ordinanza 22 gennaio 2002; Pres. Monteverde, Rel. Mencattini; ric. BompressiSource: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 5 (MAGGIO 2002), pp. 311/312-315/316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198384 .
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PARTE SECONDA
guatamente seguito dalle infermerie o dai c.d.t. dell'ammini
strazione penitenziaria.
Comunque la ripercussione della malattia sulla vita quotidia na del detenuto è pesante, essendo oramai il Veshaj dipendente da terzi; per tale motivo gli è stato assegnato un piantone a per manenza. Peraltro ha conservato una certa autonomia nelle fun
zioni fisiologiche e nell'igiene personale».
Questa la descrizione, invero perspicua, dell'attuale quadro clinico dell'interessato: alla stessa, peraltro, il perito fa seguire, «in riferimento allo stato di salute del condannato nell'ottica del
regime di detenzione carceraria», «due tipi di considerazioni,
quali elementi tecnici di giudizio», che si ritiene opportuno ri
portare. Il primo tipo di considerazioni è il seguente: «E possibile ri
tenere che la patologia da cui è affetto Veshaj Arjan non rappre senti una condizione d'incompatibilità con il regime di deten zione carceraria, sia dal punto di vista delle implicazioni dirette,
che ben possono essere ovviate dall'ausilio di un piantone a
permanenza, sia da quello dell'adeguatezza dell'assistenza sa
nitaria e terapeutica poiché, trattandosi di patologia incurabile e
ormai quasi giunta alle estreme conseguenze, essa non è suscet
tibile di miglioramento; peraltro il regime carcerario non può in
fluire negativamente sull'andamento della stessa».
Ecco, però, il secondo tipo di considerazioni: «E, peraltro, in
dubbio che la patologia da cui è affetto il Veshaj costituisce un
notevole pregiudizio dell'integrità psicofisica e determina già di
per sé, estrinsecandosi con la perdita della vista, una grave li
mitazione dell'autonomia personale, intesa non solo nelle ovvie
implicazioni (movimento nell'ambiente, ecc.) ma anche come
contatto sensorialmente percepibile con la realtà e quindi con il
mondo esterno che, nella detenzione carceraria, acquista un'im
portanza ancor maggiore (leggere, guardare la televisione, poter effettuare turni di lavoro costituiscono le principali occupazio
ni). Una parziale possibilità di ripresa del contatto con il mondo
esterno passa necessariamente attraverso il porre in essere di
misure riabilitative tra cui anche l'insegnamento del metodo
Braille. Infine, valutata sotto un altro aspetto, l'infermità del
Veshaj, riducendo gravemente il grado di autosufficienza della
persona, costituisce una sensibile diminuzione della pericolosità sociale del detenuto».
2. - Orbene, sulla base di quanto analiticamente ed approfon ditamente accertato dal perito medico-legale, ritiene il tribunale
che nel caso di specie possa farsi luogo all'invocato differi
mento dell'esecuzione della pena, ravvisandosi una «grave in
fermità fisica» ai sensi dell'art. 147, 1° comma, n. 2, c.p.
Infatti, deve intendersi come tale, secondo un consolidato
orientamento giurisprudenziale, quello stato patologico la cui
gravità faccia apparire l'esecuzione della pena detentiva come
contrastante con il senso di umanità cui si ispira la norma co
stituzionale dell'art. 27, 3° comma (così, Cass., sez. I, 13 di
cembre 1988, Napoli, Foro it., Rep. 1989, voce Esecuzione pe
nale, n. 18): per cui il rinvio dell'esecuzione della pena per gra ve infermità fisica si pone in rapporto alla necessità di evitare
che l'esecuzione della pena si risolva in un inutile aggravio di
sofferenza per il condannato (Cass., sez. I, 27 gennaio 1992,
Viola, id., Rep. 1992, voce cit., n. 17). D'altra parte, è stato pure precisato
— il punto non è pacifico in giurisprudenza
— che ai fini del rinvio facoltativo dell'ese
cuzione della pena, nel caso previsto dall'art. 147, 1° comma, n.
