ordinanza 27 febbraio 2003; Pres. ed est. Boni; ric. SofriSource: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 203/204-205/206Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198301 .
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PARTE SECONDA
sul problema dell'interferenza dei magistrati con l'attività poli tica furono realmente assunte dall'attuale ricorrente, come pure «un'azione intensa dentro e fuori dal parlamento».
Che la questione giustizia, sollevata attraverso l'esame di si
tuazione e fatti concreti per renderla più comprensibile al gran de pubblico, fosse — ed è ancora —
questione di notevole rilie
vo politico è altrettanto indiscutibile. E abbastanza logico allora
ritenere che l'imputato abbia sollevato tali problemi in sede di
versa da quella istituzionale per ottenere il consenso necessario
alla riuscita delle sue iniziative parlamentari e che. quindi, in
definitiva, le dichiarazioni da lui espresse nelle due cennate tra
smissioni televisive — ancorché non riportino «integralmente» cose già dette nei confronti di Giancarlo Caselli o nel dibattito
in aula o in atti di sindacato parlamentare, come puntualizza ed
esige il difensore della parte civile — siano comunque plausi bilmente ricollegabili alla sua attività parlamentare, tanto da
meritare la tutela approntata dalla norma costituzionale.
7. - La corte ritiene, dunque, di non sollevare il conflitto di
attribuzioni e di applicare la causa di irresponsabilità prevista dall'art. 68, 1° comma, Cost., con l'annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata, così assorbiti gli altri motivi di ricor
so, non risultando dal testo di tale provvedimento una preva lente causa di proscioglimento nel merito.
I
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE; ordinan za 27 febbraio 2003; Pres. ed est. Boni; ric. Sofri.
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE;
Ordinamento penitenziario — Permesso premio — Corte
europea dei diritti dell'uomo — Udienza — Istanza di as
sistenza — Inammissibilità — Reclamo — Rigetto (L. 26
luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della liber
tà, art. 30 ter).
Va rigettato il reclamo avverso l'ordinanza di inammissibilità
dell'istanza di concessione di un permesso premio — richie
sto per assistere ali 'udienza di discussione di un ricorso pro
posto da persona detenuta in Italia alla Corte europea dei di
ritti dell'uomo — essendo il provvedimento di rigetto moti
vato in modo adeguato, corretto e condiviso. (1)
II
MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA DI PISA; ordinanza 17 febbraio 2003; Giud. Degl'Innocenti; ric. Sofri.
Ordinamento penitenziario — Permesso premio — Corte
europea dei diritti dell'uomo — Udienza — Istanza di as
sistenza — Inammissibilità (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 30
ter).
Va dichiarata inammissibile l'istanza avanzata da persona de
tenuta in Italia allo scopo di ottenere un permesso premio per assistere all'udienza di discussione di un proprio ricorso da
vanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, dato che la pe na detentiva inflìtta da un giudice italiano deve essere ese
guita in Italia —fatti salvi soltanto i casi di esecuzione all'e
stero previsti dall'art. 742 c.p.p. —, non sarebbe possibile far
seguire il beneficio premiale da educatori e assistenti sociali
in collaborazione con gli operatori sociali del territorio, mentre per converso il diritto di assistere all'udienza può es sere tutelato mediante traduzione all'estero dell'interessa to. (2)
(1-2) Il magistrato di sorveglianza ha negato il permesso anche con richiamo a Cass., sez. I, 3 febbraio 1988, Virga, Foro it.. Rep. 1989, voce Ordinamento penitenziario, n. 61, che effettivamente dichiarò inammissibile l'affidamento in prova presso un consolato italiano, se
Il Foro Italiano — 2003.
I
Ritenuto che non sussistano le condizioni stabilite dalla legge
per la concessione del permesso richiesto, così che si deve con
fermare il provvedimento reclamato.
Il provvedimento oggetto del reclamo appare correttamente
ed adeguatamente motivato.
Tale motivazione viene condivisa da questo tribunale che ri
tiene quindi di non poter accogliere il reclamo presentato.
II
Provvedendo sull'istanza, con la quale Sofri Adriano, nato a
Trieste il 1° agosto 1942, ristretto nella casa circondariale di Pi
sa, ha chiesto un permesso ai sensi dell'art. 30 ter 1. 26 luglio 1975 n. 354 come introdotto dall'art. 9 1. 10 ottobre 1986 n.
