ordinanza 19 giugno 2003; Giud. Allegretta; Brudaglio (Avv. Mastrolillo) c. De Nigris (Avv.Massaro)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 1913/1914-1919/1920Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199255 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
CORTE D'APPELLO DI BARI; ordinanza 19 giugno 2003; Giud. Allegretta; Brudaglio (Avv. Mastrolillo) c. De
Nigris (Avv. Massaro).
CORTE D'APPELLO DI BARI;
Esecuzione provvisoria e sospensione dell'esecuzione —
Sentenza di primo grado — Risoluzione del contratto e
condanna al rilascio — Inibitoria — Ammissibilità — Fat tispecie (Cod. civ., art. 1453; cod. proc. civ., art. 282, 283,
337, 351).
E ammissibile l'istanza di sospensione della provvisoria esecu
tività della sentenza di primo grado che, nel dichiarare la ri
soluzione di un contratto preliminare di compravendita, ab
bia disposto il rilascio del fondo oggetto del medesimo con
tratto. (1)
II
CORTE D'APPELLO DI BARI; ordinanza 16 maggio 2003; Pres. ed est. Belsito; Valentini (Avv. Notarnicola, Stefa
nelli) c. Caputo.
Esecuzione provvisoria e sospensione dell'esecuzione —
Sentenza d'appello — Rescissione del contratto e condan
ne alle restituzioni — Esecutività — Fattispecie (Cod. civ., art. 1447; cod. proc. civ., art. 337, 373).
La sentenza d'appello che, nel dichiarare la rescissione di un
contratto di compravendita, abbia condannato il compratore alla restituzione del bene e il venditore alla restituzione del
prezzo costituisce titolo esecutivo. (2)
III
TRIBUNALE DI CATANIA; ordinanza 10 luglio 2003; Pres. Trovato, Rei. Grillo; Musumarra (Avv. Geraci) c. Bellia
(Avv. Russo).
Esecuzione provvisoria e sospensione dell'esecuzione —
Sentenza — Divisione ereditaria e conguagli in denaro —
Esecutività — Fattispecie (Cod. civ., art. 713, 728; cod. proc. civ., art. 282, 337, 700, 785).
La sentenza che abbia accolto la domanda di divisione eredita
ria e disposto conguagli in denaro tra i condividenti è provvi soriamente esecutiva. (3)
(1-3) Le ordinanze in epigrafe si segnalano perché mostrano che an
che in giurisprudenza, come già da tempo in dottrina, si sta facendo strada il convincimento che l'istituto dell'esecutività provvisoria non ha un ambito operativo circoscritto alle sole sentenze di condanna, ma
riguarda anche le pronunce dichiarative e, soprattutto, quelle costituti
ve. Più nello specifico, mentre le prime due ordinanze hanno ammesso l'esecutività ipso iure, ai sensi dell'art. 282 c.p.c., del solo capo di con danna dipendente da una pronuncia costitutiva principale, negando per converso l'esecutività di tale ultima pronuncia, la terza si è spinta oltre, affermando l'esecutività ipso iure non solo del capo di condanna, ma
anche della pronuncia costitutiva, sul presupposto che l'esecutività sia
una qualità che compete in linea di principio a qualunque sentenza. Nel senso che l'esecutività provvisoria operi non solo per le sentenze
di condanna, ma anche per le pronunce costitutive e persino per quelle dichiarative, v. Cass. 13 aprile 1999, n. 3607, Foro it., Rep. 1999, voce
Ingiunzione (procedimento per), n. 138, che ha affermato l'esecutività
provvisoria della sentenza di rigetto dell'opposizione a decreto ingiun tivo; Trib. min. Perugia 20 luglio 1998, ibid., voce Adozione, n. 108, e
Dir. famiglia, 1999, 205, che, movendo dal presupposto che la sentenza
di accoglimento dell'opposizione al decreto dichiarativo dello stato di
adottabilità sia provvisoriamente esecutiva, ha disposto l'immediata re
stituzione del minore alla madre naturale; Pret. Firenze 24 agosto 1997, Foro it., Rep. 1999, voce Contratto in genere, n. 498, e Toscana giur., 1999, 1, con riguardo alla sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.; Pret.
Napoli 22 dicembre 1995, Foro it.. Rep. 1997, voce Lavoro e previden za (controversie), n. 150, e Riv. critica dir. lav., 1996, 847, con nota
parzialmente critica di Manna, Provvisoria esecutorietà e sentenze di
accertamento alla luce del nuovo testo dell'art. 282 c.p.c., a proposito di una sentenza che aveva accertato il diritto del lavoratore a una quali fica superiore e condannato in via generica il datore di lavoro al paga
II Foro Italiano — 2004 — Parte I-33.
