ordinanza 19 gennaio 1995; Pres. Martelengo, Rel. Miccinelli; Soc. Previdenza e Sicurtà c. DePaolis ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 2253/2254-2257/2258Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193363 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non previsto dalla convenzione regolarmente approvata, con la
conseguenza che non può esserle rimproverato, quale abuso di
posizione dominante, l'uso del proprio nome fatto quale gestio re Gsm.
Parimenti, non rappresenta abuso di posizione dominante l'uso
che la Telecom fa delle proprie reti o della propria rete com merciale o delle promozioni di vendita: ritenere il contrario equi varrebbe ritenere che configura abuso della posizione dominan
te della Omnitel l'uso eventuale che la stessa faccia dei punti di verifica operanti a favore delle sue partecipanti, o della tec
nologia raggiunta dalle stesse, nonché delle eventuali reti già
poste in essere all'estero per la gestione del telefono mobile. In regime di concorrenza ognuno è libero di servirsi delle ri
sorse e dell'organizzazione di cui già dispone, non essendovi
nessuna norma che imponga al soggetto che inizi una nuova
attività di porre in essere infrastrutture ed attrezzature, ed in
genere organizzazioni, diverse da quelle di cui eventualmente
già sia in possesso per l'espletamento di altre iniziative, anche se similari alla nuova.
Anche la doglianza in esame, conseguentemente, appare pri va di fondamento.
Per quanto, infine, concerne l'ultimo rilievo (mancata inter
connessione della Omnitel), ritiene la corte che non possa essere
seguita la tesi della resistente, secondo la quale il relativo accordo contratto avrebbe marginale rilevanza, essendo, tutte le condi
zioni (tecniche e tariffarie) della interconnessione, facilmente ri
cavabili dalla convenzione e dal presupposto disciplinare di gara. Tale affermazione si pone in stridente contrasto con il 2° com
ma dell'art. 13 della convenzione, secondo il quale «i livelli qua litativi e prestazionali e le interfacce tecniche per l'interconnes sione cosi come ogni altro aspetto tecnico, operativo, procedu rale ed economico dell'interconnessione sono concordati tra la
società e la concessionaria della rete telefonica pubblica com
mutata.
Fermo quanto previsto ai succesivi art. 27 e 28, tali accordi
saranno conclusi nel rispetto dei principi di non discriminazione e di equa concorrenza, e tempestivamente portati a conoscenza
del ministero».
Da tale previsione si evince chiaramente come i punti da chia
rire, con trattative preliminari al contratto di interconnessione, siano numerosi e rilevanti.
Conferma ulteriore si trae dall'art. 12, ultimo comma, della
stessa convenzione, laddove si prevede che sia il ministero ad
assumere le determinazioni del caso in ipotesi di disaccordo o
conflitti riguardanti l'interconnessione, previsione che di certo
sarebbe stata inutile, ove vi fosse, negli atti sopra menzionati, una integrale previsione delle relative condizioni.
Ove, peraltro, a tutto voler concedere, tale ultima afferma
zione, effettuata dalla Telecom, fosse esatta, bisognerebbe real
mente domandarsi perché, in assenza di qualsiasi punto oscuro
da chiarire e, di conseguenza, di trattative da condurre, la resi
stente non abbia ancora concesso l'interconnessione, avendo
provveduto ad inviare, solo nel corrente mese di marzo 1995,
una «proposta» di accordo. In relazione a questa, poi, la ricorrente lamenta l'esistenza
di clausole e difformi da quelle sottoscritte dalla Telecom (ge store Gsm) stessa, e idonee a suscitare non poche perplessità,
argomentando, in pratica, anche a questo ulteriore rilievo, il
sostenuto abuso di posizione dominante.
Tali conclusioni non possono essere condivise, per la sempli ce considerazione che, in fase di trattative, nessuno impediva alla Omnitel di fare controproposte ed obiezioni, e solo nel ca
so che giusti rilievi non fossero stati accettati, si sarebbe potuto ravvisare un abuso di posizione dominante (peraltro, solo even
tualmente, in quanto, si ricorda, per tali contestazioni valgono le «determinazioni» ministeriali).
