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ordinanza 2 dicembre 2002; Pres. ed est. Di Paola; imp. De MatteisSource: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 205/206-207/208Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198302 .
Accessed: 25/06/2014 03:53
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GIURISPRUDENZA PENALE
preso atto che l'interessato risulta mantenere una condotta re
golare (cfr. relazione redatta dagli educatori del carcere di Pisa
in data 12 febbraio 2003); visto il parere favorevole espresso dal direttore; rilevato tuttavia che ai sensi dell'art. 53 bis ord. penit. il tem
po trascorso dal detenuto in permesso è computato ad ogni ef
fetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, e che, pertanto, il permesso dev'essere considerato una forma di
esecuzione della pena attuabile esclusivamente nel territorio
dello Stato italiano, essendo possibile l'esecuzione all'estero di
sentenze penali italiane solo nei casi di cui all'art. 742 c.p.p.; ritenuto altresì che, alla luce di quanto dispone l'art. 30 ter,
3° comma, ord. penit., la fruizione del beneficio premiale debba
essere seguita dagli educatori e dagli assistenti sociali in colla
borazione con gli operatori sociali del territorio, cosa che evi
dentemente non sarebbe possibile là dove il detenuto godesse del permesso all'estero (cfr., per un caso analogo relativo all'af
fidamento in prova al servizio sociale, Cass., sez. I, 3 febbraio
1988, Virga, Foro it., Rep. 1989, voce Ordinamento penitenzia rio, n. 61 );
rilevato, infine, che il diritto di Sofri Adriano a partecipare all'udienza in questione potrà essere adeguatamente «tutelato», ove il medesimo avanzi apposita richiesta in tal senso alle com
petenti autorità, mediante la sua traduzione all'estero.
Per questi motivi, dichiara inammissibile l'istanza di che
trattasi.
TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 2 dicembre 2002: Pres. ed
est. Di Paola; imp. De Matteis.
TRIBUNALE DI BARI;
Difensore e difesa penale —
Investigazioni difensive — Ac
cesso ai luoghi — Partecipazione personale dell'imputato o indagato — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art. 391
sexies). Difensore e difesa penale
— Investigazioni difensive — Ac
cesso ai luoghi — Partecipazione personale dell'imputato o indagato — Diniego illegittimo — Conseguenze (Cod.
proc. pen., art. 178, 391 sexies).
Non sussistendo divieti normativi, deve ritenersi in facoltà del
l'imputato o del sottoposto alle indagini presenziare perso nalmente all'attività di investigazione difensiva consistente
nell'accesso ai luoghi allo scopo di consentire la ricerca e
l'individuazione degli elementi di prova favorevoli. (1)
L'illegittimo diniego della facoltà dell'imputato o dell'inda
gato dì partecipare all'espletamento dell'atto di investiga zione difensiva consistente in un accesso a luoghi genera una
nullità, per violazione del diritto di difesa, riconducibile al
l'art. 178, 1° comma, lett. c), c.p.p.: tale nullità travolge, in
via derivata, il successivo decreto che dispone il giudizio, e
comporta la regressione del procedimento alla fase in cui è
intervenuta la nullità. (2)
(1-2) Non constano precedenti editi in termini. Il principio di cui alla
prima massima fa leva sulla tassatività della previsione dell'art. 391
bis, 8° comma, c.p.p., ove solo con riferimento all'assunzione di infor mazioni si fa divieto di assistere al compimento dell'atto al sottoposto alle indagini, alla persona offesa dal reato e alle altre parti private. Cir
ca la ratio di tale norma, cfr., per tutti, Frigo, L'attività difensiva da
fonti dichiarative, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore a
cura di Filippi, Padova, 2001, 200; Gualtieri, Le investigazioni del di
fensore, Padova, 2002, 157 ss.; Parlato, Le nuove disposizioni in ma
teria di indagine difensiva, Torino, 2001. 69; Triggiani, Le investiga zioni difensive, Milano, 2002, 304 ss.; in ordine alla tassatività della
fattispecie e alla natura di lex imperfecta propria della previsione nor
mativa, sfornita di espresso apparato sanzionatorio per il caso di inos
servanza, cfr.. in vario senso, Bernardi, Le attività di indagine, in Dir.
pen. e proc., 2001, 212; Bricchetti-Randazzo, Le indagini della difesa
dopo la I. 7 dicembre 2000 n. 397, Milano, 2001. 101; Dì Chiara, Le
linee prospettiche del «difendersi ricercando»: luci e ombre delle
«nuove» investigazioni difensive, in Legislazione pen., 2002, 14.
