ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Meliadò; Siscaro (Avv. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Avv.Calvo, Equizzi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 765/766-769/770Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190200 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ai sensi dell'art. 26 1. n. 300 del 1970, non è titolare del relativo
diritto; — che, in ogni caso, il referendum popolare del giugno 1995
modifica radicalmente i presupposti normativi, abrogando il 2°
e 3° comma dell'art. 26 1. n. 300 del 1970, e parzialmente, con
riferimento alla lett. a), l'art. 19 stessa legge. La causa è stata istruita in base alla documentazione prodot
ta e alle deposizioni degli informatori. In via preliminare si rileva che nel corso del giudizio sono
divenute operanti le abrogazioni che conseguono alla consulta
zionne popolare del giugno 1995. Sono state abrogate le dispo sizioni statutarie in materia di riscossione dei contributi sinda cali (art. 26 1. n. 300 del 1970) e l'art. 19 1. n. 300 del 1970, sopravvive solo limitatamente alla lett. b), a norma della quale le r.s.a. possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nel
l'ambito di associazioni sindacali che siano firmatarie di con tratti collettivi applicati nell'unità produttiva.
La predetta vertenza deve essere risolta alla luce del mutato
quadro normativo.
Anteriormente al referendum del giugno 1995, la Suprema
corte, sebbene con alcune oscillazioni, aveva proposto un'inter
pretazione unitaria dell'art. 26 1. n. 300 del 1970, 2° e 3° com
ma, giungendo alla conclusione che il diritto alla riscossione
dei contributi sindacali spettasse a tutte le associazioni sindacali
anche non firmatarie di alcun contratto collettivo, e che la con
trattazione collettiva, lungi dal condizionare l'esistenza del di
ritto si limitasse a determinare le modalità di esercizio (v. Cass.
8 giugno 1979, n. 3255, Foro it., 1979, I, 2360; e 9 settembre
1991, n. 9470, id., Rep. 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 787).
Deve ritenersi che l'abrogazione del 2° e 3° comma dell'art.
26 1. n. 300 del 1970 non incida in alcun modo sul diritto delle associazioni sindacali firmatarie, allorquando il meccanismo di
riscossione sia previsto dalla contrattazione collettiva.
Il comportamento del datore di lavoro, che non provveda
ad effettuare le trattenute, in quest'ipotesi, è sicuramente anti
sindacale, in quanto è volto a ledere un diritto sancito dal con
tratto delle organizzazioni sindacali firmatarie.
Discorso diverso deve farsi per le associazioni sindacali non
stipulanti il contratto collettivo, che dopo il referendum non
hanno più alcun diritto, non essendo lo stesso previsto né dalla
legge né dalla contrattazione collettiva.
Se può senz'altro ritenersi che permanga un diritto dei singoli lavoratori a richiedere il versamento del contributo all'associa
zione sindacale indicata nei limiti in cui ciò sia consentito dal codice civile, viceversa le organizzazioni sindacali non firmata
rie di accordi collettivi non sono più legittimate ad agire ex art.
28 1. n. 300 del 1970. La condotta del datore di lavoro, a parere
di questo giudicante, ha in sostanza perso ogni connotato di
antisindacalità, rilevando esclusivamente sul piano dei rapporti
individuali con i singoli lavoratori. È pacifico in causa che la Firn uniti Cub non è firmataria
di alcun contratto collettivo applicato alla Fincantieri, né nazio
nale né aziendale e, difetta, pertanto, sotto questo profilo, la
legittimazione ad agire del sindacato ricorrente. Le altre domande devono essere rigettate nel merito.
Con l'abrogazione della lett. a) dell'art. 19 1. n. 300 del 1970,
è venuto meno, infatti, il presupposto per l'attribuzione alla
Flm uniti Cub delle c.d. misure di sostegno, vale a dire il diritto
di costituire r.s.a.