I
Rilevato che nel caso di specie si è in presenza di una senten
za che, sia pure in parte, è di condanna (al rilascio del fondo ru
stico oggetto del preliminare intercorso tra le parti il 29 gennaio 1993, quale conseguenza della declaratoria di risoluzione per
inadempimento di tale contratto), sicché non può dubitarsi del
l'ammissibilità della proposta istanza di sospensione della prov visoria esecutività (v., indirettamente, Cass. 7 maggio 1999, n.
4604, Foro it., Rep. 1999, voce Sentenza civile, n. 101);
mento delle differenze retributive; App. Firenze 19 novembre 1995, Foro it., Rep. 1996, voce Esecuzione provvisoria, n. 5, e Toscana giur., 1996, 335, con nota di Sbaraglio, Questioni varie intorno all'esecuti vità e all'inibitoria; Pret. Firenze 14 giugno 1995, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 168, e Toscana lavoro
giur., 1995, 548, con riguardo a una sentenza di accertamento della nullità del trasferimento del dipendente.
In dottrina, nel senso che l'art. 282 c.p.c. si applichi indistintamente a tutte le sentenze di primo grado, finanche a quelle di mero accerta
mento, v. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 194 s.; De Angelis, L'esecutività delle sentenze di primo grado in materia di lavoro alla luce della riforma del 1990, in Giur. it., 1992, IV, 400; Monaci, La «novella» ed il processo del lavoro, in Riv. trim, dir. e proc. civ., 1995, 165 ss.; Pellegrino, Fallimento e nuovo proces so civile, Padova, 1994, 68 s. Ritengono, invece, che l'esecuzione
provvisoria debba ammettersi per le sentenze costitutive, ma non per quelle di mero accertamento, Carpi, Esecutorietà, voce dell' Enciclope dia giuridica Treccani, Roma, 1995, XIII, aggiornamento, 4; M. Fabia
ni(-Panzani), La riforma del processo civile e le procedure concorsua
li, Padova, 1994, 170 ss., spec. 175 s.; Ferri, In tema di esecutorietà della sentenza e inibitoria, in Riv. dir. proc., 1993, 559 ss.; Mandrioli, Diritto processuale civile'5, Torino, 2003, II, 303 s., spec, nota 37; Ta
vormina, Titolo esecutivo giudiziale e stragiudiziale. L'efficacia del titolo esecutivo e l'ammissibilità della sua sospensione, in <www.
judicium.it>, § 2. Nello stesso senso, con riguardo alla disciplina ante riore alla riforma del 1990, Impagnatiello, La provvisoria esecutorietà delle sentenze costitutive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, 47 ss., cui
si rinvia per ulteriori riferimenti. In senso opposto, e precisamente nel senso che l'esecuzione provvi
soria riguardi le sole sentenze di condanna, le uniche capaci di mettere
capo a un'esecuzione forzata nelle forme tipiche previste dal terzo libro del codice di procedura civile, v. Cass. 6 febbraio 1999, n. 1037, Foro
it., Rep. 1999, voce Esecuzione provvisoria, n. 3; 24 marzo 1998, n.
3090, id., Rep. 1998, voce Possesso, n. 110, che, nel ribadire che la sentenza che dispone il trasferimento di una servitù ai sensi dell'art.
1068 c.c. produce effetti solo nel momento del passaggio in giudicato, ha precisato che contro la parte vittoriosa che esegua prematuramente tale decisione è ammissibile l'azione di spoglio. Nella giurisprudenza di merito, v., in senso analogo, Trib. Padova, ord. 30 settembre 2000,
id., Rep. 2002, voce Esecuzione provvisoria, n. 2, e Riv. esecuzione
forzata, 2002, 282, con nota di Tota, Sugli effetti della domanda giudi ziale ex art. 2652 c.c. trascritta «medio tempore» tra l'iscrizione di
ipoteca e la trascrizione del pignoramento; Trib. Como 2 novembre
1999, Foro it., Rep. 2000, voce Società, n. 679, e Giur. it., 2000, 793, che ha ritenuto che la sentenza che dichiara la nullità della norma sta tutaria in base alla quale è stato eletto l'amministratore unico non è su
scettibile di produrre effetti sino al suo passaggio in giudicato, sì che fino a tale momento permane in carica l'amministratore eletto sulla ba se della norma nulla; App. Napoli, ord. 21 gennaio 1999, Foro it., 1999. voce Esecuzione provvisoria, n. 5, e Giusi, civ., 1999, I, 3433;
App. Venezia, ord. 28 giugno 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 8, e Giur. it., 1997, I, 2, 8. Nello stesso senso, con riguardo alla sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., v. Trib. Firenze 22 luglio 1998, Foro it.,
Rep. 1999, voce Contratto in genere, n. 497, e Toscana giur., 1999, 1;
App. Bari, ord. 12 aprile 1990 e App. Firenze, ord. 13 aprile 1988, Fo ro it., 1991, I, 1554, con nota di richiami e osservazioni di Impagnati
ello. Con riguardo alla sentenza che accoglie la domanda di risoluzio
ne per inadempimento, v. Trib. Cagliari 28 febbraio 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 437, e Riv. giur. sarda, 1996, 405, con nota di Cao, Brevi considerazioni in tema di clausola risolutiva espressa, risoluzio ne del contratto per inadempimento e provvisoria esecuzione della
sentenza. Nel medesimo ordine di idee, infine, si è più volte esclusa la
provvisoria esecutività della sentenza che revoca il fallimento, con con
seguente protrazione fino al giudicato degli effetti della sentenza di
chiarativa del medesimo fallimento (esecutiva ipso iure ai sensi del
l'art. 16 1. fall.): v. Trib. Campobasso 19 febbraio 1998, Foro it., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 275, e Dir. fallim., 1998, II, 592; 27 dicem
bre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 276, e Giur. merito, 1998,
410; Trib. Napoli 31 gennaio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n.
