ordinanza 22 ottobre 2002; Giud. Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa dirisparmio di Torino (Avv. Novo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 939/940-943/944Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197980 .
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939 PARTE PRIMA 940
Non consta che dottrina e giurisprudenza si siano mai occu
pate, ex professo, del tema, ma — sulla base dei principi gene rali in tema di procedimenti cautelari, ed anche sulla base di ar
gomentazioni logico-sistematiche —
questo giudice designato è
fermamente convinto che non si debba provvedere, in questa sede, alla revoca del decreto di sequestro.
In primo luogo, con la trasmissione del fascicolo al presidente del tribunale, questo giudice designato non si spoglia del proce dimento, potendo il presidente decidere nel senso di restituire
gli atti, senza trasmetterli alla sezione distaccata di Monopoli. Tale evenienza — non sindacabile in questa sede perché
qualsiasi sindacato invaderebbe la sfera di attribuzioni del pre sidente —
comporterebbe che, ove questo giudice designato re
vocasse, col presente provvedimento, il decreto, dovrebbe nuo
vamente decidere sulla sua revoca, conferma o modifica, una
volta superata l'eccezione preliminare. Tale conseguenza sarebbe contraria a tutti i principi. In secondo luogo, non può revocarsi in dubbio che è imma
nente, nel sistema, il principio per cui — una volta accordata la
cautela con decreto — non può esservi alcuno iato temporale tra
la fase cautelare decisoria senza contraddittorio e quella di con
ferma, revoca o modifica, all'esito del contraddittorio.
Le esigenze del ricorrente vittorioso (sia pure in via provviso ria) sarebbero del tutto frustrate se si disponesse la revoca della
cautela solo per questioni di rito, nell'ipotesi in cui, all'esito del
contraddittorio sul «merito» cautelare (intesa l'espressione in
senso atecnico, come contrapposta al «rito»), la cautela conces
sa inaudita altera parte venisse confermata.
Nelle more, il soccombente potrebbe — in astratto — sottrar
re, in tutto o in parte, il compendio sequestrato, con la grave
conseguenza che il provvedimento di conferma non servirebbe a
nulla.
Va, inoltre, aggiunto che, nel sistema, si rinviene una serie di
norme da cui si ricava il principio per cui le esigenze cautelari, una volta ritenute esistenti, prevalgono su ogni altro aspetto
processuale. Vi è, infatti, l'art. 48, 2° comma, c.p.c., il quale prescrive che,
durante la sospensione dei processi relativamente ai quali è
chiesto il regolamento di competenza, possono essere emessi
provvedimenti urgenti.
Analogo principio è stabilito dagli art. 298 e 304 c.p.c., ri
spettivamente, in tema di sospensione ed interruzione del pro cesso.
Ancora, l'art. 669 quater, 2° comma, c.p.c. ammette la possi bilità di emettere provvedimenti cautelari, quando il giudizio è
sospeso o interrotto.
Se il legislatore ha stabilito la prevalenza delle ragioni di ur
genza, anche nelle ipotesi in cui il processo cognitivo è sospeso o interrotto, a maggior ragione, deve ritenersi che una misura
cautelare già concessa, inaudita altera parte, debba conservare i
propri effetti (sino a che non si decida sulla sua revoca, confer
ma o modifica), quando sono stati violati i criteri di ripartizione interna degli affari nell'ambito del medesimo ufficio giudizia rio.
Se, poi, si volge lo sguardo al sistema giuridico in una pro
spettiva più ampia, ci si avvede che — in materia penale (nella
quale le misure cautelari hanno un'incidenza ben maggiore ri
spetto alla materia civile, incidendo sulla libertà personale, tan
t'è che la Costituzione tutela la detta libertà all'art. 13) — vi è
l'art. 27 c.p.p., per il quale le misure cautelari disposte dal giu dice dichiaratosi incompetente conservano efficacia, la quale cessa solo se il giudice dichiarato competente non provvede, nei
venti giorni dall'ordinanza declaratoria dell'incompetenza con
cui gli sono stati trasmessi gli atti, sulla misura cautelare.
