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ordinanza 26 luglio 2002, n. 411 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 31 luglio 2002, n. 30);...

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ordinanza 26 luglio 2002, n. 411 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 31 luglio 2002, n. 30); Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Soc. Effebi. Ord. Trib. Saluzzo 31 marzo 2001 (G.U., 1 a s.s., n. 40 del 2001) Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 2921/2922-2927/2928 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196644 . Accessed: 28/06/2014 18:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.41 on Sat, 28 Jun 2014 18:26:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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ordinanza 26 luglio 2002, n. 411 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 31 luglio 2002, n. 30);Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Soc. Effebi. Ord. Trib. Saluzzo 31 marzo 2001 (G.U., 1 a s.s., n.40 del 2001)Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 2921/2922-2927/2928Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196644 .

Accessed: 28/06/2014 18:26

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2921 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2922

I

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 26 luglio 2002, n. 411 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 luglio 2002, n.

30); Pres. Ruperto, Est. Vaccarella; Soc. Effebi. Ord. Trib.

Saluzzo 31 marzo 2001 (G.U., la s.s., n. 40 del 2001).

CORTE COSTITUZIONALE;

Fallimento — Dichiarazione — Iniziativa d'ufficio — Man cata instaurazione del contraddittorio — Questione mani

festamente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. Ili; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art.

6, 8; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul

funzionamento della Corte costituzionale, art. 23).

E manifestamente inammissibile, in quanto sollevata prima della instaurazione del contraddittorio nei confronti dell'im

prenditore e quindi non nel corso di un giudizio, la questione di legittimità costituzionale degli art. 6 e 8 l. fall., nella parte in cui prevedono che il fallimento possa essere dichiarato

d'ufficio dal tribunale e che il giudice debba riferire dell'in

solvenza di un imprenditore emersa nel corso di un giudizio civile al tribunale competente, anziché al pubblico ministero

presso quest'ultimo, in riferimento all'art. Ili, 2° comma, Cost. (1)

II

CORTE D'APPELLO DI VENEZIA; ordinanza 18 maggio 2002; Pres. Dapelo, Rei. Zacco; Soc. Valdefin (Avv. Donzi) c. Fall. soc. Valdefin (Avv. Gnignati).

Fallimento — Dichiarazione — Iniziativa d'ufficio — Que stione non manifestamente infondata di costituzionalità

(Cost., art. Ili; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 6, 8).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 6 l. fall., nella parte in cui consente la

dichiarazione d'ufficio del fallimento, in riferimento all'art.

Ili, 2° comma, Cost. (2)

III

TRIBUNALE DI CASTROVILLARI; decreto 24 giugno 2002; Pres. Pietropaolo, Rei. d'Ambrosio; Soc. Espopad

(Avv. Annecchino, Sciarretta, Parrotta).

Fallimento — Dichiarazione — Iniziativa d'ufficio — Se

gnalazione del presidente del tribunale — Inammissibilità

(Cost., art. Ili; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 6, 8).

E inammissibile la segnalazione proveniente dal presidente del

tribunale, quando l'eventuale insolvenza dell'imprenditore sia emersa in occasione della nomina del liquidatore giudi ziario. (3)

( 1-3) Tutti e tre i provvedimenti prendono in esame, da differenti an

golature, il tema dei limiti nel nostro ordinamento della iniziativa offi ciosa per l'apertura del procedimento fallimentare.

È inutile dire che il provvedimento più atteso era quello che avrebbe dovuto pronunciare la Consulta all'esito della prima ordinanza di ri messione sollevata dal Tribunale di Saluzzo, riportata, con data 16 marzo 2001, in Foro it.. Rep. 2001, voce Fallimento, n. 281.

Il giudice delle leggi, disattendendo le diffuse aspettative degli stu diosi del diritto fallimentare e del diritto processuale civile, non ha af

frontato nel merito la questione sottoposta al suo esame, svicolando per una impervia tangente preliminare, negando l'ammissibilità della ri

chiesta pronuncia perché proveniente a non iudice, sul presupposto che

il procedimento prefallimentare avrebbe inizio — nel caso della richie

sta officiosa — solo con la convocazione del debitore (tanto è vero che

la sede effettiva deve essere individuata, ai fini della dichiarazione di

fallimento, con riferimento alla data del provvedimento con cui si di

spone la comparizione del debitore in camera di consiglio, nel caso di

procedimento d'ufficio, secondo Cass. 7 luglio 2000, n. 9070, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 262; 18 luglio 1995, n. 7798, id., Rep. 1996, voce

cit., n. 249; 12 novembre 1993, n. 11181, id.. Rep. 1994, voce cit., n.

242; 14 marzo 1985, n. 1980. id., Rep. 1985, voce cit., n. 178; in dottri

na, da ultimo, M. Ferro, L'istruttoria prefallimentare. Torino, 2001, 217), risultando irrilevante l'attività preparatoria quale ad esempio la

Il Foro Italiano — 2002 — Parte I-55.