Bisogna, conseguentemente, ritenere che vi debba essere una
trattativa intesa al raggiungimento dell'accordo, a completamento delle condizioni previste dalla convenzione e dal disciplinare di
gare. A tale esigenza di trattativa corrisponde un obbligo del gesto
re pubblico della rete commutata a trattare ed a raggiungere l'accordo di interconnessione «nel rispetto dei principi di non discriminazione e di equa concorrenza», principi che devono
ritenersi violati non solo quando le condizioni di interconnes
sione imposte dal gestore pubblico siano inaccettabili o meno
favorevoli a quelle riconosciute al primo gestore Gsm, ma an
II Foro Italiano — 1995.
che quando, con comportamento dilatorio, si ritardi il raggiun
gimento dell'accordo, cosi di fatto impedendo l'interconnessio
ne al secondo gestore. Si ritiene, quindi, che il ritardo nel raggiungimento dell'ac
cordo di interconnessione, ove addebitabile alla Telecom, fosse
pienamente idoneo a rappresentare un abuso di posizione do minante.
Come già accennato, però, sarebbe stato necessario dimostra
re che tale addebitabilità alla resistente sussista e l'onere di tale
prova, ovviamente, incombe su chi invochi l'inadempimento al
le previsioni convenzionali.
Occorreva, in altri termini, che l'Omnitel provasse di aver fatto domanda, o istanza di interconnessione, o che avesse sol
lecitato, a tal fine, trattative ed incontri con la Telecom. Che
avesse, cioè, richiesto l'interconnessione e posto in essere quel
l'attività, su di lei gravante, indispensabile al raggiungimento dello scopo.
Tale prova nella fattispecie è del tutto carente: l'Omnitel né ha provato, né ha dedotto di aver richiesto (inutilmente, per
l'inerzia, a questo punto colpevole, del gestore pubblico), la
interconnessione.
Non è, infatti, sufficiente lamentare che ancora oggi non sia
stato stipulato un accordo di interconnessione, ma è necessario
dimostrare che tale circostanza non sia dipesa dalla propria iner
zia, ma da quella della Telecom (che, a mò di esempio, ha la
sciato inevasa la relativa domanda avanzata dalla ricorrente, od ha procrastinato od ostacolato, in qualsiasi modo, il rag
giungimento dell'accordo di interconnessione). Essendo rimasta indimostrata qualsivoglia azione od omissio
ne addebitabile alla Telecom, anche la doglianza di cui trattasi, ai limitati fini sopra precisati, appare infondata.
L'insussistenza totale del fumus boni iuris, in relazione a tut
te le doglianze e conseguenti domande proposte in questa sede, esime il collegio dall'esame delle stesse sotto il profilo del peri culum in mora.
Ne deriva l'integrale reiezione del proposto ricorso, con inte
grale compensazione delle spese di lite, per la quale ricorrono
giusti motivi, stante la complessità e novità delle questioni trattate.
CORTE D'APPELLO DI MILANO; ordinanza 19 gennaio 1995; Pres. Martelengo, Rei. Miccinelli; Soc. Previdenza e Si
curtà c. De Paolis ed altri.
CORTE D'APPELLO DI MILANO;
Procedimenti cautelari — Ordinanza cautelare resa dalla corte
d'appello in sede di appello — Competenza (Cod. proc. civ., art. 669 quatef).
Nel corso del giudizio di appello innanzi alla corte d'appello
spetta al collegio la competenza al rilascio del provvedimento cautelare. (1)
(1) Cfr. App. Lecce, ord. 14 giugno 1994, Foro it., 1995, I, 1336, con nota di richiami e nota di U. Volpe.