Pertanto, il decreto di sequestro non va revocato da questo
giudice designato e sulla sua revoca, conferma o modifica prov vederà il giudice designato dal presidente del tribunale.
Il Foro Italiano — 2003.
TRIBUNALE DI IVREA; ordinanza 22 ottobre 2002; Giud.
Morlini; Vicina Mazzaretto (Avv. Cervio, Benni) c. Cassa di
risparmio di Torino (Avv. Novo).
TRIBUNALE DI IVREA;
Procedimento civile — Decisione a seguito di trattazione
scritta — Causa d'interruzione — Notifica successiva al
l'udienza di precisazione delle conclusioni — Effetti —
Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 189, 190, 281 quinquies,
300).
Nei procedimenti da decidersi a seguito di trattazione scritta la
notifica, successiva all'udienza di precisazione delle conclu
sioni ma anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, ed il successivo deposito in cancel
leria di atto contenente la comunicazione di un evento inter
ruttivo comporta l'interruzione del processo (nella specie, con l'atto notificato il difensore aveva comunicato e docu
mentato l'avvenuta fusione per incorporazione chiedendo
l'interruzione; a seguito del deposito in cancelleria dell'atto
il giudice aveva invitato l'altra parte ad assumere posizione, nella propria memoria di replica, sull'istanza di interruzione,
poi pronunciata). (1)
(1)1. - In senso sostanzialmente conforme. Trib. Torino, ord. 5 mar zo 2002, Foro it., 2002, I, 3231, con ampia nota di richiami ed osserva zioni di M. Iozzo, alla quale si rinvia per indicazioni di precedenti e di dottrina sull'argomento.
Detto precedente, al pari di altri, ha ritenuto idonea a comportare l'interruzione del processo la dichiarazione dell'avvenuto fallimento della parte contenuta nella comparsa conclusionale, sul rilievo — con diviso anche dalla sentenza in rassegna — che al limite temporale della «chiusura della discussione davanti al collegio», di cui all'art. 300, ul timo comma, c.p.c., «deve equipararsi la scadenza del termine perento rio previsto per il deposito della memoria di replica, in quanto fino alla scadenza di tale termine permane l'esigenza di salvaguardare l'integrità del contraddittorio».
Sul rilievo — del tutto similare — che sino alla scadenza del termine
per il deposito della memoria di replica «la parte deve essere ancora
posta nelle condizioni di difendersi con l'assistenza ed il ministero di un difensore», sempre Trib. Torino, ord. 30 novembre 2001 (ibid., 697) ha dichiarato l'interruzione del processo in caso di morte del difensore
prima della scadenza del termine per il deposito delle memorie di repli ca (in tal caso della morte del difensore — che ai sensi dell'art. 301
c.p.c. rileva anche d'ufficio quale causa di interruzione, prescindendo dalla formale dichiarazione — era stato dato atto dal sostituto proces suale del defunto con dichiarazione depositata in cancelleria).
Nel caso dell'ordinanza in rassegna l'evento interruttivo, attinente la
parte e non il difensore, era stato notificato alla controparte (in stretta aderenza a quanto previsto dall'art. 300, 1° comma, c.p.c., in alternati va alla «dichiarazione in udienza») con atto poi depositato in cancelle
ria, non già dichiarato nella comparsa conclusionale. A seguito del deposito dell'atto in cancelleria, il giudice aveva invi
tato, con apposita ordinanza, la controparte ad assumere posizione sulla richiesta di interruzione nella propria memoria di replica; detta ordi nanza sembra riconducibile all'esercizio del potere di direzione del
procedimento di cui all'art. 175 c.p.c. che, nella specie, ha consentito lo
sviluppo di un effettivo contraddittorio sulla questione, altrimenti non
garantito dalla circostanza che l'evento interruttivo non era stato di chiarato dalla parte interessata nella propria comparsa conclusionale; in tal modo, invero, il giudice unico, constatata la pendenza del termine
per il deposito delle repliche, ha potuto contemperare l'esigenza di tu tela della parte interessata alla declaratoria di interruzione con quella di
rispetto del contraddittorio sulla relativa istanza.
