ordinanza 2 aprile 1999, n. 118 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 14 aprile 1999, n. 15);Pres. Granata, Est. Ruperto; Soc. Piper 3 c. Soc. Barsigno. Ord. Pret. Roma 28 maggio 1997(G.U., 1 a s.s., n. 37 del 1998)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 377/378-391/392Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195443 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
le successive pianificazioni sottordinate delle amministrazioni che
hanno ulteriore competenza nella materia. Il piano del parco non crea vincoli nei soli confronti delle amministrazioni (come era nella fattispecie decisa con la sent. n. 143 del 1989, id.,
1991,1, 1970) come esercizio di potere di indirizzo, ma compor ta immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i
privati (art. 18 1. reg. n. 86 del 1983), senza che si verifichi
l'esigenza di intermediazione di strumenti sottordinati al piano
approvati con atto amministrativo suscettibile di tutela giurisdi zionale.
Il progetto di piano è elaborato dall'ente gestore del parco
(che può essere un consorzio tra gli enti locali interessati, come
nella specie il consorzio tra i comuni interessati specificati dalla
legge regionale istitutiva del parco: 1. reg. Lombardia 16 set
tembre 1983 n. 77, art. 3) con una netta distinzione rispetto alla fase legislativa di approvazione regionale. Infatti, la propo sta di piano viene adottata con delibera dell'ente gestore (v. anche art. 6, 1. reg. n. 77, cit.). Essa viene pubblicata con le
forme tipiche delle pianificazioni territoriali, al fine di consenti
re la presentazione di osservazioni «da parte di chiunque vi ab
bia interesse» ed è destinata ad essere trasmessa alla giunta re
gionale insieme alle osservazioni presentate e alle controdedu
zioni dell'ente proponente. La giunta regionale della Lombardia, a sua volta, deve verificare la proposta di piano in relazione
alla coerenza con gli indirizzi di politica ambientale della regio ne ed ha il potere di deliberare le «modifiche necessarie». Suc
cessivamente deve trasmetterla al consiglio regionale (assumen done con separato atto la formale iniziativa legislativa di ap
provazione) insieme alle osservazioni e controdeduzioni inviate
dall'ente gestore proponente e alle «modifiche» eventualmente
apportate dalla stessa giunta, che determina il contenuto defini
tivo del piano adottato.
Sia la delibera di adozione della proposta di piano del parco, formulata dall'ente gestore, una volta pubblicata (negli albi dei
comuni e province interessate e con avviso nel Bollettino uffi ciale della regione, pubblicazione anteriore alla trasmissione al
la giunta regionale), sia la delibera della giunta regionale, con
tenente le eventuali modifiche del piano, sono configurate come
atti adottati da organi amministrativi e nell'esercizio di attività
amministrativa (con le garanzie proprie della relativa funzione, ivi compresa la soggezione al sindacato giurisdizionale di legitti
mità). Detti atti, inoltre, sono suscettibili di ledere immediata
mente, attraverso l'automatica cogenza della salvaguardia, le
posizioni dei soggetti interessati, che soggiacciono alle previsio ni del progetto di piano per gli effetti impeditivi rispetto ad
ogni intervento in contrasto. Pertanto, dette delibere non pos sono ritenersi sottratte al generale sindacato di legittimità del
giudice amministrativo.
La seconda fase, avente natura legislativa (procedura di ap
provazione del piano con legge regionale), inizia dopo il compi mento della verifica affidata alla giunta — cui spetta in via
esclusiva un correlato potere amministrativo correttivo (intro duzione di modifiche al progetto di piano) — e solo con la
presentazione al consiglio regionale del progetto di legge della
giunta regionale, atto che assume il valore di formale iniziativa
della legge di approvazione del piano. Ed appunto la 1. reg. 29 aprile 1995 n. 39, con espresso ri
chiamo «ai sensi dell'art. 6 1. reg. 16 settembre 1983 n. 77, dell'art. 17 1. reg. 30 novembre 1983 n. 86», ha approvato il
piano territoriale di coordinamento del parco naturale di Mon
tevecchia e della Valle del Curone, costituito dagli elaborati de
rivanti dalla verifica istruttoria sul piano originario (adottato dall'ente gestore) compiuta dal gruppo di lavoro interassessori
le, che ha dato luogo ad una revisione della proposta di piano del parco, fatta propria dalla delibera della giunta di modifiche
al piano con definizione del testo del piano stesso.
4. - Così configurate le due fasi, l'una amministrativa, con
le garanzie proprie del giusto procedimento — secondo una cor
retta interpretazione della legge regionale —, e l'altra legislativa di mera approvazione del piano, quale risultante a seguito delle
modifiche adottate dalla giunta regionale, è evidente che gli even
tuali vizi della fase amministrativa di formazione, adozione e
modifiche del piano del parco non sono sanati né comunque
coperti dall'approvazione con legge regionale del piano stesso.
Tale approvazione attiene ad un esame ed ad una valutazione
di politica territoriale-ambientale da parte dell'assemblea regio nale. Il legislatore regionale — nella 1. n. 86 del 1983, che rego
li, Foro Italiano — 2000.
la, tra l'altro, le norme generali di procedura per l'istituzione
e la gestione dei parchi naturali — ha sottratto il solo atto fina
le di approvazione ai poteri (amministrativi) dell'ente gestore e della giunta regionale. Ciò allo scopo di addivenire ad una
delibera legislativa di mera approvazione (essenzialmente politi
ca) con il connaturale concorso della volontà dell'intera rappre sentanza regionale e non della sola giunta espressione di mag
gioranza. L'anzidetta legge regionale di mera approvazione del piano
del parco non attribuisce al contenuto del piano valore di legge e non assume il significato di conversione dell'atto contenente
la pianificazione del parco.
Pertanto, sulla base delle predette considerazioni, gli even
tuali vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta
dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della
giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico
procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica
e partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario sindaca
to giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidono su si
tuazioni giuridiche soggettive. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale degli art. 15, 16,
17, 18, 19 e 20 1. reg. Lombardia 30 novembre 1983 n. 86 (pia no generale delle aree regionali protette. Norme per l'istituzione
e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale) e della 1. reg. Lombardia 29 aprile 1995 n. 39 (piano territoriale
di coordinamento del parco naturale di Montevecchia e della
Valle del Curone), sollevata, in riferimento agli art. 3, 24, 42,
97, 101, 2° comma, e 113 Cost., dal Tar Lombardia, con l'or
dinanza indicata in epigrafe.
I
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 2 aprile 1999, n. 118 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 14 aprile 1999, n. 15); Pres. Granata, Est. Ruperto; Soc. Piper 3 c. Soc. Barsi
gno. Ord. Pret. Roma 28 maggio 1997 (G.U., la s.s., n. 37
del 1998).
Procedimento civile — Fallimento della parte — Interruzione
del processo — Dichiarazione o notificazione dell'evento ad
opera del procuratore — Questione manifestamente infonda
ta di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art.
300).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 300 c.p.c., nella parte in cui subordina l'in
terruzione del processo in caso di fallimento di una parte alla
dichiarazione (o notificazione) dell'evento ad opera del suo
procuratore, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
(1-5) I. - Le sentenze in epigrafe riguardano tutte aspetti della disci
plina dell'interruzione del processo. Il primo provvedimento in epigrafe è conforme a Corte cost., ord.
1° aprile 1998, n. 96, Foro it., Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 375. Il giudice a quo ha motivato la questione di legittimità costitu
zionale adducendo che, nel caso in cui il difensore della parte colpita non renda la dichiarazione, la controparte sarebbe privata della possibi lità di far valere nei confronti dei soggetti legittimati a proseguire il
giudizio un'eventuale sentenza favorevole. La Corte costituzionale ri
sponde che l'interesse della controparte è salvaguardato dalla «costante
interpretazione» data all'art. 300, 2° comma, c.p.c. dalla giurispruden za di legittimità, secondo cui, allorché il procuratore costituito ometta di dichiarare (o notificare) la perdita di capacità di stare in giudizio della parte da lui rappresentata, l'altra parte può chiamare in causa coloro ai quali spetta di proseguire il giudizio, rendendo così opponibile a costoro la sentenza da emettersi.
La corte si riferisce con ogni probabilità ad alcune pronunce della
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PARTE PRIMA
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 giugno 1999, n. 6298; Pres. Senofonte, Est. Giuliani, P.M. Uccel
la (conci, conf.); Fall. soc. f.lli Statti (Aw. Marasco) c. Banca
Monte dei Paschi di Siena (Avv. D'Ippolito). Conferma App. Catanzaro 8 marzo 1997.
Procedimento civile — Estinzione della parte per incorporazio ne nel corso del giudizio — Dichiarazione del procuratore — Interruzione del processo — Termine per la riassunzione — Decorrenza (Cod. proc. civ., art. 300, 305).
