ordinanza 26 febbraio 1985; Giud. istr. Salamone; imp. LombardoSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 319/320-323/324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187303 .
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PARTE SECONDA
TRIBUNALE DI AGRIGENTO; ordinanza 26 febbraio 1985; Giud. istr. Salamone; imp. Lombardo.
TRIBUNALE DI AGRIGENTO:
Contravvenzione, depenalizzazione e sanzioni amministrative —
Caccia — Furto di selvaggina — Concorso tra disposizione
penale e disposizione amministrativa — Principio di specialità — Questione non manifestamente infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema
penale, art. 9).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 9 l. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in
cui prevede, in riferimento all'ipotesi di furto di selvaggina ad
opera di cacciatori, l'applicazione della sola sanzione ammini
strativa se il fatto è commesso con violazione della l.
27 dicembre 1977 n. 968, e l'applicazione della sanzione
penale, di cui agli art. 624 e 625, n. 7, c.p., se il fatto è commes
so con violazione della l. reg. sic. 30 marzo 1981 n.
37, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
(1) La disparità di trattamento, rilevata nell'ordinanza in epigrafe, appare come il singolare risultato della mancanza di coordinamento delle diverse disposizioni di legge, che si sono recentemente sovrappo ste in tema di tutela della fauna selvatica.
Norma fondamentale della nuova disciplina è l'art. 1 della leg
ge-quadro 27 dicembre 1977 n. 968, che ha rivoluzionato la tradiziona le nozione della fauna selvatica come res nullius, definendola come « patrimonio indisponibile dello Stato » (cfr. Clarizia, Caccia, voce del
Novissimo digesto, appendice, 1980, II, 924 s.; Agnoli, La leg
ge-quadro sulla caccia, Bologna, 1980; Vigna-Bellagamba, La nuova
legge sulla caccia, Milano, 1978; Mazzotti, La legge cornice sulla
caccia, Firenze, 1978; Gorlani, Introduzione alla legge-quadro sulla
caccia, Firenze, 1980). Dal nuovo regime giuridico della fauna la
giurisprudenza di legittimità e la prevalente giurisprudenza di merito
hanno dedotto la configurabilità del reato di furto, per lo più
aggravato, in ogni condotta illecita di abbattimento e impossessamento di selvaggina, spesso cumulando la sanzione penale con quella ammi
nistrativa (cfr. Cass. 25 novembre 1982, Amerini e 28 ottobre 1982,
Turnu, Foro it., Rep. 1983, voce Furto, nn. 35, 34, e, per esteso, in
Riv. it. dir. e proc. pen., 1984, 1449, con nota critica di Gorlani; Trib. Perugia 29 ottobre 1979, Foro it., 1980, II, 528; Trib. Cuneo 12
gennaio 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 10. Contra, negando la
sussistenza di una detenzione da parte dello Stato, App. Napoli 19
novembre 1982, id., Rep. 1984, voce Caccia, n. 20; App. Milano 17
giugno 1981, id., Rep. 1982, voce Furto, n. 20; Trib. Siena 13 gennaio
1981, id., 1982, II, 112, con nota di richiami e osservazioni di Iacoboni; Trib. Orvieto 28 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce Caccia, n. 23).
Volendo prescindere da ogni considerazione su tale nuovo regime
giuridico (si è, a tal proposito, osservato che forse più adeguata allo
scopo sarebbe stata una ridefinizione della fauna selvatica come « bene
ambientale», piuttosto che come «bene patrimoniale dello Stato»; v.
Postiglione, Definitivo tramonto del concetto di «res nullius » per le
risorse materiali e culturali, in Giur. merito, 1982, II, 374; Gorlani,
Introduzione, cit., 45), va rilevato che, sotto il profilo penale, premi nente rilievo assume la questione dell'applicabilità del principio di specialità tra la fattispecie di furto e quelle previste dalle nor
me della legge-quadro, specialmente dopo che la 1. 689/81, nell'art.