E, tuttavia, il caso di rilevare che l'esercizio del potere d'ufficio è stato reso possibile, nella specie, dalla duplice circostanza che la parte controinteressata all'interruzione non aveva ancora depositato la pro pria memoria di replica e che la cancelleria aveva trasmesso al giudice, dopo il deposito, l'atto notificato contenente la dichiarazione dell'e vento interruttivo con relativa documentazione allegata.
E altresì da rilevare che, a cospetto della previsione dell'art. 300, 1°
comma, c.p.c., la notifica di apposito atto è l'unica modalità certamente rituale per dedurre la causa d'interruzione, in alternativa alla dichiara zione in udienza (che in casi assimilabili a quello della decisione in ras
segna non è, ovviamente, possibile): la giurisprudenza della Cassazio
ne, contrariamente a quanto ritenuto da Trib. Torino, ord. 5 marzo
2002, cit., non è univoca nel ritenere efficace la dichiarazione dell'e vento in conclusionale: depone, infatti, in senso favorevole, Cass. 27
gennaio 1984, n. 632, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 22, nel mentre, contrarie, v. le successive sentenze 22 gennaio 1993, n.
782, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 183, e 23 novembre 2000, n. 15131, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 378, che ribadiscono la necessità della di chiarazione in udienza o tramite specifico atto notificato.
Da ciò consegue che l'orientamento recepito (anche) dal provvedi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Rilevato che con atto notìficato il 25 settembre 2002, e cioè
dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima del
termine di scadenza per il deposito delle memorie ex art. 190
c.p.c., la Cassa di risparmio di Torino comunicava a Stefano Vi
cina Mazzaretto, quale procuratore speciale dei sig. Scapino
Giuseppe, Griselli Orsola e Ester Chiesa, l'avvenuta fusione per
incorporazione della Cassa di risparmio di Torino stessa nell'U
nicredito italiano, allegando la documentazione relativa e dedu
cendo così la verificazione di una causa interruttiva del proces so;
— a seguito del deposito in cancelleria, avvenuto il 27 set
tembre 2002, della copia notificata dell'atto, questo giudice istruttore, con ordinanza 30 settembre 2002, invitava la difesa
del Vicina Mazzaretto a prendere posizione, tramite la memoria
di replica, circa la configurabilità dell'interruzione del processo nel caso di specie;
— con memoria di replica depositata il 16 ottobre 2002, Vi
cina Mazzaretto, pur dando correttamente atto dell'esistenza di
una giurisprudenza di segno contrario, richiedeva di non pro nunciare l'interruzione del processo, posto che l'evento astrat
tamente idoneo ad integrare l'interruzione si era verificato dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, e che comunque le
finalità dilatorie della difesa ex adverso erano appalesate dal
fatto che si era atteso oltre due mesi dalla fusione per operare la
comunicazione.
Ritenuto che non è in contestazione il fatto che, di per sé, la
fusione per incorporazione di una parte del processo nel corso
del giudizio, integri ex art. 300 c.p.c. un evento interruttivo del
processo stesso per estinzione della società (cfr., per la pacifica
giurisprudenza, Cass. 10595/01, Foro it., Rep. 2001, voce Pro
cedimento civile, n. 273; 6298/99, id., 2000,1, 379; 9822/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 360; 3694/98, id., 1998, I, 2909; 7704/96, id., 1997, I, 1911; 782/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 183; 5325/83, id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 146);
— la questione giuridica sottoposta all'attenzione di questo
giudice, è invece quella relativa all'idoneità o meno a provocare l'interruzione del processo, la verificazione e rituale comunica
zione di un evento interruttivo dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, pur se prima del termine finale per il deposito delle memorie conclusive ex art. 190 c.p.c.
11 dubbio in proposito nasce dal fatto che l'art. 300, ultimo
comma, c.p.c., nel disciplinare la problematica in esame, statui
sce che la morte o la perdita della capacità della parte «non pro duce effetto» se si verifica od è notificata «dopo la chiusura
della discussione davanti al collegio». È quindi di tutta evidenza
che la norma, in vigore sin dalla versione originaria del codice
di rito del 1942, non si coordina con la novella introdotta dalle 1.
