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ordinanza 22 ottobre 2002; Giud. Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di...

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ordinanza 22 ottobre 2002; Giud. Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di risparmio di Torino (Avv. Novo) Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 939/940-943/944 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197980 . Accessed: 25/06/2014 06:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 06:01:16 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 22 ottobre 2002; Giud. Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di risparmio di Torino (Avv. Novo)

ordinanza 22 ottobre 2002; Giud. Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa dirisparmio di Torino (Avv. Novo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 939/940-943/944Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197980 .

Accessed: 25/06/2014 06:01

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939 PARTE PRIMA 940

Non consta che dottrina e giurisprudenza si siano mai occu

pate, ex professo, del tema, ma — sulla base dei principi gene rali in tema di procedimenti cautelari, ed anche sulla base di ar

gomentazioni logico-sistematiche —

questo giudice designato è

fermamente convinto che non si debba provvedere, in questa sede, alla revoca del decreto di sequestro.

In primo luogo, con la trasmissione del fascicolo al presidente del tribunale, questo giudice designato non si spoglia del proce dimento, potendo il presidente decidere nel senso di restituire

gli atti, senza trasmetterli alla sezione distaccata di Monopoli. Tale evenienza — non sindacabile in questa sede perché

qualsiasi sindacato invaderebbe la sfera di attribuzioni del pre sidente —

comporterebbe che, ove questo giudice designato re

vocasse, col presente provvedimento, il decreto, dovrebbe nuo

vamente decidere sulla sua revoca, conferma o modifica, una

volta superata l'eccezione preliminare. Tale conseguenza sarebbe contraria a tutti i principi. In secondo luogo, non può revocarsi in dubbio che è imma

nente, nel sistema, il principio per cui — una volta accordata la

cautela con decreto — non può esservi alcuno iato temporale tra

la fase cautelare decisoria senza contraddittorio e quella di con

ferma, revoca o modifica, all'esito del contraddittorio.

Le esigenze del ricorrente vittorioso (sia pure in via provviso ria) sarebbero del tutto frustrate se si disponesse la revoca della

cautela solo per questioni di rito, nell'ipotesi in cui, all'esito del

contraddittorio sul «merito» cautelare (intesa l'espressione in

senso atecnico, come contrapposta al «rito»), la cautela conces

sa inaudita altera parte venisse confermata.

Nelle more, il soccombente potrebbe — in astratto — sottrar

re, in tutto o in parte, il compendio sequestrato, con la grave

conseguenza che il provvedimento di conferma non servirebbe a

nulla.

Va, inoltre, aggiunto che, nel sistema, si rinviene una serie di

norme da cui si ricava il principio per cui le esigenze cautelari, una volta ritenute esistenti, prevalgono su ogni altro aspetto

processuale. Vi è, infatti, l'art. 48, 2° comma, c.p.c., il quale prescrive che,

durante la sospensione dei processi relativamente ai quali è

chiesto il regolamento di competenza, possono essere emessi

provvedimenti urgenti.

Analogo principio è stabilito dagli art. 298 e 304 c.p.c., ri

spettivamente, in tema di sospensione ed interruzione del pro cesso.

Ancora, l'art. 669 quater, 2° comma, c.p.c. ammette la possi bilità di emettere provvedimenti cautelari, quando il giudizio è

sospeso o interrotto.

Se il legislatore ha stabilito la prevalenza delle ragioni di ur

genza, anche nelle ipotesi in cui il processo cognitivo è sospeso o interrotto, a maggior ragione, deve ritenersi che una misura

cautelare già concessa, inaudita altera parte, debba conservare i

propri effetti (sino a che non si decida sulla sua revoca, confer

ma o modifica), quando sono stati violati i criteri di ripartizione interna degli affari nell'ambito del medesimo ufficio giudizia rio.

