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ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Meliadò; Siscaro (Avv. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Avv. Calvo,...

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ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Meliadò; Siscaro (Avv. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Avv. Calvo, Equizzi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 765/766-769/770 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190200 . Accessed: 28/06/2014 08:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 08:28:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Meliadò; Siscaro (Avv. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Avv. Calvo, Equizzi)

ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Meliadò; Siscaro (Avv. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Avv.Calvo, Equizzi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 765/766-769/770Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190200 .

Accessed: 28/06/2014 08:28

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ai sensi dell'art. 26 1. n. 300 del 1970, non è titolare del relativo

diritto; — che, in ogni caso, il referendum popolare del giugno 1995

modifica radicalmente i presupposti normativi, abrogando il 2°

e 3° comma dell'art. 26 1. n. 300 del 1970, e parzialmente, con

riferimento alla lett. a), l'art. 19 stessa legge. La causa è stata istruita in base alla documentazione prodot

ta e alle deposizioni degli informatori. In via preliminare si rileva che nel corso del giudizio sono

divenute operanti le abrogazioni che conseguono alla consulta

zionne popolare del giugno 1995. Sono state abrogate le dispo sizioni statutarie in materia di riscossione dei contributi sinda cali (art. 26 1. n. 300 del 1970) e l'art. 19 1. n. 300 del 1970, sopravvive solo limitatamente alla lett. b), a norma della quale le r.s.a. possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nel

l'ambito di associazioni sindacali che siano firmatarie di con tratti collettivi applicati nell'unità produttiva.

La predetta vertenza deve essere risolta alla luce del mutato

quadro normativo.

Anteriormente al referendum del giugno 1995, la Suprema

corte, sebbene con alcune oscillazioni, aveva proposto un'inter

pretazione unitaria dell'art. 26 1. n. 300 del 1970, 2° e 3° com

ma, giungendo alla conclusione che il diritto alla riscossione

dei contributi sindacali spettasse a tutte le associazioni sindacali

anche non firmatarie di alcun contratto collettivo, e che la con

trattazione collettiva, lungi dal condizionare l'esistenza del di

ritto si limitasse a determinare le modalità di esercizio (v. Cass.

8 giugno 1979, n. 3255, Foro it., 1979, I, 2360; e 9 settembre

1991, n. 9470, id., Rep. 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 787).

Deve ritenersi che l'abrogazione del 2° e 3° comma dell'art.

26 1. n. 300 del 1970 non incida in alcun modo sul diritto delle associazioni sindacali firmatarie, allorquando il meccanismo di

riscossione sia previsto dalla contrattazione collettiva.

Il comportamento del datore di lavoro, che non provveda

ad effettuare le trattenute, in quest'ipotesi, è sicuramente anti

sindacale, in quanto è volto a ledere un diritto sancito dal con

tratto delle organizzazioni sindacali firmatarie.

Discorso diverso deve farsi per le associazioni sindacali non

stipulanti il contratto collettivo, che dopo il referendum non

hanno più alcun diritto, non essendo lo stesso previsto né dalla

legge né dalla contrattazione collettiva.

Se può senz'altro ritenersi che permanga un diritto dei singoli lavoratori a richiedere il versamento del contributo all'associa

zione sindacale indicata nei limiti in cui ciò sia consentito dal codice civile, viceversa le organizzazioni sindacali non firmata

rie di accordi collettivi non sono più legittimate ad agire ex art.

28 1. n. 300 del 1970. La condotta del datore di lavoro, a parere

di questo giudicante, ha in sostanza perso ogni connotato di

antisindacalità, rilevando esclusivamente sul piano dei rapporti

individuali con i singoli lavoratori. È pacifico in causa che la Firn uniti Cub non è firmataria

di alcun contratto collettivo applicato alla Fincantieri, né nazio

nale né aziendale e, difetta, pertanto, sotto questo profilo, la

legittimazione ad agire del sindacato ricorrente. Le altre domande devono essere rigettate nel merito.