I

Ritenuto che, richiesto di un decreto ingiuntivo contro la so

cietà Effebi s.a.s. di Fusco Antonello, il giudice civile del Tri bunale di Saluzzo ravvisava, a carico della stessa società, ele

menti sintomatici dello stato di insolvenza e trasmetteva, per tanto, la relazione di cui all'art. 8 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (di

sciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'ammini

strazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) alla sezione fallimentare;

formazione del fascicolo e la relazione del giudice assegnatario in ca mera di consiglio.

Sotto un certo profilo non dissimile è l'atteggiamento assunto dal tribunale fallimentare calabrese che ha negato ingresso alla richiesta di

apertura del fallimento d'ufficio sollecitata dal presidente di quello stesso ufficio osservando che la segnalazione era irricevibile in quanto proveniente sì da un magistrato ma non riconducibile ad un procedi mento giurisdizionale.

Opposto si rivela invece l'orientamento del giudice veneto del gra vame che si è mostrato convinto dell'esistenza del sospetto d'incostitu zionalità degli art. 6 e 8 1. fall.

A questa ulteriore iniziativa giudiziaria non dovrebbe poter negare una risposta nel merito la Corte costituzionale che pure, sul giusto pro cesso fallimentare, ha sino ad ora assunto scelte nettamente conserva trici (basti qui richiamare, G. Costantino, «Giusto processo» e proce dure concorsuali, in Foro it., 2001,1, 3451).

Se anche in passato il dubbio sulla compatibilità dell'iniziativa offi ciosa per l'apertura del fallimento con un sistema processuale volto a offrire massimo spazio al principio dispositivo, poteva essere legittimo (a proposito di altra vicenda concorsuale, l'art. 146 1. fall., cfr. i rilievi di E. Fabiani, L'art. 146 l. fall.: problemi di costituzionalità e di com

patibilità con il procedimento cautelare uniforme ex art. 669 bis ss.

c.p.c., id., 1996, I, 2648), ora con il novellato art. Ill Cost., occorre

interrogarsi sulla sopravvivenza nel nostro impianto della regola per la

quale il fallimento può essere dichiarato d'ufficio. Poiché sono piuttosto rari i casi in cui si perviene alla dichiarazione

di fallimento a seguito dell'iniziativa adottata d'ufficio da parte del tri bunale fallimentare, la giurisprudenza sull'argomento è sporadica e tale da non esprimere un chiaro segnale di tendenza.

In dottrina si segnalano indirizzi contrastanti, compresi nella forbice fra quanti ritengono che l'iniziativa officiosa ricorra nei soli casi di cui all'art. 8 1. fall, e nelle ipotesi del c.d. fallimento dipendente, quello de rivante dalla consecuzione con una procedura concorsuale minore

(Ferrara, 11 fallimento, Milano, 1989, 228; Cuneo, Le procedure con

corsuali, Milano, 1988, 252; Provinciali, Trattato di diritto fallimenta re, Milano, 1974, I, 422) e quanti invece prediligono una lettura meno

rigida (Lo C ascio. Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Mila

no, 1995, 63; Ricci, Lezioni sul fallimento, Milano, 1992,1, 164; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 50; G.U. Tedeschi, Fallimento

(apertura), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XIII. 2; Bonsignori. Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell'economia diretto da F. Galgano, Padova, 1986, 530; sostanzialmente in linea con Cass. 9 marzo 1996, n. 1876, Foro it., 1996, I, 2070, alla cui nota si rinvia), tale per cui il criterio limite è

quello della «legale conoscenza» (così pure Cass. 9 aprile 1970, n. 971, id., Rep. 1970, voce cit., n. 135; 6 maggio 1966, n. 1154, id., 1967, I, 620).

Vi sono poi coloro che ritengono che l'iniziativa d'ufficio possa de rivare anche da fonti ufficiali «non legali», quali le notizie di stampa (Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1986, 116; Mazzoc

ca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1986, 92; Proietti, Poteri

ufficiosi del tribunale fallimentare, in Fallimento, 1996, 289; M. Fa

biani, L'istruttoria prefallimentare, id., 1994, 493, ad avviso del quale, prima della novella costituzionale, la dichiarazione di fallimento su im

pulso d'ufficio rappresentava l'anello di congiunzione per la tutela e la

salvaguardia degli interessi collettivi coinvolti nel dissesto di un'impre sa).

Nella prospettiva liquidatoria e sanzionatoria del fallimento sottesa alla volontà del legislatore del 1942 era insita al sistema la scelta di as

segnare anche al giudice il potere di promuovere la dichiarazione di

fallimento dell'imprenditore e proprio tale opzione doveva essere con

siderata la ragionevole premessa di una lettura non rigida dell'art. 6 1.

fall. Come si è già avuto modo di ricordare (M. Fabiani, L'iniziativa pro

cessuale e l'anticipazione cautelare nell'azione ex art. 146 I. fai!., in

Foro it., 2001, I, 1730, alla cui nota si rinvia anche per la citazione

della letteratura sull'iniziativa officiosa nel processo civile), il principio della terzietà del giudice non era estraneo ai valori costituzionali ante

riforma del 1999, ma era dubbio che detto principio potesse essere in

vocato per un sindacato di costituzionalità delle norme quando fossero

invece assicurati il diritto al contraddittorio e il diritto ad essere giudi cati dal giudice naturale.

