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ordinanza 23 maggio 2003, n. 170 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 maggio 2003, n. 21);...

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Page 1: ordinanza 23 maggio 2003, n. 170 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 maggio 2003, n. 21); Pres. Chieppa, Est. Amirante; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Milano 28 settembre

ordinanza 23 maggio 2003, n. 170 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 maggio 2003, n. 21);Pres. Chieppa, Est. Amirante; interv. Pres. cons. ministri. Ord. App. Milano 28 settembre 2001(G.U., 1 a s.s., n. 6 del 2002)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 2895/2896-2899/2900Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197847 .

Accessed: 28/06/2014 10:13

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2895 PARTE PRIMA 2896

dell'azienda Usi e dipendenti di questa con compiti tecnico

sanitari, come i primari; né è confrontabile, per portata e ratio,

l'incompatibilità sancita per i primi con le cariche elettive ad

ogni livello e indipendentemente dal rapporto territoriale, con

quella che il rimettente vorrebbe reintrodurre rispetto alla sola

carica di sindaco del comune, il cui territorio coincide con

quello in cui opera l'azienda.

10. - Le conclusioni raggiunte in ordine alla disposizione

abrogativa di cui all'art. 274, 1° comma, lett. I), d.leg. n. 267

del 2000 valgono, evidentemente, anche in relazione agli art. 63

e 66 stesso t.u., impugnati dal Tribunale di Forlì nella parte in

cui non prevedono la predetta causa di incompatibilità. 11.- Deve invece essere dichiarata inammissibile la questione

sollevata dal Tribunale di Macerata in ordine all'art. 275 del te

sto unico di cui al d.leg. n. 267 del 2000: l'impugnazione, che

non è sorretta da alcuna specifica motivazione, concerne una di

sposizione la cui unica portata è quella di sostituire alle norme

abrogate quelle corrispondenti del testo unico, ai fini dei ri

chiami ad esse che siano contenuti in altre disposizioni normati

ve.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: a) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzio

nale dell'art. 274, 1° comma, lett. /), d.leg. 18 agosto 2000 n.

267 (t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sollevate

rispettivamente, in riferimento agli art. 3, 76 e 97 Cost., dal Tri

bunale di Forlì e, in riferimento agli art. 76 e 77 Cost., dal Tri

bunale di Macerata con le ordinanze indicate in epigrafe; b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio

nale degli art. 63 e 66 predetto d.leg. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento agli art. 3, 76 e 97 Cost., dal Tribunale di Forlì

con l'ordinanza in epigrafe; c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 275 predetto d.leg. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento agli art. 76 e 77 Cost., dal Tribunale di Macerata

con l'ordinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 23 maggio 2003, n. 170 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 maggio 2003, n.

21); Pres. Chieppa, Est. Amirante; interv. Pres. cons, mini stri. Ord. App. Milano 28 settembre 2001 (G.U., la s.s., n. 6 del 2002).

Adozione e affidamento — Persone maggiori di età — Divie to di adozione in presenza di discendenti — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 30; cod. civ., art. 291).

E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 291 c.c., nella parte in cui non prevede che

possa aversi adozione di maggiorenne da parte di persona che abbia discendenti legittimi o legittimati di età minore, in

riferimento agli art. 2, 3 e 30 Cost. (1)

(1) I. - In senso analogo, per l'affermazione del divieto di adozione di persona maggiore di età da parte di chi abbia discendenti legittimi o

legittimati minorenni, v. — richiamate dal giudice a quo e in motiva zione — Corte cost. 23 febbraio 1994, n. 53, Foro it., 1994, I, 1321, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 e «per quanto vi si connette», dell'art. 297 c.c., nella parte in cui non consentono l'adozione alle persone che hanno discendenti

legittimi o legittimati minorenni; nonché Corte cost. 16 luglio 1996, n. 252, id., 1997, I, 386, con osservazioni di G. Salmè, che ha dichiarato inammissibile, in quanto prospettava un intervento additivo della Corte costituzionale, la questione di legittimità costituzionale degli art. 291 e 312, n. 2, c.c., nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, la pos sibilità di adozione di un maggiorenne da parte di chi abbia discendenti

legittimi o legittimati in età minore, anche quando l'adottando sia figlio

Il Foro Italiano — 2003.

