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ordinanza 20 marzo 1985; Pres. Rispoli, Rel. Carnevali; imp. Sparapano e altro

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ordinanza 20 marzo 1985; Pres. Rispoli, Rel. Carnevali; imp. Sparapano e altro Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 491/492-495/496 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180688 . Accessed: 28/06/2014 10:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.23 on Sat, 28 Jun 2014 10:22:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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ordinanza 20 marzo 1985; Pres. Rispoli, Rel. Carnevali; imp. Sparapano e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 491/492-495/496Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180688 .

Accessed: 28/06/2014 10:22

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PARTE SECONDA

re in considerazione quest'ultima esigenza, pertanto prescindendo dalla forza e dalle finalità eventualmente perseguite dai vari

collegi ed ordini professionali. Alla stregua di quanto precede deve, quindi, ravvisarsi nella

condotta denunciata l'elemento oggettivo della fattispecie incrimi natrice dell'art. 348 c.p. Analogo discorso vale per l'elemento

psicologico, riscontrabile nell'atteggiamento dell'imputato, che ha voluto svolgere e svolge tutt'ora attività di consulenza ed assi stenza tributaria.

In contrario avviso non può accogliersi che la tesi della erronea interpretazione del precetto penale (tale dovendosi consi derare la disciplina integrante una norma penale in bianco come

quella dell'art. 348 c.p.: cfr. Cass., sez. VI, 28 gennaio 1978, n. 854) riverberantesi sulla conoscibilità dell'antigiuridicità, prospet tazione in sé tecnicamente ineccepibile ma non coincidente col caso di specie.

Invero è noto che dottrina e giurisprudenza più avanzate danno una lettura evolutiva dall'art. 27, 1° comma Cost., giusta mente ravvisandovi la fonte del principio di soggettività e non

semplicemente de! divieto di responsabilità penale per fatto altrui

(la qual cosa sarebbe assai banale), principio che, consistendo nell'affermazione della necessaria attribuibilità del fatto alla sfera

psichica del suo autore, presuppone la conoscibilità del reato, id est del giudizio negativo di relazione (antigiuridicità) che lo

contraddistingue: conoscibilità che si armonizza con l'art. 5 c.p. rettamente restringendo quest'ultimo alla sola ignoranza inescusa bile del precetto penale (tenuto conto dello iato sussistente fra sistema sociale di valori ed ordinamento giuridico).

In merito la giurisprudenza ha da tempo considerato inescusa bile l'ignoranza del reo in presenza di conoscibilità (sostanziale, non formale — come invece sostenuto da una sentenza interpre tativa di rigetto della Corte cost. 25 marzo 1975, n. 74, id., 1975, I, 1323 — grazie alla semplice pubblicazione della norma sulla

G.U., cosa del tutto irrilevante a questi fini perché la legge non

pubblicata, prima ancora che inconoscibile e quindi escludente la

colpevolezza, non è addirittura in vigore) dell'antigiuridicità o, almeno, di coscienza dell'illiceità sociale della condotta, cosi combinando insieme i due possibili aspetti del momento cognitivo del dolo.

Ma nella fattispecie, pur potendosi ipotizzare il difetto della

seconda, non è riscontrabile l'assenza della prima nel comporta mento dell'imputato, che ben poteva rendersi conto dei limiti che il legislatore aveva fissato per l'attività di cui si controverte. In

proposito è opportuno separare le due diverse fonti cui il Matteoli si è riferito per giustificare l'attività svolta: l'art. 2, 2°

comma, 1. 12/79 e l'art. 30, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636.

Riguardo alla prima non è ammissibile che una persona avvez

za — per motivi professionali — al contatto con l'interpretazione della norma non fosse in grado di desumere l'esatta portata che, come si è detto, ne esclude nettamente l'estensione alla consulen

za tributaria, poiché, è bene ribadirlo, gli adempimenti per l'i.v.a. — ad es. — non sono minimamente conseguenziali al pagamento delle retribuzioni o a qualsiasi altra attività di gestione del

personale, essendone svincolato il presupposto dell'i.v.a. (cessioni di beni, prestazioni di servizi ed importazioni).