In caso di estinzione della parte persona giuridica per incorpo razione, l'interruzione del processo si verifica dal momento
in cui il procuratore dichiara in udienza l'evento interruttivo
o lo notifica alle altre parti; tale momento segna altresì la
decorrenza del termine semestrale per la riassunzione o la pro secuzione del processo stesso, indipendentemente dalla suc
cessiva pronuncia del giudice la quale riveste valore mera
mente dichiarativo. (2)
Corte di cassazione (7 aprile 1987, n. 3367, id., Rep. 1987, voce cit., n. 226, e 19 ottobre 1984, n. 5291, id., Rep. 1985, voce Impugnazioni civili, n. 60, e Nuova giur. civ., 1985, I, 138, con nota di L. Miccolis) che peraltro non sono il frutto di una costante interpretazione. Queste sentenze non negano che la morte, o la perdita della capacità di stare in giudizio, della parte costituita, verificatasi nel corso del giudizio e
prima della chiusura della discussione, abbia rilevanza processuale sol tanto ove dichiarata in udienza o notificata alle altre parti dal procura tore, e per la parte contumace a norma del 4° comma dell'art. 300
c.p.c., con la conseguenza che in mancanza di tali attività l'atto di im
pugnazione è ritenuto validamente notificato presso il procuratore stes so a norma dell'art. 300, 1° comma, c.p.c., a prescindere da ogni que stione sulla eventuale conoscenza aliunde di quegli eventi da parte del notificante. Tuttavia la controparte, che abbia conseguito tale cono
scenza, potrebbe compiere le attività processuali per far partecipare al
giudizio i soggetti che, per effetto degli eventi stessi, sono legittimati a proseguire il processo in luogo della parte colpita. Di conseguenza sarebbe valida la notifica dell'impugnazione effettuata personalmente agli eredi della parte defunta, o al soggetto che abbia acquisito la capa cità processuale.
Tali pronunce si pongono in contraddizione con l'esclusività del po tere del difensore della parte colpita (a cui si aggiunge, dopo la chiusu ra della discussione, la legittimazione dei soggetti legittimati a prosegui re il processo) a dichiarare l'evento, ove questo si sia verificato prima della chiusura della discussione, da cui si ricava la legittimazione passi va esclusiva del difensore della parte colpita a ricevere la notificazione della sentenza o dell'impugnazione: in questo senso, con riferimento
all'impugnazione nei confronti della parte premorta, Cass. 21 febbraio
1984, n. 1228, Foro it., 1984, I, 664; 13 aprile 1994, n. 3427, id., Rep. 1994, voce Notificazione civile, n. 31; 2 dicembre 1994, n. 10350, ibid., voce Procedimento civile, n. 187.
Ciò non intacca peraltro la conclusione alla quale perviene la corte circa l'infondatezza della questione di costituzionalità: anche se si nega che — omessa la dichiarazione da parte del difensore della parte —
la controparte possa chiamare in causa coloro ai quali spetta di prose guire il giudizio, essa ha comunque a disposizione un destinatario per le notificazioni e per far valere un'eventuale sentenza favorevole. In
questo contesto dubbi di legittimità costituzionale si prospettano piutto sto con riferimento alla posizione di coloro ai quali spetta di proseguire il giudizio. Si è osservato infatti (non solo dalla dottrina, ma anche dalla giurisprudenza: v., ad es., Cass. 21 luglio 1998, n. 7121, id., 1999, I, 583, in motivazione) che l'ultrattività del mandato ad litem, se tutela efficacemente l'interesse della parte non colpita dall'evento ad indivi duare un destinatario delle sue notificazioni, non garantisce sufficiente mente il diritto di difesa (e di azione) degli eredi, del rappresentante della parte divenuta incapace, della parte divenuta capace, ecc., dato che questi soggetti potrebbero rimanere all'oscuro delle notificazioni
(della sentenza e/o dell'impugnazione) effettuate al procuratore costi tuito (per un approfondimento su questo aspetto, cfr. R. Caponi, La
sopravvenienza della maggiore età della parte nel corso del giudizio ci
vile, ibid., spec. 588). II. - Nella seconda e terza pronuncia in epigrafe la causa dell'interru
zione del processo è l'estinzione della parte persona giuridica. Sulla fu sione mediante incorporazione come fattispecie di estinzione della so cietà incorporata e di subingresso della società incorporante nei rappor ti ad essa relativi e, quindi, come fatto interruttivo del processo assimilabile alla morte della persona fisica, oltre alle pronunce citate dalla seconda sentenza in epigrafe, v. Cass. 9 aprile 1998, n. 3694, id., 1998, I, 2909, con nota di richiami. Nelle fattispecie sottese alle due
pronunce l'incorporazione si è verificata dopo la costituzione in giudi zio, per cui la disciplina è ricavabile dall'art. 300 c.p.c., sul quale cfr.
Il Foro Italiano — 2000.
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 giugno
1999, n. 5736; Pres. Sgroi, Est. Papa, P.M. Maccarone
(conci, conf.); Soc. Sacma (Avv. Premuroso, Valensise) c.
Soc. Akzo Nobel Coatings (Avv. Capriolo). Conferma App. Milano 6 settembre 1996.
Procedimento civile — Evento interruttivo — Dichiarazione del
procuratore — Invalidità — Sanatoria (Cod. proc. civ., art.
156, 300; r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle
professioni di avvocato e di procuratore, art. 9). Procedimento civile — Interruzione del processo — Riassunzio
ne — Mancata notificazione alla controparte — Estinzione
del processo (Cod. proc. civ., art. 303, 305).
L'invalidità della dichiarazione dell'evento interruttivo, in quanto
proveniente da procuratore non munito di delega scritta, va
rilevata dal giudice ovvero dalla controparte prima del com
pimento dell'atto, altrimenti il rilievo è precluso dal generale
principio del raggiungimento dello scopo. (3) La mancata notificazione alla controparte, entro il termine or
dinatorio stabilito dal giudice, del ricorso in riassunzione di
un processo interrotto comporta l'accoglimento dell'eccezio
ne di estinzione del processo quando l'istanza per la fissazio ne di un nuovo termine sia intervenuta dopo la scadenza del
termine perentorio di sei mesi dalla conoscenza legale della
causa dell'interruzione. (4)
IV
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 21 otto
bre 1998, n. 10441; Pres. Baldassarre, Est. Elefante, P.M.
Nardi (conci, diff.); Moiani (Aw. Ciaffi) c. De Simone (Avv.
Petrivelli), Tozzi e altri. Cassa App. Roma 8 febbraio 1995.
Impugnazioni civili in genere — Interruzione del processo d'ap
pello — Mancata riassunzione nei confronti di un coerede — Estinzione del processo — Presupposti (Cod. proc. civ., art. 102, 110, 300, 307, 331).
L'omessa notifica della riassunzione del giudizio di impugna zione — svoltosi tra tutti i contraddittori — nei confronti del coerede di uno di essi, non determina l'inammissibilità
dell'impugnazione ai sensi dell'art. 331 c.p.c., bensì l'estin
zione del giudizio, ai sensi dell'art. 307 c.p.c., se eccepita; altrimenti il giudizio deve esser deciso allo stato degli atti e
perciò o in base a pregiudiziali, assorbenti questioni, ovvero
dichiarando l'improseguibilità del processo per mancata inte
grazione del contraddittorio, nell'impossibilità di concedere
un nuovo termine a tal fine, stante la sua perentorietà. (5)
R. Caponi, La sopravvenienza della maggiore età della parte nel corso del giudizio civile, cit.
La seconda pronuncia in epigrafe è espressione di un orientamento costante: v., tra le più recenti, Cass. 20 maggio 1998, n. 5029, id., Rep. 1998, voce cit., n. 367, citata in motivazione.
La terza pronuncia ha affrontato in primo luogo il problema dell'in validità della dichiarazione dell'evento interruttivo, in quanto prove niente da procuratore non munito di delega scritta, richiesta dall'art. 9 della legge professionale. Essa ha affermato la sanabilità del vizio, se non rilevato dal giudice ovvero dalla controparte prima del compi mento dell'atto: nello stesso senso, v. Cass. 28 febbraio 1996, n. 1574, id., Rep. 1996, voce cit., n. 117, citata in motivazione. Il secondo pro blema riproposto all'attenzione di Cass. 5736/99 è relativo al mancato
rispetto del termine per la notifica a controparte del ricorso in riassun zione del processo interrotto ed è risolto — in conformità all'orienta mento costante della Corte suprema — nel senso della fondatezza del l'eccezione di estinzione del processo, quando l'istanza per la fissazione di un nuovo termine sia intervenuta dopo la scadenza del termine pe rentorio di sei mesi dalla conoscenza legale della causa dell'interruzio ne: in argomento, cfr. la nota in calce a Cass. 1° settembre 1997, n.
8314, id., 1998, I, 2535, citata in motivazione. L'ultima pronuncia in epigrafe verte su una fattispecie in cui, instau
ratosi validamente il processo d'appello, sopravviene la morte di una
parte, dichiarata in udienza dal procuratore, e il processo non viene riassunto nei confronti di tutti i coeredi: la vicenda non trova la propria disciplina nell'art. 331 c.p.c., bensì nell'art. 307, 3° comma, c.p.c. e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Ritenuto che nel corso di un procedimento d'opposizione a
decreto ingiuntivo, durante il quale la parte opponente aveva
richiesto la declaratoria d'interruzione del processo a seguito del fallimento della parte opposta, non dichiarato dal procura tore di quest'ultima, il Pretore di Roma, con ordinanza emessa
il 28 maggio 1997, ha sollevato — in riferimento agli art. 3
e 24 Cost. — questione di legittimità costituzionale dell'art. 300
c.p.c., nella parte in cui subordina l'interruzione del processo, in caso di fallimento di una delle parti, alla dichiarazione (o
notificazione) dell'evento ad opera del suo procuratore;
che, a parere del giudice a quo, nel caso in cui tale dichiara
zione non venga resa, potrebbe derivare un pregiudizio ai con
traddittori del fallito, per l'impossibilità di far valere nei con
fronti del fallimento un'eventuale sentenza favorevole.