Se, poi, si volge lo sguardo al sistema giuridico in una pro

spettiva più ampia, ci si avvede che — in materia penale (nella

quale le misure cautelari hanno un'incidenza ben maggiore ri

spetto alla materia civile, incidendo sulla libertà personale, tan

t'è che la Costituzione tutela la detta libertà all'art. 13) — vi è

l'art. 27 c.p.p., per il quale le misure cautelari disposte dal giu dice dichiaratosi incompetente conservano efficacia, la quale cessa solo se il giudice dichiarato competente non provvede, nei

venti giorni dall'ordinanza declaratoria dell'incompetenza con

cui gli sono stati trasmessi gli atti, sulla misura cautelare.

Pertanto, il decreto di sequestro non va revocato da questo

giudice designato e sulla sua revoca, conferma o modifica prov vederà il giudice designato dal presidente del tribunale.

Il Foro Italiano — 2003.

TRIBUNALE DI IVREA; ordinanza 22 ottobre 2002; Giud.

Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di

risparmio di Torino (Avv. Novo).

TRIBUNALE DI IVREA;

Procedimento civile — Decisione a seguito di trattazione

scritta — Causa d'interruzione — Notifica successiva al

l'udienza di precisazione delle conclusioni — Effetti —

Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 189, 190, 281 quinquies,

300).

Nei procedimenti da decidersi a seguito di trattazione scritta la

notifica, successiva all'udienza di precisazione delle conclu

sioni ma anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, ed il successivo deposito in cancel

leria di atto contenente la comunicazione di un evento inter

ruttivo comporta l'interruzione del processo (nella specie, con l'atto notificato il difensore aveva comunicato e docu

mentato l'avvenuta fusione per incorporazione chiedendo

l'interruzione; a seguito del deposito in cancelleria dell'atto

il giudice aveva invitato l'altra parte ad assumere posizione, nella propria memoria di replica, sull'istanza di interruzione,

poi pronunciata). (1)

(1)1. - In senso sostanzialmente conforme. Trib. Torino, ord. 5 mar zo 2002, Foro it., 2002, I, 3231, con ampia nota di richiami ed osserva zioni di M. Iozzo, alla quale si rinvia per indicazioni di precedenti e di dottrina sull'argomento.

Detto precedente, al pari di altri, ha ritenuto idonea a comportare l'interruzione del processo la dichiarazione dell'avvenuto fallimento della parte contenuta nella comparsa conclusionale, sul rilievo — con diviso anche dalla sentenza in rassegna — che al limite temporale della «chiusura della discussione davanti al collegio», di cui all'art. 300, ul timo comma, c.p.c., «deve equipararsi la scadenza del termine perento rio previsto per il deposito della memoria di replica, in quanto fino alla scadenza di tale termine permane l'esigenza di salvaguardare l'integrità del contraddittorio».

Sul rilievo — del tutto similare — che sino alla scadenza del termine

per il deposito della memoria di replica «la parte deve essere ancora

posta nelle condizioni di difendersi con l'assistenza ed il ministero di un difensore», sempre Trib. Torino, ord. 30 novembre 2001 (ibid., 697) ha dichiarato l'interruzione del processo in caso di morte del difensore

prima della scadenza del termine per il deposito delle memorie di repli ca (in tal caso della morte del difensore — che ai sensi dell'art. 301

c.p.c. rileva anche d'ufficio quale causa di interruzione, prescindendo dalla formale dichiarazione — era stato dato atto dal sostituto proces suale del defunto con dichiarazione depositata in cancelleria).

Nel caso dell'ordinanza in rassegna l'evento interruttivo, attinente la

parte e non il difensore, era stato notificato alla controparte (in stretta aderenza a quanto previsto dall'art. 300, 1° comma, c.p.c., in alternati va alla «dichiarazione in udienza») con atto poi depositato in cancelle

ria, non già dichiarato nella comparsa conclusionale. A seguito del deposito dell'atto in cancelleria, il giudice aveva invi

tato, con apposita ordinanza, la controparte ad assumere posizione sulla richiesta di interruzione nella propria memoria di replica; detta ordi nanza sembra riconducibile all'esercizio del potere di direzione del

procedimento di cui all'art. 175 c.p.c. che, nella specie, ha consentito lo

sviluppo di un effettivo contraddittorio sulla questione, altrimenti non

garantito dalla circostanza che l'evento interruttivo non era stato di chiarato dalla parte interessata nella propria comparsa conclusionale; in tal modo, invero, il giudice unico, constatata la pendenza del termine

per il deposito delle repliche, ha potuto contemperare l'esigenza di tu tela della parte interessata alla declaratoria di interruzione con quella di

rispetto del contraddittorio sulla relativa istanza.