Oggi che la terzietà del giudice è un valore costituzionale di diritto

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2923 PARTE PRIMA 2924

che il presidente nominava il giudice relatore «per riferirne in

camera di consiglio»; che, su relazione del giudice nominato, il Tribunale di Saluz

zo, con ordinanza depositata il 31 marzo 2001 (riportata, con

data 16 marzo 2001, in Foro it., Rep. 2001, voce Fallimento, n.

281), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 6, limitatamente all'espressione «oppure d'ufficio», e 8 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (l.fall.), per violazione dell'art. Ili, 2°

comma, Cost., nella parte in cui prevedono che il fallimento

possa essere dichiarato d'ufficio dal tribunale e che il giudice

positivo, l'esercizio della giurisdizione senza azione sembra una con traddizione in termini perché non si può tollerare che un procedimento idoneo a concludersi con una sentenza che può comprimere diversi di ritti soggettivi di creditori e debitore, sia promosso dallo stesso organo chiamato a giudicare.

La necessità che il giudice sia terzo rispetto alle parti, presuppone appunto un giudizio di parti e che il procedimento prefallimentare sia anche un giudizio di parti lo riconosce lo stesso giudice di legittimità con riferimento a vari profili che vanno dalla regolazione del regime delle spese (Cass. 20 novembre 1996, n. 10180, id., Rep. 1996, voce cit., n. 289), all'attitudine al giudicato di determinate pronunce di ri

getto (Cass. 18 gennaio 2000, n. 474, id., 2000, I, 2232; pronuncia pe raltro già contraddetta da Cass. 27 novembre 2001, n. 15018, id., 2002, I, 374).

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento è un procedimento contenzioso nel quale si dibatte il diritto dell'imprenditore a proseguire la gestione dell'impresa con il diritto dei creditori ad estromettere il debitore dalla gestione in funzione della liquidazione del patrimonio.

Può accadere che i creditori, scientemente o inconsapevolmente, de cidano di non rivolgersi al tribunale fallimentare e che, pur tuttavia, l'esistenza di dissesto giustifichi comunque l'apertura della procedura concorsuale a garanzia di tutti i terzi coinvolti.

L'esistenza di interessi superindividuali ben può presentarsi anche nel campo del diritto civile, ma questo non significa che il soggetto che

promuove il giudizio possa coincidere con quello che deve decidere. La tutela degli interessi non strettamente privatistici può essere de

mandata, senza particolari turbamenti dell'ordinamento giudiziario, alla

figura del p.m. cui meglio si addice la veste della «parte imparziale». L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento non proveniente dal cre ditore o dal debitore deve transitare per l'ufficio del p.m. (così, anche Panzani, Fallimento e giusto processo, in Fallimento, 2002, 240, che

pure considera attuale l'iniziativa officiosa) cui dovrebbero essere ri volte tutte le segnalazioni attinenti lo stato di insolvenza di un'impresa a prescindere dalla sussistenza di profili interessanti l'esercizio dell'a zione penale (per una visione ampia dei poteri assegnati al p.m., Cass. 5 dicembre 2001, n. 15407, Foro it., 2002,1, 374, alla cui nota si rinvia).

Per iniziativa per la dichiarazione di fallimento, nella prospettiva della tutela del valore della terzietà del giudice, va intesa solo quella principale che si colloca all'esterno di un processo non ancora radicato, con la conseguenza che la violazione del principio della domanda rac cordato a quello di terzietà del giudice non ricorre in tutte le ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento d'ufficio si inserisce all'interno del

procedimento concorsuale già in atto, le cui manifestazioni emblemati che sono rappresentate dal passaggio da una procedura concorsuale mi nore al fallimento e dalla dichiarazione di fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile. In queste ipotesi, infatti, la terzietà del giudice viene assicurata al momento di inizio del procedimento concorsuale, sì che ricorre la medesima ratio decidendi che ha consen tito al giudice delle leggi di dichiarare manifestamente infondata la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, 1° comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui non prevede l'obbligo di astensione a definire la controversia con sentenza da parte del giudice che abbia già provve duto con l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186

quater c.p.c., in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (Corte cost., ord. 31

maggio 2000, n. 168, id., 2000,1, 2425). Per analoghe considerazioni si dovrebbe anche ritenere che non pre

cluda la dichiarazione d'ufficio del fallimento il deposito del c.d. «atto di desistenza» ovverosia di quella dichiarazione con la quale il credito re manifesta di non avere più interesse alla pronuncia di fallimento. In fatti, una volta condiviso il fatto che il giudice non possa essere il pro motore dell'iniziativa processuale, una volta che tale iniziativa è stata da altri radicata, venendo in gioco interessi superindividuali, non deve

apparire eversivo che il tribunale dichiari il fallimento con un ricorso del creditore ormai abbandonato, senza che ciò confligga con l'inter pretazione dell'art. 6 1. fall, sopra suggerita, in quanto è connaturato al sistema che la definizione del processo possa avere un esito diverso da

quello voluto dalle parti se gli interessi di parte non esauriscono gli in teressi in gioco.