Considerato che il pretore si duole dell'asserita inadeguatezza
degli strumenti di tutela dei diritti a contenuto patrimoniale even
tualmente conseguenti al giudizio nel momento in cui essi venis
sero fatti valere nei confronti del fallimento; che identica questione, sollevata nei medesimi termini dallo
stesso pretore, è stata dichiarata manifestamente infondata con
ordinanza n. 96 del 1998 (Foro it., Rep. 1998, voce Procedi
mento civile, n. 375); che il rimettente ha altresì trascurato di rilevare che i menzio
nati interessi dei contraddittori del fallito sono salvaguardati dalla costante interpretazione data all'art. 300, 2° comma, c.p.c. dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, allorché il pro curatore costituito ometta di dichiarare (o notificare) la perdita di capacità di stare in giudizio della parte da lui rappresentata, l'altra parte può chiamare in causa coloro ai quali spetta di
proseguire il giudizio, rendendo così opponibile a costoro la
sentenza da emettersi;
che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.
Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°
comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
l'ai:. 300 c.p.c., sollevata dal Pretore di Roma in riferimento
agli art. 3 e 24 Cost, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
II
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 2 aprile 1987, la curatela del fallimento «F.lli Statti» s.r.l.
conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Lamezia Terme
la Banca popolare di Nicastro, per sentir dichiarare l'inefficacia
dei pagamenti per lire 1.135.435.817 effettuati dalla fallita per il tramite di due rapporti di conto corrente e con la consapevo
lezza, da parte dell'istituto di credito nei cui riguardi chiedeva
fosse pronunciata condanna alla relativa restituzione (oltre gli
accessori), dello stato di insolvenza della società debitrice.
Costituitasi, la convenuta contestava il fondamento della pre tesa avversaria della quale domandava il rigetto.
In corso di lite, i procuratori della medesima convenuta di
chiaravano che quest'ultima era venuta meno per sopravvenuta
incorporazione da parte del Monte dei Paschi di Siena, chieden
do, all'udienza del 9 gennaio 1991, che fosse dichiarata l'inter
ruzione del processo, la quale era pronunciata dal giudice istrut
tore a mezzo di ordinanza fuori udienza in data 12 marzo 1991, comunicata il 7 ottobre 1991.
Il 23 ottobre 1991, veniva proposta ed accolta l'istanza per la riassunzione: all'udienza, il Monte dei Paschi eccepiva l'in
tervenuta estinzione del giudizio.
da ciò consegue l'estinzione del processo, se eccepita: in questo senso, v. Cass. 20 dicembre 1994, n. 10965, id., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. Ili, citata in motivazione. Questa soluzione pone il problema di conciliare la mancata eccezione di parte con la necessaria presenza in giudizio di tutti i litisconsorzi necessari. Il problema è risolto archi tettando una declaratoria di ufficio di improseguibilità del processo, in aderenza a Cass. 28 gennaio 1994, n. 878, ibid., voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 26, citata in motivazione: si tratta sostan
zialmente di una pronuncia di estinzione d'ufficio. [R. Caponi]
Il Foro Italiano — 2000.
Il tribunale adito, con sentenza del 14 maggio-6 giugno 1994, ritenendo che, allorquando vi fosse incertezza sull'evento, il ter
mine semestrale per la riassunzione decorresse dalla data di co
municazione del relativo provvedimento dichiarativo e non dal
momento in cui la ragione estintiva fosse stata ritualmente par
tecipata, rigettava l'eccezione in parola e disponeva per la pro secuzione della causa nel merito.
Avverso la sentenza, proponeva appello il Monte dei Paschi
deducendo che il dies a quo, ai fini della riassunzione, decorres
se dal momento della partecipazione dell'evento e non da quel lo dell'accertamento da parte del giudice, provvisto di carattere
esclusivamente dichiarativo.
Costituitasi in sede di gravame, la curatela fallimentare ne
chiedeva il rigetto con conferma della decisione di primo grado. La Corte d'appello di Catanzaro, a mezzo della sentenza pro
nunciata in data 19 dicembre 1996-8 marzo 1997, accoglieva
l'impugnazione e dichiarava l'estinzione del giudizio già pen dente davanti al tribunale, assumendo che la dichiarazione del
procuratore circa la fusione per incorporazione della società fosse
assimilabile al caso di estinzione della stessa e che gli effetti
conseguenti operassero automaticamente senza l'accertamento
dichiarativo del giudice, onde l'obbligo per il soggetto interessa
to di proseguire il giudizio nel termine di sei mesi dalla data
di tale dichiarazione, intervenuta nella specie all'udienza del 9
gennaio 1991 laddove l'atto di riassunzione era stato notificato
solamente nell'ottobre successivo.
Avverso detta sentenza, ricorre per cassazione la curatela del
fallimento «F.lli Statti» s.r.l., deducendo un solo motivo di gra vame ed una subordinata questione di legittimità costituzionale, illustrati da memoria, ai quali resiste la Banca Monte dei Paschi
di Siena s.p.a. con controricorso, pure illustrato da memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di impugnazio ne deduce la ricorrente, in riferimento all'art. 360, nn. 3 e 5,
c.p.c., la violazione e falsa applicazione e interpretazione di nor
me di diritto, nonché l'omessa o insufficiente motivazione, la
mentando rispettivamente:
a) che la sentenza di seconde cure violi le disposizioni e la
ratio legis degli art. 300 e 305 c.p.c., là dove ritiene che l'inter
ruzione del processo intervenga dal momento della comunica
zione dell'evento fatta in udienza dal procuratore costituito e
non dal momento della comunicazione dell'ordinanza che di
sponga l'interruzione medesima, nel senso esattamente che la
conoscenza legale di quest'ultima non può invece che avere luo
go dal momento in cui il giudice la dichiari, soprattutto quando vi siano dubbi in ordine alla capacità interruttiva della vicenda
partecipata in udienza e sia anzi insorta controversia in merito
alla sussistenza dei presupposti dell'interruzione del processo tanto
da avere lo stesso giudice riservato la propria decisione al ri
guardo, onde solo dal momento della comunicazione della rela
tiva ordinanza la parte è messa in condizione (non solo legale ma anche materiale) di poter riassumere il giudizio;
b) che la soluzione adottata dalla corte di merito tralasci di
valutare le conseguenze che, sul piano pratico e su quello giuri
dico, discendono dalla tesi della decorrenza del termine per la
riassunzione dalla dichiarazione in udienza dell'avvenuta estin zione per fusione dell'istituto bancario originario, portando alla
paradossale conseguenza che la curatela avrebbe dovuto riassu
mere il giudizio ancor prima di conoscere la decisione del giudi ce sull'interruzione o meno del processo, ovvero avrebbe dovu
to riassumere un giudizio che tecnicamente era ancora pendente. Il motivo non è fondato.
Conviene premettere come l'orientamento di questa corte sia
tuttora fermo nel ritenere che la fusione delle società mediante
incorporazione (art. 2501 ss. c.c.) determina automaticamente
l'estinzione della società assoggettata a fusione ed il subingresso della società incorporante nei rapporti ad essa relativi, verifi
candosi una situazione giuridica che corrisponde a quella della
successione a titolo universale e che, agli effetti processuali, va
assimilata alla morte della persona fisica, sì da trovare la pro
pria disciplina nell'art. 300 c.p.c. e da provocare l'interruzione
del processo ove il procuratore della società incorporata abbia
fatto la prescritta comunicazione dell'evento realizzatosi nel corso
del giudizio (Cass. 21 maggio 1998, n. 5065, Foro it., Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 26; 22 settembre 1997, n. 9349, id.,
Rep. 1997, voce Società, n. 887; 27 agosto 1997, n. 8100, ibid., voce Procedimento civile, n. 162; 21 agosto 1996, n. 7704, id.,
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PARTE PRIMA
1997, I, 1911; 24 febbraio 1995, n. 2115, id., Rep. 1995, voce Appello civile, n. 66).
Nel caso, cioè, dell'incorporazione per fusione di una delle
parti intervenuta dopo che quest'ultima si sia costituita a mezzo
di procuratore, l'interruzione del processo si verifica dal mo
mento in cui il medesimo procuratore dichiari in udienza l'e
vento interruttivo o lo notifichi alle altre parti, segnando in tal
modo altresì la decorrenza del termine semestrale per la rias
sunzione o la prosecuzione del processo stesso, indipendente mente dalla successiva pronuncia del giudice la quale riveste
valore meramente dichiarativo e senza che, più in particolare, abbia efficacia alcuna, al fine di spostare il momento iniziale
di operatività dell'interruzione, la circostanza che tale pronun cia sia intervenuta solo successivamente (Cass. 20 maggio 1998,
n. 5029, id., Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 367; 25
luglio 1996, n. 6721, id., Rep. 1997, voce cit., n. 319; 28 feb braio 1996, n. 1581, ibid., n. 321; 25 agosto 1994, n. 7507,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 197; 19 luglio 1983, n. 4981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 231).