E, tuttavia, il caso di rilevare che l'esercizio del potere d'ufficio è stato reso possibile, nella specie, dalla duplice circostanza che la parte controinteressata all'interruzione non aveva ancora depositato la pro pria memoria di replica e che la cancelleria aveva trasmesso al giudice, dopo il deposito, l'atto notificato contenente la dichiarazione dell'e vento interruttivo con relativa documentazione allegata.

E altresì da rilevare che, a cospetto della previsione dell'art. 300, 1°

comma, c.p.c., la notifica di apposito atto è l'unica modalità certamente rituale per dedurre la causa d'interruzione, in alternativa alla dichiara zione in udienza (che in casi assimilabili a quello della decisione in ras

segna non è, ovviamente, possibile): la giurisprudenza della Cassazio

ne, contrariamente a quanto ritenuto da Trib. Torino, ord. 5 marzo

2002, cit., non è univoca nel ritenere efficace la dichiarazione dell'e vento in conclusionale: depone, infatti, in senso favorevole, Cass. 27

gennaio 1984, n. 632, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 22, nel mentre, contrarie, v. le successive sentenze 22 gennaio 1993, n.

782, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 183, e 23 novembre 2000, n. 15131, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 378, che ribadiscono la necessità della di chiarazione in udienza o tramite specifico atto notificato.

Da ciò consegue che l'orientamento recepito (anche) dal provvedi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Rilevato che con atto notìficato il 25 settembre 2002, e cioè

dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima del

termine di scadenza per il deposito delle memorie ex art. 190

c.p.c., la Cassa di risparmio di Torino comunicava a Stefano Vi

cina Mazzaretto, quale procuratore speciale dei sig. Scapino

Giuseppe, Griselli Orsola e Ester Chiesa, l'avvenuta fusione per

incorporazione della Cassa di risparmio di Torino stessa nell'U

nicredito italiano, allegando la documentazione relativa e dedu

cendo così la verificazione di una causa interruttiva del proces so;

— a seguito del deposito in cancelleria, avvenuto il 27 set

tembre 2002, della copia notificata dell'atto, questo giudice istruttore, con ordinanza 30 settembre 2002, invitava la difesa

del Vicina Mazzaretto a prendere posizione, tramite la memoria

di replica, circa la configurabilità dell'interruzione del processo nel caso di specie;

— con memoria di replica depositata il 16 ottobre 2002, Vi

cina Mazzaretto, pur dando correttamente atto dell'esistenza di

una giurisprudenza di segno contrario, richiedeva di non pro nunciare l'interruzione del processo, posto che l'evento astrat

tamente idoneo ad integrare l'interruzione si era verificato dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, e che comunque le

finalità dilatorie della difesa ex adverso erano appalesate dal

fatto che si era atteso oltre due mesi dalla fusione per operare la

comunicazione.

Ritenuto che non è in contestazione il fatto che, di per sé, la

fusione per incorporazione di una parte del processo nel corso

del giudizio, integri ex art. 300 c.p.c. un evento interruttivo del

processo stesso per estinzione della società (cfr., per la pacifica

giurisprudenza, Cass. 10595/01, Foro it., Rep. 2001, voce Pro

cedimento civile, n. 273; 6298/99, id., 2000,1, 379; 9822/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 360; 3694/98, id., 1998, I, 2909; 7704/96, id., 1997, I, 1911; 782/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 183; 5325/83, id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 146);

— la questione giuridica sottoposta all'attenzione di questo

giudice, è invece quella relativa all'idoneità o meno a provocare l'interruzione del processo, la verificazione e rituale comunica

zione di un evento interruttivo dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, pur se prima del termine finale per il deposito delle memorie conclusive ex art. 190 c.p.c.