Giova sottolineare che trattasi di provvedimento reso nell'ambito di
un giudizio di appello ancora soggetto alla regola della trattazione mo
nocratica e decisione collegiale. In tal senso, è da ricordare che in dottrina è pacifica l'opinione favo
revole all'applicazione analogica della regola di competenza monocrati
ca posta dal 2° comma dell'art. 669 quater c.p.c. con riferimento ai
casi in cui la corte d'appello è giudice di primo ed unico grado ed il relativo giudizio è destinato a svolgersi nelle forme del processo ordi
nario di cognizione di cui agli art. 163 ss. c.p.c. (v. giudizi di delibazio
ne di sentenze straniere ai sensi degli art. 796 ss. c.p.c. ovvero contro
versie instaurate in base all'art. 33 1. 287/90 in tema di antitrust). Al contrario, con riferimento alle ipotesi in cui il giudizio innanzi
alla corte in veste di giudice d'appello è destinato a svolgersi secondo
la regola di trattazione e decisione collegiali ex nuovo art. 350 c.p.c.,
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2255 PARTE PRIMA 2256
Con ricorso depositato il 5 gennaio 1995 il Commissario li
quidatore della s.m.a. Previdenza e Sicurtà in l.c.a. ha chiesto, in via principale di essere autorizzato ad eseguire sequestro con
servativo, sino alla concorrenza di lire 45 miliardi, dei beni ap partenenti ai sig.: 1) De Paolis Pietro; 2) Tiveron Alessandro;
3) Piccarreta Francesco; 4) Catalano Michele; 5) Di Benedetto
Antonio; 6) La Lumia Ferdinando; 7) Strazzeri Ennio; 8) Ama
ti Antonio; 9) Capasso Michele; 10) Granata Massimo; 11) Ere
di Patti Salvatore, in persona di Patti Liliana, Patti Lycia, Patti
Mario, Patti Massimo; 12) Voghera Maria Grazia; 13) Filippi Luca.
Ha esposto il commissario liquidatore di avere instaurato, a
suo tempo, azione di responsabilità nei confronti dei soggetti
sopra indicati, amministratori e sindaci della società posta in
liquidazione coatta amministrativa, dopo avere ottenuto ed ese
guito un sequestro conservativo, fino alla concorrenza della som
ma sopra indicata, dei beni mobili ed immobili di loro proprietà. II ricorrente ha precisato, inoltre, che:
a) il Tribunale di Milano, con sentenza in data 20 gennaio 1994-11 luglio 1994, in accoglimento dell'eccezione pregiudizia le dei convenuti aveva respinto l'azione di responsabilità per intervenuta prescrizione del diritto azionato, revocando di con
seguenza l'eseguito sequestro;
b) avverso la sentenza egli aveva interposto appello nei con
fronti di tutti i convenuti;
c) alcuni di questi avevano nelle more chiesto al tribunale
l'adozione di provvedimento ai sensi dell'art. 669 novies, 3° com
ma, c.p.c.;
d) pur ritenendo l'inapplicabilità al caso in esame della disci
plina di cui all'art. 669 novies c.p.c., allo scopo di contrastare le finalità perseguite dagli istanti di sottrarre alla eventuale e
futura esecuzione i cespiti immobiliari assoggettati alla misura
cautelare, era necessario ottenere una nuova misura cautelare
che vincolasse i beni, già a suo tempo sequestrati, allo scopo di non rendere inutile economicamente l'azione di responsabili tà proposta dal commissario liquidatore e che, pertanto, era
necessario disporre una nuova misura cautelare per l'importo
sopra indicato.
In subordine, il ricorrente ha domandato, ai sensi dell'art.
700 c.p.c. un provvedimento di «fermo provvisorio» per il tem
po necessario all'emissione della misura cautelare.
Di conseguenza, il ricorrente ha domandato all'istruttore, de
signato per la trattazione del giudizio di appello ritualmente ra
dicato, l'emissione dell'uno o dell'altro dei provvedimenti sopra
indicati, se del caso anche inaudita altera parte. Con provvedimento in data 10 gennaio 1995 il presidente,
ritenuta la competenza della corte a decidere in merito alle ri
chieste sopra indicate, ha disposto la comparizione davanti al
collegio delle parti per la decisione.