Le sentenze, infatti, della Corte costituzionale n. 139 del 15
dicembre 1967 (id., 1968, I, 10) e n. 159 del 6 luglio 1971 (id., 1971, I, 2117), secondo quanto la stessa corte ha avuto modo
di ribadire con le più recenti decisioni n. 136 del 27 marzo 1992
(id., 1992, I, 2935) e n. 18 del 5 febbraio 1999, hanno dichiara to l'incostituzionalità dell'art. 305 c.p.c. con esclusivo riferi
mento agli art. 301, 299 e 300, 3° comma, stesso codice, ovvero
limitatamente alla parte in cui la richiamata norma fa decorrere
dalla data del fatto interruttivo, anziché dalla data in cui le
parti ne hanno avuto conoscenza, il termine per la riassunzione
o per la prosecuzione del procedimento nel caso, rispettivamen
te, della morte, radiazione e sospensione dall'albo del procura
tore (art. 301 c.p.c.), nonché nel caso della morte e della perdi
ta di capacità della parte verificatesi prima della costituzione
in giudizio (art. 299 c.p.c.) e nel caso in cui questi eventi riguar
dino la parte costituitasi personalmente (art. 300, 3° comma,
c.p.c.), in tutte quelle ipotesi cioè nelle quali l'interruzione del
processo interviene automaticamente all'atto della realizzazione
dell'evento impeditivo e si palesa perciò l'esigenza di garantire alle parti, attraverso appunto l'effettiva conoscenza del verifi
carsi dei presupposti dell'interruzione medesima, la possibilità di fruire per intero del termine semestrale previsto dal cennato
art. 305 c.p.c. Nelle diverse ipotesi della morte o perdita della capacità (e
nelle altre ad esse assimilabili) di una delle parti verificatesi do
po che quest'ultima si sia costituita (art. 300, 1° e 2° comma,
c.p.c.), l'interruzione, al contrario, non è automatica ma inter
viene soltanto se il procuratore abbia dichiarato in udienza l'e
vento interruttivo o lo abbia notificato alle altre parti (Corte cost. 136/92, cit.), cosicché, in tali ipotesi, è da stimare tuttora
vigente nell'attuale ordinamento il precetto, risultante dal com
binato disposto degli art. 305 e 300, 1° e 2° comma, c.p.c., secondo cui l'interruzione del processo segna il momento della
decorrenza del termine di riassunzione o di prosecuzione dello
stesso (Cass. 29 ottobre 1975, n. 3647, id., Rep. 1975, voce
cit., n. 255). Essendosi cioè modificata, a seguito delle richiamate pronun
ce della Corte costituzionale (sent. n. 139 del 1967 e n. 159
del 1971), la decorrenza del termine per la riassunzione o prose cuzione del processo interrotto limitatamente alle ipotesi di morte
o impedimento del procuratore e di morte o perdita della capa cità della parte non costituita o costituita personalmente, la nor
ma contenuta nell'art. 305 c.p.c., ontologicamente strutturata
in modo da garantire la certezza dei rapporti processuali (Corte cost. 18/99, cit.), non consente di introdurre una decorrenza
differenziata del termine suddetto (dal momento cioè della co
municazione dell'ordinanza del giudice che dichiari l'interruzio ne) per il caso in cui vi siano dubbi in ordine alla capacità inter
ruttiva della vicenda dichiarata in udienza, ovvero sia insorta
controversia in merito alla sussistenza dei presupposti dell'inter
ruzione stessa, o sia comunque intervenuta decisione riservata
del giudice istruttore al riguardo, né consente di riconoscere ri
lievo al fatto, parimenti prospettato dalla ricorrente curatela fal
limentare, che la soluzione adottata dalla corte territoriale e cen
surata in questa sede porta alla paradossale conseguenza secon
do cui la medesima ricorrente avrebbe dovuto riassumere il
giudizio prima ancora di conoscere la decisione del giudice sul
h Foro Italiano — 2000.
l'interruzione o meno del processo ovvero riassumere un pro cesso tecnicamente ancora pendente, atteso che:
a) da un lato, la produzione degli effetti interruttivi è invero
subordinata, nei casi predetti, alla comunicazione (cui si attri
buisce carattere di manifestazione di volontà e non di scienza:
Corte cost. 136/92, cit.) che il procuratore della parte faccia
riguardo all'evento, onde non è minimamente dubitabile l'effet
tiva possibilità per la controparte, in ragione esattamente del
riferito onere che grava sul procuratore medesimo, di avere pre ventiva e tempestiva conoscenza dell'interruzione del processo, senza che venga in rilievo l'esigenza di garantire una (ulteriore) conoscenza legale la quale risulta necessaria per il (diverso) caso
in cui l'interruzione stessa si verifichi automaticamente nel mo
mento della realizzazione dell'evento impeditivo, ma che non
appare più tale là dove l'interruzione non sia automatica inter
venendo soltanto a seguito della comunicazione (e la relativa
conoscenza che l'altra parte ne venga così ad avere, o attraver
so la dichiarazione resa in udienza o attraverso l'apposita noti
ficazione) fatta dal procuratore della parte cui l'evento medesi
mo si riferisce;
b) dall'altro, l'orientamento giurisprudenziale di questa corte
(Cass. 1° settembre 1997, n. 8314, id., 1998, I, 2535; 8 giugno
1994, n. 5548, id., Rep. 1994, voce cit., n. 198) riconosce alla
parte, durante il periodo di sei mesi da computare sempre dalla
predetta comunicazione e purché prima della relativa scadenza
del termine, la facoltà di presentare al giudice istruttore o al
presidente, secondo le previsioni degli art. 302 e 303 c.p.c., il
ricorso per la fissazione dell'udienza destinata alla nuova com
parizione delle parti, a nulla rilevando, poi, che tale ricorso
con il pedissequo decreto venga notificato successivamente alla
scadenza del termine stesso, essendo questo un impulso formale
che consente di rigettare l'eccezione di estinzione quando l'uffi
cio abbia emesso il provvedimento a grande distanza di tempo dalla presentazione del ricorso medesimo;
c) non è infine da trascurare il fatto che il termine di sei
mesi per la riassunzione o la prosecuzione del processo, ancor
ché decorrente dal momento della comunicazione dell'evento im
peditivo fatta dal procuratore della parte cui l'evento stesso si
riferisce, costituisce pur sempre uno spatium deliberandi quan to mai ampio (Cass. 6 dicembre 1986, n. 7251, id., Rep. 1986,
voce Ingiunzione (procedimento), n. 44), tale da rendere larga mente verosimile, in riferimento ai termini fissati dal codice di
rito per la pronuncia dei provvedimenti fuori udienza da parte del giudice istruttore e per la relativa comunicazione a cura del
cancelliere (art. 186 e 176, 2° comma, c.p.c., rispettivamente), l'intervento comunque, prima della scadenza del semestre, del
l'ordinanza dello stesso giudice in merito all'interruzione e della
corrispondente comunicazione, a nulla rilevando che, come ac
caduto nella specie, l'effettività di quanto precede possa essere
in concreto vanificata da eventuali ritardi ascrivibili al medesi mo giudice e alla cancelleria, dal momento che da siffatti in
convenienti pratici non è desumibile una diversa interpretazione della norma in esame, la quale, al contrario, va semmai intesa
in funzione della corretta osservanza dell'ordinamento giuridico
complessivo e non delle ipotetiche sue violazioni (cfr. Corte cost.
136/92, cit.). Le considerazioni di cui sopra consentono di disattendere al
tresì i rilievi con i quali la ricorrente deduce subordinatamente
l'incostituzionalità, in relazione agli art. 3 e 24 Cost., degli art.
300, 2° comma, e 305 c.p.c., nella parte in cui non prevedono
che, nell'ipotesi di dubbio o di controversia in merito all'effica
cia interruttiva dei fatti dichiarati da uno dei procuratori costi
tuiti e, comunque, di decisione riservata da parte del giudice
istruttore, il termine per la riassunzione non decorra dal mo
mento della dichiarazione del predetto evento in udienza, bensì
dal momento della comunicazione dell'ordinanza del giudice che
dichiari l'interruzione. Sotto il primo profilo di illegittimità costituzionale denuncia
to, basterà qui ribadire, sulla scorta di quanto osservato dalla
stessa Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 136 del
1992, la manifesta infondatezza della questione dedotta, non
essendo in alcun modo ravvisabile la lamentata violazione del
principio di uguaglianza e l'ingiustificata discriminazione tra le ipotesi alle quali si riferiscono le sentenze della corte 139/67
e 159/71 citate e quella del caso in esame, dal momento che, come detto, la medesima corte ha riconosciuto l'essenziale di
versità tra i casi di morte o perdita della capacità della parte
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non costituita (art. 299 c.p.c.) e di morte o impedimento del
procuratore (art. 301 c.p.c.) da un lato e le ipotesi invece di
morte o perdita della capacità della parte costituita (art. 300
c.p.c.) dall'altro, essendo i primi contrassegnati dal fatto che
l'interruzione del processo interviene automaticamente al mo
mento nel quale si verifica l'evento impeditivo e le seconde dal
fatto che l'interruzione non è invece automatica ma interviene
soltanto se il procuratore della parte, cui l'evento si riferisce, ne renda nota la causa.