2, c.p., deve farsi riferimento soltanto all'oggettiva «gravità» dell'infermità fisica, la quale sia tale da dar luogo, cumulata al
l'ordinaria afflittività della restrizione della libertà, ad un «trat tamento contrario al senso di umanità» e ad una sostanziale elu
sione del diritto individuale, costituzionalmente garantito, alla
tutela della salute da parte dell'ordinamento, nulla rilevando,
per converso, l'eventuale compatibilità dello stato patologico con la permanenza in carcere (cfr. Cass., sez. I, 29 aprile 1997,
Martini, id., Rep. 1997, voce cit., n. 81). Quest'ultimo indirizzo interpretativo è condiviso dal collegio,
anche in forza di un argomento testuale ricavabile dal raffronto
fra l'ipotesi normativa in esame e quella di cui all'art. 146, 1°
comma, n. 3, c.p. (come modificato dall'art. 6 1. 231/99): laddo ve è prevista come ipotesi di rinvio obbligatorio dell'esecuzione
della pena quella relativa a persona affetta da «altra malattia
particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di
salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione» (di tal
II Foro Italiano — 2002.
ché, se il requisito dell'incompatibilità con lo stato di detenzio
ne integra un'ipotesi di rinvio obbligatorio, non può integrarne anche una di rinvio facoltativo).
Allora, se veramente la ratio della disposizione dell'art. 147,
1° comma, n. 2, c.p. è quella di evitare al condannato tratta
menti inumani e la sua sottomissione ad una pena di fatto più
grave di quella irrogatagli, in quanto espiata in uno stato di me
nomazione fisica di tale rilevanza da implicare necessariamente,
oltre alla preoccupazione legata ad un eventuale giudizio d'ina
deguatezza dell'assistenza sanitaria, istituzionalmente garantita, anche il profondo disagio morale prodotto dal particolare tipo di
vita imposta dal carcere a chi non solo non può approfittare delle opportunità offertegli per la sua rieducazione, ma vede
amplificarsi senza rimedio gli aspetti negativi (così, Cass., sez.
I, 27 novembre 1996, Calzolaio, ibid., n. 83), non pai e dubbio che tale situazione ricorra nel caso di cui ci si occupa di persona affetta da malattia comportante uno stato di «pressoché totale
cecità», non sucettibile di alcun miglioramento, nei confronti
della quale non esistono al momento adeguate terapie, a nulla
rilevando, in senso contrario, che detta malattia sia di per sé
compatibile con il regime di detenzione carceraria (attraverso
l'assegnazione permanente di un piantone). 3. - Una volta accertata la sussistenza di una «grave infermità
fisica» che consente il rinvio dell'esecuzione della pena, deve
ulteriormente esaminarsi la questione dell'applicabilità o meno
al caso di specie della detenzione domiciliare «sostitutiva» del
rinvio dell'esecuzione, di cui all'art. 47 ter, comma 1 ter, ord.
penit. (come sostituito dall'art. 4 1. 165/98). Orbene, tenuto conto che risulta dagli atti la disponibilità di
Veshaj Edmond, fratello dell'interessato, ad ospitarlo nella sua
abitazione in Borgo San Lorenzo, che tale fratello è titolare di
regolare permesso di soggiorno e vive insieme alla madre, che
la possibilità di ricevere un sostegno familiare è verosimilmente
molto importante per lo stato patologico di Veshaj Arjan, si ri
tiene opportuno applicare, in luogo del differimento dell'esecu
zione della pena, la misura della detenzione domiciliare, non
apparendo quest'ultima contraria al senso di umanità (cfr. Cass., sez. I, 12 giugno 2000, Sibio, id., Rep. 2000, voce Ordinamento
penitenziario, n. 118) e rispondendo per converso all'esigenza di effettività dell'espiazione della pena: il termine di durata che
appare, allo stato, congruo è quello di un anno, considerate le
caratteristiche della patologia in oggetto.
I
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI GENOVA; ordinan za 22 gennaio 2002; Pres. Monteverde, Rei. Mencattini; ric.
Bompressi.
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI GENOVA;
Esecuzione penale — Pena detentiva — Grave infermità fi
sica — Pericolo di grave pregiudizio — Insussistenza in atto dell'infermità — Differimento dell'esecuzione —
Esclusione (Cod. pen., art. 147; cod. proc. pen., art. 684).