Il Foro Italiano — 2003.
Premesso che nel corso dell'udienza preliminare la difesa
dell'imputato De Matteis aveva rivolto istanza all'ufficio del
giudice dell'udienza preliminare affinché fosse autorizzato,
presso gli uffici dell'Inpdap di Bari (ente che lo aveva negato), l'accesso del consulente tecnico nominato dalla difesa dell'im
putato, dei difensori dell'imputato e dell'imputato stesso per l'esecuzione di rilievi delle cose esistenti al primo ed al secondo
piano degli uffici dell'Inpdap siti in via Oberdan in Bari (in
particolare, per visionare i corpi illuminati installati in quei luo
ghi); che il giudice aveva consentito l'accesso ai detti luoghi,
escludendo dai soggetti autorizzati l'imputato, in ragione della
mancanza di indicazione espressa nel corpo del titolo VI bis del
codice di rito della persona dell'indagato come soggetto auto
rizzato a presenziare alle attività investigative difensive; rilevato che l'eccezione di nullità del provvedimento pronun
ciato dal g.u.p. presso il Tribunale di Bari in data 22 dicembre
2001, sollevata dalla difesa nell'udienza preliminare del 18
marzo 2002 e reiterata in questa sede, è fondata, in quanto il di
vieto di accesso all'imputato è stato motivato in relazione ad un
profilo che non appare indicativo né di una prescrizione cogente insita nell'ambito delle disposizioni contenute nel titolo VI bis
c.p.p., né di una volontà legislativa desumibile attraverso l'in
terpretazione sistematica delle disposizioni della 1. 397/00, che
ha introdotto le norme che disciplinano l'istituto delle indagini difensive;
considerato, al riguardo, che in relazione al dato testuale delle
norme più volte richiamate, deve osservarsi come il legislatore abbia previsto espressamente solo il divieto per l'indagato (così come per la persona offesa e per le altre parti private) di assiste
re all'attività di assunzione delle informazioni disciplinata dal
l'art. 391 bis c.p.p.; che tale tecnica legislativa depone nel senso
di ritenere logicamente tutelata la posizione dell'indagato in
tutte le ipotesi diverse da quella ora ricordata, tutela che evi
dentemente si realizza attraverso il diritto dell'indagato di esse
re presente alle differenti attività investigative svolte con la fi
nalità di ricercare mezzi di prova a suo favore; che la norma in
cui è regolata espressamente l'attività investigativa indicata
dalla difesa del De Matteis (ossia, l'accesso ai luoghi finalizzato
all'esecuzione di attività di visione di luoghi e cose o di descri
zione e rilevazione tecnica degli stessi oggetti) non prevede li
mitazione alcuna alla presenza dell'indagato nello svolgimento di tale attività, limitazione che invece è posta in relazione ai
soggetti abilitati alla redazione del verbale delle operazioni svolte (difensore, suo sostituto, ausiliari indicati nell'art. 391 bis
c.p.p.), ed inoltre contiene la previsione della possibile presenza di altri soggetti nel corso delle operazioni (soggetti che devono
esser indicati nel detto verbale e che devono sottoscrivere il
verbale stesso); rilevato, per altro verso, che l'interpretazione logico-sistema
tica delle norme che disciplinano l'attività investigativa pone in
rilievo da un lato l'assoluta preminenza del valore attribuito dal
legislatore al diritto costituzionalmente garantito per l'indagato di ricercare ed assumere gli elementi di prova idonei a dimo
strare la propria innocenza, dall'altro la necessità di contempe rare tale diritto con differenti posizioni soggettive di rango co
stituzionale equivalente (quali ad esempio l'inviolabilità del
domicilio, la tutela della riservatezza); che, conseguentemente, la concreta realizzazione dell'interesse costituzionalmente, ga rantito all'esercizio del diritto di difesa da parte dell'indagato
richiede, tra le altre condizioni, quella della partecipazione di
retta dell'indagato alle attività di investigazione difensive, per consentire la ricerca e l'individuazione degli elementi di prova favorevoli con l'ausilio determinante ed imprescindibile del
soggetto che può essere depositario di conoscenze esclusive;
che il pericolo di compromissione di altri diritti costituzional
mente protetti, è assicurato attraverso specifiche previsioni di
rette a regolare le modalità di esercizio del diritto alle indagini difensive (si pensi, oltre al richiamato divieto di partecipazione