Sotto il secondo profilo, come pure già affermato da questa corte (Cass. 13 febbraio 1987, n. 1568, id., Rep. 1987, voce
Procedimento civile, n. 222), è del pari da riconoscere la mani
festa infondatezza della questione, non risultando ipotizzabile nel caso di specie alcuna menomazione del diritto di difesa giu sta quanto lamentato dalla ricorrente curatela sul rilievo che
la normativa denunciata non consentirebbe, da un lato, alla parte
diligente di riassumere il procedimento prima che l'interruzione
sia dichiarata, mentre dall'altro non consentirebbe di farlo util
mente dopo l'avvenuta comunicazione dell'ordinanza che dispon
ga l'interruzione potendo essere già decorso, al momento della
comunicazione da parte della cancelleria, il relativo termine, avuto
riguardo vuoi all'effettiva conoscenza dell'evento che la parte viene in ogni caso ad avere siccome presente in udienza (o co
munque tenuta a comparirvi) ovvero attraverso apposita notifi
cazione, vuoi alla riconosciuta possibilità di depositare, prima della scadenza del termine di sei mesi dall'avvenuta comunica
zione avversaria, il ricorso per la fissazione dell'udienza desti
nata alla nuova comparizione delle parti, ancorché, poi, come
accennato, tale ricorso con il pedissequo decreto venga notifica
to successivamente alla scadenza del termine per avere l'ufficio
emesso il provvedimento a distanza di tempo dalla presentazio ne del ricorso medesimo, vuoi, infine, alla stessa ragionevole
(nel quadro, come accennato, di una corretta osservanza del
l'ordinamento) previsione dell'intervento comunque, prima del
la scadenza del termine di sei mesi, del provvedimento del giu dice istruttore in merito all'interruzione e della relativa comuni
cazione a cura del cancelliere.
Il ricorso della curatela del fallimento «F.lli Statti» s.r.l., per
tanto, deve essere rigettato.
Ili
Svolgimento del processo. — La s.p.a. Arrigoni Sadolin ot
tenne dal presidente del Tribunale di Milano, l'8 marzo 1989, decreto ingiuntivo, nei confronti della Sacma s.n.c. di Moschet
ta B. & C., per il pagamento di lire 24.787.357, oltre accessori
e spese: si oppose l'ingiunta, deducendo vizi delle forniture cui
il pagamento si riferiva, e chiedendo, oltre alla revoca del prov vedimento monitorio, la condanna della società fornitrice alla
restituzione di quanto versatole in eccedenza sul dovuto, oltre
al risarcimento dei danni subiti; l'opposta, costituitasi, resistet
te. All'udienza dell'11 marzo 1991, il procuratore delegato del
l'opposta dichiarò che la società (indicata come s.r.l.) si era
fusa per incorporazione nella s.r.l. Casco Nobel, e l'istruttore dichiarò interrotto il processo; depositato il ricorso in riassun
zione dell'opponente l'8 ottobre 1991, e fissata, per la prosecu zione del giudizio, l'udienza del 18 dicembre 1991 — con termi
ne per la notifica di ricorso e decreto a controparte —, alla
stessa udienza del 18 dicembre il procuratore della s.n.c. Sac
ma, deducendo l'erronea notifica al procuratore domiciliatario
della società incorporata in luogo di quella, necessaria, alla so
cietà incorporante, conseguì la fissazione della nuova udienza
di prosecuzione del 23 febbraio 1992. La s.r.l. Casco Nobel,
costituendosi, eccepì l'estinzione del giudizio e, sulla contesta
zione di controparte, il Tribunale di Milano, con sentenza n.
5123 del 19 maggio 1994, dichiarò estinto il processo, affer
mando l'improrogabilità, dopo la scadenza, del termine ordina
torio fissato ai sensi dell'art. 302 c.p.c.
Interponeva appello la s.r.l. Sacma (nella quale si era frattan
to trasformata la s.n.c. Sacma), sulla duplice doglianza: dell'il
legittimità della declaratoria d'interruzione, sia perché la fusio
ne per incorporazione aveva in realtà riguardato la s.r.l. (e non
la s.p.a.) Danese Arrigoni Sadolin, sia perché una vicenda sif
fatta non avrebbe comportato l'interruzione; della tempestività della riassunzione, per irrilevanza della notificazione ex art. 302
c.p.c. dopo la scadenza del primo termine a tal fine fissato dal
li. Foro Italiano — 2000.
l'istruttore. Sulla resistenza dell'appellata s.r.l. Akzo Nobel In
dustriai Coatings (nella quale si era frattanto trasformata la Casco
Nobel s.r.l.), la Corte d'appello di Milano, con sentenza del
26 giugno 1996, depositata col n. 2579 il 6 settembre successivo, ha respinto l'impugnazione, condannando l'appellante alle ulte
riori spese processuali in favore di controparte. Ha riaffermato
la legittimità della dichiarazione di interruzione del processo, sotto il primo profilo della prima doglianza, per l'identità dei soggetti, beneficiario del decreto ingiuntivo (Arrigoni Sadolin
s.p.a.), e, previa trasformazione (in Arrigoni Sadolin s.r.l.), fu
so poi per incorporazione nella Casco Nobel s.r.l.; e, sotto il
secondo, per l'estinzione dello stesso soggetto — come sopra trasformato — in dipendenza dell'ultima vicenda, alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale in materia (Cass. 7321/93, Foro it., Rep. 1993, voce Cassazione civile, n. 14, e 6702/91,
id., Rep. 1991, voce Procedimento civile, n. 91). Ha quindi su
perato il secondo mezzo di gravame, sul rilievo che, intervenuto
il tempestivo deposito del ricorso in riassunzione, il termine or
dinatorio, fissato dal giudice per la prosecuzione del processo,
«può essere prorogato, a norma dell'art. 154 c.p.c., soltanto
prima della scadenza, salvo, ovviamente, che il termine peren torio di cui all'art. 305 stesso codice non sia ancora interamente
trascorso» (richiamando sul punto, fra le altre, Cass. 5548/94,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 198, e 12640/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 155).
Per la cassazione della sentenza ricorre la Sacma s.r.l., arti
colando tre motivi.
Resiste con controricorso la Akzo Nobel Coatings s.p.a. —
già Akzo Nobel Industrial Coatings s.r.l. —.
Motivi della decisione. — La società ricorrente, dopo un'am
pia parte espositiva, articola i seguenti tre mezzi di cassazione:
1) falsa applicazione degli art. 300, 303 e 307 c.p.c., avuto
riguardo, da un lato, all'intervenuta costituzione nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo della Arrigoni Sadolin s.p.a., laddove la fusione per incorporazione nella Casco Nobel s.r.l. — vicenda ritenuta determinante dell'effetto interruttivo — aveva
riguardato diverso ente, vale a dire la Italo Danese Arrigoni Sadolin s.r.l. («mai in precedenza nominata»); e considerato,
dall'altro, che la dichiarazione dell'evento interruttivo era inter
venuta ad opera del dr. proc. Mario Zanardi, informalmente
delegato dall'avv. Giancarlo Arnaboldi, e non specificamente abilitato con apposita procura a rendere la dichiarazione stessa,
comunque riguardante, in dipendenza di quanto precede, ente
diverso dalla parte costituita in giudizio. Da tutto ciò fa discen
dere l'inidoneità della ripetuta dichiarazione a produrre l'effet
to interruttivo — al riguardo richiamando i precedenti di Cass.
6062/95 (id., Rep. 1996, voce cit., n. 273); 2458/94 (id., Rep. 1994, voce cit., n. 193); 4820/93 (id., Rep. 1993, voce cit., n. 178); 3159/93 (id., 1993, I, 2520), e 11174/92 (id., Rep. 1992, voce cit., n. 164) —, con la conseguenza della prosecuzione del
giudizio, senza soluzione di continuità, fra le parti originarie;
2) falsa applicazione dell'art. 182 c.p.c. e connesso vizio di
motivazione, sottolineando, come autonomo vizio, il difetto di
potere rappresentativo della società Arrigoni Sadolin nella per sona (dr. Roberto Escoijdo) che aveva conferito la procura al l'avv. Arnaboldi, in quanto, per effetto della trasformazione
in società a responsabilità limitata (attuata nell'assemblea straor
dinaria del 19 aprile 1989), il potere medesimo era passato ad
altri (sig. Lars Goran Jonsson e dr. Dino Mallamaci), onde il
mandato generale alla persona che aveva conferito i poteri di
rappresentanza ed assistenza all'aw. Zanardi era «ormai scadu
to», circostanze, queste, non idoneamente considerate dall'istrut
tore in sede di declaratoria di interruzione del processo e, suc
cessivamente, tralasciate dal giudice del gravame;
3) violazione e falsa applicazione degli art. 303 e 305 c.p.c., per il carattere assorbente dell'avvenuto deposito del ricorso in
riassunzione nel termine previsto dall'art. 305 cit., con la conse
guenza della prorogabilità del termine assegnato dal giudice per la notifica a controparte, ovvero, dopo la scadenza, dell'asse
gnazione di un nuovo termine.
La società controricorrente oppone, in ordine successivo:
a) la tardività e, comunque, l'infondatezza del primo mezzo,
giacché controparte non sollevò alcuna eccezione all'udienza
dell'11 marzo 1991, nella quale la dichiarazione venne resa, e, in sede di gravame, lamentò unicamente una confusione nell'in
dicazione delle società interessate alla fusione; ed appunto in
tale sede, nella quale prese atto della dichiarazione del procura
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PARTE PRIMA
tore dell'opposta, avrebbe, in mancanza di rilievo di ufficio, dovuto far valere la carenza ora dedotta, la quale, in un succes
sivo momento, è consentita invece solo alla parte il cui procura tore sia stato irregolarmente sostituito (Cass. 1574/96, id., Rep.
