimato cartolare poteva avere carattere
liberatorio qualora la banca dimostrasse l'impiego della diligenza
professionale nell'identificare il portatore. È stato però rilevato
a sostegno della tesi più rigorosa, che se la norma in discorso
volesse dire soltanto che la banca risponde del pagamento se pa
ga l'importo del titolo ad un soggetto che riveste una posizione diversa dal legittimato cartolare direbbe una cosa estremamente
ovvia, perché è naturale che il debitore che paga un titolo ad
un soggetto diverso è inadempiente; onde la norma deve voler
dire qualcosa di più e precisamente che la corrispondenza fra ef
fettivo destinatario del pagamento e legittimato cartolare va inte
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sa in termini di realtà senza margine per l'apparenza, nonostante
l'impiego da parte della banca di ogni diligenza richiesta nel caso
concreto. Tale tesi appare, peraltro, eccessiva venendo ad addos
sare alla banca la responsabilità oggettiva per il pagamento del
l'assegno non trasferibile; responsabilità quest'ultima che nel nostro
ordinamento richiede una previsione espressa. A parere di questo conciliatore la norma in argomento vuole imporre un aggrava mento della responsabilità della banca in tema di assegno non
trasferibile, senza però valicare i limiti della colpa e sconfinare
nel terreno della responsabilità oggettiva. Per valutare meglio que sta affermazione occorre ricordare che l'attribuizione del caratte
re liberatorio al pagamento è subordinata all'impiego, da parte del debitore, di un grado medio di diligenza, anche quando si
tratta di diligenza professionale; dovendosi intendere per questa
ultima, rispetto alla diligenza del buon padre di famiglia, solo
uno standard diverso, consistente in regole di comportamento più
rigorose di quelle imponibili al comune privato. Nell'ambito del
la trasgressione a queste regole di comportamento si può incorre
re in colpa di varia intensità. Nel caso di pagamento di assegno trasferibile a persona diversa dal legittimato cartolare, la diligen za professionale deve essere valutata secondo lo standard medio
e si avrà responsabilità della banca per dolo o colpa media o
grave. Invece dovendo dare un significato autonomo alla norma
dell'art. 43, 2° comma, si deve affermare che per la presenza della clausola non trasferibile la banca incorre in responsabilità anche per colpa lieve.
Ciò posto, bisogna ora accertare se il Credit effettuò il paga
mento de quo con la necessaria diligenza e senza colpa, sia pur
lieve.
Dall'interrogatorio del Biagi Federico, cassiere del Credit, è
emerso che le procedure interne della banca prevedono due diffe
renti livelli di controllo degli assegni in funzione del valore degli stessi: per i titoli di valore inferiore ai due milioni di lire è lascia
ta all'impiegato o cassiere che esamina il documento del presen
tatore la facoltà di stabilire se i dati anagrafici siano corrispondenti o meno a quelli rappresentati nel titolo; mentre per gli assegni
d'importo superiore a due milioni di lire è necessaria un'ulteriore
verifica da parte del funzionario preposto, il quale deve apporre il proprio visto sul titolo. Detta procedura, se da un lato consen
te di snellire il disbrigo delle operazioni di minor rilievo rendendo
più rapido il servizio di cassa, dall'altro riduce i margini di sicu
rezza nei controlli. La stessa banca appare infatti consapevole
che un duplice controllo dei documenti sia indice di maggior ga
ranzia per l'esatto pagamento al legittimato cartolare, riservan
dolo però ai soli importi maggiori. Se tale comportamento può
essere comprensibile sotto il profilo dell'economicità gestionale,
non può essere altrettanto giustificabile sotto l'aspetto della re
sponsabilità verso terzi.
Qualsiasi legittimato cartolare, infatti, a prescindere dal valore
del proprio titolo, ha diritto acciocché la banca effettui tutti i
necessari controlli, prima di dar corso al pagamento al presenta
tore, con la medesima diligenza professionale sopra cennata. Nel
caso di specie è risultato che il controllo del documento presenta to dalla persona falsamente qualificatasi per il legittimato carto
lare sig. Massimiliani Fabio, è stato effettuato dal solo cassiere,
il quale ha peraltro omesso di trascrivere, sul retro del titolo,
insieme agli altri dati anagrafici la data e il luogo di nascita del
presentatore; detti dati erano stati scritti sull'assegno circolare de
quo insieme alle generalità del beneficiario proprio per motivi
di maggior sicurezza. Un successivo ulteriore controllo da parte del funzionario avrebbe, forse, potuto evidenziare tale omissione
e far sorgere dei dubbi sulla validità del documento esibito.
Da tutto ciò ne consegue che il Credit ha effettuato il paga
mento in argomento senza porre in essere tutta la necessaria e
potenziale diligenza professionale. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1987.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 novembre 1986, n. 238
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 novembre 1986, n. 55); Pres. La Pergola, Rei. Andrioli; Spirito (Avv. Spirito, Piz
zutelli, Mazzei) c. Soc. Chemi; interv. Pres. cons, ministri.