dell'indagato all'assunzione delle informazioni da parte del
proprio difensore, evidentemente diretto a garantire la genuinità
dell'acquisizione probatoria, alle disposizioni che limitano in
modo tassativo l'accesso presso domicili privati contenute nel
l'art. 391 septies c.p.p.); che nella fattispecie sottoposta alla va
lutazione del collegio non emergono condizioni tali da far ri
tenere che la presenza dell'indagato nel corso dell'accesso pres
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PARTE SECONDA
so luoghi quali gli uffici dell'ente pubblico su indicato, potesse
porre in pericolo o violare posizioni o diritti di rango co
stituzionale equivalente a quello concernente il diritto di difesa;
ritenuto, pertanto, che la mancata partecipazione dell'impu tato alle operazioni concernenti l'attività difensiva di investiga zione integra la violazione del disposto dell'art. 178, 1° comma,
lett. c), c.p.p., violazione che deve ritenersi effettivamente pre
giudicante l'esercizio del diritto di difesa, poiché oggetto del
l'attività investigativa era quello relativo all'individuazione e
descrizione delle cose che costituirono oggetto dell'attività ma
teriale di esecuzione di lavori, in relazione ai quali secondo la
prospettazione accusatoria l'imputato De Matteis avrebbe fal
samente documentato in atti pubblici l'avvenuta esecuzione ed
il relativo collaudo in epoca diversa da quella storicamente av
venuta;
considerato, in relazione a quest'ultimo profilo, che l'esecu
zione dei rilievi indicati dalla difesa dell'imputato nel corso
della fase dell'udienza preliminare avrebbe potuto in astratto
consentire all'imputato di fornire al giudice elementi di fatto
(natura e qualità dei materiali impiegati, caratteristiche delle ap
parecchiature installate, modalità di esecuzione delle attività di
installazione) idonei a sostenere la tesi difensiva, volta a dimo
strare l'avvenuta esecuzione dei lavori di appalto nell'epoca at
testata negli atti pubblici sottoscritti dall'imputato De Matteis;
ritenuto, infine, quanto alle conseguenze della declaratoria di
nullità del provvedimento pronunciato dal giudice per l'udienza
preliminare, che la nullità di tale provvedimento comporta la
nullità degli atti successivi di cui la difesa chiede la relativa de
claratoria d'invalidità (decreto di rinvio a giudizio), atteso che
risulta il rapporto di dipendenza tra il provvedimento che deve
essere dichiarato nullo e il decreto di rinvio a giudizio; pur rico
noscendosi che non si tratta di nullità di un atto tipicamente
propulsivo del procedimento, risulta chiaro che il risultato del
l'attività investigativa che si sarebbe dovuta svolgere, una volta
a disposizione della difesa, avrebbe potuto influire sulla pro nuncia del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, inducendo a differenti valutazioni l'organo giudicante, così co
me avrebbe potuto essere considerato dalla difesa dell'attuale
imputato per richiedere riti alternativi che solo in quella sede
potevano essere ammessi;
considerato, pertanto, che in ragione della pronuncia di nullità
del provvedimento emesso dal giudice per l'udienza preliminare e dell'invalidità degli atti conseguenti, opera la regressione del
procedimento nella fase e nel grado in cui è intervenuta la nul
lità, non trovando applicazione la disciplina dell'art. 185, 4°
comma, c.p.p., che concerne la dichiarazione di nullità relativa
alle prove, dal momento che l'attività investigativa da svolgersi nel corso delle indagini preliminari è finalizzata alla ricerca
della prova, che solo nel dibattimento può legittimamente for
marsi; in ogni caso, nella fattispecie sottoposta alla valutazione
del collegio non risulta la violazione di norma che disciplina le
modalità di assunzione di una prova in concreto assunta o
espletata, bensì è stata accertata la violazione di una norma che
tutela la partecipazione e l'accesso dell'imputato all'attività di
ricerca della prova, attività che in concreto non è stata per que sto motivo svolta dalla difesa.
Il Foro Italiano — 2003.
I
TRIBUNALE DI PALERMO; decreto 15 maggio 2002; Pres.
ed est. Balsamo; Catalano.
TRIBUNALE DI PALERMO;
Misure di prevenzione —
Appartenenza ad organizzazione mafiosa — Impresa a partecipazione mafiosa — Rilevanza — Fattispecie (L. 31 maggio 1965 n. 575, disposizioni contro
la mafia, art. 1).