Ritenuto che, nel corso del procedimento di reclamo avverso

un provvedimento del Tribunale di Monza del 28 febbraio 2001

che aveva respinto il ricorso presentato ex art. 291 c.c. da M. B.

al fine di ottenere l'adozione della figlia legittima maggiorenne della propria attuale moglie, la Corte d'appello di Milano ha

sollevato, in riferimento agli art. 2, 3 e 30 Cost., questione di

legittimità costituzionale dell'art. 291 c.c., nella parte in cui non

prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da parte di

soggetto che abbia discendenti legittimi o legittimati di età mi nore;

legittimo del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inserito nella co munità familiare, e la possibilità che il giudice, apprezzando la conve nienza dell'adozione per l'adottando, possa valutare, altresì, comples sivamente, tutti gli interessi coinvolti, in rapporto al fine del rafforza mento dell'unità familiare.

Sul tema, nella giurisprudenza di merito, v. App. Napoli 17 maggio 1991, id., Rep. 1993, voce Adozione, n. 37, e Giur. merito, 1993, 375, secondo cui l'efficacia preclusiva dell'adozione scaturente dall'art. 291 c.c. trova la sua piena giustificazione, sul piano del diritto sostanziale, nella tutela della filiazione legittima e, su quello processuale (a fronte del diverso trattamento riservato all'adottando nel caso in cui esistono

figli maggiorenni dell'adottante, che siano consenzienti), nell'impossi bilità per il figlio minore legittimo di esprimere validamente il suo con senso all'adozione, non potendo detto consenso neanche essere espres so da altri (genitori o curatore speciale) per essersi in presenza di un «atto personalissimo», non delegabile ad altri pur responsabili soggetti.

Contra, per l'affermazione della possibilità di pronunciare adozione di maggiorenne, pur se l'adottante abbia discendenti legittimi o legitti mati di età minore, e quindi impossibilitati ad esprimere il relativo as

senso, quando comunque sussista interesse dell'adottando, v. App. Ge nova 8 marzo 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 44, e Famiglia e dir.. 1997, 127, con nota di W. Riedweg; nello stesso senso, v. Trib. Aosta 27 agosto 1999, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 66, che ha am messo la possibilità di disporre l'adozione di un maggiorenne da parte di chi abbia un discendente legittimo di minore età, quando vi sia il consenso dell'altro genitore esercente la potestà sul minore e l'acquisi zione dell'adottando al nucleo familiare cui appartiene detto minore si risolva in vantaggio non solo dell'adottando ma dello stesso figlio mi norenne dell'adottante.

In dottrina, in senso favorevole all'abrogazione del divieto di adotta re maggiorenni, in presenza di figli legittimi minori, A. De Cupis, Il consenso dei discendenti legittimi all'adozione, in Giur. it., 1988, I, 1, 1442.

Hanno, invece, sostenuto che l'efficacia preclusiva dell'adozione di

maggiorenni dovuta alla presenza di figli legittimi minori, pur contra stando con la disciplina dell'adozione dei minorenni, è, tuttavia, con forme alla natura ed alla ratio dell'adozione dei maggiorenni e trova la sua giustificazione nella peculiare finalità di tale istituto, anche alla lu ce della 1. 184/83, A. Procida Mirabelli Di Lauro, Adozione di perso ne maggiori di età, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1995, 360; G. Manera, Sul divièto di adozione da parte dell'adottante che abbia discendenti legittimi o legittimati minorenni, in Giur. merito, 1993, 380; G. Sbisà-G. Ferrando, Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1982, IV, 245.

II. - Sulla illegittimità dell'art. 291 c.c. nella parte in cui non preve deva la possibilità di procedersi all'adozione di maggiorenne da parte di chi avesse discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consen zienti, v. Corte cost. 19 maggio 1988, n. 557, Foro it., 1988,1, 2801.