1996, voce cit., n. 117);
b) l'infondatezza del secondo motivo, in quanto «l'unicità
dell'ente risulta dalla documentazione in atti ed è del tutto irri
levante che, nel corso del tempo, siano cambiate le persone fisi
che che rappresentano la società»;
e) l'infondatezza dell'ultimo, poiché costituisce orientamento
consolidato quello secondo cui, in relazione al carattere peren torio del termine per la riassunzione, fissato nell'art. 305 c.p.c., il termine per la notifica del relativo atto, di cui all'art. 303,
essendo meramente ordinatorio, può essere prorogato, sempre che non sia decorso il semestre dell'interruzione (Cass. 5548/94,
cit.). Il ricorso si rivela infondato e va, dunque, respinto. I primi due mezzi di cassazione sono intesi a rimuovere l'ef
fetto estintivo — attraverso il terzo, peraltro, autonomamente
contestato — col negare il presupposto dell'interruzione, vale
a dire la rilevanza dell'evento dichiarato, per tale via intenden
do rimuovere l'ordinanza di interruzione e, con essa, l'onere
della riassunzione entro il termine perentorio dell'art. 305 c.p.c., con possibilità, quindi, di prosecuzione del processo — erronea
mente interrotto — anche dopo il decorso del semestre (cfr., con riguardo al caso, più lineare, dell'interruzione malamente
dichiarata in seguito alla morte di uno dei procuratori costitui
ti, Cass. 230/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 163). Le corrispondenti doglianze non meritano, tuttavia, acco
glimento. La natura dei vizi complessivamente dedotti, comportando
l'esame degli atti, consente di premettere che, dal verbale di
udienza dell'11 marzo 1991, immediatamente prima dell'ordi
nanza di interruzione resa dall'istruttore, l'attività del procura tore della ricorrente è descritta attraverso le proposizioni «preso atto della dichiarazione oggi resa da controparte, si riserva di
riassumere il processo»; da tali emergenze è dato trarre le op
portune conclusioni in ordine alle censure in esame.
L'invalidità della dichiarazione dell'evento interruttivo, sicco
me proveniente da procuratore non munito di delega scritta —
espressamente richiesta dall'art. 9 r.d.l. 1578/33 — va rilevata
dal giudice ovvero dalla controparte, prima del compimento del
l'atto, essendo altrimenti il rilievo precluso dal generale princi
pio del raggiungimento dello scopo (Cass. 5330/85, id., Rep.
1985, voce cit., n. 56, e, richiamata dalla resistente, Cass.
1574/96, cit.). La soluzione, negativa per la ricorrente, non è
destinata a mutare, in relazione alla natura dell'atto, il quale — secondo il consolidato orientamento: per tutte, fra quelle indicate in ricorso, Cass. 6062/95, cit., e, fra le più recenti, Cass. 11552/98 (id., Rep. 1998, voce cit., n. 357) —, pur aven
do contenuto di dichiarazione di scienza, è destinato a svolgere efficacia negoziale, trattandosi di aspetto non incidente sul men
zionato principio e non autonomamente deducibile da contro
parte — poiché l'assenza di delega formale supera, per defini
zione, l'aspetto della specificità della delega stessa, con rilevabi
lità, successiva al compimento dell'atto, consentita quindi solo
alla parte il cui procuratore sia stato irregolarmente sostituito
(Cass. 1574/96, cit.). A conclusioni analoghe si perviene in ordine al contenuto della
dichiarazione del procuratore (delegato): che questa abbia ri
guardato la società a responsabilità limitata e non la società
per azioni (originaria opposta ed effettiva costituita nel proces
so) è circostanza superata dall'identificazione fra i due soggetti,
compiuta dal giudice a quo attraverso l'esame di merito, solle
citato dalla appellante, con affermazione di mera trasformazio
ne della forma societaria del medesimo soggetto. Ciò comporta il superamento anche del secondo motivo: la
costituzione in giudizio è avvenuta in forza della procura gene rale ad lites utilizzata già in sede monitoria, ed il mutamento
del potere rappresentativo dell'ente in dipendenza della trasfor
mazione non ha avuto alcun riverbero sullo ius postulandi (per tutte, Cass. 6292/98, ibid., n. 88, e 2679/98, ibid., n. 89), dato che una circostanza siffatta non sarebbe stata rilevante neppure in caso di estinzione dell'ente, in applicazione del noto princi
pio di ultrattività della procura ad lites.
Parimenti sfornito di pregio è il terzo motivo.
Ripropone al riguardo, la ricorrente, la problematica circa
Il Foro Italiano — 2000.
il mancato rispetto del termine, disposto dal giudice, per la no
tifica a controparte del ricorso in riassunzione del processo in
terrotto e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza per
proseguirlo; ed afferma la tesi della possibilità di estinzione nel
solo caso in cui non risulti rispettato, per il deposito, il termine
perentorio semestrale dell'art. 305 c.p.c., poiché la natura ordi
natoria di quello stabilito dal giudice non consente di collegare la stessa conseguenza al relativo inutile decorso, «in tema di
sanzioni dell'inattività della parte, la quale non può discendere
da negligenze del giudice» (all'uopo invocando il precedente di
Cass. 12238/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 176). La soluzione da seguire, secondo l'orientamento costante di
questa corte, appare tuttavia di segno contrario a quella pro
spettata.
Se, in presenza di un evento interruttivo, non avviene la pro secuzione (volontaria) del processo ad opera del subentrante al
la parte che ne è stata interessata, nei modi fissati dall'art. 302
c.p.c., l'altra parte «può chiedere la fissazione dell'udienza, no
tificando quindi il ricorso e il decreto», a mente dell'art. 303, 1° comma. Nessuna delle disposizioni suddette stabilisce che il
giudice istruttore (o il presidente) indichi anche il termine per la notifica — diversamente da quanto si legge nell'art. 297, 4°
comma, in caso di ripresa del processo sospeso — risultando
tuttavia inevitabile l'esercizio del relativo potere-dovere in vista
dello scopo dell'atto — di ripristino del contraddittorio — con
valutazione di congruità rimessa al giudice (fra le più recenti,
Cass. 8071/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 339). L'attività di lui in tal senso va dunque inquadrata nell'art. 175, 2° comma, a tenore del quale «egli fissa le udienze successive e i termini
entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali». Dal carattere «giudiziario» del termine (acceleratorio) in que stione — desumibile dalla bipartizione dell'art. 152 c.p.c. —
e dalla regola di tassatività dei termini perentori (anche se stabi
liti dal giudice), discende la natura ordinatoria di esso, discipli nato pertanto dal successivo art. 154, con conseguente possibili tà di abbreviazione o di proroga, anche di ufficio, purché «pri ma della scadenza»: onde un'istanza di parte, volta a conseguire un termine ulteriore dopo la scadenza, deve intendersi «nuova»
e va correlata al sistema delle modalità di ordine temporale fis
sate per la sequenza degli atti nella quale il termine viene ad
incidere.
Da ciò deriva che, mentre resta ferma la data del deposito del ricorso in riassunzione, per valutarne la tempestività in rela
zione al termine semestrale dell'art. 305 (fra le altre, Cass.
8012/97, ibid., n. 341), l'incidenza del decorso del termine fis
sato dal giudice per la notifica va rapportata alla fattispecie
complessiva, la quale, in caso di «cesure» nella successiva atti
vità della parte, non potrà prescindere dall'onere di riassunzio
ne, unitariamente fissato dal cit. art. 305. Al riguardo, non si
rivela utile l'approfondimento delle conseguenze del mancato
rispetto del termine ordinatorio, in generale, giacché, non es
sendo configurabile una proroga propriamente detta (perché sol
lecitato, il nuovo termine giudiziario, dopo la scadenza) e po tendosi ipotizzare soltanto una istanza «nuova» di riassunzione,
quest'ultima è intervenuta dopo la scadenza del termine peren torio fissato nel ripetuto art. 305.
Risulta, pertanto, inevitabile la conclusione secondo cui la
mancata notifica, entro il termine ordinatorio stabilito dal giu
dice, del ricorso in riassunzione — col pedissequo decreto di
fissazione dell'udienza per la prosecuzione del processo — a
controparte comporta l'accoglimento dell'eccezione di estinzio
ne del processo, quando l'istanza di fissazione di un nuovo ter
mine sia intervenuta dopo la scadenza del termine perentorio di sei mesi dalla conoscenza dell'evento interruttivo (così Cass.
8314/97, id., 1998, I, 2535, con ulteriori riferimenti; v. anche Cass. 8012/97, cit.). Difatti, la ricordata «cesura» nella sequen za procedimentale, dovuta ad inattività (o trascuratezza) della
parte, elide tutta la fattispecie complessa considerata dall'art.
305 cit., non consentendo di attribuire rilevanza al ricorso ini
ziale — tanto che, se il termine semestrale non sia decorso, l'im
possibilità di proroga del termine ordinatorio ormai scaduto va
le ad individuare una «nuova» istanza di riassunzione.
