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ordinanza 27 gennaio 2005, n. 39 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 febbraio 2005, n. 5);...

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ordinanza 27 gennaio 2005, n. 39 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 febbraio 2005, n. 5); Pres. Contri, Est. Amirante; G. (Avv. Versace) c. E. (Avv. Lorenzoni) e altro; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Figliolia). Ord. Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2004, n. 50 (G.U., 1 a s.s., n. 23 del 2004) Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 3279/3280-3283/3284 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23201465 . Accessed: 25/06/2014 02:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.31 on Wed, 25 Jun 2014 02:39:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 27 gennaio 2005, n. 39 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 febbraio 2005, n. 5); Pres. Contri, Est. Amirante; G. (Avv. Versace) c. E. (Avv. Lorenzoni) e altro; interv.

ordinanza 27 gennaio 2005, n. 39 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 febbraio 2005, n. 5);Pres. Contri, Est. Amirante; G. (Avv. Versace) c. E. (Avv. Lorenzoni) e altro; interv. Pres. cons.ministri (Avv. dello Stato Figliolia). Ord. Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2004, n. 50 (G.U., 1 as.s., n. 23 del 2004)Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 3279/3280-3283/3284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201465 .

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3279 PARTE PRIMA 3280

dall'art. 48, 2° comma, Cost., non è finalizzato ad una generica

salvaguardia del corpo elettorale, ma è diretto «ad assicurare la

parità di condizione dei cittadini nel momento in cui il voto vie

ne espresso», senza riguardare fasi anteriori o successive a tale

momento (ordinanze n. 260 del 2002, id., 2002,1, 2960, en. 160 del 1996, id., Rep. 1997, voce Elezioni, n. 56; sentenza n. 107 del 1996, id., 1996, I, 1499). La determinazione del quorum

partecipativo prevista dalla norma censurata non incide, concer

nendo una condizione di validità del voto, sull'espressione dello

stesso, ma attiene ad un momento precedente e non rientra

quindi nella previsione dell'art. 48, 2° comma.

Né tanto meno risulta violata la medesima norma costituzio

nale sotto il profilo che, secondo il ricorrente, verrebbe limitata

l'effettività del diritto di voto, neutralizzando il significato del

l'astensione degli elettori residenti all'estero. In proposito — a

prescindere dal rilievo che l'astensione nel voto è diversa dalla

mancata partecipazione al voto — è sufficiente osservare che, in

presenza della prescrizione dello stesso art. 48, secondo cui

l'esercizio del diritto di voto «è dovere civico», il non parteci

pare alla votazione costituisce una forma di esercizio del diritto

di voto significante solo sul piano socio-politico. Un terzo profilo di violazione del principio di eguaglianza del

voto sarebbe infine costituito, secondo il ricorrente, dal fatto che

gli elettori residenti all'estero, qualora si recassero a votare, ver

rebbero «estromessi dal computo degli elettori iscritti nelle liste

elettorali del comune, ma verrebbero comunque, computati nel

numero dei votanti, con innalzamento di questo secondo quo rum». Si tratta di una censura destituita di fondamento, in

quanto non è ravvisabile alcun vizio di legittimità, dal momento

che è logico che i cittadini iscritti nell'anagrafe dei residenti al

l'estero, qualora esprimano il voto, vengano computati tra i vo

tanti.

In realtà, l'introduzione di un regime speciale per gli elettori

residenti all'estero, ai fini del calcolo del quorum di partecipa zione alle elezioni in oggetto, lungi dal costituire una lesione del

principio di eguaglianza del voto, persegue una logica di favore

verso il puntuale rinnovo elettorale degli organi degli enti locali.

Ed infatti questo regime trova la sua giustificazione nell'alto

tasso di emigrazione che caratterizza alcune aree della regione Friuli-Venezia Giulia, il quale potrebbe determinare il mancato

raggiungimento del quorum richiesto, con conseguente annul

lamento delle elezioni e successivo commissariamento del co

mune in attesa dell'indizione di nuove elezioni che peraltro, ai

sensi dell'art. 7 1. reg. 21 aprile 1999 n. 10 (norme in materia di

elezioni comunali e provinciali, nonché modifiche alla 1. reg. 9

marzo 1995 n. 14), si possono svolgere soltanto in un turno uni

co annuale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, 2° comma, 1.

reg. Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003 n. 21 (norme ur

genti in materia di enti locali, nonché di uffici di segreteria degli assessori regionali) sollevata, in riferimento all'art. 48 Cost., al

l'art. 4 dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia

ed all'art. 7 d.leg. 2 gennaio 1997 n. 9 (norme di attuazione

dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in

materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circo

scrizioni) dal presidente del consiglio dei ministri con il ricorso

in epigrafe.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 27 gennaio 2005, n. 39 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 febbraio 2005, n.