In ordine alla seconda — cui l'imputato ha fatto espresso riferimento per ritenersi abilitato — anche a voler dubitare della

concreta conoscibilità dell'antigiuridicità del fatto a causa dell'in

felice novella apportata al citato art. 30 dall'art. 17 d.p.r. 3

novembre 1981 n. 739 (norma ambigua non tanto nella formula

zione quanto nei presumibili motivi che ne sono stati all'origine), tale rilievo perde efficacia appena si ricordi che il Matteoli

svolgeva già — almeno sin dal 1981 — attività di consulenza

tributaria, mentre l'art. 17 d.p.r. 739/81 (che, a dire del giudicabi

le, l'avrebbe legittimato a tale esercizio) è entrato in vigore solo

il 1° gennaio 1982 (v. art. 28 d.p.r. ult. cit.).

Dunque viene ad essere anticipato ad epoca non sospetta il

momento cognitivo del dolo da parte del prevenuto, di cui va

affermata la responsabilità in ordine al reato ascrittogli in epigra fe.

Quoad poenam; visti i criteri dell'art. 133 c.p. e considerata la

reiterazione della condotta — sia pure non coincidente con la

figura dell'art. 81, cpv., c.p. — già da alcuni anni (si ricordi, al

riguardo, che l'ipotesi dell'art. 348 c.p. — secondo giurisprudenza costante non è a condotta abituale, essendo sufficiente a configu rarla anche un solo atto di esercizio abusivo: cfr. Cass. 13 marzo

1980; 26 febbraio 1976; 1° ottobre 1975, Di Furia, id., Rep.

1976, voce cit., n. 1), si ritiene di disattendere la richiesta del

p.m. d'udienza e di irrogare la pena detentiva in luogo di quella

pecuniaria, sia pure contenendola nel limite di mesi 1.

Conseguono la condanna al pagamento delle spese processuali

nonché, ex art. 30 e 31 c.p., all'interdizione temporanea dall'eser

cizio della professione di consulente del lavoro per la durata di

mesi sei, cosi quantificata da un lato per non renderla eccessiva

mente afflittiva per l'imputato (che non lo meriterebbe, poiché ha

tenuto un corretto comportamento processuale), dall'altro per renderla concretamente avvertibile per sensibilizzare il prevenuto

sull'importanza della questione dibattuta in questa sede.

La mancanza di precedenti penali del Matteoli consiglia di

concedergli i doppi benefici di legge.

CORTE D'APPELLO DI ROMA; ordinanza 20 marzo 1985; Pres.

Rispoli, Rei. Carnevali; imp. iSparapano e altro. CORTE D'APPELLO DI ROMA;

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Componen te del tribunale della libertà e del collegio giudicante

Incompatibilità — Insussistenza (Cod. proc. pen., art. 61,

263 ter).

Non ricorre causa d'incompatibilità nell'ipotesi in cui venga

chiamato a far parte del collegio giudicante di primo grado lo

stesso giudice che, nella qualità di componente del tribunale

della libertà, nello stesso processo penale, abbia partecipato al

riesame di un provvedimento restrittivo della libertà persona le. (1)

(1) I. - La presente ordinanza pone, per la prima volta, la questione della compatibilità, con riferimento all'art. 61 c.p.p., tra la funzione di

membro del collegio giudicante e quella di componente del « tribunale

della libertà » che, nello stesso processo penale, abbia partecipato al

riesame di un provvedimento restrittivo della libertà personale. E invero, le precedenti pronunzie (edite) si erano occupate della

compatibilità tra la funzione di componente del tribunale della libertà

e quella di giudice istruttore nello stesso processo penale. In particola

re, con una prima decisione (sent. 24 novembre 1982, Guzzo, Foro it.,

Rep. 1985, voce Libertà personale dell'imputato, n. 211) la Corte di

cassazione, prendendo in considerazione il caso in cui il membro del

collegio competente per il riesame aveva precedentemente compiuto

singoli atti istruttori diversi dall'emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale, aveva ritenuto che, in tal caso, l'ordinanza con cui si decide sulla richiesta di riesame non è nulla, ma viziata « da semplice irregolarità attinente alla composizione dell'organo, non

rilevante agli effetti penali ». Successivamente, la stessa Cassazione

(sent. 11 gennaio 1984, Liberati, id., Rep. 1984, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, n. 26), valutando il caso del