316, e Giur. it., 1997, I, 2, 706, con nota di Nazzini, La provvisoria esecutività della sentenza di revoca del fallimento', Trib. Roma 7 giu
gno 1996, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 277, e Giur. comm., 1998,
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PARTE PRIMA 1916
ritenuto, peraltro, che la stessa istanza non appare meritevole
di accoglimento, non ricorrendo i gravi motivi di cui all'art. 283
c.p.c., né sotto il profilo del fumus boni iuris, in quanto le ra
gioni poste a fondamento dell'impugnazione, ad un vaglio sommario e rapido (quale è quello consentito soltanto in questa sede, e salvo più approfondito esame in sede di merito), non ap
paiono tali da incidere sicuramente sull'impugnata decisione di
svelandone l'eventuale palese erroneità, né sotto il profilo del
periculum in mora, costituito dal fondato timore di non poter
recuperare, in caso di riforma della sentenza, il fondo oggetto del preliminare e le spese sopportate al riguardo per colpa del
promittente venditore atteso che detto timore non risulta neppu re prospettato dall'istante e comunque non è sorretto da alcun
dato obiettivo;
per questi motivi, rigetta l'istanza.
II
Sciogliendo la riserva che precede, rileva:
a) nel caso di specie è indubbia l'esistenza di un titolo ese
cutivo rappresentato dalla sentenza in data 20-30 dicembre 2002
che, rigettando il gravame proposto avverso la pronuncia resa
dal Tribunale di Taranto, non solo ne ha confermato la declara
toria di rescissione del contratto di compravendita stipulato il 26
febbraio 1979 a ministero notar Placco, ma ha altresì condan
nato la Valentini a restituire l'immobile oggetto del suddetto
negozio ed il Caputo a restituire la somma di lire 46.000.000 pa ri ad attuali euro 23.757,02; d'altronde, se così non fosse, la
sentenza di cui innanzi resa da questa corte, non potendo costi
tuire valido titolo per intraprendere l'esecuzione, non potrebbe
neppure essere suscettibile di inibitoria (cfr., sul principio, Cass. 12 luglio 2000, n. 9236, Foro it., 2001, I, 159), con la conse
II, 286, con nota di Pizzirusso, Esecutorietà della sentenza di revoca del fallimento e tutela cautelare d'urgenza.
Nel senso che l'esecutività provvisoria non possa essere ammessa
per le statuizioni costitutive, ma debba esserlo per gli eventuali capi di condanna accessori, v. Cass. 7 maggio 1999, n. 4604, Foro it., Rep. 1999, voce Sentenza civile, n. 101. In dottrina, nello stesso senso, Ba lena, La riforma del processo civile di cognizione, Napoli, 1994, 331; Comoglio, L'esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, in
Taruffo, Le riforme della giustizia civile , Torino, 2000, 422; Conso
lo(-Luiso-Sassani), Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 263; Luiso, Diritto processuale civile3, Milano, 2000, II, 197 s.; Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile. Pado
va, 2001, I, 2, 1606; A. Siracusano, in Verde-Vaccarella, Codice di
procedura civile commentato, Torino, 1997, II, 519.
Invece, nel senso che l'esecutività non possa essere ammessa con ri
guardo né alla statuizione costitutiva principale, né alle condanne di
pendenti, v., con specifico riguardo alle pronunce restitutorie conse
guenti all'accoglimento della domanda revocatoria ordinaria o falli mentare, Trib. Modena, ord. 1° febbraio 2001, Foro it.. Rep. 2001, vo ce Fallimento, n. 478, e Giur. it., 2001, 977; App. Trento, ord. 12 gen naio 2001, Foro it., 2001, I, 1363, con nota critica di M. Fabiani, La sentenza in materia revocatoria e il problema della sua esecutorietà', App. Venezia, ord. 3 giugno 1999, id., Rep. 2000, voce cit., n. 533, e Banca, borsa, ecc., 2000, II, 153, con nota parzialmente adesiva di Tucci, La revocatoria fallimentare e l'esecuzione provvisoria delle sentenze costitutive; con riferimento ai capi di condanna contenuti nella sentenza di cui all'art. 2932 c.c., Trib. Bassano del Grappa 10 aprile 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Sentenza civile, n. 100, e Giur. it., 1999, 1627, con osservazioni di Consolo. In dottrina, in tal senso, Monteleone, Esecuzione provvisoria, voce del Digesto civ., Torino, 2000, aggiornamento, 367; Tarzia, Lineamenti del processo civile di
cognizione2, Milano, 2002, 252.
