ordinanza 28 gennaio 1997; Pres. Pannunzio, Rel. Goldoni; Soc. R.C.S. Rizzoli Periodici, Magrì eVaccari (Avv. Antonelli, Vitale) c. Filocamo (Avv. Picozza)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1943/1944-1947/1948Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192047 .
Accessed: 24/06/2014 20:20
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.44.78.143 on Tue, 24 Jun 2014 20:20:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1943 PARTE PRIMA 1944
seco di riferimento soddisfacesse la condizione di determinabili
tà, senza il ricorso a nuove scelte volontarie e manifestazioni
di volontà da parte di una delle parti o, segnatamente nel caso
in esame, da parte della banca.
Costituisce, pertanto, oggetto di indagine di fatto rilevare se
l'elemento estrinseco di riferimento abbia le caratteristiche del
l'oggettiva determinabilità della prestazione futura di interessi
nella variabilità delle condizioni di mercato in costanza di un
rapporto di durata; indagine preclusa alla valutazione del giudi zio di legittimità se opportunamente motivata.
La corte del merito, nel richiamare l'indirizzo giurispruden ziale sostenuto per lungo tempo da questa corte, ha svolto un
apprezzamento positivo sul punto con riferimento alle condizio
ni usualmente praticate su piazza, richiamando, da un lato, si
tuazioni di cartello; richiamando, d'altro lato, la determinazio
ne avvenuta in sede Ati, nell'ambito del procedimento di stan
dardizzazione contrattuale.
Peraltro, nel valutare la perdurante efficacia di situazioni di
riferimento, non può non tenersi conto dell'evoluzione verifica
tasi progressivamente nell'operare delle banche, sia con riferi
mento al venire meno di situazioni di cartello nella valorizzazio
ne della concorrenza bancaria, sia al mutamento, per così dire,
culturale nella stessa concezione e funzione dell'attività banca
ria che (portando alla rivalutazione della tutela del contraente
debole al di là della disciplina degli art. 1341 e 1342 c.c. che hanno dimostrato la loro inadeguatezza al fine) ha finito con
esprimersi in situazioni normative (prima l'art. 4 1. 17 febbraio
1992 n. 154, quindi gli art. 117 e 118 t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia approvate con d.leg. 1° settembre 1993 n.
385) espressamente negatone della validità di clausole contrat
tuali di rinvio agli usi nella determinazione dei tassi di interesse.
Ancorché le norme per ultimo indicate non trovino applica zione diretta nel caso di specie, in cui i rapporti si esaurirono
ben prima della vigenza dei due testi normativi richiamati, non
può non tenersi conto sia della normativa, anche comunitaria, nel frattempo intervenuta a salvaguardia della concorrenza ban
caria e decisamente negatoria di situazioni di cartello, sia del
mutamento progressivo delle situazioni oggettive dell'operativi tà delle banche al fine di valutare se il riferimento agli usi abbia
ancora una funzione, e soddisfi ancora il requisito di oggettiva determinabilità secondo la disciplina dell'art. 1346 c.c., la cui
violazione è sanzionata come causa di nullità negoziale dell'art.
1418, 2° comma, c.c. -
La corte del merito, ben consapevole dei requisiti richiesti
per la validità della clausola, ha ritenuto di dovere dare valore
agli elenchi di variazione dei tassi prodotti, assumendo che i
vari tassi previsti a seconda dell'affidabilità del cliente (prime
rate-top rate o situazioni intermedie) non danno luogo ad una
discrezionalità della banca successiva alla stipulazione del con
tratto, perché la qualificazione del cliente dovrebbe essere situa
zione inerente alla stessa stipulazione originaria del contratto
regolato in conto corrente.
Peraltro, l'enunciazione sul punto della sentenza della corte
del merito ha carattere di generalità, mentre nella specie ogget to di disamina era il singolo contratto dedotto in controversia, in relazione al quale, sulla base degli elementi probatori forniti, doveva valutarsi se sussistevano elementi di qualificazione origi naria del cliente atti a determinare, senza successiva valutazione
discrezionale da parte della banca, l'oggettiva determinazione
del tasso che fosse oggetto di variazione nel corso del rapporto. Su tale punto la motivazione della Corte d'appello di Roma
è manchevole; su tale punto la doglianza della procedura con
corsuale è formulata con carattere di fondatezza.