Con l'abrogazione della lett. a) dell'art. 19 1. n. 300 del 1970,

è venuto meno, infatti, il presupposto per l'attribuzione alla

Flm uniti Cub delle c.d. misure di sostegno, vale a dire il diritto

di costituire r.s.a.

Ritiene il giudicante che l'art. 19 1. n. 300 del 1970, non si limiti a dettare il criterio di costituzione delle r.s.a., ma rappre

senti la norma che ne legittima l'azione all'interno dell'azienda.

Le r.s.a., in tanto possono esistere e godere dei particolari dirit

ti ad esse attribuiti, in quanto abbiano i requisiti indicati dal l'art. 19 1. n. 300 del 1970.

Dopo il referendum del giugno 1995, le r.s.a. costituite nel l'ambito di associazioni sindacali che, ancorché aderenti alle con federazioni sindacali maggiormente rappresentative, non siano

firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda, non hanno

più alcun titolo per operare.

L'abrogazione parziale dell'art. 191. n. 300 del 1970 ha susci tato notevoli dubbi di costituzionalità. In questa sede, peraltro, stante il carattere di urgenza della procedura ex art. 28 1. n.

300 del 1970, il giudicante non ritiene di poter esaminare even tuali aspetti di incostituzionalità, sollevando la relativa eccezio

ne innanzi alla corte. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1996.

PRETURA DI CATANIA; ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Me

liadò; Siscaro (Aw. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Aw.

Calvo, Equizzi).

PRETURA DI CATANIA;

Lavoro (rapporto di) — Qualìfiche e mansioni — Assegnazione del lavoratore a mansioni superiori — Rinunzia — Legittimi tà (Cod. civ., art. 2103).

A fronte di una vistosa alterazione delle regole poste a presidio

della parità di trattamento dei dipendenti e di un uso dello ius variandi non improntato né al criterio della correttezza

né a quello della buona fede, il lavoratore ha diritto a rinun

ziare all'assegnazione a mansioni appartenenti a qualifica su

periore. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Lamenta il ricorrente che le

promozioni deliberate dalla società convenuta nell'agosto del

1991 sono state adottate con totale pretermissione di ogni crite

rio obiettivo e predeterminato, e in palese violazione delle rego

le legali e contrattuali; deduce, per contro, la Montepaschi che,

«in conformità ai principi», il provvedimento di avanzamento

non risulta in alcun modo «sindacabile» dal ricorrente (v. co

municazione del 23 agosto 1991, in atti).

Ora, tale posizione è stata, in buona sostanza, confermata

dall'azienda anche nel corso del giudizio, se si considera che

non si è in alcun modo (nemmeno) tentato di provare che le

operazioni di selezione dei 76 dipendenti promossi sono avvenu

te nel rispetto di criteri trasparenti ed idonei a realizzare la par

condicio dei dipendenti. E sebbene costituisca punto del tutto fermo in giurisprudenza

che, sulla scorta dei principi di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., sussiste a carico del datore di lavoro un generale obbligo di

attenersi a correttezza e buona fede nelle procedure di selezione

per l'attribuzione della qualifica superiore. E ciò sia ove la di

sciplina dettata dalla contrattazione collettiva preveda un mec

(1) La pronuncia si colloca all'interno del dibattito, lasciato insoluto

dalla contrattazione collettiva e dalla legge, circa l'esistenza di uno ius variandi in melius del datore di lavoro e costituisce uno dei rari casi

in cui l'autorità giudiziaria è chiamata a valutare la validità della rinun

zia del prestatore di lavoro all'assegnazione a mansioni appartenenti a qualifica superiore.