All'odierna udienza in camera di consiglio l'istante ha preci sato di avere notificato il proprio ricorso ed il provvedimento
presidenziale solo ad alcune delle parti nei cui confronti aveva
gli interpreti sostengono la tesi della competenza collegiale argomentan do da una parte sul principo di cui al 1° comma dell'art. 669 quater c.p.c. di coincidenza tra competenza cautelare e competenza sul merito e dall'altra sul disposto dell'art. 669 terdecies c.p.c. che attribuisce la
competenza a conoscere il reclamo avverso il provvedimento reso dalla corte d'appello ad altra sezione della stessa corte.
Cfr. C. Consolo (F. P. Luiso - B. Sassani), La riforma del processo civile, Milano, 1991, 447 ss.; F. Carpi - M. Tarutfo, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 1995, 1330 ss.; A. Saletti, Appunti sulla nuova disciplina delle misure cautelari, in Riv. dir. proc., 1991, 361; G. Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, ibid., 698; C. Rapisarda Sassoon, in Le riforme della giustizia civile. Commento alla l. 353 del 1990 e alla l. 374 del 1991 a cura di M. Tarutfo, Torino, 1993, 501 e 509; G. Guarnieri, in Provvedi menti urgenti per il processo civile. Commentario a cura di G. Tarzia e F. Cipriani, Padova, 1992, 304 ss.; G. Frus, in Le riforme del pro cesso civile a cura di S. Chiarloni, Bologna, 1992, 636 ss.; A. Attar
di, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 231 ss. In senso favorevole alla competenza in ogni caso collegiale della cor
te d'appello, v. G. Verde (Di Nanni), Codice di procedura civile. Leg ge 29 marzo 1990 n. 353, Torino, 1991, 245 ss. e G. Mammone (E. Dini), I provvedimenti d'urgenza, Milano, 1993, 430 e 437.
Per l'affermazione della competenza cautelare del collegio, in ipotesi di giudizi integralmente collegiali anche innanzi al tribunale, v. Trib.
Milano, ord. 11 luglio 1994, Foro it., 1995, I, 327.
Il Foro Italiano — 1995.
riproposto la domanda cautelare ed in particolare agli eredi di
Patti Salvatore, ad Amati Giovanni, a Granata Massimo ed a
Capasso Michele ed ha, in principalità, domandato termine per
potere instaurare il contraddittorio anche nei confronti di tutti
gli altri soggetti indicati nel proprio ricorso. L'istante ha, tutta
via, insistito nella concessione di un provvedimento di urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c. senza convocare previamente le con
troparti, che disponga, in attesa di autorizzare la misura caute
lare, «il fermo provvisorio degli immobili». Si sono costituiti Granata Massimo e Giovanni Amati, Ca
passo Michele e gli eredi di Salvatore Patti i quali hanno con
cordemente chiesto o la dichiarazione di inammissibilità del ri
corso proposto o la sua reiezione per assoluta infondatezza nel
merito.
Le parti hanno oralmente svolto le proprie difese e la corte
si e riservata la decisione.
Sciogliendo la riserva la corte osserva.
Per quanto riguarda la competenza a decidere in merito va
rilevato che la richiesta di sequestro deve essere valutata nel
contesto di tutte le norme che regolano la materia cautelare.
Orbene, uno dei cardini di tale disciplina, ben diversa da quella
prima vigente che attribuiva all'istruttore la competenza, è la
reclamabilità del provvedimento ad altra sezione della corte di
appello o, in mancanza, ad altra corte di appello più vicina.