Per l'affermazione della possibilità di procedere all'adozione di per sona maggiore di età in presenza di figli legittimi o legittimati maggio renni, ma incapaci di esprimere il loro assenso, v. Corte cost. 20 luglio 1992, n. 345, id., 1993, I, 3008; con la tale pronunzia, la Consulta, ren dendo una sentenza interpretativa di rigetto, ha affermato che, qualora l'adottante di persona maggiore di età abbia figli legittimi o legittimati maggiorenni, ma incapaci di esprimere il loro assenso, il tribunale può ugualmente pronunciare l'adozione con le modalità previste dall'art. 297 c.c., apprezzando gli interessi indicati in questa norma, la quale si

applica a tutte le persone chiamate ad esprimere il loro assenso e, quin di. anche ai discendenti legittimi o legittimati impossibilitati, per inca

pacità, ad esprimere il loro assenso. III. - Sull'inderogabilità della differenza di età che deve intercorrere

tra adottante e adottato nell'adozione dei maggiorenni, v. Corte cost. 15 marzo 1993, n. 89, ibid., 3200, con nota di richiami, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 c.c., nella parte in cui stabilisce che, in caso di adozione di maggiori di età, l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l'età dell'adottando, senza prevedere che il giudice possa ridurre la differenza nel caso di adozione del figlio maggiorenne, anche adottivo, dell'altro coniuge. Analoga questione è stata dichiarata infondata da Corte cost. 17 no vembre 2000, n. 500, e manifestamente infondata da Corte cost., ord. 23 marzo 2001, n. 82, entrambe, id., 2002,1, 42, con nota di richiami.

Nella giurisprudenza di legittimità, nel senso che è possibile deroga

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

che la corte rimettente premette, in fatto, che il reclamante è

padre di una figlia minorenne, nata dal suo attuale matrimonio, che l'adottanda è da circa venti anni stabilmente inserita nel nu

cleo familiare costituito per effetto di tale matrimonio e che il

padre legittimo dell'adottanda ha manifestato il proprio consen

so all'adozione mentre il procuratore generale ha concluso per il

rigetto del reclamo;

che, per quel che riguarda la non manifesta infondatezza della

questione, la Corte d'appello di Milano, benché identica que stione sia già stata respinta da questa corte, ritiene di riproporla essendo nel frattempo intervenuta la sentenza della Corte di cas

sazione 14 gennaio 1999, n. 354 (Foro it., 1999, I, 1926), la quale, a suo avviso, «ha espressamente affermato che la diffe

renza tra adozione ordinaria e adozione speciale risulta tempe rata allorché i figli maggiorenni e minorenni siano fratelli tra di

loro e vi sia permanenza dell'adottando nella stessa famiglia, con la conseguenza che la famiglia dell'adottando è stretta

mente legata, anzi coincide, con quella dell'adottante» e che il

maggiorenne, se non adottato dal nuovo coniuge del proprio ge

nitore, «resterebbe estraneo al medesimo e vivrebbe il disagio sociale della manifesta diversità di origine, con possibili disar

monie nella formazione psicologica e morale»; che il giudice a quo richiama, quindi, la sentenza di questa

corte n. 557 del 1988 (id., 1988,1, 2801) con la quale è stata di

chiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 291 c.c., nella

parte relativa al divieto di adozione di maggiorenne da parte di

chi abbia figli legittimi o legittimati maggiori di età e consen zienti, nonché la sentenza n. 345 del 1992 (id., 1993, I, 3008)

che, facendo riferimento all'art. 297, 2° comma, ultima parte, c.c., ha ammesso la possibilità di derogare al suddetto divieto

anche da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati maggio renni ma incapaci di esprimere il proprio assenso;

che, dopo aver altresì ricordato le sentenze n. 53 del 1994

(id., 1994, I, 1321) e n. 252 del 1996 (id., 1997, I, 386) — che, pronunciandosi su questioni analoghe a quella attualmente sol

levata, hanno escluso la derogabilità del divieto in argomento in

presenza di discendenti legittimi o legittimati minorenni del

l'adottante anche nel caso di adottando maggiorenne figlio del

coniuge dell'adottante e stabilmente inserito nella comunità fa

miliare cui ha dato vita il matrimonio attualmente in corso — la

corte rimettente sottolinea che, essendo tutta la normativa della

famiglia, come regolata dal legislatore del 1975 e integrata dagli interventi di questa corte, finalizzata ad adeguarsi «alla continua

