ordinanza 25 maggio 1984; Giud. Settimj; Basili e Fanone (Avv. Di Landro) c. Papi (Avv. Sanna)altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 925/926-933/934Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177470 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di locazione di immobile destinato convenzionalmente ad uso
promiscuo. Si può aggiungere che nel caso non pare sorgere un problema
di applicazione analogica dell'art. 80 (che comporterebbe qualche dubbio in ordine alla eccezionalità o meno della norma), in
quanto l'ipotesi del contratto misto sembra rientrare nella previ sione della disposizione in esame, e precisamente in quella del
mutamento parziale, comportante in concreto più usi. Si vuol
dire, in altre parole, che nella generica previsione normativa che
il conduttore adibisca l'immobile ad uso parzialmente diverso da
quello pattuito (per rimanere nell'esempio fatto prima, riesco ad
ottenere in affitto un appartamento ad uso ufficio e lo adibisco
pure a mia abitazione), rientra agevolmente, per il principio
logico-giuridico per il quale il più comprende sempre il meno,
anche il caso specifico che il locatario destini l'immobile ad un
uso parzialmente diverso da quello misto convenuto (loco ad uso
promiscuo di abitazione ed ufficio, e poi adibisco l'immobile solo
ad abitazione, oppure loco per prevalenza di ufficio e poi uso
prevalentemente per abitazione). In conclusione, il principio dell'uso prevalente sancito dall'art.
80 va applicato, per interpretazione estensiva, pure al caso di
locazione di immobile destinato ad uso promiscuo. A questo punto il dubbio su quali siano gli elementi da
comparare per formulare un giudizio di preminenza, e cioè se il
criterio della prevalenza dell'uso vada individuato in base alla
comune volontà delle parti risultante dal contratto ovvero con
riferimento alla situazione di fatto, non può risolversi che in
quest'ultimo senso: in quanto l'art. 80 è palesemente inteso a
dare riconoscimento in ogni caso alla situazione di fatto ed
effettiva. In tale direzione inducono palesemente tanto la lettera della
norma (col riferimento espresso all'« uso effettivo » ed al corri
spondente regime giuridico), quanto lo spirito di essa, nel senso
innanzi chiarito.
Il concetto di prevalenza va inteso quindi in concreto, pur dovendosi precisare che la sua valutazione non può basarsi
soltanto su elementi oggettivi, quantitativi e spaziali, come la
superfìcie dell'immobile adibita ai vari usi, perché tale criterio
sarebbe inidoneo a risolvere i casi in cui le diverse superfici siano identiche e trascurerebbe l'aspetto qualitativo e soggettivo del fenomeno. La prevalenza va perciò individuata non solo in
base alla superficie adibita ai vari usi, ma pure in relazione al
tipo di attività svolta dal conduttore tra le pareti dell'immobile,
all'importanza, al tempo, all'intensità ed alle altre caratteristiche
dei diversi usi, con riguardo alle esigenze primarie del conduttore stesso.
Orbene, applicando siffatti criteri interpretativi al caso di specie, ne discende agevole la soluzione di quest'ultimo: dovendosi riconoscere che i coniugi Ritorno Filippo e Busco Anna, dopo aver preso in locazione il 30 aprile 1982 l'immobile « ad uso
esclusivo di ufficio ed abitazione » (senza neppure specificare in
contratto alcuna prevalenza dell'uno o dell'altro uso) hanno
adibito l'appartamento sin dal primo momento ad uso esclusivo di abitazione, hanno cioè realizzato un uso parzialmente diverso
da quello pattuito, e perciò hanno acquisito il diritto, essendo
decorso un anno dal mutamento di destinazione senza alcuna
iniziativa della locatrice, a che al contratto si applichi il regime
giuridico corrispondente all'uso abitativo.
E quindi non solo la regola sul canone legalmente previsto per il tipo contrattuale instaurato a seguito della modifica (c.d. equo
canone), ma pure tutte le altre disposizioni del capo I del titolo I
della legge n. 392/78 (tra le quali quella sulla durata quadrienna le tipica delle locazioni abitative) per l'intima connessione che
lega le une alle altre norme (ubi commoda, ibi et incommoda). In particolare, a provare il mutamento di destinazione baste
rebbe il rilievo che neppure la resistente sostiene che Ritorno ha
mai adibito l'appartamento all'uso di ufficio contrattualmente
previsto: giacché ella si limita ad affermare genericamente che
l'immobile è stato adibito a deposito, che è evidentemente cosa
diversa dall'ufficio.
D'altro canto, se pure dalla prova testimoniale espletata è
emerso che nei primissimi tempi dopo la stipula del contratto
nell'appartamento vennero allogati pacchi e cartoni, contenenti
presumibilmente merce della ditta del fratello del conduttore, è
emerso altresì, per averlo riferito esplicitamente gli stessi testi
indotti dalla convenuta, che già da luglio 1982 cominciarono ad
arrivare dei mobili di casa e che presero ad abitare nell'immobile,
oltre a Ritorno Filippo, pure la moglie e i due figli. Di guisa che,
tenuto presente che la famiglia Ritorno assunse la residenza
anagrafica in Triggiano alla via Casalino il 17 maggio 1982, e
Il Foro Italiano — 1985.
cioè soltanto pochi giorni dopo la stipula del contratto; che il
conduttore abitò nell'appartamento sin dal primo momento e si
fece raggiungere dalla famiglia dopo appena un paio di mesi; che
quegli non aveva alcuna necessità di ufficio o di deposito, esercitando un'attività lavorativa non autonoma ma alle dipen denza del fratello Giuseppe, ed usufruendo di un appartamento al secondo piano di uno stabile sito ad una certa distanza
dell'azienda; che la stessa locatrice gli rilasciò sempre ricevute
motivate con esclusivo riferimento alla « pigione di casa »; tutto
ciò considerato, deve ritenersi che nella comune considerazione
delle parti l'appartamento serviva a soddisfare le primarie esigen ze abitative dei coniugi Ritorno e che ad esse è stato sempre
adibito, esclusivamente o almeno in maniera assolutamente pre valente (essendo stato il deposito del tutto marginale), e che
comunque l'immobile non è mai stato destinato all'altro uso, di
ufficio, congiuntamente previsto in contratto.
Non giovano, a questo punto, alla convenuta le sue eccezioni.
Non quella per la quale, essendo stati stabiliti in contratto una
durata di sei anni ed un canone libero, l'uso prevalente dell'im
mobile convenzionalmente previsto sarebbe stato quello non abi
tativo: in quanto, come si è detto, l'appartamento non è mai
stato adibito ad uso ufficio ed i conduttori ne hanno mutato l'uro
promiscuo contrattualmente previsto in quello esclusivo di abita
zione, per cui deve farsi applicazione del regime giuridico corri
spondente all'uso effettivo dell'immobile ai sensi dell'art. 80 1. n.