11 dubbio in proposito nasce dal fatto che l'art. 300, ultimo

comma, c.p.c., nel disciplinare la problematica in esame, statui

sce che la morte o la perdita della capacità della parte «non pro duce effetto» se si verifica od è notificata «dopo la chiusura

della discussione davanti al collegio». È quindi di tutta evidenza

che la norma, in vigore sin dalla versione originaria del codice

di rito del 1942, non si coordina con la novella introdotta dalle 1.

353/90 e 534/95, introduttiva del c.d. nuovo rito processualcivi listico, che prevede, nella normalità dei casi e salvo le eccezioni

di cui all'art. 281 quinquies, 2° comma, e 281 sexies c.p.c., l'u

dienza di precisazione delle conclusioni e non già l'udienza di

discussione (cfr. art. 190 c.p.c.);

mento in rassegna, indipendentemente dalla sua condivisibilità o meno sul piano del principio, postula:

— o una forzatura della lettera dell'art. 300 c.p.c., non del tutto avallata dalla giurisprudenza della Suprema corte, qualora si ritenga possibile la dichiarazione dell'evento interruttivo in conclusionale;

— o, comunque, qualora si ritenga necessaria, ai fini della rilevanza della causa d'interruzione, la notifica di apposito atto ai sensi dell'art. 300 c.p.c., l'esercizio di poteri ex officio, a tutela del contraddittorio, riconducibili all'art. 175 c.p.c. (e quindi rimessi alla discrezione del

giudice e non sempre esercitabili anche se ritenuti opportuni, come nel caso di mancata trasmissione dell'atto depositato da parte della cancel leria o di deposito già avvenuto della memoria di replica o, ancora, in caso di rinuncia al deposito delle repliche) volti a «stimolare» la reda zione di memoria di replica, altrimenti superflua in assenza della com

parsa conclusionale. Per tacere, in ogni caso, delle possibili difficoltà connesse all'even

tuale fase di riassunzione (sulle quali, v. Trib. Messina 7 marzo 1999, id.. Rep. 2001. voce cit., n. 280, e Giur. merito, 2000, 1222, citata dalla decisione in rassegna quale precedente contrario all'interpretazione condivisa).

II. - Sulla fusione per incorporazione, quale causa di interruzione del

processo, v., in particolare, tra le altre citate in motivazione dalla sen

tenza in rassegna, Cass. 22 giugno 1999, n. 6298, Foro it., 2000, I, 379, e 9 aprile 1998, n. 3694, id., 1998, I, 2909; per una fattispecie partico lare, v. anche Trib. Potenza 11 giugno 1998, id., 2000, I, 902. [V. Far

NARARO]

Il Foro Italiano — 2003.

Considerato che, ciò esposto in linea generale, deve eviden

ziarsi come si siano formati due orientamenti circa l'interpreta zione dell'art. 300, ultimo comma, c.p.c., a seguito dell'entrata

in vigore del nuovo rito.

Secondo una tesi, infatti, l'udienza di «discussione davanti al

collegio» deve essere assimilata all'udienza di precisazione delle conclusioni davanti al giudice istruttore ex art. 190 c.p.c.

Consegue che è proprio l'udienza di precisazione delle conclu

sioni il termine ultimo per poter far valere un evento interruttivo

del processo, e che quindi non è possibile richiedere la declara

toria di interruzione tramite comparsa conclusionale o memoria

di replica; né costituirsi nel processo con detti atti, da' parte del

l'avente diritto, a seguito di morte o perdita di capacità della

parte. Una differente ricostruzione, invece, assume che il termine

ultimo della «discussione davanti al collegio», ove non sia di

sposta la discussione ex art. 281 quinquies, 2° comma, e 281

sexies c.p.c., deve farsi oggi coincidere con il decorso del ter

mine concesso dal giudice ex art. 190 c.p.c. dopo la precisazio ne delle conclusioni. La conseguenza è allora che risulta ben

possibile ottenere la pronuncia di interruzione a seguito di co

municazione dell'evento effettuata tramite comparsa conclusio

nale o memoria di replica; ovvero costituirsi con tali atti difen

sivi, da parte dell'avente diritto, a seguito di morte o perdita di

capacità della parte. Pur consapevole dell'oggettiva opinabilità della questione,

