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ordinanza 23 novembre 1995; Pres. ed est. Maddalo; SgarbiSource: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 431/432-433/434Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190116 .
Accessed: 28/06/2014 13:05
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PARTE SECONDA
L'art. 147 bis norme c.p.p. è stato introdotto con l'art. 7
d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito, con modificazioni, nella
1. 6 agosto 1992 n. 356, in epoca immediatamente successiva
alla strage di Capaci, per adeguare la vigente legislazione ad
una realtà criminale connotata da una estrema pericolosità e
capacità di intimidazione.
Proprio nell'ottica di una adeguata tutela della sicurezza dei
soggetti che, ammessi a programmi di protezione, sono più di
altri esposti al rischio di aggressioni criminali, è stata introdotta
con l'art. 147 bis la possibilità del ricorso all'esame a distanza
degli stessi anche mediante collegamento audiovisivo.
Nella relazione che accompagna il disegno di legge di conver
sione del decreto legge si afferma infatti che «la previsione del
nuovo art. 147 bis è dettata dalla intuibile esigenza di salva
guardare l'immagine delle persone che, per la collaborazione
prestata alla giustizia, si trovano esposte al rischio di ritorsione».
Prosegue la relazione evidenziando che «la possibilità di un
esame a distanza, già da tempo utilizzato in altri paesi, è lo
strumento che meglio soddisfa le accennate esigenze e salva
guarda, al tempo stesso, l'oralità e la dinamica probatoria tipi che del contraddittorio dibattimentale».
Quanto osservato in ordine alla ratio della norma ed alle fi
nalità che essa intende perseguire, rende evidente che la discipli na impugnata, che prevede una deroga alla regola ordinaria della
comparizione della persona da esaminare nel luogo ove si svol
ge il dibattimento, sfugge a qualsiasi censura di irragionevolezza.
Nell'ipotesi in cui, infatti, si lamenti, come nel caso in esame, un asserito contrasto con il principio sancito dall'art. 3 Cost,
occorre verificare se la differenziata disciplina normativa di de
terminate situazioni risponda o meno ad un principio di ragio nevolezza.
Ha infatti osservato la Corte costituzionale (cfr. sentenza n.
89 del 28 marzo 1996) che «il giudizio di eguaglianza è in sé
un giudizio di ragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che
la deve assistere: ove la disciplina positiva si discosti dalla fun
zione che la stessa è chiamata a svolgere nel sistema ed ometta
quindi di operare il doveroso bilanciamento dei valori che in
concreto risultano coinvolti, sarà la stessa ragione della norma
a venire meno introducendo una selezione di regime giuridico
priva di causa giustificativa e dunque fondata su scelte arbitra
rie che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza».
ce pen., 1993, 225 s. Circa i necessari supporti tecnologici, cfr., adesso, le circolari 14 dicembre 1995, n. 24, 10 gennaio 1996, n. 2 e 12 gennaio 1996, n. 3 della direzione generale degli affari civili del ministero di
grazia e giustizia (tutte recanti ad oggetto «Esame di persone a distan
za») e la nota 11 gennaio 1996 della medesima direzione generale (re cante ad oggetto «Inteconnessione su rete ISDN di apparati di videofo
noregistrazione per collegamenti a distanza»), riprodotte in Guida al
diritto, 1996, fase. 13, 111 ss., con premesse di Volpe. Le problematiche dell'esame a distanza appaiono destinate ad assu
mere un ruolo di indiscussa centralità anche a seguito dei recenti indi rizzi de lege ferendo, volti a dilatare lo spettro applicativo del meccani smo fino a comprendervi anche il collegamento in teleconferenza tra l'istituto penitenziario in cui si trovi in vinculis l'imputato (o il sottopo sto a indagine) e la (diversa) sede giudiziaria ove debba svolgersi l'u dienza camerale o dibattimentale: cfr., in tal senso, il disegno di legge (approvato dal consiglio dei ministri il 29 dicembre 1995 e presentato al senato il 23 gennaio 1996) in materia di «disciplina della partecipa zione al procedimento penale a distanza e dell'esame dei collaboratori di giustizia, nonché modifica della competenza sui reclami in tema di articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario» (XII legislatura, Atti par lamentari, senato della repubblica, stampato n. 2482, adesso riprodotto ibid., fase. 10, 126 s.), il cui art. 3 è, peraltro, volto a modificare l'art. 147 bis norme att., e ad introdurre un nuovo art. 147 ter norme att., in tema di «Ricognizione in dibattimento delle persone che collaborano con la giustizia»; sul punto, cfr., tra gli altri, Giordano, Con l'introdu zione della «teleconferenza» la tecnologia va in aiuto del processo pe nale, ibid., 124 ss., nonché — con riguardo ad esperienze similari matu ratesi negli Stati uniti d'America — Mestitz, La documentazione nel
processo penale e la videoregistrazione: esperienze e ricerche, in Docu menti giustizia, 1992, 647 ss. Per una generale prospettiva attenta al delicato contemperamento di valori e interessi opposti sotteso alla pro blematica dell'interazione «a distanza», cfr. Chiavario, L'impatto del le nuove tecnologie tra diritti umani e interessi sociali, in Dir. pen. e proc., 1996, 139 ss., spec. 140.