392/78. Per tardività ed infondatezza non può poi essere accolta
l'eccezione di inammissibilità dell'azione proposta dalla convenuta in corso di causa sotto il profilo che si tratterebbe di una azione di simulazione relativa, in quanto intesa a sostenere un contratto di diversa natura rispetto a quello voluto dalle parti.
Tale eccezione è anzitutto tardiva, perché non è stata proposta con la prima memoria difensiva, siccome impone l'art. 416, 2°
comma, c.p.c. Ed è inoltre infondata, in quanto con la domanda attrice si è chiesto non già di accertare la simulazione del contratto di locazione, ma di dichiarare che il conduttore è tenuto a corrispondere l'equo canone in considerazione dell'uso esclusivo di abitazione al quale è stato sempre adibito l'immobile in questione, nonostante la previsione contrattuale dell'uso pro miscuo di esso per ufficio ed abitazione: e quindi si è proposta una azione di ridetermànazione del canone ai sensi dell'art. 80 1. n. 392/78, sulla quale è tenuto a pronunciarsi questo pretore in funzione di giudice dell'equo canone.
Infine, non è aecoglibile l'eccezione di inammissibilità del ricorso
per mancata chiamata in causa del garante del contratto di
locazione, Ritorno Giuseppe. Infatti, a parte i dubbi di validità di una garanzia prestata senza alcuna specificazione delle obbli
gazioni e dei soggetti che si intendono garantire, è certo che il
predetto Ritorno Giuseppe è terzo estraneo al rapporto locativo, corrente tra i coniugi Ritorno Filippo-Busco Anna e Coronelli
Chiara, e quindi non appare assolutamente necessaria la sua
partecipazione al giudizio: tanto più che questo è stato promosso per ottenere una riduzione degli obblighi di coloro che il terzo
garantirebbe. Deve quindi affermarsi che i conduttori sono tenuti a corri
spondere per l'appartamento in questione solo l'equo canone, e, poiché quest'ultimo va ancora accertato, deve andar pronunciata sentenza parziale e riservata all'esito la liquidazione delle spese.
È appena il caso di aggiungere, infine, che non può accogliersi la richiesta proposta in via subordinata dalla resistente di decla ratoria di durata quadriennale del contratto, perché essa non è stata proposta con domanda riconvenzionale e quindi non può costituire oggetto dell'accertamento giudiziario.
PRETURA DI ROMA; ordinanza 25 maggio 1984; Giud. Set
timi; Basili e Fanone (Aw. Di Landro) c. Papi (Avv. San
na) altri.
PRETURA DI ROMA;
Provvedimenti di urgenza — Locazione — Istanza di reingresso del conduttore sfrattato — Nuovo contratto — Difetto di prova — Rigetto (Cod. proc. civ., art. 700).
Provvedimenti di urgenza — Esperibilità di mezzi di tutela posses soria — Inconciliabilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 1168; cod. proc. civ., art. 700).
Il ricorso al pretore in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., proposto dal conduttore sfrattato, ai fini del reingresso nell'immobile a
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PARTE PRIMA 92S
cautela di nuovo contratto di locazione, va rigettato nell'ipo tesi di totale difetto di prova del diritto personale del ricor
rente ad abitare nell'appartamento, diritto al cui accertamento
è inteso l'instaurando giudizio di merito. (1) Non è ammissibile l'esperibilità del procedimento ex art. 700
c.p.c. in funzione cautelare sostitutiva della fase d'urgenza di azione possessoria costituente l'oggetto del successivo giu
(1) Nel caso di specie il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è stato respinto per difetto di prova in ordine al fumus boni iuris, in
quanto si è ritenuto che non costituisce prova della volontà del locatore di stipulare un nuovo contratto di locazione il fatto che
questi, dopo il primo atto di esecuzione dello sfratto, abbia consentito al conduttore di lasciare nell'immobile gli effetti personali e di acceder vi tramite il rilascio di chiavi. Sul punto specifico della prova di nuovo contratto di locazione, l'ordinanza in epigrafe è conforme ad un
precedente della Cassazione, secondo cui, una volta avvenuto lo sfratto
per effetto di esecuzione forzata, l'assenso del locatore al ripristino della situazione precedente deve essere inequivocabilmente dimostrato, dovendosi desumere la volontà contraria di chi è stato reimmesso nel
possesso a mezzo di ufficiale giudiziario, dal fatto stesso che ha fatto
ricorso al procedimento esecutivo (Cass. 19 ottobre 1978, n. 4717, Foro it., Rep. 1978, voce Possesso, n. 38); questa posizione, peraltro, è
aderente ad un orientamento della Cassazione in tema di rinnovazione del contratto di locazione, secondo il quale, dall'intimazione della
disdetta si desume la volontà contraria del locatore alla rinnovazione del contratto, volontà che non può essere eliminata semplicemente con un comportamento successivo puramente omissivo del locatore stesso di fronte alla permanenza del conduttore nella detenzione dell'immobile
locato, ma è necessario che il locatore manifesti positivamente la
propria volontà (contraria a quella precedentemente manifestata) di rinnovare il contratto (Cass. 6 ottobre 1979, n. 5173, id., Rep. 1979, voce Locazione, n. 158; 16 novembre 1979, n. 5954, ibid., n. 157; 18
novembre 1974, n. 3678, id., Rep. 1974, voce cit., n. 44; 8 ottobre
1963, n. 2677, id., Rep. 1953, voce cit., n. 105). Sulla esperibilità dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. a
tutela di diritti inerenti al rapporto di locazione la giurisprudenza di
merito in ipotesi consimili si è orientata in senso affermativo: v. Pret.
Rapallo 5 novembre 1981, id., Rep. 1982, voce Provvedimenti di
urgenza, n. 158, e Pret. Firenze 18 gennaio 1980, id., 1980, I, 2613, con nota di richiami, che si sono pronunciate per l'ammissibilità del
provvedimento d'urgenza ai fini del reingresso nell'immobile del con
duttore sfrattato per urgente e improrogabile necessità del locatore il
quale non aveva adibito l'immobile all'uso per il quale aveva agito; Pret. Roma 9 gennaio 1981, id., 1981, I, 875, con nota di richiami, a
tutela del diritto dello sfrattato alla conclusione di un contratto di locazione con uno degli enti previsti dall'art. 4 quater 1. 93/79 (assegnazione di alloggi agli sfrattati); per altre ipotesi v. Aiello-Gia
cobbe-Preden, Guida ai provvedimenti d'urgenza, Milano, 1982, 335 ss.