5); Pres. Contri, Est. Amirante; G. (Avv. Versace) c. E.

(Avv. Lorenzoni) e altro; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Figliolia). Orci. Cons. Stato, sez■ V, 13 gennaio

2004, n. 50 (G.U., la s.s., n. 23 del 2004).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Commissioni di concorso — Composizione — Riserva di almeno un ter

zo a favore delle donne — Questione manifestamente

inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 51; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in

materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 1. 23 ottobre

1992 n. 421, art. 61; d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nuove dispo sizioni in materia di organizzazione e di rapporti dì lavoro

nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle con troversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate

in attuazione dell'art. 11, 4° comma, 1. 15 marzo 1997 n. 59,

art. 43).

E manifestamente inammissibile, per insufficiente motivazione

sul parametro costituzionale evocato e sulla non manifesta

infondatezza, la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 61, 1° comma, lett. a), d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, co

me modificato dall'art. 43 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nella

parte in cui prevede che per i concorsi di accesso alle pubbli che amministrazioni almeno un terzo dei posti dei componenti delle commissioni esaminatrici deve essere riservato alle

donne, in riferimento agli art. 3 e 51 Cost. (1 )

(1) Il giudice a quo (Cons. Stato, sez. V, ord. 13 gennaio 2004, n.

50. Foro it., Rep. 2004, voce Concorso a pubblico impiego, n. 75, commentata da Boghetich, in Dir. e giustizia, 2004, fase. 31,111, e da

Barbieri, in Mass. giur. lav., 2004, 713) lamentava che la disciplina impugnata — nella parte in cui legittima la disposizione regolamentare contenuta nell'art. 9, 2° comma, d.p.r. 9 maggio 1994 n. 487 — sarebbe

irragionevole, sia perché l'obiettivo è quello di garantire la pari oppor tunità per l'accesso al lavoro e non per la partecipazione alle commis sioni esaminatrici, sia perché sarebbe, sulla base della stessa, costitu zionalmente legittima una commissione composta da sole donne, men tre non lo sarebbe una formata da soli uomini. Ad avvalorare i dubbi di costituzionalità sollevati il giudice richiamava Corte cost. 12 settembre

1995, n. 422, Foro it., 1995, I, 3386, e 1996, I, 1961, con nota di ri

chiami e osservazioni di GianformaggiO, commentata da De Siervo, Brunelli e Cinanni, in Giur. cOstit., 1995, 3255, e da Bartole, in Re

gioni, 1996, 306, che ha dichiarato incostituzionali le disposizioni che

prevedevano le c.d. quote rosa per le elezioni politiche ed amministra tive.

La Corte costituzionale rileva come l'ordinanza di rinvio paia essersi fermata alla situazione normativa e giurisprudenziale esistente al mo mento della emanazione della suddetta decisione, non motivando circa il significato che può assumere adesso la modifica, apportata con 1. cost. 30 maggio 2003 n. 1, all'art. 51 Cost., che assume, per la questio ne proposta, «un ruolo assorbente», in quanto il nuovo testo «non si li mita più a disporre che 'la diversità di sesso in sé e per sé considerata non può essere mai ragione di discriminazione legislativa' e, quindi, a costituire una sorta di specificazione del principio di eguaglianza enun

ciato, a livello di principio fondamentale, dalj'art. 3, 1° comma, Cost., ma assegna ora alla repubblica anche un compito di promozione delle

pari opportunità tra donne e uomini». La corte sottolinea altresì come il giudice a quo non tenga conto del

l'evoluzione seguita dalla giurisprudenza costituzionale, dopo la sent. 422/95 ed in particolare di Corte cost., ord. 31 maggio 2001, n. 172

(Foro it., 2001, I, 2409, con nota di richiami), che ha dichiarato mani festamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 r.d.l. 20 luglio 1934 n. 1404, convertito nella 1. 27 maggio 1935 n.

