ordinanza 21 luglio 1983; Pres. Coco, Rel. Maggi; imp. BerettaSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 433/434-435/436Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175256 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ora non vi è dubbio che è esattamente come se noi ci
trovassimo di fronte a tanti articoli di questo tipo e che se l'art. 306 c.p. adotta invece una formula « sintetica » (non « generica ») è solo per un'ovvia ragione di comodità, che, però, non sposta di
una virgola la sostanza della norma.
Se questo è vero, noi oggi ci troviamo a dover decidere se
l'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine
democratico sia applicabile a quell'art. 306 che prevede la
costituzione di banda armata al fine di promuovere l'insurrezione
armata contro i poteri dello Stato e la guerra civile. Laddove, cer
to, non vi è più dubbio che i due reati-fine siano elemento costitu
tivo, e non accidentale, di quel reato di banda armata. Ciò è tanto
vero che, venendo meno questo fine, cade il reato stesso di banda
armata, come ha messo in rilievo la sentenza della Corte d'assise
d'appello di Genova, cui già si è fatto cenno.
11 ragionamento della Cassazione inoltre si fonda su una
interpretazione in tema di concorso apparente di norme, che non
pare accettabile. Recita, come è noto, l'art. 15 c.p.: « Quando più
leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale
regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge
speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito ».
La Cassazione, sia nell'ammettere l'applicabilità dell'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione alla banda armata, sia
nell'ammettere il concorso tra banda armata e associazione sov
versiva, dimostra di interpretare il principio di specialità come
operante soltanto tra norme in astratto. Il principio di specialità,
cioè, entrebbe in gioco solo tra norme perfettamente concentri
che, una delle quali contenga sempre e necessariamente, tutti gli elementi dell'altra e, inoltre, un quid pluris.
Ma se questo fosse vero, ben avrebbe potuto il legislatore limitarsi ad affermare che « la legge o la disposizione di legge
speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale », senza far precedere tale affermazione dall'inciso « quando più
leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale
regolano la stessa materia », premettendo una proposizione che
sarebbe totalmente pleonastica, se il principio in esame riguardas se soltanto il rapporto tra norme.
La verità, intravista da tempo dalla dottrina e accolta anche
dalla Cassazione, sez. VI, nella sentenza 27 gennaio 1975, Vincon
(id., 1976, II, 56), è che l'espressione «stessa materia» sta a
significare come il principio di specialità operi non solo nei
rapporti fra un fatto e più figure criminose, l'una delle quali
rientra necessariamente e sempre, in tutti i suoi elementi costitu
tivi, nell'altra, ma anche quando un medesimo fatto concreto è
riconducibile, in tutti i suoi elementi, ad entrambe le figure, pur
se tra le medesime, in astratto, non sussiste una relazione del
tipo: genere-specie.
È stato, inoltre, giustamente rilevato che il principio di specia
lità, così inteso, ha un raggio di azione che non si limita ai
rapporti tra norme incriminatrici, ma si estende anche a quelli
tra circostanze del reato, cause di non punibilità e cause di
estinzione del reato stesso. Solo cosi si attua nel nostro ordina
mento quel ne bis in idem sostanziale che è principio di civiltà e
contiene la prescrizione nei limiti di una effettiva giustizia. Una
giustizia che non può applicare allo stesso fatto una seconda
sanzione, quando già ne ha irrogata una, in base ad una norma
che, con la sua valutazione, ha già interamente esaurito il
disvalore giuridico di quel fatto. Ciò non è affatto in contraddi
zione con il principio del concorso formale di cui all'art. 81 c.p.,
intendendosi, ovviamente, il « medesimo fatto concreto » non nel
senso di condotta naturalistica, ma in quello di condotta tipica di
una certa ipotesi criminosa.