ritiene questo giudice di aderire a quest'ultima tesi, e di consi

derare quindi rilevanti gli eventi interruttivi verificatisi e comu

nicati dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, pur se

prima della scadenza del termine di cui all'art. 190 c.p.c.; ad

avviso del decidente, la soluzione prescelta è infatti l'unica che

consente un'effettiva tutela delle prerogative difensive della

parte interessata alla pronuncia giurisdizionale. Invero, deve osservarsi che, nella vigenza del c.d. vecchio ri

to, l'udienza di discussione davanti al collegio consumava ogni residua possibilità di esperire attività difensiva, posto che le

comparse conclusionali e le memorie di replica erano già state

depositate e che nessun ulteriore atto era possibile per la parte, decorrendo immediatamente dall'udienza i termini per il depo sito della sentenza ed il dovere per il giudice di provvedere. Si

spiega quindi come risultasse superfluo coinvolgere nel proces so il successore nella posizione giuridica della parte deceduta o

che avesse perduto la capacità, atteso che tale successore non

avrebbe comunque potuto in alcun modo partecipare al processo od incidere sul suo svolgimento.

Affatto diversa è invece la situazione del nuovo rito, laddove,

dopo la precisazione delle conclusioni, residua per le parti la

possibilità di svolgere una rilevante attività difensiva, quale

quella prevista dal deposito di conclusionali e repliche, e solo

dopo la scadenza del termine per il loro deposito nasce per il

giudice il dovere di provvedere. Consegue quindi che non può essere precluso al successore nella posizione giuridica della

parte deceduta o che abbia perduto la capacità, la possibilità di

partecipare al processo e di cercare di incidere sul suo svolgi mento; oltre che fondata sulle ragioni logiche sopra esposte, la

soluzione qui accolta risulta poi essere seguita dalla Suprema

corte, dalla maggioritaria dottrina e dalla quasi unanime giuris

prudenza di merito formatasi sul punto, e cioè sull'interpreta zione dell'art. 300, ultimo comma, dopo l'entrata in vigore del

nuovo rito.

In particolare, si osserva come, sulla scia della più autorevole

dottrina processualcivilistica, la Corte di cassazione, con la pro nuncia 15131/00 (id.. Rep. 2000, voce Procedimento civile, n.

378), abbia confermato la rilevanza di un evento interruttivo

comunicato dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni,

pur se prima dello scadere dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.; come alle stesse conclusioni siano giunte Trib. Lucca 9 gennaio 1998 (id.. Rep. 1998, voce cit., n. 377) e Trib. Genova 15 aprile 1996 (ibid., n. 370); e come lo stesso Tribunale di Ivrea, con un

recente ed inedito provvedimento, abbia aderito a tale orienta

mento (cfr. Trib. Ivrea 16 gennaio 2002, giud. monocratico Bu

fardeci). Unica voce contraria, nel panorama giurisprudenziale edito e

noto a questo giudice, è allora quella di Trib. Messina 7 marzo

1999 (id.. Rep. 2001, voce cit., n. 280), ma. alla luce delle ar

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943 PARTE PRIMA 944

gomentazioni logiche sopra esposte, tale minoritaria tesi non

può essere seguita; infine, è di assoluta evidenza come sia ini

donea a supportare la tesi contraria la doglianza della difesa di

parte attrice, a tenore della quale l'attesa di due mesi tra la veri

ficazione dell'evento interruttivo e la sua comunicazione, di

svela la finalità dilatoria con la quale la comunicazione stessa è

stata posta in essere.

Sul punto, basta osservare che, da un lato, è tutt'altro che

certo che il decorso di due mesi tra la fusione della Cassa di ri

sparmio di Torino e la sua comunicazione processuale, appalesi di per sé un comportamento dilatorio, tenuto conto del tipo di

fusione operata, della sua verificazione nel periodo di sospen sione feriale dei termini e del numero delle controversie giuris dizionali interessate; dall'altro lato e comunque, se anche così

fosse, l'unica reazione processuale possibile sarebbe quella di

valutare ex art. 116, 2° comma, c.p.c., in sentenza, il comporta mento processuale che si pretende scorretto, ma non certo quella di impedire l'applicazione di una norma di legge quale l'art.