Ord. Cass. 12 marzo - 26 luglio 1985, n. 397 (G.U., la serie
speciale, n. 9 del 1986).
Avvocato e procuratore — Onorari e spese — Vincolo di solida
rietà fra transigenti — Questione inammissibile di costituziona
lità (Cost., art. 3; r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento
della professione di avvocato e procuratore, art. 68).
È inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 68 r.d.l. 27 no
vembre 1933 n. 1578, nella parte in cui prevede un vincolo
di solidarietà tra le parti che hanno transatto la lite per il paga mento degli onorari ed il rimborso delle spese relativi al giudi zio dei quali l'avvocato o il procuratore fossero ancora creditori, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
Diritto. — 3. - Nell'ordinanza di rimessione la Corte di cassa
zione — premesso che la Corte costituzionale, con sent. n. 132/74
(Foro it., 1974, I, 1546), aveva giudicato non fondata la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 68 r.d.l. 27 novembre 1933
n. 1578 (ordinamento delle professioni di avvocato e procurato
re) conv., con modificazioni, nella 1. 22 gennaio 1934 n. 36, per il quale, quando un giudizio è definito con transazione, tutte le
parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al paga mento degli onorari e al rimborso delle spese di cui gli avvocati
ed i procuratori che hanno partecipato al giudizio negli ultimi
tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso — ha rite
nuto che la motivazione svolta nella menzionata sentenza della
Corte costituzionale non meritasse riesame. Peraltro, ha osservato
(1) L'ordinanza della Corte di cassazione, 12 marzo - 26 luglio 1985, che ha sollevato la questione dichiarata inammissibile dalla sentenza in
epigrafe, è riportata in Foro it., 1986, I, 724, con nota di richiami. In altri casi in cui — come in quello di specie — il giudice a quo
non aveva assolutamente motivato sulla rilevanza, la corte ha ritenuto che il difetto di tale giudizio preventivo rendesse inammissibile il processo davanti a sé: v. Corte cost., ord. 24 maggio 1985, n. 166, id., 1985, I, 2169 e 28 luglio 1983, n. 258, id., 1984, I, 3075. In altre sentenze si è invece stabilito che l'omessa o insufficiente motivazione comporta la restituzione degli atti al giudice a quo perché integri la propria ordi nanza (cfr. Corte cost. 11 luglio 1984, n. 190, ibid., 2688 e, da ultimo, ord. 19 dicembre 1986, n. 277, in questo fascicolo, I, 1011. In dottrina
Pizzorusso, La restituzione degli atti al giudice «a quo» nel processo costituzionale incidentale, Milano 1965).
Nel caso di specie la corte non si è limitata a constatare l'assenza di motivazione nell'ordinanza di rinvio ma ha altresì vagliato direttamente la rilevanza della questione nel giudizio a quo.
La decisione è coerente con l'evoluzione della giurisprudenza della cor
te, la quale, dopo aver per molto tempo affermato l'insindacabilità della valutazione della rilevanza compiuta dal giudice a quo (cfr., fra le tante, Corte cost. 26 gennaio 1957, n. 30, Foro it., 1957, I, 503; 8 luglio 1957, n. 102, ibid., 1143; 8 aprile 1958, n. 26, id., 1958, I, 507), è passata a controllare la sufficienza della motivazione ai fini di una eventuale re stituzione degli atti al giudice a quo, per poi giungere a vagliare diretta mente l'esistenza della rilevanza (per una analisi di tale evoluzione e, più in generale, delle posizioni dottrinarie e giurisprudenziali sul tema, cfr.
Pizzorusso, Garanzie costituzionali, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 286 ss., sub art. 137).
Sulla recente giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di
rilevanza cfr. Pizzorusso, L'attività della Corte costituzionale nella ses sione 1985-1986, in Foro it., 1986, V, 421; L'attività della Corte costitu
zionale nella sessione 1984-1985, id., 1985, V, 385; L'attività della Corte
costituzionale nella sessione 1982-1983, id., 1983, V, 181; Carlassarre, Le decisioni d'inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte co
stituzionale, id., 1986, V, 293; Spatolisano, Recenti tendenze della Corte
costituzionale in materia di rilevanza, 1982, I, 629 ss., e II requisito della
rilevanza e l'autonomia del giudizio costituzionale: alcune riflessioni sulla
più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (1977-1982), in Giur.
cost it., 1982, I, 1469. Sul giudizio di rilevanza, cfr. V. Onida, Note su un dibattito in tema
di rilevanza delle questioni di costituzionalità delle leggi, id., 1978, I,
997; Mezzanotte, Irrilevanza e infondatezza per ragioni formali, id.,
1977, I, 230; Pizzetti e Zagrebelsky, «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza» nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Mila
no, 1972; Crisafulli, Sulla sindacabilità da parte della Corte costituzio nale della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, in Giur.
costit., 1957, 607.
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