Nello svolgimento del proprio iter argomentativo il Pretore di Cata

nia esclude che l'atto di promozione sia espressione di un potere unila

terale del datore di lavoro, esercitabile senza il rispetto delle procedure contrattuali e dei principi generali del sistema. Nel caso di specie il

provvedimento di promozione faceva parte di una serie più ampia di

avanzamenti rivolti in modo preminente a favore di dirigenti sindacali

e deliberati dalla società secondo criteri tanto «insondabili», in quanto non rispettosi né delle procedure previste dalla contrattazione collettiva, né dei criteri oggettivi prestabiliti dall'azienda, né dei principi generali di correttezza e buona fede, da far accreditare l'idea, presso i lavoratori del settore, dell'esistenza di un sindacato di comodo.

Ricostruito cosi il contesto generale, il pretore ha ritenuto meritevole

di tutela la posizione del ricorrente, lavoratore e al tempo stesso diri

gente sindacale, di rinuncia ad un provvedimento lesivo del suo ruolo

di sindacalista e della propria posizione sociale «cioè di un complesso di interessi pariordinati a quello della professionalità ed ugualmente ri

compresi nella garanzia costituzionalmente rilevante della dignità della

persona del lavoratore».

In giurisprudenza, ritiene che lo ius variandi in melius non si configu ri come potere unilaterale del datore di lavoro e che ai fini della promo

zione, ma non della temporanea assegnazione a mansioni superiori, oc

corra il consenso del lavoratore, Cass. 6 giugno 1985, n. 3372, Foro

it., 1986, I, 142, con nota di O. Mazzotta.

Sulla necessità che il datore di lavoro nelle procedure di selezione

per l'attribuzione della qualifica superiore si attenga ad un generale

obbligo di correttezza e buona fede, v., ex plurimis, Cass. 29 aprile

1993, n. 5026, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 749; 4 no

vembre 1992, n. 11943, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 810; 28 maggio

1992, n. 6392 e 13 giugno 1991, n. 6657, id., 1993, I, 488, e, nella

giurisprudenza di merito, v. Trib. Torino 21 ottobre 1989, id., 1990,

I, 2058, con nota di R. Greco, Discrezionalità dell'impresa e rapporto di lavoro. Clausole generali e principi dell'ordinamento nella giurispru

denza sui concorsi privati. Cass. 16 giugno 1989, n. 2907, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 767,

assume legittimo il potere di assegnazione da parte del datore di lavoro

ad una qualifica superiore a fini puramente 'convenzionali' e ferma

restando l'adibizione del lavoratore alle mansioni precedentemente svolte.

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PARTE PRIMA

cansimo di scelta fondato su determinati requisiti, che quando la promozione sia del tutto rimessa al potere di valutazione di

screzionale del datore di lavoro: con la conseguenza che que st'ultimo non solo non è tenuto a motivare i suoi provvedimen

ti, ma è, altresì, obbligato ad operare con imparzialità, doven

dosi ritenere inadempiente non solo quando omette ogni valutazione, ma anche quando procede ad una «valutazione fit

tizia» (cfr., explurimis, Cass. 6864/87, Foro it., 1987, I, 2987; 2015/88, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 858;

4295/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 751; 1336/93, ibid., n. 752). Indirizzo che, costituendo ormai vero e proprio diritto viven

te giurisprudenziale, ha trovato, per come ha di recente ben

sottolineato il Supremo collegio, la sua essenziale ragion d'esse

re nella considerazione che «nel rapporto di lavoro ogni lavora

tore impegna non soltanto le proprie energie, ma . . . anche

la propria persona nei suoi interessi e nelle sue relazioni socia

li». Sicché non risulta in alcun modo legittimabile «un potere di autonomia organizzativa dell'imprenditore privo di qualsiasi

giustificazione sul piano sociale perché improntato a pura di

screzionalità o arbitrio» (cosi Cass. 6448/94, id., 1995, I, 816). 2. - Il fatto è che la procedura selettiva che ha dato luogo

alla promozione di ben 76 dipendenti della società resistente

presenta vistose — e difficilmente giustificabili — anomalie ri

spetto al quadro di riferimento legale e contrattuale.