300 c.p.c. Evidenziato che, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve

ritenersi, ai fini processuali, rilevante e tempestiva la comunica

zione effettuata dalla Cassa di risparmio di Torino circa la fu

sione per incorporazione nella Unicredito italiano, e va pertanto dichiarata ex art. 300 c.p.c. l'interruzione del processo.

TRIBUNALE DI RAVENNA; decreto 17 ottobre 2002; Pres.

Lacentra, Rei. De Lorenzo; Soc. Betania.

TRIBUNALE DI RAVENNA;

Società — Incorporazione di società lucrativa in ente non

commerciale — Deliberazione — Iscrizione nel registro delle imprese (Cod. civ., art. 2411, 2453, 2497, 2501, 2502

bis, 2503).

Sussistono i presupposti per ordinare l'iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione con cui l'assemblea straor

dinaria di una società lucrativa ha approvato, all'unanimità, il progetto di fusione per incorporazione in un ente non com

merciale, dotato di personalità giuridica. (1)

(1) Nel caso di specie, era stata progettata l'incorporazione di una s.r.l. unipersonale in una fondazione. Sennonché il notaio, che aveva verbalizzato la delibera a ciò finalizzata, aveva ritenuto di non proce dere in prima persona all'iscrizione della stessa nel registro delle imprese. Pertanto, l'amministratore della società aveva avviato il procedimento di volontaria giurisdizione delineato dall'art. 2411 c.c., disposizione cui e

spressamente rinvia, in relazione al progetto di fusione, l'art. 2502 bis c.c. Il collegio giudicante ritiene che l'operazione programmata, ancor

ché non corrispondente al modello codicistico, sia comunque ammissi bile, in quanto non si presenta lesiva di interessi giuridicamente rile vanti. Per conseguire tale obiettivo, peraltro, si rende necessario ri chiamare l'operatività di norme dettate per disciplinare il fenomeno della fusione tra società (in particolare, l'art. 2503 c.c., che prevede l'opposizione dei creditori).

Con riferimento alla disciplina anteriore alla 1. 340/00, quando il controllo giudiziario era imprescindibile, si era ritenuto ammissibile che una società lucrativa venisse incorporata da un ente non commer ciale: cfr. Trib. Udine, decr. 14 agosto 1998, Soc. immob. Giovanni da

Udine, Foro it., Rep. 1999, voce Società, n. 1083. Per contro, era stata

negata l'omologazione della deliberazione con cui un ente non com merciale prevedeva di incorporare una società lucrativa, sul presuppo sto che gli atti soggetti al controllo del tribunale costituivano un Hume rus clausus: cfr. Trib. Udine, decr. 14 agosto 1998, 1st. diocesano so stentamento clero Udine, ibid., n. 1084. Entrambi i provvedimenti sono annotati da G. Zagra, Ammissibilità della fusione eterogenea tra ente non commerciale e società lucrativa, in Società, 1999, 343.

Circa l'impossibilità di dar corso ad una valida fusione nell'ipotesi in

Il Foro Italiano — 2003.

Letto il ricorso depositato il 25 settembre 2002, con il quale il

presidente del consiglio di amministrazione della società Befa

nia s.r.l., con sede in Ravenna, ha domandato ai sensi dell'art.

2411 c.c. l'ordine di iscrizione nel registro delle imprese della

deliberazione con cui l'assemblea straordinaria della predetta società, con verbale redatto dal notaio E. Scarano di Ravenna in

data 28 agosto 2002, rep. 105691, ha approvato il progetto di

fusione per incorporazione nella fondazione San Rocco Onlus,

con sede in Ravenna;

preso atto che il p.m. ha restituito gli atti senza l'espressione di alcun parere o richiesta, ritenendoli non dovuti;

rilevato che l'operazione di fusione sottoposta al vaglio del

tribunale, involgendo una società lucrativa e un ente non com

merciale, ancorché dotato di personalità giuridica, si discosta

dal paradigma degli art. 2501 ss. c.c. — destinati a regolare

espressamente le operazioni di fusione tra società — e, tuttavia, non risulta, altrettanto espressamente, vietata dalla legge;