L'ipotesi diversa di una perdurante competenza dell'istruttore,
almeno fino all'entrata in vigore di tutte le norme del nuovo
codice di rito, avrebbe come sua conseguenza, inaccettabile sul
piano logico e giuridico, l'insindacabilità di questi provvedimenti. Argomenti a suffragio di questa tesi, ad avviso della corte,
possono evincersi dal testo dell'art. 4, 5° comma, d.l. 7 ottobre
1994 n. 572 (convertito in 1. 6 dicembre 1994 n. 673) il quale ha stabilito che le norme di cui all'art. 74 1. 26 novembre 1990
n. 353 «si applicano, in quanto compatibili, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto». In presenza di questa esplicita disposizione normativa ritiene la corte, tenu
to conto della coincidenza tra giudice del merito e giudice della
misura cautelare (art. 671 c.p.c.), che sia il collegio ad essere
competente per le domande di sequestro, anche se non è ancora
entrata in vigore la normativa che stabilisce la trattazione colle
giale dell'appello. In altri termini, ai limitati fini che qui inte ressano, può ritenersi che la disciplina collegiale dell'appello (art. 350 c.p.c.) sia applicabile in tema di provvedimenti cautelari.
Non è contestabile, infatti, che, con l'inciso «in quanto applica
bili», il legislatore abbia voluto fare riferimento a questa parti colare trattazione del provvedimento di sequestro con effetti an
ticipatori rispetto alla generale vigenza della disposizione del
l'art. 350 codice di rito. Conclusivamente, sul punto osserva
la corte che il procedimento cautelare è caratterizzato da un
proprio iter organico, da autonomia marcata e addirittura da
uno strumento autonomo di impugnazione e deve essere, per
tanto, considerato giudizio distinto rispetto a quello di merito
e non già semplice fase di esso.
Per quanto riguarda le richieste formulate dal commissario
liquidatore osserva la corte che esse possono trovare acco
glimento. Ai fini della decisione non sembra superfluo richiamare le
seguenti circostanze:
a) i beni dei soggetti nei cui confronti è stata chiesta, in que sto grado, la misura cautelare furono a suo tempo già assogget tati a sequestro conservativo, per le medesime ragioni;
b) nei confronti di questi soggetti e di tutti gli altri menzio
nati nel provvedimento cautelare fu instaurato giudizio di meri
to (e di convalida della misura cautelare) avente ad oggetto la
supposta loro responsabilità per avere rivestito, nel corso degli
anni, le cariche di amministratori o sindaci della società Previ
denza e Sicurtà;
c) il giudizio si è concluso con la sentenza del Tribunale di
Milano n. 6889/91 che, in accoglimento dell'eccezione pregiudi ziale proposta, ha dichiarato prescritto il diritto fatto valere ed
ha revocato la misura cautelare a suo tempo ottenuta;
d) avverso questa decisione ha proposto appello il commissa
rio liquidatore chiedendo la totale riforma della decisione impu gnata e l'affermazione della responsabilità degli appellati con
loro conseguente condanna al risarcimento dei danni;
e) nel contempo alcuni degli appellati, precisamente quelli nei
cui confronti il commissario liquidatore ha notificato il ricorso
in esame, hanno chiesto al giudice di primo grado la pronuncia
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di un provvedimento ai sensi dell'art. 669 novìes, 3° comma,
c.p.c., atteso che, pur essendo stata revocata la misura cautela
re, non era stato loro possibile ottenere la liberazione degli im
mobili dalla trascrizione del sequestro per loro pregiudizievole. Tutto ciò premesso, osserva la corte che sostanzialmente, an
che se sotto differenti aspetti, la stessa questione è contestual mente proposta all'esame di due giudici diversi: quello di primo
grado — chiamato a decidere ai sensi dell'art. 669 novies, 3°
comma, c.p.c. — e quello di secondo grado chiamato a conce
dere la stessa misura cautelare oggetto della richiesta sopra in
dicata. La stretta interdipendenza delle due decisioni è un aspetto
fin troppo evidente sul piano logico e giuridico ed è stato am
piamente illustrato da tutte le parti nei loro scritti.
La corte ritiene che la soluzione della questione sottoposta al suo esame non possa prescindere dall'esame delle conseguen
ze, sulla sorte della misura cautelare, che derivano dalla deci
sione di rigetto della domanda del commissario liquidatore, con tenuta nella sentenza impugnata. Orbene, al riguardo occorre
richiamare la seconda parte dell'art. 4 d.l. 7 ottobre 1994 n.