Basti sol dire che — a fronte dell'«unilateralità del metodo

seguito» (per riprendere la caustica espressione del comunicato

delle organizzazioni sindacali del 12 settembre 1991) — emerge che la società resistente risultava obbligata ad effettuare le pro mozioni «in base al merito dei lavoratori, tenuti presenti, in

ordine di valutazione, la capacità professionale, le particolari attitudini, i precedenti di lavoro con particolare riferimento alle

mansioni esercitate ed all'espletamento di incarichi di significa tiva rilevanza, le note di classifica ed i titoli di studio» (cosi l'art. 113 del ccnl 12 luglio 1991).

E cioè sulla base di un complesso di criteri prestabiliti, co

stantemente tenuti presenti dalla contrattazione collettiva appli cata nell'azienda (anche anteriormente al passaggio del servizio

di riscossione alla Montepaschi: v., ad es., il verbale di accordo

del 26 luglio 1986, ed in particolare l'allegato B, relativo alla

predisposizione di graduatorie di merito annuali, ai fini del con

ferimento delle relative promozioni).

Ora, non solo non si ha prova che tali criteri oggettivi siano stati in qualche modo seguiti dalla società convenuta, ma da

consistenti indizi si può ben affermare giusto il contrario.

Se è vero quanto si legge sul comunicato sindacale (della Fa

bi) dal 3 settembre 1991 e cioè che, nell'incontro del precedente

giorno 14 «l'amministratore delegato ha affrontato e contestual

mente chiuso l'argomento dicendo che i criteri adottati sono

stati decisi esclusivamente a discrezione dell'azienda . . . insin

dacabile giudizio dell'amministrazione»: che è lo stesso argo mento, poi, che si rinviene nella lettera inviata al Siscaro il 23

agosto.

Ma, ancor prima, se si ha riguardo a quanto risulta dalla

documentazione acquisita agli atti. Sol che si consideri, a titolo esemplificativo (a) che, a fronte

di 13 dipendenti promossi al grado di funzionario di IV, ben

cinque risultavano avere un'anzianità nel grado inferiore suc

cessiva al 1982, mentre sono stati esclusi ben otto concorrenti

aventi un'anzianità ricompresa fra il 1966 e il 1979; (ti) che, a fronte di 31 dipendenti promossi al grado di capo ufficio, ben 13 risultavano avere un'anzianità nel grado inferiore suc

cessiva al 1986 mentre ne sono stati esclusi ben 11 aventi un'an

zianità ricompresa fra il 1977 e il 1983; (c) che fra i promossi risultano ricompresi anche otto dipendenti valutati negativamente al concorso nazionale per l'abilitazione alle funzioni di colletto

re del 1989; (d) che, stante l'assenza di alcuna valutazione com

parata, non risulta possibile in alcun modo arguire i maggiori titoli o le maggiori attitudini presi in considerazione in favore dei dipendenti promossi.

In tale contesto, non senza significato è, altresì', che le pro mozioni sono state adottate dalla direzione dell'azienda soli po chi mesi dopo il trasferimento di gestione (avvenuto nel gennaio dello stesso anno), quando ancora non si era provveduto nem

meno alla compilazione delle note caratteristiche per il 1991,

mentre, successivamente, nessun ulteriore avanzamento è stato

disposto.

Il Foro Italiano — 1996.

3. - Nel quadro di gravi anomalie già evidenziate, deduce an

cora il ricorrente che «tra i promossi un buon terzo (era) rap

presentato da dirigenti sindacali di tutte le associazioni sindacali

ai vari livelli di responsabilità» e che tale ampio coinvolgimento risultava funzionale a conseguire il sostegno delle organizzazio ni sindacali «in vista di prossime ed importanti scadenze politi co amministrative e sindacali della società convenuta». Ed in

particolare il rinnovo del contratto integrativo aziendale; la sca

denza del mandato commissariale per la gestione della riscossio

ne dei tributi in Sicilia; la stipulazione della convenzione tra

la regione siciliana ed il consorzio nazionale dei concessionari

per la riscossione dei tributi (di cui la Montepaschi costituiva

la maggiore azionista). A fronte di tali allegazioni — di per sé di difficile dimostrazione, se non altro perché relative a giu dizi su motivazioni, propositi/e scopi di una strategia sindacale,

che si assume esser stata «connivente» ma che poteva anche

solo essere «acquiescente» o improntata a «moderazione» —

qui si possono solo registrare alcune circostanze che, nella loro

obiettività e sintomaticità, valgono, comunque, ad aggravare il

quadro di vistose anomalie già evidenziate.

