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ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n. 61);...

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ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n. 61); Pres. La Pergola, Rel. Borzellino; Brevaglieri c. Min. poste e telecomunicazioni; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Roma 14 dicembre 1983 (G.U. n. 131 bis del 1985) Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1011/1012-1029/1030 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179870 . Accessed: 28/06/2014 09:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.210 on Sat, 28 Jun 2014 09:12:20 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n. 61); Pres. La Pergola, Rel. Borzellino; Brevaglieri c. Min. poste e telecomunicazioni;

ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n.61); Pres. La Pergola, Rel. Borzellino; Brevaglieri c. Min. poste e telecomunicazioni; interv.Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Roma 14 dicembre 1983 (G.U. n. 131 bis del 1985)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1011/1012-1029/1030Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179870 .

Accessed: 28/06/2014 09:12

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PARTE PRIMA 1012

Diritto. - Nel presente giudizio sono oggetto di censura le di

sposizioni degli art. 1, 3 e 7 1. 10 dicembre 1975 n. 724, in riferi

mento all'art. 11 Cost, (nell'ordinanza è citato, senza però specifica

motivazione, anche l'art. 3 Cost.). Al riguardo va preliminar mente osservato che la denuncia concerne le previsioni del tratta

to di Roma del 25 marzo 1957, istitutivo della Comunità economica

europea, ritenendosi dal giudice a quo che le norme censurate

violino non già puntuali regolamenti o norme comunitarie, bensì

direttamente un principio fondamentale — nella specie, ricavabi

le, in particolare, dagli art. 12, 37 e 95 del trattato stesso —

che della Comunità economica europea informerebbe l'intero as

setto: e cioè il principio secondo cui compito principale della Co

munità è quello di promuovere, mediante l'instaurazione di un

mercato comune ed il graduale avvicinamento delle politiche de

gli Stati aderenti, lo sviluppo armonioso dell'attività economica

nell'ambito coperto dal trattato ora citato. Conseguentemente, in conformità alla precedente giurisprudenza (cfr. sent. 8 giugno

1984, n. 170 Foro it., 1984, I, 2062 e ord. 22 febbraio 1985, n. 47, id., 1985, I, 433 e 20 marzo 1985, n. 81 ibid., 1604), la corte ritiene di doversi occupare delle due questioni sottoposte al suo esame.

Nel merito si osserva che le anzidette questioni hanno un pre

supposto comune e cioè che la «sovrimposta di confine» di cui

all'impugnato art. 3 1. n. 724 del 1975 sia un dazio doganale, vietato dal trattato.

Tale presupposto è però palesemente infondato, in quanto la

detta sovrimposta corrisponde esattamente («è pari», dice il cit.

art. 3) all'imposta di consumo gravante sui tabacchi di produzio ne nazionale (cfr. art. 2 1. 13 luglio 1965 n. 825 nonché la 1.

7 marzo 1985 n. 76) ed ha lo scopo di uniformare al trattamento

fiscale di questi ultimi quello dei tabacchi di produzione CEE, evitando così una diversità di trattamento. Ciò trova precisa con

ferma nel fatto che la stessa imposta colpisce anche i tabacchi

provenienti da paesi non appartenenti alla CEE (art. 1 1. n. 825

del 1965), ma rispetto a tali paesi essa si aggiunge ai dazi dogana li eventualmente dovuti (art. 2, 2° comma, statuto lavoratori).

La violazione dell'invocato principio del trattato non sussiste

e risulta perciò inconferente il richiamo ai parametri costituzio

nali che si assumono lesi.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate

le questioni di legittimità costituzionale degli art. 1, 3 e 7 1. 10

dicembre 1975 n. 724, sollevate in riferimento agli art. 3 e 11

Cost, dalla Corte d'appello di Napoli con l'ordinanza indicata

in epigrafe.

ex art. 41 e 43 Cost., in relazione al regime monopolistico vigente per la commercializzazione dei tabacchi esteri, da Corte cost., ord. 7 marzo

1984, n. 59, id., Rep. 1985, voce cit., n. 36; ord. 16 marzo 1983, n.

62, id., 1983, I, 258, con nota di richiami, cui si rinvia per ulteriori riferi menti sul tema del rapporto tra monopolio nazionale e disciplina comu nitaria.

Per la giurisprudenza comunitaria sul tema dei monopoli nazionali in tema di tabacchi e sul rispetto della normativa comunitaria in argomento v. da ultimo Corte giust. CE 5 aprile 1984, cause 177 e 178/82, id., 1985, IV, 165, con nota di richiami; nonché 21 giugno 1983, causa 90/82 e 7 giugno 1983, causa 78/82, id., 1984, IV, 1, con nota di richiami.

I

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 dicembre 1986, n.

61); Pres. La Pergola, Rei. Borzellino; Brevaglieri c. Min.

poste e telecomunicazioni; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Roma 14 dicembre 1983 (G.U. n. 131 bis del 1985).

Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata

contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra zione postale — Limiti — Questione di costituzionalità — Re

stituzione degli atti per insufficiente motivazione sulla rilevanza

(Cost., art. 3, 28; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u. delle dispo

II Foro Italiano — 1987.

sizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di teleco

municazioni, art. 6, 28, 48, 91, 93, 96).

Deve ordinarsi la restituzione degli atti al giudice a quo per insuf

ficiente motivazione sulla rilevanza, nel caso in cui tale giudice — rimettendo alla corte la questione di legittimità costituziona

le degli art. 6, 28, 48 e 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, circa

i limiti di responsabilità dell'amministrazione postale per il man

cato recapito di raccomandata contenente vaglia cambiario in

cui siano stati commutati titoli di spesa dello Stato, in riferi mento agli art. 3 e 28 Cost. — abbia omesso di prendere in

esame l'eccezione di decadenza dedotta dal convenuto ai sensi

degli art. 91 e 96 del decreto stesso. (1)

II

CORTE D'APPELLO DI ROMA; ordinanza 30 giugno 1986; Pres. Pacifico, Rei. Savignano; Banca d'Italia (Aw. Puccio

ni, Ferrara) c. Losito (Avv. Maida) e Min. poste e telecomu

nicazioni.

Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata

contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra

zione postale — Limiti — Questione non manifestamente in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 28; d.p.r. 29 marzo

1973 n. 156, art. 6, 28, 48, 93).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale degli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, nella parte in cui esonerano l'amministrazione postale da qual siasi forma di responsabilità, ad eccezione dell'indennità previ sta dall'art. 28 — pari a dieci volte i diritti di raccomandazione — per il caso di mancato recapito della raccomandata prevista dalla legge come mezzo di trasmissione del vaglia cambiario

in cui siano stati commutati titoli di spesa dello Stato, in riferi mento agli art. 3 e 28 Cost. (2)

III

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 31 dicembre 1985; Pres. Ar

girò, Rei. Mazzacane; Vulpiani (Avv. Poscia) c. Banca d'Ita

lia (Aw. Puccioni, Ferrara) e Min. poste e telecomunicazioni.

Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata

contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra

zione postale — Limiti — Questione non manifestamente in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 28, 113; d.p.r. 29 marzo

1973 n. 156, art. 6, 28, 48, 93).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale degli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, nella parte in cui esonerano l'amministrazione postale da qual siasi forma di responsabilità, ad eccezione dell'indennità previ sta dall'art. 28 — pari a dieci volte i diritti di raccomandazione — per il caso di mancato recapito della raccomandata prevista dalla legge come mezzo di trasmissione del vaglia cambiario

in cui siano stati commutati titoli di spesa dello Stato, in riferi mento agli art. 3, 28 e 113 Cost. (3)

(1-6) I. - La Corte costituzionale ordina dunque per la seconda volta la restituzione degli atti al giudice a quo per insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale (cfr., da ulti

mo, la nota di richiami a Corte cost. n. 238/86, che segue). Investita della medesima questione, infatti, due anni e mezzo prima, la corte aveva anche in quel caso rinviato gli atti al giudice a quo (sent. 11 luglio 1984, n. 190, Foro it., 1984, I, 2688); l'unica differenza è che allora la corte ordinò con sentenza la restituzione degli atti, mentre ora lo fa con ordi nanza (il che sembra tecnicamente più corretto, anche se un'autorevole tesi dottrinale afferma che le decisioni di restituzione degli atti — non

previste dalla legge ed aventi carattere di discrezionalità — non costitui scono altro che una diversa forma per pronunciare l'inammissibilità di una questione incidentale non ritualmente sollevata: cfr. A. M. Sandul

ii, Il giudizio sulle leggi, Milano, 1967, 9 s., n. 6; Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1974, II, 2, 135 ss).

L'errore dei giudici di rinvio sarebbe poi sempre lo stesso: il non aver

preso in esame con la dovuta attenzione, nella parte motiva dell'ordinan

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

IV

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 31 dicembre 1985; Pres. Gre

co, Rei. Izzo; Banca d'Italia (Avv. Ferrari, Lorenti, Casa)

c. Min. poste e telecomunicazioni.

Posta e telecomunicazioni — Mancato recapito di raccomandata

contenente vaglia cambiario — Responsabilità dell'amministra

zione postale — Limiti — Questione non manifestamente in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 28, 113; d.p.r. 29 marzo

1973 n. 156, art. 6, 20, 48, 91, 93, 96).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale degli art. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96 d.p.r. 29 marzo

1973 n. 156, nella parte in cui esonerano l'amministrazione po

stale da qualsiasi forma di responsabilità, ad eccezione dell'in

dennità prevista dall'art. 28 — pari a dieci volte i diritti di

raccomandazione — per il caso di mancato recapito della rac

comandata prevista dalla legge come mezzo di trasmissione del

vaglia cambiario in cui siano stati commutati titoli di spesa

dello Stato, in riferimento agli art. 3, 28 e 113 Cost. (4)

V

PRETURA DI ROMA; sentenza 3 settembre 1986; Giud. Pivet

ti; Spaccatrosi (Aw. Vitale) c. I.n.a.i.l. (Aw. Di Benedetto)

e Credito italiano (Avv. Tornabuoni).

Titoli di credito — Assegno circolare — Clausola di non trasferi

bilità — Pagamento a persona diversa dal prenditore — Effetti

(R.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, disposizioni sull'assegno ban

cario, art. 43).

Nell'ipotesi di pagamento di assegno circolare non trasferibile a

persona diversa da! prenditore o banchiere giratario per l'in

casso la banca risponde del pagamento nei confronti del ri

chiedente. (5)

VI

CONCILIATORE DI ROMA; sentenza 31 maggio 1986; Giud.

Fioramonti; Massimiliani (Aw. Flammia) c. I.n.a.i.l. (Aw. Me

rola) e Credito italiano (Avv. Tornabuoni).

Titoli di credito — Assegno circolare — Clausola di non trasferi

bilità — Effetti (R.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, art. 43).

In presenza della clausola di non trasferibilità la banca trattoria

che paghi l'assegno incorre in responsabilità anche per colpa

lieve, nel caso di errore nell'identificazione del prenditore. (6)

za di rimessione, l'eccezione preliminare di decadenza sollevata dal mini

stero delle poste, ai sensi degli art. 91 e 96, lett. f), d.p.r. 156/73 (chi

voglia rendersi conto della fondatezza di tali rilievi può leggere la motiva

zione di una delle ordinanze di rimessione, Trib. Roma 22 febbraio 1982,

in Foro it., 1982, I, 1408). In effetti l'art. 91 d.p.r. 156/73 prevede che i reclami per le corrispon

denze raccomandate ed assicurate e per i pacchi debbano essere presentati entro sei mesi dalla data di impostazione. L'art. 96 poi (alla lett. f) ag

giunge che l'amministrazione è liberata da ogni responsabilità se l'emit

tente non presenta reclamo nei termini previsti dall'art. 91. Infine, ai

sensi dell'art. 20 del medesimo decreto, l'azione giudiziaria contro l'am

ministrazione postale non è proponibile se prima non è stato presentato

reclamo in via amministrativa. Forse i giudici hanno veramente errato nel valutare gli estremi di «rile

vanza» della questione di costituzionalità; sta di fatto comunque che il

problema esiste ed è molto sentito (per i suoi riflessi sulla stampa quoti diana v. ad es. Il Messaggero del 18 dicembre 1986, 4 gennaio 1987,

22 febbraio 1987; per altre considerazioni, cfr. // Sole-24 Ore del 26 gen

naio 1987). Il sistema della spedizione di assegni (per solito circolari e muniti di

clausola di non trasferibilità; più spesso vaglia cambiari della Banca d'I

talia) a mezzo posta non tutela infatti in modo adeguato il destinatario.