Ritiene il giudicante che l'art. 19 1. n. 300 del 1970, non si limiti a dettare il criterio di costituzione delle r.s.a., ma rappre
senti la norma che ne legittima l'azione all'interno dell'azienda.
Le r.s.a., in tanto possono esistere e godere dei particolari dirit
ti ad esse attribuiti, in quanto abbiano i requisiti indicati dal l'art. 19 1. n. 300 del 1970.
Dopo il referendum del giugno 1995, le r.s.a. costituite nel l'ambito di associazioni sindacali che, ancorché aderenti alle con federazioni sindacali maggiormente rappresentative, non siano
firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda, non hanno
più alcun titolo per operare.
L'abrogazione parziale dell'art. 191. n. 300 del 1970 ha susci tato notevoli dubbi di costituzionalità. In questa sede, peraltro, stante il carattere di urgenza della procedura ex art. 28 1. n.
300 del 1970, il giudicante non ritiene di poter esaminare even tuali aspetti di incostituzionalità, sollevando la relativa eccezio
ne innanzi alla corte. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1996.
PRETURA DI CATANIA; ordinanza 2 agosto 1995; Giud. Me
liadò; Siscaro (Aw. Rizzo) c. Soc. Montepaschi Serit (Aw.
Calvo, Equizzi).
PRETURA DI CATANIA;
Lavoro (rapporto di) — Qualìfiche e mansioni — Assegnazione del lavoratore a mansioni superiori — Rinunzia — Legittimi tà (Cod. civ., art. 2103).
A fronte di una vistosa alterazione delle regole poste a presidio
della parità di trattamento dei dipendenti e di un uso dello ius variandi non improntato né al criterio della correttezza
né a quello della buona fede, il lavoratore ha diritto a rinun
ziare all'assegnazione a mansioni appartenenti a qualifica su
periore. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Lamenta il ricorrente che le
promozioni deliberate dalla società convenuta nell'agosto del
1991 sono state adottate con totale pretermissione di ogni crite
rio obiettivo e predeterminato, e in palese violazione delle rego
le legali e contrattuali; deduce, per contro, la Montepaschi che,
«in conformità ai principi», il provvedimento di avanzamento
non risulta in alcun modo «sindacabile» dal ricorrente (v. co
municazione del 23 agosto 1991, in atti).
Ora, tale posizione è stata, in buona sostanza, confermata
dall'azienda anche nel corso del giudizio, se si considera che
non si è in alcun modo (nemmeno) tentato di provare che le
operazioni di selezione dei 76 dipendenti promossi sono avvenu
te nel rispetto di criteri trasparenti ed idonei a realizzare la par
condicio dei dipendenti. E sebbene costituisca punto del tutto fermo in giurisprudenza
che, sulla scorta dei principi di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., sussiste a carico del datore di lavoro un generale obbligo di
attenersi a correttezza e buona fede nelle procedure di selezione
per l'attribuzione della qualifica superiore. E ciò sia ove la di
sciplina dettata dalla contrattazione collettiva preveda un mec
(1) La pronuncia si colloca all'interno del dibattito, lasciato insoluto
dalla contrattazione collettiva e dalla legge, circa l'esistenza di uno ius variandi in melius del datore di lavoro e costituisce uno dei rari casi
in cui l'autorità giudiziaria è chiamata a valutare la validità della rinun
zia del prestatore di lavoro all'assegnazione a mansioni appartenenti a qualifica superiore.
Nello svolgimento del proprio iter argomentativo il Pretore di Cata
nia esclude che l'atto di promozione sia espressione di un potere unila
terale del datore di lavoro, esercitabile senza il rispetto delle procedure contrattuali e dei principi generali del sistema. Nel caso di specie il
provvedimento di promozione faceva parte di una serie più ampia di
avanzamenti rivolti in modo preminente a favore di dirigenti sindacali
e deliberati dalla società secondo criteri tanto «insondabili», in quanto non rispettosi né delle procedure previste dalla contrattazione collettiva, né dei criteri oggettivi prestabiliti dall'azienda, né dei principi generali di correttezza e buona fede, da far accreditare l'idea, presso i lavoratori del settore, dell'esistenza di un sindacato di comodo.