In primo luogo, che, in effetti, fra i promossi ben 26 (e cioè

circa 1/3) risultavano rivestire incarichi di dirigente sindacale

all'interno di varie organizzazioni; che fra i promossi a capo

ufficio, in particolare, ben cinque potevano vantare un'anziani

tà di grado risalente solo al 1988/89 ed altri due solo al 1985;

che fra gli otto dipendenti che non ebbero a superare il concor

so per collettore nel 1989, ma che sono stati promossi nel 1991,

sei ricoprivano, a quest'ultima data, incarichi di dirigente sin

dacale. In secondo luogo, che le critiche rivolta dal Siscaro (che è bene ricordare è dirigente della Fiba-Cisl da assai lunga data) verso le determinazioni adottate dalle segreterie regionali del sin

dacato, non hanno mai trovato censura (e nonostante la loro

asprezza, e la loro, per cosi dire, eclatanza) da parte del vertice

dell' organizzazione.

Infine, che da tutte le organizzazioni sindacali, in un modo

o nell'altro, si ebbe a sottolineare la «unilateralità» del metodo

seguito (v. comunicato del 12 settembre 1991, già cit.), se non

proprio la contrarietà «a precise disposizioni di norme contrat

tuali o legislative» (v. comunicato della Fisac-Cgil di Messina

del 20 agosto 1991) e l'impossibilità di «individuare i criteri ado perati per l'effettuazione degli avanzamenti di carriera».

Ma che, nondimeno, ebbe a prevalere la tesi di attendere

«un'altra tornata di promozioni, numericamente significative, che rend(esse) giustizia ai colleghi meritevoli» (cosi nel comuni

cato della Fabi-esattoriali, in atti). Resta il fatto che — anche a voler ammettere che presso la

Montepaschi «è sindacalizzata la maggior parte dei lavoratori»

(cosi nel comunicato, ult. cit.) — il numero dei dirigenti sinda

cali — e non dei semplici lavoratori sindacalizzati — promossi si rivela di per sé assai vistoso. E che tale circostanza si manife

sta ancor più eclatante, a fronte della assoluta infondabilità dei

criteri tenuti presenti dall'azienda nella (prima ed ultima) torna

ta di promozioni varata nell'agosto del 1991.

4. - In questo contesto, va, pertanto, esaminata la domanda con la quale il ricorrente chiede l'annullamento della propria

promozione, o — più correttamente — il diritto a rinunciare

alla stessa.

Trattandosi di un contesto che non si pone sullo sfondo di

tale richiesta, ma ne costituisce anzi il presupposto causale.

Se, infatti, generalmente si ammette che l'art. 13 dello statu

to non contiene un assoluto divieto per il datore di lavoro di

assegnare il lavoratore a mansioni superiori senza il suo consen

so (v., ad es., Cass. 7142/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rap

porto), n. 853; 2907/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 767), è fuor di dubbio che anche tale potere deve esercitarsi si da non

ledere non solo la professionalità del lavoratore, ma anche quel

complesso di interessi che riguardano «la posizione sociale e

professionale del cittadino nella qualità di prestatore di lavoro

dipendente» (cosi Corte cost. 103/89, id., 1989, I, 2105; Cass.

6448/94, cit.). E tanto più ove si valuti che, nel contratto di lavoro, «la

posizione di ogni singolo lavoratore risulta definibile non in se

stessa, ma in quanto posta in correlazione con quella degli altri».