In questo modo — con l'accentuazione del ruolo del p.m. e con la conservazione del fallimento «dipendente» anche senza sollecitazioni

privatistiche — la paventata turbativa del sistema si attenuerebbe e di molto, così da rendere più scorrevole un'eventuale pronuncia di acco

II Foro Italiano — 2002.

debba riferire dell'insolvenza di un imprenditore emersa nel

corso di un giudizio civile al tribunale competente, anziché al

p.m. presso quest'ultimo; che, ad avviso del tribunale rimettente, la carenza di effettivo

esercizio della c.d. azione fallimentare da parte di soggetti di

versi dall'organo giudiziario chiamato a decidere (creditori, de

bitore in proprio e p.m.) violi il principio nulla iurisdictio sine actione risultante dal combinato disposto degli art. 99 e 112

c.p.c.; che il principio ne procedat iudex ex officio sarebbe violato,

secondo il rimettente, dagli art. 6 e 8 1. fall, (laddove esulereb

bero dall'area dell'esercizio officioso dell'azione fallimentare, stante il loro tratto di doverosità, le ipotesi di automatica dichia

razione di fallimento risultanti dal negativo esperimento del

concordato preventivo e dall'amministrazione controllata, e

quelle, alle prime assimilabili, della dichiarazione di fallimento delle grandi imprese soggette ad amministrazione straordinaria, dell'accertamento dello stato di insolvenza anteriore alla liqui dazione coatta amministrativa e di quello delle imprese soggette ad amministrazione straordinaria);

che il rimettente dichiara di non condividere la tesi — soste

nuta dalla Corte di cassazione con la sentenza 9 marzo 1996, n.

1876 (id., 1996, I, 2070), al fine di inferirne la manifesta infon datezza della questione di costituzionalità dell'art. 6 1. fall. —

secondo la quale il tribunale, apprendendo la notitia decoctionis nel corso della sua ordinaria attività giurisdizionale ovvero da fonte qualificata come il giudice civile, si limiterebbe ad antici

pare l'esercizio dell'azione da parte dei creditori dalla cui effet

tiva volontà, espressa tramite la domanda di ammissione al pas sivo, dipende la sorte della procedura, «provvisoriamente» aperta dal tribunale;

che invece, ad avviso del Tribunale di Saluzzo, l'art. 6 cit. costituirebbe una vera e propria ipotesi di «giurisdizione senza

azione» attivabile, ogni volta in cui si apprenda una notizia in ordine alla decozione, anche al di fuori del canale informativo dell'art. 8 1. fall., tenuto anche conto che la segnalazione del

giudice civile non costituisce affatto esercizio; che il rimettente sottolinea come i principi di imparzialità e di

terzietà del giudice, già evincibili dal combinato disposto degli art. 24, 25, 97, 101, 106 Cost., sono stati rafforzati dall'attribu zione di autonoma dignità costituzionale ai caratteri del giusto processo, secondo la linea interpretativa fatta propria dalla Corte costituzionale con le pronunzie rese con riguardo all'art. 34 c.p.p.;

che la stessa lettera dell'art. 111,2° comma, Cost, («davanti a

giudice terzo ed imparziale») palesa la necessità di una dialetti ca processuale tra «parti» contrapposte le quali, invece, vengono a mancare ove «l'autorità giudiziale sia quella stessa che si è autonomamente attivata contro la parte cui il provvedimento de cisorio è destinato», sicché la trasformazione del giudice in atto re vulnererebbe in maniera insanabile il principio di imparzialità che deve connotare l'attività giudiziaria anche nel suo apparire;

che, ad avviso del collegio rimettente, nel nuovo assetto co stituzionale non è più ipotizzabile un processo giurisdizionale senza due parti contrapposte (ciò che è sotteso alla stessa locu zione di «giudice terzo»), la cui assenza determina l'insorgenza di un pre-giudizio nella valutazione decisionale la quale, in tal

modo, si snoderebbe secondo una logica autoreferenziale; che, quanto alla rilevanza della questione, il collegio rimet

tente osserva che, a seguito della segnalazione ex art. 8 1. fall., avrebbe dovuto disporre, attraverso il giudice relatore nominato dal presidente, la comparizione del debitore ex art. 15 1. fall, e