353/90 e 534/95, introduttiva del c.d. nuovo rito processualcivi listico, che prevede, nella normalità dei casi e salvo le eccezioni
di cui all'art. 281 quinquies, 2° comma, e 281 sexies c.p.c., l'u
dienza di precisazione delle conclusioni e non già l'udienza di
discussione (cfr. art. 190 c.p.c.);
mento in rassegna, indipendentemente dalla sua condivisibilità o meno sul piano del principio, postula:
— o una forzatura della lettera dell'art. 300 c.p.c., non del tutto avallata dalla giurisprudenza della Suprema corte, qualora si ritenga possibile la dichiarazione dell'evento interruttivo in conclusionale;
— o, comunque, qualora si ritenga necessaria, ai fini della rilevanza della causa d'interruzione, la notifica di apposito atto ai sensi dell'art. 300 c.p.c., l'esercizio di poteri ex officio, a tutela del contraddittorio, riconducibili all'art. 175 c.p.c. (e quindi rimessi alla discrezione del
giudice e non sempre esercitabili anche se ritenuti opportuni, come nel caso di mancata trasmissione dell'atto depositato da parte della cancel leria o di deposito già avvenuto della memoria di replica o, ancora, in caso di rinuncia al deposito delle repliche) volti a «stimolare» la reda zione di memoria di replica, altrimenti superflua in assenza della com
parsa conclusionale. Per tacere, in ogni caso, delle possibili difficoltà connesse all'even
tuale fase di riassunzione (sulle quali, v. Trib. Messina 7 marzo 1999, id.. Rep. 2001. voce cit., n. 280, e Giur. merito, 2000, 1222, citata dalla decisione in rassegna quale precedente contrario all'interpretazione condivisa).
II. - Sulla fusione per incorporazione, quale causa di interruzione del
processo, v., in particolare, tra le altre citate in motivazione dalla sen
tenza in rassegna, Cass. 22 giugno 1999, n. 6298, Foro it., 2000, I, 379, e 9 aprile 1998, n. 3694, id., 1998, I, 2909; per una fattispecie partico lare, v. anche Trib. Potenza 11 giugno 1998, id., 2000, I, 902. [V. Far
NARARO]
Il Foro Italiano — 2003.
Considerato che, ciò esposto in linea generale, deve eviden
ziarsi come si siano formati due orientamenti circa l'interpreta zione dell'art. 300, ultimo comma, c.p.c., a seguito dell'entrata
in vigore del nuovo rito.
Secondo una tesi, infatti, l'udienza di «discussione davanti al
collegio» deve essere assimilata all'udienza di precisazione delle conclusioni davanti al giudice istruttore ex art. 190 c.p.c.
Consegue che è proprio l'udienza di precisazione delle conclu
sioni il termine ultimo per poter far valere un evento interruttivo
del processo, e che quindi non è possibile richiedere la declara
toria di interruzione tramite comparsa conclusionale o memoria
di replica; né costituirsi nel processo con detti atti, da' parte del
l'avente diritto, a seguito di morte o perdita di capacità della
parte. Una differente ricostruzione, invece, assume che il termine
ultimo della «discussione davanti al collegio», ove non sia di
sposta la discussione ex art. 281 quinquies, 2° comma, e 281
sexies c.p.c., deve farsi oggi coincidere con il decorso del ter
mine concesso dal giudice ex art. 190 c.p.c. dopo la precisazio ne delle conclusioni. La conseguenza è allora che risulta ben
possibile ottenere la pronuncia di interruzione a seguito di co
municazione dell'evento effettuata tramite comparsa conclusio
nale o memoria di replica; ovvero costituirsi con tali atti difen
sivi, da parte dell'avente diritto, a seguito di morte o perdita di
capacità della parte. Pur consapevole dell'oggettiva opinabilità della questione,
ritiene questo giudice di aderire a quest'ultima tesi, e di consi
derare quindi rilevanti gli eventi interruttivi verificatisi e comu
nicati dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, pur se
prima della scadenza del termine di cui all'art. 190 c.p.c.; ad
avviso del decidente, la soluzione prescelta è infatti l'unica che
consente un'effettiva tutela delle prerogative difensive della
parte interessata alla pronuncia giurisdizionale. Invero, deve osservarsi che, nella vigenza del c.d. vecchio ri
to, l'udienza di discussione davanti al collegio consumava ogni residua possibilità di esperire attività difensiva, posto che le
comparse conclusionali e le memorie di replica erano già state
depositate e che nessun ulteriore atto era possibile per la parte, decorrendo immediatamente dall'udienza i termini per il depo sito della sentenza ed il dovere per il giudice di provvedere. Si
spiega quindi come risultasse superfluo coinvolgere nel proces so il successore nella posizione giuridica della parte deceduta o
che avesse perduto la capacità, atteso che tale successore non
avrebbe comunque potuto in alcun modo partecipare al processo od incidere sul suo svolgimento.