663, al fine di assistere all'udienza pubblica fissata per il giorno 4 marzo 2003 innanzi alla sezione IV della Corte europea dei di
ritti dell'uomo in relazione al ricorso 37235/87 presentato dallo
stesso Sofri e da altri; rilevato che l'istanza è ammissibile in quanto l'interessato ri
sulta aver scontato un quarto della pena per il delitto di omici
dio, applicandosi l'art. 4 d.I. 152/91, convertito in 1. 203/91, ai
sensi del quale le disposizioni del 4° comma dell'art. 30 ter si
applicano esclusivamente nei confronti dei condannati per de
litti commessi dopo la data di entrata in vigore del suindicato
decreto legge;
l'interessato è residente all'estero, in quanto destinatari dell'affida mento possono essere soltanto i centri di servizio sociale dipendenti dall'amministrazione penitenziaria.
Peraltro, Cass., sez. I, 3 ottobre 1995, Padilla Cheves, id., Rep. 1996, voce Sorveglianza (magistratura di), n. 32, ha escluso l'inammissibilità de plano dell'istanza di affidamento in prova al servizio sociale del condannato extracomunitario, del quale debba essere disposta l'espul sione dal territorio dello Stato. Quest'ultima infatti sospende, ma non fa
cessare, l'esecuzione della pena, che deve riprendere qualora il con dannato rientri in Italia: da qui la permanenza di un interesse del mede simo soggetto a una pronuncia sulla richiesta.
Con quest'ultimo richiamo non si intende peraltro muovere censura alle decisioni riportate. E evidente infatti che un caso come quello in discussione non rientra nella previsione definita dall'art. 30 ter ord. pe nit., sia per la portata testuale della norma, sia perché la medesima at tiene agli «interessi affettivi, culturali o di lavoro» del detenuto, non certo dunque alla tutela dei diritti processuali.
Non vanno trascurati, d'altronde, i pressanti inviti continuamente ri volti ai giudici perché si attengano fedelmente alla legge, né le iniziati ve disciplinari che prontamente scattano nei confronti dei magistrati di
sorveglianza, quando qualche loro decisione dia luogo a problemi, non avendo una più che solida «copertura» legislativa.
A riprova della difficoltà del caso, si consideri il prudentissimo passo in avanti che si è fatto con il protocollo n. 11 addizionale alla conven zione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo l'I 1 maggio 1994. Con tale accor do, infatti, si è garantito il diritto del detenuto ... a corrispondere (per iscritto) con la corte europea e quello di colloquiare, senza essere ascoltato da nessun altro, col proprio difensore (v. G. La Greca, Per sone detenute davanti alla Corte europea, in Dir. pen. e proc., 1998,
114). Tutti, insomma, sono rimasti ben lontani dal porsi il problema, evi
dentemente di gran lunga più complesso, della partecipazione personale del detenuto all'udienza della Corte europea, problema che invece si sarebbe voluto ora risolto, senza tante inutili ambasce, dal Magistrato di
sorveglianza di Pisa. Per le reazioni alle decisioni riportate, cons., ex plurimis, i commenti
di: Il Foglio del 28 febbraio 2003 (Perché il caso Sofri è finito davanti alta Corte europea)-, Libero del 1° marzo 2003 (R. Farina, Stavolta
Sofri ha ragione); la Repubblica del 1° marzo 2003 (C. Fusani, Il tri bunale dice no a Sofri)-, La Stampa del 3 marzo 2003 (M. Chiavario, L'onere del no); l'Unità del 1° marzo 2003 (P. Sansonetti, L'ombra delta persecuzione) e del 3 marzo 2003 (A. Tabucchi, Sofri, la giustizia negata).