571 (convertito in 1. 6 dicembre 1994 n. 673) che testualmente
stabilisce: «tutti i sequestri anteriormente autorizzati perdono la loro efficacia se con sentenza, anche non passata in giudica
to, è rigettata l'istanza di convalida ovvero è dichiarato inesi stente il diritto a cautela del quale erano stati concessi». Non
è contestabile che questa disposizione si applichi, stante l'espli cita dizione, anche al caso in decisione, infatti il sequestro è
stato concesso nella vigenza del precedente codice di rito e la
sentenza di primo grado, ancorché non passata in giudicato, ha dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale la misura cautelare era stata concessa.
A parere della corte l'inefficacia del sequestro discende ex
lege dalla dichiarazione di inesistenza del diritto fatto valere
e la misura cautelare non può essere nuovamente concessa non
potendosi applicare, in via analogica, il disposto dell'art.
669 septìes codice di rito che regola una fattispecie del tutto diversa da questa. Quest'ultima norma, infatti, consente la ri
proposizione della domanda per il provvedimento cautelare nel
l'ipotesi in cui esso sia stato respinto. Deve essere anche osservato, ad avviso della corte, che la de
cisione del tribunale, anche se gravata da appello, è stata presa a seguito di un giudizio di merito, a cognizione piena, le cui conclusioni non possono, a pena di una evidente intrinseca con
traddizione, essere modificate con un giudizio per sua stessa
natura sommario.
Ad avviso della corte l'insussistenza del diritto azionato dal
commissario liquidatore, accertata dalla decisione impugnata, dimostra l'insussistenza di uno dei presupposti per l'adozione
della misura cautelare richiesta, atteso che le conclusioni alle
quali è pervenuto il primo giudice potranno essere superate solo
a seguito di una valutazione piena delle questioni sottoposte all'esame del giudice di appello.
Le argomentazioni sopra svolte rendono evidente che nean
che sotto l'altro profilo, quello del ricorso all'art. 700 c.p.c., il ricorso del commissario liquidatore può trovare accoglimento.
La corte non deve provvedere alle spese di questo procedi mento atteso che, ai sensi dell'art. 669 septìes c.p.c., questa li
quidazione può avvenire solo nell'ipotesi in cui il provvedimen to di sequestro sia stato chiesto prima dell'inizio della causa
di merito.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE D'APPELLO DI PALERMO; sentenza 17 febbraio
1994; Pres. Librizzi, Est. Cottone; Campisi (Avv. Tommasi) c. Banco di Sicilia (Avv. Santangelo).
CORTE D'APPELLO DI PALERMO;
Credito agrario — Mutuo — Disciplina generale — Diminuzio
ne della garanzia patrimoniale — Decadenza dal termine (Cod. civ., art. 1186; r.d.l. 29 luglio 1927 n. 1509, provvedimenti
per l'ordinamento del credito agrario, art. 10, 11). Titoli di credito — Cambiale — Azione causale — Giudizio
di risoluzione — Offerta in restituzione e deposito della cam
biale — Necessità — Esclusione (R.d. 14 dicembre 1933 n. 1669, modificazioni alle norme sulla cambiale e sul vaglia cam
biario, art. 66).
Posto che la disciplina generale delle obbligazioni si applica an
che alla materia del credito agrario, nell'ipotesi di notevole
diminuzione della garanzia patrimoniale del mutuatario, la
decadenza dal termine non è esclusa né dalla possibilità, per il mutuante, di richiedere la risoluzione del contratto, né dal
la particolare tutela concessa al creditore nella fase ese
cutiva. (1) L'offerta di restituzione ed il deposito delle cambiali da parte
del creditore che esercita l'azione causale non sono necessari
quando la condanna al pagamento venga richiesta all'interno di un giudizio di risoluzione. (2)
(1) La sentenza afferma l'applicabilità dell'art. 1186 c.c. alle singole obbligazioni solutorie nascenti dal contratto di mutuo agrario, esclu dendo che la legislazione speciale in tema di credito agrario contenga una disciplina esaustiva delle ragioni creditorie o derogativa in favore del debitore (essendo semmai vero il contrario: sull'esigenza di tutela
degli interessi degli istituti di credito, v. Zappulli, Credito agrario, vo ce del Novìssimo digesto, Torino, 1957, 1088 ss.).