Accogliendo, pertanto il ricorso, si deve cassare la sentenza
impugnata, rimettendo gli atti ad altra sezione della Corte d'ap
pello di Roma che si atterrà al seguente criterio:
fermo restando il principio secondo cui, fino all'entrata in
vigore dell'art. 4 1. 17 febbraio 1992 n. 154 e d.leg. 1° settem
bre 1993 n. 385, la variazione dell'interesse nel corso di un rap
porto bancario di durata può essere reso determinabile con rife
rimento, in scrittura negoziale, ad elementi estrinseci e futuri; si deve accertare se, in base alla situazione normativa e di
fatto vigenti all'epoca del rapporto in contesa, quale emerge
dagli elementi probatori acquisiti, le tabelle prodotte potevano costituire l'elemento di riferimento indicato nel contratto in re
II Foro Italiano — 1997.
lazione alle condizioni praticate sulla piazza relativamente al mu
tamento del tasso di interesse; si deve accertare, inoltre, se sussistevano originariamente tut
ti gli elementi (tra cui la qualificazione del cliente in relazione
alla sua affidabilità) atti ad integrare la situazione di determina
bilità oggettiva del tasso, senza alcuna successiva valutazione
da parte della banca.
CORTE D'APPELLO DI ROMA; ordinanza 28 gennaio 1997; Pres. Pannunzio, Rei. Goldoni; Soc. R.C.S. Rizzoli Perio
dici, Magri e Vaccari (Avv. Antonelli, Vitale) c. Filocamo
(Avv. Picozza).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Competenza civile — Qualità di magistrato dell'attore o del con
venuto — Spostamento della competenza per territorio secon
do criteri predeterminati — Omessa previsione — Questione non manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art.
3, 24, 101; cod. proc. civ., art. 18-35; cod. proc. pen., art. 11).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale del combinato disposto degli art. 18-35 c.p.c., nella
parte in cui non prevedono che, nel caso in cui un magistrato sia parte in un procedimento civile, si determini uno sposta mento della competenza per territorio secondo principi prede terminati quali quelli previsti, per il processo penale, dall'art.
11 c.p.p., in riferimento agli art. 3, 24 e 101 Cost. (1)
(Omissis). In buona sostanza, ci si duole dell'apparente Illogi cità di un sistema giurisdizionale in cui il giudizio penale affe
(1) È indubbio che il dialogo tra processo civile e processo penale, dalle pur auree e feconde ascendenze (tra le pagine d'album vanno cita ti almeno Carne lutti, Cenerentola, in Riv. dir. proc., 1946, 73 ss., per la generosità degli slanci, e Calamandrei, Linee fondamentali del
processo civile inquisitorio, in Studi in onore di Giuseppe Chiovenda, Padova, 1927, 131 ss., ora in Opere giuridiche, Napoli, 1965, I, 145
ss., per la ricchezza delle implicazioni), abbia subito impulsi notevoli con il varo del codice del 1988 (cfr. le indicazioni metodologiche di
Conso, Codice nuovo, canoni interpretativi nuovi, in Giust. pen., 1989, III, 70), e si sia di seguito arricchito di nuovi stimoli (basti, qui, ad
esempio ricordare il «nuovo» art. 295 c.p.c, introdotto dall'art. 35 1. 26 novembre 1990 n. 353, il quale, nel ridisegnare il meccanismo della
«sospensione necessaria» del processo civile, pone delicati problemi di raccordo con la disciplina di cui agli art. 2, 3 e 479 c.p.p.: sul punto, cfr., per tutti, Spangher, in Nuovi profili nei rapporti fra processo civile e processo penale, atti del convegno di Trento, Milano, 1995, 31 ss., e Tommaseo, ibid., 3 ss., e, da ultimo, la nota di G. Balena a Cass. 13 maggio 1997, n. 4179, 7 maggio 1997, n. 3992 e 27 febbraio
1996, n. 101, in questo fascicolo, I, 1757). Di notevole impatto si sono, peraltro, rivelate le linee di riflessione dischiuse, sul versante proces sualcivilistico, da scelte contenute nel codice di rito penale — il riferi mento è anzitutto a Corte cost. 5 maggio 1995, n. 149, Foro it., 1995, I, 2042, con cui, eliminato l'antico «giuramento» imposto al teste, si è estesa agli atti preambolari della testimonianza civile la formula del