Va negato il differimento dell 'esecuzione, e deve di conseguen za ripristinarsi la privazione della libertà, nei confronti del
condannato a pena detentiva che non presenti in atto uno
stato di grave infermità fìsica, pur avendo avuto pregresse
patologie di natura reattiva delle quali non si esclude — in
termini di mera possibilità — il ripetersi, a seguito del ritorno
in ambiente carcerario. (1)
(1-2) L'ormai lunga storia dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti di Ovidio Bompressi, condannato a ventidue anni di reclusio
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GIURISPRUDENZA PENALE
II
MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA DI PISA; decreto 21 febbraio 2002; Giud. Boni; ric. Bompressi.
Esecuzione penale — Pena detentiva — Grave infermità fi
sica — Pericolo di grave pregiudizio —
Magistrato di sor
veglianza — Differimento provvisorio (Cod. pen., art. 147; cod. proc. pen., art. 684).
Il detenuto che — per effetto di un 'accentuata forma depressiva
e reattiva tale da impedire un 'adeguata alimentazione — si
trova in condizioni di salute gravemente compromesse e
quindi incompatibili con il regime carcerario, avendo subito
in breve tempo una perdita ponderale di tredici chilogrammi e un forte calo pressorio, atti a determinare in soggetto già
affetto da crisi ischemiche recidivanti un elevato rìschio per la vita, è ammesso dal magistrato di sorveglianza al differi mento provvisorio dell'esecuzione penale, in attesa della de
cisione del tribunale di sorveglianza. (2)
I
Motivi della decisione. — La normativa vigente richiede ai fini della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva per motivi di salute la sussistenza di una «grave infermità fisica».
ne per l'omicidio del commissario di pubblica sicurezza Calabresi e per reati connessi, ha già avuto un capitolo del tutto analogo a quello risul
tante dal secondo provvedimento riportato. In data 20 aprile 1998, infatti, il Magistrato di sorveglianza di Pisa
ritenne la sussistenza di una grave infermità fisica e differì l'esecuzione
della pena, con motivazione analoga all'attuale (Foro it., 1998, II, 447, con nota di richiami).
In seguito la Corte di cassazione ha statuito che: ai fini del differi
mento si deve fare riferimento soltanto all'oggettiva gravità dell'infer
mità per stabilire se essa sia tale da dar luogo, cumulata all'ordinaria
afflittività della restrizione della libertà, ad un trattamento contrario al
senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale
costituzionalmente garantito alla tutela della salute, nulla rilevando l'e
ventuale incompatibilità dello stato patologico con la permanenza in
carcere sotto il profilo della possibilità di apprestamento delle opportu ne terapie, come nel caso di grave patologia della vista, per glaucoma bilaterale congenito con scompenso corneale e intorbidimento della
camera anteriore, associata ad altrettanto grave patologia psichiatrica (Cass., sez. I, 14 gennaio 1999, Nirta, id., Rep. 1999, voce Pena, n. 16); è necessario che le condizioni patologiche siano tali da rendere obietti
vamente impossibile fronteggiarle in ambiente carcerario, nulla rile
vando che esse, indipendentemente dal tipo di malattia che le ha deter
minate, possano essere trattate meglio in ambiente extracarcerario
(Cass., sez. I, 31 gennaio 2000, Carriera, id., Rep. 2000, voce Esecu
zione penale, n. 91); deve essere accertata la sussistenza di un quadro
patologico di gravità tale da far risultare ictu oculi la possibilità che es
so, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di detenzio
ne, dia luogo ad una sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla pri vazione di libertà in sé e per sé considerata, in conseguenza della quale l'esecuzione della pena risulti incompatibile con i principi costituzio
nali in tema di diritto alla salute e di divieto dei trattamenti contrari al
senso di umanità (Cass., sez. I, 28 ottobre 1999, Ira, ibid., 92).
All'impostazione risultante dai precedenti richiamati aderisce pie namente il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Genova, che
a sua volta ne cita di ulteriori, parimenti conformi. La difformità del
decisum rispetto a quello del Magistrato di sorveglianza di Pisa è de
terminata dal rilievo che al momento del giudizio il condannato non
presentava alcuna patologia in corso, non potendo rilevare in favore del
differimento il fatto che la positiva condizione fisica si fosse determi
nata a seguito di un biennio trascorso in libertà, né che la patologia po tesse in ipotesi ripresentarsi per effetto della ripresa della carcerazio
ne.