Peraltro, nel senso che la sentenza di primo grado che abbia rigettato la domanda non sia esecutiva neppure nella parte relativa alle spese processuali, v. Cass. 12 luglio 2000, n. 9236, Foro it., 2001,1, 159, con nota critica di Scarselli, La provvisoria esecuzione della condanna alle spese del giudizio (ovvero, la parte che ha ragione non recupera le
spese fino al passaggio in giudicato della sentenza?), e Corriere giur., 2000, 1599, con nota critica di Consolo, Una non condivisibile conse
guenza (la non esecutorietà del capo sulle spese) di una premessa fon data (la non esecutorietà delle statuizioni di accertamento). In senso motivatamente contrario, v., però, Trib. Napoli 3 marzo 2003, Dir. e
giustizia, 2003, fase. 31, 78, con nota di Affinito, È ancora «querelle» sull'esecutività della condanna alle spese.
Per maggiori ragguagli, cfr. Impagnatiello, Sentenze costitutive, condanne accessorie e provvisoria esecutività, in corso di pubblicazio ne in Riv. trim. dir. e proc. civ.
Il Foro Italiano — 2004.
guenza che il decreto presidenziale 28 marzo 2003 dovrebbe es
sere revocato a cagione dell'inammissibilità dell'invocata so
spensione ex art. 373 c.p.c.;
b) il decreto in parola, invece, va revocato perché non sussi
ste l'estremo del grave ed irreparabile pregiudizio dal momento
che le condizioni patrimoniali delle parti sono tali da non porre in pericolo il ripristino della situazione quo ante in caso di esito
favorevole alla Valentini della spiegata impugnazione;
c) per quanto concerne inoltre il possibile trasferimento del
l'immobile è agevole rilevare, al di là di considerazioni basate
sulla comune esperienza che escludono la commerciabilità di un
bene sub iudice, che solo il giudicato definitivo potrà portare ad
un simile effetto.
Ili
Con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato in data 19 dicembre
2002, Angela Musumarra richiedeva la sospensione dell'esecu
zione iniziata ai suoi danni da Grazia Bellia con atto di precetto notificatole in data 20 maggio 2003 con il quale le era stato in
timato il pagamento della somma di euro 4.364,337 attinente ad
un conguaglio relativo ad un progetto di divisione ereditaria ap
provato con sentenza resa dal Tribunale di Catania nel procedi mento 3792/77 tra le medesime parti.
Rilevava la reclamante a sostegno del ricorso che non sussi
steva nella specie alcun titolo esecutivo, e ciò in quanto la sen
tenza di scioglimento della divisione ereditaria, attesa la sua
natura costitutiva, avrebbe potuto essere oggetto di esecuzione
solo dopo il suo passaggio in giudicato, che nella specie non si
era determinato, essendo pendente ricorso per cassazione contro
la sentenza resa in grado d'appello. Con il provvedimento oggetto di reclamo il giudice di prime
cure rigettava la richiesta di sospensione dell'esecuzione, rile
vando che la sentenza del Tribunale di Catania, con la quale era
stata disposta la divisione e posto a carico dell'odierna recla
mante l'obbligo del conguaglio, doveva ritenersi passata in giu dicato, essendo stato dichiarato inammissibile l'appello per omessa indicazione dei motivi, ai sensi dell'art. 342 c.p.c.
Avverso tale provvedimento proponeva reclamo la Musumatv
ra che, nel ribadire tutte le argomentazioni mosse in punto di
fatto e di diritto con il ricorso ex art. 700 c.p.c., rilevava che av
verso la sentenza che aveva dichiarato l'inammissibilità del
l'appello era stato proposto ricorso per cassazione (la cui copia
produceva) avente ad oggetto, in particolare, l'inesatta applica zione al caso di specie dell'art. 342 c.p.c.
Instauratosi il contraddittorio si costituiva in giudizio Grazia
Bellia che chiedeva il rigetto del reclamo.
Osserva il tribunale che il reclamo non è fondato e deve per tanto essere disatteso, pur non potendosi condividere le ragioni
presupposte dal giudice di prime cure a fondamento della deci sione di rigetto.
Va in primo luogo rilevato che non appare così certa a questo tribunale l'esperibilità della tutela cautelare atipica nel caso di
specie, ben potendo trovarsi all'interno dell'ordinamento uno
strumento cautelare tipico idoneo a determinare l'effetto di ini bire l'esecuzione preannunciata con l'atto di precetto, e ciò alla
stregua di quell'orientamento giurisprudenziale (pur minorita
rio) che, aderendo alle posizioni espresse dalla più attenta dot trina processualistica ritiene che il giudice dell'opposizione al
precetto possa sospendere l'efficacia esecutiva del titolo, e ciò
quale giudice dell'impugnazione ai sensi e per gli effetti del
l'art. 623 c.p.c. (Pret. Catania, ord. 30 marzo 1992, Foro it., 1993,1, 3440).