giudice istruttore che ha emesso il provvedimento restrittivo e che

viene chiamato a far parte del collegio per il riesame, aveva affermato la conformità al nostro sistema processuale dell'ordinanza con cui si

decide sul riesame, in quanto l'ipotesi in questione non rientrerebbe tra le cause d'incompatibilità previste dall'art. 61 c.p.p., che vengono ritenute nella stessa sentenza tassative, conformemente alla costante

giurisprudenza (Cass. 13 gennaio 1983, Mannetti, ibid., n. 27; 29

giugno 1982, Saja, id., Rep. 1983, voce cit.„ n. 24; 23 gennaio 1980, Vecchies, id., Rep. .1980, voce cit., n. 12).

La dottrina, dal canto suo, si è espressa in termini non unanimi.

Cosi, da una parte si è affermato (Giambruno, Davvero regolare il

tribunale della libertà composto col giudice autore del provvedimento da riesaminare?, in Cass, pen., 1984, 2241 s.; Id., Ancora sulla

composizione del tribunale della libertà, id., 1985, 154 s.) che l'art. 61

c.p.p. è applicabile analogicamente, in quanto si tratta di una norma che esprime la generale esigenza dell'imparzialità del giudice, precisan dosi (Tranchina, Il tribunale della libertà tra garantismo e demagogia, in Riv. dir. proc., 1984, 577 s.) che ciò è possibile, sempre che si

voglia intendere la 1. 532/82 come una normativa autenticamente

garantista, che rappresenti « il primo, importante passo verso la

ridefmizione dei ruoli degli organi dell'istruzione in vista della più

completa separazione tra potestà investigativa e potestà decisoria»; ovvero che la norma si possa interpretare estensivamente (v. Fortuna, Tribunale della libertà e problemi di ordinamento giudiziario, in

AA.VV., Tribunale della libertà e garanzie individuali, Bologna, 1983, 312 s.).

Altra dottrina, invece, ha escluso che possa configurarsi incompatibi lità tra la funzione di giudice istruttore e quella di membro del tribunale della libertà nello stesso processo. In questa prospettiva, si è

osservato che, al di là della 1. 532/82, esistono casi simili, come quello del giudice istruttore che ha adottato il provvedimento restrittivo, che viene poi a pronunziarsi sulla richiesta di scarcerazione per mancanza di sufficienti indizi, aggiungendo che, con la richiesta di riesame, non si instaura un vero e proprio procedimento d'impugnazione, e che il riesame viene comunque svolto da un collegio in cui l'incidenza del

singolo giudice è relativa (Lemmo, Luci ed ombre nei primi orienta menti giurisprudenziali sul tribunale della libertà, in AA.VV., Tribuna le della libertà e garanzie individuali, cit., 273 s.). Altri hanno

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Sparano Maurizio e Tocci Mario sono stati rinviati al giudizio del Tribunale di Roma per rispondere, in concorso con altre

persone, dei reati di detenzione, a fine di spaccio, di sostanze

stupefacenti (art. 71, 1° comma, e 74, 1° comma, n. 2, 1. 22

dicembre 1975 n. 685) e ricettazione (art. 648 c.p.); all'udienza del 12 novembre 1984 i due imputati hanno presen

tato istanze di ricusazione nei confronti dei giudici componenti il

collegio giudicante, rilevando che essi, quali componenti la sezio

condiviso l'orientamento giurisprudenziale, asserendo la mera irregolari tà dell'ordinanza con cui il tribunale della libertà decide sul riesame nel caso in cui il giudice istruttore, che ha emesso il provvedimento restrittivo, venga a far parte del collegio previsto dall'art. 263 ter

c.p.p. (Garavelli, Tribunale della libertà e incompatibilità del giudice, in Giur. it., 1985, II, 299 s.).

II. - Il particolare problema, oggetto dell'ordinanza che si riporta, non era sfuggito al legislatore durante il travagliato iter di approva zione della 1. 532/82.

Il d.d.l. n. 1703 (approvato dalla commissione giustizia della camera dei deputati il 17 dicembre 1981) attribuiva la competenza per il riesame ad ogni tribunale. In tal modo, negli uffici giudiziari con scarso organico, facilmente (e, in certi casi, necessariamente) si sarebbe verificata l'identità tra i membri del tribunale della libertà e i

componenti del collegio giudicante di primo grado. La dottrina

(Chiavario, La custodia preventiva nel faticoso e tortuoso cammino delle riforme, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 1308 s.; Coppetta, Primi appunti sul « tribunale della libertà », in Giust. pen., 1982, III, 539 s.) riteneva al riguardo poco soddisfacente la soluzione adottata dal d.d.l. n. 1703. Ci si domandava (Chiavario, op. loc. cit.), appunto, se conveniva privilegiare l'esigenza della diffusione territoriale delle

competenze a scapito di quella della separazione dei ruoli. Passato tale

disegno di legge all'esame del senato, si preferì individuare il giudice competente per il riesame nella corte d'appello, Tornato alla camera dei deputati il testo del disegno di legge cosi modificato, per mediare le diverse istanze si è preferito devolvere la competenza al « tribunale del capoluogo di provincia in cui ha sede l'ufficio dell'autorità che ha emesso il provvedimento » (art. 8 1. 532/82, che ha introdotto l'art. 263 ter c.p.p.).

Va ricordato, inoltre, che il d.d.l. n. 2371, presentato alla camera dai

deputati Rizzo e Napoletano il 19 febbraio 1981, prevedeva espressa mente che il membro del « tribunale della libertà » potesse « partecipa re nello stesso procedimento, senza che sussista incompatibilità, al

giudizio di primo grado o negli ulteriori gradi ovvero al giudizio di rinvio dopo l'annullamento o per revisione » (art. 2, 2° comma). Tale

disposizione, tuttavia, non venne riprodotta nel d.d.l. n. 1703, nel

quale vennero unificati il d.d.1. n. 2371 e il d.d.l. n. 1679 (presentato dal ministro di grazia e giustizia Morlino), cosi che l'attuale testo normativo non contiene alcun riferimento al problema della compatibi lità.

Occorre anche rilevare che, dopo l'approvazione della 1. 532, il

Consiglio superiore della magistratura (Deliberazione del 15 settembre

1982, in Cons. sup. magistratura, 1982, fase. 3, 217), cercando di

contemperare i diversi interessi, ha previsto che « ove l'organico lo consenta ed il prevedibile carico delle nuove attribuzioni lo giustifichi, è opportuno che la materia sia affidata ad una sezione costituita in modo da consentire la formazione di più collegi, senza esclusione di alcuno dei componenti della sezione. Ciò varrà, tra l'altro, a consenti

re, nei limiti del possibile, che a giudicare nel merito non siano i medesimi magistrati che si sono pronunciati sulla materia della 1. 532 del 1982 ».

III. - La dottrina, dal canto suo, ha negato l'incompatibilità tra la

qualità di componente del tribunale della libertà e la qualità di

componente del collegio dibattimentale di primo grado. Cosi alcuni autori (Chiavario, Tribunale della libertà e libertà personale, in

AA.VV., Tribunale della libertà e garanzie individuali, cit., 158 s.; Fortuna, Tribunale della libertà, cit., 311) hanno affermato la compa tibilità facendo riferimento all'assenza, nel testo della legge 532, di alcuna norma relativa a tale problema. Inoltre, si è notato che la decisione del tribunale della libertà e la decisione del collegio dibattimentale di primo grado hanno diverso oggetto e si trovano su

piani diversi, senza che l'una pregiudichi o anticipi l'altra (Di Nanni-Fusco-Vacca, Il tribunale della libertà, Napoli, 1983, 157; Fortuna, op. cit., 311 s.; Lemmo, Luci e ombre nei primi orientamen ti giurisprudenziali, cit., 276 s.). Rileviamo al riguardo che queste ultime considerazioni vengono anche utilizzate dalla Corte d'appello di

Roma con l'ordinanza in epigrafe, al fine di escludere l'incompatibilità. Si deve, inoltre, aggiungere che, pur affermandosi la compatibilità, si è

comunque riconosciuto (Chiavario, op. ult. cit., 158) che, di fatto, « si rischia di porre un presupposto per l'attenuarsi delle normali condizio ni strutturali dell'imparzialità del giudicante » (analogamente v. Fortu

na, op. ult. cit., 3il2, che definisce il caso « piuttosto anomalo »). La problematica sembra essersi ulteriormente acuita con l'art. 19 1.

28 luglio 1984 n. 398, che, nel modificare l'art. 263 bis c.p.p., ha eliminato il limite secondo cui, in precedenza, erano suscettibili di riesame soltanto i mandati o ordini di cattura o di arresto « emessi nel corso dell'istruzione» o «con l'ordinanza di rinvio a giudizio». Il tribunale della libertà vede, quindi, « accresciuta in ambiti sorprenden temente ampi la propria competenza a riesaminare i provvedimenti de

ne del tribunale per il riesame dei provvedimenti restrittivi della

libertà personale, avevano, in data 8 novembre 1983, confermato

l'ordine di cattura emesso a loro carico dal procuratore della

repubblica di Roma il 29 ottobre 1983, nel corso dello stesso

procedimento penale; gli istanti hanno fondato la ricusazione

sulla considerazione che, nella ordinanza di conferma dell'ordine

di cattura, i tre giudici avevano affermato che esistevano a carico

dei due imputati sufficienti indizi di responsabilità ed avevano

liberiate emessi nella fase del giudizio » (Tonini, Le nuove norme sul

processo penale, 2" ed., Padova, 1985, 42). In tal modo, si potrebbe verificare la possibilità che il presidente del tribunale, dopo avere emesso il mandato di cattura nel predibattimento o nel dibattimento, venga a far parte del collegio per il riesame dello stesso provvedimen to, e, successivamente, concorra al formarsi della decisione di primo grado. Si potrebbe avere anche il caso in cui lo stesso tribunale, che ha disposto la cattura con la sentenza di condanna (dopo la scarcera zione per decorrenza dei termini massimi della custodia cautelare), venga a riesaminare, con la stessa composizione, il proprio stesso

provvedimento. La dottrina ha cercato soluzioni volte ad evitare tali inconvenienti.

Cosi alcuni autori (Illuminati, in Legislazione pen., 1985, 225; Id., Modifiche, integrazioni e problemi non risolti della normativa sul tribunale della libertà, in AA.VV., La nuova disciplina della libertà

personale nel processo penale, Padova, 1985, 381 s.) hanno ritenuto inevitabile ricorrere all'interpretazione estensiva dell'art. 61 c.p.p., dovendosi con ciò assicurare una diversa composizione del tribunale della libertà. A tale soluzione, tuttavia, si è obiettato (Marzaduri, Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1986, VI, 780; nota 75) che « l'operazione interpretativa che consente di ricondurre l'ipotesi in esame nell'ambito della disposizione codicistica non pare ridursi ad una mera ridefinizione dei termini in essa contenuti, semmai attraverso

l'argomento a fortiori, rivelandosi piuttosto come una vera e propria estensione analogica della norma ». Quest'ultimo autore ha dubi tato della legittimità costituzionale dell'art. 61 c.p.p., nella parte in cui consente a chi ha pronunziato il provvedimento restrittivo di far

parte del tribunale della libertà, ledendo il diritto dell'imputato ad essere giudicato da un giudice imparziale.

IV. - I complessi problemi di compatibilità, posti dall'istituzione dei

collegi di cui all'art. 263 ter c.p.p., assumono particolare rilievo nel

processo penale militare e in quello minorile. E invero, per quanto concerne il rito penale militare, le carenze di

organico dei tribunali militari rendono difficile (e spesso impossibile) istituire i collegi di cui all'art. 263 ter c.p.p. con giudici diversi da quelli del giudizio principale, cosi che alcuni tribunali (Trib. mil.

Roma, ord. 21 settembre 1982, Foro it., 1982, ili, 536) hanno negato la possibilità d'istituire i collegi di cui all'art. 263 ter c.p.p., affermando che il legislatore del 1982 « ha inteso evitare che i magistrati che si sono pronunciati sulla materia della 1. 532, giudichino poi anche sul merito. La ratio è evidente: evitare che una decisione possa essere influenzata da quella precedente, il che lungi dal giovare, potrebbe essere addirittura pregiudizievole per il detenuto». Altri giudici (Trib. mil. Bari, ord. 8 gennaio 1983, id., 1983, II, 74), movendo da analoghe premesse, hanno ritenuto non manifestamente infondata, con riferimen to agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale della 1. 532, nella parte in cui non prevede l'estensione al processo militare dell'istituto del riesame. Senonché la Corte costituzionale (sent. 22 febbraio 1985, n. 50, id., 1985, I, 968) ha ritenuto infondata tale

questione, affermando l'applicabilità, nel processo penale militare, dell'istituto del riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, dal momento che « il legislatore non ha comminato alcuna

espressa incompatibilità in proposito, e che la situazione non trova peraltro alcun riferimento nelle ipotesi generali previste dall'art. 61 c.p.p.». È evidente che la decisione si pone sul piano dell'opportunità pratica, graduando i diversi interessi e ritenendo di minore consistenza i problemi di compatibilità. Tuttavia, la identità di problemi che si hanno presso i tribunali ordinari (aventi sede nel capoluogo di

provincia) con scarso organico, fa si che tali autorevoli argomentazioni possano essere utilizzate anche per il processo ordinario. E, in tal senso, tale decisione può essere accostata a precedenti pronunzie della Corte di cassazione (v. sent. l'I gennaio 1984 cit.), cosi come all'ordinanza che si riporta.

Di analogo tenore sono le sentenze n. 56 e n. 57 dell'8 marzo 1985 della stessa Corte costituzionale (ibid., 957), con cui vengono affrontati i problemi relativi all'applicabilità dell'istituto del riesame al processo minorile. Con la sentenza n. 56/85, i giudici costituzionali hanno affermato la possibilità di istituire, presso i tribunali per i minorenni, i

collegi di cui all'art. 263 ter c.p.p., notando che non « giova addurre in contrario gli inconvenienti che sul pratico possono nascere dalla

particolare strutturazione dei tribunali per i minorenni, non sempre in

grado di garantire la diversità fra i giudici del riesame e quelli del

giudizio principale». Con la sentenza n. 57/85, viene affermato che la

competenza sull'appello contro le ordinanze che decidono sulla libertà provvisoria dell'imputato, emesse dal tribunale per i minorenni in sede

istruttoria, sia devoluta alla sezione per i minorenni della corte

d'appello, evitando che la competenza venga devoluta allo stesso tribunale (nello stesso senso si era già espressa la giurisprudenza:

Il Foro Italiano — 1986.

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PARTE SECONDA

perciò emesso un irretrattabile giudizio nei confronti degli istanti e della vicenda, pronunziandosi sulla situazione processuale: da tale decisione, secondo gli istanti, era scaturita una situazione

analoga a quella prevista dall'art. 61 c.p.p. Con memoria depositata il 5 febbraio 1985, ai sensi dell'art. 69

c.p.p., i componenti il collegio ricusato hanno osservato che le istanze di ricusazione non avevano alcun fondamento perché il riesame dell'ordine di cattura costituisce un procedimento auto

nomo, avulso da quello principale, ed è destinato a risolvere

questioni dalle quali non dipende l'esito del procedimento princi pale; infatti, il giudizio sui presupposti della custodia cautelare non può essere confuso con quello concernente l'istruttoria ed il rinvio a giudizio e tanto meno con la decisione sulla responsabili tà penale del soggetto. Con la ricordata memoria i giudici suddetti hanno messo in evidenza che le ragioni di incompatibili tà del giudice sono tassativamente indicate dalla legge e non con sentono applicazione analogica.

Il procuratore generale ha chiesto il rigetto delle istanze di ricusazione.

Le istanze suddette, avanzate da Sparapano Maurizio e Tocci

Mario, sono infondate e vanno pertanto rigettate. La corte

osserva in proposito che, secondo gli istanti, con la decisione

sulla legittimità dell'ordine di cattura, si sarebbe determinata una

situazione che, pur non espressamente prevista dalla legge intro

duttiva del « tribunale della libertà », ricadrebbe, per analogia,

nell'ipotesi prevista dall'art. 61 c.p.p. Rileva la corte che l'istituto

della ricusazione non consente per la sua particolare natura e

delicatezza l'applicazione analogica; trattasi, invero, di una nor

ma di carattere eccezionale che consente alle parti di un processo di sottrarsi al giudice naturale e di derogare cosi ad un principio sancito dall'art. 25 Cost. Da una siffatta natura dell'istituto della

ricusazione consegue che le parti non possono invocarne l'appli cazione a casi diversi, anche se analoghi, a quelli previsti

espressamente dalla legge, perché ciò comporterebbe la dilatazio

ne e l'applicazione arbitraria della norma.