835, e successive modificazioni, nella parte in cui stabilisce che il col

legio deve essere costituito con la presenza di due componenti privati, uno di sesso maschile ed uno di sesso femminile, e di Corte cost. 13 febbraio 2003, n. 49, id., 2003,1, 1318, con nota di richiami e osserva zioni di Romboli, commentata da Carlassare e Mabellini, in Giur. co

stit., 2003, 353, da Stenico, in Riv. giur. lav., 2003, II, 678, da Brunel li e Deffenu, in Regioni, 2003, 895, e da Buonomo, in Dir. e giustizia, 2003, fase. 8, 31, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 1° comma, e 7, 1° comma, 1. reg. Valle d'Aosta 13 novembre 2002 n. 21, nella parte in cui stabiliscono che le liste elettorali per l'elezione del consiglio regionale devono compren dere candidati di entrambi i sessi e che, in caso contrario, vengano di chiarate non valide da parte dell'ufficio elettorale regionale.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ritenuto che nel corso di un giudizio di appello avverso la

sentenza del Tar Veneto, di annullamento degli atti del concorso

per il posto di direttore del museo del comune di Bassano del

Grappa, il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli art. 3 e 51 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art.

61, 1° comma, lett. a), d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29 (razionaliz zazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e

revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421), come modificato

In ordine alla regola secondo cui le commissioni di esame debbono essere composte per almeno un terzo da donne, v. Tar Lazio, sez. Ili, 6 febbraio 2003, n. 724, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 81, secondo cui la circostanza che tale previsione non sia stata rispettata, non incidendo

sull'imparzialità delle operazioni, non può essere fatta valere come motivo di ricorso da parte di chi sia stato escluso dal concorso; Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 2002, n. 3184, id., Rep. 2002, voce cit., n. 79, commentata da Toscano, in Guida al dir., 2002, fase. 32, 92, secondo cui l'art. 9 d.p.r. 9 maggio 1994 n. 487 — che riserva alle donne alme no un terzo dei posti di componenti di commissioni giudicatrici nei concorsi per l'accesso a posti di pubblico impiego — trova applicazio ne diretta, potendo i contratti nazionali di categoria prevedere sola mente disposizioni più favorevoli alla parità uomo-donna e giammai attribuire carattere meramente programmatico alla disposizione citata; Tar Sicilia, sede Catania, sez. II, 19 ottobre 1999, n. 2092, Foro it., Rep. 2001, voce Sanitario e personale della sanità, n. 230, secondo cui dalla disciplina vigente in tema di rispetto della pari opportunità tra la voratrici e lavoratori, emergono due principi fondamentali, e cioè, il

primo, che la composizione mista delle commissioni di concorso non è volta a garantire la posizione dei candidati ma, in maniera esclusiva,

quella dei commissari, e, il secondo, che non sussiste la necessità di una composizione mista per tutte le commissioni.

Sul campo di applicazione della regola suddetta, v. Cons. Stato, sez. V, ord. 13 gennaio 2004, n. 50, cit., secondo cui essa si applica anche a concorsi indetti da amministrazioni non statali, se non sia stato disposto diversamente dall'ente che ha indetto il concorso; Tar Veneto, sez. II, 16 maggio 2000, n. 1054, id., Rep. 2000, voce Concorso a pubblico impiego, n. 113, secondo cui essa non si riferisce al solo impiego sta tale, ma riguarda anche le amministrazioni comunali e, pertanto, pre vale, in virtù della gerarchia delle fonti, sulle disposizioni regolamenta ri di rango inferiore; Cons. Stato, sez. VI, 4 aprile 2000, n. 1947, ibid., voce Istruzione pubblica, n. 91, secondo cui essa non è applicabile nel caso in cui le prestazioni richieste (nella specie, agli istitutori ed alle istitutrici degli educandati e convitti, in cui siano presenti semiconvit trici in squadre miste) rispondano necessariamente ad obiettivi criteri d'idoneità fisica e di attitudini non parimenti posseduti da prestatori d'opera di entrambi i sessi, in ragione della diversità psicosomatica dei

soggetti cui la prestazione è destinata. Per l'affermazione secondo cui il candidato di sesso maschile non è

legittimato ad impugnare il provvedimento di nomina della commissio ne esaminatrice di un pubblico concorso, per il fatto che non assicura almeno un terzo delle nomine alle donne e l'obiettivo della pari oppor tunità nell'ambito della composizione della commissione predetta, v. Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6280, id., Rep. 2002, voce Giustizia amministrativa, n. 673.