Va tuttavia rilevato che con recente sentenza (23 febbraio
2000, n. 2051, id., 2000, I, 1834) la Corte di cassazione, ade rendo alla diversa impostazione di altri giudici di merito (cfr., al riguardo, Pret. Catania-Mascalucia 5 maggio 1998, id., 1999, I, 1692) ha espressamente statuito che l'unico rimedio cautelare
per ottenere la sospensione dell'esecuzione dopo la notifica del l'atto di precetto e prima del pignoramento è il ricorso d 'urgen za ex art. 700 c.p.c. non sussistendo nella specie alcuno stru mento cautelare tipico.
Anche a ritenere ammissibile, alla luce di tale rilevante pre cedente, la richiesta di provvedimento cautelare sotto il profilo della residualità della tutela, osserva tuttavia il tribunale che non sussistono nella specie gli altri presupposti richiesti per la con
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cessione della richiesta misura e ciò sia con riguardo al fumus boni iuris che al periculum in mora.
Con riguardo al primo profilo, oggetto dell'indagine deman data al giudice è certamente costituito dall'accertamento della sussistenza o meno, nella specie, di un valido titolo esecutivo che possa legittimamente fondare la minacciata esecuzione, e ciò in quanto ci troviamo al cospetto di una statuizione di con
danna contenuta in una sentenza di divisione, alla quale ad avvi so di questo collegio va riconosciuta natura costitutiva.
Appare al riguardo condivisibile, infatti la tesi, sostenuta da
autorevole dottrina e da parte della giurisprudenza (v. Cass.
3842/80, id., 1980, I, 2128) che riconosce tale natura alla divi sione, e ciò contrariamente all'opposta tesi della natura dichia
rativa, risalente nel tempo ed originata dalla necessità di evitare
inconvenienti di natura fiscale.
Invero, l'assunto che la divisione non comporti un ulteriore
trasferimento di diritti dal patrimonio ereditario al singolo co
erede, dando luogo ad un mero effetto dichiarativo, consistente
nel riconoscimento che un determinato bene ricada nel patrimo nio di quel coerede, si basa essenzialmente sul disposto dell'art. 757 c.c. che testualmente recita «ogni coerede è reputato solo ed
immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a
lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto e
si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli al tri beni ereditari». Tale riscontro normativo, però, appare equi voco e, quindi, non decisivo ai fini dell'individuazione della
natura del negozio divisionale, atteso che la predetta disposizio ne non afferma che il condividente «è» o «diviene», sin dal
momento della successione, immediato ed esclusivo proprietario dei beni assegnatigli, ma si limita ad affermare che lo stesso «è
reputato» solo ed immediato successore in tutti i beni facenti
parte della sua quota. La predetta espressione va interpretata, a parere del collegio,
non nel senso che gli effetti retroattivi della divisione ne con
fermano la natura dichiarativa, bensì nel senso che questi ultimi
sono la conseguenza di una finzione giuridica, dettata dall'esi
genza di risolvere problemi pratici riscontrabili nella realtà
quotidiana. La tesi della natura costitutiva, per contro, si fonda sull'evi
dente dato che tra il momento dell'apertura della successione e
quello della divisione i beni vengono a trovarsi in una situazione
reale e non fittizia, costituita dalla comunione ereditaria, mentre
la divisione fa seguito a quest'ultima ma non può sovrapporsi ad essa eliminandola.
Tornando alla fattispecie posta all'esame di questo giudice ed
alla sussistenza o meno nel caso di specie di un valido titolo
esecutivo, il giudice di prime cure ha ritenuto la sussistenza di
tale titolo, argomentando dal passaggio in giudicato della sen
tenza posta a sostegno dell'esecuzione, in conseguenza della di
chiarazione d'inammissibilità dell'appello contenuta nella sen
tenza che ha definito il relativo grado di giudizio. Va in senso contrario rilevato che la sentenza in oggetto è
stata ritualmente gravata di ricorso per cassazione i cui motivi
attengono proprio alla sussistenza o meno dei presupposti per la
dichiarazione d'inammissibilità dell'appello, e deve, pertanto, logicamente escludersi che la stessa abbia definito con efficacia
di giudicato il giudizio, da ritenersi, pertanto, tuttora pendente. Tale conclusione non è però utile a definire la questione rela
tiva alla sussistenza o meno nel caso specifico di un valido ed
efficace titolo esecutivo, posto che ci troviamo comunque al co
spetto di una statuizione contenuta in una sentenza di primo
grado, di fronte alla quale diventa essenziale stabilire se la stes
sa sia o meno direttamente esecutiva per legge. La questione non è di immediata soluzione e sulla stessa è
dato registrare un forte dibattito sia giurisprudenziale che dot
trinario che già sviluppatosi nella vigenza del vecchio art. 282
c.p.c. (che prevedeva la facoltà per il giudice di primo grado di concedere alla sentenza la provvisoria esecuzione) si è ulterior
mente acceso in seguito alla riforma del medesimo articolo, la
cui attuale formulazione prevede che tutte le sentenze di primo
grado sono esecutive per legge.