l'impegno di ve idicità prevista, per l'analogo atto processuale penale, dall'art. 497, 2' comma, c.p.p.: in tema cfr., tra gli altri, Chiavario, La soppressione del giuramento dei testimoni: il codice di procedura penale fa scuola, in Dir. pen. e proc., 1995, 1109 ss.; Id., Scelte di valore e tecniche normative nella tutela della libertà di coscienza. Espe rienze minime della recente codificazione processuale penale, in Legisla zione pen., 1996, 619 ss.; Di Cosimo, Alla lunga la libertà di coscienza l'ebbe vinta sul giuramento, in Giur. costit., 1995, 1258 ss.; Donati, Giuramento e libertà di coscienza, in Foro it., 1995, I, 2042; Spirito, Il giuramento assertorio davanti alla Corte costituzionale, in Giur.
This content downloaded from 185.44.78.143 on Tue, 24 Jun 2014 20:20:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rente a magistrati, siano essi imputati o parte offesa, viene per
legge (art. 11 c.p.p.) attribuito alla competenza territoriale del
capoluogo del distretto viciniore a quello in cui il magistrato
stesso presta o prestava servizio mentre altrettanto non viene
disposto nel caso in cui il magistrato sia attore o convenuto
in un giudizio civile. Questa corte non ignora certamente che una questione so
stanzialmente coincidente è stata valutata negativamente, sotto
il profilo della manifesta infondatezza, dalla Suprema corte che,
in buona sostanza, ha ancorato la sua decisione a due fonda
mentali capisaldi: da un lato, la diversa rilevanza degli interessi
dedotti nel giudizio penale rispetto a quelli che sono sottesi al
giudizio civile; dall'altro, la sussistenza, nel sistema, di stru
menti di salvaguardia, quali la ricusazione e l'astensione, che
sarebbero anch'essi idonei a preservare il sistema da possibili distorsioni.
Il secondo argomento appare palesemente inidoneo a svolge re quella funzione cautelatrice che ad esso si attribuisce: a parte la piana considerazione secondo cui i casi di astensione e di
ricusazione sono specifici, va rilevato che la funzione giurisdi zionale riveste caratteristiche peculiari e del tutto specifiche, in
quanto la credibilità di essa si basa non solo e non tanto sulla
tutela dell'indipendenza dei giudici in astratto, ma piuttosto, e ben più significativamente, nella trasparenza, anche all'ester
no, di essa, di talché, pur non sussistendo in ipotesi motivi di
astensione, pure apparirebbe congruo che la funzione fosse de
costìt., 1995, 1252 ss.; per ulteriori svolgimenti, cfr. Corte cost. 8 otto
bre 1996, n. 334, Foro it., 1997, I, 25, con nota di Verde, Il giuramen to della parte e la Consulta (motivazione o pseudomotivazione?), che
ha inciso sulla formula preambolare del giuramento decisorio di cui all'art. 238 c.p.c. —, mentre nuove importanti prospettive sembrano scaturire dagli sviluppi della giurisprudenza costituzionale in tema di
incompatibilità, ai fini del successivo giudizio, del giudice (penale) che abbia emesso una pronuncia de liberiate nelle fasi pregresse (cfr., in
tema, Scarselli, Terzietà del giudice e processo civile, in Foro it., 1996, I, 3616 ss., e Tarzia, Il processo di fallimento e l'imparzialità del giu dice, in Riv. dir. proc., 1997, 13 ss., che muovono entrambi da Corte cost. 24 aprile 1996, n. 131, 20 maggio 1996, n. 155 e 31 maggio 1996, n. 177, rispettivamente in Foro it., 1996, I, 1489, 1898 e 2278; nella stessa ottica cfr., in giurisprudenza, Pret. Torino 3 aprile 1997, id.,
1997, I, 1311, che ha dichiarato non manifestamente infondata la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 51, 1° comma, n. 4, e 2°
comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice che abbia
provveduto all'emanazione del decreto di repressione della condotta an tisindacale ai sensi dell'art. 28 1. 20 maggio 1970 n. 300 sia incompatibi le alla trattazione del merito della controversia promossa in opposizio ne al decreto stesso; in senso diverso, cfr., invece, Trib. Catania 14
novembre 1996, ibid., 1630, che ha dichiarato la manifesta infondatez za della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, n. 4, c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice civile che abbia concesso una misura cautelare ante causam ex art. 669 ter c.p.c. sia incompatibi le a conoscere della controversia di merito successivamente introdotta; Trib. Firenze 18 marzo 1997, giud. Ruccucci, Fall. Vamlease s.p.a. c.