Nel senso che la violazione dell'art. 2 r.d.l. 20 luglio 1934 n. 1404, come modificato dall'art. 4 1. 27 dicembre 1956 n. 1441, nella parte in cui dispone che i due giudici onorari del tribunale per i minorenni deb bano essere un uomo ed una donna, integra una causa di nullità, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., per vizio relativo alla costituzione del giudice, v.

App. min. Milano 22 marzo 1990, id., 1990, I, 2018, con nota di ri chiami.

Per un commento della decisione in epigrafe, v. Di Blasi, Anche il

Consiglio di Stato inciampa sulla parità dei sessi, in Giur. costit., 2005,315.

In dottrina, sul principio della pari opportunità, con riguardo anche alle modifiche costituzionali apportate agli art. 51 e 117, 7° comma, Cost., v. Chiara, La «pari opportunità» elettorale dei sessi nella rifor ma degli statuti regionali speciali, id., 2001, 839; Fasano-Mancarelli, Parità e pari opportunità uomo-donna - Profili di diritto comunitario e

nazionale, Torino, 2001; Criscuoli, Commissioni di concorso e pari opportunità, in Cons. Stato, 2002, II, 2134; La parità dei sessi nella

rappresentanza politica a cura di Bin, Brunelu, Pugiotto e Veronesi, Torino, 2003; Cartabia, Il principio della parità tra uomini e donne nell'art. 117, 7° comma, in Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V a cura di Groppi e Olivetti, Torino, 2003, 129; Frosini, Commento alla

legge costituzionale per la modifica dell'art. 51 Cost., in Guida al dir., 2003, fase. 12, 29; Mauro, Modifica dell'art. 51 Cost, e parità di ac cesso nelle leggi statali e regionali, in Nuova rass., 2003, 2615; Mi

scione, Tensione continua verso la parità (art. 51 e 117 Cost, e I. cost.

2/01), in Lavoro giur., 2003, 507; Panizza, Un peculiare vincolo per il

Il Foro Italiano — 2005.

dall'art. 43 d.leg. 23 dicembre 1993 n. 546 (recte: d.leg. 31 marzo 1998 n. 80);

che il giudice a quo premette in punto di fatto che nella pro cedura di concorso in contestazione l'attuale appellata aveva so

stenuto la prova scritta, valutata come insufficiente, con conse

guente esclusione dalle prove successive e che il concorso si era

poi concluso con la nomina a vincitore dell'odierno appellante; che a seguito dell'accoglimento del ricorso della prima avver

so il provvedimento di esclusione — fondato sulla violazione

dell'art. 9, 2° comma, d.p.r. 9 maggio 1994 n. 487 (regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche ammi

nistrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei con

corsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impie

ghi), in base al quale almeno un terzo dei posti dei componenti delle commissioni di concorso è riservato alle donne — il co

mune aveva dato esecuzione alla sentenza, licenziando il vinci

tore e includendo in una nuova commissione giudicatrice un

commissario di sesso femminile; che in esito alla rinnovata procedura era risultata vincitrice

l'appellata; che il Consiglio di Stato —

dopo aver richiamato il contenuto della norma impugnata ed aver osservato che la disposizione re

golamentare di cui al menzionato art. 9, 2° comma, trova il pro

prio fondamento nell'art. 61 d.leg. n. 29 del 1993 — dichiara di condividere la tesi del giudice di primo grado circa l'applicabi lità di tale complesso normativo anche alle procedure di concor so indette dai comuni;

che, quanto alla rilevanza, il rimettente rileva che l'art. 9, 2°

comma, d.p.r. n. 487 del 1994; si basa integralmente sull'impu

gnato art. 61, che è attualmente vigente nella disposizione, d'i

dentico contenuto, di cui all'art. 57 d.leg. 30 marzo 2001 n. 165, sicché l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma primaria si tradurrebbe nella conseguente inappli cabilità della citata norma regòlamentare, con corrispondenti ri flessi sull'esito della decisione dell'appello;

che, d'altra parte, l'applicabilità della normativa in questione, relativa alla presenza obbligatoria delle donne nella commissio ne giudicatrice, contestata dall'appellante con il secondo motivo

d'appello, costituisce l'unica restante — e quindi decisiva —

questione sottoposta all'esame del rimettente; che il Consiglio di Stato richiama, a sostegno della non mani

festa infondatezza della sollevata questione, la sentenza n. 422 del 1995 di questa corte (Foro it., 1995,1, 3386), con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge che imponevano la presenza di candidati d'ambo i sessi nelle liste elettorali;