Affatto diversa è invece la situazione del nuovo rito, laddove,
dopo la precisazione delle conclusioni, residua per le parti la
possibilità di svolgere una rilevante attività difensiva, quale
quella prevista dal deposito di conclusionali e repliche, e solo
dopo la scadenza del termine per il loro deposito nasce per il
giudice il dovere di provvedere. Consegue quindi che non può essere precluso al successore nella posizione giuridica della
parte deceduta o che abbia perduto la capacità, la possibilità di
partecipare al processo e di cercare di incidere sul suo svolgi mento; oltre che fondata sulle ragioni logiche sopra esposte, la
soluzione qui accolta risulta poi essere seguita dalla Suprema
corte, dalla maggioritaria dottrina e dalla quasi unanime giuris
prudenza di merito formatasi sul punto, e cioè sull'interpreta zione dell'art. 300, ultimo comma, dopo l'entrata in vigore del
nuovo rito.
In particolare, si osserva come, sulla scia della più autorevole
dottrina processualcivilistica, la Corte di cassazione, con la pro nuncia 15131/00 (id.. Rep. 2000, voce Procedimento civile, n.
378), abbia confermato la rilevanza di un evento interruttivo
comunicato dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni,
pur se prima dello scadere dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.; come alle stesse conclusioni siano giunte Trib. Lucca 9 gennaio 1998 (id.. Rep. 1998, voce cit., n. 377) e Trib. Genova 15 aprile 1996 (ibid., n. 370); e come lo stesso Tribunale di Ivrea, con un
recente ed inedito provvedimento, abbia aderito a tale orienta
mento (cfr. Trib. Ivrea 16 gennaio 2002, giud. monocratico Bu
fardeci). Unica voce contraria, nel panorama giurisprudenziale edito e
noto a questo giudice, è allora quella di Trib. Messina 7 marzo
1999 (id.. Rep. 2001, voce cit., n. 280), ma. alla luce delle ar
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943 PARTE PRIMA 944
gomentazioni logiche sopra esposte, tale minoritaria tesi non
può essere seguita; infine, è di assoluta evidenza come sia ini
donea a supportare la tesi contraria la doglianza della difesa di
parte attrice, a tenore della quale l'attesa di due mesi tra la veri
ficazione dell'evento interruttivo e la sua comunicazione, di
svela la finalità dilatoria con la quale la comunicazione stessa è
stata posta in essere.
Sul punto, basta osservare che, da un lato, è tutt'altro che
certo che il decorso di due mesi tra la fusione della Cassa di ri
sparmio di Torino e la sua comunicazione processuale, appalesi di per sé un comportamento dilatorio, tenuto conto del tipo di
fusione operata, della sua verificazione nel periodo di sospen sione feriale dei termini e del numero delle controversie giuris dizionali interessate; dall'altro lato e comunque, se anche così
fosse, l'unica reazione processuale possibile sarebbe quella di
valutare ex art. 116, 2° comma, c.p.c., in sentenza, il comporta mento processuale che si pretende scorretto, ma non certo quella di impedire l'applicazione di una norma di legge quale l'art.