Sulla vicenda processuale riguardante la condanna, della cui esecu
zione si discute, cfr., da ultimo, Cass., sez. V, 27 maggio 1999, Bom
pressi e altri, id., 1999, II, 481, con nota di-richiami, la quale ha stabi
lito che l'ordinanza d'inammissibilità della richiesta di revisione pro nunciata dalla corte d'appello è, nell'assenza di ogni previsione nor
mativa in senso contrario, insuscettibile di revoca; in merito, cfr. anche
Cass., sez. V, 27 maggio 1999, Bompressi e altri, ibid., 482.
Il Foro Italiano — 2002 — Parte II-9.
L'art. 147, 1° comma, n. 2, c.p. consente all'autorità giudizia ria di disporre il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, nel caso in cui il condannato sia affetto da una grave patologia, tale da implicare un serio pericolo di vita o comunque rilevanti
conseguenze dannose in caso di prosecuzione della detenzione.
La giurisprudenza, con numerose pronunce in materia, ha si
no ad oggi sempre affermato che per legittimare il rinvio del
l'esecuzione della pena per grave infermità fisica «non è suffi
ciente che una o più infermità fisiche menomino in maniera più o meno rilevante la salute del condannato, ma è necessario che
ci si trovi in presenza o di una prognosi infausta quoad vitam,
oppure che si profili la sussistenza di un quadro patologico di
tale gravità da richiedere cure o trattamenti che non possono es
sere adeguatamente prestati in regime carcerario, neppure me
diante il ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cu ra ai sensi dell'art. 11 1. 354/75, e successive modificazioni. In
fatti, quando ricorrono le predette condizioni l'esecuzione della
pena si svolgerebbe, a causa delle eccessive sofferenze da essa
derivanti, secondo modalità incompatibili con il senso di uma nità e risulterebbe inoltre inidonea a favorire la risocializzazione
del condannato in conseguenza dell'impossibilità, determinata
dall'incapacità del detenuto di avvertire l'effetto rieducativo
connesso al trattamento penitenziario, di proiettare i suoi effetti
nel futuro» (v. Cass., sez. I, 29 settembre 1995, Adilardi, Foro
it., Rep. 1996, voce Esecuzione penale, n. 90). Sul concetto di grave infermità fisica, la corte di legittimità
ha in più occasioni chiarito che detto elemento «non concerne in
alcun modo ogni altro disturbo, quale quello di natura psichica, non comportante vera e propria malattia fisica» (v. Cass., sez. I, 28 marzo 1995, Ronzulli, id., Rep. 1995, voce cit., n. 16). Né del resto, a parere della Suprema corte «lo stato di grave debili
tazione fisica conseguente a patologia anoressica» rientra tra le
gravi infermità fisiche, per le quali l'art. 147, 1° comma, n. 2,
c.p. consente all'autorità giudiziaria il rinvio facoltativo del
l'esecuzione della pena (v. Cass., sez. I, 2 luglio 1997, Pratico,
id., Rep. 1997, voce cit., n. 80). Peraltro, come noto, le patologie di carattere psichiatrico, so
pravvenute nel corso dell'esecuzione delle sentenze di condan
na, sono disciplinate dall'art. 148 c.p. Tale norma attribuisce in
fatti al giudice il potere di ordinare il ricovero del detenuto in
ospedale psichiatrico giudiziario in caso di sopravvenuta infer
mità psichica, tale da impedire l'esecuzione della pena (all'esito del periodo di osservazione ai sensi dell'art. 112, 2° comma,
d.p.r. 230/00). Nel caso di specie la situazione medica del Bompressi, valu
tata allo stato attuale (così come richiede la legge), non presenta alcuna grave malattia. Non sussiste alcuna oggettiva patologia in corso. I parametri vitali risultano ad oggi ampiamente nella
norma. Non solo, anche la condizione psicologica attuale non
presenta un disturbo depressivo in atto, bensì una «deflessione
del tono dell'umore in senso depressivo». Ovviamente il collegio ha presente che detta situazione di
equilibrio psico-fisico è stata raggiunta dal condannato in se
guito a circa due anni di decorso delle pregresse patologie in
ambiente extramurario. Dall'esame degli atti emerge infatti che
durante il periodo di sospensione della pena (anche nella forma
della detenzione domiciliare) il Bompressi ha senza dubbio ri
cevuto le cure necessarie ed i supporti psicoterapeutici richiesti
dal grave disturbo depressivo seguito alle note vicende del pro cesso di revisione, alla latitanza ed alla successiva costituzione
in carcere.