che la disposizione impugnata appare al Consiglio di Stato tale da imporre la presenza di donne per almeno un terzo nelle commissioni di concorso, con l'asserita e irragionevole conse

guenza che una commissione risulterebbe legittimamente com

posta se formata di sole donne, mentre sarebbe illegittimamente

composta se formata di soli uomini;

che, oltre a ciò, la norma appare al rimettente in contrasto col

principio di razionalità in quanto, se il suo obiettivo è quello «di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro», la pari opportunità deve es sere quella finalizzata al conseguimento del posto di lavoro e non alla partecipazione alle commissioni esaminatrici;

che, anche ragionando diversamente, la disposizione sembra

comunque irragionevole, perché finisce con l'affermare impli citamente che i commissari di concorso tendono a favorire i

colleghi del loro sesso; che qualora, invece, l'impugnato art. 61 d.leg. n. 29 del 1993

dovesse intendersi come norma volta a consentire la pari op portunità nell'accesso alle commissioni esaminatrici, esso sa

rebbe ugualmente irrazionale, in quanto imporrebbe la scelta dei

commissari non in base all'unico criterio della competenza spe

legislatore regionale: la piena parità degli uomini e delle donne anche nell'accesso alle cariche elettive, in Alla ricerca dell'Italia federale a cura di Volpe, Pisa, 2003, 101; Di Capua-Panizza, L'eguaglianza uo mo-donna e l'accesso alle cariche elettive, in L'attuazione della Co stituzione a cura di Panizza e Romboli, Pisa, 2004, 59; Gheido-Casotti, Pari opportunità e tutela comunitaria, in Dir. e pratica lav., 2004, 599; Grecchi, Le pari opportunità nella pubblica amministrazione, in Risor se umane nella p.a., 2004, fase. 6, 91.

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3283 PARTE PRIMA 3284

cifica — espressamente indicato nell'art. 36, 3° comma, lett. e),

medesimo decreto n. 29 del 1993 — bensì anche in base all'ul

teriore fattore dell'appartenenza ad un sesso, nella specie quello

femminile, ritenuto svantaggiato; che dal complesso di ragioni ora elencate deriverebbe la ne

cessità di una declaratoria di illegittimità costituzionale della

norma impugnata; che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei

ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello

Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questio

ne, sul principale assunto secondo cui non vale più richiamare la

sentenza n. 422 del 1995 di questa corte, in quanto emessa pri ma della modifica dell'art. 51 Cost, operata dalla 1. cost. 30

maggio 2003 n. 1 (modifica dell'art. 51 Cost.), che ha aggiunto al 1° comma un ulteriore periodo in base al quale «la repubblica

promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra

donne e uomini», in presenza del quale l'ordinanza del Consi

glio di Stato appare carente di motivazione, non avendo tenuto

conto del fatto che la riforma costituzionale è palesemente orientata nel senso di rimuovere gli ostacoli ad una adeguata

presenza femminile nel mondo istituzionale;

che nella medesima direzione, inoltre, andrebbero considerati

anche altri recenti interventi normativi: la 1. cost. 31 gennaio 2001 n. 2 (disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presi denti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome

di Trento e di Bolzano), che, integrando gli statuti delle regioni ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito alle leg

gi elettorali delle regioni il compito di promuovere «condizioni

di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali»; la 1. cost. 18

ottobre 2001 n. 3 (modifiche al titolo V della parte seconda

della Costituzione), che ha introdotto nel corpo dell'art. 117

un'espressa previsione (7° comma) sulle pari opportunità con

riguardo alle leggi regionali; nonché la 1. 8 aprile 2004 n. 90 (norme in materia di elezioni dei membri del parlamento euro

peo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell'an

no 2004), concernente le elezioni dei membri del parlamento

europeo, secondo cui, al momento della formazione delle liste

elettorali, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in mi

sura superiore ai due terzi dei candidati;

che, in tale ottica, l'avvocatura richiama la sentenza n. 49 del

2003 di questa corte (id., 2003, I, 1318), nella quale si sarebbe operata una netta inversione di tendenza rispetto alle argomen tazioni sostenute nella sentenza n. 422 del 1995;

che, quindi, la norma impugnata sarebbe coerente con il mu

tato quadro normativo in quanto, introducendo un vincolo legale nella formazione delle commissioni di concorso per il recluta