La giurisprudenza di legittimità e di merito si è finora mostrata pres soché indifferente nei confronti del problema del rapporto tra le norme di diritto comune e la legislazione speciale in materia di credito agrario, sfiorando solo marginalmente il punto in Cass. 15 dicembre 1981, n.
6631, Foro it., Rep. 1982, voce Interessi, n. 6, e Giust. civ., 1982, I, 380; App. Catania 29 giugno 1982, Foro it., Rep. 1984, voce Credito
industriale, n. 8; Trib. Catania 16 luglio 1982, ibid., n. 9. Al riguardo, unico precedente degno di rilievo è costituito da una
recente pronunzia del Tribunale di Reggio Emilia che, affrontando l'ar
gomento con riferimento al contratto di conto corrente agrario, ha con cluso per la complementarità tra loro delle fonti normative speciali e comuni: v. Trib. Reggio Emilia 9 marzo 1992, id., Rep. 1993, voce Credito agrario, n. 3, e Giur. it., 1993, I, 2, 72, con nota adesiva di
Tarasconi, Conto corrente agrario, la cessazione del rapporto fra inte resse privato ed interesse pubblico. In particolare, tale decisione ha sta bilito l'applicabilità degli art. 1186 c.c. e 1845 c.c. al rapporto di conto corrente agrario, in quanto non in contrasto con i principi di diritto
pubblico che presiedono alla disciplina del credito agrario. In dottrina, a favore della prevalenza delle norme di diritto speciale
rispetto a quelle di diritto comune, v. Carpino, Credito agrario, voce
del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1982, II, 916 ss. Per un'am
pia disamina del «tasso di specialità» del credito agrario anche alla luce dei mutamenti legislativi intervenuti in materia, v. Jannarelli, Credito
agrario, voce del Digesto civ., Torino, 1989, V, 1 ss.
(2) La sentenza si inserisce all'interno di una copiosa giurisprudenza che individua la ratio dell'art. 66, 3° comma, l.c. nell'esigenza di evita re che in pendenza dell'azione causale, il titolo continui a circolare espo nendo il debitore al rischio di un duplice pagamento: v., per tutte, Cass., sez. un., 25 maggio 1984, n. 3221, Foro it., 1984, I, 2784 (che si segna la per aver risolto il conflitto giurisprudenziale in ordine alla natura delle formalità previste dall'art. 66 I.e., muovendo proprio dalla fun
zione della norma). La corte palermitana indica in quali casi il creditore è dispensato
dagli oneri in questione: in primo luogo, quando l'azione causale è eser
citata nel più ampio contesto di un giudizio di risoluzione, ipotesi poco
indagata finora dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 11 febbraio 1993, n.
1744, id., Rep. 1993, voce Titoli di credito, n. 51, e Arch, civ., 1993, 405; 14 giugno 1950, n. 1503, Foro it., 1950, I, 1148); inoltre, quando l'azione causale e quella cambiaria sono esercitate cumulativamente (cfr. Trib. Milano 7 novembre 1991, id., Rep. 1993, voce cit., n. 52, e Ban
ca, borsa, ecc., 1993, II, 212; Cass. 3 dicembre 1988, n. 6554, Foro
it., Rep. 1988, voce cit., n. 70); infine, quando l'azione cambiaria è
prescritta (cfr. Cass. 3 dicembre 1988, n. 6556, ibid., n. 49; 13 novem
bre 1986, n. 6645, ibid., n. 50, e Banca, borsa, ecc., 1988, II, 444; 17 giugno 1985, n. 3643, Foro it., 1985, I, 3159, con nota di R. Lener,
Azione causale e prescrizione delle azioni cambiarie; ed analogamente
per l'assegno bancario, v. Trib. Milano 3 marzo 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 58, e Banca, borsa, ecc., 1989, II, 460; Trib. Massa 23
febbraio 1988, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 71, e Arch, civ.,
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