300 c.p.c. Evidenziato che, alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve
ritenersi, ai fini processuali, rilevante e tempestiva la comunica
zione effettuata dalla Cassa di risparmio di Torino circa la fu
sione per incorporazione nella Unicredito italiano, e va pertanto dichiarata ex art. 300 c.p.c. l'interruzione del processo.
TRIBUNALE DI RAVENNA; decreto 17 ottobre 2002; Pres.
Lacentra, Rei. De Lorenzo; Soc. Betania.
TRIBUNALE DI RAVENNA;
Società — Incorporazione di società lucrativa in ente non
commerciale — Deliberazione — Iscrizione nel registro delle imprese (Cod. civ., art. 2411, 2453, 2497, 2501, 2502
bis, 2503).
Sussistono i presupposti per ordinare l'iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione con cui l'assemblea straor
dinaria di una società lucrativa ha approvato, all'unanimità, il progetto di fusione per incorporazione in un ente non com
merciale, dotato di personalità giuridica. (1)
(1) Nel caso di specie, era stata progettata l'incorporazione di una s.r.l. unipersonale in una fondazione. Sennonché il notaio, che aveva verbalizzato la delibera a ciò finalizzata, aveva ritenuto di non proce dere in prima persona all'iscrizione della stessa nel registro delle imprese. Pertanto, l'amministratore della società aveva avviato il procedimento di volontaria giurisdizione delineato dall'art. 2411 c.c., disposizione cui e
spressamente rinvia, in relazione al progetto di fusione, l'art. 2502 bis c.c. Il collegio giudicante ritiene che l'operazione programmata, ancor
ché non corrispondente al modello codicistico, sia comunque ammissi bile, in quanto non si presenta lesiva di interessi giuridicamente rile vanti. Per conseguire tale obiettivo, peraltro, si rende necessario ri chiamare l'operatività di norme dettate per disciplinare il fenomeno della fusione tra società (in particolare, l'art. 2503 c.c., che prevede l'opposizione dei creditori).
Con riferimento alla disciplina anteriore alla 1. 340/00, quando il controllo giudiziario era imprescindibile, si era ritenuto ammissibile che una società lucrativa venisse incorporata da un ente non commer ciale: cfr. Trib. Udine, decr. 14 agosto 1998, Soc. immob. Giovanni da
Udine, Foro it., Rep. 1999, voce Società, n. 1083. Per contro, era stata
negata l'omologazione della deliberazione con cui un ente non com merciale prevedeva di incorporare una società lucrativa, sul presuppo sto che gli atti soggetti al controllo del tribunale costituivano un Hume rus clausus: cfr. Trib. Udine, decr. 14 agosto 1998, 1st. diocesano so stentamento clero Udine, ibid., n. 1084. Entrambi i provvedimenti sono annotati da G. Zagra, Ammissibilità della fusione eterogenea tra ente non commerciale e società lucrativa, in Società, 1999, 343.
Circa l'impossibilità di dar corso ad una valida fusione nell'ipotesi in
Il Foro Italiano — 2003.
Letto il ricorso depositato il 25 settembre 2002, con il quale il
presidente del consiglio di amministrazione della società Befa
nia s.r.l., con sede in Ravenna, ha domandato ai sensi dell'art.