Esso è così concepito: a) art. 83 d.p.r. 156/73: a mezzo raccomandata

può esser spedita qualsiasi cosa, eccetto preziosi e carte valori esigibili

al portatore; b) art. 6 d.p.r. 156/73: l'amministrazione delle poste, se

non nei casi e con i limiti espressamente previsti dalla legge, «non incon

tra alcuna responsabilità per i servizi postali»; c) art. 28 e 48 (che rinvia

no alla tabella 3, n. 1, d.p.r. 718/76): in caso di perdita totale di una

raccomandata l'indennità dovuta dall'amministrazione postale è pari a

dieci volte i diritti di raccomandazione; d) art. 93 d.p.r. 156/73: fatta salva

Il Foro Italiano — 1987.

I

Ritenuto che con ordinanza emessa il 14 dicembre 1983 (perve

nuta il 18 gennaio 1985) nel procedimento civile vertente tra Bre

vaglieri Anna Maria e il ministero delle poste e telecomunicazioni

il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costitu

zionale degli art. 6, 28, 48 e 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156

(testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di

bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui limitano

al solo pagamento dell'indennità di cui all'art. 28 t.u. la respon

l'indennità testé indicata, l'amministrazione postale non è tenuta ad alcu

na altra forma di risarcimento, per il caso di perdita, manomissione o

avaria di quanto ad essa affidato; e) art. 1 d.p.r. 25 gennaio 1962 n.

71: i titoli di spesa dello Stato possono essere estinti mediante commuta

zione in vaglia cambiario della Banca d'Italia «non trasferibile» «a favo

re della persona del creditore»; f) art. 2 d.p.r. 71/62: tali vaglia sono

inviati al creditore in piego raccomandato, se si tratta di importi superiori a lire 100.000; g) art. unico 1. 23 ottobre 1962 n. 1575: la commutazione

dei titoli di spesa dello Stato di cui all'art. 1 d.p.r. 71/62 si attua in

tutti i casi in cui i creditori non abbiano espressamente richiesto il paga mento in contanti o in una delle forme agevolative previste dallo stesso

art. 1. (Le disposizioni sub e e sub /erano in vigore quando sono insorte

le controversie di cui ai provvedimenti in epigrafe; attualmente sono mu

tate nel modo che si vedrà). Sono evidenti i rischi connessi con questo sistema di spedizione di asse

gni e vaglia, cui è correlata l'estinzione del titolo di spesa.

Infatti, laddove la raccomandata non raggiunga il destinatario per una

qualsiasi ragione, questi ha soltanto la possibilità di rivalersi verso l'am

ministrazione postale, ottenendo un indennizzo che al massimo può rag

giungere le 20.000 lire (l'operazione è facile: si tratta di moltiplicare per dieci i diritti di raccomandazione).

Ove si consideri che, per disposizione dell'art. 1 1. 31 maggio 1977

n. 247, i rimborsi delle somme corrisposte in eccesso alla tesoreria dello

Stato a titolo di i.r.p.e.f. avvengono nei modi innanzi delineati (spedizio ne per raccomandata di vaglia cambiario al contribuente), si comprende facilmente come sia del tutto irrisorio l'indennizzo che il contribuente

medesimo può ottenere, per il caso di perdita del plico raccomandato.

Il Tribunale di Roma ha sempre prestato particolare attenzione a que sti problemi; «attenzione» che altre volte ha condotto i giudici romani

ad un'interpretazione restrittiva dell'art. 43 legge assegni, affermando la

non liberatorietà del pagamento effettuato dalla banca trassata a persona diversa dal prenditore, indipendentemente dalla diligenza impiegata nel

l'identificazione del presentatore (tesi questa che, come noto, contrasta

in pieno con la lettura della norma offerta dalla consolidata giurispru denza della Corte di cassazione). In questo modo, infatti, si è ritenuto

di poter dare «indiretta» tutela — per vero a spese delle banche — ai

destinatari degli assegni non trasferibili, spediti a mezzo raccomandata

e mai arrivati a destinazione, perché sottratti in itinere da terzi e poi riscossi grazie a falsi documenti di identità.

Pur potendosi avanzare molti dubbi circa la legittimità di una interpre tazione cosi rigidamente letterale dell'art. 43 l.a. (cfr. da ultimo R. Le

ner, Assegno non trasferibile e ipotesi di pagamento a persona diversa

dal prenditore, in Foro it., 1986, I, 2891), va detto comunque che la

preoccupazione del tribunale romano non può non essere condivisa.

È da sperare che questa volta la Consulta ritenga sufficiente la motiva

zione in punto di rilevanza. Per non sbagliare, comunque, il quarto dei

provvedimenti in epigrafe (Trib. Roma 31 dicembre 1985) solleva la que stione di legittimità anche per gli art. 20, 91 e 96 d.p.r. 156, su cui si

fondano — come si è visto — le eccezioni di decadenza del ministero

delle poste. Va detto, infine, che qualcosa è cambiato negli ultimi anni nel sistema

di spedizione degli assegni (o vaglia), pur se tutto è rimasto immutato

per i rimborsi dell'i.r.p.e.f., che costituiscono certamente il momento di

maggior rilevanza del problema. Infatti il d.p.r. 10 febbraio 1984 n. 21 (modalità agevolative per la

riscossione dei titoli di spesa dello Stato) — innovando alla disciplina

del 1962, in precedenza osservata — prevede ora, all'art. 1, lett. c), l'e

stinzione del titolo di spesa mediante commutazione in vaglia cambiario

della Banca d'Italia non trasferibile, a favore del creditore, da spedirsi

al beneficiario in piego postale assicurato, salva diversa richiesta del cre

ditore, con spesa a carico del destinatario. In tal modo la «assicurata»

si sostituisce alla «raccomandata»: maggiori oneri postali ma anche mag

gior sicurezza.

Sulla stessa linea anche la nota n. 77624 del 10 luglio 1981 inviata

dal ministero del tesoro alla Banca d'Italia e riguardante i vaglia cambiari

non trasferibili emessi a fronte dell'estinzione dei titoli di spesa relativi

all'indennità di buonuscita E.n.p.a.s. Si prevede infatti che questi vaglia

siano recapitati «per assicurata», in quanto «forma di spedizione assog

gettata a controlli più rigorosi». In tal caso è comunque l'E.n.p.a.s. ad

assumersi le spese relative alla spedizione. II. - Si aggiungono a questa breve rassegna due provvedimenti del Pre

tore di Roma e del Conciliatore di Roma, che si segnalano per due ragio

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1015 PARTE PRIMA 1016

sabilità del ministero delle poste e telecomunicazioni, per i danni

causati dal mancato recapito di raccomandate con le quali siano

stati spediti vaglia cambiari, in riferimento agli art. 3 e 28 Cost.; che l'intervenuta avvocatura generale dello Stato, per il presi

dente del consiglio dei ministri, ha in primo luogo rilevato che

il collegio rimettente ha omesso di prendere in esame, nel giudi zio a quo, la preliminare «eccezione di decadenza» dedotta dal

convenuto ministero delle poste e telecomunicazioni, secondo il

quale il termine di sei mesi, previsto dagli art. 91 e 96, lett. f),

d.p.r. n. 156 del 1973 «per l'esperibilità dell'azione», sarebbe sta

to inutilmente lasciato decorrere dalla Brevaglieri. Considerato che si rende necessario che il giudice a quo integri,

in merito alla suddetta eccezione, la propria delibazione sulla ri

levanza, giacché la sollevata questione rimarrebbe priva di con

creta incidenza nel caso di accertamento della improponibilità

dell'azione; che pertanto (come già provveduto in analoga fattispecie con

sentenza n. 190 del 1984, Foro it., 1984, I, 2688) vanno restituiti

gli atti al tribunale rimettente.

Per questi motivi, la Corte costituzionale ordina la restituzione

degli atti al Tribunale di Roma.

II

(Omissis). A sostegno della sua tesi di merito l'amministrazio

ne appellata ha invocato gli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 156/73, in

forza dei quali, ferma essendo la generale esclusione di responsa bilità prevista dall'art. 6, essa amministrazione è tenuta, in caso

di perdita totale di corrispondenza raccomandata, al solo paga mento di un'indennità pari a dieci volte il diritto di raccomanda

zione (tab. 3, n. 1, d.p.r. 718/76 cui rinviano gli art. 28 e 48

d.p.r. 156/73), con esclusione di ogni forma di «risarcimento»

(art. 93 d.p.r. 156/73). 2. - L'eccezione di improponibilità della domanda, in quanto

non sarebbe stato inoltrato reclamo all'amministrazione delle po ste ai sensi dell'art. 20 d.p.r. n. 156/73, può ritenersi superata a seguito delle precisazioni dell'appellata che ha riconosciuto va

lido come «reclamo» la lettera raccomandata del 23 aprile 1980

prodotta dall'istituto appellante, con la quale questo la informò

della perdita, fra le altre, della raccomandata spedita alla Losito

in data 11 gennaio 1980; e, ciò, all'evidente scopo di sollecitare

un provvedimento dell'amministrazione ai sensi dell'art. 20 cita

to, i cui effetti, come quelli relativi alla proposizione del reclamo

da parte di uno solo degli interessati — stante la oggettiva unicità

del rapporto scaturito dall'evento di danno — erano estensibili

alla Losito, destinataria del plico raccomandato.

Una volta accertata la proponibilità della domanda e, sotto

tale profilo, la rilevanza della questione di legittimità costituzio

nale, non può sollevarsi di ufficio la stessa questione per la nor

ma appena citata che subordina l'esperimento dell'azione davanti

al giudice (e, quindi, l'accertamento della responsabilità dell'am

ministrazione) alla previa presentazione del reclamo: essendo, in

vero, incontroverso che, in concreto, il reclamo è stato presentato, la questione di costituzionalità concernente il disposto dell'art.

20 (con riferimento all'art. 24 Cost.) non avrebbe alcuna inciden

za nel giudizio in corso.

Il dubbio di costituzionalità, per quanto fin qui detto, non ri

guarda solo l'art. 6 d.p.r. 156/73, in ordine al quale l'appellante

principale denuncia il contrasto con l'art. 28 Cost., ma investe

anche le altre norme invocate dall'amministrazione postale (art.

28, 48 e 93 del d.p.r. 156/73) a sostegno del suo assunto circa

la esclusione o la limitazione della responsabilità; norme, tutte, che sono decisive ai fini della definizione del giudizio.

ni: a) perché dimostrano che il problema esiste anche per i pagamenti dell'E.n.p.a.s. e dell'I.n.a.i.l., in quanto anch'essi avvengono con le mo dalità in precedenza osservate; b) perché trovano la soluzione del proble ma — come altre volte il Tribunale di Roma (ma deve rammentarsi che la tesi è assolutamente minoritaria e contraria ad una giurisprudenza or mai consolidata della Corte di cassazione, risalente al 1968) — in una

interpretazione «rigida» dell'art. 43 l.a. In particolare il Conciliatore di

Roma, ritenendo la banca trattaria responsabile anche per colpa lieve nel pagamento, più che ad una interpretazione veramente «letterale» del l'art. 43 l.a., quale quella fatta propria dal Tribunale romano, sembra

riprendere la tesi sostenuta da Martorano, Pagamento di un assegno non trasferibile, in AA.VV., I titoli di credito, a cura di Pellizzi, Mila

no, 1980, 375. [R. Lener]

Il Foro Italiano — 1987.

Non può essere condivisa — ancora in tema di rilevanza della

questione di legittimità costituzionale — l'argomentazione addot

ta dalla banca appellante a sostegno della domanda principale di condanna dell'amministrazione postale.