Né l'orientamento, così ribadito, può essere indubbiato attra
verso il precedente di Cass. 10747/97 (id., Rep. 1997, voce cit., n. 334), richiamato dalla ricorrente nella discussione orale, se
condo cui: «Poiché dal combinato disposto degli art. 303 e 305
c.p.c. si ricava che la riassunzione del processo, dopo l'interru
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione, deve essere effettuata con il deposito, nel termine stabili
to, del ricorso nella cancelleria del giudice precedentemente adi
to, tale tempestivo deposito impedisce l'estinzione del processo
medesimo, con la conseguenza che l'eventuale vizio o l'inesi
stenza, sia di fatto che giuridica, della notificazione del ricorso
stesso e del decreto di fissazione dell'udienza emanato dal giu dice non si comunica alla riassunzione (ormai perfezionatasi), ma impone al medesimo giudice, che rilevi il vizio, di assegnare alla parte, in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c. e previa fissazione di un'altra udienza di comparizione delle parti, un
termine — necessariamente perentorio — per la rinnovazione
della notificazione, dovendo, eventualmente, pervenirsi ad una
pronuncia di mero rito, che definisca in tal modo il processo, in caso di mancata ottemperanza della parte all'ordine di rinno
vazione». La decisione, relativa alla riassunzione nel rito del
lavoro, esplicitamente ricalca Cass., sez. un., 6841/96 (id., 1997,
I, 130), circa il perfezionamento dell'appello col solo deposito del ricorso ex art. 435 c.p.c., con la possibilità di fissazione — per una sola volta — di una nuova udienza di discussione
(per carenza, nella fattispecie complessa costituita dal ricorso, della sola in ius vocatio, ed in assenza di diritti quesiti in capo a controparte); essa riposa, quindi, sul duplice rilievo che l'atto
di riassunzione riveste ad un tempo funzione di editio actionis
e vocatio in ius nei confronti di coloro che debbono costituirsi
per proseguire il processo, e che l'inesistenza (di fatto o giuridi
ca) o la nullità della notificazione di tale atto, implicando la
mancata costituzione del contraddittorio, non determina il sor
gere di alcun diritto quesito a favore dell'altra parte. Ma la
ricostruzione complessiva, già difficilmente trasferibile sul pia no generale, certamente non può essere adattata al caso qui considerato.
Le modalità di riassunzione del processo interrotto risultano
significativamente bipartite nel codice di rito, che distingue le
ipotesi di interruzione prima della costituzione (art. 299) da quelle attinenti alla parte costituita ovvero — entro i limiti dell'art.
292 — al contumace (art. 300), per le prime richiedendo la cita
zione in riassunzione mediante apposita comparsa, con rispetto del termine minimo a comparire (art. 299 cit. in relazione al
125 disp. att.), e, per le seconde, disponendo chiedersi, median
te ricorso, unicamente «la fissazione dell'udienza» (art. 302 s.),
salva, per il caso di morte della parte — cui va equiparata l'e
stinzione dell'ente (Cass. 9822/98, id., Rep. 1998, voce cit., n.
360) — la mera indicazione, nel ricorso stesso, degli «estremi
della domanda». In relazione a ciò, non pare contestabile che
la (ripetuta) editio actionis sia limitata alla prima ipotesi, nella
quale il contraddittorio non ha avuto modo di perfezionarsi, e gli elementi della comparsa riassuntiva appaiono naturalmen
te «tarati» su quelli della citazione, essendo chiaro il rapporto fra il 1° comma, n. 3, dell'art. 125 disp. att. cit., che richiede
«il richiamo dell'atto introduttivo del giudizio», ed il 3° com
ma, nn. 3, 4, 5, dell'art. 163 c.p.c., sicché nella prassi è invalso
l'uso dell'integrale trascrizione dell'atto originario. La seconda
ipotesi è invece limitata — con la sufficienza della menzione
degli estremi della domanda di cui al citato 2° comma dell'art.
303 — alla in ius vocatio, come elemento necessario per la pro secuzione, in relazione ad una semplice ripresa del processo, con contraddittorio già costituito (nella stessa direttiva, Cass.
8314/97, cit.; v. anche Cass. 1331/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 343, e, per le conseguenze sulla prosecuzione con atto di
citazione, Cass. 1838/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 397). Posto che, nel caso in esame, si versa in tale seconda ipotesi,
non risulta dunque utilmente adattabile il precedente richiama
to. Del resto, l'estensione alla riassunzione, come ripresa del
contraddittorio già instaurato, della disciplina degli art. 164 (tanto
più, nel testo novellato) e 291 c.p.c. comporterebbe — per l'ef
fetto coevo della cancellazione dal ruolo/estinzione — un'estesa
interpretatio abrogans dell'art. 305, che risulterebbe collegato al 3° comma dell'art. 307 per la sola ipotesi (di rilevanza prati ca pressoché nulla) del deposito del ricorso dopo il semestre
dalla conoscenza dell'evento interruttivo. L'estensione medesi
ma, poi, ancora di recente negata per l'atto di riassunzione tar
divamente notificato, stante l'impossibilità di sanatoria (ancor
più, quindi, di rinnovazione: così espressamente, in materia di
notifica inesistente, perché fuori dell'ipotesi dell'art. 303, 2° com
ma, Cass. 9432/98, ibid., n. 386, e 3979/98, ibid., n. 391) del l'atto processuale ab origine inidoneo a produrre effetti a causa
di una decadenza già verificatasi (Cass., sez. un., 9342/97, ibid.,
Il Foro Italiano — 2000.
n. 404), finirebbe per interferire sugli effetti sostanziali della
domanda e sulla correlata disciplina del potere dispositivo delle
parti. Ed infatti, nel caso di evento interruttivo anteriore alla
costituzione, l'automatismo della vicenda processuale non sarà
per incidere sensibilmente sull'efficacia istantanea della messa
in mora (art. 2943 c.c.), legata comunque alla sola notificazio
ne, mentre, nel caso qui considerato, fermo l'effetto interrutti
vo pregresso, la tempestiva realizzazione dell'intera fattispecie — senza soluzione di continuità, avuto riguardo ai requisiti d'or
dine temporale intermedi, da rispettare nella sequenza comples siva prevista dalla legge — è destinata ad assicurare, con la
prosecuzione del giudizio, il permanere di tale effetto (c.d.
interruzione-sospensione), fino al passaggio in giudicato della
sentenza che definisce il giudizio (art. 2945, 2° comma): onde, verificandosi l'estinzione del processo, resterà fermo il solo ef
fetto istantaneo (art. cit., 3° comma), e — come nella presente
ipotesi, per la specialità del procedimento — il decreto ingiunti vo opposto acquisterà efficacia esecutiva (Cass. 8314/97, cit., e 7251/86, id., Rep. 1986, voce Ingiunzione (procedimento), n.
44). Anche sotto i profili, ulteriormente emersi dalla discussione,
il ricorso si rivela dunque infondato.
IV
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Roma, in acco
glimento della domanda proposta da Maria De Simone, dichia
rava che le costruzioni in sopraelevazione realizzate in via Ro
ma di Marano Equo dai convenuti Mariano Moiani e Bernardi
no Moiani violavano le distanze legali, e conseguentemente condannava Mariano Moiani e Margherita Tozzi, subentrata al
marito Bernardino Moiani, all'arretramento delle sopraelevazioni, alla demolizione delle opere aggettanti, alla chiusura di tutte
le aperture illegittime, e al pagamento della somma di lire due
milioni a titolo di risarcimento dei danni.
Proponeva appello Mariano Moiani citando soltanto Maria
De Simone, ma provvedendo poi ad integrare il contraddittorio
nei confronti di Margherita Tozzi.
La De Simone resisteva all'impugnazione di cui chiedeva il
rigetto, mentre la Tozzi aderiva all'appello del Moiani.
Il collegio, a cui era stata rimessa la causa per la decisione, dichiarava interrotto il processo avendo il procuratore del Moiani
dichiarato che costui era deceduto.
Il processo veniva riassunto dagli eredi Pietro Alberto, Giu
seppe e Antonietta Moiani.
Ma il collegio dichiarava di nuovo interrotto il processo avendo
il procuratore di Margherita Tozzi dichiarato che costei era de
ceduta.
Il ricorso in riassunzione veniva notificato nominativamente, essendo decorso l'anno dalla morte, a tutti gli eredi di Marghe rita Tozzi ad eccezione del solo coerede Nicola Occhigrossi, nei
cui confronti non veniva effettuata la notificazione neppure nel
nuovo termine concesso dal collegio. Con sentenza 381/95 del 18 novembre 1994 - 8 febbraio 1995,
la Corte di appello di Roma dichiarava, ai sensi dell'art. 331,
cpv., c.p.c., l'inammissibilità dell'appello per mancata integra zione del contraddittorio nei confronti di Nicola Occhigrossi,
quale erede di Margherita Tozzi.
Ricorrono per cassazione Pietro Alberto, Giuseppe e Anto
nietta Moiani, deducendo un solo motivo, al quale Maria De
Simone resiste con controricorso.
Gli altri intimati, tutti eredi di Margherita Tozzi, non hanno
svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo, i ricorrenti
Moiani, denunciando errata interpretazione e applicazione del
l'art. 331 c.p.c., si dolgono che l'impugnata sentenza abbia di
chiarato inammissibile l'appello per omessa integrazione del con
traddittorio nei confronti di Nicola Occhigrossi, erede della litis
consorte necessaria Margherita Tozzi, senza considerare che nel
caso specifico il disposto dell'ultimo comma dell'art. 331 c.p.c. non era applicabile poiché Margherita Tozzi era deceduta quan do già era stata citata ed era parte nel giudizio d'appello. Alla
sua morte il giudizio fu riassunto nei confronti di tutti i suoi
eredi ad eccezione di Nicola Occhigrossi perché la mancata no
tifica, come risulta dalla relata, fu dovuta non a negligenza de
gli appellanti ma al comportamento del suddetto destinatario,
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PARTE PRIMA
per cui la corte di merito avrebbe dovuto assegnare un nuovo
termine e non dichiarare inammissibile l'impugnazione. In ogni caso, si sarebbe dovuta ravvisare l'ipotesi di cui al
l'ultimo comma dell'art. 307 c.p.c., e la corte di merito, in man
canza della relativa eccezione, avrebbe dovuto decidere la causa
nel merito e non limitarsi a dichiarare l'inammissibilità del
l'appello. Il ricorso merita accoglimento in base alle seguenti conside
razioni.
Va innanzitutto osservato, come precisato nell'esposizione dello
svolgimento del processo, che il contraddittorio era stato rego larmente instaurato con l'appello, mediante citazione prima di
Maria De Simone e poi di Margherita Tozzi.
Va pure precisato che la morte di quest'ultima è stata dichia
rata dal suo difensore al collegio, davanti al quale la causa era
stata rimessa per la decisione; e che l'atto di riassunzione del
processo interrotto per tale evento è stato notificato personal mente a tutti gli eredi di Margherita Tozzi, tranne al coerede
Nicola Occhigrossi. In tale ipotesi, quando cioè in seguito all'interruzione del pro
cesso d'appello, regolarmente instaurato e svoltosi nei confronti
di tutti i legittimi contraddittori, l'atto di riassunzione del giu dizio non sia stato notificato a taluno dei coeredi di una parte ritualmente convenuta con l'atto d'impugnazione e poi decedu
ta, non trova applicazione l'art. 331 c.p.c., con la conseguente sanzione dell'inammissibilità del gravame per mancata integra zione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa nel termine fissato, bensì trova applicazione il disposto dell'art.
307 c.p.c. (in relazione anche all'art. 350, 2° comma, c.p.c.), in base al quale la mancata integrazione (ovvero la mancata
0 incompleta riassunzione) del giudizio entro il termine perento rio fissato dalla legge o dal giudice produce l'estinzione del pro
cesso, quando l'estinzione stessa venga eccepita dalla parte inte
ressata prima di ogni altra sua difesa (Cass. 20 dicembre 1994, n. 10965, Foro it., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. Ili; 26 febbraio 1988, n. 2048, id., Rep. 1988, voce cit., n. 13).
Infatti la necessità di integrazione del contraddittorio nei con
fronti del coerede di una delle parti deceduta nel corso del giu dizio di appello sorge non ai sensi dell'art. 331 c.p.c., bensì
ai sensi dell'art. 307 c.p.c., con la conseguenza che in caso di
omessa integrazione del contraddittorio si determina non l'inam
missibilità dell'appello ma l'estinzione del giudizio, sempre che
tale estinzione venga tempestivamente eccepita, altrimenti il pro cesso prosegue tra le parti originarie (Cass. 10 marzo 1980, n.
1594, id., Rep. 1980, voce Procedimento civile, n. 229), dato
che la novella del 1950 (1. 14 luglio 1950 n. 581) ha innovato
abrogandola la primitiva dizione dell'art. 307, 2° comma, c.p.c. laddove stabiliva che «l'estinzione è dichiarata con ordinanza, anche d'ufficio» ed ha introdotto il principio che l'estinzione, sebbene operi di diritto, deve essere eccepita dalla parte.
L'impugnata sentenza, sul rilievo che l'eccezione di estinzio
ne del giudizio non era stata sollevata, erroneamente ha escluso
l'applicazione dell'art. 307 c.p.c., dichiarando inammissibile l'ap
pello in base all'art. 331 c.p.c., senza considerare che, in man
canza dell'eccezione di estinzione, il giudizio prosegue per con
cludersi con una decisione che è di mero rito (Cass. 10 gennaio
1998, n. 157, id., Rep. 1998, voce cit., n. 416; 17 giugno 1994, n. 5858, id., Rep. 1994, voce cit., n. 208; 28 gennaio 1994, n. 878, id., Rep. 1995, voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 26), ovvero di merito (Cass. 10 marzo 1994, n. 2322, ibid., voce Procedimento civile, n. 297), ma mai di inammissibilità dell'appello.
Invero se il soggetto processuale interessato a chiedere la de
claratoria di estinzione del giudizio non si avvale del potere di
spositivo introdotto in materia dalla novella del 1950, insorge il dovere del giudice (di primo grado o di appello) di emettere la sentenza definitiva.
Nella particolare ipotesi, che qui interessa, di omessa integra zione del contraddittorio si pone, tuttavia, il problema di conci
liare tale potere con il principio (ribadito per il secondo grado dall'art. 354 c.p.c.), che impone la presenza in giudizio di tutti
1 litisconsorti necessari, onde evitare una sentenza inutiliter data.
Con la citata decisione (Cass. 28 gennaio 1994, n. 878) si
è configurata una pronuncia processuale di declaratoria di uffi
cio («pronunciando sul ricorso») di improseguibilità del proces
so, che introduce da un lato una sanzione, strettamente proces suale (e non molto dissimile dalla pronuncia di estinzione, visto
Il Foro Italiano — 2000.
che è riferita alla fase processuale in corso), che non è prevista con riguardo alla fattispecie in esame, e, dall'altro, ignora l'im
plicita, ma determinante, volontà della parte interessata a vede
re decisa la causa allo stato degli atti.
Poiché la definitiva incompletezza del contraddittorio rende
la domanda improponibile, emanando una pronuncia in tal sen
so il giudice supera l'apparente situazione di stallo determinata
dall'impossibilità di concedere un nuovo termine — essendo pe rentorio quello previsto dall'art. 102 c.p.c. — e dalla mancata
eccezione, a meno che non rilevi, decidendole, pregiudiziali e
assorbenti questioni. Nel caso in esame dalla sentenza impugnata, in quanto con
la declaratoria d'inammissibilità ex art. 331 c.p.c. ha considera
to la sola fase introduttiva del giudizio, non si ricavano elemen
ti sufficienti per decidere la causa sotto gli indicati profili, ed
è, quindi, esclusa l'applicabilità dell'art. 384, nuovo testo, c.p.c.
Pertanto, l'impugnata sentenza va cassata con rinvio ad altra
sezione della stessa Corte d'appello di Roma, la quale — qua
lunque sia per essere la sua decisione — si atterrà ai suesposti
principi.
I
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 2 aprile 1999, n. 117
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 14 aprile 1999, n. 15); Pres. Granata, Est. Ruperto; Maietta c. Ispettorato provin ciale del lavoro di Avellino. Ord. Pret. Avellino 2 gennaio 1998 (G.U., P s.s., n. 14 del 1998).
Spese giudiziali in materia civile — Modifiche al sistema penale — Costituzione in giudizio della pubblica amministrazione a
mezzo di propri funzionari — Condanna del ricorrente soc
combente — Esclusione — Questione manifestamente infon
data di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 97; cod. proc. civ., art. 91; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema
penale, art. 23).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale della l. 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al siste ma penale) e dell'art. 91 c.p.c., nella parte in cui non consen
tono al pretore di condannare il ricorrente, nel caso di soc
combenza, al pagamento delle spese di lite in favore dell'am
ministrazione resistente costituitasi a mezzo di propri funzio nari, in riferimento agli art. 3, 24 e 97 Cost. (1)
(1) Il regime delle spese nel giudizio di opposizione all'ordinanza
ingiunzione di cui agli art. 22 e 23 1. 24 novembre 1981 n. 689 è così
regolato: il procedimento costituisce ordinario giudizio di cognizione e, come tale, soggiace alle regole di cui agli art. 91 ss. c.p.c. in punto di spese (v. Cass. 6 aprile 1992, n. 4212, Foro it., Rep. 1992, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, n. 92; 28 novembre 1987, n. 8855, id., Rep. 1988, voce cit., n. 113, e Giust. civ., 1988, I, 986); tuttavia, se le stesse hanno ad oggetto i diritti e gli onorari di avvocato, la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese proces suali presuppone inevitabilmente che la parte vittoriosa sia stata in giu dizio con il patrocinio di un legale. Così: a) se l'autorità amministrativa sta in giudizio personalmente, o avvalendosi di un proprio funzionario
appositamente delegato, il giudice non può in questi casi, per l'assenza di un difensore, liquidare le spese alla pubblica amministrazione ancor ché parte vittoriosa (v. Cass. 6 maggio 1996, n. 4213, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 144; 2 giugno 1995, n. 6232, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 84; 14 febbraio 1994, n. 1445, id., Rep. 1994, voce cit., n.
119, e Arch, circolaz., 1994, 619; 13 agosto 1993, n. 8678, Foro it.. Rep. 1993, voce cit., n. 84; 20 maggio 1987, n. 4610, id., Rep. 1987, voce cit., n. 82. In senso contrario, solo Pret. Torino 13 luglio 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 88, e Arch, civ., 1992, 312, e Riv. critica dir. lav., 1992, 294); b) viceversa, se la pubblica amministrazione si
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