Fall. Tesak s.p.a., inedita, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 101 1. fall, nella parte in cui prevede che il giudice delegato possa assumere la funzione di
giudice istruttore della controversia da lui autorizzata qualora il ricorso
sia stato proposto nell'interesse di altra procedura concorsuale, e Trib.
Rovigo 24 novembre 1995, in questo fascicolo, I, 2001, secondo cui
è manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 25 1. fall, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non fa divieto al giudice delegato del fallimento di partecipare all'istruttoria e alla decisione delle controversie che abbia autorizzato;
più in generale, per la tesi dell'inestensibilità ad aree extrapenali dei
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento
all'art. 34, 2'° comma, c.p.p., cfr. Chiarloni, Intrasferibili al civile
le declaratorie di illegittimità in tema di misure cautelari penali, in Cor
riere giur., 1996, 849 ss.). In tale scenario, complesso e tuttora fluido, si innesta il dubbio di costituzionalità sollevato dalla corte romana: po nendo a raffronto il rito civile e quello penale, ed evocando, quali para metri di giudizio, oltre agli art. 24 e 101 Cost., anche l'art. 3 Cost,
sotto il profilo della ragionevolezza delle scelte normative, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'omessa previsione, nel
sistema processuale civile, di una regola analoga a quella di cui all'art.
11 c.p.p., qui in funzione di tertium comparationis. La questione era,
per vero, già in passato stata ritenuta manifestamente infondata dal
giudice di legittimità (Cass. 16 settembre 1983, n. 5604, Foro it., Rep.
1984, voce Rimessione di procedimenti, n. 11, e Giust. civ., 1984,1, 423,
li Foro Italiano — 1997.
voluta a giudici «estranei» all'ufficio in cui il magistrato che è parte presta o prestava servizio. È appena il caso di ricordare
che operano nel nostro paese uffici giudiziari il cui organico è ridottissimo, tale cioè da non consentire neppure che l'organo
giudicante sia composto da magistrati quanto meno apparte nente ad uffici diversi da quello in cui il giudice interessato pre sta servizio.
Inoltre, non può sottacersi che gli strumenti di salvaguardia richiamati (astensione e ricusazione) sono presenti anche nel giu dizio penale, il che non ha impedito al legislatore di disciplinare espressamente l'ipotesi del magistrato esercente nel distretto, det
tando l'art. 11 c.p.p. È ferma convinzione di questa corte che il principio di indi
pendenza del giudice trovi tutela costituzionalmente garantita non solo nel senso di assicurare a ciascun giudice detta tutela, ma anche nel garantire alla collettività che lo stesso principio sia tutelato nelle sue forme anche esteriori sì da eliminare qua
lunque sospetto di natura soggettiva circa l'assoluta indipen denza di giudizio di chi in concreto sia chiamato a rendere giu
stizia, senza che ragioni obiettive quali l'appartenenza allo stes
so distretto possa, a prescindere dalla validità o meno della
pronuncia adottata, di per sé ingenerare perplessità nella pub blica opinione circa le ragioni sottese alla decisione.