Se ciò è vero, in base al principio generale di cui all'art. 61
c.p., ribadito esplicitamente, dall'art. 1 d.l. 15 dicembre 1979
n. 625, conv. in 1. 6 febbraio 1980 n. 15, secondo il quale una
circostanza aggrava un reato solo se non ne sia già elemento
costitutivo, non potrà applicarsi l'aggravante della finalità di ter
rorismo o di eversione dell'ordine democratico al reato di banda
armata, quando questa sia finalizzata a promuovere l'insurre
zione armata contro i poteri dello Stato e la guerra civile.
Questo reato, inoltre, non potrà formalmente concorrere con
quelli di associazione sovversiva o di associazione terroristica ed
eversiva, che rimangono totalmente assorbiti da esso.
A queste conclusioni, peraltro, è giunta anche la Suprema
corte nell'unica sentenza (sez. I 11 settembre 1981, n. 1050,
inedita) in cui ha affrontato il problema dei concreti reati-fine
della banda armata (anche in quel caso, insurrezione armata
contro i poteri dello Stato e guerra civile), contraddicendo
all'orientamento espresso nelle decisioni sopra citate. (Omissis)
TRIBUNALE MILITARE DI TORINO; ordinanza 21 luglio 1983; Pres. Coco, Rei. Maggi; imp. Beretta.
TRIBUNALE MILITARE DI TORINO;
Pena — Sanzioni sostitutive — Reati militari compresi nei limiti della competenza pretorile — Applicabilità — Esclusione —
Questione non manifestamente infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3, 25, il; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al si stema penale, art. 53, 54, 59, 77, 78, 84).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzio nale degli art. 53, 54, 59, 77, 78 e 84 l. 24 novembre 1981 n.
689, nella parte in cui limitano l'applicabilità delle sanzioni sostitutive della semidetenzione, della libertà controllata e della
pena pecuniaria ai reati comuni di competenza del pretore, con
esclusione dei reati militari, compresi nei limiti della compe tenza pretorile, giudicati dai tribunali militari o, in caso di
connessione, dal pretore, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 25, 2" comma, 27, 2° e 3" comma, Cost. (1)
(Omissis). Osserva questo giudice che la 1. 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale) all'art. 54 prevede la sostituibilità delle pene detentive con le sanzioni sostitutive della
semidetenzione, della libertà controllata e della pena pecuniaria quando si tratta di reati di competenza del pretore, anche se
giudicati, per effetto della connessione, da un giudice superiore o
se commessi da persone minori degli anni diciotto.
L'anzidetta disposizione non consente a questo tribunale milita
re l'applicazione della richiesta o di altra sanzione sostitutiva.
Infatti non è prevista per i reati militari di competenza dei
tribunali militari o sottoposti alla cognizione del pretore o dei
tribunali dei minorenni in caso di connessione speciale con reati
comuni o tra imputati militari e civili (art. 8 1. 23 marzo 1956 n.
167). Detta differenza di trattamento rappresenta, come ritenuto dalla
Corte costituzionale sia pure in diversa materia, « una deroga così ingiustificata rispetto ai principi del diritto penale, da ledere
l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge » (sent. n. 26 del
1979, Foro it., 1979, I, 1345). L'art. 103, ult. comma, Cost, nel mantenere, in tempo di pace,
la giurisdizione penale dei tribunali militari non ha inteso dero
gare all'unicità dell'ordinamento giurisdizionale. I tribunali mili
tari sono previsti, assieme alle altre giurisdizioni speciali nella
I sezione del titolo IV Cost, su « l'ordinamento giurisdizionale ».