Afferma la Banca d'Italia che sarebbero inapplicabili le norme

di esenzione di responsabilità per il fatto che l'amministrazione

sarebbe tenuta a rispondere in forza di un titolo specifico costi

tuito dall'illecito dei suoi dipendenti. Senza considerare che l'illecito, nel caso, è solo ipotizzabile

ma non dimostrabile sulla base di precisi elementi probatori (per

cui, l'affermazione al riguardo, contenuta nella sentenza impu

gnata non costituisce premessa logico-giuridica della decisione), è certo che la esclusione o limitazione di responsabilità espressa in termini assoluti ed incondizionati nelle norme in discussione

non consente deroghe di sorta; per cui, al sistema generale di

estensione della responsabilità allo Stato od all'ente pubblico o,

infine, al soggetto in genere dal quale l'autore dell'illecito dipen de (art. 28 Cost, e 2049 c.c.) si contrappongono le norme speciali in esame, volte ad escludere, a qualsiasi titolo (e, cioè, secondo

l'art. 93, anche per il caso di «perdita», per qualunque causa

o di «manomissione» — s'intende dolosa — degli oggetti ad essa

affidati), la responsabilità e, dunque, l'obbligo di «risarcimento»

(art. 93 cit.), che postula — è appena il caso di ricordarlo —

la commissione di fatto illecito (art. 2043 c.c.).

Né, su un opposto versante, può superarsi il dubbio di costitu

zionalità che investe le norme in esame seguendo l'orientamento

(v. Cass. 227/76, Foro it., Rep. 1976, voce Responsabilità civile, n. 87; 2107/74, id., Rep. 1974, voce cit., n. 78; 6934/82, id.,

Rep. 1982, voce cit., n. 90; 5333/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 75), secondo il quale sarebbe esclusa del tutto la responsabilità della p.a. in presenza del fatto illecito del dipendente che abbia

agito per fini personali e, per giunta, illeciti. Può al riguardo

rispondersi, ancora una volta, che l'illecito specifico del dipen dente non è stato nel caso in esame dimostrato. Ma, quand'anche ne risultasse acquisita la prova, sarebbe discutibile l'applicazione di tale principio al caso di specie, posto che l'illecito sarebbe sta

to commesso nell'esercizio di compiti assegnati al dipendente, sul

corretto espletamento dei quali sussiste l'obbligo di vigilanza del

la p.a., al fine di evitare che siano lesi diritti di terzi. In ciò,

del resto, va ricercato, tra l'altro, il fondamento logico dell'art.

28 Cost, che prevede l'estensione della responsabilità all'ammini

strazione per gli atti compiuti dai suoi dipendenti in violazione

dei diritti. 3. - La irresponsabilità dell'amministrazione postale per il dis

servizio in genere (art. 6 d.p.r. 156/73) e, dunque, anche per la

perdita, dovuta a qualsiasi causa, degli oggetti ad essa affidati,

postula, in primo luogo, un trattamento ingiustificabilmente spe

requato rispetto ad analoghe attività svolte da altri soggetti: il

vettore, nel comune contratto di trasporto, è responsabile (art. 1693 c.c.) della perdita e dell'avaria delle cose consegnategli «se

non prova»... il «caso fortuito», il quale non è, secondo la co

stante giurisprudenza (Cass. 4461/76, id., Rep. 1976, voce Tras

porto, n. 12; 3268/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25), ravvisabi

le nel semplice furto, occorrendo, invece, che la sottrazione delle

cose trasportate avvenga in modo violento ed in circostanze di

tempo e di luogo non prevedibili. Non deve indurre in errore il fatto che l'art. 96 d.p.r. 156/73

prevede come «dirimente di responsabilità», tra l'altro, il caso

di «forza maggiore».

Questa disposizione solo apparentemente equipara l'ammini

strazione al comune vettore, quanto alla esclusione di responsabi lità per caso fortuito o forza maggiore (le due ipotesi, sotto tale

profilo, si equivalgono, poiché entrambe attengono, ai sensi del

l'art. 1218 c.c., alla «impossibilità della prestazione derivante da

causa... non imputabile»). In realtà l'art. 96 d.p.r. 156/73 va

inteso come norma di chiusura nel senso che, ricorrendo, tra l'al

tro, la causa di forza maggiore, l'amministrazione non risponde

neppure entro i limiti simbolici previsti dagli art. 28 e 48 dello

stesso decreto presidenziale: il che è reso evidente dal disposto dell'art. 93 — al quale, per questo, è esteso il sospetto di incosti

tuzionalità — che, fatte salve le accennate indennità, esclude qual siasi obbligo di risarcimento dell'amministrazione.

Non può il sospetto di incostituzionalità delle norme suddette, sotto il profilo della sperequazione di trattamento del vettore pub blico rispetto a quello privato (art. 3 Cost.), essere superato so

stenendosi come ragionevole tale disparità sulla base delle

caratteristiche dell'amministrazione postale, particolarmente com

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

plessa ed articolata in vari settori: la prestazione del servizio po stale in un ambito contrattuale (v. Cass. 5750/78, id., Rep. 1978, voce Posta, n. 3) non può, invero, portare a ritenere giustificabi le una diversità di trattamento di rapporti che, invece, sotto il

profilo del rispetto dell'equilibrio contrattuale, ne postulano uno

uguale. Se poi si passa ad esaminare il caso specifico della perdita o

della manomissione (anche volontaria) di corrispondenza racco

mandata concernente gli art. 28, 48 e 93 d.p.r. 156/73, il sospet to di incostituzionalità delle norme che prevedono la simbolica

indennità dovuta dall'amministrazione, pari a dieci volte i diritti

di raccomandazione (tab. 3, n 1, d.p.r. 718/76) con esclusione

di ogni forma di «risarcimento», oltre ad interessare, ancora una

volta, il disposto dell'art. 3 Cost, per la diversità di trattamento

rispetto al comune vettore, tenuto, come si è visto, all'integrale risarcimento del danno se non prova, tra l'altro, il caso fortuito, si estende all'art. 28 Cost., in quanto, in contrasto con questa

norma, è grandemente limitata la responsabilità dell'amministra

zione per fatti commessi dai suoi dipendenti in violazione di diritti.

Richiamando il principio contrattuale del rapporto (v. Cass.

5750/78, cit.), questa corte osserva, in relazione al caso sottopo sto al suo esame, che non solo non è vietata la spedizione a mez

zo raccomandata di vaglia cambiari e di altri titoli all'ordine (l'art. 83 d.p.r. 156/73 limita il divieto ai preziosi ed alle carte valori

esigibili al portatore), ma è espressamente previsto che i titoli

di spesa dello Stato possano essere estinti mediante commutazio

ne in vaglia cambiari della Banca d'Italia non trasferibili «a favo

re della persona del creditore» (art. 1 d.p.r. 25 gennaio 1962 n.

71) da inviare al domicilio di quest'ultimo in piego raccomanda

to, se trattasi di importi superiori a lire 100.000 (art. 2 dello stes

so decreto). La 1. 23 ottobre 1962 n. 1575 dilata ulteriormente le indicate

modalità di pagamento ai casi in cui i creditori «non abbiano

espressamente richiesto il pagamento in contante o in una delle

forme agevolative previste dall'art. 1» del presente decreto presi denziale.

Un siffatto sistema di norme è tale da ingenerare ragionevole affidamento nell'utente, quanto alla sicurezza del servizio presta to dall'amministrazione postale; per cui non sembra risolutiva,

contro il sospetto di incostituzionalità delle norme escludenti (o

limitanti) la responsabilità, l'obiezione dell'amministrazione rela

tiva alla concreta possibilità che ha il mittente (Banca d'Italia) di evitare qualsiasi rischio ricorrendo all'assicurazione della corri

spondenza. Mal si concilia, infatti, non solo l'implicito riconosci

mento della congruità dell'uso della raccomandata (art. 83 d.p.r.

156/73) ma, in definitiva, la prescrizione in ordine a questo tipo di servizio (art. citati del d.p.r. n. 71 e della 1. 1575 del 1962)

con la proclamata irresponsabilità dell'amministrazione postale, nonché con l'incidenza del rischio di «perdita» del plico racco

mandato sul mittente, ovvero — per quanto si dirà rispetto al

caso di specie — sul destinatario.

Non è, a questo punto, evitabile il dilemma: o nei confronti

del vettore postale sorgono diritti, in analogia a quanto si verifica

nel comune contratto di trasporto (art. 1689 e 1693 c.c.), in capo al mittente ed al destinatario o, al contrario, nessun diritto è ipo tizzabile a favore di costoro.

Questa seconda soluzione potrebbe trovare il favore di chi con

sidera il rapporto al di fuori della struttura contrattualistica e

contraddistinto, invece, da una impronta pubblicistica con posi zione preminente della p.a.; rapporto nel quale, cioè, la volontà

del privato si esplicherebbe solo come domanda di prestazione di servizio pubblico.

Sarebbe, in ogni caso, ugualmente incomprensibile, nell'ambi

to di questa concezione, il solenne riconoscimento della libertà

ed inviolabilità della corrispondenza (art. 15 Cost.) qualora esso

fosse contraddetto da un implicito disconoscimento di qualsiasi concreto diritto dell'utente che intendesse avvalersi del servizio

di corrispondenza.

Se, invece, in aderenza alla prevalente dottrina e giurispruden

za, il rapporto si configura sulla già accennata base contrattuale

da cui scaturiscono diritti ed obblighi delle parti, si dimostra irra

gionevole che una di esse e, cioè, l'amministrazione, in caso di

violazione di un diritto dell'altra per effetto della «perdita» della

corrispondenza, dovuta oltre che a disservizio, anche a dolo o

colpa grave dei dipendenti, ecc., non sia tenuta a risponderne

mediante risarcimento del danno come, invece, prevede l'art. 28

Cost.

Il Foro Italiano — 1987 — Parte 1-61.

L'aperta violazione di questa norma si configura: a) nei con

fronti della banca mittente, chiamata a rispondere del danno su

bito dal privato destinatario o, in alternativa, ad accollarsi le spese dell'assicurata (salvo a trasferirle sul destinatario), mentre essa

in osservanza delle norme di legge, sopra richiamate, spedisce

per raccomandata il titolo di credito in cui è stato convertito l'or

dinativo di pagamento al beneficiario; b) nei confronti di que

st'ultimo, qualora, in relazione alle modalità di pagamento del

vaglia spedito dovesse escludersi — contrariamente a quanto rite

nuto nella sentenza impugnata ed in aderenza, invece, al consoli

dato orientamento della Suprema corte (v. sent. 2360/68, id., Rep.

1968, voce Titoli di credito, n. 202; 4525/78, id., Rep. 1978, voce

cit., n. 71; 5118/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 78; 686/83,

id., Rep. 1983, voce cit., n. 95) — la responsabilità della banca.

In più, rispetto al privato destinatario, che, nella specie, ha

esteso la sua domanda contro l'amministrazione — una volta che

fosse esclusa la responsabilità della banca — la soluzione di irre

sponsabilità della prima si dimostrerebbe ancor più irragionevole, sol che si pensi alla più debole posizione del privato che soppor terebbe il peso definitivo della perdita economica, anche nel caso — come quello di specie — in cui non abbia avuto un reale spa zio per interferire, quanto alla commutazione dell'ordinativo di

pagamento in titolo di credito e quanto alle modalità di spedizio ne del titolo, seguite, peraltro, dalla Banca d'Italia in osservanza

di norme di legge.

Ili

Costituendosi in giudizio, il ministero ha replicato affermando

che ogni sua responsabilità alla stregua delle disposizioni vigenti era da escludere posto che, per il combinato disposto di cui agli art. 6, 28, 48, 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156 (d'ora innanzi:

codice postale), in caso di perdita di una raccomandata esso è

tenuto al versamento di una indennità pari a dieci volte l'ammon

tare dei diritti di raccomandazione con esclusione di ogni risarci

mento ulteriore.

3. - La formulazione delle norme appena ricordate rende evi

dente, a giudizio di questo collegio, che con esse il legislatore non si è proposto di delimitare i casi in cui può accordarsi ai

privati un indennizzo per pregiudizi dipesi dall'esercizio di attivi

tà legittima della p.a., ma ha inteso invece circoscrivere entro

confini oltremodo ristretti la responsabilità della p.a. nell'espleta mento del servizio in questione.