Ricostruito cosi il contesto generale, il pretore ha ritenuto meritevole
di tutela la posizione del ricorrente, lavoratore e al tempo stesso diri
gente sindacale, di rinuncia ad un provvedimento lesivo del suo ruolo
di sindacalista e della propria posizione sociale «cioè di un complesso di interessi pariordinati a quello della professionalità ed ugualmente ri
compresi nella garanzia costituzionalmente rilevante della dignità della
persona del lavoratore».
In giurisprudenza, ritiene che lo ius variandi in melius non si configu ri come potere unilaterale del datore di lavoro e che ai fini della promo
zione, ma non della temporanea assegnazione a mansioni superiori, oc
corra il consenso del lavoratore, Cass. 6 giugno 1985, n. 3372, Foro
it., 1986, I, 142, con nota di O. Mazzotta.
Sulla necessità che il datore di lavoro nelle procedure di selezione
per l'attribuzione della qualifica superiore si attenga ad un generale
obbligo di correttezza e buona fede, v., ex plurimis, Cass. 29 aprile
1993, n. 5026, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 749; 4 no
vembre 1992, n. 11943, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 810; 28 maggio
1992, n. 6392 e 13 giugno 1991, n. 6657, id., 1993, I, 488, e, nella
giurisprudenza di merito, v. Trib. Torino 21 ottobre 1989, id., 1990,
I, 2058, con nota di R. Greco, Discrezionalità dell'impresa e rapporto di lavoro. Clausole generali e principi dell'ordinamento nella giurispru
denza sui concorsi privati. Cass. 16 giugno 1989, n. 2907, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 767,
assume legittimo il potere di assegnazione da parte del datore di lavoro
ad una qualifica superiore a fini puramente 'convenzionali' e ferma
restando l'adibizione del lavoratore alle mansioni precedentemente svolte.
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PARTE PRIMA
cansimo di scelta fondato su determinati requisiti, che quando la promozione sia del tutto rimessa al potere di valutazione di
screzionale del datore di lavoro: con la conseguenza che que st'ultimo non solo non è tenuto a motivare i suoi provvedimen
ti, ma è, altresì, obbligato ad operare con imparzialità, doven
dosi ritenere inadempiente non solo quando omette ogni valutazione, ma anche quando procede ad una «valutazione fit
tizia» (cfr., explurimis, Cass. 6864/87, Foro it., 1987, I, 2987; 2015/88, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 858;
4295/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 751; 1336/93, ibid., n. 752). Indirizzo che, costituendo ormai vero e proprio diritto viven
te giurisprudenziale, ha trovato, per come ha di recente ben
sottolineato il Supremo collegio, la sua essenziale ragion d'esse
re nella considerazione che «nel rapporto di lavoro ogni lavora
tore impegna non soltanto le proprie energie, ma . . . anche
la propria persona nei suoi interessi e nelle sue relazioni socia
li». Sicché non risulta in alcun modo legittimabile «un potere di autonomia organizzativa dell'imprenditore privo di qualsiasi
giustificazione sul piano sociale perché improntato a pura di
screzionalità o arbitrio» (cosi Cass. 6448/94, id., 1995, I, 816). 2. - Il fatto è che la procedura selettiva che ha dato luogo
alla promozione di ben 76 dipendenti della società resistente
presenta vistose — e difficilmente giustificabili — anomalie ri
spetto al quadro di riferimento legale e contrattuale.