9, esplicitamente ha introdotto detto principio anche rispetto ai
rapporti fra norme penali e amministrative (cfr. Vinciguerra, La
riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981 n. 689.
Infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, 68 s. Comunque, v'era chi sosteneva l'applicabilità dell'art. 15 c.p. anche prima dell'en
trata in vigore della legge: v. Vigna-Bellagamba, op. cit., 12. Contra
Palmieri, Attività venatoria in violazione delle norme sulla caccia e
furto degli animali uccisi, in Giur. agr. it., 1979, 670).
Ed invero, perché possa ammettersi la configurabilità del furto di
selvaggina, non sarebbe sufficiente accedere all'interpretazione più estensiva del requisito dell'« altruità » della cosa, interpretazione che
considera soltanto eventuale, nella fattispecie di furto, la preesistenza
di una vera e propria detenzione in capo al soggetto passivo del reato
(cfr. Neppi Modona, Un aspetto problematico del furto: la detenzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1962, 1156. Contra Barbalinardo, Il furto di selvaggina', un caso particolare di giudice legislatore, in Giust. pen.,
1983, II, 664 s.), ma sarebbe soprattutto necessario superare l'ostacolo
costituito dall'applicabilità del principio di specialità a favore delle
sanzioni amministrative. In particolare, mentre la Suprema corte si è
pronunciata per l'esclusione del rapporto di specialità (v. sent. 25
novembre 1982 e 28 ottobre 1982, cit. Contra Trib. Lanciano 25
gennaio 1982, Foro it., Rep. 1982, voce Caccia, n. 6), le opinioni in dottrina sono tutt'altro che concordi (cfr., per la sussistenza del
rapporto di specialità, Gorlani, Il furto di selvaggina al vaglio della
Corte di cassazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1984, 1476 s.; Robecchi Majnardi, La fauna come patrimonio indisponibile di fronte
Il Foro Italiano — 1986.
Osserva: che la legge 27 dicembre 1977 n. 968, ha statuito
che « la fauna selvatica costituisce patrimonio indisponibile dello
Stato » (art. 1 1. cit.), ond'è che i tradizionali concetti elaborati
da dottrina e giurisprudenza nella materia in esame hanno subito
un vero e proprio capovolgimento al punto che tanto la giuris
prudenza di merito quanto quella di legittimità hanno finito col
configurare il delitto di furto nel caso di chi si impossessi di
selvaggina senza il rispetto dei precetti formulati con la legge citata.
Questo g.i. ritiene di dover seguire l'orientamento suddetto, le
cui motivazioni sono ampiamente rintracciabili nelle sentenze n.
1313 del 28 ottobre-28 dicembre 1982, Turnu (Foro it., Rep. 1983, voce Furto, n. 34) e del 25 novembre 1982, Amerini (ibid., n. 35) della Corte di cassazione e alle quali per brevità si rimanda.
alla Cassazione, in Le regioni, 1983, 1344. Contra De Francesco, L'eser cizio della caccia tra violazioni amministrative e delitti contro il
patrimonio, in Riv. dir. agr., 1982, I, 351; Barbalinardo, op. cit., 664 s.).
Le controversie derivano, per un verso, dalle incertezze interpretative intorno ad alcuni requisiti della fattispecie di furto (cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano, 1982, I, 236 s.; Mantovani, Furto, voce del Novissimo digesto, VII, 693 s.) e, per altro verso, dall'estrema varietà di struttura delle singole infrazioni
amministrative, descritte nella legge-quadro. Pertanto, la tesi, che
propende per l'insussistenza, nella specie, del rapporto di specialità, si è formata, per lo più, muovendo dal rilievo sia della « specificità » delle singole condotte illecite descritte nella legge-quadro, tale da poter ravvisare soltanto un rapporto di « specialità bilaterale » con l'art. 624
c.p. (v. Zagrebelsky, Il principio di specialità tra furto e illecito amministrativo in tema di abbattimento abusivo di selvaggina, in Giur.