Se cosi non fosse l'art. 93 già ricordato riuscirebbe del tutto

incomprensibile. La formulazione di questa disposizione, a diffe

renza di altre che pure in vario modo limitano la responsabilità della p.a. (v. ad es. l'art. 7 r.d. 18 giugno 1931 n. 773), è infatti

estremamente chiara e precisa. In essa, come si è posto già in

rilievo, si stabilisce che il ministero delle poste e telecomunicazio

ni — in caso di perdita, manomissione od avaria di oggetti ad

esso affidati — non è tenuta ad altro risarcimento oltre ad un'in

dennità che, nel caso delle raccomandate, è pari a dieci volte i

diritti di raccomandazione. I termini di «indennità» (o «indenniz

zo») e di «risarcimento» hanno infatti entrambi un significato

tecnico-giuridico ben preciso e profondamente diverso. Con il pri mo si designa soltanto quella forma di ristoro patrimoniale che

costituisce il compenso spettante a chi ha subito iure una perdita economica. Il secondo mira invece ad eliminare le conseguenze dannose di un atto illecito. Ciò posto, poiché è da presumere che i termini siano usati dal legislatore nel significato tecnico

giuridico che è loro proprio, non può non riconoscersi che la

norma in esame esclude ogni responsabilità della p.a. per i pre

giudizi economici derivanti da illeciti commessi nell'espletamento

del servizio.

L'esattezza di questa interpretazione, che è generalmente con

divisa in dottrina e giurisprudenza (Cass. 5 febbraio 1980, n. 801,

Foro it., Rep. 1980, voce Posta, n. 9; 26 novembre 1979, n. 6197,

id., Rep. 1979, voce cit., n. 5; 6 dicembre 1978, n. 5750, id.,

Rep. 1978, voce cit., n. 3), è avvalorata dalla formulazione di

altre disposizioni del codice postale (in particolare, dagli art. 6

e 96) e trova conforto nella tradizione legislativa che è stata sem

pre fondata sul principio dell'irresponsabilità dell'amministrazio

ne nell'espletamento del servizio in questione. È certo pertanto che l'amministrazione delle poste non assume

alcuna responsabilità per il mancato recapito di raccomandate ol

tre i ristretti limiti segnati dal citato art. 93. E questo, come si

dirà in seguito, anche nei casi in cui il ricorso a tale particolare

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1019 PARTE PRIMA 1020

forma di spedizione sia espressamente previsto da una norma di

legge. 4. - La difesa della Banca d'Italia prospetta però il dubbio

che le norme richiamate dal ministero delle poste (art. 6, 20, 28,

48, 91, 93 e 36, in particolare l'art. 6, che contiene l'enunciazione

in via generale del principio di irresponsabilità) siano costituzio

nalmente illegittime per violazione dell'art. 28 Cost.

Tali dubbi sono da condividersi per quanto attiene agli art.

6, 28, 48 e 93, esclusa invece ogni rilevanza per quanto attiene

alle altre norme, che prevedono l'onere del reclamo ed i termini

ed effetti del relativo assolvimento, dato che in nessun caso ne

risulterebbe rimossa l'eccezione sostanziale di limitazione di re

sponsabilità formulata dal ministero chiamato in causa.

La rilevanza dei dubbi formulati discende invece dal fatto che

essi investono norme (segnatamente gli art. 6, 48 e 93 del codice

postale) la cui applicabilità si profila come necessaria ai fini della

definizione del presente giudizio. Ad escludere la sussistenza di

tale requisito non varrebbe osservare, che, qualora si assumesse

che il mancato recapito del plico raccomandato sarebbe dipeso dall'illecita sottrazione di uno dei dipendenti, la irresponsabilità del ministero discenderebbe, prima ancora della norma appena richiamata, dai principi generali in tema di responsabilità della

p.a., i quali escluderebbero la riferibilità allo Stato, e più in ge nerale alle persone giuridiche, pubbliche o private che siano, de

gli atti dei dipendenti mossi da scopi strettamente personali o

comunque estranei ai fini istituzionali dell'ente. 5. - Il problema della responsabilità, contrattuale o extracon

trattuale, delle persone giuridiche per gli atti illeciti dei loro ad

detti è tuttora aperto e non è stato dunque risolto in modo

soddisfacente. Si afferma comunemente che tali enti rispondono a titolo di responsabilità diretta e questo perché ad essi, per il

principio di immedesimazione organica, andrebbero imputati non solo gli effetti ma anche gli atti che tali effetti producono, com

piuti dalle persone fisiche nello svolgimento della loro attività. Muovendo da tale concezione (che ha il torto di essere legata ad una eccessiva materializzazione del fenomeno della persona giuridica) si assume che la riferibilità sarebbe esclusa quando la

persona fisica titolare dell'organo abbia agito con dolo o comun

que per finalità estranee a quelle dell'ente (Cass. 12 luglio 1965, n. 1440, id., Rep. 1965, voce Responsabilità civile, n. 98; 21 giu gno 1974, n. 1835, id., Rep. 1974, voce Impiegato dello Stato, n. 77). Ciò perché l'attività del funzionario per essere direttamen te imputata alla persona giuridica dovrebbe essere rivolta al per seguimento dei fini istituzionali della medesima.

È chiaro però che, cosi' argomentando, si vengono a collocare

gli enti forniti di personalità giuridica in una posizione di singola re vantaggio rispetto agli individui persone fisiche ed alle altre

organizzazioni non personificate.

Questi ultimi infatti rispondono del fatto doloso commesso dai

propri ausiliari nell'esercizio delle proprie incombenze. Mentre,

per quanto si è detto, in detta ipotesi la responsabilità della per sona giuridica dovrebbe essere esclusa.

Ma questa distinzione non ha alcun fondamento in diritto po sitivo. Gli art. 1228 e 2049 c.c. che regolano in via generale la

responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per fatto degli au siliari nulla dispongono al riguardo.

E sarebbe vano cercare nel nostro ordinamento una norma o un principio che sancisce tale forma di singolare privilegio per gli enti dotati di personalità. L'opinione criticata costituisce una ulteriore prova delle incongruenze cui può condurre una troppo rigida applicazione del dogma tradizionale della persona giuridi ca, alla stregua del quale l'ente personificato va concepito come un soggetto di diritto assimilabile in tutto alle persone fisiche.

6. - In realtà la normativa concernente le persone giuridiche è sempre risolubile in norme riguardanti relazioni tra uomini. La

soggettività dell'ente personificato non è infatti fine a se stessa, in quanto le situazioni giuridiche soggettive che ad esso sono im

putate sono destinate poi a trasferirsi, attraverso le norme del

l'organizzazione interna, e questa volta definitivamente, in capo ad individui persone fisiche.

Ma se questo e non altro costituisce l'essenza della personalità giuridica, manca ogni valido motivo per ritenere che la responsa bilità civile degli enti personificati debba essere diversamente co struita e, quel che più conta, diversamente disciplinata da quella delle persone fisiche e delle altre organizzazioni sfornite di perso nalità giuridica.

Non vi è quindi motivo per escludere che una persona giuridica

Il Foro Italiano — 1987.

debba rispondere del fatto doloso di un suo addetto quando l'il

lecito sia stato commesso nell'esercizio delle incombenze che al

medesimo sono affidate (Cass. 24 settembre 1977, n. 4069, id.,

1978, I, 436; 23 gennaio 1978, n. 292, id., Rep. 1978, voce Ban

ca, n. 40). L'esattezza di quest'ultima conclusione è ulteriormente avvalo

rata con riferimento allo Stato e agli enti pubblici dalla presenza nel nostro ordinamento dell'art. 28 Cost, il quale, dopo aver af

fermato che i funzionari e i dipendenti pubblici sono direttamen

te responsabili «degli atti compiuti in violazione dei diritti», statuisce «che in tali casi» la responsabilità civile «si estende allo

Stato e agli enti pubblici». La formulazione della norma è tale da escludere ogni discrezio

nalità del legislatore nella disciplina della responsabilità dello Stato e da far ritenere, pertanto, che ove sia responsabile il pubblico

funzionario, ivi debba esserlo anche lo Stato o l'ente pubblico dal quale dipende (Corte cost. n. 2 del 1968, id., 1968, I, 585). E questo in aderenza al canone ermeneutico per il quale nel dub bio deve prevalere quella interpretazione della legge che sia in

armonia e non in contrasto con le norme costituzionali, non può non indurre a superare ogni residua perplessità in ordine alla rife ribilità allo Stato ed agli enti pubblici degli atti illeciti, anche se penalmente rilevanti, dei loro dipendenti.

7. - Pertanto, anche se dovesse accertarsi che il mancato reca

pito del plico raccomandato sia dipeso dal fatto criminoso di uno

degli addetti all'amministrazione delle poste, non per questo ver rebbe meno la rilevanza dei dubbi circa la legittimità costituzio nale delle norme del codice postale che disciplinano (o per meglio dire escludono) la responsabilità della p.a. in caso di mancato

recapito di una raccomandata.

Può così passarsi all'esame della non manifesta infondatezza, tenendo presente che in questa sede l'esame va circoscritto ad una prima sommaria delibazione, essendo riservata ogni più ap profondita verifica circa la sussistenza delle ragioni di incostitu zionalità alla cognizione della Corte costituzionale.

8. - La singolare disciplina in esame (che costituisce un aspetto del più generale principio di irresponsabilità dell'amministrazione

postale) si ricollega storicamente ad un'epoca nella quale il servi zio era concepito come un pubblico privilegio, ma certamente mal si concilia con il principio generale che in uno Stato di diritto lo Stato medesimo, al pari di ogni altro soggetto, non può esi

mersi, in linea di massima, dal rispondere dei danni che arreca ai privati.

9. - Il codice postale non vieta l'inclusione di titoli all'ordine o nominativi nelle corrispondenze raccomandate.

L'art. 83 limita infatti il divieto ai preziosi e alle carte valori

esigibili al portatore. Già questa previsione potrebbe legittimare dei dubbi in ordine alla congruità di una disciplina con la quale lo Stato da un lato acconsente a provvedere al recapito di detti titoli (alcuni dei quali, basti pensare agli assegni circolari, vengo no ormai comunemente accettati come mezzi di pagamento) e dall'altro pretende di sottrarsi ad ogni forma di responsabilità derivante dal loro smarrimento, tale non potendo considerarsi, ovviamente, quella meramente simbolica rappresentata dall'ob

bligo di versare l'indennità prevista dall'art. 28. Le perplessità aumentano ove si consideri che alcune disposi

zioni di legge prevedono espressamente l'invio a mezzo racco mandata di detti titoli. Si tratta, in particolare, di quelle norme le quali dispongono che i titoli di spesa dello Stato siano estinti mediante «commutazione» in vaglia cambiari della Banca d'Italia non trasferibili da rinviare al domicilio del creditore in piego rac comandato se di importo superiore a lire 100.000 (art. 1 e 2 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71, art. unico 1. 23 ottobre 1962 n. 1575, art. 1 1. 31 maggio 1977 n. 247) prevedendo altresì che dal mo mento dell'emissione dei vaglia cambiari il debito dello Stato è estinto.

La commutazione, che in primo tempo (art. 1 d.p.r. n. 71 del

1962) era stata subordinata ad una richiesta scritta del creditore, è stata via via prevista come facoltà degli uffici ordinatori (1. n. 1575 del 1962) e come mezzo di pagamento direttamente previ sto dalla legge (art. 1 1. 31 maggio 1977 n. 247).

10. - Se dette disposizioni vengono collegate con quelle, già esaminate, che sanciscono l'irresponsabilità dell'amministrazione

postale per il mancato recapito delle raccomandate, appare evi dente che si è cosi realizzato un sistema che sottrae lo Stato debi tore ai rischi concernenti il mancato soddisfacimento del creditore.

Il rischio viene cosi ad essere accollato al creditore medesimo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ed alla banca incaricata di emettere il vaglia e di provvedere al

suo pagamento. Sono note al riguardo le dispute, dottrinali e

giurisprudenziali, circa la liberatorietà dei pagamenti di assegni non trasferibili effettuati a persona diversa dal prenditore.