L'affermazione che i giudici sono soggetti soltanto alla legge
(art. 101 Cost.) è garanzia non solo per gli organi giudicanti, ma
soprattutto per coloro che devono fruire dell'amministrazione
della giustizia. Questa preoccupazione del costituente di rispondere in maniera
non equivoca alla domanda di giustizia che proveniva allora dal
paese è ribadita in numerose disposizioni costituzionali (art. 10,
(1) Per altra questione di costituzionalità sollevata in ordine ai limiti di applicabilità delle sanzioni sostitutive di cui alla 1. 689/81 v. Trib. Livorno, ord. 21 dicembre 1981, Foro it., 1982, II, 546, con nota di richiami, circa l'esclusione per i reati appartenenti alla competenza del tribunale nella sola fattispecie aggravata, quando le circostanze
aggravanti siano successivamente ritenute insussistenti o elise in virtù della concessione di circostanze generiche o specifiche e ritenute
prevalenti o equivalenti. In dottrina, sui limiti di applicabilità della 1. 689/81, con specifico
riguardo ai minori, v. Ceniccola, in Giust. pen., 1982, III, 297 e
Vercellone, in Giur. it., 1982, IV, 110, e, più in generale, Carulli, in Giust. pen., 1982, III, 184; Ghiara, ibid., 588; Tonini, in Foro
it., 1982, V, 274. Sui problemi relativi alla costituzionalità della disciplina relativa
alla giustizia militare v., da ultimo, Corte cost. 24 gennaio 1983, n. 1, .id., 1983, I, 274, con nota di richiami e osservazioni di Maffei, che ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità degli art. 6 e 16 1. 7 maggio 1981 n. 180, nelle parti in cui prevedono la soppressione del tribunale supremo militare e l'attribuzione del potere di decisione sui ricorsi contro i provvedimenti dei giudici militari ad una sezione
ordinaria, anziché specializzata, della Corte di cassazione; ord. 9 dicembre 1982, n. 208, id., 1983, I, 519, con nota di richiami, circa la
procedura dei tribunali di bordo e la competenza penale dei coman danti di nave militare; ord. 21 maggio 1982, n. 112, id., 1983, I,
1487, con nota di richiami di Messina, circa la presenza, nei collegi
giudicanti militari, degli appartenenti al corpo delle guardie di p.s. Per la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità
riguardante la mancata applicabilità al processo militare delle norme sul riesame e la revoca dei provvedimenti restrittivi della libertà
personale dell'imputato, di cui alla 1. 12 agosto 1982 n. 532, istitutiva del c.d. tribunale della libertà, v. Trib. mil. Bari, ord. 8 gennaio 1983, id., 1983, II, 74, con nota di richiami.
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PARTE SECONDA
13, 15, 21, 24, 25, 26, 27, da tutto il titolo IV sulla magistratura e dal VI, sez. I, sulla Corte costituzionale).
Non è possibile, di conseguenza, un trattamento differenziato
tra imputati e condannati per reati comuni o militari, da giudici ordinari o militari. Ciò non solo per l'eguale vigenza delle stesse
norme costituzionali per tutti, ma anche per essere i tribunali militari organi giudiziari dello Stato repubblicano e la pena inflitta agli imputati militari non una sanzione di un ordinamento
interno, ma dell'intero ordinamento dello Stato.
Detta pena può essere scontata da militari di leva, come
l'imputato, anche dopo la cessazione del servizio militare.
E non si vede perché al militare che torna nella società civile,
dopo aver espletato il dovere costituzionale del servizio di leva, debba essere negata la sostituzione della sanzione. Integrando,
quindi, la questione eccepita dalla difesa va sollevata d'ufficio la
questione di legittimità costituzionale degli art. 53, 54, 59, 77, 78
e 84 1. 24 novembre 1981 n. 689 per contrasto con l'art. 3, 1°
comma, Cost.
Va, anche, ritenuto non manifestamente infondato l'eccepito contrasto con gli art. 25, 2° comma, e 27 Cost. Infatti l'art. 25, 2° comma, dispone che « nessuno » può essere punito, compren dendo nel « nessuno » tutti coloro ai quali si indirizza la norma
penale; l'art. 27, 2° e 3° comma, parla di « imputato » e di
« condannato », non facendo alcuna distinzione neppure tra que ste due categorie.
Ne discende che la Corte costituzionale non permette alcuna
distinzione tra imputati e condannati comuni e militari.