glimento, peraltro sollecitata da gran parte della letteratura (Ferro, La

fallibilità d'ufficio e la terzietà del giudice civile nel controllo della crisi dell'impresa commerciale, in Fallimento, 2001, 1383; Scarselu, Brevi note sul giusto processo fallimentare, in Foro it., 2001, I. 117; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2000, 206; M. Fabiani, Giusto processo e ruolo del giudice delegato, in Fallimen to, 2002, 291; Chiarloni, Giusto processo e fallimento, ibid., 259; Ca valli, Fallimento e giusto processo. Crisi di un istituto, ibid., 267; Bongiorno, Crisi delle procedure concorsuali e ingiusto processo di

fallimento, ibid., 293; in senso opposto, Abete, Brevi note a difesa del l'iniziativa d'ufficio ex art. 6 I. fall., ibid., 315). È importante che la Consulta si pronunci anche per dettare un indirizzo — benché non vin colante — a coloro che sono chiamati a scrivere la riforma della legge fallimentare. [M. Fabiani]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

compiere gli opportuni atti istruttori, ma che a tanto non si era

provveduto in quanto, «disponendo l'art. Ili, 2° comma, Cost,

di un'evidente portata effusiva riferita a tutto il processo giuris dizionale fin dal suo inizio (...), il compimento anche di un solo

atto istruttorio e la trattazione del fascicolo prefallimentare sa

rebbero preclusi, allo stato, dal dubbio di costituzionalità»; che il Tribunale di Saluzzo chiede la declaratoria di incostitu

zionalità, in relazione all'art. Ili, 2° comma, Cost., dell'art. 6 — limitatamente all'espressione «oppure d'ufficio» — e del

l'art. 8 1. fall, nella parte in cui dispone che il giudice civile

debba riferire della notitia decoctionis al tribunale competente anziché al p.m. presso quest'ultimo (quale organo istituzional

mente preposto all'esercizio, ex art. 75 r.d. 30 gennaio 1941 n.

12, recante l'ordinamento giudiziario, dell'azione civile nei casi

previsti dalla legge, nonché all'esercizio, ex art. 73, 2° comma, stesso r.d., dell'azione diretta a fare eseguire ed osservare le

leggi di ordine pubblico) così derogando al principio della do

manda che costituisce indefettibile corollario logico di quelli della terzietà ed imparzialità del giudice.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale è

stata sollevata dal Tribunale di Saluzzo in sede di camera di

consiglio convocata dal presidente per la relazione del giudice da lui nominato a tale esclusivo fine;

che la ricezione della notitia decoctionis ex art. 8 1. fall, non

determina l'inizio di un «giudizio» (cfr. Cass. 14 marzo 1985, n.

1980, id., Rep. 1985, voce cit., n. 178) e che solo a seguito del l'atto con il quale il tribunale dispone la comparizione, ex art.

15 1. fall., dell'imprenditore in camera di consiglio sorge per il

tribunale stesso l'obbligo di pronunciarsi sulla sussistenza dei

presupposti per la dichiarazione di fallimento;

che, conseguentemente, la questione di legittimità costituzio

nale non è stata sollevata, nella specie, «nel corso di un giudi

zio», ai sensi dell'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87; che l'intempestività dell'iniziativa del rimettente incide,

escludendola, anche sulla rilevanza della questione nel proce dimento a quo, ove si consideri che esso, senza la preventiva, necessaria convocazione dell'imprenditore (cfr. sent. n. 141 del

1970, id., 1970,1, 2038), mai avrebbe potuto concludersi — per

ciò solo che la questione fosse stata, in ipotesi, dichiarata infon

data — con la dichiarazione di fallimento; che la questione va pertanto dichiarata manifestamente

inammissibile. Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale

degli art. 6 — limitatamente all'espressione «oppure d'ufficio» — e 8 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del

concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della

liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento al

l'art. Ili, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Saluzzo, con l'or

dinanza in epigrafe.

II

Fatto e diritto. — Il procuratore della repubblica presso il

Tribunale di Padova, a seguito di esposto in data 3 giugno 1996

dei sindaci della Valdefin s.p.a., della relativa partecipata al

cento per cento Lifegroup s.p.a., e delle partecipate al cento per cento di quest'ultima, Researchlife s.c.p.a. e Dermlife s.p.a., ri

chiedeva al Tribunale di Padova, a norma dell'art. 2409 c.c., di

disporre l'ispezione per l'accertamento della sussistenza o meno

delle gravi irregolarità prospettate nell'amministrazione di dette

società ed indi gli eventuali procedimenti necessari per la tutela

cautelare dei relativi interessi. Il tribunale, con provvedimento del 28 giugno 1996, disponeva l'ispezione delle quattro società.