A lato si colloca la presa di posizione del difensore di Sofri, l'avv. Alessandro Gamberini. il quale con una lettera critica bensì «il formali smo del giudice di sorveglianza che ha giustificato (si noti, non 'moti vato', ma 'giustificato': n.d.r.) la sua decisione negativa per l'impossi bilità di eseguire la pena all'estero»; ma censura ancor più il rifiuto di traduzione del detenuto a Strasburgo da parte del ministero della giusti zia, «che ha calpestato con disinvoltura un diritto sancito da una con venzione internazionale ratificata dall'Italia» (la Repubblica del 2 mar zo 2003). [G. La Greca]
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GIURISPRUDENZA PENALE
preso atto che l'interessato risulta mantenere una condotta re
golare (cfr. relazione redatta dagli educatori del carcere di Pisa
in data 12 febbraio 2003); visto il parere favorevole espresso dal direttore; rilevato tuttavia che ai sensi dell'art. 53 bis ord. penit. il tem
po trascorso dal detenuto in permesso è computato ad ogni ef
fetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, e che, pertanto, il permesso dev'essere considerato una forma di
esecuzione della pena attuabile esclusivamente nel territorio
dello Stato italiano, essendo possibile l'esecuzione all'estero di
sentenze penali italiane solo nei casi di cui all'art. 742 c.p.p.; ritenuto altresì che, alla luce di quanto dispone l'art. 30 ter,
3° comma, ord. penit., la fruizione del beneficio premiale debba
essere seguita dagli educatori e dagli assistenti sociali in colla
borazione con gli operatori sociali del territorio, cosa che evi
dentemente non sarebbe possibile là dove il detenuto godesse del permesso all'estero (cfr., per un caso analogo relativo all'af
fidamento in prova al servizio sociale, Cass., sez. I, 3 febbraio
1988, Virga, Foro it., Rep. 1989, voce Ordinamento penitenzia rio, n. 61 );
rilevato, infine, che il diritto di Sofri Adriano a partecipare all'udienza in questione potrà essere adeguatamente «tutelato», ove il medesimo avanzi apposita richiesta in tal senso alle com
petenti autorità, mediante la sua traduzione all'estero.
Per questi motivi, dichiara inammissibile l'istanza di che
trattasi.
TRIBUNALE DI BARI; ordinanza 2 dicembre 2002: Pres. ed
est. Di Paola; imp. De Matteis.
TRIBUNALE DI BARI;
Difensore e difesa penale —
Investigazioni difensive — Ac
cesso ai luoghi — Partecipazione personale dell'imputato o indagato — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art. 391
sexies). Difensore e difesa penale
— Investigazioni difensive — Ac
cesso ai luoghi — Partecipazione personale dell'imputato o indagato — Diniego illegittimo — Conseguenze (Cod.
proc. pen., art. 178, 391 sexies).
Non sussistendo divieti normativi, deve ritenersi in facoltà del
l'imputato o del sottoposto alle indagini presenziare perso nalmente all'attività di investigazione difensiva consistente
nell'accesso ai luoghi allo scopo di consentire la ricerca e
l'individuazione degli elementi di prova favorevoli. (1)
L'illegittimo diniego della facoltà dell'imputato o dell'inda
gato dì partecipare all'espletamento dell'atto di investiga zione difensiva consistente in un accesso a luoghi genera una
nullità, per violazione del diritto di difesa, riconducibile al
l'art. 178, 1° comma, lett. c), c.p.p.: tale nullità travolge, in
via derivata, il successivo decreto che dispone il giudizio, e
comporta la regressione del procedimento alla fase in cui è
intervenuta la nullità. (2)
(1-2) Non constano precedenti editi in termini. Il principio di cui alla
prima massima fa leva sulla tassatività della previsione dell'art. 391
bis, 8° comma, c.p.p., ove solo con riferimento all'assunzione di infor mazioni si fa divieto di assistere al compimento dell'atto al sottoposto alle indagini, alla persona offesa dal reato e alle altre parti private. Cir
ca la ratio di tale norma, cfr., per tutti, Frigo, L'attività difensiva da
fonti dichiarative, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore a
cura di Filippi, Padova, 2001, 200; Gualtieri, Le investigazioni del di
fensore, Padova, 2002, 157 ss.; Parlato, Le nuove disposizioni in ma
teria di indagine difensiva, Torino, 2001. 69; Triggiani, Le investiga zioni difensive, Milano, 2002, 304 ss.; in ordine alla tassatività della
fattispecie e alla natura di lex imperfecta propria della previsione nor
mativa, sfornita di espresso apparato sanzionatorio per il caso di inos
servanza, cfr.. in vario senso, Bernardi, Le attività di indagine, in Dir.
pen. e proc., 2001, 212; Bricchetti-Randazzo, Le indagini della difesa
dopo la I. 7 dicembre 2000 n. 397, Milano, 2001. 101; Dì Chiara, Le
linee prospettiche del «difendersi ricercando»: luci e ombre delle
«nuove» investigazioni difensive, in Legislazione pen., 2002, 14.
Il Foro Italiano — 2003.