Basti sol dire che — a fronte dell'«unilateralità del metodo
seguito» (per riprendere la caustica espressione del comunicato
delle organizzazioni sindacali del 12 settembre 1991) — emerge che la società resistente risultava obbligata ad effettuare le pro mozioni «in base al merito dei lavoratori, tenuti presenti, in
ordine di valutazione, la capacità professionale, le particolari attitudini, i precedenti di lavoro con particolare riferimento alle
mansioni esercitate ed all'espletamento di incarichi di significa tiva rilevanza, le note di classifica ed i titoli di studio» (cosi l'art. 113 del ccnl 12 luglio 1991).
E cioè sulla base di un complesso di criteri prestabiliti, co
stantemente tenuti presenti dalla contrattazione collettiva appli cata nell'azienda (anche anteriormente al passaggio del servizio
di riscossione alla Montepaschi: v., ad es., il verbale di accordo
del 26 luglio 1986, ed in particolare l'allegato B, relativo alla
predisposizione di graduatorie di merito annuali, ai fini del con
ferimento delle relative promozioni).
Ora, non solo non si ha prova che tali criteri oggettivi siano stati in qualche modo seguiti dalla società convenuta, ma da
consistenti indizi si può ben affermare giusto il contrario.
Se è vero quanto si legge sul comunicato sindacale (della Fa
bi) dal 3 settembre 1991 e cioè che, nell'incontro del precedente
giorno 14 «l'amministratore delegato ha affrontato e contestual
mente chiuso l'argomento dicendo che i criteri adottati sono
stati decisi esclusivamente a discrezione dell'azienda . . . insin
dacabile giudizio dell'amministrazione»: che è lo stesso argo mento, poi, che si rinviene nella lettera inviata al Siscaro il 23
agosto.
Ma, ancor prima, se si ha riguardo a quanto risulta dalla
documentazione acquisita agli atti. Sol che si consideri, a titolo esemplificativo (a) che, a fronte
di 13 dipendenti promossi al grado di funzionario di IV, ben
cinque risultavano avere un'anzianità nel grado inferiore suc
cessiva al 1982, mentre sono stati esclusi ben otto concorrenti
aventi un'anzianità ricompresa fra il 1966 e il 1979; (ti) che, a fronte di 31 dipendenti promossi al grado di capo ufficio, ben 13 risultavano avere un'anzianità nel grado inferiore suc
cessiva al 1986 mentre ne sono stati esclusi ben 11 aventi un'an
zianità ricompresa fra il 1977 e il 1983; (c) che fra i promossi risultano ricompresi anche otto dipendenti valutati negativamente al concorso nazionale per l'abilitazione alle funzioni di colletto
re del 1989; (d) che, stante l'assenza di alcuna valutazione com
parata, non risulta possibile in alcun modo arguire i maggiori titoli o le maggiori attitudini presi in considerazione in favore dei dipendenti promossi.
In tale contesto, non senza significato è, altresì', che le pro mozioni sono state adottate dalla direzione dell'azienda soli po chi mesi dopo il trasferimento di gestione (avvenuto nel gennaio dello stesso anno), quando ancora non si era provveduto nem
meno alla compilazione delle note caratteristiche per il 1991,
mentre, successivamente, nessun ulteriore avanzamento è stato
disposto.
Il Foro Italiano — 1996.
3. - Nel quadro di gravi anomalie già evidenziate, deduce an
cora il ricorrente che «tra i promossi un buon terzo (era) rap
presentato da dirigenti sindacali di tutte le associazioni sindacali
ai vari livelli di responsabilità» e che tale ampio coinvolgimento risultava funzionale a conseguire il sostegno delle organizzazio ni sindacali «in vista di prossime ed importanti scadenze politi co amministrative e sindacali della società convenuta». Ed in
particolare il rinnovo del contratto integrativo aziendale; la sca
denza del mandato commissariale per la gestione della riscossio
ne dei tributi in Sicilia; la stipulazione della convenzione tra
la regione siciliana ed il consorzio nazionale dei concessionari
per la riscossione dei tributi (di cui la Montepaschi costituiva
la maggiore azionista). A fronte di tali allegazioni — di per sé di difficile dimostrazione, se non altro perché relative a giu dizi su motivazioni, propositi/e scopi di una strategia sindacale,
che si assume esser stata «connivente» ma che poteva anche
solo essere «acquiescente» o improntata a «moderazione» —
qui si possono solo registrare alcune circostanze che, nella loro
obiettività e sintomaticità, valgono, comunque, ad aggravare il
quadro di vistose anomalie già evidenziate.