evoluzione e alle esigenze della società contemporanea, fondata

oltre che sulla famiglia istituzionale anche sulle comunità di vita

allargate», appare in contrasto con il principio di razionalità

equità e con il principio di tutela dell'interesse superiore dei

re nei limiti della ragionevolezza — anche nel caso di adozione di

maggiorenni — al divario minimo di età (diciotto anni) richiesto tra

adottante e adottato, al fine di non compromettere la realizzazione del

valore costituzionale dell'unità della famiglia, cui è ispirato l'istituto in

esame, v. Cass. 14 gennaio 1999, n. 354, id., 1999,1, 1926.

IV. - Nell'ipotesi in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro

coniuge, v. Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 44, id., 1990, 1, 353, che ha

dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, lett. b). 1. 184/83, nella parte in cui non consentiva al giudice competente di ridurre,

quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unità familia

re, l'intervallo di età di diciotto anni che deve intercorrere tra adottante

e adottato. V. - Sulla finalità dell'istituto dell'adozione di maggiorenni, v. Corte

cost. n. 89 del 1993, cit.; n. 53 del 1994, cit.; 3 luglio 1998, n. 240, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 34; n. 500 del 2000, cit.; n. 82 del 2001, cit.; 11

maggio 2001, n. 120, id., 2002,1, 646, con nota di V. Raparelli.

Prima dell'entrata in vigore della 1. n. 184 del 1983, per l'afferma

zione secondo cui l'adozione di maggiorenni, oltre a consentire la tra

smissione del nome e del patrimonio, aveva anche una funzione di co

stituzione di un vincolo personale e familiare tra adottante e adottando, come consuetudine d'affetto e presenza responsabile dell'adottante

nella vita dell'adottato, v. Trib. min. Trento 21 settembre 1970, id..

Rep. 1971, voce cit., n. 35, e Giur. merito, 1971,1. 11.

In dottrina, in generale sulle finalità dell'istituto, v. L. Rossi Carleo,

Adozione e tutela della famiglia ricostituita, in Famiglia e dir., 1999,

113; G. Ferrando, Dell'adozione di persone maggori di età, in Comm.

cod. civ. diretto da P. Cendon, Torino, 1991, I, 618; M. Dogliotti, Af

fidamento e adozione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1990, 341

ss.; Id., Il problema del consenso nell'adozione, in Giust. civ., 1984, I, 862.

Il Foro Italiano — 2003.

l'armonia familiare, costituzionalmente garantiti, non consentire

a più figli appartenenti al medesimo nucleo familiare ed aventi

in comune uno dei genitori di vedersi equiparare la rispettiva

posizione giuridica; che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo os

serva che la disposizione impugnata influisce sulla decisione

relativa al reclamo di cui si tratta in quanto essa, nella sua at

tuale formulazione, ne comporterebbe il rigetto; che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei

ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello

Stato, che ha concluso per una dichiarazione di manifesta

inammissibilità o, in subordine, di infondatezza della questione, sottolineando l'identità tra la presente questione e quella dichia

rata inammissibile con la sentenza n. 252 del 1996 ed escluden

do che, rispetto a tale decisione, possa addursi quale significati vo elemento di novità la sentenza della Corte di cassazione n.

354 del 1999, in quanto essa, oltre, a costituire un unicum giuri

sprudenziale, si è occupata di una fattispecie del tutto diversa da

quella attualmente in esame.