ritenuto che la valutazione di legittimità dell'atipica opera zione prospettata presuppone un'analisi degli interessi in gioco, in funzione dell'emersione di eventuali lesioni di interessi pro tetti evidentemente ostativa all'accoglimento dell'istanza;

dato atto che, sul piano pratico, la c.d. fusione eterogenea si

configura quale più agile alternativa alla sequenza procedimen tale, indubbiamente legittima, dello scioglimento della società

lucrativa, dell'espletamento della fase di liquidazione e del con

ferimento dell'attivo di liquidazione nell'ente non commerciale; osservato che l'omissione di tale più articolata procedura pro

spetta, in astratto:

1) una lesione dell'interesse dei soci dissenzienti della società

lucrativa alla continuazione di un'attività produttiva di utili di

stribuibili, incompatibile con la diversa funzione della fonda

zione, ovvero al conseguimento della propria quota di riparti zione dell'attivo dì liquidazione (cfr. art. 2453 e 2497 c.c.);

2) una lesione dell'interesse dei creditori sociali a soddisfarsi

nella liquidazione, e a conservare quelle garanzie di effettività

del capitale sociale che sono proprie (soltanto) delle società di

capitali; ritenuto che la rilevanza dell'interesse dei soci dissenzienti è

nella specie superata dall'unanimità dell'approvazione assem

bleare della delibera di fusione, e che a presidio degli interessi

dei creditori sociali resta ferma l'operatività della disposizione dell'art. 2503 c.c. (e ciò, indipendentemente dalla ovvia succes

sione nei debiti della società incorporanda da parte dell'ente in

corporante); dato atto che gli adempimenti prodromici alla delibera di fu

sione risultano correttamente effettuati;

per questi motivi, ordina l'iscrizione nel registro delle impre se di Ravenna della deliberazione di fusione per incorporazione di cui in parte motiva.

cui una delle partecipanti all'operazione sia una società irregolare o di fatto, v., nella motivazione, Cass. 21 giugno 1971. n. 1912, Foro it., 1971,1,1849.

Si è ritenuta omologabile la delibera assembleare con cui una società mutua di assicurazione si trasforma in una società per azioni: v. Trib. Mi lano 13 febbraio 1998, id., Rep. 1999, voce cit„ n. 1067 (annotata da F. Chiomenti, La determinazione delta quota del socio di una mutua assi curatrice al fine dell'assegnazione delle azioni nel caso di trasforma zione della mutua in società azionaria, in Riv. dir. comm., 1999, II, 55).

In tema di controllo giudiziario sulla delibera di fusione, v. App. Roma, decr. 25 giugno 2001, e Trib. Roma, decr. 2 aprile 2001, Foro it., 2001, I, 3702; App. Torino, decr. 24 agosto 2000, ibid., 696, con nota di M. Silvetti, Sul tramonto del giudizio di omologazione delle società di capitali.

Va segnalato, inoltre, che la recente riforma organica del diritto so cietario (d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, Le leggi, 2003, I, 440, emanato in attuazione della delega conferita con 1. 3 ottobre 2001 n. 366), nel ri modellare la disciplina della fusione, non si occupa dei casi di fusione

eterogenea. Diversamente, per quel che riguarda la trasformazione, i nuovi art. 2500 septies e 2500 opties c.c., destinati ad entrare in vigore il 1° gennaio 2004, sono in modo esplicito dedicati alla trasformazione

eterogenea, rispettivamente, da e in società di capitali (sono, a tal pro posito, menzionate le seguenti figure soggettive: consorzi, società con sortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non ri conosciute e fondazioni); il successivo art. 2500 nonies contempla, quindi, regole specifiche sull'efficacia di questo tipo di trasformazione e sull'opposizione dei creditori.

Circa i contenuti della comunicazione della deliberazione di trasfor mazione ex art. 2499 c.c., cfr. Cass. 8 agosto 2002, n. 11994. Foro it., 2003,1, 175, con nota di richiami.

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