2411 c.c. l'ordine di iscrizione nel registro delle imprese della
deliberazione con cui l'assemblea straordinaria della predetta società, con verbale redatto dal notaio E. Scarano di Ravenna in
data 28 agosto 2002, rep. 105691, ha approvato il progetto di
fusione per incorporazione nella fondazione San Rocco Onlus,
con sede in Ravenna;
preso atto che il p.m. ha restituito gli atti senza l'espressione di alcun parere o richiesta, ritenendoli non dovuti;
rilevato che l'operazione di fusione sottoposta al vaglio del
tribunale, involgendo una società lucrativa e un ente non com
merciale, ancorché dotato di personalità giuridica, si discosta
dal paradigma degli art. 2501 ss. c.c. — destinati a regolare
espressamente le operazioni di fusione tra società — e, tuttavia, non risulta, altrettanto espressamente, vietata dalla legge;
ritenuto che la valutazione di legittimità dell'atipica opera zione prospettata presuppone un'analisi degli interessi in gioco, in funzione dell'emersione di eventuali lesioni di interessi pro tetti evidentemente ostativa all'accoglimento dell'istanza;
dato atto che, sul piano pratico, la c.d. fusione eterogenea si
configura quale più agile alternativa alla sequenza procedimen tale, indubbiamente legittima, dello scioglimento della società
lucrativa, dell'espletamento della fase di liquidazione e del con
ferimento dell'attivo di liquidazione nell'ente non commerciale; osservato che l'omissione di tale più articolata procedura pro
spetta, in astratto:
1) una lesione dell'interesse dei soci dissenzienti della società
lucrativa alla continuazione di un'attività produttiva di utili di
stribuibili, incompatibile con la diversa funzione della fonda
zione, ovvero al conseguimento della propria quota di riparti zione dell'attivo dì liquidazione (cfr. art. 2453 e 2497 c.c.);
2) una lesione dell'interesse dei creditori sociali a soddisfarsi
nella liquidazione, e a conservare quelle garanzie di effettività
del capitale sociale che sono proprie (soltanto) delle società di
capitali; ritenuto che la rilevanza dell'interesse dei soci dissenzienti è
nella specie superata dall'unanimità dell'approvazione assem
bleare della delibera di fusione, e che a presidio degli interessi
dei creditori sociali resta ferma l'operatività della disposizione dell'art. 2503 c.c. (e ciò, indipendentemente dalla ovvia succes
sione nei debiti della società incorporanda da parte dell'ente in
corporante); dato atto che gli adempimenti prodromici alla delibera di fu
sione risultano correttamente effettuati;
per questi motivi, ordina l'iscrizione nel registro delle impre se di Ravenna della deliberazione di fusione per incorporazione di cui in parte motiva.
cui una delle partecipanti all'operazione sia una società irregolare o di fatto, v., nella motivazione, Cass. 21 giugno 1971. n. 1912, Foro it., 1971,1,1849.
Si è ritenuta omologabile la delibera assembleare con cui una società mutua di assicurazione si trasforma in una società per azioni: v. Trib. Mi lano 13 febbraio 1998, id., Rep. 1999, voce cit„ n. 1067 (annotata da F. Chiomenti, La determinazione delta quota del socio di una mutua assi curatrice al fine dell'assegnazione delle azioni nel caso di trasforma zione della mutua in società azionaria, in Riv. dir. comm., 1999, II, 55).
In tema di controllo giudiziario sulla delibera di fusione, v. App. Roma, decr. 25 giugno 2001, e Trib. Roma, decr. 2 aprile 2001, Foro it., 2001, I, 3702; App. Torino, decr. 24 agosto 2000, ibid., 696, con nota di M. Silvetti, Sul tramonto del giudizio di omologazione delle società di capitali.
Va segnalato, inoltre, che la recente riforma organica del diritto so cietario (d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, Le leggi, 2003, I, 440, emanato in attuazione della delega conferita con 1. 3 ottobre 2001 n. 366), nel ri modellare la disciplina della fusione, non si occupa dei casi di fusione
eterogenea. Diversamente, per quel che riguarda la trasformazione, i nuovi art. 2500 septies e 2500 opties c.c., destinati ad entrare in vigore il 1° gennaio 2004, sono in modo esplicito dedicati alla trasformazione
eterogenea, rispettivamente, da e in società di capitali (sono, a tal pro posito, menzionate le seguenti figure soggettive: consorzi, società con sortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non ri conosciute e fondazioni); il successivo art. 2500 nonies contempla, quindi, regole specifiche sull'efficacia di questo tipo di trasformazione e sull'opposizione dei creditori.
Circa i contenuti della comunicazione della deliberazione di trasfor mazione ex art. 2499 c.c., cfr. Cass. 8 agosto 2002, n. 11994. Foro it., 2003,1, 175, con nota di richiami.
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