it., 1982, II, 525), sia della diversa natura degli interessi tutelati, sia, soprattutto, dell'irrilevanza, nelle fattispecie di violazione amministrati
va, del fine di trarre profitto, dolo tipico della condotta di furto (v., oltre Zagrebelsky, cit., De Francesco, op. cit., 366 s.). Secondo
l'opposto orientamento, benché si debba ammettere l'eterogeneità di struttura di alcune infrazioni amministrative, non potrebbe negarsi la sussistenza di un rapporto di specialità tra la fattispecie di furto e
quelle che si concretino nell'abbattimento e impossessamento illecito di
selvaggina per fini di caccia, poiché a queste ultime non sarebbe estraneo il fine di profitto, nel senso lato in cui viene inteso dalla dottrina dominante (cfr. Gorlani, op. ult. cit., 1468, e autori ivi
citati). Né, invero, sembrano del tutto convincenti le contrarie argomen tazioni, che si rifanno ora al concetto di « specialità bilaterale », ora al
criterio, peraltro assai diffuso, in base al quale il rapporto di specialità intercorrerebbe soltanto fra norme poste a tutela di uno stesso bene
giuridico (cfr., per le critiche a tali sforzi di apportare dei « corretti vi » al principio di specialità, Fiandaca-Musco, Diritto penale, Bolo
gna, 1985, 385 s.). Pur aderendo alla tesi della sussistenza del rapporto di specialità,
l'ordinanza in epigrafe contesta, peraltro, la possibilità di eguale trattamento nei confronti delle disposizioni contenute nella legge regionale siciliana sulla caccia 30 marzo 1981 n. 37, poiché il
capoverso dell'art. 9 1. 689/81 espressamente dispone la prevalenza della sanzione penale su quella amministrativa, che sia contenuta in una legge regionale (analoghe questioni di costituzionalità, in riferi mento alla legge regionale umbra sulla caccia, sono state sollevate da Trib. Perugia 17 gennaio 1983, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 5 e da Trib. Perugia 7 marzo 1983, ibid., voce Furto, n. 37).
È vero, d'altra parte, che l'esclusione, in via interpretativa, del
rapporto di specialità anche nei confronti della legge amministrativa statale eliminerebbe la suddetta disparità (ed invero, non del tutto
persuasive appaiono le argomentazioni di quella dottrina che, per superare la difficoltà di ravvisare il rapporto di specialità « in astrat to », sembra ricorrere all'ulteriore nozione di specialità c.d. « in concreto»: v. Gorlani, op. ult. cit., 1463; per una critica a tale
nozione, v. Fiandaca-Musco, op. cit., 385 s.). Ma non si può, per converso, negare che di tutt'altro segno appare la voluntas legis ad un attento esame dei lavori preparatori e della stessa ratio della discipli na, da cui emerge una chiara intenzione di depenalizzare l'intera materia delle infrazioni venatorie (cfr. Gorlani, Furto di selvaggina o
semplice illecito amministrativo o concorso di entrambi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 1600 s.).
L'esigenza incontestabile di una più rigorosa tutela della fauna
avrebbe, insomma, meritato una più meditata risposta legislativa. Il
nuovo regime giuridico della fauna come bene patrimoniale indisponi bile dello Stato e il difettoso collegamento tra legislazione statale e
regionale hanno ingenerato conseguenze, sotto il profilo penale, che lo
stesso legislatore non aveva probabilmente né previsto, né tanto meno
voluto. Appare, pertanto, auspicabile un nuovo intervento legislativo,
che, armonizzando l'intera materia, riaffermi l'intento depenalizzante, senza tralasciare però di soddisfare l'esigenza di una severa repressione del grave fenomeno del bracconaggio. [A. Ingroia]
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GIURISPRUDENZA PENALE
Orbene, l'art. 8 1. 968/77 dopo i criteri di demarcazione
fra esercizio lecito ed illecito della caccia, stabilisce, al 2° comma, che « costituisce esercizio di caccia ogni atto diretto all'abbatti
mento o cattura di selvaggina mediante l'impiego di mezzi di cui al successivo art. 9 e degli animali a ciò destinati », mentre al 3° comma precisa che « è considerato altresì esercizio di caccia il
vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o di attesa della medesima
per abbatterla o catturarla », per concludere per la parte che
interessa, con la disposizione di cui al 4° comma, secondo cui « ogni altro modo di abbattimento o di cattura è vietato, salvo che non avvenga per caso fortuito o per forza maggiore ».