La Corte di cassazione, con giudicati ripetuti e costanti, ha

insegnato che la dizione dell'art. 61 c.p.p. non consente una

interpretazione estensiva sino a comprendere tutti i casi di

concorso, anche minimo o indiretto, nei riguardi di qualsiasi

soggetto che abbia, in un modo o in un altro, esplicato mansioni

o compiuto atti istruttori che abbiano potuto interferire in

qualche modo nella vicenda processuale. Ne consegue che nel

caso di atto istruttorio compiuto dal giudice istruttore — prose

gue la Suprema corte — e consistente nell'emissione del mandato

di cattura nei confronti dell'imputato, non si verifica alcuna

incompatibilità dello stesso giudice a partecipare al processo a

carico dell'imputato medesimo, stante la irrilevanza delle pregres se funzioni esplicate.

La corte aggiunge, tuttavia, che la affermata analogia con il

disposto dall'art. 61 c.p.p., nel caso di specie, non sussiste. Come

esattamente osservato dai giudici del tribunale che sono stati

ricusati, la decisione sulla legittimità dell'ordine di cattura si

fonda su requisiti del tutto diversi, per natura e forza probatoria,

rispetto a quelli che sono richiesti per il rinvio a giudizio o per l'affermazione della responsabilità penale. Infatti la emissione del

mandato di cattura presuppone la esistenza di « sufficienti indizi

di colpevolezza » (art. 252 c.p.p.), che, pur nella presunzione

Cass. 16 novembre 1982, Feratovic, id., 1982, II, 521 s.; 14 gennaio 1983, Radulovi, id., Rep. 1983, voce Tribunale minorenni, n. 19; 24

febbraio .1983, Stoyanovic, ibid., voce Libertà personale dell'imputalo, n. 143) con i conseguenti problemi di compatibilità.

Le tre citate sentenze della Corte costituzionale, pur ritenendo

prevalente l'esigenza di estendere al processo penale militare e a quello minorile la garanzia del riesame rispetto ai problemi di compatibilità,

contengono tuttavia analoghe affermazioni c.d. prescrittive, per evitare la frequente identità tra i membri del tribunale della libertà e i

giudici del processo principale, auspicando « l'adozione di misure

organizzative veramente idonee e di altrettanto opportuni adeguamenti legislativi. Soprattutto la disciplina delle cause d'incompatibilità, ferma

alle scelte del 1930, sarebbe da riconsiderare a fondo » (sent. n.

56/85). In conclusione, il discorso relativo ai problemi di compatibilità

posti dall'istituzione dei collegi di cui all'art. 263 ter c.p.p., lungi dall'essere stato risolto con queste tre autorevoli decisioni, sembra

essere appena iniziato, viste le istanze fatte dalla Corte costituzionale con queste sentenze, dalle quali emergono perplessità sulla conformità della situazione alla volontà costituzionale {su questa problematica, cfr., in dottrina, Felicetti, Tribunale della libertà, tribunali per i minorenni e

tribunali militari, in Cass, pen., 1985, 1316 s.; Messina, Tribunali

militari e tribunali della libertà, in Foro it., 1985, I, 968 s.; Sirotto,

L'esperibilità del « riesame » « de liberiate » nei procedimenti penali militari e minorili in due pronunce della Corte costituzionale, in

Legislazione pen., 1985, 479 s.). [I. Giacona]

della innocenza dell'imputato, consentono, attraverso la presenza dello stesso nel processo, una efficiente amministrazione della

giustizia, assicurando una certa garanzia contro l'inquinamento della prova. La decisione sulla emissione del mandato di cattura

o sulla sua legittimità si pone pertanto come provvedimento autonomo che obbedisce a criteri di valutazione indipendenti,

quanto a presupposti e ad efficacia probante dei mezzi utilizzati,

rispetto al rinvio a giudizio e ad altre decisioni concernenti il

merito del processo. È pertanto infondata anche la prospettata analogia della ipotesi

di cui all'art. 61 c.p.p., rispetto a quella determinatasi nel proceso a carico degli istanti.