Il Foro Italiano — 1996.
Nel caso in esame invece la deroga introdotta dall'art. 147
bis è limitata ai casi di persone «ammesse, in base alla legge, a programmi o misure di protezione», e dunque a quei soggetti in relazione ai quali è riconosciuta normativamente l'esistenza
di un «grave ed attuale pericolo per effetto della loro collabora
zione o delle dichiarazioni rese» (art. 9 d.l. 15 gennaio 1991
n. 8, conv., con modif., in 1. 15 marzo 1991 n. 82). La deroga dell'art. 147 bis è dunque giustificata in termini
di evidente ragionevolezza dalla primaria esigenza di salvaguar dare il prevalente diritto alla vita ed alla integrità fisica della
persona da esaminare.
Manifestamente priva di fondamento è pertanto l'eccezione
di illegittimità costituzionale dell'art. 147 bis sotto il dedotto
profilo della palese irragionevolezza ex art. 3 Cost, della sud
detta disposizione. La norma peraltro ha cura di prevedere una serie di adempi
menti idonei a garantire comunque la corretta assunzione della
prova, sia attraverso la presenza nel posto ove si trova la perso na da esaminare di un ausiliario del giudice (o di altro pubblico ufficiale autorizzato) che attesta l'identità di essa, sia mediante
l'indicazione da parte dell'ausiliario medesimo delle cautele adot
tate al fine di assicurare la genuinità dell'esame.
La dedotta violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost,
in relazione all'assenza dall'aula d'udienza della persona da esa
minare ed alla conseguente impossibilità di vederne il viso, co
gliendo e valutando le espressioni del volto, non risulta fondata
in quanto anche nell'ipotesi di comparizione al dibattimento di
persona ammessa a programmi o misure di protezione può esse
re preclusa alle parti la visibilità del volto dell'esaminando per le stesse ragioni di sicurezza che hanno imposto l'introduzione
della norma in oggetto. Né la possibilità di vedere il volto della persona da esamina
re, e la sua presenza in aula, costituiscono condizioni essenziali
per una corretta e completa assunzione della prova. Non può invero disconoscersi che la suesposta disciplina ri
sulta idonea a salvaguardare le esigenze di sicurezza concreta
mente configurabili senza tuttavia determinare una limitazione
delle essenziali manifestazioni del diritto di difesa, che può co
munque compiutamente esplicarsi mediante la diretta ed attiva
partecipazione alla formazione della prova nel contraddittorio
tra le parti. Anche sotto tale profilo, pertanto, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 147 bis in relazione all'art. 24 Cost, deve
ritenersi manifestamente infondata.
TRIBUNALE DI BRESCIA; ordinanza 23 novembre 1995; Pres.
ed est. Maddalo; Sgarbi.
TRIBUNALE DI BRESCIA;
Dibattimento penale — Imputato parlamentare — Impedimen to a comparire — Limiti — Fattispecie (Cod. proc. pen., art.
486).
Al fine di valutare se l'assenza di imputato parlamentare sia
dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo
impedimento, occorre distinguere tra la partecipazione del
l'interessato alle attività deliberative in senso stretto ovvero
di formazione della volontà dell'organo parlamentare (ad es.
approvazione di leggi, elezione di organi costituzionali) e lo
svolgimento di attività di tipo referente o consultivo (ad es.
espressione dì pareri); ferma la speciale rilevanza in genere
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GIURISPRUDENZA PENALE
attribuibile alle funzioni di rappresentanza parlamentare, nel
caso di attività di tipo referente o consultivo la presenza del
parlamentare non assume quella essenzialità che è invece pro
pria delle altre suindicate funzioni, da cui può discendere il
requisito dell'assolutezza imposto, al fine di rendere giustifi cabile l'assenza in giudizio, dall'art. 486, 1 ° comma, c.p.p.
(nella specie, la difesa aveva formulato istanza di rinvio del
l'udienza dibattimentale deducendo, quale legittimo impedi
mento, il contestuale impegno parlamentare dell'imputato, nella
veste di relatore in ordine ad un parere da fornire al governo circa il piano di sviluppo dell'università per il triennio 1994-96; nel rigettare l'istanza il tribunale ha statuito il principio di
cui in massima). (1)
L'invocato differimento trarrebbe ragione dalla concomitante
partecipazione dell'imputato ai lavori della commissione cultu
ra della camera dei deputati, ovvero, in definitiva, dall'esercizio
del suo mandato parlamentare; che, in tesi, sarebbe vulnerato
ove si affermasse la pregiudizialità, rispetto ad esso, della pre senza dell'imputato al processo.
L'argomento, nei limiti e con le precisazioni che seguono, è sicuramente fondato attesa la speciale rilevanza attribuibile
alle funzioni di rappresentanza parlamentare, donde l'obbligo di non frapporre al loro esercizio ostacoli di sorta. Non vi è
dubbio, peraltro, che tale dovere gravi indistintamente su tutti
i cittadini e su tutti gli altri organi dello Stato, ivi compreso
quello giudiziario. Meritevoli di tutela appaiono, tuttavia, anche le altre funzio
ni costituzionalmente garantite, e fra esse quella giurisdizionale.
Convergono, in proposito, il principio dell'obbligatorietà del
l'azione penale, della tutela dei diritti del cittadino, del buon
andamento dell'amministrazione della giustizia.
Consegue la necessità di individuare un equo contemperamento tra le due esigenze, qualora esse, per qualsiasi motivo, vengano in conflitto.
Nello specifico, va rilevato che il tema dell'impedimento del
l'imputato a comparire è disciplinato dall'art. 486 c.p.p., il quale
esige che esso abbia carattere di assolutezza per poter giustifica re il rinvio del processo.
In tale ottica, a giudizio del tribunale, non possono essere
parimenti valutate tutte le diverse attività riferibili alle funzioni
parlamentari. Al riguardo, giusto discrimine è rappresentato dalla diversifi
cazione tra le attività deliberative in senso stretto, ovvero di
formazione della volontà dell'organo (ad es.: approvazione del
le leggi, elezioni di organi costituzionali) da quelle di tipo refe
rente o consultivo (ad es.: espressione di pareri). In tali casi, invero, la presenza del parlamentare, pur nell'im
portanza che essa indubbiamente riveste, non assume quell'es senzialità propria invece delle altre funzioni, cui può discendere
il requisito dell'assolutezza imposto dall'art. 486 citato.
Dal documento prodotto dalla difesa, nella seduta odierna
l'imputato risulta relatore per un parere da fornire al governo in relazione al piano di sviluppo dell'università per il triennio
1994/1996. Al termine di tale relazione è pure prevista, in sede
referente, la relazione Sbarbati in ordine al tema «Accademie
e conservatori».
Orbene, tale impedimento attiene ad una funzione di natura
consultiva, come sopra precisato. Deriva l'infondatezza della richiesta di rinvio.
(1) Non constano precedenti editi in termini. Sulla nozione di «legit timo impedimento» dell'imputato, e sui correlativi poteri di valutazione
del giudice, cfr., tra gli altri, Melchionda, in Commento al nuovo
codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1991,
V, sub art. 486, 142 ss., nonché, di recente, in giurisprudenza, Cass.
15 aprile 1993, Rogato, Foro it., Rep. 1994, voce Dibattimento penale, n. 44; 13 luglio 1993, Caridi, ibid., n. 45; 27 gennaio 1994, Castrovilli, Arch, nuova proc. pen., 1995, 139; 6 settembre 1994, Di Franco, ibid.,
305; 15 marzo 1995, Maciocchi, id., 1996, 135.
Il Foro Italiano — 1996 — Parte II-9.
I
TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 9 ottobre 1995; Pres. Cri
stiano, Rei. La Malfa; Monti.
TRIBUNALE DI BARI;
Misure cautelari personali — Procedimento applicativo — Ri
chiesta — Estremi (Cod. proc. pen., art. 291). Misure cautelari personali — Ordinanza applicativa — Conte
nuto — Estremi (Cod. proc. pen., art. 274, 292).
L'art. 291, 1° comma, c.p.p. (così come modificato dall'art.
8 l. 8 agosto 1995 n. 332), laddove impone al pubblico mini stero di trasmettere al giudice competente gli elementi su cui
la richiesta di misura cautelare personale si fonda, nonché
tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali dedu
zioni e memorie difensive già depositate, si riferisce a tutti
gli atti e gli elementi acquisiti al procedimento nell'ambito
del quale la richiesta viene formulata ed al momento in cui
la stessa viene presentata; tale obbligo di allegazione non può,
per contro, estendersi a notizie od elementi acquisiti nel corso
di altro procedimento della cui trattazione il medesimo pub blico ministero sia incaricato. (1)
La nullità dell'ordinanza applicativa di misura cautelare perso
nale, prevista dall'art. 292, comma 2 ter, c.p.p. (così come
modificato dall'art. 9 l. 8 agosto 1995 n. 332), nonché dagli art. 292, 2° comma, lett. c e c bis, e 274 c.p.p. (modificati
rispettivamente dagli art. 9 e 3 l. n. 332 del 1995), discende
soltanto dalla omessa valutazione — che si rifletta nella moti
vazione del provvedimento — di tutti gli atti trasmessi al giu dice con la richiesta, ovvero allo stesso prodotti dal difensore a norma dell'art. 38 norme att. c.p.p., e non già dalla omessa
trasmissione, ad opera del pubblico ministero, di atti in suo
possesso ed a favore dell'indagato. (2)
II
TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 18 settembre 1995; Pres.
Cristiano, Rei. Sernia; Calderisi ed altri.
Misure cautelari personali — Ordinanza applicativa — Conte
nuto — Estremi (Cod. proc. pen., art. 292).
(1-3) Le due pronunce affrontano una serie di problemi interpretativi posti dalla «nuova» disciplina delle misure cautelari personali, novella ta dalla 1. 8 agosto 1995 n. 332 (per un quadro di sintesi delle proble matiche dischiuse dalla riforma del 1995, cfr. Chiavario, Chiaroscuri di una «novella» dagli intenti riequilibratori, in Legislazione pen., 1995, 565 ss.).
In ordine alla prima massima, va sottolineato — al di là del mero dato testuale ricavabile dall'art. 291, 1° comma, c.p.p. — come sia 10 stesso giudice del riesame a mostrare, in parte motiva, e sia pure in via del tutto implicita, qualche perplessità residua (che traspare pro prio dai principi enunciati dalla seconda massima, invero non riducibile a mero argomento ad abundantiam) in ordine ai pur prospettati limiti del dovere di allegazione incombente sul pubblico ministero: se è vero che le esigenze di tutela del segreto investigativo attinenti al «diverso»
procedimento suggeriscono di evitare una discovery troppo allargata, non priva di rischi, non può, d'altro canto, trascurarsi che la ratio della modifica normativa (condivisibile o meno) riposa sull'esigenza di porre 11 giudice «della libertà» in grado di conoscere ogni elemento «a discari co» idoneo, anche in termini indiretti, ad influire sulla configurazione del fumus commissi delicti, dei pericula libertatis e di ogni altro para metro utile ai fini della decisione (per cospicue messe a fuoco, anche in ordine al «dovere di obiettività» del pubblico ministero sotteso al
l'art. 358 c.p.p., ed ai riflessi in tema di documentazione da allegare alla richiesta di pronuncia cautelare, cfr. già Ciani, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, sub art. 291, 163).
Quanto al principio espresso dalla seconda massima suffragato —
oltre che dall'incontestabile littera legis, correlata al principio di tassati vità delle nullità — dai lavori preparatori (richiamati dalla pronuncia sub I in parte motiva), cfr., per tutti, Giostra, Commento all'art. 8
l. 332/95, in AA.VV., Modifiche al codice di procedura penale. Nuovi
diritti della difesa e riforma della custodia cautelare. Padova, 1995, 139 s.
Sui requisiti di motivazione dell'ordinanza de liberiate, a seguito del
la «novella» del 1995, nonché — sia pur in termini impliciti — sul
principio di cui alla terza massima, cfr. Cass. 19 settembre 1995, Lo
renzetti Arch, nuova proc. pen., 1996, 301.
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