Ad oggi possiamo senza ragionevole dubbio sostenere che i
rinvii dell'esecuzione della pena concessi dall'autorità giudizia ria hanno consentito al Bompressi di superare con esiti soddi
sfacenti le conseguenze organiche della grave crisi nutrizionale
e psicologica del marzo 2000. Proprio grazie alle adeguate cure
effettuate ed ai supporti terapeutici ricevuti, non sono ad oggi residuati postumi permanenti sul piano strettamente organico dei gravi episodi citati in premessa (i valori epatici sono rien trati nella norma).
I periti del tribunale, nel segnalare le attuali buone condizioni di salute dell'interessato, hanno altresì illustrato analiticamente
la struttura personologica del Bompressi, allo scopo di chiarire
le cause psicologiche delle crisi anoressiche. Ne è emersa una
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PARTE SECONDA
personalità con aspetti senz'altro disturbati, caratterizzata da
tratti molto rigidi, e perciò maladattivi, contrassegnata da turbe
dell'identità associate a disturbi dell'immagine corporea (con conseguente tendenza a porre in essere condotte anoressiche). Tale peculiare personalità, che peraltro non presenta alterazioni
sul piano delle funzioni psichiche, è dunque la causa delle crisi
psico-fisiche del Bompressi seguenti ai periodi di detenzione. Tali episodi trovano pertanto la loro ragione, secondo le condi
visibili osservazioni dei periti, nella caratteropatia del condan nato, che rifiuta decisamente la struttura carceraria e le sue re
gole. Nel corso del colloquio con i periti il Bompressi afferma:
«il carcere è insostenibile sul piano umano, è una struttura al
l'interno della quale i diritti umani sono zero ... in carcere non
vi è inserimento possibile ... non vi è recupero del senso del
sé». Ed a proposito delle precedenti esperienze detentive lo stes
so sostiene: «il fatto di dover vivere in un ambiente in cui lo
stato di umanità non riesce ad informare i comportamenti delle
persone non è umanamente sopportabile». Alla luce dunque della rigidità della struttura caratteriale del
Bompressi ed al deciso rifiuto manifestato dallo stesso nei con
fronti dell'istituzione «carcere», i periti giustamente concludono
il loro esame facendo presente al collegio la sussistenza del ri
schio concreto che la ripresa dell'esecuzione della pena possa nuovamente «scompensare» sul piano psicologico il Bompressi, favorendo in tal modo la ripresa di condotte ipoanoressiche, che
condurrebbero l'interessato ad un nuovo stato di grave decadi
mento organico. Al riguardo il tribunale, valutate nel complesso le risultanze
dell'esame peritale, ritiene che, in assenza di un'attuale grave infermità fisica del Bompressi, la possibile
— e non certa — ri
caduta in condotte autolesive del condannato — dovute alla
struttura personologica dello stesso — non consenta, allo stato
della normativa, di concedere una nuova sospensione dell'ese
cuzione della pena. Il rischio concreto di recidiva degli episodi di collasso nutri
zionale non può tradursi, a parere del collegio, in un giudizio di
certezza, bensì di mera possibilità. Ed a tal fine dobbiamo nuo
vamente osservare che il Bompressi ha fruito di circa due anni
di cure e terapie, che ben possono (anzi è ragionevole sostener
lo) aver rafforzato l'equilibrio della persona ed aver conse
guentemente migliorato la sua «tenuta» psicologica rispetto alla
vicenda dell'esecuzione della sentenza penale di condanna di
cui in epigrafe.
Il
Vista la relazione sanitaria in data 20 febbraio 2002 inviata
dalla direzione della casa circondariale di Pisa a questo ufficio
in ordine al detenuto Bompressi Ovidio, nato a Massa il 16 gen naio 1947, ristretto presso la casa circondariale di Pisa, condan nato con sentenza 11 novembre 1995 della Corte di assise d'ap
pello di Milano (ordine di esecuzione n. 47/97 reg. esec. procura
generale della repubblica di Milano). Ritenuto che vi sia fondato motivo per riconoscere la sussi
stenza dei presupposti per il rinvio dell'esecuzione, così come
previsto dagli art. 146 e 147 c.p., stante le attuali condizioni di
salute del detenuto si presentano gravemente e seriamente com
promesse e quindi tali da risultare, così come specificato nella
relazione sanitaria, «assolutamente incompatibili con il regime carcerario».