È stata negata invece l'applicazione dell'art. 700 per gli obblighi di
consegna o rilascio dell'immobile, stante la possibilità di esperire il
procedimento speciale di convalida di sfratto ex art. 657 ss. c.p.c. o la
speciale procedura di rilascio prevista dall'art. 30 1. 392/78: v.,
rispettivamente, Pret. Roma 14 giugno 1977, Foro it., 1977, I, 2573, con nota di richiami di Petrone; Pret. Carpi 17 settembre 1980, id.,
1981, I, 287, con nota di richiami.
In dottrina per una interpretazione restrittiva, peraltro isolata, dell'art. 700 c.p.c. v. S. Satta, Provvedimenti d'urgenza e urgenza di
provvedimenti, in Mass. giur. lav., 1942, 49 ss.; Id., Limiti di
applicazione dei provvedimenti d'urgenza, in Foro it., 1953, I, 13; Id.,
Commentario, Milano, 1968, IV, 1, 268 ss.; Id., Diritto processuale
civile, Padova, 1981, 788 ss. Secondo questo autore si potrebbe ricorrere all'art. 700 c.p.c. soltanto per la tutela di « situazioni
giuridiche finali, cioè di diritti assoluti », poiché soltanto questi diritti
potrebbero subire un pregiudizio irreparabile, a differenza delle « situa
zioni strumentali », cioè dei diritti di obbligazione e dei diritti
potestativi, tutelabili sempre col risarcimento del danno. Contra per
un'interpretazione più estensiva che considera diritto soggettivo perfetto cautelabile con provvedimento d'urgenza ogni interesse tutelato dal
diritto oggettivo che nelle more del processo ordinario possa essere
irreparabilmente leso e quindi anche un diritto di obbligazione, vedi:
Arieta, 1 provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1982, 96
e 100 ss.; Calvosa, Provvedimenti d'urgenza, voce del Novissimo
digesto, Torino, 1967, XIV, 455 ss.; M. e E. Dini, I provvedimenti d'urgenza nel diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, Milano,
1981, I, 292-5; Montesano, I provvedimenti d'urgenza nel processo
civile, Napoli, 1955, 48 ss.; Id., Le tutele giurisdizionali dei diritti,
Bari, 1981, 194 ss.; A. Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile,
Bari, 1982, 377 ss. In particolare sui criteri di individuazione della
irreparabilità del danno e sulla necessità di riferirla non solo al bene
oggetto del diritto ma anche alla persona titolare del diritto stesso e alla particolare funzione che il diritto è destinato ad assolvere nel caso
concreto, cfr. Andrioli, Commento, Napoli, 1964, IV3, 245 ss. e 251
ss.; Proto Pisani, op. cit., 380 ss.
Per ulteriori approfondimenti sulla funzione e struttura dei provve dimenti d'urgenza, vedi Tommaseo, l provvedimenti d'urgenza, Pado
va, 1983; Proto Pisani, Due note in tema di tutela cautelare, in Foro
it., 1983, V, 145 ss.
Il Foro Italiano — 1985.
dizio di merito (nella motivazione si afferma che comunque nella specie non erano ravvisabili gli estremi del denunciato
spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario). (2)
(2) Duplice è la ragione che ha indotto il Pretore di Roma a ritenere l'inammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. prospettato come domanda della fase di urgenza di un'azione possessoria.
Con la decisione in epigrafe è stato ritenuto che: a) Per ottenere un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è
necessario che la situazione giuridica per la quale si invoca la tutela cautelare provvisoria sia qualificabile come diritto soggettivo e non come situazione di fatto, come il possesso, anche se situazione riconosciuta e garantita dall'ordinamento. Su questo punto non si rinvengono precedenti specifici. Riguardo ai c.d. limiti interni dell'art. 700 c.p.c., connessi alla natura di situazioni giuridiche soggettive, è prevalente l'orientamento giurisprudenziale che esclude dall'ambito di applicazione della misura cautelare in esame tutte quelle situazioni non qualificabili in termini di diritto soggettivo perfetto, come gli interessi legittimi e gli interessi semplici o di fatto: cfr. Pret. Volterra 19 dicembre 1973, Foro it., 1974, I, 573, con nota di richiami (rigetto di istanza ex art. 700 di sospensione di concorso bandito da cassa di risparmio); o tutti i casi in cui si tratti di materia spettante al giudice ammnistrativo: cfr., da ultimo, Cass. 14 dicembre 1983, n. 7370, id., 1984, I, 1898, con nota di richiami di Di Ciommo.
In dottrina nello stesso senso cfr. Arieta, op. cit., 77-8; Montesa
no, I provvedimenti, cit., 110; nonché Calvosa, op. cit., 448 e
Andrioli, op. cit., 249 che escludono dall'ambito di applicazione dell'art. 700 le situazioni giuridiche che si concretino in obbligazioni naturali e le ipotesi di improponibilità assoluta della domanda nei confronti della p.a., situazioni che, come tali, sono insuscettibili di tutela giurisdizionale. Contra, nel senso di ammettere la tutela ex art. 700 c.p.c. anche di un interesse legittimo, v., in giurisprudenza, Pret. La Spezia 23 novembre 1978, Foro it., 1979, I, 1922, con nota di richiami (con riferimento all'interesse legittimo al regolare espletamento di procedure per l'assunzione di insegnanti di ruolo); e in dottrina Proto 'Pisani, Appunti, cit., 368-9; Id., Due note, cit., 154 ss. (ed ivi ulteriori riferimenti di giurisprudenza e di dottrina).
Nel caso di specie il pretore ha configurato il possesso semplicemen te come una mera situazione di fatto contrapponendola al diritto
soggettivo perfetto e ritenendola di conseguenza non tutelabile ex art. 700. Tuttavia ha riconosciuto che tale situazione di fatto ha un
proprio riconoscimento giuridico, ma non ha considerato che ciò che la rende giuridicamente rilevante e meritevole di tutela sta proprio nel fatto che tale situazione è collegata ad un preciso interesse giuridico alla sua conservazione e alla sua difesa.
Col che l'argomento desunto dalla natura di mero fatto dell'interesse perde forza e diviene pressoché irrilevante.
b) L'esperibilità del procedimento cautelare innominato ex art. 700 c.p.c. in funzione prodromica di azione possessoria (nella specie un'azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c.) è inconciliabile con la sua caratteristica di residualità, per cui esso « risulta inesperibile in ogni fattispecie che possa trovare in un'azione tipica idonea immediata tutela ».