Le misure di prevenzione personali e patrimoniali sono appli cabili all'imprenditore titolare di una c.d. impresa a parteci
pazione mafiosa, dal momento che questi è da considerare a
tutti gli effetti un partecipe del reato associativo sanzionato dall'art. 416 bis c.p., il quale incrimina una fattispecie delit
tuosa a forma libera. (1)
II
TRIBUNALE DI PALERMO; decreto 15 maggio 2002; Pres.
ed est. Balsamo; Buscemi.
Misure di prevenzione — Indizi di appartenenza ad orga nizzazione mafiosa — Dichiarazioni rese dai collaboratori
di giustizia al pubblico ministero — Utilizzabilità — Fatti specie (L. 27 dicembre 1956 n. 1423, misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la
pubblica moralità, art. 4; 1. 31 maggio 1965 n. 575, art. 1).
Dal momento che il procedimento volto all'applicazione di mi
sure di prevenzione è costruito in maniera autonoma rispetto all'accertamento processuale della colpevolezza dell'impu tato, in esso sono irrilevanti i limiti stabiliti dalla legge per la
formazione della prova in dibattimento, e sono quindi piena mente utilizzabili per la decisione anche le dichiarazioni rese
dai collaboratori di giustizia al pubblico ministero, sempre che, alla luce del principio del contraddittorio, al proposto sia attribuita la facoltà di contestarne le risultanze. (2)
(1-2) 1. -1 due provvedimenti in epigrafe meritano di essere segnalati perché si sforzano di ricostruire, alla luce dell'evoluzione giurispru denziale in materia, un organico quadro interpretativo in ordine sia al l'ambito di riferibilità della normativa in materia di prevenzione anti
mafia, sia alla tipologia di indizi che possono essere posti a fondamento del provvedimento restrittivo.
Con riferimento alla massima sub 1), il tribunale ha esaminato la va rietà dei moduli organizzativi, enucleati nella prassi applicativa, con cui la criminalità mafiosa si è gradatamente inserita nel tessuto economico
siciliano, distinguendo tra impresa mafiosa, direttamente intestata e ge stita dal mafioso-imprenditore, impresa di proprietà del mafioso, che
opera tramite un prestanome attraverso la scissione tra titolarità formale e titolarità reale, ed impresa a partecipazione mafiosa; in quest'ultima, in particolare, si assiste ad una commistione di elementi, dal momento che un imprenditore indirizza la propria iniziativa in un settore econo mico per perseguire un proprio specifico lucro, ma al tempo stesso uti
lizza, riciclandoli, capitali di provenienza illecita e contribuisce, consape volmente, a rafforzare l'ingerenza di Cosa nostra nel mercato, ricevendo in cambio una c.d. protezione attiva, che consente alla sua impresa di ot tenere una posizione di forza nel settore economico di riferimento.
Sulla base di questi presupposti, e muovendo dalla premessa che nel caso di specie il proposto sia indiziato di aver partecipato proprio a
quest'ultima tipologia di impresa, il tribunale, al fine di valutare l'ap plicabilità delle chieste misure di prevenzione personali e patrimoniali, fa propri alcuni principi più volte affermati dalla Suprema corte.
Anzitutto, possono considerarsi a tutti gli effetti partecipi dell'asso ciazione mafiosa gli imprenditori che, o perché contitolari dell'impresa, o perché prestanome, contribuiscono ad assicurare un maggiore con trollo delle attività produttive giacché questo costituisce uno scopo per seguito in via prioritaria da Cosa nostra (cfr., citata in motivazione. Cass. 30 gennaio 1990, Abbattista, Foro it.. Rep. 1991, voce Ordine
pubblico (reati), n. 28, e, per esteso, Cass, pen., 1990, I, 1709, con nota di De Liguori), anche nel caso in cui la molla che ha spinto l'impren ditore ad avvicinarsi al sodalizio criminale sia rappresentata dall'esi
genza di sfuggire alle pressioni esercitate dalla malavita locale (così, citata nel provvedimento, Cass. 25 agosto 1994, Amato, inedita); più precisamente, il discrimine tra la partecipazione dell'imprenditore col luso o strumentale al reato associativo ed il concorso esterno nel mede simo reato viene individuato nell'effettiva compenetrazione al sodalizio criminale, che integra gli estremi della partecipazione, da un lato, e nel fatto di avere esclusivamente fornito consapevolmente un contributo tale da rafforzare l'associazione nel perseguimento delle sue finalità,
pur non condividendole pienamente, che rileverebbe invece come con corso esterno, dall'altro (cfr., citata in motivazione, Cass. 5 gennaio
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