Il discorso sin qui svolto parrebbe, se correlato alla vigente
disposizione dell'art. 11 c.p.p., dimostrare senz'altro la illogici tà di un sistema che solo nella sede penale garantisce tale tra
con riguardo all'art. 60 c.p.p. del 1930), sulla base dell'asserto per cui la divergenza dei due assetti normativi troverebbe una giustificazione nella diversa rilevanza sociale degli interessi coinvolti nell'una e nell'al ta sede (in senso analogo, cfr., più di recente, Trib. Napoli 8 giugno 1995, Foro it., Rep. 1995, voce Competenza civile, n. 89, e Giur. meri
to, 1995, 671): si tratta, tuttavia, ad avviso del giudice a quo, di argo mento che merita di essere rimeditato, alla luce di una più moderna lettura degli equilibri complessivi del sistema.
Deve, da ultimo, ricordarsi che nella seduta del 20 marzo 1997 il senato della repubblica, in sede di discussione sul disegno di legge in tema di «disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati», ha
sottoposto a non lievi modifiche il testo già approvato, in prima lettu
ra, dalla camera (per il testo del disegno di legge, completo delle modi fiche introdotte dal senato, cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputa ti, stampato n. 1846-B), introducendo, tra l'altro, un nuovo art. 9 con cui si innesta, nell'ambito del codice di procedura civile, un art. 30 bis («Foro per le cause in cui sono parti i magistrati»), del seguente tenore:
«Le cause in cui sono comunque parti magistrati, che secondo le nor me del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio
giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmen te competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di
corte d'appello determinato ai sensi dell'art. 11 c.p.p. Se nel distretto determinato ai sensi del 1° comma il magistrato è venuto ad esercitare le proprie funzioni successivamente alla sua chiamata in giudizio, è com
petente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello individuato ai sensi dell'art. 11 c.p.p. con riferimento
alla nuova destinazione». L'esigenza di pervenire ad una modifica del l'art. 11 c.p.p., che mantenesse — in ossequio al canone di precostitu zione del giudice — il carattere di automaticità della translatio iudicii ma scongiurasse il perpetuarsi di discusse competenze penali «recipro che» tra una sede e l'altra, si era già concretizzata, all'interno del d.l. 10 maggio 1996 n. 250 («disposizioni in tema di incompatibilità e di
competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati»), nelle norme del capo II, recanti «disposizioni in materia di competenza per i proce dimenti riguardanti i magistrati» (in tema, cfr. la relazione al disegno di legge di conversione, riprodotta in Guida al diritto, 1996, fase. 21, 20 s., e i rilievi di Frigo, Dopo aver superato la fase di emergenza è necessario un organo autonomo per il riesame, ibid., 26); poiché, tuttavia, nella seduta del 19 giugno 1996 il senato aveva escluso, in
ordine al capo II, la sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza, le relative norme non erano state riproposte dal d.l. 8 luglio 1996 n.
355, con cui si reiterava il precedente decreto legge, non convertito nei
termini, ma avevano formato oggetto di un autonomo disegno di legge di iniziativa governativa, presentato alla camera I'll luglio 1996 (Atti
parlamentari, Camera dei deputati, stampato n. 1846); dopo la prima
approvazione, nella seduta del 16 ottobre 1996, da parte dell'aula di
Montecitorio, il disegno di legge approdava al senato, che lo unificava
alla proposta di legge n. 484 di iniziativa del sen. Bucciero — estenden
done, dunque, il contenuto anche alla materia dei processi civili in cui
fossero parti magistrati — e lo approvava, come detto, con modifiche
11 20 marzo 1997.