Premesso che nel corso dell'udienza preliminare la difesa
dell'imputato De Matteis aveva rivolto istanza all'ufficio del
giudice dell'udienza preliminare affinché fosse autorizzato,
presso gli uffici dell'Inpdap di Bari (ente che lo aveva negato), l'accesso del consulente tecnico nominato dalla difesa dell'im
putato, dei difensori dell'imputato e dell'imputato stesso per l'esecuzione di rilievi delle cose esistenti al primo ed al secondo
piano degli uffici dell'Inpdap siti in via Oberdan in Bari (in
particolare, per visionare i corpi illuminati installati in quei luo
ghi); che il giudice aveva consentito l'accesso ai detti luoghi,
escludendo dai soggetti autorizzati l'imputato, in ragione della
mancanza di indicazione espressa nel corpo del titolo VI bis del
codice di rito della persona dell'indagato come soggetto auto
rizzato a presenziare alle attività investigative difensive; rilevato che l'eccezione di nullità del provvedimento pronun
ciato dal g.u.p. presso il Tribunale di Bari in data 22 dicembre
2001, sollevata dalla difesa nell'udienza preliminare del 18
marzo 2002 e reiterata in questa sede, è fondata, in quanto il di
vieto di accesso all'imputato è stato motivato in relazione ad un
profilo che non appare indicativo né di una prescrizione cogente insita nell'ambito delle disposizioni contenute nel titolo VI bis
c.p.p., né di una volontà legislativa desumibile attraverso l'in
terpretazione sistematica delle disposizioni della 1. 397/00, che
ha introdotto le norme che disciplinano l'istituto delle indagini difensive;
considerato, al riguardo, che in relazione al dato testuale delle
norme più volte richiamate, deve osservarsi come il legislatore abbia previsto espressamente solo il divieto per l'indagato (così come per la persona offesa e per le altre parti private) di assiste
re all'attività di assunzione delle informazioni disciplinata dal
l'art. 391 bis c.p.p.; che tale tecnica legislativa depone nel senso
di ritenere logicamente tutelata la posizione dell'indagato in
tutte le ipotesi diverse da quella ora ricordata, tutela che evi
dentemente si realizza attraverso il diritto dell'indagato di esse
re presente alle differenti attività investigative svolte con la fi
nalità di ricercare mezzi di prova a suo favore; che la norma in
cui è regolata espressamente l'attività investigativa indicata
dalla difesa del De Matteis (ossia, l'accesso ai luoghi finalizzato
all'esecuzione di attività di visione di luoghi e cose o di descri
zione e rilevazione tecnica degli stessi oggetti) non prevede li
mitazione alcuna alla presenza dell'indagato nello svolgimento di tale attività, limitazione che invece è posta in relazione ai
soggetti abilitati alla redazione del verbale delle operazioni svolte (difensore, suo sostituto, ausiliari indicati nell'art. 391 bis
c.p.p.), ed inoltre contiene la previsione della possibile presenza di altri soggetti nel corso delle operazioni (soggetti che devono
esser indicati nel detto verbale e che devono sottoscrivere il
verbale stesso); rilevato, per altro verso, che l'interpretazione logico-sistema
tica delle norme che disciplinano l'attività investigativa pone in
rilievo da un lato l'assoluta preminenza del valore attribuito dal
legislatore al diritto costituzionalmente garantito per l'indagato di ricercare ed assumere gli elementi di prova idonei a dimo
strare la propria innocenza, dall'altro la necessità di contempe rare tale diritto con differenti posizioni soggettive di rango co
stituzionale equivalente (quali ad esempio l'inviolabilità del
domicilio, la tutela della riservatezza); che, conseguentemente, la concreta realizzazione dell'interesse costituzionalmente, ga rantito all'esercizio del diritto di difesa da parte dell'indagato
richiede, tra le altre condizioni, quella della partecipazione di
retta dell'indagato alle attività di investigazione difensive, per consentire la ricerca e l'individuazione degli elementi di prova favorevoli con l'ausilio determinante ed imprescindibile del
soggetto che può essere depositario di conoscenze esclusive;
che il pericolo di compromissione di altri diritti costituzional
mente protetti, è assicurato attraverso specifiche previsioni di
rette a regolare le modalità di esercizio del diritto alle indagini difensive (si pensi, oltre al richiamato divieto di partecipazione
dell'indagato all'assunzione delle informazioni da parte del
proprio difensore, evidentemente diretto a garantire la genuinità
dell'acquisizione probatoria, alle disposizioni che limitano in
modo tassativo l'accesso presso domicili privati contenute nel
l'art. 391 septies c.p.p.); che nella fattispecie sottoposta alla va
lutazione del collegio non emergono condizioni tali da far ri
tenere che la presenza dell'indagato nel corso dell'accesso pres
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