L'ispettore depositava in data 10 luglio 1996 la propria relazio

ne, ed il giudice delegato all'istruzione della procedura, in con

siderazione della situazione economica delle quattro società e

videnziata da detta relazione, il giorno successivo la esponeva al

presidente della sezione, il quale, con provvedimento in pari

data, steso in calce all'elaborato dell'ispettore, ritenuto che «ri

correvano i presupposti per la richiesta di dichiarazione di fal

limento ad iniziativa d'ufficio (art. 6 1. fall.)», nominava il giu dice delegato all'audizione dei legali rappresentanti delle so

cietà. Con decreto in calce, anch'esso in data 11 luglio 1996, il

giudice delegato fissava per la comparizione dei legali rappre

II Foro Italiano — 2002.

sentanti delle società l'udienza del 15 luglio 1996, mandando

alla cancelleria di provvedere alla notificazione di copia della

relazione dell'ispettore con gli indicati provvedimenti, a mezzo

della squadra di polizia giudiziaria, e l'incombente veniva

espletato nel medesimo giorno. Con sentenze del 19 luglio 1996, il Tribunale di Padova dichiarava il fallimento della Val

defin s.p.a., della Lifegroup s.p.a., della Researchlife s.c.p.a. e

della Dermalife s.p.a. La Valdefin s.p.a. proponeva opposizione ex art. 18 1. fall, alla dichiarazione di fallimento. Con sentenza

532/99 del 14 gennaio - 29 aprile 1999, il Tribunale di Padova rigettava l'opposizione. La Valdefin s.p.a. proponeva appello avverso detta sentenza.

La società appellante, in sede di discussione della causa, am

pliando quanto dedotto nell'atto d'appello con riferimento alla

non conformità degli art. 6 e 8 r.d. n. 267 del 1942 agli art. 3, 24

e 101 Cost., ha eccepito l'illegittimità costituzionale di detti ar

ticoli della legge fallimentare con riferimento ai principi dettati

dall'art. Ill Cost, (come modificato dalla 1. cost. n. 2 del 1999), nella parte in cui prevedono che il fallimento venga dichiarato

per impulso spontaneo del medesimo giudice chiamato a decide

re.

Sostiene, infatti, la società appellante che «l'identità del giu dice che prima assume l'iniziativa per la dichiarazione del fal

limento, poi lo pronuncia e infine ne giudica la legittimità» in

caso di opposizione ex art. 18 1. fall, è inconciliabile con i prin

cipi dell'imparzialità e della terzietà dettati dall'art. Ill Cost.,

per i quali, come veniva già affermato nella sentenza della Corte

costituzionale 148/96 (Foro it., 1996, I, 1908), le parti di un

procedimento giurisdizionale hanno il diritto al contraddittorio

«non col mero convincimento di un giudice-attore, ma con gli interessi e le ragioni sostenute dalla controparte», con strumenti

processuali che garantiscano «l'essenziale dialettica processua le». La precedente esposizione dell' iter processuale della causa

rende evidente che, vertendosi anche in grado d'appello sulla

legittimità dell'iniziativa d'ufficio, per la dichiarazione del fal

limento della Valdefin s.p.a., la questione di legittimità costitu

zionale delineata, per la sua pregiudizialità, è rilevante nel giu dizio.

L'art. Ill Cost, enuncia, distinguendole, sia la garanzia del

l'imparzialità del giudice sia quella della relativa terzietà, in

conformità ai corrispondenti principi sanciti dall'art. 6, par. 1,

della convenzione europea dei diritti dell'uomo, come anche

precisati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo la

quale i concetti di imparzialità e di incompatibilità del giudice, riguardano sia il profilo soggettivo del «foro interiore» del ma

gistrato, sia quello oggettivo di «condizione esteriore» anche

apparente (cfr., ad es., Corte eur. diritti dell'uomo 26 ottobre

1984, Le Cubber, id., Rep. 1986, voce Diritti politici e civili, n. 26; 1° ottobre 1982, Piersack, id., 1983, IV, 109).

La Corte costituzionale più volte ha affermato che la garanzia relativa all'imparzialità del giudice, nel processo civile, trova

adeguata tutela nelle norme sull'astensione e sulla ricusazione

(art. 51-54 c.p.c.) ed in particolare in quella fondamentale det

tata dall'art. 51, n. 4, c.p.c., che nega la possibilità per il mede

simo giudice di conoscere la stessa causa in gradi o fasi diversi

del processo, impedendo così che l'organo giudicante sia in dotto, anche inconsciamente, a percorrere nuovamente, nel de

cidere, il medesimo itinerario logico-giuridico già seguito pre cedentemente nel pronunciarsi sulla medesima vicenda proces

suale, dovendosi interpretare, quindi, l'espressione della norma

«altro grado» comprensiva delle fasi che in un processo civile

possono succedersi avanti lo stesso organo giudiziario e si con

cludono con un provvedimento avente natura decisoria (cfr. Corte cost. 387/99, id., 1999,1, 3441).