Considerato che la Corte d'appello di Milano dubita, in rife

rimento agli art. 2, 3 e 30 Cost., della legittimità costituzionale

dell'art. 291 c.c., «nella parte in cui non prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da parte di soggetto che abbia

discendenti legittimi o legittimati di età minore»;

che, in via preliminare, si deve rilevare che, dalla valutazione

complessiva dell'atto di promovimento dell'incidente di costi

tuzionalità, si desume che la questione, ancorché nel dispositivo di tale atto sia formulata nei menzionati termini, nella relativa

motivazione è specificamente riferita all'ipotesi in cui l'adot

tando sia figlio del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inse

rito nella comunità familiare, sicché è in relazione a quest'ulti ma ipotesi che va definito il thema decidendunr,

che, ad avviso della corte rimettente, la mancata possibilità

per più figli appartenenti al medesimo nucleo familiare ed

aventi in comune uno dei genitori di vedersi riconoscere anche

dal punto di vista giuridico quella parità di cui essi già godono sotto il profilo affettivo sarebbe in contrasto con il principio di

razionalità-equità e con il principio di tutela dell'interesse supe riore dell'armonia familiare, costituzionalmente garantiti;

che il giudice a quo, pur dimostrando di conoscere le senten

ze di questa corte n. 53 del 1994 e n. 252 del 1996, con le quali sono state, rispettivamente, dichiarate l'infondatezza e l'inam

missibilità di analoghe questioni, ritiene tuttavia di sottoporre nuovamente all'attenzione del giudice delle leggi il menzionato

art. 291 c.c. richiamando, da un lato, le sentenze costituzionali

n. 557 del 1988 e n. 345 del 1992 — che harino consentito di

derogare al divieto sancito dalla disposizione impugnata di ado

zione di maggiorenni da parte di chi abbia figli legittimi o legit timati, rispettivamente, nell'ipotesi in cui tali figli siano mag

giorenni e consenzienti e in quella in cui essi siano maggiorenni ma incapaci di esprimere il proprio assenso — e dall'altro fa

cendo riferimento alla sentenza della Corte di cassazione 14

gennaio 1999, n. 354;

che, come più volte affermato da questa corte, l'adozione di

persone maggiori di età, anche dopo l'entrata in vigore della 1. 4

maggio 1983 n. 184, che ha riformato la disciplina dell'adozio

ne e dell'affidamento dei minori, continua ad essere caratteriz

zata, diversamente dall'adozione dei minorenni, dall'originaria finalità di «procurare un figlio a chi non lo ha avuto da natura

mediante il matrimonio (adoptio in hereditatem)» il che com

porta sensibili ricadute in merito ai relativi effetti (v. sentenze n.

89 del 1993, id., 1993, I, 3200; n. 53 del 1994, cit.; n. 252 del 1996, cit.; n. 240 del 1998, id., Rep. 1998, voce Adozione, n. 34; n. 500 del 2000, id., 2002,1. 42; n. 120 del 2001, ibid., 646);

che tale situazione è rimasta inalterata anche dopo l'entrata in

vigore della 1. 28 marzo 2001 n. 149, la quale, oltre a modificare

la citata 1. n. 184 del 1983, ha inciso sulla disciplina codicistica dell'adozione di persone maggiori di età soltanto per alcuni

aspetti processuali; che la suddetta struttura dell'istituto presuppone, fra l'altro,

la necessità che i membri della famiglia legittima dell'adottante

(coniuge e figli) siano adeguatamente posti in condizione di

valutare le conseguenze che, sia sul piano morale sia sul piano

patrimoniale, ha l'adozione di una persona maggiorenne da

parte del loro congiunto; che siffatta valutazione è assicurata dalla prestazione del ri

spettivo assenso;

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2899 PARTE PRIMA 2900

che tale sistema non è stato modificato dalle sentenze di que sta corte n. 557 del 1988 e n. 345 del 1992, la seconda delle

quali si è limitata a ritenere applicabile ai figli legittimi o legit timati maggiorenni la norma dettata dall'art. 297, 2° comma, ultima parte, c.c., per l'ipotesi d'impossibilità di ottenere l'as

senso all'adozione da parte delle persone chiamate ad espri merlo, a causa della loro incapacità;

che, nel caso ora in esame, si chiede alla corte un intervento

di revisione della suddetta normativa di tipo diverso, perché di

retto ad escludere l'assenso dei figli minori anziché a far fronte

alla relativa incapacità di esprimere la loro volontà, in linea con

quanto deciso da questa corte nella sentenza da ultimo citata;

che, pertanto, la relativa ratio decidendi non è applicabile alla

presente questione; che la sentenza della Corte di cassazione richiamata dal giu

dice a quo non può certamente condurre ad un diverso risultato;

che, in base alle suddette considerazioni, la questione va di

chiarata manifestamente infondata.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale

dell'art. 291 c.c., sollevata, in riferimento agli art. 2, 3 e 30

Cost., dalla Corte d'appello di Milano con l'ordinanza indicata

in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 aprile 2003, n. 115 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 aprile 2003, n.