In senso contrario, per l'applicabilità dei provvedimenti d'urgenza anche quando ricorrono le condizioni per il ricorso alle azioni possessorie: Pret. Vigevano 6 aprile 1978, Foro it., Rep. 1978, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 19, riportata per esteso in Giur. merito, 1978, 761, con osservazioni adesive di Caputo (con riferimento alla tutela prevista dall'art. 844 c.c. in tema di immissioni); Pret. Torino 6 aprile 1976, Foro it., 1976, I, 2020, con nota di richiami (ipote si di molestia possessoria subita dal proprietario da parte di conduttori che si oppongono con cartelli alla vendita frazionata dell'immobile).
In dottrina nello stesso senso della decisione in epigrafe, per escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 700 i procedimenti speciali (art. 633 a 805 c.p.c.), cfr. Andrioli, op. cit., 246 e 249; Arieta, op. cit., 75-6; Calvosa, op. cit., 449; Montesano, I provve dimenti, cit., 45-6, che fonda la sua tesi sul coordinamento dell'art. 700 agli art. 99 e 100 c.p.c., che fissano i presupposti sostanziali del potere di agire in giudizio con riferimento al processo di cognizione e non ai procedimenti speciali, i cui presupposti al contrario sono tassativamente prescritti dalle singole norme che concedono le azioni da esercitarsi in quei procedimenti speciali. In particolare v. Proto Pisani, Appunti, cit., 369 ss., secondo il quale l'esclusione non può derivare da un generico richiamo ai procedimenti speciali disciplinati dagli art. 633 a 805 c.p.c., come invece afferma la dottrina da ultimo cit., ma soltanto da un'analisi dei singoli procedimenti (p. 376): l'autore esclude il ricorso all'art. 700 « con riferimento ai procedimenti possessori » dalla circostanza che gli art. 703 ss. disciplinano un procedimento che — secondo la ricostruzione prevalente — si articola in due fasi, la prima della quali a cognizione sommaria e destinata a concludersi con un provvedimento immediatamente efficace (p. 371). Contra: Aiello-Giacobbe-Preden, op. cit., 63, per il quale il carattere residuale non risulta escluso quando si invochi nel merito la tutela possessoria; nonché Dini, op. cit., 96 e Protettì, Le azioni possesso rie, Milano, 1979, 504 e 697, che ammettono che nella prima fase dell'azione possessoria possano essere emessi provvedimenti di natura cautelare ex art. 700 c.p.c.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Fatto. — Con ricorso depositato il 29 marzo 1984, Antonio
Basili e Mariella Fanone — premesso che il 2 maggio 1983 era
stato loro notificato, ad istanza di Ruggero Papi, preavviso di
rilascio, relativo all'appartamento da essi abitato in via Lucrino
n. 41 sc. A int. 23, basato sul verbale di conciliazione 11
febbraio 1982, con il quale il Basili s'era impegnato a rilasciare
detto immobile entro il giorno 11 febbraio 1983, sul precetto notificato il 15 febbraio 1983 e sul provvedimento 5 aprile 1983, con il quale era stata respinta l'istanza di graduazione;
che lo sfratto era stato poi coattivamente eseguito il 16
febbraio 1984, nonostante la Fanone avesse chiesto un rinvio
prospettando la possibilità di sistemarsi altrove entro breve tempo;
che, tuttavia, il Papi (il quale in corso d'esecuzione aveva
consentito la permanenza delle masserizie e degli effetti personali
nell'appartamento sino al 10 marzo 1984 nonché l'accesso della
Fanone, previe intese telefoniche, per l'asporto parziale o totale
di detti oggetti) dopo l'avvenuta esecuzione aveva riconsegnato alla Fanone stessa una chiave dell'appartamento ed aveva concor
dato con essa che avrebbe potuto continuare ad abitarvi con i
familiari sin quando avesse trovato altro alloggio; che, malgrado ciò, il Papi aveva tentato, il 12 marzo 1984,
d'estrometterli dall'appartamento senza, peraltro, riuscirvi in
quanto il loro legale aveva spiegato agli agenti di p.s. presenti come in realtà tra le parti fosse intervenuto nuovo contratto di
locazione; che il 20 marzo 1984 il legale del Papi, dopo aver inutilmente
richiesto l'intervento dell'ufficiale giudiziario per procedere alla
già tentata estromissione, aveva rivolto istanza al pretore, giudice dell'esecuzione, onde ordinasse all'ufficiale giudiziario di comple tare lo sfratto solo parzialmente eseguito nel precedente accesso del 14 febbraio 1984;
che in patri data il pretore, con provvedimento ex art. 608 ss.
c.p.c. esteso in calce all'istanza, aveva disposto in conformità a
quanto richiestogli; che in base a tale provvedimento, nonostante opposizione da
parte del loro legale, il 22 marzo 1984 l'ufficiale giudiziario, assistito dalla forza pubblica, li aveva estromessi, con i loro familiari ed i loro beni, dall'appartamento;
che l'operato dell'ufficiale giudiziario era stato in tale circostan za illegittimo, per aver egli proceduto in difetto di nuovo valido titolo esecutivo e per aver ottemperato ad un provvedimento a sua volta illegittimo, la cui legittimità egli poteva e doveva rilevare essendo palese — chiedevano al pretore, ex art. 700
c.p.c., di disporre la loro reimmissione nell'appartamento de quo ad opera e spese del Papi, assumendo d'aver fondato motivo di temere che, in attesa di far valere il loro buon diritto ad abitare
nell'appartamento stesso, nonché ad ottenere il risarcimento dei danni subiti, questo fosse minacciato da pregiudizio imminente ed
irreparabile.
Fissatasi dal dirigente di questo ufficio l'udienza di comparizio ne delle parti innanzi al pretore designato, ricorso e pedissequo decreto venivano notificati, nel termine assegnato, al Papi, ai suoi
difensori, all'ufficiale giudiziario, al commissariato di p.s. di zona, al ministero dell'interno, al ministero di grazia e giustizia, alla
questura di Roma ed al ministero presidenza del consiglio dei
ministri.
Costituendosi, il Papi depositava comparsa di risposta con la quale contestava la versione dei fatti fornita dalla controparte e, in particolare modo, la pretesa concessione d'ulteriormente
c) Perché sussista spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario occorre che questi abbia agito con dolo o colpa, che sussista malizia nel comporta mento della parte procedente e che il titolo con cui si è proceduto sia illegittimo.
Sulla necessità del requisito della maliziosa preordinazione del procedente, che abbia sollecitato l'intervento dell'ufficiale giudiziario, e sulla invalidità o inefficacia del titolo per cui si procede, ai fini della configurabilità dello spoglio a mezzo ufficiale giudiziario la giurispru denza è costante: v. Pret. Roma 11 ottobre 1976, Foro it., Rep. 1977, voce Possesso e azioni possessorie, n. 61; Trib. Roma 9 novembre 1972, id., Rep. 1974, voce cit., n. 40; Cass. 24 febbraio 1970, n. 438, id., 1970, I, 3139, con nota di richiami.