Tale prospettazione, tuttavia, non appare pertinente rispetto

all'esigenza di tutelare il valore della terzietà, la cui connota

zione non può prescindere dall'inderogabilità dei principi della

domanda e della distinzione tra il soggetto che la propone e

quello che sulla stessa è chiamato a rendere giustizia. Infatti il principio costituzionalmente garantito richiede che il

giudice non solo agisca quale terzo ma anche che appaia tale,

poiché la mancanza di tale condizione esteriore è sufficiente a

comprometterne la credibilità della sua funzione di garante della

corretta applicazione del diritto.

Le considerazioni che precedono inducono, conseguente

mente, a ritenere che sia difficile sostenere una compatibilità tra

detto principio e la previsione di azioni ad iniziativa dell'organo

giudicante.

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2927 PARTE PRIMA 2928

L'art. 6 1. fall, prevede che il fallimento possa essere dichia

rato d'ufficio quando lo stesso giudice competente alla pronun cia, nell'esercizio della sua attività o per rapporto di altro giudi ce (a norma del successivo art. 8), acquisisca la conoscenza

dello stato d'insolvenza di un imprenditore. Il che comporta l'i

niziativa da parte dell'organo giudicante nell'avviare la fase

procedurale prefallimentare, la quale potrebbe sfociare nella di

chiarazione del fallimento da parte del medesimo ufficio, peral tro dopo l'ovvia delibazione dell'esistenza dei presupposti le

gittimanti tale iniziativa, la quale non può essere limitata alla

sola esistenza di quelli formali, ma richiede necessariamente

una valutazione sommaria anche in punto di merito, con conse

guente promozione di un giudizio che appare non rispettoso del

principio di terzietà che, come è stato precedentemente eviden

ziato, preclude la possibilità di un procedimento giudiziario avulso dal principio della domanda e dalla distinzione tra chi la

propone e chi è tenuto a pronunciarsi sulla stessa.

Né la specialità della procedura fallimentare, giustificata dalle

connotazioni pubblicistiche e dalle esigenze d'urgenza che le

sono proprie, ovviamente, assume rilevanza in relazione al ri

spetto dell'indicato principio tutelato dalla Carta fondamentale.

Peraltro le esigenze sottese all'iniziativa ufficiosa dell'organo

giudicante potrebbero trovare egualmente sufficiente tutela nel

l'iniziativa per la dichiarazione del fallimento riconosciuta al

p.m. dallo stesso art. 6 r.d. n. 267 del 1942, avente carattere ge nerale e non limitato alle sole ipotesi considerate dal successivo

art. 7.

Per le considerazioni che precedono, la corte ritiene che la

questione di illegittimità costituzionale dell'art. 6 r.d. 267/42

nella parte in cui consente la dichiarazione d'ufficio del falli

mento, per violazione dell'art. 111 Cost., come prospettata dalla

società appellante, con riferimento al principio garantito di ter

zietà del giudice, non sia manifestamente infondata.

La corte, pertanto, deve disporre l'immediata trasmissione

degli atti di causa alla Corte costituzionale e la sospensione del

giudizio.

Ili

Rilevato che, ai sensi dell'art. 2450 c.c., il c.d. liquidatore

giudiziale può essere revocato soltanto dall'assemblea straordi naria o, quando sussiste una giusta causa, dal tribunale su istan

za dei soci, dei sindaci o del p.m.; ritenuto che con la nomina del liquidatore si consuma il pote

re presidenziale di intervento nella vita dell'ente societario, tanto che l'eventuale revoca può essere disposta, nelle ipotesi tassativamente previste, soltanto dal tribunale quale organo collegiale;

rilevato che, pur ammettendo che il potere del tribunale di di

chiarare il fallimento d'ufficio non si limita alle ipotesi dell'art.

8 1. fall., il tribunale non può dichiarare d'ufficio il fallimento in base alla conoscenza di uno stato di insolvenza in qualsiasi modo ricevuta, in quanto l'art. 8 1. fall, si deve ritenere applica bile a tutte le ipotesi in cui il giudice competente, nell'esercizio della sua ordinaria attività, acquisisca la conoscenza di un'in

solvenza di un imprenditore ovvero i presupposti per la decla ratoria di fallimento gli risultano dal rapporto di un altro giudice per situazioni emerse in un altro procedimento giurisdizionale;

rilevato che, nel caso sottoposto all'esame di questo collegio, non si può ritenere che l'eventuale insolvenza della Espopad s.r.l. sia emersa in un procedimento definibile giurisdizionale.

Per questi motivi, dichiara inammissibile la richiesta effet

tuata con decreto presidenziale n. 4116 del 20 luglio 2001.

Il Foro Italiano — 2002.

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 23 luglio 2002, n. 381 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 luglio 2002, n.

30); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Consiglio dell'ordine de

gli avvocati di Parma c. Soc. Giary group e altro; interv. Pres.

cons, ministri. Ord. Trib. Parma 18 luglio 2001 (G.U., la s.s., n. 44 del 2001).