TRIBUNALE DI VASTO; sentenza 3 dicembre 1985; Pres.

Cassano, Est. Didone; imp. Valentini.

TRIBUNALE DI VASTO;

Sottrazione di cose pignorate o sequestrate e violazione colposa dei doveri di custodia — Sottrazione di cose pignorate per

recupero spese di giustizia — Reato configurabile — Fattispe cie (Cod. pen., art. 334, 338).

Nell'ipotesi di sottrazione di cose pignorate ad istanza del cancel

liere di una pretura per il recupero delle spese di giustizia, è

configurabile il reato di cui all'art. 388, 4° comma, c.p. e non

quello previsto dall'art. 334, in quanto quest'ultima fattispecie

espressamente si riferisce alle ipotesi di sottrazione o danneg

giamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di

un procedimento penale o amministrativo ed una sua applica zione alla diversa ipotesi del pignoramento eseguito ad istanza

dell'autorità amministrativa concretizzerebbe una inammissibile

interpretazione estensiva in aperta violazione del principio di

legalità (nella specie, l'imputato è stato prosciolto per difetto di

querela). (1)

Fatto e diritto. — A seguito di rapporto giudiziario della

squadra di polizia giudiziaria dei carabinieri di Vasto in data 7

marzo 1984 Valentini Domenico veniva tratto a giudizio dal

Pretore di Vasto per rispondere del reato di cui all'art. 334, 1° e

2° comma, c.p. per avere sottratto l'autovettura Mercedes 240 D

tg. OH/165548 al pignoramento eseguito con verbale in data 22

giugno 1982 ad istanza del cancelliere della Pretura di Vasto per il recupero delle spese di giustizia, ai sensi dell'art. 221 della

tariffa penale. Con sentenza in data 18 gennaio 1985 il cennato pretore

dichiarava il Valentini colpevole del reato ascrittogli e lo con

dannava alla pena di mesi due di reclusione e lire 100.000 di

multa, oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo il

beneficio della sospensione condizionale della pena. Avverso tale sentenza l'imputato interponeva rituale e tempe

stivo appello chiedendo la derubricazione del reato ascrittogli in

quello di cui all'art. 388 c.p. con conseguente proscioglimento per difetto di querela. In subordine chiedeva di essere assolto dal

l'imputazione ascrittagli con formula ampia. All'odierno dibattimento, il p.m. e la difesa, in esito alla

discussione, hanno concluso come in atti.

Osserva il tribunale che il primo motivo del gravame interpo sto dal Valentini è fondato. Infatti, il primo giudice nel ritenere

che la condotta posta in essere dal prevenuto integrasse la

fattispecie criminosa di cui all'art. 334 c.p. si è adeguata pedisse

quamente alla pronuncia resa dalla Suprema corte con sent. n.

3131 del 9 febbraio 1982, Macaluso (Foro it., Rep. 1982, voce

(1) Nello stesso senso Pret. Pesaro 28 settembre 1983, Arch, pen., 1984, 580, con nota adesiva di Del Tufo, Sottrazione di cose

sottoposte a pignoramento su istanza della pubblica amministrazione:

quale la norma incrìminatrice?, dove si sottolinea come in una

interpretazione estensiva dell'art. 334 c.p. sarebbe insita una violazione del principio di tipicità del fatto; considerazione ripresa in motivazio ne dalla sentenza in epigrafe.

In senso contrario Cass. 9 febbraio 1982, Macaluso, Foro it., Rep. 1982, voce Sottrazione di cose pignorate, n. 6 e in Cass, pen., 1982, 509, con nota critica di Concas, La rilevanza penale della sottrazione di cose pignorate ad istanza dell'autorità amministrativa dopo la

riforma degli art. 334 e 388 c.p.; Pret. Legnano 19 aprile 1982, Ciscato, e 24 gennaio 1983, Sciccati, inedite.

Più in generale, sulle fattispecie di cui agli art. 334 e 388 c.p. cfr.

Venturati, Aspetti della tutela penale del processo nella nuova

disciplina degli art. 334 e 388 c.p., Padova, 1984.

Il Foro Italiano — 1986.

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