Contra, in dottrina, nel senso di non ritenere necessario l'elemento soggettivo della mala fede dell'istante: Levoni, Azioni possessorie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1975, 1258 ss.; Id., La tutela del possesso, Milano, 1979, I, 304 ss.; De Martino, Del possesso, in Commentario, a cura di Sci alo ja e Branca, Bologna-Roma, 1962, 618; Germano, Sullo spoglio attuato a mezzo dell'ufficiale giudiziario, in Giur. agr. it., 1968, 228 ss.; Zuccalà, La difesa del possesso, Piacenza, 1956, 110-1.
In generale, per una rassegna giurisprudenziale sulle azioni possesso rie, cfr. Levoni, cit., 1975, 1165 ss. e 1976, 380 ss., 1184 ss.
Il Foro Italiano — 1985.
utilizzare l'appartamento a fini abitativi o la pretesa stipulazione d'un nuovo contratto di locazione subito dopo il compimento
degli atti esecutivi del 16 febbraio 1984; evidenziata la legittimità del ricorso al pretore giudice dell'esecuzione, onde superare il
verificatosi ostacolo al completamento della procedura di rilascio, e del provvedimento da questi adottato nonché, di conseguenza,
dell'operato dell'ufficiale giudiziario; rilevato l'incongruenza del
l'azione ex art. 700 c.p.c. laddove si chieda una tutela tipica ottenibile ex art. 1168 c.c. e 703 ss. c.p.c.; chiedeva dichiararsi
inammissibile e comunque respingersi l'avverso ricorso.
Costituendosi a sua volta a mezzo dell'avvocatura della Stato, anche la convenuta p.a. depositava comparsa con la quale —
evidenziata la legittimità dei comportamenti tenuti dagli agenti di
p.s. in ausilio dell'ufficiale giudiziario e di quest'ultimo, anche in
relazione alla legittimità del provvedimento pretorile relativo al
completamento dell'esecuzione; evidenziata l'assoluta estraneità,
comunque, della presidenza del consiglio, dalla controparte erro
neamente denominata ministero presidenza del consiglio — chie
deva, del pari, respingersi l'avverso ricorso. (Omissis)
Diritto. — Nonostante sia stato intestato quale « domanda di
reintegrazione », il ricorso in esame, come espressamente dichiarato
nel petitum e come ribadito e motivato nelle note autorizzate
depositate, è inteso ad ottenere mediante un provvedimento cautelare atipico ex art. 700 c.p.c. la reimmissione dei ricorrenti
nell'appartamento di cui trattasi ed è escluso, pertanto, che possa esser diversamente qualificato, in particolare come azione di
spoglio, dal giudicante, a ciò ostando il principio della risponden za tra il chiesto ed il pronunziato ed il divieto di sostitute
d'ufficio un'azione diversa a quella espressamente e formalmente
proposta.
Men chiara risulta dai menzionati atti processuali — ricorso e
note — il preciso oggetto della tutela che s'intende invocare nel
successivo distinto giudizio di merito alla cui introduzione il
procedimento ex art. 700 c.p.c. è soltanto prodromico: mentre nel
ricorso, infatti, sembra darsi particolare rilievo al diritto degli istanti d'abitare nell'appartamento in questione in forza del nuovo
contratto di locazione ch'essi assumono sorto dagli accordi inter
venuti tra il Papi e la Fanone lo stesso giorno 16 febbraio 1984
subito dopo l'assunto compimento dell'esecuzione, onde il giudizio di merito instaurando appare inteso all'accertamento di tale
diritto, nelle note sembra, piuttosto, volersi sostenere, anche
attraverso la giustificazione di siffatto modus procedendi, l'avve
nuta proposizione del ricorso ex art. 700 c.p.c. con funzione
cautelare sostitutiva della fase iniziale o d'urgenza d'un'azione
possessoria da instaurare successivamente quale giudizio di merito.
Sebbene la riferita seconda prospettazione appaia di dubbia
legittimità con riferimento al disposto degli art. 183 e 184 c.p.c. — dovendosi ritenere mutatio libelli, e non semplice emendatio,
la richiesta tutela in relazione ad una situazione di fatto, qual'è il
possesso, rispetto all'originaria richiesta della tutela di un diritto — onde non incorrere in difetto di motivazione per restrittiva
interpretazione della causa petendi, appare opportuno partitamen te esaminare entrambe le ipotesi prospettate.
Per quanto attiene alla prima, devesi constatare come il diritto
al cui accertamento dovrebbe tendere il successivo giudizio di
merito sia rimasto, in questa sede, una mera affermazione dei
ricorrenti, non essendo stata fornita alcuna prova non solo dal
fatto che l'accordo intervenuto tra il Papi e la Fanone avesse in
sé gli elementi costitutivi d'un contratto di locazione, ma neppure che un qualsivoglia accordo (diverso da quello relativo alla
permanenza di immobili od effetti personali nell'appartamento ed
alla possibilità d'accesso per l'asporto, verbalizzato dall'ufficiale
giudiziario) sia stato posto in essere successivamente al compi mento degli atti esecutivi descritti nello stesso verbale del 16
febbraio 1984.
Per la verità, gli stessi ricorrenti dimostrano di non sapere
neppur essi qual tipo di contratto di locazione sarebbe stato
stipulato: a volte, infatti, assumono trattarsi di locazione ordinaria
di durata quadriennale (lettera del loro difensore al commissaria
to di p.s. Vescovio, in data 13 marzo 1984, pag. 3); altre, invece, riferiscono d'un accordo in virtù del quale il contratto sarebbe
efficace sin quando non abbiano, a breve termine conformemente
alle loro speranze, trovato diversa sistemazione; il che vai dire
aver fatto contemporaneo riferimento ad entrambe le fattispecie, di ben diversa natura e differentemente regolate, contemplate dall'art. 1. 1. 27 luglio 1978 n. 392, rispettivamente al 1° e al 2°
comma.
Se significativa è l'incertezza in ordine al tipo di contratto
stipulato, specialmente in ordine alla durata, non meno significa
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PARTE PRIMA
tiva è l'omessa menzione d'ogni altro elemento costitutivo del
contratto ed in particolare del canone; al riguardo va, anzi,
rilevato che, avendo avuto il contratto esecuzione, secondo l'as
sunto dei ricorrenti, dal 16 febbraio al 22 marzo 1984, né nel
ricorso del 29 marzo 1984 né nel verbale d'udienza del 26 aprile 1984 si fa il minimo accenno ad un elemento di prova, che
sarebbe stato determinante, quale il versamento e l'accettazione
d'una somma a titolo di canone (importante la prova del titolo, in quanto un pagamento poteva anche esser motivato quale indennità d'occupazione relativamente alla permanenza dei mobi
li), mentre solo nelle note si afferma apoditticamente esser stato
corrisposto il canone per il mese di marzo senza fornirne, né
chiedere di fornirne, prova alcuna.
Il difetto di prova, d'altronde, come anche la mancata richiesta
di fornire prove, s'estende non al solo contenuto e, quindi, alla
qualificazione del preteso accordo ma anche alla sussistenza stessa
di quest'ultimo, qualunque natura contrattuale ad esso vogliano attribuire i ricorrenti.
Al riguardo, non sembra superfluo evidenziare come, ai sensi
degli art. 2721, 1° comma, e 2729, ult. comma, c.c., la prova dei
contratti non sia ammissibile per testimoni e per presunzioni oltre
un valore minimo che, pur se razionalmente rapportato all'attuali
tà, il contratto de quo certamente supererebbe; né — a parte l'insussistenza per il giudicante d'un obbligo di motivazione sul
punto, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza del Supremo
collegio — si ravviserebbe nella fattispecie l'opportunità di far
uso della facoltà concessa dall'art. 2721, 2° comma, c.c., proprio in considerazione dei parametri di valutazione di detta opportuni tà suggeriti dalla norma e tenuto conto che la tesi dei ricorrenti è
in palese contrasto con la logica e la realtà dei fatti, rappresenta ta dalla volontà della controparte di rientrare nella piena dispo nibilità dell'appartamento, volontà e finalità da tempo manifestate
e perseguite ed ultimamente confermate dal comportamento tenuto il 16 febbraio 1984, in sede di compimento degli atti
esecutivi, quale risultante dalla verbalizzazione dell'ufficiale giudi ziario.
È evidente che a fornire la prova del preteso accordo — che
sarebbe stato il risultato d'un repentino incomprensibile muta
mento nella volontà del Papi — non poteva essere ammessa, per
quanto sopra rilevato, la teste Basili Simona, tra l'altro di dubbia
attendibilità per essere figlia minorenne convivente dei ricorrenti
e quindi direttamente interessata all'esito della controversia, della
quale s'era chiesta in udienza l'escussione in sommarie informa
zioni; né, per gli stessi rilievi, può in questa sede trarsi argomen
to di~prova indiretta sul medesimo oggetto in base alle presun
zioni desumibili dall'utilizzazione o meno, per la chiusura e la
riapertura della porta, delle chiavi della nuova o della vecchia
serratura.
Come giustamente evidenziato dal Supremo collegio in fattispe
cie consimile (sent. n. 4717 del 19 ottobre 1978, Foro it., Rep.
1978, voce Possesso, n. 38) la manifestazione di volontà del Papi
dalla quale sarebbe derivato il nuovo contratto e, quindi, il diritto
personale dei ricorrenti ad utilizzare l'immobile, doveva essere
provata in modo inequivocabile; in totale difetto di ciò, deve
ritenersi insussistente il jumus boni iuris della domanda oggetto
dell'instaurando giudizio di merito e, pertanto, respingersi il
ricorso inteso ad ottenere il richiesto provvedimento cautelare
atipico. Per quanto attiene alla seconda ipotesi di domanda, devesi
preliminarmente rilevare come l'esperibilità del procedimento ex
art. 700 c.p.c. in funzione cautelare sostitutiva della fase d'urgen
za d'una azione possessoria costituente l'oggetto del successivo
giudizio di merito, se pur sporadicamente ammessa da qualche
decisione giurisprudenziale, è tesi che non si ritiene di poter
recepire.
Secondo la testuale dizione della norma, infatti, le misure
cautelari atipiche previste dall'art. 700 c.p.c. sono adottabili, come
tutte le altre misure cautelari previste nel libro IV titolo I capo
III del c.p.c. in forme tipiche, esclusivamente per la tutela
provvisoria di diritti, onde tale forma di tutela non può esser
validamente estesa anche alle situazioni di fatto, pur riconosciute
e garantite dall'ordinamento, qual è il possesso, che tanto poco è
diritto da esser tutelato anche se illegittimamente acquisito.
D'altro canto, l'ordinamento ha appositamente regolato, nel
successivo capo IV, le forme della tutela d'urgenza delle situazio
ni di fatto giuridicamente rilevanti e tale netta distinzione, stanti
gli identici risultati ottenibili, non è affatto casuale, giacché,
rispetto alla tutela dei diritti apprestata nel capo III, la tutela
delle situazioni di fatto prevista nel capo IV prescinde, per la
Il Foro Italiano — 1985.
concessione dei provvedimenti immediati, da qualsiasi concorso di
circostanze che determinano il pericolo di perdita o pregiudizio imminenti del bene o del diritto, considerate per contro presup
posti imprenscindibili, se pur variamente articolati, di tutte le
misure cautelari.
Va, infine, rilevato che la contestata tesi dell'esperibilità del
procedimento ex art. 700 c.p.c. in funzione prodromica d'un'azio
ne possessoria risultato del tutto inconciliabile con la caratteristi
ca della residualità, generalmente riconosciuto a detto procedimen to, per la quale esso risulta inesperibile in ogni fattispecie che
possa trovare in un'azione tipica idonea immediata tutela.
Sotto il profilo della seconda ipotesi di domanda il ricorso va,
pertanto, ritenuto inammissibile; tuttavia, per completezza di
motivazione, appare opportuno evidenziare come anche sotto tale
profilo il ricorso debba essere rigettato per difetto del fumus boni ìuris della proponenda domanda di merito, non ravvisandosi gli estremi del denunziato spoglio a mezzo dell'ufficiale giudiziario.
A tal fine va, preliminarmente, rammentato che l'estromissione
dei ricorrenti dall'appartamento de quo il 22 marzo 1984 è stata
operata dall'ufficiale giudiziario in esecuzione d'un provvedimento pretorile con il quale, ritenutasi non completata la procedura di
rilascio con l'attività posta in essere il 16 febbraio 1984, era stato
espressamente ordinato il proseguimento sino a definizione della
procedura stessa.
Ciò stante, nessun comportamento colposo e tanto meno doloso
può ravvisarsi nell'operato dell'ufficiale giudiziario, avendo egli agito sulla base d'un provvedimento giurisdizionale che, per aver
espressamente disposto la prosecuzione d'un'esecuzione iniziata ma non completata, comportava anche la permanente efficacia degli originari titolo esecutivo, precetto e preavviso (si tenga presente che la risoluzione d'incidenti d'esecuzione ex art. 610 c.p.c., proprio perché inserita nel corso della procedura, non rende necessaria una nuova notifica di precetto e preavviso, ciò che,
d'altronde, snaturerebbe il carattere d'immediatezza proprio degli interventi previsti dalla norma).
Né malizia può ravvisarsi nel comportamento della parte pro
cedente, giacché questa, ritenendo non completata e quindi com
pletabile l'esecuzione, dopo aver chiesto inutilmente la prosecu zione all'ufficiale giudiziario, ha prospettato il problema al pretore
esponendogli quanto già attuato e la propria interpretazione
giuridica della situazione, interpretazione che è stata convalidata
dal pretore; d'altronde, quand'anche il procedente avessa carpito la buona fede del giudice, egli dovrebbe di ciò rispondere, se del
caso, in altre sedi, ma il suo successivo comportamento non
integrerebbe gli estremi dello spoglio, giacché 1 esecuzione è stata
chiesta all'ufficiale giudiziario in virtù di atti — titolo, precetto,
preavviso, decreto di prosecuzione — pienamente validi per i sopra
esposti motivi.
È ovvio, poi, che l'ufficiale giudiziario — cui è soltanto rimesso
d'accertare la perfezione formale dei titoli in base ai quali
procede e la rispondenza ad essi del soggetto nei cui confronti li
esegue e del bene sul quale cade l'esecuzione — non aveva alcun
potere di sindacare i motivi od il dispositivo del provvedimento di prosecuzione o la regolarità della procedura che aveva condot
to alla sua adozione.
Siffatto potere, invero, non l'ha neppure questo giudice,
giacché la legittimità dei provvedimenti giurisdizionali può essere
valutata, cosi per la regolarità del loro procedimento di forma
zione come per il loro contenuto decisionale, solo nelle appro
priate sedi d'impugnazione espressamente previste dall'ordinamen
to; in particolare, va notato come al giudice adito ex art. 700
c.p.c. non solo non competa di sindacare la legittimità dei
provvedimenti giurisdizionali ma neppure, secondo l'orientamento
delle prevalenti dottrina e giurisprudenza, di paralizzarne gli
effetti che incidano, con conseguenze anche irreparabilmente
pregiudizievoli, su determinate situazioni giuridiche sostanziali.
Non si può, tuttavia, far a meno di brevemente evidenziare la
legittimità del provvedimento pretorile 20 marzo 1984 e l'infonda
tezza dei motivi di doglianza prospettati dai ricorrenti: ai sensi
dell'art. 610 c.p.c., ed a differenza dell'art. 613 c.p.c. evidentemen
te tenuto presente dai ricorrenti, la soluzione degli incidenti nel
corso dell'esecuzione per rilascio può essere chiesta da ciascuna
delle parti, non dall'ufficiale giudiziario, e, ai sensi dell'art. 183
c.p.c., il pretore provvede con decreto senza obbligo espresso di
sentire la controparte; giurisprudenza e dottrina non sono costan
temente concordi nell'annoverare l'esecuzione per rilascio tra le
attività quae unico acto perfecintur, comunque anche quanti
sostengono tale tesi ammettono che la esecuzione può svolgersi in più successive fasi sino al suo compimento « per le circostanze
più varie »; nel caso di specie, la permanenza del mobilio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nell'appartamento in una alla mancata applicazione dell'art. 690
c.p.c. ed agli accordi tra le parti al riguardo ben potevano far
ritenere incompiuta o solo parzialmente compiuta l'esecuzione
nonostante la formale immissione in possesso dell'esecutante; l'art. 610 c.p.c., infine, come è stato esattamente ritenuto in
dottrina, « se attore è il creditore, viene sostanzialmente a chiede
re al giudice un rafforzamento ad una esplicazione del potere coercitivo dell'ufficiale giudiziario », ciò che si è verificato nella
specie. A parte quanto appena rilevato — solo per completezza, stante
l'incompetenza a delibare le questioni — anche il secondo
profilo di domanda prospettato dai ricorrenti va respinto per gli
esposti motivi d'inammissibilità e di difetto del fumus boni iuris.
In ordine alle richieste dei ricorrenti di cancellazione di due
periodi dalla comparsa di costituzione del resistente, devesi, da
ultimo, rilevare che tali periodi non appaiono integrare gli estremi dell'offesa e tanto meno dell'ingiuria, previsti dall'art. 89
c.p.c.: non il primo, con il quale si deduce la normale ipotesi della qualificazione giuridica del rapporto da parte del difensore e della conseguente illustrazione di essa, nel suo contenuto e nei suoi effetti, al cliente onde questi possa, all'occorrenza anche in
assenza del difensore stesso, adeguatamente sostenere le proprie tesi; non il secondo, con il quale si assume, effettivamente, un tono ironico, peraltro non offensivo, ma al solo scopo di contro battere le avverse prospettazioni di carattere pietistico, anch'esse, se vuoisi, estranee alla trattazione d'una causa civile risolubile esclusivamente in base all'applicazione di principi di diritto.
Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Prezzi (disciplina dei) — Beni di largo consumo — Blocco tempo
raneo dei prezzi — Olio di oliva — Disciplina nazionale —
Contrasto con la normativa comunitaria — Questione inammis
sibile di costituzionalità (Cost., art. 11; trattato CEE, art. 177,
189; d.l. 24 luglio 1973 n. 427, disciplina dei prezzi di beni di largo consumo, art. 2; 1. 4 agosto 1973 n. 496, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 24 luglio 1973 n. 427, art.
unico; reg. 22 settembre 1966 n. 136 CEE del Consiglio, relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati
nel settore dei grassi).
È inammissibile, in riferimento all'art. 11 Cost, e in relazione agli art. 177 e 189 del trattato CEE, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, d.l. 24 luglio 1973 n. 427, come convertito e modificato dalla 1. 4 agosto 1973 n. 496, per la
parte in cui, comprendendo nel blocco dei prezzi oli di oliva, non consente di assicurare il rispetto della normativa comunitaria relativa all'organizzazione comune nel settore dei grassi, in quan to nelle materie riservate alla sfera di competenza della Comunità il giudice ordinario deve egli stesso provvedere ad assicurare la
piena e continua osservanza delle norme comunitarie direttamente
applicabili (nella specie, i regolamenti), senza tener conto delle
leggi nazionali, anteriori o successive, eventualmente confliggenti e senza quindi che sia necessario rivolgersi alla Corte costituzio nale per far dichiarare l'illegittimità costituzionale di tali leggi. (1)
Corte costituzionale; sentenza 22 febbraio 1985, n. 47 (Gazzetta
ufficiale 2 marzo 1985, n. 53 bis); Pires. Elia, Rei. La Pergola; Soc. Fratelli Carli ed altri c. Min. interni - Prefetto di Imperia; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Corti). Ord. 5
aprile 1976 Pret. Imperia (Gazz. uff. 21 luglio 1976, n. 191).