Vigente il vecchio art. 282 c.p.c. l'orientamento maggiorita rio, sia in giurisprudenza (per tutte, cfr. Cass. 24 maggio 1993, n. 5837, id., Rep. 1993, voce Spese giudiziali civili, n. 8) che in dottrina, tendeva ad un'interpretazione restrittiva dei poteri con
cessi al giudice di primo grado, ritenendo che solo le sentenze di
condanna potessero essere munite della clausola di provvisoria
Il Foro Italiano — 2004.
esecuzione, con esclusione delle altre categorie di sentenze e
segnatamente quelle dichiarative e quelle costitutive. Si soste
neva, e si sostiene, al riguardo che solo le sentenze di condanna sono suscettibili di dare corso al procedimento di esecuzione
forzata, in quanto solo rispetto ad esse si pone la necessità di un
adeguamento della realtà al disposto della sentenza. Elemento che manca sia nelle sentenze dichiarative che nelle sentenze co
stitutive nella quale ipotesi, in particolare, è la stessa sentenza che determina l'insorgere di una nuova situazione fattuale.
La nuova formulazione dell'art. 282, nella sua genericità ed
apparente onnicomprensività non è riuscita a risolvere le que stioni in via del tutto sintetica sopra enunciate, continuando a
dominare l'orientamento restrittivo che ritiene che solo le sen
tenze di condanna siano provvisoriamente esecutive. La Supre ma corte in particolare sostiene che l'anticipazione dell'effica
cia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato, riguar da soltanto il momento dell'esecutività della pronuncia, con la
conseguenza, per la necessaria correlazione tra condanna ed
esecuzione forzata, che la disciplina dell'esecuzione provvisoria ex art. 282 c.p.c. trova legittima attuazione solo con riferimento
alla sentenza di condanna, poiché è l'unica che possa, per sua
natura costituire titolo esecutivo (in tal senso, da ultimo, Cass.
12 luglio 2000, n. 9236, id., 2001, I, 159; 6 febbraio 1999, n. 1037, id., Rep. 1999, voce Esecuzione provvisoria, n. 3; e, tra i
giudici di merito, App. Bari, ord. 12 aprile 1990, id., 1991, I, 1554; App. Venezia 28 giugno 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 8; Trib. Campobasso 27 dicembre 1997, id., Rep. 1998, voce
Fallimento, n. 276; Trib. Modena 1° febbraio 2001, id., Rep. 2001, voce cit., n. 478; App. Venezia 3 giugno 1999, id., Rep. 2000, voce cit., n. 533; Trib. Bassano del Grappa 10 aprile 1998, id., Rep. 1999, voce Sentenza civile, n. 100).
Tale orientamento è contrastato da uno minoritario sia in dot
trina che in giurisprudenza (cfr. Trib. Monza 17 agosto 2001) che sottolinea la valenza generale della norma e, soprattutto, lo
studio dei lavori preparatori alla riforma dai quali si evince
l'intenzione del legislatore di dare rilievo alla decisione di pri mo grado, conferendo a questa pronuncia valore satisfattorio
della controversia, scoraggiando, in tal modo, la proposizione di
appelli mirati al solo fine di procrastinare l'esecuzione della
sentenza al fine di rendere più rapida la definizione dei proce dimenti. Si riconosce, per tal via, l'efficacia esecutiva o, meglio,
l'anticipazione degli effetti della sentenza, a tutte indistinta
mente le sentenze di primo grado comprese anche quelle dichia
rative ed esecutive, con l'unico limite derivante dall'intrinseca
impossibilità della sentenza di ricevere una qualche attuazione
pratica (si pensi ad esempio alle sentenze di mero accertamen
to). L'incertezza delle posizioni diventa ancora più rimarcata ove
si cerchi di risolvere l'ulteriore questione (che è poi quella che
più direttamente riguarda il presente procedimento) e cioè l'ef
ficacia da attribuire a capi di sentenza di condanna che inerisco
no ad una sentenza dichiarativa o costitutiva, di cui sono capi
consequenziali o accessori. Ed infatti anche tra coloro che so
stengono un'interpretazione restrittiva delle norme in tema di
provvisoria esecutività vi è chi sostiene che il capo di sentenza
che contiene una condanna sia comunque suscettibile di esecu
zione forzata e ciò anche quando non sia autonomo ma conse
gua a pronuncia di altro tipo (in giurisprudenza, cfr. App. Mila
no 13 dicembre 1963, id., Rep. 1964, voce Esecuzione provviso ria, n. 2).