mento nel pubblico impiego, non andrebbe ad incidere sul fon

damentale diritto dei cittadini, dell'uno e dell'altro sesso, di

partecipare in piena uguaglianza ad un concorso pubblico, bensì

sulla formazione delle scelte dell'amministrazione pubblica in merito ai componenti della commissione;

che l'avvocatura dello Stato, inoltre, sottolinea come la nor

ma sia volta a creare le condizioni per un'effettiva partecipazio ne delle donne ai processi decisionali pubblici, in linea con una

scelta politica che trova piena rispondenza nella situazione at

tuale della pubblica amministrazione, ove è ancora necessario

correggere uno squilibrio di fatto esistente a svantaggio delle

donne; che nel giudizio dinanzi a questa corte si è costituito l'appel

lante, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale

della norma impugnata; che si è altresì costituita in giudizio l'appellata che ha conclu

so per la declaratoria di irrilevanza ovvero di infondatezza della

questione, ribadendo tali conclusioni anche in un'ampia memo

ria depositata in prossimità dell'udienza; che quest'ultima, dopo aver sostenuto la mera ipoteticità della

questione, ha posto particolarmente l'accento sulla fondamen

tale importanza della modifica dell'art. 51 Cost., ignorata dal

l'ordinanza di rimessione, nonché sulla piena conformità della

disposizione impugnata alla normativa comunitaria.

Considerato che il Consiglio di Stato dubita, in riferimento agli art. 3 e 51 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 61, 1° comma, lett. a), d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29 (razionalizza zione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e re

visione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma

Il Foro Italiano — 2005.

dell'art. 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421), come modificato dall'art.

43 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80; che con la 1. cost. 30 maggio 2003 n. 1, è stato aggiunto un

periodo al 1° comma dell'indicato art. 51 con il quale si è pre scritto che, al fine di consentire ai cittadini di entrambi i sessi di

«accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizio ni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», «la

repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari oppor tunità tra donne e uomini»;

che nel nuovo testo la norma non si limita più a disporre che

«la diversità di sesso, in sé e per sé considerata, non può essere

mai ragione di discriminazione legislativa» (v. sentenza n. 33

del 1960, id., 1960, I, 705) e, quindi, a costituire una sorta di

specificazione del principio di uguaglianza enunciato, a livello

di principio fondamentale, dall'art. 3, 1° comma, Cost. (v. sen

tenze n. 188 del 1994, id., 1994,1, 2036, e n. 422 del 1995), ma

assegna ora alla repubblica anche un compito di promozione delle pari opportunità tra donne e uomini;

che, di conseguenza, per l'esame dell'attuale questione il 1°

comma dell'art. 51 Cost, nel testo attualmente vigente assume

un ruolo assorbente; che con riguardo all'art. 51 Cost, l'ordinanza non è adegua

tamente motivata, in quanto il giudice rimettente si limita a ri

chiamare la sentenza di questa corte n. 422 del 1995, senza al

cun riferimento alla sopravvenuta modifica di tale norma costi

tuzionale;

che, pertanto, la carenza argomentativa dell'ordinanza di ri

messione si traduce in una determinante mancanza di motiva

zione sul parametro costituzionale evocato e sulla non manifesta

infondatezza della questione, in quanto il richiamo esclusivo sul

punto alla sentenza n. 422 del 1995 di questa corte induce a ri

tenere che il Consiglio di Stato rimettente abbia inteso riferirsi al vecchio testo della disposizione costituzionale, senza specifi care le ragioni di tale scelta e senza una complessiva valutazio

ne delle sopravvenienze legislative e del contesto globale della

giurisprudenza di questa corte (v. sentenza n. 49 del 2003, cit.,

ed ordinanza n. 172 del 2001, id., 2001,1, 2409); che la questione deve, quindi, essere dichiarata manifesta

mente inammissibile (v., ex plurimis, ordinanze n. 191 del 1992,

id., 1992, I, 2931; n. 357 del 2001, id., Rep. 2002, voce Redditi

(imposta), n. 633; n. 200 del 2003, id., Rep. 2004, voce Regio ne, n. 386).

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 61,1° comma, lett. a), d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29 (ra zionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pub bliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impie go, a norma dell'art. 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421), come modifi

cato dall'art. 43 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, sollevata, in riferi

mento agli art. 3 e 51 Cost., dal Consiglio di Stato, con l'ordi nanza indicata in epigrafe.

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