La questione di legittimità costituzionale sollevata non solo
non è manifestamente infondata, ma è anche rilevante essendo
impossibile applicare l'anzidetta normativa al caso di specie
prima della pronunzia della Corte costituzionale che dichiari
illegittima la restrizione ai reati comuni di competenza del
■pretore dell'applicabilità delle sanzioni sostitutive, dovendo rite
nersi in contrasto con gli art. 3, 25, 2° comma, e 27, 2° e 3°
comma, Cost, l'esclusione dei reati militari, compresi nei limiti
della competenza pretorile, sia se giudicati da tribunali militari, sia in caso di connessione dal pretore.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 14 aprile 1983; Pres. Pelaggi,
Est. Rotundo; imp. Cortesi e Feeney.
TRIBUNALE DI ROMA;
Cambio e valuta — « Transfer price » — Congruo margine di
profitto per l'importatore — Illecito trasferimento di capitali all'estero — Esclusione (L. 30 aprile 1976 n. 159, conversione
in legge con modificazioni del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, con
tenente disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie,
art. 1).
Il prezzo di importazione di merci pagato da società italiana a
società estera collegata (c.d. transfer price) non può essere
considerato produttivo di illecito trasferimento di capitali all'e
stero, se, pur essendo superiore a quello pagato da altri
importatori italiani per prodotti similari, lasci all'importatore un
congruo margine di profitto (nella specie, concernente l'impor tazione di banane « Chiquita », tale margine era risultato pari o addirittura superiore a quello della concorrenza). (1)
Fatto e diritto. — In data 7 settembre 1979 il nucleo speciale
polizia valutaria della guardia di finanza trasmetteva al procura tore della repubblica di Roma rapporto giudiziario per violazioni
alla normativa valutaria a carico di Franco Cortesi e William
Francis Feeney, rispettivamente quali presidente e amministratore
delegato della Compagnia italiana della frutta s.p.a. In particolare, si riferiva nel rapporto in ordine a una verifica
generale effettuata dal nucleo nei confronti della predetta so
(1) La sentenza riguarda l'identico caso già giudicato in sede di applicazione di sanzioni amministrative per il tempo anteriore all'en trata in vigore del d.l. 4 marzo 1976 n. 31 (6 marzo 1976) dal ministero del tesoro sulla base del parere 12 gennaio 1982 della Commissione consultiva per le infrazioni valutarie, riportato in questo fascicolo, I'll, 361, con nota di Lupoi, La rilevanza valutaria del « transfer princing ».
È da rilevare che la sentenza qui riprodotta ha tratto argomento a favore della legittimità valutaria dell'operazione dalla circolare 22 settembre 1979, n. 9/2267 del ministero delle finanze, emanata sulla base del rapporto 16 maggio 1979 del consiglio dell'ÒGDE « Prix de transfert et entreprises multinationales » (circolare e rapporto menzio nati pure nella narrativa del parere della commissione, che però ha motivato su altra base).
cietà, con sede in Roma, piazzale Luigi Sturzo n. 31, « a
vente per oggetto il commercio e la produzione in Italia e
all'estero di frutta e prodotti affini », all'esito della verifica erano
emersi « fatti » che potrebbero configurare ipotesi di violazioni
alla normativa generale valutaria introdotta dal d.l. 4 marzo 1976
n. 31, convertito con 1. n. 159/76 e successive modificazioni.
Premesse alcune considerazioni di carattere generale in materia
di società multinazionali, sul regime delle importazioni delle banane in Italia e sul commercio internazionale delle banane, i
compilatori del rapporto giudiziario affrontavano specificamente la
posizione della C.F.I. s.p.a., mettendo in evidenza quanto segue. Il mercato mondiale delle banane è monopolizzato da alcune
imprese multinazionali, tra le quali la United Brands Company di Boston (Ub.Co.), che distribisce le banane contrassegnate dal marchio « Chiquita ». Tale società si occupa direttamente, tra le
molteplici attività espletate, delle importazioni delle banane dai
produttori attraverso società controllate, tra le quali la C.I.F.
s.p.a. di Roma, che effettua la vendita delle banane in Italia ed
in alcuni Stati compresi nell'area del Mediterraneo e del Medio
Oriente. La C.I.F. s.p.a. risulta essere sostanzialmente controllata
dalla Ub.Co. di Boston, e in realtà si occupa esclusivamente del
commercio delle banane denominate « Chiquita ». Il fornitore
estero esclusivo della C.I.F. s.p.a. è, tramite la «Chiquita International Trading Co. » (CITCO), sua filiale commerciale, la
stessa società controllante « Ub.Co. ».
La C.I.F. compra la frutta dal fornitore e paga il trasporto ad
un terzo soggetto: l'acquisto della merce quindi è effettuato con
la clausola FOB. Ne deriva che « non appaiono giustificabili le
variazioni di prezzo delle merce a seconda dei mercati cui le
banane sono destinate per la rivendita, e ciò perché l'acquisto della merce avviene con la clausola FOB, secondo la quale il
contratto di fornitura si perfeziona con il caricamento a bordo,
operazione che determina il passaggio della merce nella disponibi lità piena e completa dell'acquirente e il sorgere dell'obbligazione al pagamento del prezzo pattuito ». Invece i prezzi di vendita
fatturati dalla C.I.F. s.p.a. ai grossisti sono più elevati di quelli
preticati dalle società concorrenti « in quanto la politica di
vendita usata è la stessa della casa madre, derivante dalla sua
posizione di market leader, che le ha consentito di stabilire
costantemente un doppio mercato delle banane, con un pre miun price per la Chiquita basato sulla dichiarata superiore
qualità » e su una serie di servizi forniti ai clienti (arrivi
settimanali; scarico delle navi in due porti italiani; assistenza
tecnica...). Dall'esame della documentazione sequestrata, e in particolare
dai piani finanziari ed operativi, risulta chiaramente che il prezzo di acquisto e di rivendita delle banane vengono stabiliti dalla
C.I.F., previa autorizzazione della casa madre, già in fase di
previsione. In particolare il prezzo per box delle banane destinate
agli altri mercati in cui opera la stessa società. Da ciò — e tali
risultanze sarebbero confermate dall'esame del documento indica
to come «Transfer price 1977» — risulterebbe evidente come la
società, sulla base dei propri costi accessori, cerchi di determina re un prezzo di acquisto (transfer price) che, lasciato un ragio nevole profitto tassabile in Italia, consenta di trasferire la mag
gior parte degli utili alla casa madre di Boston mediante il
sistema della soprafatturazione delle banane destinate al mercato
italiano.
E tali conclusioni sulla politica societaria della ditta risultereb bero confermate dal contenuto di una relazione datata ottobre 1976 indirizzata da Franco Cortesi a V. H. Mathers, consigliere di amministrazione e avvocato generale della Ub.Co., e di una lettera datata 28 gennaio 1977 indirizzata a J. M. Powers,
capocontabile della United Fruits, divisione della Ub.Co., da W. F. Feeney. Tali documenti, entrambi in lingua inglese, sono stati tradotti a cura dei verbalizzanti, ovviamente senza « carattere di ufficialità ».
L'incartamento afferente il « Lybian discount account » (pure sequestrato nel corso della verifica) dimostra che la C.I.F. prati cava sul prezzo fatturato ai clienti libici uno sconto che veniva accantonato dalla C.I.F. stessa a loro favore (v. l'affaire dei 350.000 dollari USA accantonati per i clienti libici). Tutto ciò da un lato illustra quale fosse la prassi tenuta dalla società e dall'altra dimostrerebbe che la C.I.F. s.p.a paga per le banane destinate al mercato italiano un prezzo superiore rispetto a
quello pagato per banane destinate ad altri mercati.
In definitiva si conclude nel rapporto che « appare evidente che la C.I.F. Sjp.a., per la sua posizione dipendente nei confronti della Ub.Co. di Boston, è costretta ad accettare i prezzi di acquisto determinati dalla casa madre allo scopo di trasferire direttamente nel proprio bilancio fiscale gli utili che altrimenti
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