Ora, nel caso in esame, la posizione che il ricorrente intende

(e non infondatamente) tutelare con la rinuncia alla promozio ne è giusto la sua posizione di «lavoratore - dirigente sindaca

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

le», e cioè di una posizione che — espressamente tutelata da

l'ordinamento per determinati e specifici aspetti di disciplina — attinge pur sempre alla più ampia sfera della dignità sociale

del dipendente, in quanto espressiva di «diritti di libertà finaliz zati allo sviluppo della personalità morale e civile del lavoratore».

Il che vale quanto dire che — a fronte di una vistosa altera

zione di regole poste a presidio della parità di trattamento dei

dipendenti e di un uso dello ius variarteli non improntato né

a buona fede, né a correttezza — la rinuncia all'avanzamento

di carriera reclamata dal Siscaro si palesa legittima, in quanto volta a tutelare la propria posizione sociale (di dirigente sinda

cale), e cioè di un complesso di interessi pariordinati a quello della professionalità ed ugualmente ricompresi nella garanzia — costituzionalmente rilevante — dalla dignità della persona del lavoratore.

Né vale osservare che avverso le gravi anomalie riscontrabili

nelle promozioni disposte dalla Montepaschi ben potevano rea

gire i singoli lavoratori pretermessi (e per ciò danneggiati) e le

organizzazioni sindacali (nell'esercizio del proprio ruolo di au

totutela degli interessi collettivi). O ancora che il dissenso mani

festato dal Siscaro, lungi dal potere incidere sul rapporto di

lavoro, poteva risultare eventualmente rilevante solo all'interno

dei normali canali della dialettica sindacale.

Trattandosi di livelli di tutela ben distinti e non interscam

biabili. Dal momento che, se è vero che nel contratto di lavoro ogni

lavoratore impegna anche «la propria persona nei suoi interessi

e nelle sue relazioni sociali», non vi è dubbio che il caso in

esame, nella sua peculiarità, dimostra le strette connessioni che

possono instaurarsi, nell'attuazione del rapporto di lavoro, fra

il complesso di tali relazioni e l'esercizio delle prerogative im

prenditoriali. Costituendo la rinuncia alla promozione reclamata dal Sisca

ro, ad un tempo, reazione all'inadempimento del datore di la

voro (rispetto ad elementari obblighi di motivazione e giustifi

cazione dei propri poteri) e mezzo di tutela del proprio ruolo

(di dirigente sindacale) all'interno dell'azienda, a fronte di una situazione di acquiescenza che (per potersi prestare a facili frain

tendimenti da parte degli altri lavoratori) tale ruolo poteva pre

giudicare. Il che vale a confermare come l'atto impugnato apparente

mente attributivo (solo) di maggiori diritti per il ricorrente, fac

cia emergere, invece, la lesione di fondamentali interessi, giuri

dicamente tutelati, dello stesso.

Rendendo ben giustificato il rifiuto di un avanzamento di car

riera che, per la pretermissione di fondamentali garanzie di tra

sparenza e obiettività, è parso legittimare (per come ha detto

il Siscaro in sede di libero interrrogatorio) una indiscriminata situazione di privilegio, svincolata da una effettiva valutazione

dei meriti professionali di ciascuno. Va, pertanto, dichiarato il diritto dell'istante a rinunciare alla

promozione conferitagli dalla Montepaschi con comunicazione

dell'8 agosto 1991.

5. - Inaccoglibile è, invece, l'ulteriore domanda di annulla mento dei provvedimenti di trasferimento di ufficio adottati in

pari data dalla società resistente.

Non avendo tali provvedimenti in alcuno modo interessato

il ricorrente e risultando, pertanto, lo stesso non legittimato a

contrastarne la validità ed efficacia.