Secondo un orientamento, il pagamento dell'assegno sarebbe

liberatorio per la banca emittente se effettuato senza dolo o colpa

grave.

Questo collegio con reiterate decisioni ha ritenuto di non acco

gliere detta interpretazione sul rilievo che il coordinamento tra

l'art. 1992 c.c. e l'art. 43 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736 consente

di affermare che il pagamento di un assegno non trasferibile non

è mai liberatorio per chi lo effettua (sentenza 7 giugno 1980, Ven

tura c. Banca d'Italia, id., 1980, I, 2016; 10 luglio 1980, Riva

c. Banca d'Italia, id., 1981, I, 275; 26 novembre 1980 Massicci

c. Banca d'Italia, inedita, e altre). Il destinatario viene cosi ad

essere tutelato. Ma è evidente che anche seguendo questa inter

pretazione l'irresponsabilità dell'amministrazione postale non si

giustifica. Riesce difficile comprendere, infatti, perché la banca

incaricata di emettere l'assegno e di spedirlo per raccomandata

in ottemperanza a precise disposizioni di legge, debba poi assu

mersi anche il rischio del mancato recapito del plico al destinatario.

11. - Di qui il dubbio che gli art. 6, 28, 48 e 93 del codice

postale, i quali — nel loro combinato disposto — prevedono che

in caso di perdita di corrispondenza raccomandata l'amministra

zione postale sia tenuta al versamento di una indennità pari a

dieci volte l'ammontare dei diritti di raccomandazione (tabella

3, n. 1, d.p.r. 12 ottobre 1976 n. 718) con esclusione di ogni altra forma di «risarcimento» siano — in relazione a quanto di

sposto dall'art. 2 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71, dall'art, unico

1. 23 ottobre 1962 n. 1575, dall'art. 1 1. 31 maggio 1977 n. 247

sulla commutazione dei titoli di spesa dello Stato in vaglia cam

biari della Banca d'Italia — in contrasto con il principio di vigi lanza davanti alla legge sancito nell'art. 3, 1° comma, Cost.

Detto principio ha ormai assunto il valore di una clausola ge nerale che consente di controllare la legittimità costituzionale del

le leggi e degli atti aventi forza di legge, verificando non solo

che in essi non operino discriminazioni espressamente vietate (e cioè distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opi nioni politiche, ecc.), ma anche la ragionevolezza della disciplina

dettata, da controllare valutando concretamente l'adeguatezza dei

motivi che hanno indotto il legislatore ordinario a differenziare

(o ad equiparare) il trattamento giuridico di determinate situazio

ni. Orbene, anche a voler ammettere che, pur essendo l'ammis

sione al godimento del medesimo strutturato ormai dalla legge come contratto (Cass. 6 dicembre 1978, n. 5750, cit.), le peculia rità del funzionamento e della organizzazione del servizio postale siano tali da giustificare un regime di responsabilità della p.a e

dei suoi concessionari differenziato rispetto a quello stabilito in

via generale dal codice civile, è fortemente dubbio che dette pecu liarità possano far ritenere «ragionevole» l'esonero dell'ammini

strazione postale da ogni responsabilità anche con riferimento al

mancato recapito di raccomandate previste dalla legge come mez

zo di trasmissione di vaglia cambiari nei quali siano stati commu

tati titoli di spesa dello Stato.

In relazione a tale ipotesi, infatti, non potrebbe neppure affer

marsi, che, in definitiva, l'irresponsabilità dall'amministrazione

è fondata sulla accettazione delle modalità del servizio dell'uten

te, essendo quest'ultimo tenuto per legge ad avvalersene. Nulla

sta ad indicare che, nel sistema del codice postale, l'irresponsabi lità dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni costitui

sca il riflesso di quella degli addetti. Se cosi è, non manifestamente

infondato appare altresì il dubbio che gli art. 6, 28, 48 e 93 del

codice postale contrastino — nei limiti sopra precisati — anche

con l'art. 28 Cost., il quale esige che là dove sia responsabile il funzionario o dipendente debba esserlo negli stessi limiti lo Sta

to (Corte cost. n. 2 del 1968 cit.). Se poi dovesse ritenersi che

l'irresponsabilità del ministero delle poste e telecomunicazioni si

estenda anche ai dipendenti, sarebbe allora prospettabile il dub

bio che le norme in esame contrastino — oltre che con l'art.

3, 1° comma, per le ragioni indicate — anche con l'art. 113 Cost.,

che vieta l'esclusione e la limitazione della tutela giurisdizionale

dei diritti nei confronti della p.a.

Invero, pur dovendosi riconoscere che detta disposizione ha una

portata eminentemente processuale appare indubitabile che essa

comporti il divieto, per il legislatore ordinario, di porre norme

Il Foro Italiano — 1987.

limitatrici di responsabilità che sottrarrebbero determinati atti o

comportamenti al sindacato giurisdizionale. (Omissis)

IV

Fatto e diritto. — Con sentenza 6 ottobre - 9 novembre 1982

questo tribunale, in accoglimento della domanda proposta da Ana

nia Morelli Carmela condannava la Banca d'Italia al pagamento della somma di lire 644.115 portata dal vaglia cambiario non tras

feribile, emesso dalla Banca d'Italia - tesoreria provinciale di Mi

lano in pagamento dello stipendio della dipendente del provvedi tore degli studi di Milano (in virtù di provvedimento di

commutazione del titolo di spesa) quindi pagato a persona diver

sa, falsamente qualificatasi per l'Anania presso gli sportelli della

sede centrale della Banca d'Italia in Roma. Avendo la banca chiesto

ed ottenuto di chiamare in garanzia il ministero delle poste e tele

comunicazioni per il mancato recapito del plico postale racco

mandato con cui era stato spedito il vaglia, sull'eccezione del

chiamato d'irresponsabilità dell'amministrazione delle poste e te

lecomunicazioni ai sensi degli art. 6, 28 e 93 d.p.r. 29 marzo

1973 n. 156 (codice postale), questo tribunale con ordinanza in

pari data, disposta la separazione della causa promossa dall'Ana

nia nei confronti della banca da quella instaurata da quest'ultima nei confronti del ministero, dichiarava rilevante e non manifesta

mente infondata la questione della legittimità costituzionale in

riferimento agli art. 3, 28 e 113 Cost, degli articoli invocati dal

ministero nella parte in cui stabiliscono che l'amministrazione delle

poste e telecomunicazioni non è tenuta a nessuna forma di risar

cimento oltre all'indennità prevista dall'art. 28 del codice postale nei casi di mancato recapito di plichi raccomandati.

Trasmessi gli atti relativi alla corte, quest'ultima, con riferi

mento all'eccezione dell'avvocatura dello Stato, intervenuta per il presidente del consiglio dei ministri, di mancata pronuncia sul

la questione della improponibilità, per decadenza, della domanda

avanzata nei suoi confronti dalla banca in difetto dell'esperimen to del previo reclamo in via amministrativa, ordinava la restitu

zione degli atti al giudice di provenienza perché verificasse

pregiudizialmente la proponibilità, osservando che soltanto nell'i

potesi affermativa avrebbero potuto trovare applicazione le nor

me delimitative della responsabilità della p.a. con conseguente incidenza attuale e non meramente eventuale della sollevata que stione di costituzionalità nel procedimento.

Nella prosecuzione del giudizio la banca, deducendo che la rac

comandata era stata spedita dalla filiale di Milano il 21 dicembre

1978 mentre la citazione nel procedimento promosso dall'Anania

le era stata notificata soltanto il 4 dicembre 1980 (cosicché era

venuta a trovarsi nell'impossibilità di proporre il reclamo nel ter

mine di sei mesi dall'impostazione stabilito dall'art. 91 cod. po

stale) e che tempestivamente con la comparsa 17 settembre 1982

essa aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 20, 91, 48 e 96, lett.,/), codice postale reiterava formale ecce

zione di incostituzionalità delle norme per contrasto con gli art.

3, 24, 28 e 113 Cost, e chiedeva che gli atti fossero rimessi alla

corte per l'esame congiunto di quest'ultima questione con quella sostanziale relativa alla irresponsabilità dell'amministrazione.

Orbene, ai fini della rilevanza di entrambe le questioni è neces

sario indagare su due fondamentali quesiti posti dall'avvocatura

che in primo luogo dubita dell'applicabilità della 1. 23 ottobre

1962 n. 1575 disciplinante la commutazione in vaglia cambiari

della Banca d'Italia non trasferibili dei titoli di spesa come facol

tà dello Stato, per difetto di emanazione del decreto del ministero

del tesoro che ne avrebbe dovuto determinare le modalità; in se

condo luogo deduce il trasferimento a carico del creditore desti

natario del rischio della spedizione del vaglia a mezzo piego postale raccomandato per effetto della richiesta di commutazione (art. 2 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71 e art. 314, 5° comma, r.d. 23

maggio 1924 n. 827) cosicché, seguendo l'assunto del ministero,

si dovrebbe in definitiva configurare il difetto di interesse ad agi

re della banca e, quindi, l'irrilevanza delle questioni di costituzio

nalità.

Sul primo punto osserva il collegio che la commutazione come

facoltà degli uffici ordinatori di spesa, è stata riconosciuta in via

generale della 1. n. 1575 del 1962 e l'attribuzione della relativa

potestà deve ritenersi immediatamente operante essendo deman

dato al ministero del tesoro soltanto il compito di disciplinarne le modalità. Si aggiunga, inoltre, che successivamente la commu

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Page 8: ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n. 61); Pres. La Pergola, Rel. Borzellino; Brevaglieri c. Min. poste e telecomunicazioni;

1023 PARTE PRIMA 1024

tazione è stata disciplinata dal legislatore del 1977 (art. 1 1. 31

maggio 1977 n. 247) come mezzo di pagamento direttamente pre visto dalla legge.

Sul secondo punto sono noti i contrasti dottrinali e giurispru denziali sulla liberatorietà per la banca emittente dei pagamenti

dei titoli non trasferibili effettuati a persona diversa dal prendito

re, affermata da alcuni per l'ipotesi di pagamento eseguito senza

dolo o colpa grave. Al riguardo questo tribunale ha ripetutamen te escluso la liberatorietà (sentenze 7 giugno 1980, Ventura e/

Banca d'Italia, Foro it., 1980, I, 2016; 14 luglio 1980, Riva c/

Banca d'Italia, id., 1981, I, 275). È infatti agevole osservare che per effetto del provvedimento

amministrativo di commutazione dei titoli di spesa dello Stato,

la Banca d'Italia delegata assume in proprio l'obbligazione di pro

mettere il pagamento attraverso l'emissione del titolo di credito

cartolare ed astratto, e ciò comporta da un lato l'estinzione del

l'obbligazione dello Stato (art. 1 d.p.r. n. 71 del 1962) e il venir

meno della legittimazione del creditore di agire per il pagamento nei confronti della p.a. e dall'altro l'obbligo della banca delegata di adempiere esattamente la prestazione attraverso il tras

ferimento della somma nella sfera patrimoniale del beneficiario.

Ciò è giustificato dalla natura del vaglia cambiario, che ha la

struttura e la funzione sostanziale dell'assegno circolare il quale,

se emesso con la clausola «non trasferibile», non può essere pa

gato se non al creditore, rispondendo del pagamento colui che

paga a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario

per l'incasso (art. 87 e 43 n. 1736 del 1933). Le disposizioni cita

te, infatti, in deroga al principio generale posto dall'art. 1992

c.c., comportano che l'erroneo pagamento a favore di persona

diversa, che sia venuta in possesso del vaglia spedito a mezzo

piego postale raccomandato, non integra il soddisfacimento del

creditore nel cui possesso materiale il titolo non sia mai pervenu

to, e ciò al fine di garantire il prenditore dai rischi della circola

zione e di assicurargli la più rigorosa tutela. Né potrebbe

argomentarsi diversamente per il semplice rilievo che il d.p.r. n.

71 del 1962, allorché pone a carico del destinatario le spese po

stali, detta norme di organizzazione squisitamente amministrativa

e contabile in tema di riscossione dei titoli di spesa dello Stato,

senza derogare alla disciplina sostanziale sopra richiamata, cosic

ché non può ritenersi trasferito a carico del creditore destinatario

del plico il rischio della spedizione e, in definitiva, il rischio della riscossione del credito.

È infine evidente che la rilevanza delle questioni di costituzio

nalità nel procedimento in esame non può ritenersi venuta meno

per effetto dell'entrata in vigore del d.p.r. 10 febbraio 1984 n.

21 il quale all'art. 1, lett. c), statuisce che la spedizione di vaglia cambiari emessi in commutazione va effettuata in piego postale

assicurato, operando la norma soltanto per il futuro e non inve

stendo i rapporti giuridici preesistenti. Tanto premesso, ai fini specifici della rilevanza della prima que

stione concernente le norme limitative della tutela giurisdizionale nei confronti della p.a. (art. 20, 91, 96, lett. /, cod. postale) nella

parte in cui stabiliscono a) che i reclami in via amministrativa

per le corrispondenze raccomandate devono essere presentati en

tro sei mesi dalla data di impostazione; b) che l'amministrazione

è liberata da ogni responsabilità per la perdita di oggetti racco

mandati quando il mittente non abbia presentato il detto recla

mo, osserva il collegio che la Banca d'Italia lamenta in primo

luogo di essersi trovata senza sua colpa nell'impossibilità di pre sentare il reclamo amministrativo nel termine e poi che, per un

fatto a lei non addebitabile, l'amministrazione è liberata da ogni

responsabilità sicché essa non può avvalersi né della tutela ammi

nistrativa né della tutela della giurisdizione ordinaria.

Ebbene l'eccezione di incostituzionalità cosi prospettata si ap

palesa non manifestamente infondata in relazione ai principi di

uguaglianza di fronte alla legge e di generale tutelabilità dei dirit

ti soggettivi. La norma di cui all'art. 91 cod. postale pone invero

l'amministrazione in una posizione di particolare privilegio allor

ché dispone che il termine perentorio di decadenza per la presen tazione del reclamo in via amministrativa decorre dalla data della

spedizione della raccomandata indipendentemente dalla conoscenza

e conoscibilità da parte dell'avente diritto del determinarsi della

situazione generatrice della facoltà di reclamo.

Il meccanismo predisposto dalla norma, in realtà, si risolve in

una degenerazione dell'istituto della decadenza, atteso che esso

trascura ogni elemento obiettivo che valga a legittimare l'estin

zione del diritto e ciò in contrasto con il principio per il quale

Il Foro Italiano — 1987.

la sanzione è giustificata dal mancato compimento di determinati

atti in un termine collegato alla percepibilità dell'insorgere del

diritto di una determinata situazione giuridica (es. art. 1495 c.c.).

La decadenza, infatti, prescinde dalle circostanze soggettive ed

obiettive, dalle quali sia dipeso l'inutile decorso del tempo (art. 2964 c.c.) ma non dalla responsabilità del titolare per l'inerzia

nell'esercizio del diritto.

Del pari attribuiscono all'amministrazione una situazione di par

ticolare privilegio le norme di cui agli art. 20, 48 e 96, lett. f),

cod. postale allorché, sancendo la sua liberazione da ogni respon sabilità per la perdita di oggetti raccomandati in difetto di recla

mo amministrativo, comportano in definitiva l'inammissibilità della

tutela amministrativa (per l'ipotesi, ad esempio, di meri disguidi)

e poi l'inammissibilità della tutela dei diritti dell'utente dinanzi

agli organi della giurisdizione ordinaria.

Ebbene, la decadenza, cosi come disciplinata dalla norma di

cui all'art. 91 cod. postale e le limitazioni ed esclusioni della tute

la giurisdizionale di diritti soggettivi perfetti sollevano gravi dub

bi sul contrasto delle norme in esame con il principio di uguaglianza davanti alla legge (art. 3 Cost.), in virtù del quale sono soggetti al controllo di legittimità costituzionale quelle leggi e quegli atti

aventi forza di legge che operino discriminazioni espressamente vietate in difetto di adeguati motivi idonei a giustificare il parti colare trattamento giuridico di determinate situazioni, nonché con

il principio previsto dal combinato disposto degli art. 24 e 113

Cost, per il quale la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi non può soffrire esclusioni o limitazioni che ne rendano impossi bile o difficile l'esercizio (Corte cost. 31 marzo 1961, n. 21, id.,

1961, I, 561; 16 maggio 1968, n. 48, id., 1968, I, 1386). L'esi stenza di un diritto implica, infatti, la possibilità di farlo valere

con i mezzi offerti in generale dall'ordinamento (Corte cost. 22

dicembre 1961, n. 70, id., 1962, I, 13) e la protezione giurisdizio nale può essere assoggettata ad oneri e modalità particolari o ter

mini solo per evitare abusi e per finalità superiori ed a condizione

che il suo esercizio non sia reso a tal punto difficile da pregiudi care concretamente o addirittura vanificare la domanda di giusti zia (Corte cost. 16 maggio 1968, n. 48 cit.; 13 dicembre 1972,

n. 136, id., 1972, I, 3006). Né infine la disciplina restrittiva previ sta dal codice postale appare obbedire a criteri di ragionevolezza,

palesemente evidenti invece nel caso esaminato dalla Corte costi

tuzionale che con la sentenza 4 giugno 1964, n. 47 (id., 1964,

I, 1334) individua l'interesse superiore dell'I.n.p.s. di eliminare

tempestivamente ogni incertezza sul diritto del privato a conse

guire la pensione (in considerazione delle manifeste esigenze di

carattere sociale e delle esigenze finanziarie dell'istituto), giustifi

cante l'imposizione del termine breve per il reclamo amministra

tivo previsto quale presupposto processuale per l'esperibilità dell'azione giudiziaria.

Appaiono, pertanto, non manifestamente infondati i dubbi sulla

legittimità costituzionale degli art. 20, 91 e 95, lett. f), cod. po

stale la cui eventuale ritenuta incostituzionalità renderebbe attua

le e concreta la rilevanza della seconda questione, relativa alla

legittimità costituzionale delle norme previste dagli art. 6, 28, 48

e 93 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, in riferimento agli art. 3, 28

e 113 Cost., già prospettata da questo tribunale con l'ordinanza

6 ottobre - 9 novembre 1982, le cui argomentazioni vengono qui

tutte richiamate.

Al riguardo, al fine di fornire ulteriori elementi alla corte, è

utile rilevare che la Banca d'Italia con la nota 25 gennaio 1980

(in atti) comunicò all'amministrazione delle poste e telecomunica

zioni il mancato ricevimento di numerosi titoli impostati e mai

giunti ai rispettivi beneficiari e l'avvenuta negoziazione di alcuni

di essi in frode in diverse zone d'Italia, sollecitando l'acquisizio

ne di ogni elemento atto ad identificare i responsabili. A confor

to del suo assunto la banca ha allegato sentenza del Tribunale

penale di Roma in data 10 aprile 1981, ined., con la quale alcuni

dipendenti dell'amministrazione delle poste sono stati condannati

per il reato di falso e truffa per essersi appropriati, previa altera

zione di documenti di riconoscimento, di numerosi titoli di credi

to consegnati in buste e destinati alla distribuzione.

Da ciò l'eccezione di incostituzionalità delle norme che, non

delimitando i casi in cui può accordarsi agli utenti un indennizzo

per inconvenienti dipesi dall'esercizio di attività legittima della

p.a., in definitiva escludono ogni responsabilità della stessa nel

l'espletamento del servizo postale, sia per l'ipotesi in cui il disser

vizio sia dipeso da un fatto lecito, sia per l'ipotesi in cui sia dipeso

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

da fatto illecito dei suoi dipendenti, produttivo di un pregiudizio economico.

Una simile situazione di privilegio, in effetti palesemente in

contrasto con le norme di cui agli art. 3 e 113 Cost., non ha

alcun fondamento nel diritto positivo come è stato rilevato nel

l'ordinanza richiamata, nulla stabilendo in proposito gli art. 1228

e 2049 c.c., che disciplinano in generale la responsabilità contrat

tuale ed extracontrattuale per fatto degli ausiliari; è altresì palese il contrasto con la norma di cui all'art. 28 Cost., che estende

allo Stato e agli enti pubblici la responsabilità civile in riverbero

della responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti secondo

le leggi penali, civili e amministrative, per atti compiuti in viola

zione dei diritti. L'irresponsabilità della p.a. dà luogo poi ad una ulteriore di

scriminazione per il fatto che pur in presenza di diritti, quali i

diritti al risarcimento del danno provocato da inadempimento (art.

83), viene a determinarsi una sostanziale immunità dell'ammini

strazione dal controllo giurisdizionale, essendo essa esonerata an

che dall'onere processuale di dimostrare che la perdita sia stata

provocata da un fatto illecito dei suoi funzionari o dipendenti nell'esercizio delle loro mansioni, da caso fortuito, forza maggio

re, ecc., ovvero da un fatto illecito da agente compiuto esorbitan

do dalla sfera delle attribuzioni oggetto del rapporto organico e di servizio; onere probatorio invece rilevante ai fini della valu

tazione della responsabilità per l'inadempimento dell'obbligazio ne (di trasporto) e recapito del plico raccomandato al destinatario.

È noto infatti che secondo il più recente indirizzo dottrinale

e giurisprudenziale (Cass. n. 5750 del 1978, id., Rep. 1978, voce

Posta, n. 3) il rapporto che si costituisce tra l'utente e l'ammini

strazione è di natura contrattuale e ciò aggrava i dubbi sulla le

gittimità delle norme che in definitiva liberano la contraente dalle

conseguenze dell'inadempimento attraverso la previsione indiscri

minata di una prestazione indennitaria di natura meramente ripa ratoria anche per l'ipotesi del verificarsi di un danno

economicamente rilevante da fatto doloso e colposo, cosa che

realizza in sostanza l'esclusione della tutela giurisdizionale del di

ritto al risarcimento dei danni da inadempimento, diritto e tutela

riconosciuti in via generale dall'ordinamento.

Né infine può legittimamente argomentarsi, come sostiene l'av

vocatura che la banca aveva la possibilità di scelta tra la spedizio ne per raccomandata e quella per assicurata atteso che norme

per essa vincolanti (l'art. 1 d.p.r. 25 gennaio 1962 n. 71 recepita nell'art. 533 delle istruzioni generali per il servizio di tesoreria

approvate con d.m. del ministero tesoro 15 dicembre 1972) pre scrivevano all'epoca dei fatti la spedizione raccomandata, né la

banca per i principi regolatori della responsabilità contabile avrebbe

potuto agire diversamente o recuperare le maggiori spese della

spedizione per assicurata. (Omissis)

V

Motivi della decisione. — (Omissis). Ciò che l'I.n.a.i.l. deduce ed oppone alla domanda del ricorrente nei suoi confronti, non

è il pagamento, bensì' l'estinzione del proprio debito in conse

guenza di una fattispecie estintiva diversa da quella del pagamen to. L'istituto richiama al riguardo l'art. 22 del regolamento per la classificazione delle entrate e delle spese e per l'amministrazio

ne e la contabilità degli enti pubblici di cui alla 1. n. 70 del 1975,

approvato con d.p.r. 18 dicembre 1979 n. 696, secondo cui «Gli

enti possono disporre, su richiesta scritta del creditore con espressa annotazione sui titoli, che i mandati di pagamento siano estinti

mediante:... b) commutazione in vaglia cambiario o in assegno circolare non trasferibile, all'ordine del creditore... Le dichiara

zioni di... commutazione, che sostituiscono la quietanza del cre

ditore, devono risultare sul mandato di pagamento da annotazione

recante gli estremi relativi alle operazioni ed il timbro del tesorie

re o cassiere».

Al riguardo il pretore osserva che alla tesi dell'I.n.a.i.l. si con

trappongono i seguenti dati, ciascuno dei quali è autonomamente

decisivo: a) la norma riguarda l'estinzione dei mandati di paga mento e non l'estinzione dei debiti; b) per la sua operatività è

necessaria la richiesta scritta del creditore, che qui non risulta;

c) la dichiarazione di commutazione sostituisce la quietanza (inte sa come documento giustificativo) e non il pagamento; d) la nor

ma di cui all'ultimo comma dell'art. 22 riguarda la disciplina della

contabilità e non i rapporti con i terzi; e) né potrebbe regolare

Il Foro Italiano — 1987.

rapporti con i terzi derogando validamente alle norme di legge, data la natura regolamentare della norma stessa.

L'I.n.a.i.l. richiama peraltro — per analoghi effetti — l'art.

77 del medesimo regolamento secondo cui «per quanto non pre visto dalle disposizioni del presente decreto, si applicano, ove pos

sibile, le norme della legge e del regolamento per l'amministrazione

del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato». In base

a tale rinvio — sostiene l'istituto — trova applicazione l'art, uni

co della 1. 23 ottobre 1962 n. 1575 sulla estinzione dei debiti dello

Stato mediante commutazione dei titoli di spesa in vaglia cambia

ri non trasferibili della Banca d'Italia, secondo cui, qualora i cre

ditori non abbiano espressamente richiesto il pagamento in contante

o in un'altra delle forme agevolative previste dall'art. 1 d.p.r. 71/62 gli uffici ordinatori hanno la facoltà, nei limiti e con le

modalità stabilite dal ministro del tesoro, di disporre la commu

tazione degli ordinativi in vaglia cambiari non trasferibili della

Banca d'Italia, che vengono spediti dalle tesorerie dello Stato al

l'indirizzo dei creditori, con spese a carico delle amministrazioni

statali interessate; l'emissione di tali vaglia cambiari estingue il

debito dello Stato».

La norma suddetta appare effettivamente configurare la com

mutazione/emissione come fattispecie estintiva del debito; ma non

certo del credito corrispondente, al quale, a seguito della commu

tazione/emissione fa fronte il debito della Banca d'Italia.

La norma di rinvio invocata dalla difesa dell'I.n.a.i.l. non può

peraltro comprendere anche la regola in esame in quanto la mate

ria è già regolata dall'art. 22 cit., sicché manca il presupposto

espressamente stabilito dall'art. 77 per l'operatività del rinvio stes

so. Vale comunque anche qui il rilievo che una norma regola mentare non può introdurre, neppure mediante rinvio a norme

legislative riguardanti altra fattispecie, deroghe alla disciplina le

gislativa della fattispecie da essa regolata. 6. È appena il caso di notare che la convenzione tra I.n.a.i.l.

e Credito italiano non può essere opposta al ricorrente, che è

terzo rispetto ad essa.

7. Accertato nei confronti delle tre parti in causa — e da esse

non contestato — che l'assegno in questione non è pervenuto al domicilio del ricorrente essendo andato smarrito o essendo sta

to sottratto in itinere e che lo stesso è stato incassato da persona diversa dall'ordinatario, il quale ha apposto una falsa firma di

quest'ultimo, riguardo alla domanda proposta dall'I.n.a.i.l. nei

confronti del Credito italiano il pretore osserva quanto segue. A proposito del pagamento di un assegno circolare non trasfe

ribile a persona fisica diversa dall'ordinatario, vi sono, come è

noto, due tesi. La prima è che in tale ipotesi, regolata dall'art.

43, 2° comma, l.a. (secondo cui «colui che paga un assegno non

trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere gira tario per l'incasso risponde del pagamento»; applicabile all'asse

gno circolare ex art. 86), la banca è esente da responsabilità se

ha agito con buona fede e diligenza nell'identificazione del pre sentatore. All'interno di questo indirizzo si collocano poi diverse

tesi circa il grado della diligenza richiesta, nonché circa la prova di essa (anche sul punto se diligenza e buona fede si debbano

presumere, come affermano alcune pronunzie). La seconda tesi è invece che con l'art. 43, 2° comma, il legisla

tore ha inteso derogare ai principi sanciti in via generale dall'art.

1992 c.c. e, pertanto, per la liberazione del debitore, in caso di

titolo non trasferibile, non è sufficiente che egli abbia proceduto all'identificazione del presentatore usando la necessaria diligenza,

poiché egli è liberato solo se ha effettivamente pagato al prendi tore reale o al banchiere giratario per l'incasso.

Il primo indirizzo è seguito dalla Cassazione e da parte della

dottrina. Il secondo — che pure fu espresso dalla Cassazione con

le sentenze 7 ottobre 1958, n. 3133 (Foro it., 1959, I, 73) e 29

gennaio 1964, n. 229 (id., 1964, I, 778), e successivamente abban

donato a partire dalla sentenza 9 luglio 1968, n. 2360 (id., 1969,

I, 121) — continua ad essere seguito dal Tribunale di Roma (cfr. sent. 7 giugno 1980, id., 1980, I, 2016; 14 luglio 1980, id., 1981,

I, 275; 18 febbraio 1982, id., 1983, I, 114; 10 gennaio 1984, id., 1984, I, 1361; 18 aprile 1984, ibid.) oltre che da una parte della

dottrina e della restante giurisprudenza di merito.

Il pretore condivide questo secondo indirizzo, considerando non

superabili le argomentazioni addotte a sostegno di esso.

In sintesi: il 2° comma dell'art. 43 sarebbe del tutto pleonasti co se dovesse essere interpretato nel senso inteso dalla Cassazio

ne, posto che già il 1° comma del medesimo articolo stabilisce

che l'assegno non trasferibile non può essere pagato se non al

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Page 10: ordinanza 19 dicembre 1986, n. 277 (Gazzetta ufficiale, 1 serie speciale, 31 dicembre 1986, n. 61); Pres. La Pergola, Rel. Borzellino; Brevaglieri c. Min. poste e telecomunicazioni;

1027 PARTE PRIMA 1028

prenditore o al banchiere giratario per l'incasso. Il 2° comma

deve avere quindi un diverso utile significato (in realtà l'argo mento esposto al riguardo dalla Cassazione è una riformulazione

in altre parole della tesi, più che una dimostrazione di essa); tale

significato non può essere la prescrizione di una oculata e diligen te identificazione, posto che tale onere già sussiste per effetto

dell'art. 1992 c.c. Va inoltre considerato che l'assegno non tras

feribile non è soggetto ad ammortamento e che, come risulta dal

la storia concreta della clausola di non trasferibilità, la funzione

di quest'ultima è proprio quella di premunire il prenditore (o il

richiedente) contro il furto o lo smarrimento del titolo, ponendo il rischio di tali eventi a carico della banca.

Rispetto a tale responsabilità oggettiva della banca nei con

fronti, nella specie, del richiedente I.n.a.i.l., la convenzione tra

quest'ultimo e la banca stessa — nel testo precedente alle modifi

che del 1985 — non apporta alcuna deroga. In relazione alle deduzioni del Credito italiano vi è da osserva

re che la «scelta del beneficiario» circa la forma del pagamento non è elemento la cui mancanza la banca può opporre all'istituto

sotto alcun rilevante profilo. L'invio a mezzo di piego postale semplice, anch'esso previsto

dalla convenzione, non può essere addotto come fattore di ascri

zione di responsabilità all'I.n.a.i.l., essendo previsto, appunto, in una clausola contrattuale e quindi non imposto unilateralmen

te. In realtà tale elemento avrebbe eventualmente dovuto indurre

la banca ad una più oculata diligenza nell'identificazione dei pre

sentatori, specie dopo che il fenomeno massiccio di furti e falsifi

cazioni si era rivelato già da alcuni mesi, come emerge dalla

denunzia all'a.g. da parte dell'I.n.a.i.l.

Nell'ipotesi di pagamento dell'assegno circolare non trasferibi

le a persona diversa da quelle indicate nell'art. 43, a seguito di

sottrazione, smarrimento o furto dell'assegno avvenuti prima che

esso sia stato consegnato all'ordinatario, la banca risponde del

pagamento nei confronti del richiedente, in virtù del medesimo

art. 43, 2° comma, e/o del rapporto di emissione (la tesi che

configura tale responsabilità come responsabilità aquiliana appa re fondarsi su una non condivisibile configurazione del contenuto

del rapporto di emissione). In conclusione deve essere accertato e dichiarato l'inadempi

mento da parte dell'I.n.a.i.l. all'obbligazione di pagamento nei

confronti della ricorrente qui dedotta, con la conseguente pro nunzia di condanna.

Deve altresì' essere dichiarata la responsabilità della banca per tale mancato pagamento, con la conseguente pronunzia di con

danna a rimborsare quanto l'I.n.a.i.l. pagherà al ricorrente.

VI

Motivi della decisione. — (Omissis). Superate le questioni pre

giudiziali, è ora necessario analizzare le rispettive posizioni delle

parti in causa. Per quanto attiene all'attore, sembra pacifico e

non contestato che lo stesso non abbia mai ricevuto l'assegno circolare in parola, né tantomeno lo abbia riscosso e che, pertan

to, risulti tuttora creditore del relativo importo. Più complessa appare la posizione dell'I.n.a.i.l.; a seguito del

l'entrata in vigore del d.p.r. 18 gennaio 1979 n. 696, recante ap

provazione del nuovo regolamento per la classificazione delle

entrate e delle spese e per l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla 1. 20 marzo 1975 n. 70 (tra i quali è

ricompreso l'I.n.a.i.l.), l'istituto convenuto ha cessato di disporre di un proprio servizio di cassa, essendo tenuto ad affidare, in

via esclusiva, il proprio servizio di tesoreria e di cassa ad un isti

tuto di credito, mediante apposita convenzione. Il pagamento delle

spese è effettuato mediante l'emissione di appositi mandati di pa

gamento numerati in ordine progressivo e muniti del codice mec

canografico del capitolo, tratti sull'istituto di credito incaricato

del servizio di tesoreria. Il pagamento può, inoltre, essere effet

tuato mediante il servizio postale, la commutazione in vaglia cam

biario o in assegno circolare non trasferibile, l'accredito in c/c

bancario, in altre forme autorizzate dal ministero del tesoro. In

tutti questi casi, le dichiarazioni di accreditamento o di commu

tazione sostituiscono la quietanza del creditore. La ratio della

norma è evidentemente quella di dare la certezza all'ente pubbli co di aver estinto il mandato di pagamento a favore dell'avente

diritto, lasciando poi la responsabilità di ben effettuare il paga mento materiale al tesoriere.

Il Foro Italiano — 1987.

In quest'ottica viene a collocarsi la fattispecie di cui in causa:

l'I.n.a.i.l., dopo aver determinato in lire 620.900 l'indennità da

liquidarsi al sig. Massimiliani Fabio, ha dato le opportune dispo sizioni al proprio tesoriere, Credito italiano, di effettuare il paga mento del relativo importo a mezzo assegno circolare non

trasferibile; nel preciso istante in cui l'istituto di credito ha com

mutato il mandato in assegno circolare non trasferibile si è avuta,

ope legis, una trasposizione della responsabilità inerente il succes

sivo buon esito del pagamento, dall'I.n.a.i.l. al Credito italiano.

La difesa dell'ente creditizio sostiene l'inapplicabilità, nel caso

di specie, delle disposizioni predette, ex art. 22 d.p.r. n. 696/79, non avendo il sig. Massimiliani presentato domanda scritta per essere pagato con assegno circolare. Detta tesi però non può esse

re condivisa da questo magistrato. Il citato art. 22, infatti, deve essere opportunamente coordina

to con l'art, unico della 1. 23 ottobre 1962 n. 1575, recante norme

sull'estinzione di debiti dello Stato mediante commutazione dei

titoli di spesa in vaglia cambiari non trasferibili della Banca d'I

talia, applicabile all'I.n.a.i.l. in forza del richiamo di cui all'art.

77 citato d.p.r. n. 696/79.

In base al combinato disposto delle predette norme, le modali

tà con le quali vengono effettuati i pagamenti delle indennità ed

altre causali dovute dall'I.n.a.i.l. per la propria attività istituzio

nale sono, allo stato attuale, le seguenti: A) in mancanza di ri

chiesta del creditore: per contanti, presso uno sportello del proprio

tesoriere; a mezzo vaglia cambiario o assegno circolare non tra

sferibile, all'ordine del creditore e spedito al di lui indirizzo; B) in presenza di esplicita richiesta del creditore: a mezzo del servi

zio postale; a mezzo vaglia cambiario o assegno circolare non

trasferibile all'ordine del creditore; con accreditamento su conto

corrente bancario; con altre forme autorizzate dal min. tesoro.

Nel caso di specie è di conseguenza pienamente legittima la

forma di pagamento — a mezzo assegno circolare non trasferibi

le — adottata dall'istituto assicurativo. Per quanto attiene all'ap

posita convenzione che disciplina il servizio di tesoreria tra i due

enti, si è dell'avviso che la medesima sia ininfluente ai fini del

presente giudizio in quanto tendente a regolare i soli rapporti interni tra le parti, senza spiegare alcuna efficacia nei confronti

dei terzi. Per quanto sin qui esposto il giudicante ritiene che la

responsabilità dell'I.n.a.i.l. nei confronti del Massimiliani sia ces

sata al momento della commutazione, del mandato di pagamen

to, in assegno circolare non trasferibile; conseguentemente l'I.n.a.i.l. è carente di legittimazione passiva nel presente giudizio.

Cosi delineata la posizione dell'istituto convenuto, non rimane

che verificare quale sia il ruolo della banca chiamata in causa.

Appare pacifico che il titolo in argomento venne pagato in da

ta 6 novembre 1984 presso l'agenzia 15 del Credito italiano a

persona diversa dall'effettivo beneficiario, identificata sulla base

di un documento risultato poi falso. La circostanza è disciplinata dall'art. 43, 2° comma, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, che te

stualmente recita: «Colui che paga un assegno non trasferibile

a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso risponde del pagamento».

La portata della norma è estremamente ampia ed è, quindi, necessario analizzarla. In materia vi è stato un andamento ciclico

della giurisprudenza: fino ad un certo tempo sembrava pacifico che anche in materia di assegni non trasferibili la banca potesse invocare il fatto di aver con ogni diligenza identificato la persona cui aveva pagato l'importo del titolo. Poi ci fu un cambiamento

brusco, con una decisione della Suprema corte del 1958 la quale stabili che l'art. 43, 2° comma, andava inteso in termini assoluti, ossia come una norma ponente, senza eccezioni, a rischio e peri colo della banca il pagamento fatto a persona fisicamente diversa

dal legittimato cartolare. Successivamente la Cassazione rivedeva

il suo atteggiamento e riaffermava che anche in materia di asse

gno recante la clausola di non trasferibilità, il pagamento fatto

a persona diversa dal legittimato cartolare poteva avere carattere

liberatorio qualora la banca dimostrasse l'impiego della diligenza

professionale nell'identificare il portatore. È stato però rilevato

a sostegno della tesi più rigorosa, che se la norma in discorso

volesse dire soltanto che la banca risponde del pagamento se pa

ga l'importo del titolo ad un soggetto che riveste una posizione diversa dal legittimato cartolare direbbe una cosa estremamente

ovvia, perché è naturale che il debitore che paga un titolo ad

un soggetto diverso è inadempiente; onde la norma deve voler

dire qualcosa di più e precisamente che la corrispondenza fra ef

fettivo destinatario del pagamento e legittimato cartolare va inte

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sa in termini di realtà senza margine per l'apparenza, nonostante

l'impiego da parte della banca di ogni diligenza richiesta nel caso

concreto. Tale tesi appare, peraltro, eccessiva venendo ad addos

sare alla banca la responsabilità oggettiva per il pagamento del

l'assegno non trasferibile; responsabilità quest'ultima che nel nostro

ordinamento richiede una previsione espressa. A parere di questo conciliatore la norma in argomento vuole imporre un aggrava mento della responsabilità della banca in tema di assegno non

trasferibile, senza però valicare i limiti della colpa e sconfinare

nel terreno della responsabilità oggettiva. Per valutare meglio que sta affermazione occorre ricordare che l'attribuizione del caratte

re liberatorio al pagamento è subordinata all'impiego, da parte del debitore, di un grado medio di diligenza, anche quando si

tratta di diligenza professionale; dovendosi intendere per questa

ultima, rispetto alla diligenza del buon padre di famiglia, solo

uno standard diverso, consistente in regole di comportamento più

rigorose di quelle imponibili al comune privato. Nell'ambito del

la trasgressione a queste regole di comportamento si può incorre

re in colpa di varia intensità. Nel caso di pagamento di assegno trasferibile a persona diversa dal legittimato cartolare, la diligen za professionale deve essere valutata secondo lo standard medio

e si avrà responsabilità della banca per dolo o colpa media o

grave. Invece dovendo dare un significato autonomo alla norma

dell'art. 43, 2° comma, si deve affermare che per la presenza della clausola non trasferibile la banca incorre in responsabilità anche per colpa lieve.

Ciò posto, bisogna ora accertare se il Credit effettuò il paga

mento de quo con la necessaria diligenza e senza colpa, sia pur

lieve.

Dall'interrogatorio del Biagi Federico, cassiere del Credit, è

emerso che le procedure interne della banca prevedono due diffe

renti livelli di controllo degli assegni in funzione del valore degli stessi: per i titoli di valore inferiore ai due milioni di lire è lascia

ta all'impiegato o cassiere che esamina il documento del presen

tatore la facoltà di stabilire se i dati anagrafici siano corrispondenti o meno a quelli rappresentati nel titolo; mentre per gli assegni

d'importo superiore a due milioni di lire è necessaria un'ulteriore

verifica da parte del funzionario preposto, il quale deve apporre il proprio visto sul titolo. Detta procedura, se da un lato consen

te di snellire il disbrigo delle operazioni di minor rilievo rendendo

più rapido il servizio di cassa, dall'altro riduce i margini di sicu

rezza nei controlli. La stessa banca appare infatti consapevole

che un duplice controllo dei documenti sia indice di maggior ga

ranzia per l'esatto pagamento al legittimato cartolare, riservan

dolo però ai soli importi maggiori. Se tale comportamento può

essere comprensibile sotto il profilo dell'economicità gestionale,

non può essere altrettanto giustificabile sotto l'aspetto della re

sponsabilità verso terzi.

Qualsiasi legittimato cartolare, infatti, a prescindere dal valore

del proprio titolo, ha diritto acciocché la banca effettui tutti i

necessari controlli, prima di dar corso al pagamento al presenta

tore, con la medesima diligenza professionale sopra cennata. Nel

caso di specie è risultato che il controllo del documento presenta to dalla persona falsamente qualificatasi per il legittimato carto

lare sig. Massimiliani Fabio, è stato effettuato dal solo cassiere,

il quale ha peraltro omesso di trascrivere, sul retro del titolo,

insieme agli altri dati anagrafici la data e il luogo di nascita del

presentatore; detti dati erano stati scritti sull'assegno circolare de

quo insieme alle generalità del beneficiario proprio per motivi

di maggior sicurezza. Un successivo ulteriore controllo da parte del funzionario avrebbe, forse, potuto evidenziare tale omissione

e far sorgere dei dubbi sulla validità del documento esibito.

Da tutto ciò ne consegue che il Credit ha effettuato il paga

mento in argomento senza porre in essere tutta la necessaria e

potenziale diligenza professionale. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1987.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 novembre 1986, n. 238

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 novembre 1986, n. 55); Pres. La Pergola, Rei. Andrioli; Spirito (Avv. Spirito, Piz

zutelli, Mazzei) c. Soc. Chemi; interv. Pres. cons, ministri.

Ord. Cass. 12 marzo - 26 luglio 1985, n. 397 (G.U., la serie

speciale, n. 9 del 1986).

Avvocato e procuratore — Onorari e spese — Vincolo di solida

rietà fra transigenti — Questione inammissibile di costituziona

lità (Cost., art. 3; r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento

della professione di avvocato e procuratore, art. 68).

È inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 68 r.d.l. 27 no

vembre 1933 n. 1578, nella parte in cui prevede un vincolo

di solidarietà tra le parti che hanno transatto la lite per il paga mento degli onorari ed il rimborso delle spese relativi al giudi zio dei quali l'avvocato o il procuratore fossero ancora creditori, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

Diritto. — 3. - Nell'ordinanza di rimessione la Corte di cassa

zione — premesso che la Corte costituzionale, con sent. n. 132/74

(Foro it., 1974, I, 1546), aveva giudicato non fondata la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 68 r.d.l. 27 novembre 1933

n. 1578 (ordinamento delle professioni di avvocato e procurato

re) conv., con modificazioni, nella 1. 22 gennaio 1934 n. 36, per il quale, quando un giudizio è definito con transazione, tutte le

parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al paga mento degli onorari e al rimborso delle spese di cui gli avvocati

ed i procuratori che hanno partecipato al giudizio negli ultimi

tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso — ha rite

nuto che la motivazione svolta nella menzionata sentenza della

Corte costituzionale non meritasse riesame. Peraltro, ha osservato

(1) L'ordinanza della Corte di cassazione, 12 marzo - 26 luglio 1985, che ha sollevato la questione dichiarata inammissibile dalla sentenza in

epigrafe, è riportata in Foro it., 1986, I, 724, con nota di richiami. In altri casi in cui — come in quello di specie — il giudice a quo

non aveva assolutamente motivato sulla rilevanza, la corte ha ritenuto che il difetto di tale giudizio preventivo rendesse inammissibile il processo davanti a sé: v. Corte cost., ord. 24 maggio 1985, n. 166, id., 1985, I, 2169 e 28 luglio 1983, n. 258, id., 1984, I, 3075. In altre sentenze si è invece stabilito che l'omessa o insufficiente motivazione comporta la restituzione degli atti al giudice a quo perché integri la propria ordi nanza (cfr. Corte cost. 11 luglio 1984, n. 190, ibid., 2688 e, da ultimo, ord. 19 dicembre 1986, n. 277, in questo fascicolo, I, 1011. In dottrina

Pizzorusso, La restituzione degli atti al giudice «a quo» nel processo costituzionale incidentale, Milano 1965).

Nel caso di specie la corte non si è limitata a constatare l'assenza di motivazione nell'ordinanza di rinvio ma ha altresì vagliato direttamente la rilevanza della questione nel giudizio a quo.

La decisione è coerente con l'evoluzione della giurisprudenza della cor

te, la quale, dopo aver per molto tempo affermato l'insindacabilità della valutazione della rilevanza compiuta dal giudice a quo (cfr., fra le tante, Corte cost. 26 gennaio 1957, n. 30, Foro it., 1957, I, 503; 8 luglio 1957, n. 102, ibid., 1143; 8 aprile 1958, n. 26, id., 1958, I, 507), è passata a controllare la sufficienza della motivazione ai fini di una eventuale re stituzione degli atti al giudice a quo, per poi giungere a vagliare diretta mente l'esistenza della rilevanza (per una analisi di tale evoluzione e, più in generale, delle posizioni dottrinarie e giurisprudenziali sul tema, cfr.

Pizzorusso, Garanzie costituzionali, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 286 ss., sub art. 137).

Sulla recente giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di

rilevanza cfr. Pizzorusso, L'attività della Corte costituzionale nella ses sione 1985-1986, in Foro it., 1986, V, 421; L'attività della Corte costitu

zionale nella sessione 1984-1985, id., 1985, V, 385; L'attività della Corte

costituzionale nella sessione 1982-1983, id., 1983, V, 181; Carlassarre, Le decisioni d'inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte co

stituzionale, id., 1986, V, 293; Spatolisano, Recenti tendenze della Corte

costituzionale in materia di rilevanza, 1982, I, 629 ss., e II requisito della

rilevanza e l'autonomia del giudizio costituzionale: alcune riflessioni sulla

più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (1977-1982), in Giur.

cost it., 1982, I, 1469. Sul giudizio di rilevanza, cfr. V. Onida, Note su un dibattito in tema

di rilevanza delle questioni di costituzionalità delle leggi, id., 1978, I,

997; Mezzanotte, Irrilevanza e infondatezza per ragioni formali, id.,

1977, I, 230; Pizzetti e Zagrebelsky, «Non manifesta infondatezza» e «rilevanza» nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Mila

no, 1972; Crisafulli, Sulla sindacabilità da parte della Corte costituzio nale della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, in Giur.

costit., 1957, 607.

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