La recente giurisprudenza della Suprema corte sembra invece
orientata nel senso più rigoroso, avendo la Cassazione recente
mente ribadito (sent. 9236/00, già citata) non solo che le uniche
sentenze esecutive sono quelle di condanna, ma anche che le
pronunce accessorie (nel caso specifico quella relativa al paga mento delle spese) possono costituire titolo esecutivo soltanto
nel caso in cui ineriscano ad una pronuncia di condanna. Orien
tamento prevalente anche nella giurisprudenza di merito sopra citata, che dalla considerazione che le uniche sentenze esecutive
sono quelle di condanna, trae la conseguenza che i capi di con
danna conseguenti a statuizioni di natura costitutiva (es. revo
catoria fallimentare) non siano forniti di tale efficacia.
Ritiene il collegio che tale orientamento non possa essere
condiviso, e ciò proprio alla luce del nuovo disposto dell'art.
282 c.p.c. al quale non sembra che la Suprema corte, così come
i giudici di merito, abbiano riconosciuto l'indubbia portata in
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PARTE PRIMA 1920
novativa nel nostro sistema processuale. Statuendo il principio per cui tutte le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive, il legislatore ha inteso chiaramente introdurre una re
gola del tutto contrapposta a quella previgente a tenore della
quale le sentenze di primo grado erano in via generale prive di
efficacia esecutiva a meno che il giudice, sussistendone i neces
sari presupposti, non la fornisse espressamente. Né vale sostenere come fa la Suprema corte (che pur ricono
sce la finalità a cui la norma era destinata come desumibile dai
lavori preparatori) che affinché vi sia un'anticipazione dell'effi cacia di accertamento e/o costitutiva della sentenza rispetto al
momento della formazione del giudicato formale è necessario
che vi sia una specifica previsione normativa la quale, invece, nel testo novellato, manca del tutto (Cass. 9236/00). La previ sione normativa c'è, ha portata assolutamente generale e, al
contrario, non consente una aprioristica esclusione dal novero
delle sentenze esecutive di alcune categorie predeterminate di
sentenze.
La modifica imposta dal legislatore comporta, invero, come
conseguenza che ciò che prima era l'eccezione diventa adesso la
regola. Ad ogni sentenza, per principio generale, si deve ricono scere la provvisoria esecutorietà, salva la verifica da effettuare caso per caso e in dipendenza del suo materiale contenuto, della concreta possibilità che la stessa sia portata ad esecuzione, va lutazione che, nell'ipotesi di sentenza che contenga più capi, ben può e deve essere effettuata con riguardo ad ognuno di essi.
Se nel sistema previgente poteva configurarsi un problema di
estensione o meno della provvisoria esecuzione anche ai capi di
sentenza consequenziali o accessori, e ciò in quanto l'esecuto rietà derivava da un provvedimento del giudice, oggi tale pro blema è definito in nuce dal riconoscimento del legislatore che
tale efficacia riconosce direttamente ad ogni singola determina
zione contenuta nella sentenza.
Come ha rilevato perspicua dottrina, se la regola è quella della generale esecutività della sentenza di primo grado saranno
eccezionali le ipotesi in cui tale esecutività non va riconosciuta
e pertanto «tali ipotesi, proprio perché eccezionali ed in contra
sto con il principio generale voluto dalla riforma, non potranno nel modo più assoluto estendersi ad altre parti o capi della sen tenza che rimarranno invece provvisoriamente esecutivi in forza della regola voluta dall'art. 282 c.p.c. Il criterio dell'accesso
rietà, infatti, poteva probabilmente valere quando la provvisoria esecuzione si aveva ope iudicis poiché in quei casi era evidente che tale efficacia si estendeva inevitabilmente dai capi princi pali a quelli accessori, ma non può valere nel sistema vigente ove la provvisoria esecuzione della sentenza si ha per legge,
poiché in questi casi pare naturale che la sottrazione non possa estendersi agli altri capi della sentenza e debba invece darsi solo all'interno del ristretto ambito ove particolari motivi lo impon
gono». Se questa è l'impostazione che questo tribunale ritiene di
condividere consegue che nel caso di specie il capo di sentenza
portato ad esecuzione (obbligo di pagamento del conguaglio) è certamente suscettibile di esecuzione forzata, atteso il suo ca rattere indubbiamente condannatorio.
Sussiste pertanto nella specie il necessario titolo esecutivo che giustifica la minacciata esecuzione.
La mancanza nel caso di specie del necessario fumus boni iu ris è sufficiente al rigetto del reclamo. Per completezza di moti vazione va inoltre rilevato che mancano nel caso di specie gli elementi per ritenere la sussistenza del periculum in mora es sendosi limitata parte ricorrente a dedurre l'esistenza di un pre giudizio di natura patrimoniale, collegato alle sue — non dimo strate —
precarie condizioni economiche, senza in alcun modo evidenziare uno stato di pregiudizio irreparabile come richiesto dall'art. 700 c.p.c.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 10 giugno 2003; Pres. Trombetti, Est. Lamanna; Montrasio e altri
(Avv. G. e P. Cassamagnaghi) c. Soc. coop, edilizia Hinter
land (Avv. Mariotti).
CORTE D'APPELLO DI MILANO;
Cooperativa e cooperazione — Ristorno dei rimborsi Iva —
Diritto del socio — Esclusione (Cod. civ., art. 2511).
Non sussiste un diritto del socio al ristorno dei rimborsi Iva in
favore della cooperativa, atteso che lo stesso non può farsi discendere dallo scopo mutualistico in sé e per sé considera
to. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo mezzo di gravame la difesa degli appellanti critica l'impugnata decisione per avere
il tribunale ritenuto che il risparmio di un costo quale era l'Iva
non dovesse essere defalcato dal prezzo di ciascun alloggio, no
nostante il fatto che anche tale imposta fosse una componente dei costi cui era stato commisurato il prezzo di assegnazione.
Rileva poi che nel verbale dell'assemblea del 17 marzo 1989,
lungi dal rinvenirsi una rinuncia a tale credito, era stato specifi cato che «per la questione Iva c'è l'impegno e disponibilità af
finché detto importo venga distribuito ai soci».
Deduce, infine, quanto alla delibera che approvò il bilancio al 31 dicembre 1995, che nessun effetto avrebbe potuto spiegare una delibera che utilizzava fondi non societari per arricchire le
riserve della società cooperativa e quindi non sarebbe stato nemmeno necessario impugnarla per renderla inoperante.
2. - L'appellata cooperativa si limita a resistere all'impugna
tiva principale, reiterando le difese già svolte in primo grado a
sostegno della decisione assunta dal tribunale.
3. - Così sintetizzato l'oggetto del contendere, reputa questa corte che l'appello sia destituito di fondamento.
Il tribunale ha correttamente rilevato che il credito Iva era
sorto direttamente — per effetto dell'esercizio dell'attività di
impresa — in capo alla cooperativa convenuta senza essere
formalmente riferibile ai soci, poiché a questi ultimi non com
pete un diritto soggettivo al vantaggio mutualistico tale da com
portare un immediato e diretto ristorno degli utili di bilancio, un
tale beneficio potendo piuttosto derivare dalle norme che disci
plinano la divisione degli utili in materia di cooperative e dalle
deliberazioni assunte dagli organi sociali. A questa stregua, il tribunale non ha poi nemmeno mancato di
considerare il testo sia dell'art. 16 dello statuto della cooperati va, che escludeva potesse essere ripartito tra i soci «il residuo attivo risultante da bilancio al netto di tutte le spese e conti pa gati e a pagare, compresi gli ammortamenti», sia del successivo art. 17, a tenore del quale le riserve sociali attive non avrebbero
potuto essere ripartite tra i soci durante la vita della società. Ma a parte ciò, non è assolutamente dubitabile che del credito
per rimborso Iva (da classificare tra i c.d. ristorni, quale rispar mio di spesa) sia titolare nei confronti dell'amministrazione fi nanziaria solo la cooperativa.
A tale conclusione è già pervenuta anche questa stessa corte con un non lontano precedente (App. Milano 15 novembre
1996, Foro it., Rep. 1997, voce Cooperativa, n. 46), rilevando — tra l'altro — che non esiste un diritto soggettivo del socio al
vantaggio mutualistico, diritto che dovrà piuttosto essere circo scritto negli stessi termini del diritto agli utili nelle società di
capitali: spetterà quindi agli amministratori proporre, e all'as semblea approvare (a semplice maggioranza) la distribuzione o meno dei ristorni nella misura ritenuta opportuna.
In quell'occasione si evidenziò anche come non vi fosse al cun dubbio sulla titolarità da parte della cooperativa del credito nei confronti dell'amministrazione per il rimborso dell'ecce
(1) La decisione è conforme all'ultimo arresto in argomento della
Suprema corte, reso da Cass. 8 settembre 1999, n. 9513, Foro it., 2000, I, 3280, con osservazioni di P. Gallo, ove si è affermato che, non sus sistendo un diritto del socio al ristorno dell'Iva pagata in eccedenza dalla società, è pertanto legittima la deliberazione dell'assemblea di de stinare tale somma a finalità di organizzazione e funzionamento della
cooperativa medesima. Con tale decisione la Cassazione ha anche chiarito il rapporto cor
rente tra discrezionalità assembleare e distribuzione ai soci dei ristorni, nel senso che il diritto del socio deve considerarsi sussistere solo a se
guito di una deliberazione assembleare che disponga in tal senso, con
conseguente irrilevanza di una verifica dr legittimità della preventiva deliberazione di rinuncia al ristorno da parte di un gruppo di soci.
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