Appare chiaro che la norma testé ricordata introduce la defini zione di un esercizio della caccia con modalità lecite ma è altrettanto palese che la definizione conserva tutto il suo valore anche quanto la caccia venga esercitata in violazione delle norme della 1. n. 968/77.
In altre parole, e con linguaggio penalistico, può dirsi che la norma in questione fornisce i parametri alla stregua dei quali valutare, nei congrui casi, se ci si trova in presenza di un tentativo illegittimo di caccia e, quindi, per le premesse fatte di un tentativo di furto.
Tale tentativo trova puntuale sanzione, sempre con stretto riferimento al caso che ci occupa, nel disposto di cui alle lett. c) ed e) dell'art. 31 della stessa legge che appunto punisce « chi eserci ta la caccia in periodi non consentiti » e « chi esercita la caccia con mezzi non consentiti ».
È chiaro che la legge cosi facendo non viene a punire soltanto il tentativo di caccia illegale, ma ricomprende anche le ipotesi in cui l'agente s'impossessa illegalmente della selvaggina, rimanendo
comunque indifferente per il legislatore il fatto che l'esercizio
illegale della caccia abbia o meno conseguito un risultato utile
per il soggetto attivo.
Ma, per quel che concerne la regione siciliana, occorre tener
presente che in data 2 luglio 1982 è entrata in vigore la 1. reg. 30 marzo 1981 n. 37, la quale, poiché in materia la regione gode (ex art. 14 statuto regionale) di potestà legislativa esclusiva, ha sostituito nell'ambito del territorio regionale la 1. statale n.
968/77, eccezione fatta per le ipotesi non espressamente regolate dalla legge stessa, poiché in tal caso, giusta il disposto dell'art. 58
legge regionale citata, si applicano le norme della 1. n. 968/77 purché non in contrasto con quelle della legge regionale.
Pertanto per la descrizione delle condotte vietate e per le corri
spondenti sanzioni è necessario fare riferimento, in linea di
massima, proprio alle norme della 1. reg. n. 37/81, a meno che, in forza dell'esplicito rinvio recettizio succennato, non debba farsi riferimento a quella della legge statale.
Ora l'art. 48 1. reg. vieta di « catturare, uccidere, detenere o commerciare » esemplari appartenenti alle specie protette, nonché di « catturare, detenere o commerciare » esemplari presi con mezzi non consentiti dall'art. 9 1. n. 968/77.
I sostantivi usati non lasciano dubbi circa l'intento del legisla tore che è quello di perseguire casi di esercizio illegale della caccia che si siano risolti nell'apprensione della preda da parte del soggetto attivo o, se si vuole e con linguaggio penalistico, di
perseguire i casi di esercizio illegale consumato.
E va detto subito che, nell'ambito della legge regionale, ecce
zione fatta per un caso di cui si dirà in seguito, non esiste altra
norma che prevede la sanzionabilità di ipotesi corrispondenti a
quelle che in campo penale vengono qualificate come tentativo,
quali l'esercizio illegale della caccia senza uccisione o cattura di
selvaggina, e ciò anche se l'art. 20 1. reg. recepisce lo stesso
concetto di esercizio di caccia elaborato nell'art. 8 della legge statale dal momento che, tranne una eccezione, nessuna norma sanziona l'esercizio della caccia, illecito ex art. 48, lett. a) e b), 1.
reg. n. 37/81, che non si sia risolto nella cattura e uccisione della selvaggina.