Procedimento civile — Laureato in giurisprudenza in poten ziale conflitto con l'intera categoria degli avvocati — Di

fesa personale — Esclusione — Questione manifestamente

infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 82).

E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 82, 2° e 3° comma, c.p.c., nella parte in cui

non consente alla parte laureata in giurisprudenza di difen dersi personalmente in giudizio nei casi in cui il suo interesse

sia configgente con quello dell'intera categoria degli avvo

cati, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)

(1) Nella specie, il giudizio a quo era stato promosso dal consiglio dell'ordine degli avvocati locale allo scopo di impedire ad una società di continuare a gestire, tramite quattro laureati in giurisprudenza, un servizio telefonico, denominato «avvocato in linea». In considerazione di ciò il giudice a quo ha riconosciuto l'esistenza di un possibile con flitto di interessi tra uno qualsiasi degli avvocati iscritti all'ordine e la

parte privata (laureato in giurisprudenza). La corte ha escluso che la presenza di un difensore con la qualifica di

avvocato possa risolversi in un danno per la parte privata, la quale, se

ritenga di non potersi fidare di un avvocato iscritto all'ordine del luogo, può scegliere un difensore di altro ordine professionale, eliminando co sì ogni possibilità di conflitto di interessi e di sudditanza psicologica.

In tema di possibile conflitto di interessi nell'ambito dell'attività di difesa svolta da un avvocato, v. Cass. 7 giugno 1995, n. 6367, Foro it..

Rep. 1996, voce Assicurazione (contratto), n. 101, secondo cui, nel

giudizio promosso dal soggetto che ha riportato danni da un incidente

stradale, il difensore dell'assicuratore e dell'assicurato, incaricato se condo le previsioni della clausola uniforme della polizza che prevede la comunanza di difesa nelle liti contro il terzo danneggiato, può valida mente eccepire (nella specie, con un motivo di appello) che la respon sabilità dell'assicuratore deve essere contenuta nei limiti del massima

le, senza perciò solo porsi in conflitto di interessi con l'assicurato; 20

gennaio 1993, n. 645, id.. Rep. 1993, voce Avvocato, n. 69, secondo cui

l'assunzione, da parte dello stesso procuratore legale, del patrocinio, in

procedimenti connessi, di due soggetti in conflitto di interessi mera mente potenziale non integra di per sé responsabilità suscettibile di sanzione disciplinare per violazione dei principi di correttezza, lealtà e

deontologia professionale, occorrendo, a tal fine, l'accertamento, ade

guatamente motivato, dell'avvenuta realizzazione in concreto del suin dicato conflitto; App. Cagliari 2 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce Procedimento civile, n. 76, commentata da Bandiera, in Riv. giur. sar

da, 1989, 373, secondo cui nel processo civile l'eventuale conflitto di interessi derivante dal conferimento della procura ad litem ad un procu ratore legale che rappresenti già un'altra parte, deve essere risolto sulla base delle norme di diritto sostanziale, non essendo la fattispecie disci

plinata nel codice di procedura civile (a differenza che nel codice di

procedura penale ove l'art. 133 prevede la nullità quale conseguenza dell'incompatibilità); Cass. 19 marzo 1984, n. 1860, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 45, secondo cui la difesa di due parti in conflitto an che solo potenziale di interessi (nella specie: madre e figlio nel giudizio di disconoscimento di paternità), affidata ad uno stesso legale, determi na la mancata costituzione in giudizio della parte che abbia conferito

per seconda il mandato al procuratore nominato dall'altra: 8 aprile 1983, n. 2493, id., Rep. 1983, voce cit., n. 74, secondo cui la circostan za che nel giudizio di divisione più condividenti siano rappresentati dallo stesso difensore importa l'inefficacia delle procure allo stesso ri lasciate e la nullità degli atti compiuti e dei provvedimenti adottati nel

giudizio, solo ove, e dal momento in cui, tra le dette parti si realizzi un conflitto di interessi; Cons. naz. forense 25 maggio 1978, id.. Rep. 1981, voce Avvocato, n. 107, secondo cui costituisce condotta lesiva della dignità professionale, punibile con la sospensione dall'esercizio della professione per la durata di sei mesi, l'aver assunto funzioni appa rentemente gestorie nel corso di un'assistenza di carattere aziendale; l'avere richiesto compensi eccessivi rispetto all'opera prestata; l'avere indotto i clienti al ricorso abusivo al credito; l'avere assistito contem

poraneamente più persone in conflitto di interessi fra loro. In tema di usurpazione del titolo di avvocato per chi ne assuma il ti

tolo senza essere iscritto al relativo albo professionale, v. Corte cost., ord. 21 dicembre 2001, n. 423, e 13 giugno 2000, n. 192, id., 2002, I, 633, con nota di richiami.

In ordine alla possibilità del laureato in giurisprudenza di esercitare attività professionale di rappresentanza e difesa in giudizio, v. Corte

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