This content downloaded from 185.44.78.143 on Tue, 24 Jun 2014 20:20:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1947 PARTE PRIMA 1948
sparenza, mentre nell'ambito del processo civile nulla dispone al riguardo; e ciò non tanto per il principio della disparità (in
giustificata) di trattamento che pure ad avviso di questo colle
gio sussiste, quanto per la violazione del principio della illogici tà manifesta di un sistema che si preoccupa del problema sol
tanto nell'ambito penale senza analoga problematica per il
processo civile, con conseguente vulnus sia all'art. 3 Cost, che
all'art. 101 della stessa.
La ragione che giustificherebbe la difformità di disciplina sa rebbe ravvisabile, anche ad avviso della Suprema corte, nella
diversità intrinseca degli interessi che sono alla base del proces so penale rispetto a quelli coinvolti nel giudizio civile: nel primo caso di discute di interessi generali, mentre nel secondo si discu
te di interessi particolari. Il fatto è innegabile, ma può sicura
mente opporsi che unica è la giurisdizione e che l'indipendenza del giudice va salvaguardata in ogni occasione in cui la giurisdi zione stessa viene esercitata; peraltro, anche se si ritenesse che
la diversità degli interessi valutati nei due tipi di giudizio fosse di per sé idonea a giustificare la diversità di disciplina, nel caso
concreto ci si dovrebbe far carico della specifica situazione che
si verifica allorché in sede civile si debba giudicare in tema di risarcimento del danno susseguente a diffamazione a mezzo
stampa. È appena il caso di ricordare che il reato de quo è perseguibi
le a querela; e che la giurisprudenza pacificamente ammette che
il danneggiato possa optare tra la proposizione della querela
e l'esercizio dell'azione civile senza passare per il tramite del
giudizio penale. In questo secondo caso, per statuire sul diritto
al risarcimento del danno, il giudice civile dovrà, sia pure inci
de n ter tantum, giudicare sulla sussistenza o meno del reato in
questione. Si rileva in proposito che comunque le conseguenze
di tale accertamento attingono all'ambito civilistico, di talché
l'accertamento della sussistenza del reato ha carattere di mero
presupposto per addivenire ad una pronuncia che da tale accer
tamento fa scaturire in ogni caso conseguenze non riferibili alla
fattispecie penale. Anche a voler seguire tale tesi che, per le ragioni già esposte
non si condivide, non può preliminarmente non evidenziarsi una
singolarità, priva di adeguata giustificazione, secondo la quale il danneggiato potrebbe scegliersi, a seconda della via giudiziale
intrapresa, il proprio giudice (naturale?), mentre il soggetto al
quale il fatto è ascrivibile dovrebbe soggiacere a tale scelta, sen
za possibilità di influire al riguardo. Ma può ulteriormente osservarsi sul punto che il giudizio de
mandato ai giudici civili appare assolutamente coincidente con
quello che sarebbe oggetto del giudizio penale, tanto che l'ac
certamento del reato è condizione imprescindibile per affermare
la responsabilità (civile) della controparte, cosa questa che fa
salve solo le diversità di conseguenze, sul piano sanzionatorio, tra l'una ipotesi e l'altra, ma senza elidere il carattere di disva
lore morale insito in una pronuncia del genere. Ciò posto, deve chiedersi se la obiettiva constatazione che
nell'un caso si dia luogo a conseguenze pratiche meramente ci
vilistiche sia di per sé sufficiente a giudicare costituzionalmente
corretta la diversa disciplina che la legge stabilisce per i due
casi. Ad avviso di questa corte il problema non può trovare
risposta affermativa. A parte le assorbenti considerazioni già svolte sul fatto che unica è la giurisdizione, sono frequenti le
pronunce della Corte costituzionale che fanno epresso riferimento
all'attività giurisdizionale nelle varie articolazioni come bene da
tutelare da influenze esterne (sent. 23 dicembre 1986, n. 284, Foro it., Rep. 1987, voce Professioni intellettuali, n. 115), alla
imparzialità del giudice che deve essere garantita in maniera sia
formale che sostanziale (sent. 19 gennaio 1989, n. 18. id., Rep.
1989, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, nn. 66-70), in altre parole alla esigenza che l'indipendenza e
la (per quanto di ragione connessa) imparzialità dei giudici sia assolutamente immune da qualsiasi tipo di condizionamento, conscio o non, reale o anche solo apparente.