Avviene invece, e costituisce l'eccezione cui si accennava, nella
ipotesi di cui all'art. 26 1. reg. del 1981, il quale vieta e punisce l'esercizio della caccia con mezzi non consentiti dalla 1. statale n.
968/77, essendo evidente che tale ipotesi non può che riferirsi al
caso della caccia cui non consegue l'uccisione o la cattura di
selvaggina (e, dunque, al tentativo in termini penalistici ed al tentativo di furto in particolare), giacché, opinando diversamente, la norma si rivelerebbe del tutto pleonastica e verrebbe a costitui
II Foro Italiano — 1986.
re un inutile doppione del precetto di cui all'art. 48, lett. b), sanzionato con la disposizione di cui al successivo art. 49, n. 3.
Tale eccezione convalida la tesi sopra sostenuta, essendo agevo le affermare che il legislatore regionale ove ha voluto sanzionare il mero esercizio della caccia, vale a dire la caccia senza cattura o uccisione di selvaggina, lo ha fatto espressamente, ove non ha fatto altrettanto tale esercizio è rimasto sprovvisto di sanzione.
Epperò, stante il rinvio ex art. 58 1. reg., di cui s'è già detto, deve ritenersi che il mero esercizio della caccia senza uccisione o cattura di selvaggina, il quale è privo di sanzione amministrativa nell'ambito della legge regionale (come potrebbe essere il caso di chi compie atti diretti all'abbattimento di selvaggina in periodo non consentito) resta compreso nella sfera di applicazione dell'art. 31 della legge statale che, avendo adottato, per come s'è già detto, una dizione lata (quella di esercizio della caccia), consente di ricomprendervi anche le fattispecie di caccia senza uccisione o cattura della selvaggina.
A parere di questo g.i. è chiaro che l'esercizio della caccia, secondo la definizione datane dall'art. 8 della legge statale, integra necessariamente, ove avvenga con modalità illegittima, la
fattispecie del tentativo di furto, aggravato ai sensi dell'art. 625, n. 7, e nei congrui casi, dell'art. 61, n. 5, c.p., non apparendo disconoscibile che « l'atto diretto all'abbattimento o cattura di
selvaggina » ovvero « il vagare o il soffermarsi con mezzi destina ti a tale scopo (la caccia) o in attitudine di ricerca della
selvaggina o di attesa della medesima per abbatterla o catturar la » costituiscono atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di furto di selvaggina.
A questo punto, essendo stata sufficientemente delineata la
sovrapposizione fra legge penale, legge statale non penale e legge regionale, occorre ricordare il disposto di cui all'art. 9 1. 24 novembre 1981 n. 689, il quale stabilisce che « quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale », mentre al capoverso dispone che « quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale... che prevede una sanzione am
ministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposi zioni penali ».
Con il che la legge, mentre nell'ipotesi di concorso apparente di norma penale e di sanzione amministrativa comminata da
legge statale non ha stabilito una regola fissa per stabilire la
prevalenza dell'una o dell'altra norma, dovendosi applicare per la soluzione del problema il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., ha stabilito, per contro, una regola precisa per il caso di concorso apparente fra norma penale e sanzione amministrati va comminata da legge regionale, poiché, salvo che si tratti di
reato « sussidiario », deve sempre trovare applicazione la norma
penale. Orbene la disposizione dell'art. 9 1. n. 689/81 applicata all'ipo
tesi di tentato furto aggravato di selvaggina contestata all'odierno
imputato (ma le argomentazioni che seguono dovrebbero essere
valide, mutatis mutandis, anche nella ipotesi del furto consumato)
produce la conseguenza che allorché una stessa condotta di
caccia, valutabile penalmente sotto la fattispecie degli art. 56 e
624 c.p. e loro coordinati, è sanzionata amministrativamente solamente dalla legge statale n. 968/77, che certamente costituisce lex specialis rispetto a quella penale, comprendendo l'ipotesi del tentativo di furto ed in più altre fattispecie che non sono riconducibili in tale ambito (come l'esercizio della caccia senza
essere muniti di tesserino regionale), si dovrà fare luogo all'appli cazione della 1. n. 968/77 con esclusione delle disposizioni degli art. 56, 624 e coordinati, mentre, allorché una stessa condotta
penale valutabile nel senso predetto è sanzionata amministrativa
mente da una legge regionale, che venga a sostituirsi alla legge statale n. 968/77, si avrà che quest'ultima resterà inoperante dovendosi far luogo all'applicazione degli art. 56 e 624 c.p. e
coordinati.
E nell'ambito del territorio della regione siciliana, in cui è
applicabile la 1. reg. n. 37/81 la quale, come si è detto, punisce un solo caso di caccia in cui non consegue l'uccisione o la
cattura della selvaggina, e, precisamente, l'esercizio di caccia con
mezzi non consentiti, si avrà che nel caso di un cacciatore
sorpreso in atteggiamento di caccia con mezzi consentiti, ma al di
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PARTE SECONDA
fuori del periodo stabilito oppure che cerchi di catturare esem
plari appartenenti a specie particolarmente protette, dovrà farsi
luogo all'applicazione dell'art. 31 1. statale n. 968/77.
Ciò perché tale condotta non sarebbe sanzionata dall'art. 48 1.
reg. n. 37/81, che fa riferimento soltanto all'esercizio di
caccia con apprensione della selvaggina, sicché dovrebbe trovare
applicazione l'art. 31 della legge statale, giusta il disposto dell'art.
58 della legge regionale, il quale art. 31, stante il disposto di cui
al 1° comma dell'art. 9 1. n. 689/81, viene appunto a prevalere sulla norma penale.
Per contro, nel territorio della stessa regione, nel caso di un
cacciatore sorpreso in chiaro atteggiamento di caccia, che egli stia
esercitando con mezzi non consentiti, si avrà che dovrà applicarsi la norma penale di cui agli art. 65, 624 e 625, n. 7, c.p. e ciò
perché siffatta ipotesi di tentativo è sanzionata amministrativa
mente dall'art. 26 1. reg. n. 37/81, la quale, per il principio di cui
al capoverso dell'art. 9 1. 689/81 deve soccombere di fronte alla
norma penale.
Il caso che ci occupa rispecchia perfettamente gli esempi formulati dal momento che i prevenuti sono imputati di tentativo di furto aggravato per avere tentato di impossessarsi di selvaggina in periodo non consentito e con mezzi non autorizzati, ond'è che non v'è chi non veda che all'interessato dovrebbe applicarsi contemporaneamente le norme della 1. n. 968/77 e quella della
legge penale con irrogazione della sanzione amministrativa per la
prima modalità e di quella penale per la seconda.
E ciò avverrebbe in situazioni fattuali sostanzialmente identi
che, come è confermato dal fatto che l'art. 49, n. 3, 1.
reg. n. 37/81 commina la identica sanzione per le due
ipotesi previste con riferimento alla caccia consumata, dall'art. 48, lett. b) ed a) (quest'ultimo relativo, però, al caso di chi cattura
animali appartenenti alle specie particolarmente protette che è
stato citato in esempio).
Ma il fatto che l'art. 31 della legge statale punisce con pene
leggermente diverse chi sia sorpreso in atteggiamenti di caccia
con mezzi non consentiti e chi lo sia in periodi non consentiti
(irrogando nel primo caso, una sanzione che va da lire 10.000 a
lire 500.000 e, nel secondo, da lire 50.000 a lire 500.000) non vale
ad infirmare l'assunto che si tratti di fattispecie sostanzialmente
uguali che, se sono suscettibili di diverso apprezzamento, che
conduca alle suddette lievi differenze sul piano della sanzione
amministrativa non possono tollerare un trattamento profonda mente diverso da quello che deriverebbe dall'applicabilità o meno
della norma.
Sorge, pertanto, il dubbio di costituzionalità dell'art. 9 1. 24
novembre 1981 n. 689 in relazione all'art. 3 Cost, nel quale è consacrato il principio dell'uguaglianza.
PRETURA DI SESTRI PONENTE; ordinanza 7 febbraio 1986;
Giud. Patrone; imp. Vasmi e altri. PRETURA DI SESTRI PONENTE;
Parte civile — Reati contro l'ambiente — Costituzione di associa
zioni ambientaliste — Ammissibilità (Cost., art. 2; cod. pen., art. 185; cod. proc. pen., art. 22; 1. 31 dicembre 1982 n. 979,
disposizioni per la difesa del mare, art. 28, 29).
È ammissibile la costituzione di parte civile di Italia nostra, della
Lega per l'ambiente e del Fondo mondiale per la natura in un
procedimento avente ad oggetto reati contro l'ambiente. (1)
(1) L'ammissibilità della costituzione di parte civile del Fondo mondiale per la natura (WWF) è stata affermata, da ultimo, in un
procedimento penale per inquinamento idrico, da Pret. Napoli 15
novembre 1982, Foro it., 1983, II, 153, con nota di richiami; analogamente, in un giudizio penale relativo al reato di « distruzione e
deturpamento di bellezze naturali », è stata ritenuta ammissibile la costituzione di Italia nostra: v. Pret. Revere 17 novembre 1982, id.,
Rep. 1983, voce Parte civile, n. 47. In senso difforme v. invece Trib.
Savona 23 maggio 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 23, che ha negato la costituzione di Italia nostra e della Federazione nazionale pro natura in procedimenti aventi ad oggetto reati a tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori; Trib. Monza 20 giugno 1983, ibid., n. 22, che
Il Foro Italiano — 1986.
1) Secondo l'art. 22 c.p.p. l'azione civile per le restituzioni ed
il risarcimento del danno cagionato dal reato può essere esercitata
nel procedimento penale, con la costituzione di parte civile (art.
23), dalla persona alla quale il reato ha cagionato un danno; da
tempo ormai, in dottrina ed in giurisprudenza, si ammette, almeno in astratto, la possibilità di esercitare tale azione anche in
capo agli enti sforniti di personalità giuridica; la interpretazione contraria sarebbe infatti ormai in contrasto con la nostra Costitu
zione, in particolare con gli art. 2, 18 e 24. Il c.p.p. ha poi
previsto un particolare giudizio, di natura incidentale, nel caso di
opposizione alla costituzione della parte civile, che può essere
dichiarata inammissibile, anche d'ufficio, dal giudice, in ogni stato
del giudizio di primo grado, sino alla discussione finale; la
particolarità delle ordinanze che respingono la costituzione è data
dal fatto che esse non possono mai pregiudicare il diritto di
esercitare successivamente l'azione (la stessa azione) in un
ordinario giudizio civile (art. 100 c.p.p.); da tale ultima norma
può agevolmente desumersi che il giudizio incidentale e prelimina re di ammissibilità della azione civile deve essere reso allo stato
degli atti; tanto più che, prima della pronuncia della sentenza, non essendo neppure certo che reato vi sia, non può essere
risolto il problema della effettiva esistenza, in capo al soggetto che si è costituito parte civile, di un danno in concreto risarcibi
le; occorre perciò basarsi sulle allegazioni di fatto e di diritto
proposte dalle parti e giudicare in base ad un criterio di
probabilità, non dissimile dal fumus boni iuris richiesto per la
pronuncia di un provvedimento cautelare civile; poiché il danno di cui si tratta è il danno cagionato dal reato, occorre verificare
ha escluso la possibilità di costituirsi per la Lega per l'ambiente e per l'associazione Amici della terra in procedimenti penali aventi ad
oggetto la responsabilità penale dei titolari dell'impresa per inosservan
za delle norme sulla sicurezza del lavoro. In dottrina v. Postiglione, II diritto all'ambiente delle associazioni,
in Riv. pen., 1983, 319; Marilena, Tutela del territorio, interessi
diffusi ed operato del giudice <ordinario, amministrativo e contabile), in Quaderni regionali, 1985, 981.