In primo luogo, che, in effetti, fra i promossi ben 26 (e cioè
circa 1/3) risultavano rivestire incarichi di dirigente sindacale
all'interno di varie organizzazioni; che fra i promossi a capo
ufficio, in particolare, ben cinque potevano vantare un'anziani
tà di grado risalente solo al 1988/89 ed altri due solo al 1985;
che fra gli otto dipendenti che non ebbero a superare il concor
so per collettore nel 1989, ma che sono stati promossi nel 1991,
sei ricoprivano, a quest'ultima data, incarichi di dirigente sin
dacale. In secondo luogo, che le critiche rivolta dal Siscaro (che è bene ricordare è dirigente della Fiba-Cisl da assai lunga data) verso le determinazioni adottate dalle segreterie regionali del sin
dacato, non hanno mai trovato censura (e nonostante la loro
asprezza, e la loro, per cosi dire, eclatanza) da parte del vertice
dell' organizzazione.
Infine, che da tutte le organizzazioni sindacali, in un modo
o nell'altro, si ebbe a sottolineare la «unilateralità» del metodo
seguito (v. comunicato del 12 settembre 1991, già cit.), se non
proprio la contrarietà «a precise disposizioni di norme contrat
tuali o legislative» (v. comunicato della Fisac-Cgil di Messina
del 20 agosto 1991) e l'impossibilità di «individuare i criteri ado perati per l'effettuazione degli avanzamenti di carriera».
Ma che, nondimeno, ebbe a prevalere la tesi di attendere
«un'altra tornata di promozioni, numericamente significative, che rend(esse) giustizia ai colleghi meritevoli» (cosi nel comuni
cato della Fabi-esattoriali, in atti). Resta il fatto che — anche a voler ammettere che presso la
Montepaschi «è sindacalizzata la maggior parte dei lavoratori»
(cosi nel comunicato, ult. cit.) — il numero dei dirigenti sinda
cali — e non dei semplici lavoratori sindacalizzati — promossi si rivela di per sé assai vistoso. E che tale circostanza si manife
sta ancor più eclatante, a fronte della assoluta infondabilità dei
criteri tenuti presenti dall'azienda nella (prima ed ultima) torna
ta di promozioni varata nell'agosto del 1991.
4. - In questo contesto, va, pertanto, esaminata la domanda con la quale il ricorrente chiede l'annullamento della propria
promozione, o — più correttamente — il diritto a rinunciare
alla stessa.
Trattandosi di un contesto che non si pone sullo sfondo di
tale richiesta, ma ne costituisce anzi il presupposto causale.
Se, infatti, generalmente si ammette che l'art. 13 dello statu
to non contiene un assoluto divieto per il datore di lavoro di
assegnare il lavoratore a mansioni superiori senza il suo consen
so (v., ad es., Cass. 7142/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rap
porto), n. 853; 2907/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 767), è fuor di dubbio che anche tale potere deve esercitarsi si da non
ledere non solo la professionalità del lavoratore, ma anche quel
complesso di interessi che riguardano «la posizione sociale e
professionale del cittadino nella qualità di prestatore di lavoro
dipendente» (cosi Corte cost. 103/89, id., 1989, I, 2105; Cass.
6448/94, cit.). E tanto più ove si valuti che, nel contratto di lavoro, «la
posizione di ogni singolo lavoratore risulta definibile non in se
stessa, ma in quanto posta in correlazione con quella degli altri».