Il Foro Italiano — 1996.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Cancelliere, segretario e dattilografo giudiziario — Indennità

giudiziaria — Misura in godimento — Norma di interpreta zione autentica — Questione manifestamente infondata di co

stituzionalità (Cost., art. 3, 101, 103, 108; 1. 19 febbraio 1981 n. 27, provvidenze per il personale di magistratura, art. 3; 1. 22 giugno 1988 n. 221, provvidenze a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, art. 1; 1. 15 febbraio

1989 n. 51, attribuzione dell'indennità giudiziaria al persona le amministrativo delle magistrature speciali, art. 1; 1. 24 di

cembre 1993 n. 537, interventi corretivi di finanza pubblica, art. 3).

Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi in via incidentale — Procedimento davanti alla corte — Camera di consiglio — Presupposti — Questione manifestamente infondata di co

stituzionalità (Cost., art. 3, 24; 1. 11 marzo 1953 n. 87, nor

me sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costitu

zionale, art. 26).

È manifestamente infondata, in quanto già decisa, la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 3, 61° comma, 1. 24 di

cembre 1993 n. 537, nella parte in cui prevede che l'indennità

«giudiziaria» concessa dalla 1. 19 febbraio 1981 n. 27 ai magi strati, poi attribuita dall'art. 1 1. 22 giugno 1988 n. 221 al per sonale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e successivamente

estesa al personale amministrativo delle giurisdizioni speciali dalla

1. 15 febbraio 1989 n. 51, sia corrisposta al personale ammini

strativo giudiziario nella misura vigente al 1° gennaio 1988, con

esclusione dell'adeguamento automatico triennale previsto per i magistrati, in riferimento agli art. 3, 101, 2° comma, 103,

1° comma, e 108, 2° comma, Cost. (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale, prospettata da una delle parti costituite nel processo

costituzionale, dell'art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87,

nella parte in cui prevede che, in caso di manifesta infondatez

za, la corte può decidere la questione in camera di consiglio,

anziché in udienza pubblica, in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost. (2)

Corte costituzionale; ordinanza 24 ottobre 1995, n. 451 (Gaz

zetta ufficiale, 1a serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres.

Caianiello, Est. Mirabelli; Accinni ed altri; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Cons. Stato 25 ottobre 1994 (G.U., la s.s., n.

15 del 1995).

(1) La questione di costituzionalità, sollevata negli stessi termini, è

stata dichiarata infondata da Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 15, Foro

it., 1995, I, 1419, con nota di richiami e successivamente manifesta

mente infondata da Corte cost., ord. 30 marzo 1995, n. 98, G.U., la

s.s., n. 14 del 1995.

(2) I. - La manifesta infondatezza della questione è dichiarata dalla

corte in sede di delibazione, quale giudice a quo, della relativa istanza

avanzata da una delle parti costituite nel processo costituzionale. La

conclusione è motivata nel senso che la convocazione in camera di con

siglio, in caso di manifesta infondatezza, consente alla parte costituita

di dedurre anche in ordine alla determinazione in rito, potendo la corte

rinviare la causa alla pubblica udienza quando non sussiste la manifesta

infondatezza, per cui non sarebbe violato il diritto di difesa delle parti costituite le quali, nelle forme proprie del procedimento in camera di

consiglio, possono partecipare ad una effettiva dialettica processuale

depositando memorie ed assumendo posizione anche sulla sussistenza

o meno dei presupposti per la pronuncia di manifesta infondatezza del

la questione. Alcuni dubbi erano stati sollevati in dottrina da chi aveva sostenuto

che, pur essendo prevista la possibilità di depositare memorie, ai sensi

dell'art. 10 norme integrative, di fatto le parti alle quali è comunicata

la decisione di convocazione della corte in camera di consiglio per ma

nifesta infondatezza della questione, quasi certamente svolgeranno le

loro memorie essenzialmente con riguardo ai motivi per cui è stata di

sposta la camera di consiglio e, nonostante la decisione del presidente della corte, sentito il giudice relatore, abbia carattere delibatorio e non

definitivo, la soluzione della questione appare ormai pesantemente pre

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