Da sottolineare, nella presente ordinanza, il riconoscimento dell'am
missibilità della costituzione delle associazioni ambientaliste « le quali
vantino anche solo un danno morale nei confronti degli imputati a
cagione del reato che si ipotizza commesso».
Sulla 1. n. 979/82 v. Corte conti, sez. riun., 16 giugno 1984, n.
378/A, Foro it., 1985, III, 37, con nota di Verrienti, che ha
riconosciuto sussistente la propria giurisdizione nell'ipotesi di danno
pubblico conseguente al danneggiamento ambientale causato da funzio
nari che abbiano illegittimamente autorizzato scarichi di sostanze
tossiche anche in mare aperto, lln dottrina v. Bertolini, Nuove norme
per la difesa del mare dagli inquinamenti. L. 31 dicembre 1982 n. 979,
in Giust. pen., 1984, II, 123; F. Giampietro, Scarichi ed immissioni
di rifiuti in mare da navi: dalla legge « Merli » alla l. n. 979/1982, in
Nuovo diritto, 1984, 1. In merito alla copiosa giurisprudenza relativa alla costituzione di
parte civile del sindacato in procedimenti relativi a reati previsti a
tutela dell'integrità dei lavoratori v., da ultimo, Trib. Bologna 30
giugno 1983, Foro it., 1984, II, 140, con nota di richiami di Iacoboni;
Trib. Monza 20 giugno 1983, cit.; Trib. Savona 23 maggio 1983, cit.;
Cass. 29 marzo 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 25. In dottrina v.
Luccioli, Brevi riflessioni sulla giurisprudenza più recente in tema di
costituzione di parte civile delle associazioni sindacali, in Cass, pen.,
1984, 155; Foglia, Sindacato e costituzione di parte civile: ancora in
discussione la tutela degli interessi collettivi, id., 1983, 1828; AA.W., Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale, in Politica del
diritto, 1985, 361 ss. Con riguardo invece ai partiti politici v. Assise Genova 2 febbraio
1983, Foro it., 1983, II, 129, con nota di richiami; Assise Cosenza 18
ottobre 1982, ibid.; Assise Roma 26 aprile 1982, ibid. In merito alla
prima di tali decisioni v. Mura, Il partito politico come parte civile
nei processi per delitti terroristici, in Difesa penale, 1983, fase. 1, 93.
Più in generale v. Bettinelli, Alla ricerca del diritto dei partiti
politici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, 1001.
Ancora con riferimento alla costituzione di parte civile di soggetti
collettivi v., da ultimo, Trib. Milano 29 settembre 1983, Foro it., 1984,
II, 202, con nota di richiami (relativamente alla costituzione di un
gruppo di azionisti di due istituti di credito in liquidazione coatta);
Pret. Legnano 21 maggio 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 32 (che ha
dichiarato inammissibile, in un processo penale per maltrattamento di
animali, la costituzione dell'ente nazionale per la protezione animali);
Cass. 22 giugno 1983 Della Giovampa, ibid., nn. 12, 13 (che ha ricono
sciuto il comune legittimato a costituirsi parte civile nei procedimenti pe
nali per violazioni alla legge urbanistica: su questo problema v. Piazza,
La costituzione di parte civile del comune nei processi per abusivismo, in
Ammin. it., 1984, 348).
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