Al riguardo si precisa che irrilevante calo ponderale (oltre tredici chilogrammi) in soggetto già affetto dà crisi ischemiche recidivanti determina una condizione di alto rischio quoad vitam
per l'elevata possibilità di un rilevante danno miocardico.
Inoltre l'instaurarsi di un disordine dell'equilibrio elettroliti co rende concreto il rischio di un collasso cardiocircolatorio. Al
quadro sopra delineato, caratterizzato da un profondo stato di
astenia, dovuto presumibilmente ad un'accentuata forma de
pressiva e reattiva che impedisce al soggetto una congrua ali
mentazione, si è aggiunto in data 20 febbraio 2002 un allar
mante calo pressorio. In questo momento lo stato generale del Bompressi non sem
bra suscettibile di essere fronteggiato adeguatamente in ambito
intramurario — anche per la forte componente depressiva ed il
Il Foro Italiano — 2002.
protrarsi della permanenza in ambito carcerario — così come si
dice espressamente nella relazione sanitaria «deve essere rite
nuto la causa di danni non reversibili alla salute».
Ritenuto, pertanto, di poter accogliere l'istanza;
per questi motivi, visto l'art. 684, 2° comma, c.p.p., ordina il
differimento provvisorio dell'esecuzione della pena, di cui in
motivazione, nei confronti di Bompressi Ovidio ed ordina
l'immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa.
I
TRIBUNALE DI CUNEO; sentenza 17 settembre 2001; Giud.
Perlo; imp. Basso e altri.
TRIBUNALE DI CUNEO;
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Somministra zione di sostanze ad azione anabolizzante — Detenzione
per la vendita di animali trattati — Disciplina (L. 30 aprile 1962 n. 283, disciplina igienica della produzione e della ven dita delle sostanze alimentari e delle bevande, art. 5; 1. 24 no
vembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 9; d.leg. 27 gennaio 1992 n. 118, attuazione delle direttive 81/602/Cee, 85/358/Cee, 86/469/Cee, 88/146/Cee e 88/299/Cee relative al divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica
e ad azione tireostatica nelle produzioni animali, nonché alla
ricerca di residui negli animali e nelle carni fresche, art. 3;
d.leg. 4 agosto 1999 n. 336, attuazione delle direttive
96/22/Ce e 96/23/Ce concernenti il divieto di utilizzazione di alcune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle so
stanze (3-agoniste nella produzione di animali e le misure di
controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali
vivi e nei loro prodotti, art. 3, 34; d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507, depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'art. 1 1. 25 giugno 1999 n. 205, art. 1).
In materia di detenzione per la vendita di animali-sostanze ali
mentari trattati con sostanze illecite, il rapporto tra la legge
speciale (art. 3, 1° comma, lett. b, d.leg. 336/99) e quella ge nerale (art. 5, lett. a, /. 283/62) non si prospetta in termini di
abrogazione, ma di concorso apparente di norme coesistenti:
infatti, premesso che con l'entrata in vigore del d.leg. 336/99, che sanzionava penalmente la detenzione in azienda di ani
mali trattati con sostanze (3-agoniste e ad effetto anaboliz
zante, tali fatti venivano regolati da quest'ultima norma, in
quanto speciale rispetto alla generale disposizione di cui al
l'art. 5, lett. &), l. 283/62, a seguito della trasformazione in
illecito amministrativo del reato previsto dalla norma spe ciale (ex art. 1 d.leg. 507/99), la norma generale, previgente a quella speciale, continua a trovare applicazione anche alla
luce dell'art. 9, 3° comma, l. 689/81 (come modificato dal
l'art. 95 d.leg. n. 507) che contiene una previsione derogato ria specificamente riferita ai fatti previsti come reato dalla I.
n. 283 del 1962 (nella specie, sì trattava della somministra
zione a bovini di sostanze ad azione anabolizzante denomi
nata clenbuterolo). (1)
(1-2) Sulle questioni affrontate nelle sentenze in epigrafe, v. Cass. 21 ottobre 1999, Rubiolo, Foro it., 2000, II, 540, con nota di richiami e osservazioni di Paone, Novità e puntualizzazioni in tema di illecito im
piego di sostanze ad azione anabolizzante. Per l'affermazione che gli animali vivi, pur non potendo considerar
si, sotto un profilo strettamente fisiologico, «sostanze alimentari», tali
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