(1) La corte ribadisce la sua giurisprudenza circa i poteri del giudice ordinario nella applicazione di leggi che contrastano con precedenti regolamenti comunitari: la motivazione attuale si esaurisce in un rinvio alla sent. 8 giugno 1984, n. 170, Foro it., 1984, I, 2062, con nota di richiami e nota di A. Tizzano, La Corte costituzionale e il diritto comunitario: vent'anni dopo...; particolare risalto il provve dimento ha avuto nella conferenza annuale del presidente della corte:
Elia, La giustizia costituzionale nel 1984, id., 1985, V, 69, § 10 e 15 Corte cost. n. 47 in epigrafe ha deciso su rinvio di 'Pret. Imperia 5
aprile 1976, id., 1976, I, 2054, secondo cui il blocco dei prezzi degli olì di oliva, ancorché limitato nel tempo, ed il regime delle autorizza
zioni, previsto per l'eventuale aumento dei prezzi, restringevano il
mercato, con il risultato di compromettere le possibilità di vendere ed
importare ai prezzi determinati secondo le regole dell'ordinamento comunitario. La norma istitutiva del blocco (art. 2, 1° comma, d.l. n.
Il Foro Italiano — 1985.
427/73, come convertito e modificato dalla 1. n. 496/73) sarebbe risultata dunque incompatibile con la normaiva comunitaria, in forza della quale è stata istituita un'organizzazione comune del mercato nel settore dei grassi: in particolare con il reg. CE n. 136/66 e successive modifiche ed integrazioni.
Sulla vendita di merci il cui prezzo massimo è fissato con prov vedimento dell'autorità cfr., per riferimenti, la nota di richiami a Corte cost. ord. 65/83, id., 1984, I, 1150. Sul blocco dei prezzi del 1973 v. Corte cost. 10 luglio 1975, n. 200, id., 1975, I, 2163, con nota di richiami cui adde le indicazioni nella nota id., 1977, I, 1593. Sui
provvedimenti prezzi cfr., in prima approssimazione, Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, Roma, 1984, 643.
Il 22 febbraio, con identica motivazione, è stata depositata la sent, n. 48 che ha deciso, in tema di calcolo di diritti di prelievo, sulla stessa questione di cui alla sent. n. 170, in seguito alla rimessione di
App. Bologna 19 ottobre 1979 e App. Venezia 8 marzo 1979, Foro it., Rep. 1980, voce Comunità europee, nn. 203, 204 (la questione di merito è stata da ultimo esaminata da Cass. 30 marzo 1984, n. 2086, id., 1984, I, 1253, che ha ribadito che, anche dopo l'entrata in vigore del
d.p.r. 695/78 e del reg. CE 24 luglio 1979 n. 697, l'aliquota dei diritti di prelievo sulle importazioni anteriori all'I 1 settembre 1976 è soltanto quella vigente nel giorno in cui la relativa dichiarazione viene accettata dagli uffici doganali, con esclusione quindi delle possibilità di beneficiare di eventuali tariffe più favorevoli sopravvenute dopo tale
giorno e prima dello sdoganamento). Corte Cost. n. 170/84 cit. è annotata anche da Sotgiu, in Giust.
civ., 1984, I, 2353; da Capelli e Donnarumma, in Dir. scambi
internaz., 1984, 193; da Berri, in Giur. it., 1984, I, 1, 1521; da
Maresca, in Dir. pratica trib., 1984, II, 1073; da Gemma, in Giur.
costit., 1984, I, 1222. Sull'art. 11 Cost, cfr., da ultimo, Corte cost. 28 dicembre 1984, n.
300, Foro it., 1985, I, 341, con nota di richiami e nota di R. Moretti, Le immunità dei parlamentari europei: un istituto da rivedere.
■In senso conforme all'ordinanza in epigrafe, cfr., da ultimo, Corte
cost., ord. 20 marzo 1985, n. 81, inedita.
♦ • »
La sentenza è cosi motivata: Diritto. — Come questa corte ha con sentenza n. 170 del 1984 (Foro it., 1984, I, 2062)ygià statuito, il
giudice nazionale, una volta accertato che la specie cade sotto il
disposto del regolamento comunitario, è tenuto ad applicare le norme ivi contenute. Non importa, al riguardo, se la disciplina prodotta dalla
CEE sia seguita o preceduta nel tempo da incompatibili statuizioni della legge interna; il regolamento da applicare è infatti preso in considerazione dal nostro ordinamento in quanto e perché atto comuni
tario, con il risultato che la sfera da esso occupata è preclusa alla
legge statale. Dal canto suo, quest'ultima fonte rimane collocata in un
ordinamento, che non vuole interferire nella produzione giuridica del distinto e autonomo sistema della Comunità, sebbene di essa garantisca — grazie al disposto dell'art. 11 Cost. — piena e ininterrotta
osservanza entro l'ambito territoriale dello Stato. Compete, allora, al
giudice ordinario accertare se le disposizioni del diritto interno, le
quali verrebbero altrimenti in rilievo nella specie, confliggano con alcuna previsione del diritto comunitario, che — secondo il trattato di Roma e in conformità della garanzia assicurata alla relativa osservanza dall'art. 11 Cost. — riceve nel territorio italiano necessaria e immedia ta applicazione. Questo principio vale anche per il caso da cui trae
origine il presente giudizio. La questione è quindi inammissibile. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, d.l. 24
luglio 1973 n. 427, come convertito e modificato dalla 1. 4 agosto 1973 n. 496, sollevata con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 11
Cost.
Danni in materia civile — Danno a minore incapace di intendere e
di volere — Concorso di colpa del danneggiato — Riduzione
proporzionale del risarcimento — Questione manifestamente
infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. civ., art. 1227).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 1227, 1° comma, c.c., nella parte in cui esclude, nei
confronti dell'incapace di intendere e di volere che con la sua con
dotta abbia concorso a causare il danno complessivo da lui subito,
la risarcibilità, anche in via equitativa ed in misura parziale, della
parte di danno causato dal comportamento dello stesso danneg
giato, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
Corte costituzionale; ordinanza 23 gennaio 1985, n. 14 (Gaz
zetta ufficiale 30 gennaio 1985, n. 25 bis); Pres. Elia, Rei. Saja; Eusebio c. Pezza; interv. cons, ministri. Ord. Trib. Genova
23 maggio 1977 (Gazz. uff. 19 ottobre 1977, n. 286).
(1) L'orientamento giurisprudenziale da cui traeva criticamente le
mosse l'ordinanza di rimessione — Trib. Genova 23 maggio 1977, Foro it., 1977, I, 2818 — si era consolidato tre lustri addietro, al
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