Ora, nel caso in esame, la posizione che il ricorrente intende
(e non infondatamente) tutelare con la rinuncia alla promozio ne è giusto la sua posizione di «lavoratore - dirigente sindaca
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
le», e cioè di una posizione che — espressamente tutelata da
l'ordinamento per determinati e specifici aspetti di disciplina — attinge pur sempre alla più ampia sfera della dignità sociale
del dipendente, in quanto espressiva di «diritti di libertà finaliz zati allo sviluppo della personalità morale e civile del lavoratore».
Il che vale quanto dire che — a fronte di una vistosa altera
zione di regole poste a presidio della parità di trattamento dei
dipendenti e di un uso dello ius variarteli non improntato né
a buona fede, né a correttezza — la rinuncia all'avanzamento
di carriera reclamata dal Siscaro si palesa legittima, in quanto volta a tutelare la propria posizione sociale (di dirigente sinda
cale), e cioè di un complesso di interessi pariordinati a quello della professionalità ed ugualmente ricompresi nella garanzia — costituzionalmente rilevante — dalla dignità della persona del lavoratore.
Né vale osservare che avverso le gravi anomalie riscontrabili
nelle promozioni disposte dalla Montepaschi ben potevano rea
gire i singoli lavoratori pretermessi (e per ciò danneggiati) e le
organizzazioni sindacali (nell'esercizio del proprio ruolo di au
totutela degli interessi collettivi). O ancora che il dissenso mani
festato dal Siscaro, lungi dal potere incidere sul rapporto di
lavoro, poteva risultare eventualmente rilevante solo all'interno
dei normali canali della dialettica sindacale.
Trattandosi di livelli di tutela ben distinti e non interscam
biabili. Dal momento che, se è vero che nel contratto di lavoro ogni
lavoratore impegna anche «la propria persona nei suoi interessi
e nelle sue relazioni sociali», non vi è dubbio che il caso in
esame, nella sua peculiarità, dimostra le strette connessioni che
possono instaurarsi, nell'attuazione del rapporto di lavoro, fra
il complesso di tali relazioni e l'esercizio delle prerogative im
prenditoriali. Costituendo la rinuncia alla promozione reclamata dal Sisca
ro, ad un tempo, reazione all'inadempimento del datore di la
voro (rispetto ad elementari obblighi di motivazione e giustifi
cazione dei propri poteri) e mezzo di tutela del proprio ruolo
(di dirigente sindacale) all'interno dell'azienda, a fronte di una situazione di acquiescenza che (per potersi prestare a facili frain
tendimenti da parte degli altri lavoratori) tale ruolo poteva pre
giudicare. Il che vale a confermare come l'atto impugnato apparente
mente attributivo (solo) di maggiori diritti per il ricorrente, fac
cia emergere, invece, la lesione di fondamentali interessi, giuri
dicamente tutelati, dello stesso.
Rendendo ben giustificato il rifiuto di un avanzamento di car
riera che, per la pretermissione di fondamentali garanzie di tra
sparenza e obiettività, è parso legittimare (per come ha detto
il Siscaro in sede di libero interrrogatorio) una indiscriminata situazione di privilegio, svincolata da una effettiva valutazione
dei meriti professionali di ciascuno. Va, pertanto, dichiarato il diritto dell'istante a rinunciare alla
promozione conferitagli dalla Montepaschi con comunicazione
dell'8 agosto 1991.
5. - Inaccoglibile è, invece, l'ulteriore domanda di annulla mento dei provvedimenti di trasferimento di ufficio adottati in
pari data dalla società resistente.
Non avendo tali provvedimenti in alcuno modo interessato
il ricorrente e risultando, pertanto, lo stesso non legittimato a
contrastarne la validità ed efficacia.
Il Foro Italiano — 1996.
Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile
Cancelliere, segretario e dattilografo giudiziario — Indennità
giudiziaria — Misura in godimento — Norma di interpreta zione autentica — Questione manifestamente infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 3, 101, 103, 108; 1. 19 febbraio 1981 n. 27, provvidenze per il personale di magistratura, art. 3; 1. 22 giugno 1988 n. 221, provvidenze a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, art. 1; 1. 15 febbraio
1989 n. 51, attribuzione dell'indennità giudiziaria al persona le amministrativo delle magistrature speciali, art. 1; 1. 24 di
cembre 1993 n. 537, interventi corretivi di finanza pubblica, art. 3).
Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi in via incidentale — Procedimento davanti alla corte — Camera di consiglio — Presupposti — Questione manifestamente infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 3, 24; 1. 11 marzo 1953 n. 87, nor
me sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costitu
zionale, art. 26).
È manifestamente infondata, in quanto già decisa, la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 3, 61° comma, 1. 24 di
cembre 1993 n. 537, nella parte in cui prevede che l'indennità
«giudiziaria» concessa dalla 1. 19 febbraio 1981 n. 27 ai magi strati, poi attribuita dall'art. 1 1. 22 giugno 1988 n. 221 al per sonale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e successivamente
estesa al personale amministrativo delle giurisdizioni speciali dalla
1. 15 febbraio 1989 n. 51, sia corrisposta al personale ammini
strativo giudiziario nella misura vigente al 1° gennaio 1988, con
esclusione dell'adeguamento automatico triennale previsto per i magistrati, in riferimento agli art. 3, 101, 2° comma, 103,
1° comma, e 108, 2° comma, Cost. (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale, prospettata da una delle parti costituite nel processo
costituzionale, dell'art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87,
nella parte in cui prevede che, in caso di manifesta infondatez
za, la corte può decidere la questione in camera di consiglio,
anziché in udienza pubblica, in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost. (2)
Corte costituzionale; ordinanza 24 ottobre 1995, n. 451 (Gaz
zetta ufficiale, 1a serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres.
Caianiello, Est. Mirabelli; Accinni ed altri; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Cons. Stato 25 ottobre 1994 (G.U., la s.s., n.
15 del 1995).
(1) La questione di costituzionalità, sollevata negli stessi termini, è
stata dichiarata infondata da Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 15, Foro
it., 1995, I, 1419, con nota di richiami e successivamente manifesta
mente infondata da Corte cost., ord. 30 marzo 1995, n. 98, G.U., la
s.s., n. 14 del 1995.
(2) I. - La manifesta infondatezza della questione è dichiarata dalla
corte in sede di delibazione, quale giudice a quo, della relativa istanza
avanzata da una delle parti costituite nel processo costituzionale. La
conclusione è motivata nel senso che la convocazione in camera di con
siglio, in caso di manifesta infondatezza, consente alla parte costituita
di dedurre anche in ordine alla determinazione in rito, potendo la corte
rinviare la causa alla pubblica udienza quando non sussiste la manifesta
infondatezza, per cui non sarebbe violato il diritto di difesa delle parti costituite le quali, nelle forme proprie del procedimento in camera di
consiglio, possono partecipare ad una effettiva dialettica processuale
depositando memorie ed assumendo posizione anche sulla sussistenza
o meno dei presupposti per la pronuncia di manifesta infondatezza del
la questione. Alcuni dubbi erano stati sollevati in dottrina da chi aveva sostenuto
che, pur essendo prevista la possibilità di depositare memorie, ai sensi
dell'art. 10 norme integrative, di fatto le parti alle quali è comunicata
la decisione di convocazione della corte in camera di consiglio per ma
nifesta infondatezza della questione, quasi certamente svolgeranno le
loro memorie essenzialmente con riguardo ai motivi per cui è stata di
sposta la camera di consiglio e, nonostante la decisione del presidente della corte, sentito il giudice relatore, abbia carattere delibatorio e non
definitivo, la soluzione della questione appare ormai pesantemente pre
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