Va sotto lo stesso profilo menzionata la sentenza n. 390 del
1991 (id., 1992, I, 305), con cui è stata sancita la illegittimità costituzionale dell'art. 11 del vigente c.p.p. laddove non era
prevista l'applicazione della norma stessa ai casi di reati com
messi in udienza per violazione del principio di imparzialità e terzietà del giudice e del principio di uguaglianza; ricordata la
Il Foro Italiano — 1997.
costante giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui
spetta all'insindacabile (se non sfociante nell'arbitrio) in sede
costituzionale competenza del legislatore determinare i casi di
spostamento della competenza territoriale per fatti concernenti
magistrati, devesi tuttavia rilevare che nel caso che ne occupa l'assoluta indifferenza del legislatore nell'ambito dei procedi menti civili alla terzietà, sia pure con riferimento anche alla
mera apparenza esterna della stessa, riferita allo spostamento della competenza per territorio, implica, segnatamente in casi
quale quello all'esame di questa corte, in cui è insita anche una
violazione penale del fatto sottoposto a giudizio, sia pure inci
denter tantum, appare sconfinare nell'arbitrio e dunque violati
va delle garanzie costituzionali.
Ad ulteriore sostegno della tesi sostenuta, va poi aggiunto che nella specie è stata chiesta ed ottenuta l'applicazione della
sanzione di cui all'art. 12 della legge sulla stampa. Appare op
portuno ricordare che in un primo tempo la giurisprudenza del
la Cassazione aveva escluso che tale sanzione potesse essere ap
plicata in sede civile, mente attualmente ciò viene ritenuto am
missibile, senza che peraltro nella sentenze della Suprema corte
sia abbandonata la definizione della sanzione stessa come «san
zione civilistica accessoria alla condanna per il reato di diffa
mazione con il mezzo della stampa» (v. Cass. pen. 19 gennaio
1993, Bonaga, id., Rep. 1993, voce Stampa ed editoria, n. 23): ciò rende ancor più evidente che l'accertamento compiuto in
sede civile ha connotazioni, anche sanzionatone, che attingono in modo pregnante alla qualificazione giuridica del fatto come
reato, cosa questa che convalida la tesi secondo cui, quanto meno in casi siffatti, la mancata previsione legislativa di uno
spostamento della competenza per territorio secondo criteri pre
determinati, sconfini nell'arbitrio e sia pertanto censurabile in
sede di costituzionalità.
I profili attinenti alla rilevanza della questione nel presente
procedimento sono già stati evidenziati; va sottolineato che il
giudizio di questa corte investe unicamente la non manifesta
infondatezza della questione e, al riguardo, pur nella consape volezza di una ribadita giurisprudenza costituzionale nel senso
surricordato, si ritiene che gli specifici aspetti sin qui evidenziati siano largamente giustificativi di una pronuncia che si sostanzi
in una valutazione che esclude la manifesta infondatezza della
questione che si solleva, peraltro in modo gradato in relazione
alle emergenze di volta in volta prese in esame.
Per questi motivi, la Corte d'appello di Roma, non definiti
vamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legitti mità costituzionale del combinato disposto degli articoli da 18
a 35 c.p.c., nella parte in cui non prevedono che, nel caso in
cui un magistrato sia attore o convenuto in un procedimento
civile, si determini uno spostamento della competenza per terri
torio secondo principi predeterminati quali quelli previsti, per il processo penale, dall'art. 11 c.p.p., per contrasto con gli art.
24 e 101 Cost.; dichiara rilevante e non manifestamente infon
data la medesima questione in linea subordinata limitatamente
al caso in cui il giudizio civile abbia ad oggetto fatti la cui rile
vanza penale debba essere incidentalmente accertata; dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la medesima questio ne nei procedimenti civili per diffamazione a mezzo della stam
pa in cui sia applicabile la sanzione di cui all'art. 12 legge sulla
stampa.
This content downloaded from 185.44.78.143 on Tue, 24 Jun 2014 20:20:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions