ordinanza 26 luglio 1984; Giud. Petrangelo; Soc. Simmenthal (Avv. Vanzetti, Testori), c. Soc.Star (Avv. Sena, Prisco)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2453/2454-2459/2460Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178028 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Raffaele; che da alcuni mesi acque provenienti dal bagno del
terzo piano avevano invaso il solaio di copertura del proprio vano cucina; che vani erano risultati gli inviti ad eliminare le
lamentate infiltrazioni nonché la diffida in data 13 dicembre 1983
del comune di Napoli agli occupanti i due quartieri ad eseguire le opere di assicurazione del solaio; di subire, infine, gravi danni
con aggravamento del pericolo di crollo dello stesso; ciò pre
messo, chiedeva che con l'ausilio di un consulente tecnico di
ufficio venissero determinati i lavori da eseguire per la elimina
zione degli inconvenienti, con l'accertamento della spesa necessa
ria e ideila quota dovuta da ciascuna parte, riserva di risarcimento
danni e vittoria di spese. (Omissis) Motivi della decisione. — L'eccezione pregiudiziale sollevata
dal resistente Di Lorenzo, attinente al difetto di legittimazione attiva della ricorrente, merita accoglimento perché fondata. L'art.
1172 c.c., invero, a differenza del codice del 1865, consente la
esperibilità dell'azione di denunzia di danno temuto al proprieta
rio, al titolare di altro diritto reale di godimento e al possessore, vale a dire agli stessi soggetti cui spetta la denunzia di nuova
opera (art. 1171 c.c.), specificamente indicati; ne consegue che la
titolarità dell'azione è negata a tutti coloro che hanno la sem
plice detenzione, come il sequestratario, il depositario, il condutto
re, ecc. Quando la legge ha voluto concedere a costoro una
determinata azione, lo ha espressamente dichiarato; cosi, per es.
l'art. 1168 c.c., dopo aver previsto la reperibilità dell'azione di
reintegra in favore del possessore (1° comma), recita testual
mente: «l'azione è concessa altresì a chi ha fa detenzione della
cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di
ospitalità » (2° comma). D'altra parte è pacifico che le azioni di
nunziazione, avendo per oggetto della tutela esclusivamente il pos sesso, la proprietà o altro diritto reale di godimento sulla cosa, han
no carattere reale e non possono pertanto essere esperite per la
tutela di interessi legittimi ovvero di diritti di natura personale (v. Cass. 6 febbraio 1978, n. 532, Foro it., Rep. 1978, voce Nuova opera, n. 1); che il conduttore non può ricorrere all'azione di cui all'art. 1172 c.c. allorché il danno minacciato non si rife
risce ad oggetti immessi nell'immobile, di cui egli abbia la
proprietà o il possesso, ma si risolve prevalentemente in una restrizione del godimento dell'immobile locato (v. Cass. 9 aprile 1949, n. 857, id., Rep. 1949, voce cit., n. 9).
Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si osserva che la Menna, avendo agito nella dichiarata qualità di locataria dell'im mobile di proprietà della Andolfi al solo scopo di rimuovere delle limitazioni alfa relativa detenzione esercitata non poteva servitisi della denunzia di danno temuto e avrebbe dovuto ricorrere, attesa l'urgenza e il pericolo prospettati, all'azione di cui all'art. 700 c.p.c., a nulla rilevando fa precisazione — fatta dal procu ratore soltanto in sede di comparsa conclusionale — di agire quale proprietaria dell'arredamento, dell'attintatura e della contro soffittatura in parato, che si rivela come espediente pretestuoso e tardivo. (Omissis)
PRETURA DI MONZA; PRETURA DI MONZA; ordinanza 26 luglio 1984; Giud. Pe
trangelo; Soc. Simmenthal (Avv. Vanzetti, Testori), c. Soc.
Star (Avv. Sena, Prisco).
Concorrenza (disciplina della) — Prodotti alimentari di gusti differenti — Pericolo di confusione tra prodotti — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2598).
Concorrenza (disciplina della) — Pericolo di confusione tra
prodotti — Elementi di giudizio (Cod. civ., art. 2598).
Non sussiste perìcolo di confusione tra prodotti del settore
alimentare appartenenti ad uno stesso tipo (nella specie prodot ti spalmatili su fette biscottate) quando, pur nella similarità delle rispettive confezioni, tali prodotti abbiano gusti differenti (nella specie si è esclusa la confondibilità tra «Spunti» nelle
versioni alla carne e al salmone, e « Tarti » nelle versioni al
prosciutto cotto ed al salmone affumicato). (1)
(1-2) Sulla prima massima non constano precedenti in termini. Il decisuin poggia sulla convinzione che il consumatore scelga ex ante (cioè, prima di venire materialmente in contatto con il bene) sia il tipo di prodotto (alimentare) da acquistare sia il suo gusto. Ma, attenzione: per questa via, si finisce eoa l'escludere non solo e non tanto il pericolo di confusione tra prodotti di gusti differenti ma, soprattutto — e sia pur implicitamente — l'esistenza dello stesso rapporto di concorrenza, inteso con accezione notevolmente restrittiva.
Il Foro Italiano — 1985.
Il giudizio di confondibilità tra prodotti contrassegnati da marchi
differenti va emesso sulla base di un raffronto comparativo che
investa l'insieme degli elementi che compongono il singolo
prodotto (quali, ad es., la sua natura, le caratteristiche della
confezione, l'etichetta, ecc.) confrontato con quello concorrente, in relazione all'impressione che, dopo esame non dettagliato e
condotto « a prima vista », risulterebbe ad un individuo dotato
di accortezza media. (2)
Quanto alla seconda massima, è affermazione giurisprudenziale ricor rente che il giudizio di confondibilità tra prodotti deve investire dapprima, in via differenziata e successiva, le singole caratteristiche dei beni (c.d. giudizio analitico), per poi procedere all'esame unitario dell'insieme dei loro elementi costitutivi (c.d. giudizio sintetico). A
pronunce che affermano la necessità di un rapporto non alternativo, ma complementare, tra i due giudizi — Trib. Milano 7 febbraio 1983, Foro it., Rep. 1983, voce Concorrenza (disciplina della), n. 105 e Trib.
Roma 20 maggio 1980, ibid., n. 101 — si contrappone, però, la
giurisprudenza dominante, che costantemente ribadisce, in caso di esiti
contrastanti, la prevalenza dell'esame sintetico su quello analitico, giustificandola con il rilievo che il consumatore non è solito indugiare in minuziose verifiche (App. Roma 21 marzo 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 58; 14 dicembre 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 109; App. Milano 1° aprile 1980, ibid., n. 97; Trib. Parma 17 maggio 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 92; Trib. Milano 4 marzo 1982, ibid., n. 87; Trib. Modena 14 aprile 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n.
158). Prospettiva, quest'ultima, fatta propria dal provvedimento in
epigrafe, che ha altresì ritenuto scarsamente affidabile il c.d. esame analitico.
Altre sentenze di merito, portando tale orientamento alle sue
conseguenze estreme, elidono in toto il giudizio analitico, mirando direttamente agli esiti del giudizio sintetico: così Trib. Venezia 27 settembre 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 75; Trib. Milano 16 aprile 1981, ibid., n. 88; Trib. Lecco 23 dicembre 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 172; Trib. Foggia 21 novembre 1977, ibid., n. 73; Trib. Modena 30 giugno 1976, ibid., n. 103. Non mancano, però, critiche verso tale modo di operare la valutazione di confondibilità: l'anonimo annotatore di Trib. Roma 20 maggio 1980, cit., Giur. dir. ind., 1980, 445, 447-8, lo ritiene scorretto e pericoloso perché « finisce... col
legittimare un esame « a colpo d'occhio » che lascia le parti esposte alla
pura intuizione del giudice ed in buona sostanza sottrae [quest'ultimo] ... dall'obbligo della motivazione », suggerendo, come correttivo, sia un
rapporto complementare tra esame analitico ed esame sintetico, sia
l'opportunità, sulla scorta dell'esperienza tedesca e nordamericana, di un diffuso ricorso allo strumento dell'indagine demoscopica.
Va rimarcato, in proposito, che gli esiti del giudizio analitico non mancano di rivestire importanza, via via crescente, quanto più la clientela dei potenziali acquirenti sia professionale. In altri termini: se, in generale, per prodotti di largo consumo (e di basso prezzo), la possibilità di incorrere in confusione è maggiore, per la rapidità con cui si procede all'atto d'acquisto e per la sommarietà dei raffronti compiuti tra i vari prodotti, diverso è il procedimento di scelta adottato da una clientela composta di esperti o, per usare la definizione invalsa in giurisprudenza, di acquirenti « qualificati ». In questo secon do caso il pericolo di confusione è ridotto perché il compratore, accurato nota differenze anche minute e relative a dettagli (da ultimo, si veda App. Torino 28 marzo 1984, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 83: si trattava, nella specie, di un prodotto di avanzata tecnologia). La distinzione, che non sfugge alla giurisprudenza, spiega la massima secondo cui il pericolo di confusione va accertato in relazione al pubblico dei potenziali consumatori del bene: per tutta
conseguenza, in presenza di prodotti molto simili tra loro, ma contrassegnati da differenti marchi, si tende ad escluderne la confondi bilità quando destinati ad una clientela particolarmente qualificata (cfr. Cass. 9 novembre 1983, n. 6625, ibid., n. 82, resa in tema di confondibilità tra generatori di calore, e App. Bologna 18 novembre 1977, id., Rep. 1980, voce cit., n. 136, riguardante componenti di apparecchiature complesse venduti a tecnici), mentre se ne riconosce la sussistenza a fronte di una clientela composta da '
profani '
(cfr. Trib. Milano 4 marzo 1982, cit., e 16 aprile 1981, id., Rep. 1984, voce cit., n. 84; in dottrina cfr. Di Cataldo, L'imitazione servile, Milano, 1979, 204 ss.).
Tra i due estremi, una fascia di « discrezionalità » in cui la decisione circa la ' fetta ' di pubblico cui il prodotto è concretamente destinato comporta, a seconda dei casi, l'espandersi o il contrarsi del campo dell'illecito concorrenziale. Un evidente esempio delle operazioni di politica del diritto (di concorrenza) così consentite è fornito dalle numerose sentenze rese in tema di pezzi di ricambio per auto: tra le
ultime, Cass. 15 novembre 1982, n. 6099, Foro it., 1983, I, 2514, con nota di R. Pardolesi.
In proposito vanno anche ricordate Trib. Torino 16 giugno 1978, Giur. dir. ind., 1978, 1197, per cui gli acquirenti di prodotti «rigene ratori » di capelli non sono i parrucchieri, bensì i loro clienti, e Trib. Lodi 17 settembre 1973, id., 1973, 1035, che, in un giudizio di confondibilità tra giocattoli, ha sostenuto la necessità di far riferimento alla capacità di distinguere dei bambini e non dei genitori (queste due ultime pronunce sono citate anche da G. Ghidini, La concorrenza
sleale2, Torino, 1982, 127, 132, cui si rinvia per ulteriori indicazioni di
dottrina).
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2455 PARTE PRIMA 2456
Con ricorso depositato in data 8 giugno 1984 e poi notificato
in data 19 giugno 1984 la Simmenthal s.p.a. (in prosieguo indi
cata Simmenthal), con sede in Aprilia, in persona del suo pre
sidente, conveniva in giudizio avanti a questo pretore la Star
stabilimento alimentare s.p.a. (in prosieguo indicata Star), con
sede in Agrate Brianza, in persona del suo presidente, esponendo. Essa instante, dopo accurati studi condotti alla fine degli anni
70, aveva prima in via sperimentale, limitatamente alla provincia di Verona, e poi definitivamente su tutto il territorio nazionale,
lanciato, tra l'ottobre del 1980 ed il maggio dell'anno seguente un
prodotto alimentare denominato « Spunti » nelle versioni alla
carne, al tonno e da ultimo al salmone, caratterizzato dalla
possibilità di essere spalmato sul pane e di costituire un pasto
leggero da consumarsi nell'intervallo tra i pasti principali. Per tale ragione aveva adottato una confezione di piccole
dimensioni, apribile facilmente con il sistema a strappo, in
alluminio imbutito in luogo di quelle a banda stagnata, con un
marchio litografato e fortemente caratterizzato da una parola tronca ed accentata sull'ultima vocale.
Per la sua promozione attraverso i circuiti televisivi e la
stampa periodica aveva nell'arco del quadriennio impegnato la
cifra, in moneta attuale, di circa 14 miliardi e 308 milioni,
raggiungendo un fatturato per l'anno 1983 di lire 17 miliardi e
469 milioni pari ad oltre 24 miliardi di unità di prodotto. Ciò premesso lamentava che controparte aveva nel settembre
del 1983 immesso sul mercato altro spalmabile, denominato
« Tartf », che per la confondibilità del marchio con quello da lei
adottato, andava a sfruttare parassitariamente l'accreditamento
conseguito dal proprio alimento.
Evidenziava che la volontà imitativa emergeva non solo dalla
predetta sovrapposizione fonetica ma anche dalla somiglianza concettuale corrente tra le due parole richiamanti una piccola merenda e più in generale il c.d. fuori pasto.
Non solo, anche la confezione ed il suo sistema di apertura erano perfettamente identiche, siccome provenienti dalla medesi
ma impresa francese, mentre le versioni al prosciutto cotto, tonno
e salmone affumicato corrispondevano a quelle alla carne, tonno
e salmone da lei prescelte. Da ultimo il colore delle rispettive versioni, l'impostazione
grafica -dei disegni e delle scritte, la raffigurazione di un coltello a
punta arrotondata utilizzato per spalmare, contribuivano ad inte
grare un caso clamoroso di imitazione servile confusoria e quindi una ipotesi di sleale concorrenza.
Mancava di originalità pure il contenuto del messaggio pubbli citario immaginato da Star, incentrato sulla raffigurazione di
scene di vita familiare colte nei momenti di pausa mentre
l'attribuzione al di lei prodotto della qualificazione « nuovo »
costituiva un vero e proprio mendacio.
Pertanto ricorrendo le ipotesi di cui ai nn. 1-2-3 dell'art. 2598
c.c., avuto riguardo alla causazione di un danno immediato e
irreparabile rappresentato dalla flessione delle vendite, chiedeva
l'inibitoria a carico della convenuta della produzione e vendita
del prodotto alimentare denominato « Tartf », il sequestro o co
munque l'accantonamento di quello esistente presso la ditta
produttrice e presso terzi, nonché la pubblicazione del provvedi mento a cura della ricorrente e a spese della soccombente per una volta a caratteri doppi del normale e con i nomi delle parti ed i marchi in grassetto sui quotidiani « Il Corriere della Sera » e « La Repubblica ».
Con memoria depositata all'udienza del 4 luglio 1984 si costi
tuiva la Star opponendo che già prima del 1980, epoca in cui
risalirebbero le prime vendite sperimentali di Simmenthal, erano
conosciuti e diffusi pàtés, mousses o spume a base di' carni ed
altro, spalmabili su crostini e tartine e che proprio essa resistente
fino dal 1972 era la distributrice dell'« altro spalmabile » al
prosciutto jensesn's della Reckitt e Colmali indicato da contro
parte nel suo atto introduttivo.
Negata originalità alla scatola cilindrica ed al suo sistema di
apertura adottati anche da quasi tutte le ditte del settore, contestata la esclusività delle colorazioni impiegate, qualificata come insignificante l'identica raffigurazione del coltello usato per
spalmare, con riguardo alla pretesa contraffazione del marchio
«Spunti» da parte del marchio «Tartf», dichiarava che il
proprio era stato depositato dalla Nestlé, sua dante causa con il
n. 238226 in data 6 dicembre 1960 mentre quello concorrente era
stato depositato in data 9 novembre 1978 con il numero 21225
c/78, per modo che lo stesso doveva ritenersi nullo perché
anticipato dall'altro ed anche perché aoteriorizzato da altri con
identica radice come Spuntino, Spuntinella, Spuntibon, Spuntini
1l Foro Italiano — 1985.
sta e da altri con esso assonanti come Catari, Wafrf, Tuorli, Pandi, Parmi, Margarì, Tuttoldf, Trilli, Kadi, Patati, Ari, Saori,
Pami, Torteldi, Combi, Mai, Mati, Tabli, Genné, Singaù, e Buondì.
Contestava poi la dedotta somiglianza pubblicitaria richiamando
da un lato la ovvietà delle raffigurazioni di interni familiari
nell'ambito dei quali tali tipi di prodotti vengono consumati e
d'altro evàdenziaindo che negli spots televisivi le sceneggiature ed i protagonisti differivano sostanzialmente.
Sostenuta dunque la originalità e priorità del proprio alimento
chiedeva il rigetto delle avverse conclusioni. (Omissis) Motivi della decisione. — Va preliminarmente verificata, seppu
re sommariamente per l'assenza di contestazione sul punto, se sia
astrattamente ammissibile in materia di marchi registrati ed in
materia di concorrenza sleale il ricorso al provvedimento atipico cautelare d'urgenza ex art. 700 c.p.c. avuto riguardo alla riserva
di applicazione delle misure cautelari tipiche.
Orbene con riferimento al caso in esame va detto che la
ricorrente ha presentato in data 9 novembre 1978 all'U.p.i.c.a. di
Milano domanda di brevetto per il marchio d'impresa di primo
deposito « Spunti », da attribuirsi a preparazioni alimentari a base
di carne e di pesce, senza rivendicazione di colori; allo stato
quindi non risultando ancora conferiti con la concessione del
brevetto i relativi diritti esclusivi, occorre domandarsi quale tutela possa interinalmente richiedere la ricorrente Simmenthal,
perché, se, come alcuni ritengono, si riconosce, sulla base del
richiamo normativo dell'art. 56, 1° comma, 1. cit., la possibilità di
ricorrere da parte sua alla procedura di cui al successivo art. 63
si va ad escludere per la presenza di una misura cautelare tipica la possibilità del ricorso alla presente procedura che invece deve
ritenersi ammissibile nell'ipotesi contraria.
La cennata problematica, ammettendo comunque una tutela, brevettatale o no, nel periodo antecedente alla concessione del
brevetto, è di scarsa rilevanza pratica se non nel momento in cui
il produttore che abbia optato per l'una o per l'altra via si trovi
nella sede prescelta di fronte ad un rigetto della istanza con
conseguente pericoloso ritardo nei tempi di ottenimento della
inibitoria. Ad ulteriore specificazione si sottolinea che, mentre
nella procedura di cui al r.d. n. 929 il provvedimento inibitorio
dell'uso del marchio è già espressamente previsto dal legislatore, nella procedura atipica è rimessa al prudente apprezzamento del
giudice l'adozione dei provvedimenti più idonei per assicurare
provvisoriamente gli effetti della decisione di merito.
Sul punto va detto che, sebbene non manchino orientamenti
dottrinari e giurisprudenziali contrari, ad avviso di questo pretore il tenore letterale della normativa di cui alla legge predetta non è
superabile né con il richiamo all'art. 56, 1° comma, né con il
riferimento all'art. 83 bis che, in materia di brevetti per inven zione e per modello, ha introdotto la protezione interinale prima della concessione dell'attestato.
Non occorre dilungarsi oltre su detta questione visto che,
proprio a ragione della esposta incertezza, il rischio di una
pronuncia di rigetto viene normalmente evitato con la formula
zione cumulativa della denuncia per concorrenza sleale per modo
che nel caso di specie, non essendovi più alcun dubbio sulla sua
ammissibilità, la domanda ex aut. 700 c.p.c., limitatamente a detto
aspetto, può ritenersi esattamente proposta. (Omissis) Può ora passarsi all'esame del secondo profilo della controversia
riguardante la integrazione o meno di una fattispecie di concor
renza sleale confusoria.
Pur con la scontata puntualizzazione che in un regime di
libero mercato l'accaparramento di settori sempre più vasti di
clientela deve necessariamente passare attraverso condotte im
prenditoriali concorrenziali che vanno quindi ad esplicare effetti
proprio nella stessa fascia di consumo aperta dalla iniziativa del
più intelligente e capace degli operatori; va osservato che in tutte
le legislazioni moderne il confronto viene regolamentato sulla
base di precise normative.
Nell'ambito di queste si pone l'art. 2598 c.c. che, nella elen
cazione degli atti di concorrenza sleale al n. 1 contempla la
utilizzazione di « nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con segni distintivi legittimamente usati
da altri » oppure la imitazione servile di « prodotti di un concor
rente » oppure la commissione con « qualsiasi altro mezzo (di) atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di
un concorrente ».
Per procedere a detto apprezzamento occorre partire dall'esame
delle confezioni prodotte in causa.
La confezione « Spunti » è costituita da una scatoletta in
alluminio imbutito delle dimensioni di cm. 6,4 di diametro sulla
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
parte superiore e di cm. 3,2 di altezza con apertura a strappo; nella parte frontale ed in quella posteriore (oltre che sul fondale
seppure in dimensioni ridotte) risulta impresso, col sistema lito
grafico, il marchio denominativo « Spunti », della lunghezza
complessiva di ca. cm. 4,5, con affiancata l'indicazione della
versione; sottostanti a dette scritte e per tutta la loro complessiva
lunghezza appaiono sul lato sinistro il marchio di fabbrica nel
caratteristico colore giallo e su quello destro una fetta di pane con il prodotto già spalmato da un coltello con punta arrotondata
pure raffigurato; a separare i due settori della scatoletta ora
descritti appare da un lato la specificazione del prodotto, il suo
peso, e la data consigliata per il suo consumo e dall'alta» la
elencazione degli ingredienti adoperati; la colorazione è per la
versione al tonno blue scuro, per quella alla carne rossa, per
quella al salmone dorata.
Di contro la confezione Star risulta perfettamente identica
nelle dimensioni, nel sistema di apertura e nella impostazione
grafica dei disegni e delle scritte, perfino nella estensione in
lunghezza del marchio denominativo; le colorazioni risultano
coincidenti per i prodotti carnei mentre per il salmone sono
diversificate; la scatoletta è dello stesso materiale anzi è prodotta dalla stessa ditta estera.
Esaurito l'esame esterno e prima di procedere all'accertamento
della dedotta confondibilità è opportuno premettere una afferma
zione di principio, che non è rinvenibile nelle pronunce in
materia, ma che ad avviso di questo giudicante va considerata
fondamentale.
Deve invero ritenersi che le regole ed i criteri elaborati dalla
dottrina e dalla giurisprudenza in materia di concorrenza sleale
per atti confusori, sebbene astrattamente valide ed ormai sufficien
temente codificate, abbisognino nel particolare settore alimentare
di un qualche adattamento proprio per le caratteristiche del
prodotto, e per le motivazioni individuali che sottendono i singoli
acquisti.
Specificando ulteriormente detta osservazione di massima si
vuole evidenziare che il consumatore medio, secondo l'accezione
comunemente accolta, decide l'acquisto di un prodotto, oltre la
fase iniziale di sperimentazione e di assaggio, sulla base del
singolo tipo di alimento e quindi del suo sapore e delle sue
caratteristiche organolettiche; più in particolare se l'ipotetico
acquirente intende consumare del tonno oppure della carne
oppure del salmone non si lascerà per nulla confondere dalla
eventuale somiglianza esteriore delle diverse confezioni presenti sul mercato e prima ancora che verificare il marchio denominati
vo porrà la sua attenzione sulla indicazione della versione e
sceglierà, sulla base dei moventi sopra detti, quella che si
riprometteva di comprare.
Ciò vuol dire che se all'attenzione di quel soggetto si presen tassero nel sistema distributivo confezioni provenienti da diverse
ditte, perfettamente identiche nella complessiva immagine esterio
re ma diversificate per il prodotto in esse contenuto del quale ovviamente all'esterno apparisse la specificazione, questo solo
elemento, seppure confuso nella impostazione grafica, verrebbe
ricercato dal consumatore diventando cosi decisivo per l'acquisto.
Consegue che ad avviso di questo pretore non può fondatamen
te sostenersi il rischio confusorio tra le versioni alia came ed al
salmone dello « Spunti » con quelle al prosciutto cotto e al
salmone affumicato della «Star».
Né la scelta delle colorazioni adottate per le diverse varietà
potrebbe attenuare la vigilanza nel controllo imponendosi essa
come elemento, non scritto, di indicazione del contenuto perché tale ragionamento non potrebbe applicarsi alle versioni al salmo
ne ed al salmone affumicato rispettivamente di colore arancione e
di color oro e neppure a quelle della carne ed al prosciutto cotto
stante la diversa gradazione della tinta.
La questione sollevata dalla ricorrente diventa invece rilevante
per la scatoletta al tonno laddove neppure la diversità del
contenuto alimentare potrebbe costituire elemento diversificatore
ed allora anche quel consumatore medio, che prima abbiamo
seguito nel suo acquisto, potrebbe essere indotto a ritenere
trattarsi dell'identico prodotto proveniente dalla stessa ditta con
la conseguenza che l'imitazione servile avrebbe conseguito l'effetto
di sviare la clientela premiando il ricorrente più spregiudicato. Procediamo ora all'esame analitico pur nella consapevolezza
della poca affidabilità di detto criterio riservando al prosieguo l'esame sintetico.
Ebbene per quanto riguarda l'identicità della scatoletta che nel
suo disegno e nelle sue caratteristiche per prima si impone all'attenzione del consumatore come immagine esterna del prodot
II Foro Italiano — 1985.
to, va ricordato che la forma può essere tutelata solo in quanto sia caratterizzante e tale quindi da differenziare un prodotto da
un altro. « Ma quando manca l'originalità della forma del prodot to imitato difettano i presupposti dell'illecito concorrenziale per imitazione servile, appunto perché mancano nella forma le carat
teristiche identificanti e la confondibilità si risolve in un elemento
connaturale alla categoria » (cfr. App. Milano 6 febbraio 1962;
App. Milano 3 marzo 1959, Foro it., Rep. 1959, voce Concorrenza
(disciplina della), n. 54).
Costituisce fatto notorio che nel settore dello scatolame alimen
tare il tipo di confezione in esame è adottato da quasi tutti i
produttori ed è in atto la tendenza alla progressiva sostituzione
dei tipi precedenti a banda stagnata con quelli in alluminio
imbutito con il più pratico sistema di apertura a scatto.
Seppure la ricorrente potesse vantare l'adozione di scatolette con quella particolare forma e quindi la distintività del suo
prodotto da quello delle ditte concorrenti, essendosi quella forma ormai standardizzata, lie relative confezioni avrebbero perso la loro supposta iniziale originalità. Senza poi considerare che, seppure non completamente, il produttore nella scelta del formato è condizionato da una parte dai tipi offerti dalle imprese di quel settore e dall'altro dal quantitativo di alimento che è risultato più consono alle esigenze del consumatore.
Discorso per molti versi analogo può farsi per la scelta del colore azzurro; questo infatti, per la intrinseca capacità di
suggerire l'immagine del mare e quindi dell'ambiente naturale ove il tonno trovasi allo stato vitale, viene comunemente adottato dalle ditte del settore per costituire lo sfondo dell'etichetta, allo
scopo di conferire, seppure astrattamente, al contenuto caratteri stiche di freschezza e genuinità; non può quindi sostenibili che lo stesso possa allo stato rappresentare un elemento di confusione.
Restano da valutare la asserita originalità dello « Spunti » sotto il profilo della sua spalmabilità, della relativa raffigurazione grafica e da ultimo della denominazione adottata; trattasi in realtà delle questioni centrali della attuale procedura.
Sulla prima, anche per gli aspetti connessi al tipo di messaggio pubblicitario prescelto da Star va detto che l'idea di offrire un alimento alla carne e al pesce con la caratteristica sopra detta
sembrerebbe, sulla scorta delle emergenze acquisite, potersi rico noscere alla ricorrente.
Significativa appare la produzione di un dossier relativo ad una ricerca effettuata nell'anno 1976 per suo conto da uno studio di consulenza di direzione e organizzazione marketing che, com- lo
scopo di individuare alcune « idee di prodotto » o famiglie di
prodotti di possibile interesse per la committente, aveva procedu to ad una analisi di tutti gli alimentari in scatola reperibili in
Italia, a quelli diretti al consumo familiare e « di convivenza », alla redazione di schede informative di tutto il settore degli « inscatolati » e al censimento delle occasioni abituali di consumo
per arrivare, con sorprendente capacità intuitiva, a cogliere poi la commercializzazione di un prodotto alimentare spalmatole salato a base di carne o di pesce per « pasti secondari » che offrisse nutritività e alternativa di gusto rispetto a quelli concorrenti dolci e salati, concetto questo si evidenziava nuovo e accolto dal 70 % del target.
Ma detta caratteristica, può veramente costituire oggetto di
monopolio o comunque elemento individualizzante sottratto per legge alla possibilità imitativa dei concorrenti?
A ben guardare già da prima erano conosciuti sul nostro mercato altri tipi di spalmabili nel campo dei companatici dolci ed in quello dei formaggi salati nonché dei pàtés, mousses o
spume a base prevalentemente di prosciutto, pollame, salmone, maiale, vitello prodotti da ditte prevalentemente straniere ed alcuni commercializzati in Italia dalla convenuta.
Anzi sarebbero risalenti al 1973 alcune confezioni di produzio ne Star a base di formaggio fuso con salame o con prosciutto.
Merito di Simmenthal sarebbe allora stato quello minore di
avere, sulla base delle indicazioni provenienti dallo studio sopra detto, allargato le varietà degli spalmabili anche al tonno, e, per certi versi, alla carne, le cui caratteristiche di sapore meglio andavano a soddisfare le preferenze alimentari della clientela nazionale.
Non può allora sostenersi di essere in presenza di un prodotto completamente originale per modo che la dedotta novità, che non
appare tutelabile sulla base della normativa invocata, deve piut tosto riguardarsi sotto il profilo dell'allargamento dei tipi spalma bili già presenti in commercio per i quali l'imitazione di detta
caratteristica deve ritenersi consentita.
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2459 PARTE PRIMA 2460
È chiaro tuttavia che, avuto riguardo alla scarsa penetrazione nel nostro mercato degli stessi ed all'assenza in particolare di
quelli al tonno, la riproduzione litografica, lateralmente al mar
chio denominativo, del coltello dall-a punta arrotondata usato per stendere l'alimento sulla fetta di pane, assume il valore di un
elemento grafico assolutamente necessario per informare il proba bile acquirente su quella importante maniera di utilizzazione del
prodotto avuto riguardo proprio al suo valore innovativo.
Da ultimo sulla asserita confusione fonetica dei due marchi
denominativi, determinata dal rilievo che gli stessi risultano
costituiti da parola bisillabica, tronca, con la stessa vocale finale
accentata, può, sotto un certo aspetto, condividersi l'avvertimento
di parte ricorrente secondo cui detta sovrapposizione fonetica
giocherebbe un ruolo determinante nella pubblicità radiofonica e
televisiva imperniata sul messaggio parlato e quindi sulla ripeti zione di parole molto somiglianti.
D'altra parte merita considerazione anche la tesi difensiva la
quale si fa carico di elencare ben ventuno marchi concessi, alcuni
anche formati da due sillabe, terminanti tutto con la « i » finale
accentata.
Va tuttavia obiettato che il dedotto motivo confusorio presup
pone un sistema di vendita incentrato, come un tempo, sulla
indicazione verbale del nome diel prodotto da acquistare da parte del cliente sicché in una ipotesi del genere la confondibilità dei
marchi assume un aspetto determinante mentre è notorio che,
ormai, detto sistema è imperniato prevalentemente sui grandi
magazzini dove il prodotto viene direttamente prelevato dai
banchi di vendita; sulla eccezione di controparte basterebbe
invece evidenziare che l'assonanza di marchi denominativi quasi
irrilevante nella ipotesi d'i prodotti appartenenti a generi diversi
può diventare determinante per quelli di una stessa categoria.
Ed allora per la difficoltà di apprezzamento di una fattispecie confusoria attraverso l'applicazione del metodo analitico ora se
guito, la giurisprudenza ha elaborato il criterio dell'esame compa
rativo d'insieme che valga a cogliere l'aspetto complessivo dei
prodotti a raffronto in una visione sintetica che non prediliga
questo o quello degli elementi d'identità.
Per tale via è possibile fare un decisivo passo avanti nell'esame
comparativo che, come noto, deve essere sviluppato cercando di
immaginare l'atteggiamento di un individuo dotato di accortezza
media anche se « non del tutto smemorato e disattento ».
Orbene questo consumatore medio si troverebbe di fronte a
due scatolette perfettamente identiche per dimensioni e forma,
dotate dello stesso sistema di apertura, con la etichetta litografica
impostata nella medesima maniera, con la colorazione di fondo
pressoché identica, con la stessa immagine del coltello dalla punta arrotondata sistemata nello stesso punto, con il marchio denomi
nativo della stessa lunghezza e chiaramente assonante, con il
contenuto perfettamente identico sia con riguardo al prodotto di
base (tonno) che con riguardo alla caratteristica della sua spal
mabilità.
Ed allora postulandosi l'apprezzamento della confondibilità da
parte di questo soggetto non particolarmente avveduto deve
onestamente riconoscersi che lo stesso di fronte ai troppi elementi
formali e sostanziali di somiglianza potrebbe essere indotto in
confusione senza più essere in gradò di scegliere il prodotto che
intendeva originariamente acquistare.
Il risultato della condotta tenuta dalla Star si pone quindi al
di fuori dei canoni relativi alla libera concorrenza ed anzi appare come effetto della concorrenza sleale confusoria ed in quanto tale
illecito.
Deriva necessariamente da detta analisi che il mantenimento di
una situazione di mercato nei termini innanzi esposti non terreb
be in debito conto sia la natura irreparabile del danno sopportato dalla società ricorrente sia l'ulteriore elemento del periculum in
mora che nella fattispecie deve ritenersi in re ipsa.
Quanto poi al contenuto particolare della tutela urgente è
ovvio che occorre muoversi nei limiti d'i quella stabilita nell'art.
2599 ex. al termine della fase di merito, .tenendo tuttavia in
debito conto le particolari caratteristiche della procedura urgente ex art. 700 c.p.c. per la quale è sufficiente l'accertamento del
jumus boni iuris e preoccupandosi di evitare, nei limiti del
possibile, l'adozione d'i provvedimenti che per la loro definitività
in sede esecutiva potrebbe cagionare alla singola azienda conse
guenze irreparabili ancora più gravi ove l'esito del definitivo
giudizio di merito, espletato sulla base delle ordinarie regole,
processuali, approdasse a conclusioni differenti da quelle raggiun
te dal giudice monocratico.
Il Foro Italiano — 1985.
Esclusa per le esposte ragioni la opportunità di una inibitoria
pura si ritiene di impartire un provvedimento di rimozione
partendo dalla osservazione che, al fine di evitare la confondibili
tà dei due prodotti, occorre operare sulla loro immagine esterna
vale a dire sul loro modo di presentarsi. Ed allora senza arrivare all'estremo limite di vietare l'adozione
del marchio denominativo oppure di modificare il tipo di confe
zione utilizzata ovvero la colorazione della sua etichetta pare più utile al fine di conseguire il risultato propostoci ordinare una
modificazione della impostazione grafica dell'immagine esteriore.
In particolare, una prima differenziazione potrebbe essere con
seguita con la eliminazione dalla scatoletta di produzione Star della raffigurazione del coltello ora sistemata sulla parte destra inferiore del marchio denominativo.
A completamento, ritenendosi che la apposizione o la maggiore evidenziazione del marchio di fabbrica possa essere sufficiente mente « idonea ad escludere ogni pericolo di confusione, venen dosi al contrario a creare un aspetto di insieme rispetto a cui è
pur sempre possibile differenziare tra loro i prodotti » si ritiene decisivo ordinare a Star di porre in maggiore evidenza il proprio marchio ora sistemato nella parte superiore mediana del nome « Tartf » ordinando che lo stesso, riferito alla sola parola di colore rosso « Star » attualmente contenuto nelle dimensioni di mm. 9 ca. X mm. 3 ca., venga portato ad1 una misura non inferiore a quella di mm. 18 ca. X 6 ca. e venga lasoiato o 'nella attuale posizione oppure venga posto lateralmente al marchio
denominativo; dette modifiche dovranno essere apportate sia nella
parte anteriore che in quella posteriore della scatoletta. Ciò premesso non può a questo punto trascurarsi di considera
re che, sebbene l'adempimento di detti ordini possa essere attuato in un periodo di tempo relativamente breve, cosi non può dirsi
per quanto riguarda lo smaltimento delle scorte di magazzino attualmente esistenti presso Star nonché di quelle già immesse nel sistema distributivo.
Ritiene pertanto questo giudice che, in base alle considerazioni
sopra esposte ed al fine di non gravare ulteriormente la convenu ta con provvedimenti di ritiro del prodotto dal mercato assimila
bile, avuto riguardo alia sua commestibilità ad' un vero e proprio ordine di sequestro e distruzione dello stesso, che possa conceder
si alla soccombente un limitato periodo di tempo, durante il
quale approntare la nuova eticbettura e provvedere alla liquida zione del vecchio prodotto, non superiore a mesi cinque dalla
notifica del dispositivo.
Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile I
Ingiunzione (procedimento per) — Provvisoria efficacia esecutiva
su cauzione — Questione manifestamente inammissibile di co
stituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 648).
È manifestamente inammissibile, in riferimento agli art. 3 e 24
Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 648, 2°
comma, c.p.c., nella parte in cui prevede che il giudice debba
dichiarare la provvisoria efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto qualora il ricorrente offra cauzione, per non aver il
giudice a quo speso parola sulla rilevanza della questione mede
sima. (!)
Corte costituzionale; ordinanza 26 aprile 1985, n. 122 (Gaz zetta ufficiale 8 maggio 1985, n. 107 bis); Pres. Elia, Rei. An
drioli; Musmeci c. Puglisi. Orci. Trib. Catania 20 novembre
1982 e 13 luglio 1983 (G. U. n. 109 del 1984).
HI
Ingiunzione (procedimento) — Provvisoria efficacia esecutiva su cauzione — Questione manifestamente infondata di costitu
zionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 633, 636, 648).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costi tuzionale del combinato disposto dagli art. 648, 2° comma, 633, 1° comma, e 636, c.p.c., in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., nella
parte in cui prevede che il giudice debba concedere la provviso
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