15); Pres. Chieppa, Est. Maddalena; Azienda sanitaria Usi n.

1 di Varese (Avv. Manzi) c. Barisi. Ord. Cons. Stato, sez■ V, 13 maggio 2002 (G.U., la s.s., n. 35 del 2002).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lombar

dia — Assistente sociale coordinatore — Attribuzione di

mansioni di dirigente responsabile del servizio — Tratta

mento economico — Questione infondata di costituzionali

tà (Cost., art. 3, 36; 1. reg. Lombardia 26 aprile 1990 n. 25, modifiche ed integrazioni alla 1. reg. 7 gennaio 1986 n. 1, ri

organizzazione e programmazione dei servizi socio-as

sistenziali della regione Lombardia, art. 24).

E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

24, 3° comma, l. reg. Lombardia 26 aprile 1990 n. 25, nella

parte in cui prevede, nei confronti dell'assistente sociale co ordinatore che abbia svolto le mansioni di dirigente respon sabile del servizio di assistenza sociale, l'attribuzione sol tanto del trattamento economico spettante per la qualifica di

appartenenza e delle indennità connesse all'esercizio delle mansioni concernenti la qualifica superiore, e non anche del trattamento fondamentale corrispondente a tale ultima quali

fica, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (1)

(1) La Corte costituzionale si richiama al proprio indirizzo giurispru denziale per ribadire che lo svolgimento di mansioni superiori non im

plica l'automatica applicazione del corrispondente trattamento econo mico, purché risulti in qualche misura compensato rispetto alla retribu zione della qualifica di appartenenza.

L'ordinanza di rimessione di Cons. Stato, sez. V, 13 maggio 2002, n. 2553, è massimata in Foro it., Rep. 2002, voce Regione, n. 326.

Per la giurisprudenza costituzionale in tema di trattamento economi co in caso di mansioni superiori temporaneamente svolte, v. Corte cost., ord. 10 aprile 2002, n. 100, e 6 novembre 2001, n. 349, ibid., vo ce Impiegato dello Stato, nn. 650, 651, che hanno dichiarato manife stamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33

d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in cui prevede il divieto di retri buire le mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico; ord. 22

Il Foro Italiano — 2003.

Diritto. — 1. - Il giudice rimettente ritiene che l'art. 24, 3°

comma, 1. reg. Lombardia 26 aprile 1990 n. 25 (modifiche ed

integrazioni alla 1. reg. 7 gennaio 1986 n. 1, riorganizzazione e

programmazione dei servizi socio-assistenziali della regione

Lombardia) confligga con l'art. 36 Cost., nella parte in cui pre vede, nei confronti dell'assistente sociale coordinatore che ab

bia svolto le mansioni di dirigente responsabile del servizio di

assistenza sociale, l'attribuzione soltanto del trattamento eco

nomico spettante per la qualifica di appartenenza e delle inden

nità connesse all'esercizio delle mansioni concernenti la quali fica superiore, e non anche del trattamento fondamentale corri

spondente a tale ultima qualifica.

aprile 1999, n. 146, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 846; 25 luglio 1997, n.

273, id., 1997, I, 3463, con nota di richiami, circa il trattamento eco nomico per il conferimento di incarichi di presidenza al personale do cente di ruolo; 31 marzo 1995, n. 101, id., Rep. 1995, voce Sanitario, n. 118, commentata da Palladini, in Giur. costit., 1995, 827, secondo cui il potere del dirigente preposto all'organizzazione del lavoro pub blico di destinare temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile (salvi l'abuso di ufficio e la connivenza del lavoratore, che impedirebbero conseguenze favorevoli all'impiegato) per assicurare il buon anda mento dell'amministrazione, e comporta che al lavoratore non compete l'acquisizione definitiva della qualifica, ma spetta il trattamento corri

spondente alle funzioni espletate di fatto ai sensi dell'art. 36 Cost.; 27

maggio 1992, n. 236, Foro it., 1993, I, 2453, con nota di richiami, commentata da Pinelli, in Giur. costit., 1992, 1818, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della 1. 21 febbraio 1989 n. 63, nella parte in cui non stabilisce che per il periodo anteriore alla decorrenza dell'inquadramento previsto e regolato dall'art. 1 stessa

legge per alcune categorie di personale tecnico e amministrativo del

l'università, sia attribuito al personale che ha svolto le accertate man sioni superiori il trattamento economico della qualifica correlata alle mansioni stesse; 19 giugno 1990, n. 296, Foro it., 1991, I, 3016, con nota di richiami e osservazioni di Cosio, commentata da Arrigoni, in Riv. amm., 1990, 1751, che ha ritenuto infondata, nei sensi di cui in

motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, 2°

comma, d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, nella parte in cui nega il diritto del medico dipendente Usi, al quale siano state affidate mansioni supe riori per un periodo non eccedente i sessanta giorni, di godere del mag gior trattamento economico, in quanto trattasi di norma eccezionale che vale solo entro il limite temporale massimo previsto, e non impedisce, per il resto, l'applicazione diretta dell'art. 36, 1° comma, Cost., sulla base dell'art. 2126, 1° comma, c.c.

Per l'affermazione secondo cui, salvo che una legge disponga altri

menti, le mansioni svolte da un dipendente, ove siano di livello supe riore rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti, sia ai fini economici che ai fini della progressione di carriera, ovvero della emanazione di un prov vedimento di preposizione ad un ufficio; la pretesa ad una retribuzione

superiore a quella attribuita dalla normativa applicabile non può fon darsi sull'art. 36 Cost., v. Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2002, n. 566, Foro it., Rep. 2002, voce Impiegato dello Stato, n. 335; 29 gen naio 2002, n. 483, ibid., n. 656; ad. plen. 28 gennaio 2000, n. 10, id., 2000, III, 119, con nota di richiami, commentata da Nespor, in Riv. critica dir. lav., 2000, 303, da Antinini, in Lavoro nelle p.a., 2000, 597, e da Mezzacapo, in Guida al dir., 2000, fase. 7, 93; 18 novembre 1999, n. 22, Foro it., 2000, III, 13, con nota di richiami, commentata da Gua riso, in Riv. critica dir. lav., 2000, 95, da Calandriello, in Nuove au

tonomie, 2000, 90, da Sbrana, in Riv. amm., 1999, 1047, da Talamo, in Giornale dir. amm., 2000, 1006, da Antonini, in Lavoro nelle p.a., 2000, 597, e da Palmieri, in Rass. avv. Stato, 1999,1, 448.

Nel senso che non si configura un diritto soggettivo del lavoratore alla parità di trattamento a parità di mansioni, per cui il contratto col lettivo può legittimamente prevedere una differente retribuzione in fun zione dell'anzianità dei singoli dipendenti, senza che l'applicazione di tali disposizioni determini una lesione del principio della buona fede e correttezza nel rapporto di lavoro, v. Cass. 8 gennaio 2002, n. 132, Fo ro it., 2002,1, 1033, con nota di richiami.

Circa la legittimità dell'adibizione di un lavoratore, in caso di scio

pero, a mansioni inferiori, v. Cass. 4 luglio 2002, n. 9709, id., 2003, I, 205, con nota di richiami.

Circa i criteri di calcolo delle differenze retributive spettanti in caso di svolgimento di mansioni superiori, cfr. Cons. Stato, comm. spec, pubblico impiego, 22 aprile 2002, n. 507/2001, ibid., Ili, 566, con nota di richiami, secondo cui l'art. 115 1. n. 312 del 1980, in conformità con la disciplina generale della retribuzione delle mansioni superiori nel

pubblico impiego ex art. 52, 4° comma, d.leg. n. 165 del 2001, va in

terpretato nel senso che le stesse vanno retribuite per il periodo di «ef fettiva prestazione», con esclusione dei periodi in cui il dipendente è assente per congedo ordinario o straordinario.

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